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PSICOLOGIA GENERALE Riassunto 1 2 3 4 1.1 Psicologia: ABC del comportamento La parola psicologia è nata migliaia di anni fa e ha un’origine greca (psyche significa “anima” e logos significa “studio o discorso”). Ma poiché l’anima non è qualcosa di concreto e non può essere studi...

PSICOLOGIA GENERALE Riassunto 1 2 3 4 1.1 Psicologia: ABC del comportamento La parola psicologia è nata migliaia di anni fa e ha un’origine greca (psyche significa “anima” e logos significa “studio o discorso”). Ma poiché l’anima non è qualcosa di concreto e non può essere studiata direttamente, la à psicologia si occupa dello studio scientifico del comportamento e dei processi mentali. Per à comportamento s’intende qualsiasi tipo di azione. Tuttavia, gli psicologi, oltre ai comportamenti direttamente osservabili studiano anche i comportamenti non direttamente osservabili ossia i processi mentali (pensiero, sogno, ricordo e altre esperienze). Si può affermare quindi che la psicologia studia comportamenti diversi. Oggi la psicologia è una disciplina scientifica e una professione che ricopre vari ambiti quali ad esempio formazione, salute mentale, istruzione, affari, sport, giurisprudenza e medicina. 1.2 Breve storia della psicologia: le diverse correnti di ricerca Sebbene il comportamento sia oggetto di osservazioni e riflessioni da migliaia di anni, la psicologia nasce come scienza solo circa 140 anni fa a Lipsia, in Germania, grazie a Willhem Wundt che, nel 1879 creò il primo laboratorio scientifico per studiare l’esperienza conscia. All’interno di questo laboratorio, Wundt osservò in modo sistematico e misurò stimoli di diverso tipo. Uno à stimolo è un qualunque tipo di energia fisica che eserciti un condizionamento su una persona e determini una risposta. Lo studioso si serviva dell’ à introspezione sistematica ossia una tecnica di auto-osservazione e di descrizione minuziosa di ciò che il soggetto prova e percepisce quando posto davanti a stimoli diversi. Insistendo sull’osservazione sistematica e sulla misurazione, si pose alcuni interessanti interrogativi e diede un forte impulso alla psicologia. 1.2.1 Strutturalismo Edward Tichener diffuse alcune idee di Wundt negli Stati Uniti fondando una corrente detta à strutturalismo che cercò di analizzare gli “elementi” di base o “blocchi costitutivi” della psiche (affetti, percezioni, concetti ecc..) e l’interrelazione fra questi nella percezione e nell’esperienza conscia. Gli strutturalisti si servivano del à metodo introspettivo in cui l’osservatore doveva descrivere solamente ciò che notava attraverso la propria percezione, o ciò che avveniva nella propria mente, senza utilizzare inferenze logiche e concetti culturalmente condivisi, ed esporre verbalmente il proprio vissuto. Tuttavia, l’introspezione si dimostrò uno strumento poco adatto a rispondere alla maggior parte degli interrogativi perché, per quanto sistematiche fossero le osservazioni, gli strutturalisti stessi spesso dissentivano e quando ciò accadeva, non vi era modo di risolvere le controversie. 1.2.2 Funzionalismo Col termine à Funzionalismo s’intende quella branca di studi condotta da William James circa le modalità di funzionamento della mente che ci consentono di adattarci all’ambiente. A differenza degli strutturalisti che consideravano la coscienza come un insieme di elementi costitutivi statici, i 5 funzionalisti la consideravano una corrente o flusso di immagini e sensazioni in continuo mutamento. Ecco perché i funzionalisti si rifacevano alle teorie proposte da Charles Darwin il quale spiegò l’evoluzione delle creature viventi in termini di necessità di sopravvivenza. Il principio darwiniano della à selezione naturale infatti consiste nel rintracciare quelle caratteristiche fisiche che favoriscono l’adattamento degli animali all’ambiente e che vengono conservate durante il processo evolutivo. Analogamente, i funzionalisti intendevano scoprire in che modo l’ambiente, la percezione, le abitudini e le emozioni ci aiutano ad adattarci e a sopravvivere. I principali risvolti del funzionalismo sono stati la psicologia scolastica e l’apprendimento (in quanto questo sviluppa la nostra capacità di adattamento), determinando anche la nascita della psicologia del lavoro ovvero lo studio delle relazioni fra persone e ambiente di lavoro, e delle organizzazioni. 1.2.3 Comportamentismo Il funzionalismo e lo strutturalismo furono ben presto messi in discussione dal à comportamentismo ovvero quell’approccio della psicologia il cui oggetto di studio è il comportamento osservabile. Tale approccio contribuì a fare della psicologia una scienza sperimentale e a non considerarla più filosofica, in quanto, secondo John B. Watson, il metodo dell’introspezione sistematica usato finora non rispecchiava i parametri scientifici poiché non consentiva di risolvere le controversie tra gli osservatori. Nel comportamentismo infatti, le osservazioni diventano oggettive: si trattava semplicemente di osservare la relazione tra gli stimoli (eventi dell’ambiente) e le risposte di un animale (qualunque movimento, attività endocrina o altri comportamenti identificabili). Per spiegare questa relazione, Watson adottò presto il concetto di condizionamento formulato dal fisiologo russo Ivan Pavlov secondo cui una risposta condizionata è una reazione appresa a uno stimolo particolare. Comportamentismo radicale Il comportamentista più noto, B.F. Skinner sosteneva che le nostre azioni sono condizionate dalla ricompensa e dalla punizione. Per studiare l’apprendimento, infatti, Skinner creò la famosa “gabbia di Skinner” in cui forniva degli stimoli agli animali e registrava le loro risposte, spostando successivamente gli studi sugli esseri umani. Skinner, infatti, pensava che i processi mentali quali il pensiero, non potessero essere indagati in quanto interni e dunque non osservabili come il comportamento. 1.2.4 Cognitivismo I comportamentisti radicali sono stati criticati per aver ignorato il ruolo fondamentale che il pensiero svolge nella nostra esistenza. Negli anni Quaranta, infatti, cominciarono a nascere dubbi sul riduzionismo che il comportamentismo apportava rispetto ad alcuni problemi centrali della psicologia, come ad esempio lo sviluppo linguistico. Miller e Bradbent diedero l’impulso per lo sviluppo di un nuovo modello conoscitivo incentrato sullo studio dei processi del funzionamento della mente: per à cognitivismo, infatti, s’intende quella corrente di ricerca che associa la cognizione al condizionamento per spiegare il comportamento e che 6 ha come obiettivo lo studio dei processi mediante i quali le informazioni vengono acquisite dal sistema cognitivo, trasformate, elaborate, archiviate e recuperate. Occorre ricordare che ai comportamentisti dobbiamo molto di quanto sappiamo su apprendimento, condizionamento e uso adeguato di ricompensa e punizione. D’altra parte, però, la percezione, l’apprendimento, la risoluzione dei problemi, la memoria, l’attenzione, il linguaggio e le emozioni sono processi mentali studiati dall’approccio cognitivista che si basa su due à principali paradigmi: a. computazionale-simbolico HIP (Human Information Processing) proposto da Craig (anni Trenta), paragona il funzionamento della mente a quello di un computer che controlla ed elabora le informazioni provenienti dall’esterno (input), crea una rappresentazione interna della conoscenza (processing) e fornisce delle risposte attraverso le azioni (output); b. connessionsita sviluppatosi negli anni Ottanta, critica l’analogia della mente al computer e propone, in alternativa, un’architettura orizzontale del sistema: tanti neuroni lenti strettamente interconessi fra loro che compiono operazioni in parallelo. 