Document Details

EfficaciousAmaranth2593

Uploaded by EfficaciousAmaranth2593

Sapienza Università di Roma

2024

L. Picardi

Tags

psicologia generale psicologia storia della psicologia approcci psicologici

Summary

Questo documento presenta un'introduzione alla psicologia generale, esplorando la sua evoluzione e i principali approcci teorici. Vengono discussi concetti come strutturalismo e funzionalismo, e si analizza l'influenza del pensiero di filosofi e scienziati come Wundt, James e Freud.

Full Transcript

PSICOLOGIA GENERALE - L. Picardi - 2024/2025 CAPITOLO 1 / PSICOLOGIA: EVOLUZIONE DI UNA SCIENZA Il termine psicologia è composto da due parole greche: psyché, anima, e lògos, studio. William James comprese come questa disciplina voleva affrontare con un approccio moderno e scientifico alcune domande...

PSICOLOGIA GENERALE - L. Picardi - 2024/2025 CAPITOLO 1 / PSICOLOGIA: EVOLUZIONE DI UNA SCIENZA Il termine psicologia è composto da due parole greche: psyché, anima, e lògos, studio. William James comprese come questa disciplina voleva affrontare con un approccio moderno e scientifico alcune domande senza tempo sulla natura umana. La psicologia è lo studio scientifico della mente e del comportamento. Per mente s’intende la nostra personale esperienza interiore di percezioni, pensieri, ricordi e sentimenti che costituiscono il nostro incessante flusso di coscienza. Il termine comportamento fa riferimento alle azioni osservabili degli esseri umani e degli animali non umani. La psicologia è un tentativo d’affrontare con metodi scientifici interrogativi fondamentali sulla mente e sul comportamento. La psicologia moderna trova le sue radici nella filosofia. Infatti, pensatori come Platone (428-347 a.C.) e Aristotele (384-322 a.C.) furono i primi ad affrontare interrogativi fondamentali su come funziona la mente. Il primo sosteneva l’innatismo, ovvero, la credenza che certi tipi di conoscenza siano innati o connaturati. Il secondo fu un sostenitore dell’empirismo filosofico, secondo cui tutte le conoscenze si acquisiscono attraverso l’esperienza. Nella psicologia moderna la capacità di sottoporre a verifica una teoria è il fondamento dell’approccio scientifico ed è la base per poter trarre conclusioni. Il filosofo francese René Descartes (1596-1650) pensava che il corpo e la mente fossero cose di natura differente: il corpo, fatto di sostanza materiale e la mente (o anima) fatta di sostanza incorporea o spirituale. Come possono quindi interagire tra di loro? È proprio questo il problema del dualismo, ovvero di come l’attività mentale possa accordarsi e coordinarsi con il comportamento fisico. Al contrario di Descartes, il filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679) sostentava che mente e corpo non sono affatto cose diverse, piuttosto la mente è ciò che il cervello fa. Il collegamento tra mente e cervello sussisteva persino nel pensiero di Franz Joseph Gall (1758-1828 medico di origine tedesca e francese d’adozione) che arrivò a sviluppare una teoria psicologica nota come frenologia, secondo la quale specifiche abilità e caratteristiche mentali, dalla memoria alla capacità di essere felici, sono localizzate in specifiche aree del cervello. L’idea che parti diverse del cervello sono specializzate a svolgere specifiche funzioni psicologiche si è poi rivelata corretta (es: regione cerebrale chiamata ippocampo è strettamente collegata alla memoria, l’amigdala è invece coinvolta nella paura), ma Gall spinse la sua teoria a estremi assurdi. Ciò portò in breve tempo la screditazione della frenologia. Il chirurgo francese Paul Broca (1825-1880), lavorando con un paziente con una lesione in una piccola area del lato sinistro del cervello che compromise una specifica funzione mentale, diede una chiara dimostrazione del nesso che univa cervello e mente. A metà del XIX secolo la psicologia fece grandi passi avanti grazie al lavoro di scienziati tedeschi con una specifica formazione in fisiologia, ovvero lo studio dei processi biologici, in particolare del corpo umano. Svilupparono metodi che consentivano di misurare cose come la velocità degli impulsi nervosi, e alcuni di loro avevano iniziato a servirsi di questi metodi per misurare le capiscila mentali. Hermann von Helmholtz (1821-1894) fu un fisiologo e sperimentatore che sviluppò un metodo per misurare la velocità degli impulsi nervosi nella zampa di rana (studio riadattato sugli esseri umani). Il fisiologo addestrò i partecipanti a reagire quando uno stimolo - input sensoriale proveniente dall’ambiente - veniva loro applicato a parti diverse della gamba. Registrò i tempi di reazione dei partecipanti, ovvero la quantità di tempo che impiegavano a rispondere a uno specifico stimolo (utile strumento per studiare la mente e il cervello). Fu però attribuito il merito per la nascita ufficiale della psicologa all’assistente di Helmholtz, Wilhelm Wundt (1832-1920), che nel 1867 tenne il primo corso di psicologia fisiologica all’università di Heidelberg e nel 1874 pubblicò il libro Principi di psicologia fisiologica. Nel 1879, Wundt aprì all’università di Lipsia il primo laboratorio dedicato esclusivamente agli studi psicologici, avvenimento che segnò la nascita ufficiale della psicologia come campo d’indagine indipendente. Egli riteneva che la psicologia scientifica dovessi concentrarsi sull’analisi della coscienza, l’esperienza soggettiva che ogni persona fa del mondo e della mente, e insieme ai suoi studenti sviluppò un approccio che fu poi detto strutturalismo, ovvero l’analisi degli elementi fondamentali che costituiscono la mente (scomporre la coscienza in sensazioni ed emozioni elementari). Tramite l’introspezione, ovvero l’osservazione soggettiva della propria esperienza personale, Wundt cercò di analizzare in maniera sistematica ogni genere di cose che naviga nel flusso della coscienza, descrivendo attentamente le sensazioni associate alle percezioni elementari, analizzando il rapporto tra emozioni e sensazioni percettive sperando di svelare la struttura fondamentale dell’esperienza cosciente. Inoltre, tramite i tempi di reazione iniziò a indagare la distinzione tra percezione interpretazione di uno stimolo. Il britannico Edward Titchener (1867-1927) studiò per due anni con Wundt agli inizi degli anni Novanta dell’800. Si trasferì poi negli Stati Uniti e fondò il proprio laboratorio di psicologia presso la Cornell University dove portò alcuni elementi dell’approccio di Wundt introducendo però alcuni cambiamenti (Wundt era interessato ai rapporti tra gli elementi fondamentali della coscienza, Titchener si concentrò sull’identificazione di quegli elementi in quanto tali). L’approccio strutturalista divenne gradualmente sempre meno influente, e la ragione stava soprattutto nel metodo introspettivo che rendeva difficile a psicologici diversi mettersi d’accordo sugli elementi fondamentali dell’esperienza cosciente. Molti mettevano persino in dubbio che fosse possibile, attraverso la sola introspezione, arrivare a identificare tali elementi. Uno dei più importanti scettici fu William James che nel 1875 tenne ad Harvard il primo corso ispirato alla nuova psicologia sperimentale di Wundt e i suoi collaboratori tedeschi. Fu d’accordo con Wundt su punti come l’importanza di concentrare l’esame sull’esperienza immediata e l’utilità dell’introspezione, ma dissentiva dalla visione che si potesse scomporre la coscienza in parti elementari separate. Per James la coscienza era più simile a un flusso continuo che non a un fascio di componenti distinte. Sviluppò un approccio differente che prese il nome di funzionalismo, ovvero lo studio di come i processi mentali consentano alle persone di adattarsi al proprio ambiente. - STRUTTURALISMO → esamina struttura dei processi mentali; - FUNZIONALISMO → individuare quali funzioni svolgono quei processi. James trovò la sua ispirazione nel libro di Charles Darwin, l’Origine delle specie (1859) che proponeva il principio della selezione naturale, secondo cui le caratteristiche utili alla sopravvivenza e alla riproduzione dei singoli membri di una specie hanno maggiori possibilità, rispetto ad altre caratteristiche, di essere trasmesse alle generazioni successive. Secondo questa prospettiva, James concluse che le abilità mentali dovevano essersi evolute in quanto adattive (aumento probabilità di sopravvivenza) e che la coscienza doveva assolvere a qualche funzione biologica importante. Nel 1881 venne aperto il primo laboratorio per la ricerca psicologica del Nord America al John Hopkins University. Il suo fondatore, G.Stanley Hall (1844-1924), studiò sia con Wundt che con James e decise di concentrare la sua attività sull’età evolutiva e sull’educazione e fu fortemente influenzata dal pensiero evoluzionista. Secondo Hall, durante lo sviluppo i bambini passano attraverso fasi che ricapitolano la storia evolutiva del genere umano. Grazie all'intensa attività di James e Hall, il funzionalismo diventò una delle scuole di pensiero psicologiche più importanti, 1 fino a diventare negli anni Venti del XX secolo l’approccio dominante del Nord America. Nello stesso periodo degli sviluppi del funzionalismo e dello strutturalismo, molti psicologici iniziarono a studiare le persone con disturbi psicologici. I medici francesi Charcot e Janet registrarono dati sorprendenti osservando pazienti che presentavano una condizione allora chiamata isteria, caratterizzata da perdita temporanea delle funzioni cognitive o motorie, di solito in seguito a esperienze emotivamente sconvolgenti. I pazienti isterici diventavano ciechi, paralizzati o perdevano la memoria, ed era impossibile risalire ad una causa fisica dei loro problemi, ma inducendo uno stato di trance mediante ipnosi i loro sintomi scomparivano. James pensò che questi disturbi avessero implicazioni importanti sulla possibilità di chiarire la natura della mente. Queste osservazioni incuriosirono un giovane medico di Vienna chiamato Sigmund Freud (1856-1939). In seguito allo studio di casi isterici, Freud sviluppò sue personali teorie per spiegare gli strani sintomi e comportamenti arrivando a sostenere che all’origine di molti problemi dei suoi pazienti vi fossero esperienze infantili dolorose che la persona non riusciva a ricordare. Questo potente influsso esercitato da questi ricordi in apparenza perduto rivelava l’esistenza di una mente inconscia. Secondo Freud, l’inconscio è la parte della mente che opera al di fuori della consapevolezza cosciente e tuttavia influenza le azioni, i pensieri e i sentimenti consci. In base a questa teoria Sigmund elaborò la teoria psicoanalitica, un approccio che sottolinea l’importanza dei processi mentali inconsci nel plasmare sentimenti, pensieri e comportamenti. La terapia che sviluppò sulla base della sua teoria verrà chiamata psicoanalisi e ha come scopo quello di far emergere il materiale inconscio e portarlo al livello della consapevolezza cosciente, così da chiarire i disturbi psicologici che affliggono il paziente. All’inizio del XX secolo, Freud e una schiera di seguaci (Carl Gustav Jung 1875-1961 e Alfred Adler 1870-1937, due importanti figure di spicco) fondarono il movimento psicoanalitico, che suscitò numerose controversie dovute ai temi troppo scabrosi (per comprendere emozioni, pensieri e comportamenti di una persona si dovevano esplorare le sue prime esperienze sessuali e i suoi desideri sessuali inconsci). Nel convegno del 1909 alla Clark University James e Freud si incontrarono per la prima volta. Entrambi erano convinti che le aberrazioni mentali fornissero indizi importanti sulla natura della mente. La visione freudiana sulla natura umana era abbastanza negativa e poneva enfasi sui limiti e i problemi piuttosto che su possibilità e potenzialità. Per questo e altri motivi, come la difficoltà di sottoporre a verifica le idee freudiane e lo spirito positivo del dopoguerra, psicologi come Abraham Maslow (1908- 1970) e Carl Rogers (1902-1987) diventarono i capifila di un nuovo movimento chiamato