1.2.5 Psicologia della Gestalt La nascita della psicologia della Gestalt è in genere data nel 1912, anno di pubblicazione dello studio di Wertheimer sul movimento apparente, ovvero quella percezione fenomenica di movimento, in assenza di movimento fisico. Oltre a Max Wertheimer anche Kurt Koffka e Wolfgang Köhler sono stati i principali fautori di questo movimento di ricerca il cui sunto di base era “Il tutto è qualcosa di più della somma delle sue parti”. La parola tedesca Gestalt infatti significa proprio “forma, modello o insieme”. La à Gestalt contribuì a sviluppare indagini e modelli teorici sul pensiero, la memoria, l’apprendimento e la percezione come unità globali, non dividendo le esperienze nei suoi costituenti principali. Il modello teorico gestaltico infatti, si oppose a quello comportamentista proponendo un criterio di spiegazione formato dalla comprensione e dell’intuizione. Di forte interesse è il dibattito tra comportamentisti e gestaltici circa alcuni fenomeni della psicologia sociale: se da una parte i comportamentisti spiegavano il comportamento sociale solo in base alle gratificazioni sociali, quali l’elogio e l’approvazione, i gestaltici proposero teorie che mettevano in luce l’importanza delle percezioni, degli obiettivi, delle intenzioni e delle motivazioni. Anche le teorie della personalità sono state influenzate dall’approccio gestaltico. Secondo la teoria del campo di Kurt Lewin, infatti, il comportamento di un individuo dipende da fattori interdipendenti legati all’ambiente e alle sue caratteristiche di personalità. Tuttavia, ad oggi, questo approccio sembra essersi affermato principalmente sugli studi della percezione, in quanto, a causa del metodo sperimentale e degli approcci psicometrici proposti dal cognitivismo, il modello di teoria della mente gestaltico si è dimostrato meno euristico. Per concludere, dalla psicologia della Gestalt, ha avuto origine un tipo di psicoterapia umanistico- esistenziale, in cui l’attenzione è posta sull’interazione continua tra individuo e ambiente, organizzando le idee tradizionali della psicoterapia freudiana, junghiana e richiana, nonché i principi della teoria del campo di Lewin, i contributi filosofici dell’esistenzialismo, della fenomenologia e della psicologia della Gestalt. 7 1.2.6 Psicoanalisi e psicologia dinamica Nel momento in cui la psicologia americana acquisiva una maggiore scientificità, un medico austriaco, Sigmund Freud, stava formulando delle idee radicalmente diverse che aprivano nuovi orizzonti all’interpretazione di arte, letteratura, storia, oltre naturalmente alla psicologia stessa. Freud considerava la vita mentale una sorta di iceberg di cui solo una piccola parte risulta osservabile e cosciente. La parte della mente che sfugge alla consapevolezza personale fu definita da Freud à inconscio e sono proprio i pensieri, gli impulsi e i desideri inconsci a influenzare il nostro comportamento. Nel corso delle sue successive formulazioni teoriche, Freud chiarì che tali desideri e impulsi sono generati da tre tipologie di conflitto: a. il conflitto tra principio di piacere e di realtà, cioè la necessità di soddisfare il piacere personale e il necessario confronto con la realtà esterna; b. il conflitto tra pulsione sessuale (libido) e pulsione di autoconservazione; c. il conflitto tra pulsione di vita e pulsione di morte. Secondo Freud, molti pensieri subiscono un processo inconscio detto à rimozione, vengono cioè allontanati dalla coscienza perché minacciosi, ma talvolta riemergono sotto forma di sogni, atti mancanti, lapsus e sintomi vari. Pensieri, emozioni e azioni sono, secondo Freud, tutti motivati e determinati: niente è casuale perché, analizzando a fondo, è possibile trovare le ragioni di ogni pensiero o azione. Freud fu uno dei primi a sostenere à l’importanza dell’infanzia, che condiziona la personalità dell’adulto. Ma è soprattutto noto come il “padre della psicoanalisi”, ovvero la prima psicoterapia fondata sull’interpretazione. I focus della à psicoterapia psicodinamica risultano essere: a. gli affetti e le espressioni delle emozioni; b. l’esplorazione dei tentativi di gestione dei pensieri e delle emozioni disturbanti; c. l’identificazione dei temi ricorrenti; d. la discussione dell’esperienza passata dal punto di vista dello sviluppo; e. le relazioni interpersonali; f. la relazione terapeutica (transfert e controtranfert); g. l’esplorazione delle fantasie e della vita immaginativa. Le teorie freudiane furono riviste dai suoi allievi, i cosiddetti neofreudian che non molto tempo dopo iniziarono ad esprimere nuove teorie. I à neofreudiani accettarono la maggior parte del pensiero freudiano rivisitandone alcune parti. Ad esempio, molti non ritennero così importanti le pulsioni e la libido, spostando l’accento sulla comprensione delle dinamiche degli investimenti oggettuali e della loro articolazione nelle relazioni interpersonali. Tra i neofreudiani più noti vi sono Alfred Adler, Carl Gustav Jung, Anna Freud e altri. Ad oggi le idee di Freud hanno subito tante modificazioni e cambiamenti che sono davvero pochi gli psicologi che possono essere considerati psicoanalitici. Tuttavia, il lascito è ancora evidente nelle varie teorie psicodinamiche che continuano a porre l’accento su motivazioni, conflitti e pulsioni inconsce. 8 1.2.7 Psicologia umanistica La à psicologia umanistica è un approccio che pone l’accento sull’esperienza umana soggettiva, caratterizzata dal bisogno di conoscersi, esprimersi e autorealizzarsi. Gli psicologi umanistici sono interessati a potenzialità, ideali e difficoltà nel raggiungimento di questi. La nascita della psicologia umanistica si ha grazie a Carl Rogers e Abraham Maslow che, assieme ad altri psicologi, rifiutavano l’idea freudiana e dissentivano anche dai comportamentisti. Entrambe le visioni, ai loro occhi, erano meccanicistiche e deterministiche, ossia fondate sull’idea che il comportamento sia governato da forze che si sottraggono al nostro controllo. Gli psicologi umanistici, infatti, pongo l’attenzione sul libero arbitrio ovvero quella capacità di operare delle scelte volontarie. Anche se riconoscono le esperienze passate in quanto condizionanti, gli psicologi umanistici ritengono che le persone siano libere di scegliere di vivere delle esistenze creative, significative e soddisfacenti, ponendo l’interesse sui bisogni psicologici di amore, autostima, appartenenza, espressione di sé, creatività e spiritualità. Per quanto riguarda il metodo, bisogna dire che inizialmente gli psicologi umanistici erano meno interessati a considerare la psicologia come una scienza e ponevano infatti l’accento sui fattori soggettivi come: a. immagine di sé: percezione che abbiamo del nostro corpo, della nostra personalità e delle nostre capacità; b. valorizzazione di sé: indica la considerazione positiva o negativa di sé stessi; c. schema di riferimento: è una prospettiva mentale utilizzata per interpretare gli eventi. Tuttavia, oggi gli psicologi umanistici cercano di comprendere, anche attraverso la ricerca scientifica, in che modo percepiamo noi stessi e sperimentiamo il mondo. La nozione di à autorealizzazione di Maslow è un aspetto fondamentale della psicologia umanistica. Autorealizzarsi significa attuare lo sviluppo complessivo delle proprie potenzialità per diventare una persona migliore possibile. Gli psicologi umanistici, quindi, ritengono che ogni individuo possieda questo potenziale e spetta proprio agli psicologi trovare il modo per farlo emergere. 1.3 Breve storia della psicologia italiana È sempre difficile stabilire la data d’inizio di un movimento, di una corrente o di una disciplina scientifica. Per la psicologia, si può stabilire che l’avvento dello “studio della mente” in termini scientifici si ha grazie a Wundt nel 1879 a causa del suo laboratorio di osservazione sperimentale a Lipsia. Analogamente, per la psicologia italiana, si può assumere come data d’inizio il 1903 grazie al laboratorio di Francesco De Sarlo. Tuttavia, non si può ascrivere l’avvento di una disciplina scientifica ad una sola persona, infatti per quanto riguarda la psicologia italiana si può assumere che Roberto Ardigò, Giuseppe Sergi, Gabriele Buccola, Cesare Lomboro e Sante De Sanctis presero parte alla diffusione della psicologia empirica italiana. I contributi di questi studiosi si collocavano nel solco di un’impostazione à positivista che sosteneva un abbandono della speculazione filosofica sulla scienza: l’unico metodo che doveva essere impiegato per comprendere i meccanismi e i processi psichici era quello fondato sull’osservazione e 9 sullo studio controllato e scientifico dei fenomeni. Tale concetto venne definito dallo stesso Ardigò col termine “metodo positivista” in quanto egli fu tra i primi ad usare la verifica sperimentale delle ipotesi mediante l’analisi statistica, affiancando Sergi che si rivolgeva principalmente ai correlati fisiologici dei fenomeni psichici. Un’altra data importante risale al 1905 in cui fu affidato agli psicologi italiani l’organizzazione del V Congresso Internazionale di Psicologia, a Roma e nello stesso anno si vide la pubblicazione della “Rivista di Psicologia applicata alla Pedagogia e alla Psicopatologia”. Una volta consolidata sul territorio nostrano, nel 1910 si ha la nascita della Società Italiana di Psicologia. Attraverso le numerose attività di ricerca di De Sanctis emerge Maria Montessori, una delle prime donne laureate in medicina, pedagogista di fama internazionale, che utilizzò il metodo empirico nello studio dell’educazione del bambino e nella ideazione di nuovi ambienti e percorsi scolastici. Nel 1922 si formò un’altra cattedra di Psicologia sperimentale a Padova, tenuta da Vittorio Benussi. Qualche anno dopo il triestino Gaetano Kanizsa compì importanti studi di psicologia della percezione ad orientamento gestaltista. Il triangolo che prende il suo nome (triangolo di Kanisza) del 1955 è una delle illusioni più note della psicologia: nella figura emerge un triangolo in primo piano grazie al completamento di cerchi sottostanti. Dopo le prime due decadi del Novecento, la psicologia subì, se non proprio un arresto, un rallentamento considerevoli. Fino al 1950 la psicologia italiana per una serie di motivi culturali e politivi non ebbe uno sviluppo simile a quello verificatosi in altri paesi europei, nonostante la presenza di molti psicologi di rilievo. La spiegazione di questo rallentamento delucidato da Mecacci può essere attribuita al clima filosofico-culurale che vide l’affermarsi del pensiero neo-idealista che svalutava il contributo della psicologia empirica. Durante il periodo fascista, la disciplina, infatti, rimase relativamente isolata dalle scuole internazionali e dalla ricerca, com’è dimostrato dal comportamentismo che non è stato preso in considerazione se non dopo la seconda guerra mondiale a differenza degli altri paesi in cui vi era un fiorire di ricerche sul condizionamento classico e operante mediante il paradigma comportamentale stimolo-risposta. La ricostruzione e il rilancio della disciplina si hanno solo dopo la fondazione della Repubblica Italiana del 1946 in cui Gemelli e Musatti cercarono di portare avanti assieme ai loro studenti e ad altri psicologi il rilancio della psicologia scientifica, ponendo poi le basi per la psicologia dello sviluppo, sociale e del lavoro, oltre che psicologia clinica, psicoterapia e psicoanalisi. Concludendo questo breve excursus sulla psicologia italiana, bisogna dire che un’altra data importante è l’anno accademico 1971-1972 in cui l’Italia vide i primi due corsi di laurea in psicologia, rispettivamente a Roma e a Padova. In seguito, si assisterà ad una serie di corsi di psicologia, arrivando all’impostazione di un albo professionale degli psicologi e degli psicoterapeuti per regolarne la professione che, a luce di un serio ed interminabile dibattito, venne approvato nel 1989. Nel 1992 fu fondata l’Associazione Italiana di Psicologia (AIP) che è il punto di riferimento nazionale per gli psicologi che lavorano nelle Università e negli Enti di Ricerca il cui fine principale è la promozione dell’attività di ricerca, lo sviluppo del dibattito scientifico-culturale tra psicologi, la collaborazione con gli organi istituzionali. 10 L’AIP comprende cinque sezioni: - Sperimentale - Sviluppo - Clinica - Sociale - Organizzazioni che rappresentano le aree tematiche in cui si esplica la conoscenza psicologica. 1.4 Prospettive complementari sul comportamento Inizialmente la fedeltà verso una determinata scuola di pensiero era strenua e gli scontri erano costanti, quasi all’ordine del giorno. Ad oggi lo strutturalismo ed altri sistemi vecchi sono quasi scomparsi e gli indirizzi come il funzionalismo e la Gestalt si sono ampliati a più orizzonti. Sebbene la fedeltà verso una determinata scuola di pensiero e le relative specializzazioni siano ancora un fenomeno diffuso, la maggior parte degli psicologi assume un approccio eclettico ossia un approccio che integra prospettive diverse tra cui: prospettiva biologica, prospettiva psicologica e prospettiva socioculturale. 1.4.1 Prospettiva biologica La prospettiva biologica cerca di spiegare il comportamento basandosi sui principi biologici e sulle recenti tecniche di neuroimaging. I neuropsicologi, infatti, riescono a comprendere meglio le correlazioni e i collegamenti che sussistono tra attività cerebrale in termini di impulsi elettrochimici e pensiero. Chi è fidelizzato verso questa prospettiva, oltre ai neuropsicologi, sono gli psicologi evoluzionistici che cercano di spiegare il comportamento umano in termini di dotazioni genetiche. 1.4.2 Prospettiva psicologica La prospettiva psicologica si basa sulla convinzione secondo cui il comportamento si basa su processi psicologici relativi ad ogni essere umano. A rifarsi a questa prospettiva, oltre al comportamentismo vi è il cognitivismo che assume quanto alcuni pensieri siano determinati il comportamento umano. Gli psicologi cognitivi e altri studiosi interessati ai processi cognitivi, come ad esempio informatici e linguisti, costituiscono l’area delle scienze cognitive riappropriandosi della coscienza a differenza della psicoanalisi freudiana che continua ad evolvere in un a visione psicodinamica più ampia. Alcune visioni ed idee di Freud vengono messe in discussione portando gli psicologi dinamici a formulare diverse teorie specialmente nell’ambito clinico: psicologia dell’io (Freud), psicologia delle relazioni oggettuali (Klein), psicologia del Sé (Kohut) e la teoria dell’attaccamento (Bowlby). Anche la visione umanistica si fonda su numerose teorie prettamente psicologiche ponendo l’accento sull’esperienza soggettiva e conscia, tenendo all’armonizzazione e alla realizzazione delle proprie parti del Sé. 11 Psicologia positiva Ispirati dagli umanisti, sempre più psicologi si sono interrogati sull’amore, sulla felicità, creatività, benessere e fiducia in Sé; dando vita, nel loro insieme, alla à psicologia positiva che studia l’energia, le risorse e il comportamento adeguato dell’individuo e stipulando teorie sulle strategie di coping, l’autostima e l’autorealizzazione. 1.4.3 Prospettiva socioculturale La prospettiva socioculturale pone l’accento sull’impatto che il contesto sociale e culturale hanno sul comportamento: la maggior parte delle cose che pensiamo, sentiamo e facciamo è influenzata in un modo o in un altro dai mondi sociali e culturali in cui viviamo. Per à relatività culturale infatti s’intende quell’approccio per cui il comportamento deve essere giudicato in rapporto ai valori della cultura di appartenenza. Tale approccio può influenzare molto la diagnosi e la cura di molte malattie mentali, e proprio per questo, gli psicologi, per essere efficaci, devono essere sensibili alla diversità etnica e culturale delle persone con le quali si confrontano. Non solo, vanno sempre considerate le cosiddette differenze individuali. 1.5 Ricerca in psicologia Inizialmente gli psicologi credevano che solamente l’individuo fosse in grado di conoscere se stesso ben meglio rispetto a chiunque altro. Ecco perché il metodo primariamente usato è stato quello dell’ à introspezione: un meccanismo di analisi e di rielaborazione dei pensieri, emozioni e sensazioni da parte dello stesso individuo. Tuttavia, questo approccio, oltre alla scarsissima attendibilità scientifica, è vittima di numerose tendenze sistematiche che hanno costretto gli psicologi stessi ad abbandonarlo, focalizzando la loro attenzione sull’osservazione scientifica che innanzitutto vede la distinzione tra: - comportamento manifesto: qualsiasi azione (in senso letterale) - comportamento non direttamente osservabile: tutti i processi mentali (pensieri, credenze, ricordi, sogni ecc..) e che si differenzia per essere sistematica e intersoggetiva. In altre parole, è un’osservazione pianificata che coinvolge più osservatori. Per pensare la psicologia in modo critico e scientifico, bisogna iniziare dalla registrazione sistematica di fatti ed eventi. Solo così è possibile raccogliere dati affidabili. Il progresso della psicologia, infatti, dipende dallo sviluppo di adeguati metodi di ricerca ovvero di approcci scientifici idonei a rispondere a specifiche domande e che si distinguono dal senso comune che spesso: si riferisce a convinzioni vaghe ed imprevedibili, funziona bene solo a posteriori e si basa su osservazioni limitate e casuali. 12 1.5.1 Il metodo scientifico Il metodo scientifico è un processo fondato sulla raccolta attenta delle prove attraverso descrizioni e misurazioni precise, sulla ricerca di leggi di carattere generale attraverso osservazioni controlalte e risultati ripetibili. Nella sua forma generale è costituito da sei tappe: a. Effettuare delle osservazioni Effettuare le osservazioni circa il fenomeno che si vuole studiare; b. Definire un problema Capire bene qual è il problema a seguito delle osservazioni precedenti; c. Proporre un’ipotesi Per à ipotesi s’intende un’affermazione o una spiegazione provvisoria di un evento o un rapporto. In altre parole, essa costituisce un’intuizione verificabile o una congettura ragionevole sul comportamento. Le domande teoriche vengono trasformate in ipotesi verificabili tramite definizioni operative che stabiliscono i procedimenti usati per rappresentare un concetto. d. Raccogliere le prove e verificare l’ipotesi Sulla base delle definizioni operative e sui conseguenti risultati ottenuti, si confrontano quest’ultimi con le ipotesi di partenza al fine di verificarle o rifiutarle. e. Costruire una teoria Nella ricerca, una teoria funziona come una sorta di mappa della conoscenza. Le teorie valide riassumono le osservazioni, le spiegano e le guidano verso ricerche ulteriori. f. Pubblicare i risultati L’informazione scientifica dev’essere sempre disponibile al pubblico. In questo modo altri ricercatori possono leggere i dati ed esprimere osservazioni volte a verificare se un’affermazione è scientificamente valida o no. Se altri possono ripetere l’esperimento raggiungendo il medesimo risultato, allora lo studio sarà più credibile. 