psicologia umanistica, che prevedeva un approccio alla comprensione della natura umana che attribuisce importanza soprattutto alle potenzialità positive delle persone. Gli psicologi umanisti vedevano le persone come liberi agenti dotati di un bisogno innato di evolversi, crescere e realizzare a pieno il proprio potenziale. Lo sviluppo di questa prospettiva umanistica contribuì al declino dell’influenza esercitata dalle teorie di Freud. Le scuole di pensiero presenti sulla scena della psicologia agli inizi del XX secolo - strutturalismo, funzionalismo, psicoanalisi - pur essendo differenti in modo sostanziale, condividevano il fine ultimo di capire il funzionamento profondo della mente esaminandone i contenuti coscienti (percezioni, pensieri, ricordi, sentimenti ed emozioni) oppure cercando di far affiorare materiale in precedente inconscio. Un nuovo approccio fece la sua comparsa mettendo in discussione l’idea stessa che la vita mentale dovesse essere al centro dell’indagine della psicologia. Questa nuova prospettiva venne chiamata comportamentismo e affermava che gli psicologi dovevano limitarsi allo studio scientifico del comportamento oggettivamente osservabile. John Broadus Watson (1878-1958) riteneva che l’esperienza individuale fosse troppo vaga e soggettiva per costruire l’oggetto adeguato dell’indagine scientifica e che la scienza la scienza richiedeva misurazioni oggettive e replicabili di fenomeni accessibili a qualunque osservatore. Propose che gli psicologi concentrassero il loro lavoro unicamente sullo studio del comportamento, ovvero su quello che le persone fanno anziché su quello che esperiscono, perché è osservabile da chiunque e può essere misurato in maniera oggettiva. Secondo lui, la psicologia scientifica doveva avere l’obiettivo di prevedere e controllare il comportamento in modi che fossero utili e vantaggiosi per la società. Watson studio il comportamento di animali come ratti e uccelli dove la presenza di una mente era una questione opinabile. Nel 1908 Margaret Floy Washburn (1871-1939) pubblicò ‘La mente animale’, in cui passava in rassegna tutto quello che allora si conosceva su percezione, apprendimento e memoria nelle diverse specie animali. Margaret arrivò alla conclusione che gli animali non umani avevano esperienze mentali consapevoli, in maniera del tutto simile agli animali umani. Watson fu d’accordo con questa affermazione e poiché non si poteva interrogare i piccioni sulle loro esperienze soggettive, interiori, l’unico modo per capire come gli animali apprendono era quello di concentrarsi sul loro comportamento, e propose che lo studio degli esseri umani dovesse avere gli stessi presupposti. Anche il lavoro del fisiologo russo Ivan Pavlov [(1849-1936), autore di una più pionieristica ricerca sulla fisiologia della digestione], ebbe una grande influenza su Watson. Pavlov notò un dato interessante nei cani che stava studiando ovvero che non salivavano soltanto alla vista del cibo, ma anche nel vedere gli inservienti che portavano loro da mangiare. Pavlov sviluppò una procedura in cui, ogni volta che si dava loro da mangiare, i cani udivano anche un certo suono e, dopo qualche tempo, iniziarono a salivare al solo udire quel suono. Nei suoi esperimenti il suono non era altro che uno stimolo - input sensoriale proveniente dall’ambiente - capace di influenzare la salivazione dei cani, la quale costituiva la risposta - un’azione o una modificazione fisiologica evocata dallo stimolo. I concetti di stimolo e risposta divennero per Watson e gli altri comportamentisti gli elementi su cui fondarono le loro teorie (psicologia stimolo risposta o psicologia S-R). In seguito, Watson applicò le tecniche di Pavlov a bambini piccoli (famoso è il caso del piccolo Albert). Né Watson né negli altri comportamentisti dopo di lui credevano che l’ambiente fosse l’unica forma di influenza sul comportamento, ma la ritenevano la più importante. Nel 1926, Bruce Frederic Skinner (1904-1990) si laureò all’Hamilton College nello stato di New York. Completò gli studi con un dottorato in psicologia ad Harvard e cominciò ad elaborare un nuovo genere di comportamentismo. Negli esperimenti di Pavlov i cani erano stati i partecipanti passivi e Skinner considerò che nella vita di ogni giorno gli animali non si limitano a starsene fermi, ma agiscono sugli ambienti in cui vivono. Si chiese se fosse possibile sviluppare dei principi comportamentali in grado di spiegare in che modo gli animali apprendono ad agire in quelle situazioni. Skinner costruì un dispositivo sperimentale che egli chiamò camera di condizionamento (la gabbia di Skinner o Skinner box). Questa gabbia era dotata di una leva e di un vassoio per il cibo, premendo la leva un ratto affamato poteva ottenere il rilascio di una pallina di cibo nel vassoio. Il ratto casualmente arrivava a fare pressione sulla leva e la pallina di cibo cadeva nel vassoio, in seguito diventò quasi un’azione meccanica. Riuscì perciò a dimostrare quello che gli chiamava il principio del rinforzo, secondo cui le conseguenze di un comportamento determinano le sue maggiori o minori possibilità di essere prodotto di nuovo. Skinner iniziò a cercare il modo di applicare le proprie idee sul rinforzo allo scopo di migliorare la vita quotidiana e riuscì a sviluppare dei congegni automatici chiamati macchine da insegnamento (macchina che poneva una serie di domande di difficoltà crescente, in base alle risposte date dai bambini a domande semplici). Skinner rispose la sua visione di una società utopistica in cui il comportamento è controllato dall’accorta applicazione del principio del rinforzo. Nei suoi libri avanzò la semplice ma destabilizzante idea che la nostra sensazione oggettiva di libera volontà non è che è un’illusione, e che quando pensiamo di esercitare il nostro libero volere in realtà non facciamo altro che produrre risposte sulla base di modelli di rinforzo presenti e passati. 2 Il suo pensiero riecheggiava quello del filosofo Baruch Spinoza (1632-1677), il quale alcuni secoli prima aveva affermato che “gli uomini si ingannano credendosi liberi, una credenza che si riduce a questo: che sono consapevoli delle proprie azioni e ignoranti delle cause che le determinano. Quanto all’affermazione che le azioni umani dipendono dal libero arbitrio, sono solo parole a cui non corrisponde alcuna idea”. L’ondata di critiche sosteneva che Skinner stava gettando via uno degli attributi più preziosi del genere umano - il libro arbitrio - invocando una società repressiva che manipolava la gente per i propri scopi. Ma in realtà egli sosteneva che capire i principi che sono alla base del comportamento poteva essere utile per accrescere il benessere sociale. Watson, Skinner e i comportamentisti dominarono la psicologia americana dagli anni 30 agli anni 50 del XX secolo. Il comportamentismo fu soppiantato perché ignorava i processi mentali che avevano affascinato psicologi come Wundt e James e, nel far ciò, si ritrovò incapace di spiegare alcuni fenomeni molto importanti come l’apprendimento del linguaggio da parte dei bambini. Inoltre, non teneva nessun conto la storia evolutiva degli organismi che studiava. Nel piano della dominazione del comportamentismo alcuni rivoluzionari continuarono a mettere al centro della propria indagine i processi mentali creando un nuovo indirizzo a cui fu dato il nome di psicologia cognitiva. Quest’ultima aveva come obiettivo la ricerca su processi mentali o cognitivi quali la percezione, la memoria, l’esperienza soggettiva, l’attenzione e il linguaggio. Lo psicologo tedesco Max Wertheimer (1880-1943) si concentrò sullo studio delle illusioni, ovvero quegli errori di percezione, di memoria o di giudizio in cui l’esperienza soggettiva e la realtà oggettiva differiscono. Nel suo esperimento sulle luci lampeggianti arrivò alla conclusione che il lampo di luce viene percepito come un tutt’uno anziché come somma delle due parti. Questo insieme unitario, che in tedesco prende il nome di Gestalt, costituisce l’esperienza percettiva. Fu così che Wertheimer fondò la psicologia della Gestalt, un approccio psicologico che mette in evidenza come spesso percepiamo l’intero anziché la somma delle parti. In altre parole, la mente impone un’organizzazione a quello che percepisce, perciò le persone non vedono quello che effettivamente lo sperimentatore mostra loro, ma vedo invece di elementi come un unico insieme. Tra le ricerche pionieristiche sulla mente quella dello studioso sir Frederic Bartlett (1886-1969) riteneva che fosse importante esaminare la memoria rispetto al tipo di informazioni che le persone incontrano nella vita di ogni giorno; quindi, chiese ai suoi soggetti di leggere e ricordare delle storie per poi analizzare attentamente quali errori si commettevano nel tentativo di ricordarle. Fu così che Bartlett scoprì che spesso i partecipanti ricordavano quello che sarebbe dovuto succedere, o che si si aspettavano che succedesse, anziché quello che era davvero successo. Infatti, ipotizzò che la memoria non fosse una riproduzione fotografica delle esperienze passate, e che i nostri tentativi di ricordare il passato siano fortemente influenzati dei contenuti della nostra mente: conoscenze, credenze, speranze, aspirazioni e desideri. Tra le prime più importanti scoperte sullo sviluppo evolutivo c’è quella di Jean Piaget (1896-1980). Psicologo svizzero che si dedicò allo studio degli errori percettivi e cognitivi dei bambini, allo scopo di chiarire la natura e lo sviluppo della mente umana. È bene sottolineare anche l’importanza dell’esperienza dello psicologo tedesco Kurt Lewin (1890- 1947), il quale affermò che è possibile prevedere il comportamento di una persona nella vita reale, se si conosce la sua esperienza soggettiva del mondo. Si rese conto che non era lo stimolo, ma piuttosto l’interpretazione (construal) che la persona dava dello stimolo, a determinare il suo successivo comportamento. Gli psicologi dei primi anni del XX secolo ignorarono bellamente i processi mentali fino agli anni 50 del XX secolo, quando fece la sua comparsa sulla scena il computer, che ebbe un enorme impatto pratico sulla ricerca in psicologia. Il computer ebbe anche un enorme impatto sul piano concettuale. Seppur molto differenti sia le persone che i computer erano entrambi capaci di registrare, archiviare e poi recuperare informazioni. Proprio per tale motivo gli psicologi potevano pensare agli eventi mentali come un flusso di informazioni che attraversa la mente. Era possibile, perciò, per la psicologia studiare questi fenomeni in maniera scientifica. L’emergere del computer fece riemergere l’interesse per i processi mentali in tutto il campo della psicologia e diede origine a un nuovo approccio detto psicologia cognitiva, ovvero lo studio scientifico dei processi mentali, comprendenti la percezione, il pensiero, la memoria e il ragionamento. Lo psicologo britannico Donald Broadbent (1926-1993) fu tra i primi a studiare che cosa accade quando si cerca di prestare attenzione a più cose nello stesso momento. Dimostrò che una delle caratteristiche fondamentali della cognizione umana era la capacità limitata nel gestire il flusso di informazioni in ingresso. Gli psicologi cognitivi cominciarono a scrivere programmi per computer per vedere quali tipi di software riuscissero a imitare il linguaggio e il comportamento umani. Paradossalmente, all’emergere della psicologia cognitiva contribuì anche la pubblicazione di un libro di B. F. Skinner intitolato Comportamento verbale, che proponeva un’analisi comportamentista del linguaggio. Noam Chomsky (linguista del MIT) pubblicò una critica feroce di quel libro, sostenendo che Skinner aveva perso di vista alcuni degli aspetti più importanti del linguaggio. Quest’ultimo si basava su regole mentali che ci consentono di comprendere e produrre parole e frasi nuove. Chomsky fornì un’interpretazione del linguaggio intelligente, dettagliata e interamente cognitiva, in grado di chiarire molti dei fenomeni che i comportamentisti