1.5.2 Etica della ricerca Alcuni esperimenti di psicologia possono far sorgere questioni etiche. Secondo l’APA, gli psicologi devono portare avanti la ricerca nel rispetto delle persone che partecipano agli esperimenti, preoccupandosi della loro dignità e del loro benessere. Analogamente, anche per gli animali, bisogna assicurare il benessere e trattarli con umanità. 13 Metodologia dello psicologo ricercatore 1. Consenso informato (viene usata la tecnica dell’inganno: viene riferita solo una parziale verità per non compromettere il comportamento - stimolando un effetto placebo nei partecipanti – e dunque l’intera osservazione); 2. Viene data ai partecipanti la libertà di ritirarsi; 3. Debriefing (al termine dell’esperimento, i partecipanti vengono avvisati di tutto); 4. Garantire l’anonimato e la riservatezza; 5. Tutela sugli animali. 1.6 L’esperimento in psicologia: il rapporto tra causa ed effetto Alla luce del compito principale degli psicologi ricercatori ovvero quello di essere in grado di spiegare perché ci si comporta in un certo modo con le relative cause, l’esperimento rappresenta in psicologia lo strumento più potente in quanto à consiste in una prova formale svolta per confermare o negare un’ipotesi relativa alle cause di un dato comportamento a prescindere da come viene osservato. Il valore aggiunto di questo strumento è il controllo che i ricercatori hanno sulle variabili e sulle condizioni che permettono di mettere a fuoco le relazioni causa-effetto. Per realizzare un esperimento bisogna procedere nel modo seguente: 1. Modificare in maniera diretta una condizione che si ritiene alteri il comportamento; 2. Creare due o più gruppi di soggetti che dovrebbero essere simili in tutte le caratteristiche ad eccezione della condizione che si decide di modificare; 3. Verificare se la modifica della condizione ha effetto nel comportamento. 1.6.1 Variabili e gruppi Una variabile è una qualsiasi condizione considerata che può cambiare valore o essere modificata durante un esperimento. a. Le variabili indipendenti: sono le variabili che possono essere manipolate dallo sperimentatore e che rappresentano le cause ipotizzate di un determinato fenomeno o comportamento; b. Le variabili dipendenti: corrispondono ai risultati dell’esperimento, ossia rivelano gli effetti osservati attribuiti alle variabili indipendenti. Solitamente sono un aspetto ben definito del comportamento misurato dallo sperimentatore attraverso dei punteggi ottenuti. c. Le variabili estranee o intervenienti corrispondono a fattori che possono agire liberamente e influire sulla variabile dipendente. Sono da minimizzare perché in grado di alterare i risultati. Di conseguenza: Il gruppo sperimentale è costituito dai partecipanti che ricevono il trattamento sperimentale e che quindi vengono esposti alla variabile indipendente. Il gruppo di controllo è costituito dai partecipanti esposti a tutte le condizioni ad eccezione della variabile indipendente. Esso rappresenta un termine di paragone per il confronto con i punteggi del gruppo sperimentale. 14 È consigliato assegnare i partecipanti in maniera casuale ad uno dei due gruppi: l’assegnazione casuale o randomizzazione un partecipante ha la stessa possibilità di far parte del gruppo sperimentale o del gruppo di controllo; essa consente perciò di distribuire in maniera equilibrata le differenze personali nei due gruppi e, quindi, di effettuare un controllo sulle variabili estranee puntando ad una uguaglianza su tutte le condizioni (eccetto la variabile indipendente) in tutti i gruppi. 1.6.2 Valutazione dei risultati Per avere validità c’è bisogno che i risultati siano statisticamente significativi ovvero devono presentare una differenza tale per cui, se ci si affidasse al caso, si verificherebbe in meno di 5 esperimento su 100. Le scoperte diventano ancora più convincenti nel momento in cui sono anche replicabili, cioè possono essere ripetute da altri ricercatori. Per concludere è utile accennare alla tecnica della meta-analisi che può essere usata per combinare i risultati di molti studi, come se facessero parte di un’unica grande ricerca, consentendo di disporre di un quadro più ampio facilitando l’emergere di conclusioni che potrebbero essere poco chiare in uno studio limitato, su piccola scala. 15 1.7 Doppio cieco: i placebo e le profezie autoavverantesi Effetto dei partecipanti In un esperimento ben progettato occorre prestare attenzione a quanto si comunica ai partecipanti, poiché delle piccole informazioni potrebbero creare un à effetto dei partecipanti ossia determinare dei cambiamenti nel comportamento dei partecipanti alla ricerca causati dall’influenza delle loro aspettative. Alla base di questo effetto vi è l’à effetto placebo ossia l’effetto psicologico o psicofisiologico prodotto da una terapia o da una componente di terapia utilizzata in modo deliberato per una sua azione specifica priva di ottimità terapeutica per la condizione trattata. Nel caso dei farmaci, per esempio, ci si riferisce a quel cambiamento nel comportamento causato dalla convinzione di aver assunto un farmaco, la cui suggestione influenza le aspettative e di conseguenza le reazioni emotive e fisiologiche. L’effetto placebo infatti è dose-dipendente: la sua efficacia è inversamente proporzionale alla gravità della sintomatologia. È possibile ottenere dei feedback positivi, negativi (nocebo) e neutri e tali effetti tendono a diminuire nel tempo. Si ha un aumento della risposta quando l’individuo è suggestionabile, passivo, dipendente, ansioso o depresso. D’altra parte, la persona che provoca l’effetto placebo deve mostrarsi qualificato, empatico, con aspettative positive ed esperto. Controllo dell’effetto dei partecipanti Per controllare l’effetto dei partecipanti occorre far ricorso all’ à esperimento con il singolo cieco grazie al quale i partecipanti non sanno a che gruppo appartengono (sperimentale o di controllo) diventando ciechi riguardo le ipotesi di ricerca e il relativo metodo. Tuttavia, anche questa soluzione non è una garanzia sufficiente poiché gli stessi ricercatori talvolta condizionano l’esperimento influenzando con i loro comportamenti i partecipanti. Questo fenomeno prende il nome di à effetto dello sperimentatore e riguarda i cambiamenti nel comportamento causati dall’influenza non consapevole del ricercatore. In sostanza, si corre il rischio che gli sperimentatori trovino proprio quello che si aspettano. Questo si verifica poiché gli esseri umani sono molto sensibili agli indizi su ciò che ci si aspetta da loro. Per la comprensione di questo effetto è utile ricorrere alla cosiddetta à profezia autoavverantesi che induce ad agire in modo che la previsione si realizzi: le persone talvolta si comportamento proprio come ci si aspetta da loro, ma occorre ricordare che le aspettative non sono sempre fedeli alla realtà, ai dati di fatto oggettivamente validi e significativi. L’esperimento in doppio cieco In un à esperimento in doppio cieco né i partecipanti né i ricercatori sanno chi fa parte del gruppo sperimentale e chi del gruppo di controllo, e non sanno neppure se hanno assunto un farmaco o un placebo. Altre persone organizzano l’esperimento in modo tale che i ricercatori stessi che operano sul campo non sappiano, fino alla fine, chi ha preso cosa. Ciò non solo evita che si verifichi l’effetto dei partecipanti ma impedisce ai ricercatori di influenzare in maniera non intenzionale i soggetti. Questo protocollo sperimentale ha dimostrato come grande parte delle cure omeopatiche funzionino grazie all’effetto placebo. 16 1.8 Metodi di ricerca non sperimentali: altri procedimenti di indagine Determinare le relazioni causa-effetto tra le variabili è un nodo cruciale per spiegare non solo quello che facciamo ma soprattutto perché lo facciamo. Ecco perché il metodo di ricerca prediletto dai ricercatori è l’esperimento; tuttavia, non sempre è possibile eseguire un’indagine sperimentale e per questo motivo gli psicologi si servono di tante altre tecniche di ricerca non sperimentali, tra cui: a. metodo descrittivo (osservazione naturalistica); b. metodo correlazionale; c. metodo clinico; d. metodo dell’inchiesta. 1.8.1 Metodo descrittivo (osservazione naturalistica) Gli psicologi talvolta osservano direttamente il comportamento nel proprio ambiente naturale. Ciò consente di fornire solo ed esclusivamente delle descrizioni del comportamento (per spiegare tali osservazioni sono necessarie informazioni fornite da altri metodi di ricerca). L’ àosservazione naturalistica dunque ci consente di studiare un comportamento che non è stato alterato o sul quale non sono intervenute delle influenze esterne quale ad esempio l’ à influenza dell’osservatore ossia tutti i cambiamenti nel comportamento di un soggetto causati dalla consapevolezza di essere osservato. Ecco perché si usano registratori, videocamere nascoste, distanze ragionevoli e si consiglia evitare ogni qualsiasi tipo di rapporto con l’individuo studiato. Un bias di questo approccio è la à distorsione dell’osservatore ossia focalizzarsi solamente su dettagli che i ricercatori si aspettano di vedere. Non solo, anche l’à errore di antropomorfizzazione che consiste nell’attribuire pensieri, sentimenti o motivazioni umani agli animali, può condurre a conclusioni erronee. Gli psicologi impegnati negli studi naturalistici compiono degli sforzi particolari per ridurre le distorsioni dovute all’osservatore tenendo una à registrazione delle osservazioni o un campionamento dettagliato di dati e osservazioni. Per concludere, attraverso l’osservazione naturalistica è possibile raccogliere una grande quantità di informazioni e costruire ipotesi interessanti che spesso diventano un punto di partenza per la ricerca scientifica. 1.8.2 Metodo correlazionale Gli studi correlazionali analizzano il tipo di relazione, o correlazione, tra due tratti, comportamenti o eventi. Questo tipo di ricerca è un tipo specifico non sperimentale in quanto i ricercatori non manipolano direttamente le variabili oggetto di uno studio. Il primo passo in ricerche di questo tipo, infatti, consiste nel misurare i due fattori di cui si crede esista una à correlazione (ossia sono in rapporto in modo ordinato) e poi si utilizza una tecnica di analisi statistica per trovare il loro grado di correlazione. 17 Coefficienti di correlazione La forza e la direzione di una relazione vengono espresse dal coefficiente di correlazione che equivale ad un numero compreso tra +1.00 e -1.00. a. se il numero è zero o vicino allo zero, correlazione tra i due elementi è debole o inesistente; b. se il numero è +1.00, esiste una correlazione positiva perfetta; c. se il numero è -1.00, esiste una correlazione negativa perfetta; È importante precisare che, nel caso di una à correlazione positiva perfetta l’aumento dei valori di una variabile corrisponde all’aumento dei valori dell’altra variabile; mentre nel caso di una à correlazione negativa perfetta l’aumento dei valori di una variabile corrisponde ai valori più bassi dell’altra variabile. Correlazione e causalità È importante precisare che la correlazione non dev’essere confusa con la à causalità (rapporto di causa-effetto): se una cosa sembra causarne un’altra, questo non prova che la causi davvero. Il modo migliore per essere sicuri che esista una relazione causa-effetto è eseguire un esperimento controllato. 1.8.3 Metodo clinico: analisi di un caso singolo Lo studio di un caso singolo consiste nell’analisi approfondita di un solo soggetto fungendo da migliore fonte di informazioni. Questo approccio è molto usato nell’ambito clinico permettendo agli psicologi di studiare gli effetti di una psicoterapia e per analizzare alcuni disturbi mentali. Talvolta i single case possono essere considerati come à test clinici naturali ossia incidenti o altri eventi naturali che forniscono dati rilevanti e salienti: ferite di arma da fuoco, incidenti stradali, tumori cerebrali e intossicazioni casuali si sono dimostrati preziose fonti di informazioni per la neuropsicologia (studio degli effetti cognitivi, emotivi e comportamentali causati dal danno cerebrale). Famoso è lo studio del caso di Phineas Cage, il quale dopo aver subito un grave incidente (spranga trapanata nel cranio per 5cm) subì importanti alterazioni cognitivo-comportamentali. È importante sottolineare come nello studio dei casi singoli non esistano gruppi di controllo formali e questo, naturalmente, limita le conclusioni alle quali è possibile giungere attraverso le osservazioni cliniche. 18 Tuttavia, esiste un à disegno sperimentale che ci consente di poter analizzare il comportamento di un single case in un certo intervallo di tempo, si studia: A. il comportamento di un individuo prima del trattamento (baseline); B. il comportamento di un individuo durante il trattamento (es. terapia); A. il comportamento di un individuo quanto il trattamento è interrotto. Quando il comportamento ritorna alla condizione A, è molto probabile che, se si verifica un cambiamento, questo sia dovuto al trattamento B somministrato. Esistono vari disegni sperimentali (BAB, ABAB, ecc..): alla base vi è il paradigma per cui il soggetto funge da controllo di se stesso. Se da una parte, nella storia, il metodo clinico veniva usato per aiutare il paziente a risolvere i problemi personali, dall’altra, oggi, gli à obiettivi principali del metodo clinico sono: a. la ricerca di fattori che hanno causato i problemi della persona; b. la formulazione di ipotesi generali per la ricerca e/o convalida o meno di un determinato trattamento; c. la raccolta di ulteriori dati per confermare o meno sia le ipotesi che l’efficacia del trattamento sull’individuo al fine di ottenere un miglioramento della sua condizione. 1.8.4 Metodo dell’inchiesta In questo metodo, non sperimentale, si utilizzano tecniche specifiche per creare domande e codificare le risposte. In genere, a un gruppo di persone appartenenti ad un campione rappresentativo vengono rivolte una serie di domande altamente formulate. Un à campione rappresentativo è un piccolo gruppo di persone che riflette le caratteristiche della popolazione generale ossia un intero gruppo di individui appartenenti ad una determinata categoria (es. studenti universitari). Il campione in questo modo consente di evitare di dover intervistare tutti gli individui e diventa più rappresentativo se ottenuto grazie alla randomizzazione o assegnazione casuale. Un campione non rappresentativo non riflette in modo preciso la popolazione che dovrebbe rappresentare e può influenzare negativamente l’intera inchiesta. 19 2.1 Sistema nervoso: cervello e comportamento Il sistema nervoso è un complesso apparato di cellule e fibre nervose, responsabile delle interazioni tra l’uomo e l’ambiente. Tale sistema si può paragonare ad un computer: nel cervello vengono prese delle decisioni, poi trasmesse alle innumerevoli fibre muscolari. Il sistema nervoso si può dividere in: a. sistema nervoso periferico (S.N.P.) composto dal sistema somatico (SNS) e dal sistema autonomo (SNA); b. sistema nervoso centrale (S.N.C.) composto dal cervello e dal midollo spinale; Sistema nervoso periferico Il sistema nervoso periferico è composto dal sistema nervoso somatico e dal sistema nervoso autonomo che collaborano nella coordinazione delle reazioni interne dell’organismo agli eventi del mondo esterno: tramite il à sistema nervoso somatico (SNS) (periferico) viaggiano i messaggi in ingresso e in uscita dagli organi di senso e dai muscoli scheletrici. Ha la funzione generale di controllare il comportamento volontario. Il à sistema nervoso autonomo (SNA) (periferico) innerva gli organi interni e le ghiandole. Per autonomo s’intende “non volontario”, tale sistema infatti si occupa più attività “vegetative” come la frequenza cardiaca, la digestione e la sudorazione. Non solo, il sistema nervoso autonomo può essere diviso in: à sistema simpatico è addetto alle “emergenze”. Esso prepara il corpo alla reazione “fight or flight”, combatti o scappa, nel momento di pericolo o di grande emozione; à sistema parasimpatico è associato invece alle attività dei periodi di calma e riporta il corpo a livelli di attivazione normali. È all’apice dell’attività dopo uno evento emotivo; si occupa anche di mantenere i processi vitali, come il battito cardiaco, la respirazione e la digestione. È importante sottolineare che tra le fibre parasimpatiche decorrono in molti nervi cranici, tra cui il nervo vago: uno dei nervi più lunghi del corpo e concorre all’innervazione viscerale di tutto il tratto digerente fino al colon discendente, del cuore e dei polmoni, nonché della regione faringo-laringea. Sistema nervoso centrale Esso è costituito dal cervello e dal midollo spinale. La maggior parte dei calcoli avviene nel cervello che poi comunica con il resto del corpo attraverso un insieme di nervi chiamato midollo spinale. 