non riuscivano a spiegare. Gli psicologi cognitivi svilupparono metodi nuovi e ingegnosi che consentivano loro lo studio dei processi coinvolti nella cognizione. Fondamentale per lo sviluppo della psicologia cognitiva negli anni successivi fu il libro di Ulric Neisser: cognitive psychology (1967). Le nostre attività mentali spesso ci appaiono così naturali e spontanee che non ci rendiamo affatto conto che esse dipendono da operazioni estremamente complesse eseguite dal cervello. Infatti, un danno in altre parti del cervello può provocare sindromi caratterizzate dalla perdita di specifiche abilità mentali o dall’emergere di comportamenti o convinzioni bizzarri. Karl Lashley (1890-1958 psicologo che studiò con Watson) condusse una famosa serie di esperimenti in cui addestrava dei ratti a percorrere un labirinto. Dopo aver rimosso chirurgicamente parti diverse del cervello di questi animali, misurava di nuovo la capacità dei ratti nel percorrere il labirinto, con la speranza di individuare l’esatta area cerebrale in cui ha sede l’apprendimento. Dimostrò che maggiore era l’area cerebrale asportata, maggiori erano le difficoltà del ratto a percorrere il labirinto. Questi suoi tentativi spinsero altri scienziati a raccogliere la sfida facendo nascere un nuovo campo di ricerca chiamato psicologia fisiologica. Questo campo si è poi evoluto nelle attuali neuroscienze del comportamento, un approccio che collega i processi psicologici alle attività del sistema nervoso e ad altri processi organici (chiarire i rapporti tra cervello e comportamento). Difetti congeniti, incidenti e malattie sono spesso causa di danni a particolari regioni del cervello, e se tali danni compromettere una specifica abilità mentale, allora gli psicologi ne deducono che quella regione è coinvolta in quell’abilità. Verso la fine degli anni 80 del XX secolo nuove conquiste tecnologiche portarono lo sviluppo di tecniche non invasive di visualizzazione cerebrale (neuroimaging). Queste tecniche consentivano di osservare il cervello in azione e di rilevare quali parti sono coinvolte e in quali operazioni. Grazie a queste nuove scoperte era possibile studiare vari tipi di abilità cognitive e usare le loro osservazioni per svelare i misteri della mente e del cervello. Questo campo di indagine venne chiamato neuroscienza cognitiva ovvero il campo di ricerca che tenta di comprendere i nessi tra processi cognitivi e attività celebrale. Grazie agli esperimenti sui ratti dello psicologo John Garcia e i suoi collaboratori fu possibile comprendere come la storia di apprendimento degli antenati determinasse la capacità di apprendimento del singolo ratto (imparavano ad associare la nausea all’odore del cibo più in fretta di quanto non imparino ad associarla a una luce lampeggiante). Questo cruciale mutamento di visione diventò il credo di un nuovo indirizzo della psicologia. La psicologia 3 evoluzionistica spiega la mente il comportamento in termini di valore adattivo delle abilità conservate nel corso del tempo ad opera della selezione naturale. Questa psicologia affonda le sue radici nelle teorie dell’evoluzione per selezione naturale di Charles Darwin secondo la quale le caratteristiche che favoriscono la sopravvivenza e la riproduzione di un organismo hanno maggiori probabilità rispetto ad altre caratteristiche di essere trasmessi alle generazioni successive. La teoria della selezione naturale ispirò l’approccio funzionalista di William James e di G.Stanley Hall, in quanto li portò a focalizzare l’attenzione su come le abilità mentali aiutassero le persone a risolvere i problemi posti dalle esigenze quotidiane. Ma è solo dal 1975 (anno in cui fu pubblicato il libro sociobiologia scritto da E.O. Wilson) che la presenza del pensiero evoluzionista si manifestò con chiarezza nel campo della psicologia. Gli psicologi evoluzionisti pensavano che la mente umana fosse un insieme di “moduli "specializzati, atti a risolvere i problemi che i nostri antenati affrontarono per milioni di anni nei loro sforzi di mangiare, accoppiarsi e riprodursi”. Tuttavia, è probabile che molti dei tratti ora presenti negli esseri umani e negli altri animali si siano evoluti per assolvere a funzioni diverse da quelle che svolgono oggi. Infatti, non vi sono tracce di pensieri, emozioni e azioni dei nostri antenati, per tale motivo verificare l’ipotesi sulle origini evolutive dei fenomeni psicologici è un compito estremamente difficile. Gli esseri umani sono fondamentalmente animali sociali, proprio per questo motivo non c’è da sorprendersi se il nostro comportamento è fortemente influenzato dalla presenza o dall’assenza di altre persone. Le due aree della psicologia che hanno maggiormente sottolineato questo aspetto sono la psicologia sociale e la psicologia culturale. La psicologia sociale è lo studio delle cause e delle conseguenze della socialità. Gli storici fanno risalire la nascita della psicologia sociale a un esperimento condotto nel 1895 da Norman Triplett, psicologo e appassionato di bicicletta, il quale notò che i ciclisti pedalavano più stretta quando correvano insieme ad altri. Da questa osservazione Triplett condusse altri esperimenti con lo scopo di dimostrare che la semplice presenza di altre persone era in grado di influenzare la prestazione persino nei compiti più banali. La psicologia sociale cominciò ad affermarsi sul serio intorno agli anni 30 del Novecento, sotto la spinta di vari eventi storici. L’ascesa del nazismo in Germania spinse molti tra i migliori scienziati tedeschi emigrò in America e tra loro vi erano anche psicologi come Solomon Asch e Kurt Lewin. Questi erano stati fortemente influenzati della psicologia della Gestalt e sentivano che essa racchiudeva una verità fondamentale sul rapporto tra i gruppi sociali gli individui che li compongono. Furono i primi a proporre teorie sul comportamento sociale simili a quelle formulate dagli studiosi di scienze naturali e furono i primi a sottoporre a verifica di sperimentali le loro teorie sociali. Lewin adottò il linguaggio della fisica del tempo per proporre una “teoria del campo”, che considerava il comportamento sociale come il prodotto di “forze interne” (quali la personalità, gli obiettivi e le convinzioni personali) e di “forze esterne” (come la pressione sociale e la cultura di appartenenza). Asch si dedicò indagare con esperimenti di laboratorio quella “chimica mentale "che ci permette di combinare poche frammentarie informazioni su una persona in un’impressione generale della sua personalità. Anche altri eventi storici influenzarono la fase iniziale dello sviluppo della psicologia sociale. L’Olocausto, per esempio, mise in piena luce i problemi di conformismo e dell’obbedienza all’autorità. Il crescere del movimento per i diritti civili negli USA e delle tensioni tra americani neri bianchi spinse Gordon Allport (1897-1967) e altri psicologi a studiare la formazione degli stereotipi, il pregiudizio e il razzismo, e a scioccare l’intero mondo della psicologia suggerendo che il pregiudizio è il risultato di un errore percettivo, non meno naturale e inevitabile di un’illusione ottica. Oggi gli psicologi sociali si occupano di una gamma più ampia di argomenti e utilizzano una gamma più ampia di tecniche, ma questo indirizzo della psicologia rimane dedicato alla comprensione del cervello quale organo sociale, della mente quale adattamento sociale e dell’individuo quale essere sociale. Nonostante le caratteristiche biologiche estremamente simili, dentro la specie umana esiste tuttavia una notevole diversità per quanto riguarda le pratiche sociali, le usanze e i modi di vivere. Il termine “cultura” fa riferimento ai valori, alle tradizioni e alle credenze condivise da un particolare gruppo di persone. È possibile definire le culture anche in base all’età, al genere, all’orientamento sessuale, alla religione o all’occupazione. La psicologia culturale è lo studio del modo in cui le culture rispecchiano il plasmano i processi psicologici dei loro appartenenti. Gli psicologi culturali studiano un’ampia gamma di fenomeni, che spazia dalla percezione visiva all’interazione sociale, cercando di individuare quali fenomeni abbiano un carattere universale e quali invece presentino variazioni dà luogo a luogo e da un’epoca all’altra. Uno dei primi a prestare attenzione all’influenza della cultura fu Wilhelm Wundt, al quale viene oggi riconosciuta la paternità della psicologia sperimentale. Wundt riteneva che l’approccio psicologico avrebbe dovuto unire gli studi di laboratorio a un’ampia visione culturale. Al di fuori della psicologia, antropologi come Margaret Mead e Gregory Bateson cercavano di capire i fondamenti della cultura viaggiando in remote regioni del mondo osservando attentamente il modo con cui si allevano i bambini, i rituali, le cerimonie religiose ecc. La psicologia culturale inizia ad affermarsi come branca importante della psicologia solo negli anni 80 e 90 del XX secolo, quando psicologi antropologi iniziarono a condividere idee e metodi. Fu allora che gli psicologi riscoprirono in Wundt il padre intellettuale di quest’indirizzo della psicologia. Secondo la corrente dell’assolutismo, la cultura incide poco nulla sulla maggior parte dei fenomeni psicologici e “l’onestà è onestà e la depressione è depressione, in qualunque luogo le si osservi”. La corrente del relativismo sostiene che i fenomeni psicologici tendono a variare notevolmente da una cultura all’altra e che dovrebbero essere presi in considerazione solo nel contesto di una cultura specifica. Attualmente la maggior parte degli psicologi culturali si colloca in qualche punto tra questi due estremi. La maggioranza di fenomeni psicologici può subire l’influsso della cultura di appartenenza, ma mentre alcuni ne sono completamente determinati, altri sembrano esserne del tutto indipendenti. È probabile che i fenomeni più universali siano quelli strettamente associati agli aspetti biologici fondamentali condivisi da tutti gli esseri umani. Invece i fenomeni meno universali sono probabilmente quelli radicati nella variegata molteplicità delle pratiche di socializzazione sviluppate dalle diverse culture. L’unico modo per stabilire se un fenomeno sia variabile o costante nelle diverse culture e, naturalmente, condurre una ricerca in grado di indagare su queste possibilità, appunto ciò che fanno gli psicologi culturali. Nel luglio del 1892 James e altri cinque psicologi si recarono alla Clark University per partecipare a una riunione indetta da G. Stanley Hall. Questi sette uomini fondarono quel giorno l’American Psychological Association (APA). Nel 1988 450 psicologi fondarono l’American Psychological Society (APS), poiché sentivano il bisogno di avere un’organizzazione specificatamente dedicata alle esigenze degli psicologi impegnati nella ricerca. Il livello attuale di presenza delle donne e delle minoranze dentro l’APA, e più in generale nel campo della psicologia, deve molto ad alcune pioneristiche figure. Nel 1905 Mary Whiton Calkins fu la prima donna ricoprire la carica di presidente dell’APA (nel discorso con cui si insediò alla presidenza espose la sua teoria sul ruolo del “sé "nella funzione psicologica. Sosteneva che il sé è un’unica entità, inscindibile in singole parti.) Il primo appartenente a una minoranza etnica ricoprire la carica di presidente dell’APA fu Kenneth Clarck (condusse un intenso lavoro di ricerca sulle immagini di sé nei bambini afroamericani; egli sosteneva che la segregazione razziale produceva gravi danni psicologici). I suoi studi contribuirono nel 1954 alla decisione della corte suprema di abolire la segregazione razziale nelle scuole pubbliche americane. Molte sono le carriere praticabili nella branca della psicologia. Alcuni si occupano della diagnosi del trattamento di persone con problemi psicologici; altri 4 come gli psicologi clinici si occupano di problemi o disturbi specifici, come la depressione o l’ansia; altri come gli psicologi specializzati in organizzazione del