20 2.2 I neuroni I neuroni sono minuscole cellule nervose che possono essere viste solo al microscopio (a differenza dei nervi che sono grossi fasci di assoni che si possono facilmente vedere senza ingrandimento). Il à neurone rappresenta l’unità funzionale del sistema nervoso: sono cellule che convogliano l’informazione degli organi di senso al cervello, in cui vengono elaborate. La capacità intellettiva si manifesta perché i singoli neuroni si collegano l’uno con l’altro a formare densi ammassi e lunghe catene. Quando tali cellule formano vaste reti, si produce la coscienza e l’intelligenza. È possibile suddividere i neuroni secondo un criterio funzionale o in base alla forma. Suddivisione funzionale Suddivisione in base alla forma Neuroni sensoriali, afferenti o sensitivi Neuroni piramidali Partecipano all’acquisizione di stimoli Si trovano nella corteccia cerebrale e hanno trasportando le informazioni dagli organi di corpi cellulari grandi di forma piramidale. senso al s.n.c. Neuroni intercalari o interneuroni Neuroni stellati All’interno dell’s.n.c., integrano i dati forniti dal Definiti anche granuli, sono disposte in ordine neurone sensoriale e li trasmettono al neurone casuale rispetto alla superficie della corteccia e efferente. sono a forma di stella. Neuroni motori, efferenti o motoneuroni Neuroni fusiformi Emanano impulsi di tipo motorio agli organi Si trovano nello strato più profondo della della periferia corporea. corteccia e sono a forma di fuso con alle estremità due ciuffi di dendriti. Il sistema nervoso è costituito oltre che dai neuroni anche da importanti cellule: le à cellule gliali: cellule che hanno la funzione nutritiva e di sostegno per i neuroni. Esse si distinguono in: a. microglia: cellule in grado di fagoticare i corpi estranei al sistema nervoso centrale per mezzo della fagocitosi ovvero l’inserire i materiali estranei e disintegrarli; b. macroglia che si distingue in: i. astrociti: funzione di rifornire i neuroni di sangue, regolando l’ambiente chimico esterno e riciclando i neurotrasmettitori rilasciati durante la trasmissione sinaptica e che comprendono: astrociti protoplasmatici: presenti nella sostanza grigia e non sono altro che estensioni corte; astrociti fibrosi: presenti nella sostanza bianca e non sono altro che prolungamenti citoplasmatici lunghi e sottili; 21 ii. oligodendrociti che si dividono in: oligodendrociti satelliti perineuronali: presenti nella sostanza grigia, con funzioni coadiuvanti metaboliche. Oligodendrociti interfasciolari: hanno la funzione di facilitare i messaggi tra i neuroni formando la guaina mielinica. iii. Cellule ependimiali: delimitano le cavità del sistema nervoso centrale e favoriscono la circolazione cerebrospinale. Si pensa siano coinvolte nella rigenerazione del cervello. 2.2.1 Le parti di un neurone Esordiamo affermando che non esistono due neuroni completamente identici, tuttavia, la maggior parte dei neuroni condivide delle caratteristiche fondamentali per cui esso è costituito da: a. Dendriti: dall’aspetto delle radici di un albero, ricevono messaggi da altri neuroni e li propagano in direzione centripeta; b. Soma: costituisce la parte centrale del neurone in cui risiede il nucleo e tutti gli organelli deputati alle principali funzioni cellulari; c. Assone: è una fibra che trasporta le informazioni in uscita dal corpo cellulare di un neurone verso neuroni adiacenti; d. Terminale sinaptico: assoni più sottili che collegano i dendriti e il soma di altri neuroni. 2.2.2 L’impulso nervoso All’interno di ciascun neurone si trovano molecole elettricamente cariche, gli ioni. Altri ioni si trovano fuori dalla cellula separati da una membrana. Quando un neurone è inattivo, esternamente ad esso vi sono più ioni positivi che negativi. Ne risulta una differenza di potenziale tra esterno e interno della membrana pari circa a -70mV. Il potenziale di membrana di un neurone inattivo è detto à potenziale di riposo. Tuttavia, i messaggi in arrivo da altri neuroni innalzano e abbassano continuamente il potenziale di riposo. Se il potenziale sale a circa -50mV, il neurone raggiunge la propria à soglia generando un à potenziale d’azione: un impulso elettrico che si propaga lungo l’assone a una velocità massima di 320 km/h. La membrana dell’assone è rivestita di tanti piccoli canali detti à canali ionici che subiscono delle variazioni nell’apertura a seconda della differenza di potenziale tra interno ed esterno della cellula. Durante un potenziale d’azione, i canali ionici del sodio (Na+) si aprono e ciò consente al sodio di entrare nell’assone. L’apertura dei canali è di tipo seriale: l’apertura e la successiva chiusura del singolo canale è sequenziale verso il terminale sinaptico. Quando l’impulso nervoso viene inviato dal soma, il potenziale d’azione si propaga lungo tutto l’assone. 22 Il potenziale d’azione è un fenomeno tutto-o-niente: l’impulso nervoso si verifica completamente o non si verifica affatto. Dopo ogni singolo potenziale d’azione si ha una ripolarizzazione del neurone: dal neurone esce il potassio (K+) riportando ottenendo un à potenziale di riposo negativo, riportando quindi il potenziale di membrana ad una carica negativa (minore del potenziale di riposo). Successivamente, gli ioni fluiscono dentro e fuori della membrana che ricopre l’assone, ricaricandolo per una nuova azione, riportandolo dunque ad un potenziale di riposo standard. Pompa sodio-potassio Una volta che si è verificato l’impulso nervoso, la cellula ha bisogno di ripolarizzarsi per permettere un altro impulso nervoso: per far ciò entra in gioco la à pompa sodio-potassio permettendo di far uscire 3 ioni K+ ogni 2 ioni Na+ che entrano. Ciò avviene contro gradiente di concentrazione e dunque grazie all’energia prodotta dall’ATP. La ripolarizzazione del neurone permette di regolare l’omeostasi cellulare e la costruzione del gradiente trasnmembrana degli ioni Na+. Conduzione saltatoria e puntiforme L’assone è costituito per il 79% da uno stato di oligodendrociti, detto à mielina: un composto principalmente formato da lipidi, proteine e carboidrati. Le porzioni senza mielina si definiscono à nodi di Ranvier e servono principalmente a rigenerare l’impulso nervoso velocizzando l’intera trasmissione dello stesso. L’impulso elettrico salta da un nodo di Ranvier all’altro, causando così la à conduzione saltatoria favorendo i riflessi evitando il manifestarsi di deficit degli stessi, debolezza o paralisi (sclerosi multipla); quando l’assone è privo di mielina, l’impulso nervoso prende il nome di à conduzione puntiforme (tipica degli arti). 23 2.2.3 Sinapsi e neurotrasmettitori Sebbene l’impulso nervoso sia un’attività di tipo elettrico, la comunicazione tra i neuroni è un’attività di tipo chimico. Lo spazio infinitesimale tra due neuroni attraverso il quale passano i segnali chimici è detto à sinapsi: quando un potenziale d’azione raggiunge i bottoni sinaptici del neurone pre- sinaptico si ha un rilascio dei à neurotrasmettitori ossia molecole in grado di modificare l’attività del neurone post-sinaptico. Come avviene la sinapsi chimica Quando il potenziale d’azione raggiunge il terminale sinaptico ed il neurotrasmettitore viene rilasciato, questo va ad agganciarsi su dei bottoni del terminale adiacente, tale sito prende il nome di à sito recettoriale che si presenta come particolarmente sensibile al composto chimico che è il neurotrasmettitore. Quando i neurotrasmettitori hanno svolto la loro funzione avviene la à ricaptazione: essi vengono rimossi dalla fessura sinaptica da specifiche proteine che risiedono nelle membrane dei neuroni e nelle cellule della glia. Senza la ricaptazione i neurotrasmettitori continuerebbero ad esercitare la loro azione sul neurone post-sinaptico che può essere eccitato (ad esempio a grazie al gluttamato, favorendo l’impulso elettrico) o inibito (ad esempio grazie al gaba o alla glicina, rendendo l’impulso elettrico meno probabile). Livelli alterati dei neurotrasmettitori possono provocare situazioni compromettenti, ad esempio: livelli bassi di dopamina portano a tensioni muscolari (Parkinson) o livelli alti di dopamina possono causare schizofrenia. Alcuni farmaci, infatti, agiscono sui neurotrasmettitori inibendoli, duplicandoli o bloccandone la ricaptazione. Neuroregolatori A differenza dei neurotrasmettitori, i neuroregolatori non trasportano messaggi bensì regolano l’attività di altri neuroni agendo su memoria, dolore, emozione, piacere, umore, fame e altri processi di base. Un esempio di neuroregolatori sono le endorfine e le encefaline. Si tratta dunque di ormoni con proprietà analgesiche che svolgono un’azione di coordinazione e di controllo delle attività nervose superiori. 2.2.4 Reti neurali Le reti neurali elaborano le informazioni a livello cerebrale. Ogni neurone riceve più messaggi da parte di altri neuroni, questi messaggi vengono sommati e a seconda del messaggio finale si verifica un potenziale d’azione o no nel neurone destinatario. In altre parole, ogni singolo neurone in una rete neurale ascolta i neuroni con i quali forma delle sinapsi e combina quel messaggio d’ingresso in un messaggio d’uscita. Il potenziale d’azione dunque, dipende dalla somma dei messaggi in ingresso da parte di altri neuroni che formano la rete neurale. Neuroplasticità Con neuroplasticità s’intende la capacità del cervello di modificarsi in risposta all’esperienza. Possono, quindi, formarsi nuove sinapsi tra neuroni, alcune connessioni sinaptiche possono rinforzarsi, altre invece possono essere potate per rinforzarne delle altre (. 24 2.3 Il sistema nervoso periferico Il sistema nervoso centrale è costituito dal cervello e dal midollo spinale. Il cervello comunica i messaggi al corpo attraverso il midollo spinale. Dal midollo spinale, i messaggi fluiscono tramite il sistema nervoso periferico Nel S.N.P. i nervi (diversi dai neuroni) possono ricrescere: la maggior parte degli assoni è rivestita dalle cellulle di Schwann (glia), composti da mielina e neurilemma. Quest’ultimo consente di fagocitare i residui cellulari e di far ricerescere le fibre danneggiate. 2.3.1 Il midollo spinale Il midollo spinale mette in collegamento il cervello con altre parti del corpo. È formato da materia bianca (fasci di assoni rivestiti di guaina mielinica) ripartita nel seguente modo: a. 31 nervi spinali che conducono messaggi di tipo sensoriale e motorio in ingresso e uscita dal midollo spinale; b. 12 paia di nervi cranici che partono direttamente dal cervello. Il midollo spinale è capace di effettuare calcoli semplici automaticamente, ciò prende il nome di à arco riflesso e si verifica quando uno stimolo provoca una risposta automatica all’interno del midollo spinale ad esempio quando schiacciamo una spina: (1) il neurone sensoriale rileva il dolore, (2) trasmette un messaggio al midollo spinale, in particolare ad un altro neurone sensoriale, (3) il quale effettua una sinapsi con un interneurone, (4) che a sua volta manda il segnale ad un motoneurone, (5) provocando la contrazione delle cellule effetrici (cellule muscolari in grado di produrre risposta), facendoci alzare immediatamente il piede. Come si può notare, l’utilità dell’arco riflesso risiede proprio nel fatto che esso lascia libero il cervello di elaborare altre informazioni rilevanti (posizione, ambiente, ecc…). Per concludere, è importante sottolineare che mentre i nervi periferici possono ricrescere, un danno al cervello o al midollo spinale è permanente. 2.4 Metodi di indagine Per à neuropsicologia s’intende lo studio dei processi biologici, in particolare quelli del sistema nervoso, collegati al comportamento. I neuropsicologi cercano di capire dove siano localizate le funzioni a livello cerebrale. 2.4.1 Mappatura della struttura cerebrale a. Dissezione Rivela che il cervello è costituito da diverse aree o “parti” anatomicamente distinte. b. TAC È l’acronimo di Tomografia Assiale Computerizzata che effettua diagnosi precise e utili grazie alla scansione di raggi X da diverse angolazioni. 25 c. RM È l’acronimo di Risonanza Magnetica: si usa un campo magnetico molto forte all’interno del quale viene posizionato il corpo da esaminare, ottenendo così un’immagine tridimensionale più precisa della TAC. 2.4.2 Esplorare le funzioni cerebrali Se un danno in un’area specifica del cervello si traduce costantemente nella perdita di una particolare funzione, allora si può affermare che la funzione è localizzata in quella struttura. Più osservazioni uguali in pazienti diversi concretizza la teoria in un dato di fatto scientificamente provato. a. ESC S’intende elettrostimolazione cerebrale: la corteccia cerebrale può essere stimolata tramite una debole corrente elettrica somministrata con un sottile cavo isolato, l’elettrodo. L’ESC può far rievocare diverse emozioni a seconda della personalità dell’individuo e delle circostanze in cui viene usato. b. Ablazione Consiste nella rimozione chirurgica di parti del cervello: quando vi è un cambiamento a livello comportamentale o sensoriale, si comprende la funzione di tale perdita. c. Interventi a lesione profonda È possibile eliminare strutture sottostanti alla superficie encefalitica. Vengono adottate scariche elettriche capaci di disintegrare una certa area cerebrale. I conseguenti cambiamenti aiutano a capire meglio la funzionalità di quella determinata area. Attraverso questi primi tre strumenti, i ricercatori stanno approntando una mappa tridimensionale del cervello. Questo “atlante” mostra le risposte sensoriali, motorie ed emotive che possono essere suscitate in diverse aree del cervello. d. Microelettrodo Consiste in un tubicino di vetro dalla punta talmente piccola, contenente una soluzione salina, in grado di rilevare l’attività di un singolo neurone. L’osservazione dei potenziali d’azione di un unico neurone restituisce una mappatura fedele e biologica del comportamento. e. EEG L’elettroencefalografia misura l’attività elettrica prodotta in superficie encefalitica. Sul cuoio cappelluto vengono adattate diverse piastrine metalliche (elettrodi) che leggono l’attività elettrica superficiale, mandando i risultati ad un EEG, il quale li amplifica e crea un tracciato di onde. Ciò consente di rivelare la presenza di diverse patologie e stati di coscienza tipo il sonno. 26 f. PET La tomografia ad emissione di positroni fornisce immagini più dettagliate di qualsiasi area cerebrale. Il cervello produce dei positroni quando viene consumata una grande quantità di glucosio. Grazie alla PET, infatti, è possibile capire qualitativamente e quantitativamente l’attività cerebrale di un soggetto. Dagli studi infatti, è emerso che le persone più intelligenti in realtà usano meno energia rispetto a chi ottiene scarsi risultati: un cervello meno efficiente lavora di più di un cervello più efficiente. In ogni caso, non ci sono aree del cervello che non vengono utilizzate. g. RMF La risonanza magnetica funzionale rileva le variazioni del livello di ossigenazione dei tessuti cerebrali tramite l’immersione in un campo magnetico. Qui viene usato un liquido di contrasto che rileva le variazioni a livello cerebrale del flusso sanguigno e del livello di ossigeno. 2.5 La corteccia cerebrale Ciò che fa la differenza nei vari esseri viventi non è la dimensione del cervello quanto l’efficienza di una corteccia cerebrale. Nell’essere umano, col suo chilo e mezzo scarso di cervello, essa rappresenta lo strato superficiale del cervello costituito da materia grigia (tessuto spugnoso costituito perlopiù da corpi cellulari); contiene il 70% dei neuroni del sistema nervoso centrale ed è costituita da due emisferi centrali che coprono la parte più superiore del cervello. Gli emisferi a loro volta sono suddivisi in aree più piccole dette lobi che ci consentono di vedere, sentire, muovere, parlare e soprattutto pensare. Come detto poc’anzi, il fatto che l’uomo abbia un’intelligenza superiore è correlato proprio a questa corticalizzazione, ossia uno sviluppo delle dimensioni e del corrugamento della corteccia. In assenza di una corteccia cerebrale, l’uomo non sarebbe più intelligente di un rospo. 2.5.1 Emisferi cerebrali La corteccia è composta da due parti o emisferi cerebrali collegati da uno spesso fascio di fibre detto corpo calloso. Il lato sinistro del cervello controlla essenzialmente il lato destro e viceversa, il lato destro del cervello governa la parte sinistra. Un danno a livello di un emisfero può essere causa di un curioso disturbo detto negligenza spaziale o meglio ancora neglet: chi riporta una lesione nell’emisfero destro, non percepisce visivamente la parte ambientale sinistra e viceversa. 