lavoro si occupano dei problemi legati al mondo del lavoro1. CAPITOLO 2 / I METODI DELLA PSICOLOGIA La scienza ci dice che l’unico modo per sapere se una certa affermazione è vera è darsi la pena di verificare se lo è. Tutti i metodi della psicologia si propongono di rispondere a due domande fondamentali: E cosa fanno le persone? E perché lo fanno? Gli psicologi rispondono alla prima di queste domande tramite osservazioni e misurazioni, e rispondono alla seconda, cercando di identificare relazioni tra le cose che misurano. Gli antichi greci dovevano scegliere tra due tipi di medici: i dogmatici (da dogmatikos, che significa “che segue le credenze”), i quali pensavano che il modo migliore per comprendere la malattia stesse nello sviluppare teorie sulle funzioni dell’organismo, e gli empirici (da emperikos, che significa che segue l’esperienza), i quali pensavano che il modo migliore per comprendere la malattia consistesse nell’osservare le persone malate. Oggi la parola dogmatismo viene utilizzata per descrivere la tendenza delle persone ad attenersi rigidamente alle proprie tesi e la parola empirismo è usata per descrivere la convinzione che la conoscenza accurata del mondo richiede un’attenta osservazione. L'empirismo costituisce la caratteristica essenziale del metodo scientifico, definito come una procedura per appurare fatti tramite evidenze empiriche. In altre parole, modificare l’idea in modo da adattarla alle evidenze raccolte. Queste idee vengono chiamate dagli scienziati “teorie”. Una teoria è una spiegazione ipotetica di un fenomeno naturale. Nel formulare una teoria, di solito, gli scienziati si attengono alla regola della parsimonia (dal latino parcere, ovvero risparmiare), secondo cui occorre assumere che la teoria migliore sia quella più semplice in grado di spiegare tutte le evidenze disponibili. La paternità di questa regola viene attribuita allo studioso William Ockham, il quale scrisse che “la pluralità non deve essere postulata, se non quando sia necessario”. Ockham intendeva dire che conviene partire dalla spiegazione più semplice e solo se è necessario renderla poi più complicata. Una frase contenente un’affermazione del tipo “si dovrebbe” è, nella terminologia specifica, un’ipotesi, cioè una previsione falsificabile derivata da una teoria, definizione in cui la parola falsificabile è di rilevanza cruciale. Anche se l’osservazione di oggi non ha dimostrato errata la nostra teoria, resta pur sempre aperta la possibilità che qualche osservazione futura possa dimostrarla tale. Nel 1877 il fotografo inglese Eadweard Muybridge inventò una tecnica per scattare fotografie in rapida successione, dimostrando che un cavallo al galoppo ha tutti e quattro gli zoccoli staccati da terra. Per scoprire la verità sulle cose del mondo dobbiamo fare di più che semplicemente guardarle e questo Muybridge lo sapeva bene. Per questo subentra il metodo empirico, che consiste in un insieme di regole e di tecniche per condurre le osservazioni. In molte scienze il termine metodo fa soprattutto riferimento a tecnologie che migliorano l’acuità dei nostri sensi. Nello studio del comportamento umano ci scontriamo con tre grandi difficoltà: - COMPLESSITÀ: la grande difficoltà nella comprensione del cervello umano; - VARIABILITÁ: le persone sono tutte differenti tra di loro; - REATTIVITÀ: è frequente che le persone pensino, sentano e agiscano in un modo se osservate e in un altro se non lo sono. Poiché gli esseri umani sono estremamente complessi, variabili e reattivi vi sono innumerevoli difficoltà nello studio scientifico del loro comportamento. Gli psicologi hanno sviluppato due tipi di metodi per affrontare in modo diretto tali sfide: - Metodi di osservazione, che consentono di determinare ciò che le persone fanno; - Metodi di spiegazione, che permettono di determinare perché lo fanno. L’osservazione significa usare i propri sensi per comprendere le proprietà di un evento o di un oggetto. Le osservazioni casuali sono incostanti e non ci dicono nulla su molte proprietà a cui potremmo essere interessati. Gli psicologi sviluppano strumenti da utilizzare per le loro misurazioni e poi le utilizzano per i loro scopi (descrizione). MISURAZIONE: le misurazioni sono una parte fondamentale non solo della scienza, ma anche della stessa vita moderna. Le cose da fare sono due: definire la proprietà che desideriamo misurare e trovare un modo per rilevarla. Ogni unità di tempo ha una definizione operativa, che è la descrizione di una proprietà in termini concreti, misurabili. È poi necessario disporre di un particolare strumento di misura, ovvero un dispositivo in grado di rilevare la condizione a cui fa riferimento la definizione operativa. La caratteristica più importante di una definizione operativa è la sua validità, ovvero la misura in cui un evento concreto definisce una data proprietà (una buona definizione è una definizione valida). La caratteristica più importante di un buon strumento di misura è quella dell'affidabilità, ovvero la tendenza di uno strumento a produrre lo stesso risultato ogni volta che lo si usa per misurare la stessa cosa. In secondo luogo, un buon strumento deve possedere sensibilità, che è la capacità di uno strumento di cogliere la proprietà che deve misurare anche quando essa è presente in piccole quantità (un buon strumento è affidabile e sensibile). Nello studiare il comportamento di un essere umano bisogna tener conto che spesso le persone normali cercano di comportarsi nel modo in cui pensano che noi vogliamo, o ci aspettiamo, che si comportino. Le caratteristiche della domanda sono gli aspetti di un setting osservazionale che inducono le persone a comportarsi nel modo in cui esse pensano che qualcun altri desideri o si aspetti che si comportino (es: pensi che questi jeans mi facciano più grassa?). Uno dei metodi a disposizione degli psicologi per evitare le caratteristiche della domanda consiste nell'osservare le persone senza che queste lo sappiano. L'osservazione naturalistica è una tecnica per ottenere dati scientifici osservando le persone nei loro ambienti naturali senza che esse se ne accorgano. - In primo luogo, alcune delle cose che gli psicologi vogliono osservare non avvengono spontaneamente. - In secondo luogo, alcune di queste cose si possono ottenere solo tramite l’interazione diretta con la persona. Grazie alla risposta in forma privata oppure anonima è possibile evitare che le persone siano influenzate dalle caratteristiche della domanda, ma la forma migliore è senza dubbio quella che fa sì che le persone sotto osservazione ignorino il vero scopo per cui sono osservate. Per questa ragione gli psicologi a volte utilizzano storie di copertura, cioè spiegazioni fuorvianti appositamente create per impedire ai partecipanti di individuare il vero scopo dell’osservazione. Vengono spesso utilizzati anche degli item di riempimento, cioè misure inutili finalizzate a mascherare il vero scopo dell’osservazione. Le persone sotto osservazione non sono gli unici soggetti che possono rendere più complicate e difficili le osservazioni. Innanzitutto, perché le aspettative possono influenzare le osservazioni e poi perché possono influenzare la realtà. Le tecniche che consentono di evitare queste influenze sono numerose, e una delle più comuni è l’osservazione in doppio cieco, che è 1 Psicologia, mente, comportamento, innatismo, empirismo filosofico, frenologia, fisiologia, stimolo, tempo di reazione, coscienza, strutturalismo, introspezione, funzionalismo, selezione naturale, isteria, inconscio, teoria psicoanalitica, psicoanalisi, psicologia umanistica, comportamentismo, risposta, rinforzo, illusioni, psicologia della Gestalt, psicologia cognitiva, neuroscienze del comportamento, neuroscienze cognitive, psicologia evoluzionistica, psicologia sociale, psicologia culturale. 5 un’osservazione il cui vero scopo è ignoto sia all’osservatore sia al soggetto osservato. Le misurazioni vengono spesso effettuate da assistenti che non sanno che cosa si stia studiando e perché, e che quindi non hanno alcuna aspettativa su ciò che un partecipante farà o dovrebbe fare. CASUALITÀ: Le correlazioni naturali sono le correlazioni che osserviamo nel mondo intorno a noi, e benché tali osservazioni possano dirci se tra due variabili esiste una relazione, non ci possono dire di quale tipo sia tale relazione. Spesso due variabili sono correlate solo perché ciascuna di esse è causata da una terza variabile (correlazione spuria). Quando osserviamo una correlazione naturale, la possibilità di una correlazione spuria non può mai essere scartata. Il modo più semplice di scartare una terza variabile è la tecnica dei campioni abbinati, una tecnica che fa sì che i due gruppi di partecipanti siano identici rispetto a una terza variabile. In alternativa si potrebbe usare la tecnica delle coppie abbinate, una tecnica in cui ogni partecipante è identico a un altro partecipante rispetto a una terza variabile. Il problema della terza variabile indica il fatto che non è possibile inferire una relazione casuale tra due variabili sulla base della correlazione naturale esistente tra di esse, data la possibilità sempre presente, non eliminabile, di una correlazione spuria. Una soluzione al problema della terza variabile è l’esperimento, una tecnica che permette d’individuare una relazione casuale tra variabili. Il modo migliore per capire in che modo gli esperimenti eliminano tutte le differenze tra gruppi è esaminare le due caratteristiche fondamentali: la manipolazione e l’assegnazione casuale (o randomizzata). - La manipolazione consiste nel modificare una variabile al fine di identificarne il potere casuale. - La sperimentazione implica tre fasi cruciali: 1. Si effettua una manipolazione. La variabile che viene manipolata è chiamata variabile indipendente. Quando si manipola una variabile indipendente si devono formare almeno due gruppi di partecipanti: un gruppo sperimentale, che è il gruppo dei soggetti esposti a una particolare manipolazione, e un gruppo di controllo, che è il gruppo dei soggetti non esposti a quella particolare manipolazione. 2. Avendo manipolato una variabile, passiamo a misurare un’altra variabile. La variabile che viene misurata è chiamata variabile dipendente, perché il suo valore “dipende” da ciò che il partecipante dice o fa. 3. Verifichiamo se la manipolazione della variabile indipendente ha prodotto dei cambiamenti nella variabile dipendente. Negli esperimenti può subentrare l’autoselezione, ovvero quando l’inclusione di un partecipante nel gruppo sperimentale o nel gruppo di controllo è determinata dal partecipante stesso, ma ancora più comune è la randomizzazione, quella procedura finalizzata dove l’assegnazione di un partecipante al gruppo sperimentale o a quello di controllo è del tutto casuale. Quando la randomizzazione non è riuscita e l’assegnazione casuale fallisce, il problema della terza variabile risorge. In assenza di assegnazione casuale, non possiamo concludere che tra le variabili indipendente e dipendente esista una relazione casuale. Tuttavia, possiamo calcolare le probabilità che la randomizzazione sia fallita, ogni volta che la utilizziamo. Quando vi è meno del 5% di probabilità che un certo risultato sarebbe emerso nonostante il fallimento della randomizzazione, quel risultato sperimentale è detto statisticamente significativo. La statistica inferenziale dice agli scienziati quali tipi di conclusioni o inferenze essi sono autorizzati a trarre delle differenze osservate tra il gruppo sperimentale e quello di controllo. Nel 1620 Sir Francis Bacon (Bacone) pubblicò un libro, intitolato Novum Organum, in cui descriveva un nuovo metodo per scoprire i fatti del mondo reale. Oggi questo metodo è noto più semplicemente come metodo scientifico, il quale ci permette di raccogliere prove empiriche. Il poter utilizzare le prove richiede una capacità di pensiero critico che implica di porre a noi stessi domande difficili, chiedendoci se abbiamo interpretato le evidenze in maniera oggettiva, libera da distorsioni, e se le evidenze ci dicono non solo la verità, ma tutta la verità. Nel suo libro sostenne che due tendenze antiche fin troppo umane - la tendenza a vedere solo quello che vogliamo o ci aspettiamo di vedere e la tendenza a ignorare quello che non possiamo vedere - sono le caratteristiche distintive del pensiero naturale o intuitivo, e perciò nemiche del pensiero critico. Le nostre convinzioni preesistenti (anche preferenze, pregiudizi, ambizioni, avversioni, speranze, bisogni, desideri e sogni) colorano di sé il nostro modo di vedere le nuove evidenze, facendo sì che vediamo quello che ci aspettiamo di vedere. Convinzioni e desideri innanzitutto influenzano quali prove prendiamo in considerazione. Proprio perché le evidenze lasciano ampio spazio per le interpretazioni, la prima regola del pensiero critico è: dubitare sempre delle nostre conclusioni. Secondo Bacone, le persone raramente prendono in considerazione le cose che non possono vedere. Abbiamo la naturale tendenza a considerare ciò che vediamo e solo di rado, se pure lo facciamo, a prendere in considerazione ciò che non vediamo. Allora la seconda regola è tenere sempre in considerazione ciò che non vediamo. La scienza non è un metodo infallibile per conoscere il mondo, è solo meno fallibile degli altri metodi; cerca di scoprire i propri difetti ed errori e si sforza di porvi rimedio. La comunità internazionale sviluppò nel 1947 un codice etico, detto Codice di Norimberga, a cui fece seguito nel 1964 la Dichiarazione di Helsinki, nella quale si stabilivano i principi per il trattamento etico dei soggetti umani nelle ricerche. Nel 1979 l’U.S. Departement of Health, Educazioni and Welfare pubblicò quello che divenne noto come Rapporto Belmont, in cui si affermavano i tre principi fondamentali che dovevano essere applicati in tutte le ricerche che vedessero coinvolti esseri umani. - In primo luogo, la ricerca deve mostrare rispetto per le persone e il loro diritto di prendere decisioni. - In secondo luogo, le ricerche devono avere effetti benefici, il che significa che devono massimizzare i vantaggi e di ridurre i rischi per ogni partecipante. - In terzo luogo, la ricerca deve essere equa, ovvero deve distribuire vantaggi e rischi tra i partecipanti con equità, senza pregiudizi nei confronti di particolari individui o gruppi. Altre regole fondamentali: - Consenso informato: una dichiarazione con cui una persona esprime il suo accordo riguardo alla partecipazione a uno strumento, sottoscritta da un adulto che è stato informato di tutti i rischi che tale partecipazione può comportare. - Libertà dalla coercizione: gli psicologi non possono costringere le persone a partecipare alle loro ricerche. - Protezione dal danno: gli psicologi devono prendere ogni possibile precauzione per proteggere i partecipanti alle loro ricerche da danni fisici o psicologici. - Analisi rischi-benefici: è ammesso richiedere ai partecipanti di accettare piccoli rischi, ma non forti rischi. - Inganno: gli psicologi possono ricorrere all’inganno nei confronti dei partecipanti solo quando ciò sia giustificato dal valore scientifico, educativo o applicativo dello studio, e quando non siano attuabili procedure alternative. - Debriefing: lo psicologo è tenuto a fornire un debriefing, cioè una descrizione verbale della vera natura e del vero scopo dello studio. - Diritto alla riservatezza: gli psicologi sono tenuti a mantenere confidenziale qualsiasi informazione di natura privata e personale ottenuta durante lo studio e riguardante il partecipante. Quasi tutti gli studi di psicologia sono condotti da psicologi che lavorano presso college e università. 6 Vi sono anche i diritti di cui godono i partecipanti non umani: - Le procedure che coinvolgono animali devono essere sottoposte alla supervisione di psicologi con una specifica formazione nei metodi di ricerca ed esperienza nella cura degli animali da laboratorio. - Gli psicologi devono ridurre al minimo le possibilità che gli animali debbano soffrire disagi, infezioni, malattie e dolori. - Gli psicologi sono tenuti a eseguire le eventuali procedure chirurgiche mentre l’animale è sotto l’effetto di un’adeguata anestesia. I dati delle ricerche acquisite devono rispettare i principi etici e la verità2. CAPITOLO 4 / SENSAZIONE E PERCEZIONE Le ricerche sulla sensazione e sulla percezione sono basilari per gran parte della psicologia, e costituiscono una via fondamentale per arrivare a comprendere gli aspetti più complessi della cognizione e del comportamento, come la memoria, l’emozione, la motivazione e i processi decisionali. La sensazione è la semplice stimolazione di un organo di senso. È la fondamentale registrazione della luce, del suono, della pressione, dell’odore o del gusto, quando parti del nostro corpo interagiscono con il mondo fisico. Una volta che una sensazione è stata registrata dal sistema nervoso centrale, a livello cerebrale ha luogo la percezione, cioè l’organizzazione, identificazione e l’interpretazione di una sensazione in modo da formare una rappresentazione mentale. Il cervello è l’organo percettivo che trasforma le combinazioni di linee in una rappresentazione mentale coerente di parole e concetti. Sensazione e percezione sono eventi strettamente collegati, ma distinti. Tutti i sensi dipendono dal processo di trasduzione, che ha luogo quando i sensori corposi convengono i segnali fisici provenienti dall’ambiente in segni neurali codificati, i quali sono poi inviati al sistema nervoso centrale. Il colore non è altro che la nostra percezione delle differenti lunghezze d’onda nello spettro della luce visibile. Il rosso, il verde e il blu sono i colori primari della luce e la percezione dei colori dipende dalle differenti combinazioni dell’attività dei tre tipi fondamentali di coni che nella retina rispondono alle lunghezze d’onda corrispondenti ai tre colori primari. La percezione dei colori dipende in misura cruciale dalle condizioni di luminosità. Fissare un colore troppo a lungo affatica i coni che rispondono a quel colore, producendo una forma di adattamento sensoriale detta immagine postuma. I sistemi cromatici antagonisti sono sistemi costituiti da coppie di neuroni visivi che funzionano in maniera antagonista. Una delle funzioni più importanti svolte dalla visione consiste nella percezione della forma degli oggetti, che dipende dalla posizione e dall’orientamento dei margini di un oggetto. Alcuni neuroni generano potenziali d’azione quando viene percepito un oggetto in orientamento verticali, altri neuroni producono segnalo quando percepiscono un oggetto con orientamento orizzontale. Due vie funzionalmente distinte, dette vie visive, proiettano dalla corteccia occipitale alle aree visive situate in altre regioni del cervello. - La via ventrale (via inferiore) partendo dal lobo occipitale attraversa le regioni più basse del lobo temporale e comprende le aree del cervello coinvolte nel riconoscimento della forma e dell’identità di un oggetto. In altri termini, si tratta sostanzialmente di un sistema per individuare “il che cosa”. - La via dorsale (la via superiore) del lobo occipitale si dirige in alto, verso il lobo parietale collegandosi alle aree corticali che identificano la posizione e il movimento di un oggetto, ovvero “il dove” si trova. Essendo la via dorsale essenziale per guidare i movimenti sarebbe più corretto chiamarla non “via del dove” ma “via del come”. L'agnosia per la forma è l’incapacità di riconoscere gli oggetti mediante la vista. L'elaborazione in parallelo è la capacità del cervello di eseguire simultaneamente molteplici attività. Ma alla fine tutti i processi di elaborazione in parallelo di queste caratteristiche devono integrarsi e convergere nella percezione unitaria di un singolo oggetto. Il blinding problem (problema del legame) della percezione è il problema di come il cervello riesca a collegare tra loro le singole caratteristiche in modo tale che il nostro mondo visivo risulti composto da oggetti unitari, anziché da collezioni di caratteristiche mutevoli o combinate in modo errato. Le ricerche hanno portato alla scoperta di errori nella formazione di questi legami associativi, errori che svelano indizi importanti sul funzionamento di questi processi. Uno di questi errori viene indicato con il nome di congiunzione illusoria, un errore percettivo in cui il cervello combina in modo scorretto caratteristiche appartenenti in realtà a più oggetti. Per spiegare le congiunzioni illusorie, Anne Treisman e i suoi collaboratori hanno composto la teoria dell’integrazione delle caratteristiche, secondo la quale l’attenzione focalizzata non è necessaria per rivelare le singole caratteristiche che compongono uno stimolo - quali per esempio il colore, la forma, la grandezza e la posizione di lettere - ma lo è per legare insieme quelle singole caratteristiche (l’attenzione costituisce il “collante” necessario per legare insieme le singole caratteristiche). La formazione dei legami associativi sfrutta l’informazione relative alle caratteristiche, elaborata in strutture comprese nella via ventrale dell’informazione visiva, cioè la via del “che cosa”. Ma poiché la formazione dei legami associativi implica l’integrazione di caratteristiche elaborate da parti distinte della via visiva ventrale a seconda della specifica localizzazione spaziale, l’integrazione dipende in modo cruciale anche dalla via dorsale e da strutture comprese nel lobo parietale, ovvero dalla via del “dove”. Nel riconoscimento degli oggetti tramite la vista, alcuni studiosi sostengono la teoria detta della visione modulare, vale a dire l’esistenza di aree cerebrali, o moduli, specializzate nel riconoscere e rappresentare le facce o le case o persino le parti del corpo. Alla nostra percezione visiva contribuiscono non solo rilevatori delle caratteristiche elementari degli stimoli, ma anche “rilevatori dei volti”, “rilevatori degli edifici” … altri ricercatori sono invece favorevoli a una rappresentazione distribuita delle diverse categorie di oggetti. Secondo questa interpretazione, è il pattern dell’attività neurale in molteplici aree del cervello a identificare qualunque oggetto che viene visto, compresi i volti. Fondamentale è il principio della costanza percettiva: la percezione degli oggetti resta costante, anche quando gli aspetti dei segnali sensoriali cambiano. La percezione è sensibile ai cambiamenti degli stimoli, ma le costanze percettive ci permettono di notare soprattutto le differenze. Prima che entri in gioco il processo di riconoscimento di un oggetto, il sistema visivo deve organizzare in un’unica rappresentazione integrata dell’oggetto le parti dell’immagine che sono tra loro connesse. L'idea che tendiamo a percepire un oggetto come un’unica entità, anziché la somma delle parti separate, è il principio fondamentale della psicologia della Gestalt. Tra i più rilevanti principi della Gestalt vi sono le regole di organizzazione percettiva, che stabiliscono i criteri per l’integrazione delle caratteristiche elementari e delle parti degli oggetti. Alcune di queste sono: - Semplicità: il sistema visivo tende a scegliere l’interpretazione più semplice oppure la più probabile. - Chiusura: percepiamo i contorni interrotti da spazi vuoti come appartenenti a oggetti completi. 2 Empirismo, metodo scientifico, teoria, ipotesi, metodo empirico, definizione operativa, strumento di misura, validità, affidabilità, sensibilità, caratteristiche della domanda, osservazione naturalistica, osservazione in doppio cieco, correlazione naturale, correlazione spuria, tecnica dei campioni abbinati, tecnica delle coppie abbinate, problema della terza variabile, esperimento, manipolazione, variabile indipendente, gruppo sperimentale, gruppo di controllo, variabile dipendente, autoselezione, randomizzazione, consenso, debriefing 7 - Continuità: i margini o i contorni che hanno lo stesso orientamento possiedono quella che gli psicologi della Gestalt definivano una “buona continuazione”, perciò a livello percettivo tendiamo a raggrupparli insieme. - Somiglianza: aree che si somigliano per colore, luminosità, forma o tessitura della superficie vengono percepite come appartenenti allo stesso oggetto. - Vicinanza: oggetti che si trovano vicini, a livello percettivo tendono a raggrupparsi insieme. - Movimento comune: gli elementi di un’immagine visiva che si muovono insieme vengono percepiti come parto di un unico oggetto in movimento. L'organizzazione percettiva è un potente strumento per la nostra capacità di riconoscere gli oggetti attraverso la vista. Organizzare implica separare visivamente un oggetto da ciò che la circonda. Per usare i termini della Gestalt, significa distinguere una figura dallo sfondo in cui è inserita. Tuttavia, di solito i nostri sistemi di percezione focalizzano l’attenzione su alcuni oggetti separandoli dal resto dell’ambiente. Le dimensioni ci forniscono indizi su ciò che deve essere interpretato come figura e ciò che invece è sfondo: gli elementi più piccoli sono con ogni probabilità figure. Un altro passaggio di cruciale importanza verso il riconoscimento di un oggetto è l’attribuzione del contorno. Se il margine appartiene alla figura, esso serve a definire la forma dell’oggetto, mentre lo sfondo continua dietro. Ma volte non è facile distinguere le due cose. Lo psicologo danese Edgar Rubin si basò su questa ambiguità per sviluppare una famosa illusione ottica detta vaso di Rubin o, più in generale, relazione reversibile figura-sfondo. Sono stati proposti due tipi di generali teorie sul riconoscimento degli oggetti, l’uno basato sull’oggetto in quanto intero e l’altro sulle sue parti. - Le prime sono le teorie del riconoscimento degli oggetti in base all’immagine mentale, un oggetto visto in precedenza viene conservato nella memoria sotto forma di un template (stampa, sagoma), cioè una rappresentazione mentale che può essere confrontata direttamente con la forma di un oggetto nella sua immagine retinica. La memoria confronta i propri template con l’immagine retinica del momento e seleziona lo stampo che corrisponde più fedelmente all’immagine presente. - Le seconde sono le teorie del riconoscimento degli oggetti in base alle loro parti che propongono invece che il cervello decostruisca gli oggetti osservati, scomponendoli in un insieme di parti. Secondo questa teoria, il sistema per il riconoscimento degli oggetti non avrebbe bisogno di un template per ogni oggetto visto sotto ogni possibile angolazione; ciò consente di evitare alcuni aspetti controversi delle teorie del riconoscimento in base all’immagine mentale. La più importante limitazione di queste teorie è che spiegano il riconoscimento solo al livello della categoria e non del singolo oggetto. Gli oggetti del nostro mondo sono organizzati secondo tre dimensioni: lunghezza, larghezza e profondità. Nell'immagine retinica le dimensioni sono solo due: larghezza e lunghezza. Fondamentali sono gli indizi di profondità che cambiano mentre ci spostiamo nello spazio. Gli indizi monoculari di profondità sono gli elementi di una scena che forniscono informazioni sulla profondità quando sono osservati con un solo occhi. Il cervello sfrutta normalmente queste differenze di grandezza nell’immagine retinica, ovvero la grandezza relativa, per percepire la distanza. C'è poi anche la grandezza familiare. Esistono poi altri indizi monoculari di profondità (gli indizi monoculari sono spesso chiamati “indizi pittorici”, perché sono presenti anche nei dipinti, nelle fotografie e nei video bidimensionali): - La prospettiva lineare è una definizione che indica il fenomeno per cui le linee parallele sembrano convergere al crescere della distanza. - Il gradiente di tessitura si ha quando si osserva una superficie con un “pattern” più o meno uniforme (grandezza elementi pare diminuire gradualmente, man mano che la superficie si fa più lontana dall’osservatore). - La sovrapposizione si verifica quando un oggetto blocca in parte la vista di un altro (la nostra interferenza è che l’oggetto bloccante sia più vicino dell’oggetto bloccato). - L'altezza relativa nell’immagine dipende dal campo di visione. Gli oggetti più vicini si trovano più in basso nel campo visivo, mentre gli oggetti lontani sono più in alto. Informazioni sulla profondità ci sono fornite anche dalla disparità binoculare, ovvero la differenza tra le immagini retiniche dei due occhi che è fonte di informazioni sulla profondità. Il primo a studiare la disparità binoculare come indizio per la percezione della profondità fu Sir Charles Wheatstone nel 1838 (inventò lo stereoscopio). Quando si osservano due oggetti che proiettano immagine retiniche della stessa grandezza, l’oggetto che si percepisce come più lontano verrà percepito come più grande. Gli oggetti cambiano posizione nel tempo. Per percepire il movimento, il sistema visivo deve codificare informazioni riguardanti sia lo spazio che il tempo. Una regione nella parte mediale del lobo temporale, indicata come MT (middle temporal), è specializzata nella percezione visiva del movimento; un danno cerebrale in quest’area porta a un deficit nella normale percezione del movimento. La percezione del movimento, come la percezione del colore, si fonda in parte su processi antagonisti ed è soggetta all’adattamento sensoriale. La percezione del movimento in conseguenza di segnali intermittenti che appaiono in rapida successione in posizioni diverse è detta moto apparente. La tecnologia del video e le tecniche di animazione dipendono dal moto apparente. Il movimento implica il cambiamento di posizione di un oggetto nel tempo, ma gli oggetti del nostro mondo visivo possono cambiare anche per altri aspetti, che non implicano il movimento. Siamo spesso convinti di essere in grado di cogliere con facilità i cambiamenti nell’ambiente intorno a noi, ma non è così. Il fenomeno della cecità al cambiamento è un fenomeno che si verifica quando le persone non riescono a rilevare i cambiamenti nei particolari di una scena visiva. L'attenzione focalizzata è necessaria per rilevare i cambiamenti negli oggetti e nelle scene visive, ma è anche fondamentale nel fenomeno che è chiamato cecità da inattenzione, ovvero l’incapacità di percepire gli oggetti su cui non è focalizzata l’attenzione. UDITO Il senso dell’udito riguarda le onde sonore, ovvero le variazioni della pressione che si trasmettono attraverso l’aria in un certo arco di tempo. L'onda sonora è caratterizzata da tre dimensioni fisiche. La frequenza, l’ampiezza e la complessità di un’onda sonora determinano rispettivamente ciò che udiamo come il tono, il volume e il timbro di un suono. - La frequenza (si misura in herz / Hz) dipende da quante volte nell’unità di tempo il picco della compressione dell’aria colpisce l’orecchio o un microfono. Le variazioni nella frequenza fisica di un’onda sonora vengono percepite dagli esseri umani come variazioni di tono, cioè quanto acuto o grave è un suono. - L'ampiezza di un’onda sonora si riferisce alla sua altezza, in relazione alla soglia dell'udito umano (decibel o dB). L'ampiezza corrisponde al volume, o intensità del suono. - La differenza di complessità delle onde sonore, ovvero l'essere composte da più frequenze diverse, corrispondono al timbro, l’esperienza che chi ascolta fa della qualità del suono o risonanza. Il timbro ci fornisce informazioni sulla natura del suono. La maggioranza dei suoni consiste di onde sonore non di una sola frequenza, ma di molte frequenze differenti. - Il suono è la variazione nel tempo della pressione fisica esercitata da onde dell’aria. 8 La distanza tra i due orecchi ci consente di avere un udito stereofonico. Avere due orecchi ci aiuta a localizzare la sorgente del suono (la differenza fra i due tempi di ricezione unita alla differenza d’intensità ci consente d’individuare la sorgente di un suono). L'orecchio umano si divide in tre parti distinte. L'orecchio esterno raccoglie le onde sonore e le convoglia verso l’orecchio medio, che trasmette le vibrazioni all’orecchio interno, racchiuso nel cranio, dove queste vengono trasdotte in impulsi neurali. L'orecchio esterno comprende la parte visibile del sistema situato all’esterno della testa, il canale uditivo e il timpano. L'orecchio medio, un minuscolo spazio pieno d’aria situato dietro la membrana timpanica, contiene le tre ossa più piccole del nostro corpo, gli ossicini (martello, incudine e staffa- si combinano a formare una sorta di leva che trasmette meccanicamente, intensificandole, le vibrazioni della membrana timpanica all’orecchio interno. L'orecchio interno contiene la coclea, un canale pieno di liquido che è l’organo della trasduzione uditiva. Per tutta la sua lunghezza, la coclea è suddivisa in tre scale o rampe dalla membrana basilare, una struttura presente nell’orecchio interno che dà origine a ondulazioni in risposta alle vibrazioni trasmesse dagli ossicini al liquido cocleare. Il movimento ondulatorio di questa membrana stimola migliaia di minuscole cellule ciliate, recettori uditivi specializzati inseriti nella membrana basilare, che rilasciano molecole di neurotrasmettitori, le quali danno inizio a un segnale neurale cha attraverso il nervo acustico viene trasmesso al cervello. L'area A1 è quella porzione del lobo temporale contenente la corteccia uditiva primaria. Le aree uditive nell’emisfero sinistro analizzano i suoni relativi al linguaggio, mentre quelle nell’emisfero destro sono specializzate nei suoni ritmici e nella musica. Le caratteristiche spaziali degli stimoli uditivi, che ci consentono di localizzare nello spazio la sorgente di un suono, sono elaborate da aree situate nella porzione posteriore della corteccia uditiva. Le caratteristiche non spaziali, che ci consentono di identificare un suono, sono elaborate da aree nella porzione inferiore della corteccia uditiva. Nel nostro orecchio si sono evoluti due meccanismi principali per codificare le frequenze delle onde sonore: - Il codice di posizione, usato principalmente per le alte frequenze, è il processo con cui frequenze differenti sono codificate in base a posizioni differenti sulla membrana basilare. - Il codice temporale registra le frequenze relativamente basse tramite la frequenza di scarica dei potenziali d’azione che entrano nel nervo acuto. Le perdite uditive possono essere addebitate a due cause principali. - Le perdite uditive conduttive quando il timpano o gli ossicini hanno subito un danno tale da non riuscire più a trasmettere efficacemente alla coclea le onde sonore. - Le perdite uditive neurosensoriali sono causate da un danno alla coclea, alle cellule ciliate o al nervo acustico (un danno che colpisce la quasi totalità delle persone con l’avanzare dell’età). SENSI SOMATICI I sensi corporei, detti anche somatici (dal greco soma, ovvero corpo), sono invece del tutto intimi e personali. La percezione tattile scaturisce dall’esplorazione attiva dell’ambiente fatta toccando e afferrando gli oggetti con le mani. Il dolore è uno degli aspetti del tatto più importanti per la nostra sopravvivenza. L'insensibilità congenita al dolore è una rara malattia ereditaria in cui è specificatamente compromessa la percezione del dolore. Il riflesso di ritrazione da una fonte di dolore è coordinato dal midollo spinale. I segnali neurali per il dolore viaggiano verso due aree distinte del cervello ed evocano due esperienze psicologiche distinte. - Una via del dolore manda segnali alla corteccia somatosensoriale, identificando la localizzazione e il tipo di dolore. - La seconda via manda segnali ai centri cerebrali coinvolti nella motivazione e nelle emozioni, come l’ipotalamo e l’amigdala, e al lobo frontale. Il dolore riferito si verifica quando le informazioni sensoriali provenienti da aree interne ed esterne convergono sulle stesse cellule nervose del midollo spinale. Alcune ricerche hanno messo in evidenza che l’intensità del dolore soggettivo può variare da un gruppo etnico all’altro. Secondo la teoria del gate-control o teoria del cancello, i segnali che arrivano dai recettori del dolore presenti nel corpo possono essere fermati, o bloccati al “cancello d’ingresso", da interneuroni presenti nel midollo spinale tramite il feedback proveniente da due direzioni. Il feedback neurale proviene da una regione situata nel mesencefalo detta sostanza grigia periacqueduttale (PAG), che risponde all’azione delle sostanze oppiacee come la morfina. I recettori sensoriali inviano al cervello informazioni, come le sensazioni di dolore, in un processo denominato dagli studiosi della percezione controllo bottom-up, cioè controllo “dal basso verso l’alto”. Il cervello esercita un notevole controllo su ciò che percepiamo. Questo tipo di controllo top-down, o “dall’alto verso il basso”, spiega in che modo il cervello influenza l’esperienza del tatto e del dolore. Le sensazioni collegate alla posizione, al movimento e all’equilibrio dipendono da stimolazioni che si producono all’interno del nostro corpo. Recettori localizzati nei muscoli, nei tendini e nelle articolazioni segnalano la posizione del corpo nello spazio, mentre le informazioni sull’equilibrio e sul movimento della testa hanno origine nell’orecchio interno. I recettori sensoriali forniscono le informazioni che ci servono per percepire la posizione e il movimento degli arti, della testa e del corpo. Da questi recettori dipende anche il feedback che riguarda la corretta esecuzione del movimento desiderato, e come tale movimento sia influenzato dalle resistenze provenienti dall’oggetto che stiamo manipolando. Il mantenimento dell’equilibrio dipende in primo luogo dal sistema vestibolare, costituito dai tre canali semicircolari pieni di liquido e dagli organi ad essi adiacenti, situati nei pressi della coclea in ciascun orecchio interno. I canali semicircolari sono orientati in te direzioni fra loro perpendicolari e sono costellati di cellule ciliate, il cui ripiegamento genera impulsi nervosi nel nervo vestibolare, che li trasmette poi al cervello. SENSI CHIMICI: ODORATO E GUSTO Ci sono poi i sensi che hanno una base chimica, grazie alla quale abbiamo aspetti di distanza e di vicinanza. I sensi chimici dell’odorato e del gusto si combinano a produrre quell’esperienza percettiva che chiamiamo sapore. L'olfatto è l’unico ad avere connessioni dirette con il prosencefalo. L'odorato è in stretta relazione con le aree coinvolte nei comportamenti emozionali e sociali. Innumerevoli sostanze rilasciano odori nell’aria, e alcune delle loro molecole odorose, dette odoranti, arrivano fino al nostro naso, trasportate dall’aria che respiriamo. Nella parte superiore delle cavità nasali c’è una membrana mucosa detta epitelio olfattivo, che contiene all’incirca 10 milioni di recettori olfattivi (ORN), ovvero i neuroni da cui ha inizio il senso dell’odorato. Gruppi di ORN inviano i propri assoni dall’epitelio olfattivo al bulbo olfattivo, una struttura cerebrale situata sopra le cavità nasali e sotto i lobi frontali. Il bulbo olfattivo invia i propri segnali a vari centri del cervello, comprese le aree da cui dipende il controllo delle pulsioni primarie, delle emozioni e dei ricordi. Secondo l’approccio centrato sull'oggetto, l’informazione relativa all’” oggetto odore” viene rapidamente recuperata dalla memoria e innesca poi una risposta emozionale. Invece secondo l’approccio centrato sulla valenza, viene prima la risposta emozionale, che costituisce poi la base per determinare l’identità dell’odore. La percezione degli odori è guidata in primo luogo dalla memoria e poi dall’emozione. L'odorato può avere un ruolo importante anche nel comportamento sociale. Gli esseri umani e gli altri animali riescono a individuare gli odori dei feromoni, odoranti chimici emessi dagli altri membri della specie e capaci di influenzare il comportamento o la fisiologia dell’animale. La sensazione del gusto ci permette d’identificare le cose che possono farci male. Alcuni aspetti della percezione gustativa sono genetici. La lingua è ricoperta da migliaia di piccole protuberanze, dette papille, facilmente visibili a occhio nudo. All'interno di ogni papilla vi sono centinaia di calici gustativi che sono gli organi di trasduzione del gusto. La percezione del gusto diminuisce con l’età. Il sistema del gusto 9 contiene appena cinque tipi principali di recettori gustativi, che corrispondono alle cinque sensazioni gustative primarie: il salato, l’acido, l’amaro, il dolce e l’umami (saporito). Ogni calice gustativo contiene vari tipi di recettori che portano alla estremità apicale prolungamenti detti microvilli, i quali reagiscono con le molecole gustative presenti nei cibi3. CAPITOLO 5 / LA COSCIENZA La coscienza è l’esperienza soggettiva che una persona ha del mondo e della mente. Anche se si potrebbe considerare la coscienza come il semplice “essere svegli”, cio che meglio la definisce è l’esperienza, quella che facciamo quando siamo svegli ma anche quando stiamo avendo un sogno molto vivido. La nostra coscienza è un fatto totalmente provato, è un mondo di esperienze personali che solo noi possiamo conoscere. Nello studio della coscienza umana, gli psicologi sperano di poter includere anche la fenomenologia, ovvero come le cose appaiono alla persona cosciente, nella loro spiegazione della mente e del comportamento. Tra i misteri della coscienza più dibattuti due tra i più importanti sono: il problema della mente altrui e il problema mente/ corpo. - Uno dei grandi misteri è il problema della mente altrui, ovvero la nostra fondamentale difficoltà a percepire la coscienza delle altre persone. È ovvio che non c’è un modo chiaro per distinguere una persona cosciente da qualcuno che può fare e dire le stesse cose di una persona cosciente ma che non lo è. Ci manca la capacità di percepire in modo diretto la coscienza degli altri. Le persone giudicano la mente in base alla capacità di sentire (il dolore, il piacere, la fame, la rabbia, la paura...) e in base alla capacità di agire (come l’autocontrollo, la progettazione, la memoria e il pensiero). Noi riconosciamo che la mente fa esperienze e allo stesso tempo ci porta a compiere azioni. In definitiva, il problema della mente altrui è un problema che investe la psicologia in quanto scienza. Poiché le mente degli altri non sono osservabili, alla domanda del come la coscienza potesse essere oggetto di uno studio scientifico fu proposta una soluzione radicale dal comportamentismo: eliminare la coscienza dalla psicologia e seguire le altre scienze sul terreno dell’oggettività totale, rinunciando allo studio di tutto ciò che è mentale. - Nel trattare il problema mente/ corpo, ovvero la questione di come la mente è correlata al cervello e al corpo, il filosofo Cartesio (René Descartes 1596-1650) sosteneva che il corpo umano era una macchina fatta di materia fisica, e che la mente umana, o anima, fosse un’entità separata fatta di una “sostanza pesante”. Cartesio ipotizzò che la mente producesse i suoi effetti sul cervello e sul corpo attraverso l’epifisi (ghiandola pineale), una piccola struttura collocata vicino al centro del cervello. Oggi sappiamo che la connessione tra mente e cervello è estesa a ogni parte del cervello (“la mente è ciò che il cervello fa”). Cartesio era però nel giusto nel mettere in risalto la difficoltà di conciliare il corpo fisico con la mente. Un importante corpo di ricerche suggerisce che le attività del cervello precedono le attività della mente cosciente. Il cervello inizia a mostrare un’attività elettrica prima della decisione cosciente di compiere un’azione. Infatti, la sensazione di voler compiere coscientemente un’azione sarebbe il risultato e non la causa dell’attività cerebrale. Il cervello inizia a lavorare prima sia del pensiero sia dell’azione, preparando loro la strada. I ricercatori suggeriscono che la coscienza abbia quattro proprietà essenziali: intenzionalità, unità, selettività e transitorietà della coscienza. - La coscienza è sempre diretta verso un oggetto, una proprietà definita intenzionalità. La coscienza è sempre cosciente di qualcosa. A ogni dato istante l’oggetto della nostra coscienza è solo una piccola parte di tutto questo. - La coscienza è dotata di unità, che è la sua resistenza alla divisione, ovvero la sua capacità di integrare in un unico insieme corrente tutti gli input sensoriali provenienti da ogni parte del corpo. Raccogliendo una quantità enorme d’informazioni sul mondo che ci circonda, il nostro cervello integra tutto quanto nell’esperienza unitaria di una sola coscienza unificata. - La coscienza è dotata di selettività, ovvero la capacità di includere alcuni oggetti ed escluderne altri. Questa proprietà è illustrata dagli studi sull’ascolto dicotico, in cui i partecipanti odono, attraverso una cuffia, messaggi differenti presentati a ciascun orecchio. La coscienza filtra ed esclude parte dell’informazione. Il sistema cosciente tende a selezionare informazioni di speciale interesse per il soggetto (fenomeno del cocktail party, dove le persone si sintonizzano su un particolare messaggio, escludendone al tempo stesso altri pure se vicini). La selettività non è una proprietà esclusiva dello stato di veglia, è infatti presente anche durante il sonno. - La coscienza è dotata di transitorietà, vale a dire che ha la tendenza a cambiare. La coscienza è irrequieta e si agita di continuo. William James la descrisse come un “flusso”. Ed è possibile che una delle ragioni per cui il flusso di coscienza sia così mutevole stia nella capacità limitata della mente conscia. La coscienza può essere interpretata anche come costituita da più livelli: coscienza minima, piena e di sé. - La coscienza minima è il livello basilare di consapevolezza sensoriale e di responsività che si ha quando la mente incamera sensazioni e può generare un comportamento. Non è altro che la connessione tra la persona e il mondo. - La coscienza piena è l’essere consapevoli del proprio stato mentale e l’essere in grado di riferirlo. La coscienza piena implica non solo il pensare alle cose, ma anche il riflettere al fatto che si sta pensando alle cose; implica una certa coscienza di se stessi: la persona si percepisce in un particolare stato mentale. - La coscienza di sé è un distinto livello di coscienza in cui l’attenzione della persona è attratta dal sé in quanto oggetto. La coscienza di sé comporta una tendenza a valutare se stessi e rendersi conto dei propri difetti. La tendenza a essere cronicamente coscienti di sé è associata con la depressione. Molti animali di specie differenti sanno riconoscere la propria immagine allo specchio. Persino gli esseri umani non possiedono da subito questa capacità. Infatti, fino all’età di circa 18 mesi, i bambini non riescono a riconoscersi allo specchio. Per comprendere cosa c’è nella mente delle persone si può utilizzare un approccio più sistematico, la tecnica del campionamento dell’esperienza, in cui i partecipanti devono riferire le proprie esperienze coscienti in momenti particolari. Gli studi di campionamento dell’esperienza dimostrano che la coscienza è dominata dall’ambiente immediato, cioè da quello che cogliamo con la vista, l’udito, il tatto, il gusto e l’odorato. La coscienza si rivela in gran parte occupata, oltre che con tutti gli input provenienti dall’ambiente, anche con le preoccupazioni correnti, ovvero i pensieri su cui la persona torna ripetutamente. Le preoccupazioni correnti non sembrano così preoccupanti durante l'attività 3 Sensazione, percezione, traduzione, sistemi cromatici antagonisti, agnosia per la forma, elaborazione in parallelo, blinding problem o problema del legame, congiunzione illusoria, teoria dell’integrazione delle caratteristiche, costanza percettiva, template, indizi monoculari di profondità, disparità binoculare, moto apparente, cecità al cambiamento, cecità da inattenzione, tono, volume, timbro, coclea, membrana basilare, cellule ciliate, area A1, codice di posizione, codice temporale, percezione tattile, dolore riferito, teoria del gate-control o teoria del cancello, sistema vestibolare, recettori olfattivi, bulbo olfattivo, feromoni, calici gustativi. 10 fantastica (daydreaming), uno stato di coscienza in cui la mente è percorsa da un flusso di pensieri in apparenza privo di finalità. Infatti, il cervello è attivo anche quando non svolge alcun compito specifico e mostra una diffusa attivazione in molte aree - un insieme oggi chiamato rete di default (default network). Le aree del default network sono coinvolte nel pensiero riguardante la vita sociale, il sé, il passato e il futuro, ovvero tutti i “luoghi” in cui è solita bazzicare la mente che fantastica. Spesso le preoccupazioni ricorrenti possono prendere il sopravvento fino a diventare riflessioni ossessive e assillanti, per tale motivo si può esercitare un controllo mentale, ovvero il tentativo di cambiare gli stati coscienti della mente. Quando la nostra mente è invasa esercitiamo una soppressione del pensiero, cioè l’evitamento cosciente di un pensiero. Spesso tale tentativo non funziona. “L'effetto rebound” della soppressione del pensiero è infatti la tendenza di un pensiero a ripresentarsi alla coscienza con maggior frequenza in seguito alla sua soppressione, indica che il tentativo di controllare la mente può essere davvero difficile. È dimostrato che spesso cercare coscientemente di realizzare un compito può produrre l’esito contrario, questi effetti paradossali sono definiti in psicologia “processi ironici” (non pensare a un orso bianco). La teoria dei processi ironici del controllo mentale sostiene che questi errori si verificano perché a generarli è lo stesso processo mentale che supervisiona gli errori. Il monitoraggio “ironico” è un processo della mente che opera al di fuori della coscienza, e che ci rende sensibili a tutto ciò che non vogliamo pensare, sentire o fare, così che possiamo accorgerci e prendere contromisure per riguadagnare il controllo se queste cose ci tornano in mente. I processi ironici sono funzioni mentali necessarie per un controllo mentale efficace, ma a volte generano l’errore stesso che paiono avere lo scopo di superare. Questi effetti derivano da processi che avvengono al di fuori della coscienza. Molti processi mentali sono inconsci, nel senso che accadono senza che ne facciamo esperienza. Una delle prime teorie sull'inconscio fu quella di Sigmund Freud. La teoria psicoanalitica di Freud considerava il pensiero cosciente come la parte emersa, superficiale, di una mente molto più profonda costituita da processi inconsci, e al tempo stesso qualcosa che era molto più di un semplice insieme di processi nascosti. Freud postulò un inconscio dinamico, un sistema attivo che include i ricordi nascosti di una vita, i nostri istinti e i desideri più profondi, e la nostra lotta interiore per controllare queste forze. Secondo la teoria freudiana, l’inconscio è una forza da tenere sotto controllo per mezzo della rimozione, un processo mentale che rimuove dalla coscienza pensieri e ricordi inaccettabili e li mantiene nell’inconscio. Tramite la rimozione, questi desideri sono conservati nei recessi dell’inconscio dinamico. Freud cercò le prove della mente inconscia negli errori verbali e nei vuoti di coscienza, ovvero in quelli che oggi sono chiamati “lapsus freudiani”. Secondo Freud, questi errori non sono casuali e veicolano invece un surplus di significato, tanto da sembrare creati da una mente inconscia intelligente, anche se a livello cosciente li rinneghiamo. Molti degli errori dotati di significato che Freud attribuiva all’inconscio dinamico si sono rivelati non prevedibili, e sembrano piuttosto dipendere da intelligenti interpretazioni a posteriori che spesso possono essere sbagliate. Il libro di Freud, Psicopatologia della vita quotidiana (1901/1938), suggerisce non tanto che l’inconscio dinamico produce errori, ma che Freud fu un maestro nel trovare un significato per errori che altrimenti avrebbero potuto apparire casuali. La visione moderna vede la mente inconscia come un rapido processore automatico, che influenza tutti i nostri pensieri, sentimenti, comportamenti. L'inconscio cognitivo include tutti i processi mentali che noi non sperimentiamo ma che danno origine ai nostri pensieri, scelte, emozioni e comportamenti. Secondo la moderna visione cognitiva, possediamo due menti, entrambe inserite nel nostro piccolo cervello. Secondo la teoria dei processi duali, il nostro cervello è dotato di due sistemi distinti per l’elaborazione delle informazioni, uno dedicato all’elaborazione veloce, automatica, inconscia (sistema 1); l’altro dedicato all’elaborazione lenta, impegnativa, conscia (sistema 2). - Il primo sistema è al lavoro quando senza alcun sforzo svolgiamo attività come leggere le parole, risolvere problemi, camminare per strada e altri ostacoli. - Il secondo sistema viene usato quando razionalmente e intenzionalmente ci impegniamo a eseguire un compito come risolvere problemi o ordinare un pasto. Le teorie dei processi duali sono per certi aspetti in accordo con la visione freudiana della distinzione fra mente conscia e inconscia; tuttavia, non assumono tutte le idee di Freud sugli impulsi nascosti, i meccanismi di difesa e via discorrendo. Le teorie dei processi duali sono state chiamate in causa per spiegare il funzionamento di processi cognitivi diversi, come l’attenzione, l’apprendimento e la memoria. Un'indicazione del funzionamento dell’inconscio cognitivo (sistema) si ha quando i nostri pensieri o comportamenti sono modificati dall’esposizione a un’informazione estranea alla coscienza. Ciò si verifica nella percezione subliminale, quando il pensiero o il comportamento di una persona sono influenzati da stimoli che essa non è in grado di riferire a livello cosciente di stare percependo. Proprio come la percezione subliminale, un’esposizione fugace a particolari idee può influenzare le nostre azioni senza che ne siamo consapevoli. La mente inconscia può essere vista come un “servitore mentale”, che si assume il compito di spiegare tutte quelle faccende che sono fondamentali ma troppo tediose, struggenti o fastidiose, perché la coscienza ci si gingilli perdendo tempo. Freud attribuiva all’inconscio una grande intelligenza, convinto che fosse il ricettacolo di motivazioni complesse e conflitti interiori, e che li esprimesse attraverso una gamma impressionante di pensieri ed emozioni, e inoltre attraverso disturbi psicologici. Gli psicologi cognitivi di oggi dubitano che l’inconscio sia tanto intelligente, e sottolineano il fatto che certi processi inconsci sembrano pensieri alquanto “stupidi”. Vi sono casi, tuttavia, in cui la mente inconscia può prendere decisioni migliori di quella conscia. A volte le famose “decisioni di pancia” sono quelle di cui ci ritroviamo più soddisfatti. La coscienza dei sogni implica una trasformazione dell’esperienza così radicale che viene comunemente considerata uno stato alterato di coscienza, cioè una forma di esperienza che si discosta in modo significativo dalla normale esperienza soggettiva del mondo e della mente. Tali stati alterati possono essere accompagnati da cambiamenti del pensiero, da alterazioni della percezione del tempo, da sensazioni di perdita di controllo, da cambiamenti nell’espressione delle emozioni, da alterazioni nell’immagine del proprio corpo e nel senso del sé, da distorsioni percettive e da cambiamenti nel significato. La coscienza pre-sonno è chiamata stato ipnagogico. Delle volte può capitare di uno spasmo ipnico, un sussulto improvviso o la sensazione di cadere nel vuoto. Dopo lo stato ipnagogico la mente cessa del tutto di far sentire la sua presenza e mentre è priva di coscienza arrivano i sogni, interi scenari di una coscienza vivida e surreale che non compaiono durante il giorno, un complesso di esperienze che si dispiegano nonostante il bizzarro prerequisito che non c’è nulla “là fuori” che stiamo davvero sperimentando. La sequenza di eventi che si verifica durante una notte di sonno costituisce uno dei più importanti ritmi circadiani della vita umana, il ciclo sonno-veglia. Un ritmo circadiano è un ciclo di 24 ore che si verifica naturalmente. Il ciclo del sonno è tuttavia molto più di una semplice routine acceso/spento, poiché questo ritmo legato al flusso e riflusso di molti processi fisiologici e psicologici. Nello stato di veglia le variazioni consistevano nell’alternanza tra un’attività ad alta frequenza (onde beta) durante lo stato di allerta e un’attività a frequenza inferiore (onde alfa) durante il rilassamento. Nella prima fase, l’EEG si sposta su onde con frequenza ancora più bassa delle onde alfa (onde theta). Nella seconda fase del sonno, questi pattern sono interrotti da brevi raffiche di attività chiamate fusi del sonno e complessi K (aumentano le difficoltà a svegliare la persona dormiente). La 3° e 4° fase sono gli stadi più profondi del sonno, detti sonno a onde lente, in cui i tracciati dell’EEG manifestano un’attività conosciuta come onde delta. La quinta fase, il sonno REM è una fase del sonno caratterizzata da movimenti oculari rapidi e da un livello elevato di attività cerebrale. 11 L'elettroculografo (EOG) è un apparecchio per misurare i movimenti oculari. Tramite questo apparecchio, i ricercatori hanno scoperto che le persone svegliate nelle fasi REM riferivano di sognare molto più spesso di quelle risvegliate nelle fasi non-REM. Le ricerche degli studiosi del sonno Dement e Kleitman dimostrarono che l’attività onirica avviene in “tempo reale” (sonno REM). Non tutti i sogni avvengono nelle fasi REM, alcuni si verificano anche in altri stadi del sonno, ma in numero minore. Ogni 90 minuti circa e per tutta la notte, continuano a succedersi cicli in cui si alternano la fase REM e gli stadi a onde lente. Dormire dopo un apprendimento appare essenziale per consolidare la memoria. Il sonno è un vero e proprio bisogno, la cui assenza può portare a problemi di memoria, a un eccesso di aggressività e tanto altro. Tra i disturbi che rovinano il sonno vi sono l’insonnia, l’apnea del sonno e il sonnambulismo. - Il più comune è l’insonnia, ovvero la difficoltà ad addormentarsi o a rimanere addormentati. Spesso è il risultato di uno stile di vita o una risposta alla depressione, all’ansia o ad altre condizioni. - L'apnea del sonno è un disturbo in cui la persona smette di respirare per brevi periodi durante il sonno (in genere si russa, poiché l’apnea implica un’ostruzione involontaria delle vie respiratorie). - Il sonnambulismo si verifica quando una persona si alza dal letto e si mette a camminare mentre è addormentata. - La narcolessia è un disturbo in cui improvvisi attacchi di sonno assalgono il soggetto in stato di veglia e nel bel mezzo di attività. - La paralisi del sonno è l’esperienza di svegliarsi incapaci di muoversi ed è talvolta associata alla narcolessia (dura solo pochi secondi o minuti e può essere accompagnato da allucinazioni ipnopompiche - quando ci si risveglia - o ipnagogiche - quando ci si addormenta). - I terrori notturni sono bruschi risvegli segnati da panico e da un’intensa eccitazione emozionale. I sogni si discostano in modo clamoroso dalla realtà. Cinque principali caratteristiche distinguono la coscienza onirica dalla coscienza dello stato di veglia: 1. Sentiamo le emozioni intensamente. 2. Il pensiero onirico è illogico: non vale la continuità di tempo, di spazio e della persona. 3. La sensazione è pienamente formata e dotata di significato (quella visiva è predominante poi subentrano suoni, tatto e movimento). 4. Accettazione acritica, come se le immagini e gli eventi fossero perfettamente normali, anziché bizzarri. 5. Difficoltà di ricordare il sogno dopo che è finito. I sogni sono spesso banali e molte volte riflettono le esperienze vissute nello stato di veglia, ovvero i “residui della giornata”. I sogni spesso consistono in “frammenti di esperienza fra loro intercalati” relativi a luoghi e tempi diversi, che la mente cuce insieme in un’unica storia. Fra i sogni più mem

Use Quizgecko on...
Browser
Browser