27 2.5.2 Specializzazione emisferica Nella quotidianità vengono usati entrambi gli emisferi cerebrali, in alcune attività si usa uno più dell’altro. Nel caso del fenomeno dello split brain o meglio cervello diviso non si sa cosa accade in ciascun emisfero. In generale però la suddivisione emisferica consiste nel suddividersi il lavoro cognitivo, infatti: l’emisfero sinistro si occupa di: l’emisfero destro si occupa di: 1. Analisi delle informazioni (suddividere 1. Abilità percettiva (identificazione di le informazioni in dati essenziali) volti e figure) 2. Elaborazione sequenziale (segue un 2. Elaborazione olistica (simultanea) ordine ben definito nell’elaborazione) 3. Scarse abilità nel linguaggio (pari ad un 3. Abilità di linguaggio (parlare, scrivere, bambino) comprendere) 4. Espressione di emozioni (esprimere e 4. Abilità matematiche riconoscere anche quelle degli altri) 5. Giudizio sul tempo, ritmo e 5. Capire il contesto generale (focus coordinazione globale) 6. Riconoscere i particolari (focus locale) 2.5.3 I lobi della corteccia cerebrale Ciascuno dei due emisferi della corteccia cerebrale può essere suddiviso in lobi più piccoli. È possibile distinguere i lobi in base alla loro conformazione o alla loro funzione. È possibile suddividere i lobi in 52 aree, dette aree di Brodmann con diverse caratteristiche funzionali e strumentali. Si parla di à dominanza sferica quando un solo emisfero svolge alcune tra le più importanti funzioni mentali. I lobi frontali I lobi frontali sono il centro delle abilità mentali superiori e hanno un ruolo nel senso del sé. I lobi frontali comprendono: a. Corteccia motoria primaria (M1 o area 4 di Broadmann): controlla il movimento dei vari distretti corporei. Se sottoposta ad elettrostimolazione, quest’area provoca contrazioni muscolari. b. Corteccia premotoria: è deputata all’organizzazione e al controllo dei movimenti dei muscoli prossimali e del tronco. c. L’area supplementare motoria: presiede alla coordinazione dei movimenti e alla pianificazione dei movimenti complessi, quelli cioè che coinvolgono una certa sequenza di movimenti. 28 Le cortecce motorie contengono i à neuroni specchio ovvero neuroni responsabili dell’azione di un individuo quando lo stesso osserva la medesima azione compiuta da un altro soggetto. Tutte le aree circostanti vengono dette à aree associative in quanto riuniscono ed elaborano informazioni. La porzione anteriore della regione associativa frontale è detta à corteccia prefrontale ed è deputata al controllo di comportamenti complessi: personalità, vita emotiva, capacità di ragionamento e di pianificazione sono tutti comportamenti che vengono influenzati da questa area. Non solo, risulta importante anche l’à area di Broca ovvero il centro di elaborazione del linguaggio che, se danneggiata, può condurre all’afasia ossia quella difficoltà o impossibilità di usare il linguaggio. Se viene danneggiata l’area di Broca l’individuò sarà vittima di afasia motoria o espressiva, una grave difficoltà nell’eloquio o nella scrittura. I lobi parietali I lobi parietali, situati sopra i lobi occipitali, raccolgono le afferenze somatosensoriali (cutanee) di tutti i distretti corporei. Quando si parla di lobi parietali è importante evidenziare la à corteccia somatosensiorale primaria ovvero quell’area deputata al rilevamento del tatto, della temperatura, della pressione e altre sensazioni somatiche. Quest’area è costituita da almeno tre aree differenti, ognuna delle quali rappresenta una specifica funzione somatosensiorale: – area 1 di Brodmann: rilevamento della ruvidità di una superficie; – area 2 di Brodmann: rilevamento della forma; – area 3 di Brodmann: riconoscimento globale di un oggetto. I lobi temporali I lobi temporali sono localizzati al di sotto dei lobi frontali e parietali del cervello. Sulla faccia laterale sinistra si trova un’area Sulla faccia laterale destra si trova à l’area associativa detta à area di Wernicke, uditiva primaria, in cui vengono registrati i coinvolta nella comprensione del linguaggio: suoni in arrivo dalla via acustica centrale. Se se viene danneggiata ne deriva un’afasia sottoposta ad elettrostimolazione, l’individuo fluente. I soggetti colpiti riescono ad udire un ascolterebbe dei suoni e dei rumori. discorso, ma hanno difficoltà a comprendere il significato delle parole, hanno difficoltà ad esperire il senso logico nella produzione linguistica. Area di Wenicke e di Broca sono collegate da un percorso neurale detto fascicolo arcuato. Lobi occipitali I lobi occipitali si trovano nella parte posteriore del cervello e si estendono su tutte e tre le facce dell’emisfero (laterale, mediale e inferiore). Nella faccia mediale si trovano le aree della corteccia implicate nella ricezione ed elaborazione delle afferenze retiniche. In particolare, si trova l’à l’area visiva primaria, la parte di corteccia che riceve per prima i messaggi in arrivo dagli occhi. È importante sottolinare che l’informazione visiva crae una rete complessa di attività nelle cellule nervose, ma non crea un’immagine di tipo televisivo. 29 Un danneggiamento dei lobi occipitali provoca à agnosia visiva o incapacità di identificare gli oggetti che vengono visti. L’individuo vede bene lo stimolo ma non riesce a formare le associazioni necessarie a percepire il significato degli oggetti. Analogamente, tale difficoltà si può presentare dinnanzi ad un volto, e tale incapacità di riconoscimento, prende il nome di prosopagnosia. 2.6 Strutture sottocorticali Le strutture sottocorticali sono deputate al controllo di fame, sete, sonno, attenzione, desiderio sessuale, respirazione e molte altre funzioni vitali. Bisogna dire che il proencefalo (cervello) è costituito da: – telencefalo che comprende: § corteccia cerebrale § ippocampo § corpo calloso – diencefalo che comprende: § ipotalamo § ipofisi § talamo § epitalamo – tronco dell’encefalo che oltre a collegarsi direttamente con il midollo spinale, comprende: § mesencefalo § cervelletto § ponte § bulbo 2.6.1 Il tronco dell’encefalo È il punto di congiunzione tra il cervello e il midollo allungato ed è responsabile del controllo di funzioni vitali tipo la respirazione e la deglutizione. Non solo, il midollo allungato si occupa anche del controllo della frequenza cardiaca, del volume delle sistole, della pressione sanguigna e del pH del sangue. Ciò che è molto importante è che all’interno del midollo allungato del tronco encefalico si trova un reticolo di fibre e corpi cellulari, detto à formazione reticolare (FR): quando nel cervello fluiscono messaggi, la FR dà priorità ad alcuni e ne mette da parte altri, influenzando così l’attenzione. Allo stesso tempo, la FR controlla i riflessi implicati nella respirazione, starnuto, tosse e vomito. I messaggi che arrivano dagli organi di senso si diramano in una parte della FR detta à sistema di attivazione reticolare (SAR) che stimola la corteccia a mantenersi attiva, sveglia e vigile. Un altro fascio di fibre importante è il à ponte di Variolo che oltre ad agire come un vero e proprio passaggio tra il midollo allungato e molti altri distretti, compreso il cervelletto, controlla il ritmo sonno veglia e il livello di vigilanza. Il à cervelletto è posto alla base del proencefalo ed ha principalmente la funzione di controllo della postura, di tono muscolare e della coordinazione muscolare. Nel cervelletto sono, inoltre, conservati i ricordi procedurali, ossia sequenze di azioni abituali diventate automatiche. Senza il cervelletto, diventa impossibile compiere azioni come camminare, correre, mantenere l’equilibrio e muovere gli occhi, sintomi della degenerazione spinocerebellare. 30 2.6.2 Il mesencefalo Il mesencefalo è la struttura meno sviluppata, infatti viene considerato un “archipallio” dal punto di vista evolutivo. Nel mesencefalo si trovano i à nuclei o gangli della base, strutture che elaborano le informazioni ricevute da gran parte della corteccia e riverberano i risultati di questo processo principalmente alla corteccia frontale. A costituire i nuclei della base vi sono: i nuclei putamen e caudato; lo strato ventrale; il globo pallido e la sostanza nera. A livello dei gangli della base sono stati evidenziali cinque circuiti paralleli e separati con funzioni diverse: a. funzioni sensori-motorie. b. funzioni cognitive. c. Funzioni comportamentali/motivazionali. È importante delineare la à sostanza nera: essa è una formazione nervosa laminare che unisce il mesencefalo con il diencefalo. Nella sostanza nera, viene prodotta la dopamina che svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo di motivazione e abitudini in molte specie, dagli umani a quelli più elementari come gli insetti. 2.6.3 Il diencefalo Oltre ad essere costituita da ipofisi ed epitalamo, è costituito da talamo e ipotalamo. Il talamo Esso agisce essenzialmente come “stazione di smistamento” per i messaggi sensoriali in viaggio verso il cervello. Una minima lesione del talamo può provocare sordità, cecità o perdita di altri sensi, eccetto l’olfatto. Il talamo interagisce con il sistema extrapiramidale (movimenti automatici) e con il sistema piramidale (movimenti volontari). È connesso anche con l’elaborazione cosciente del dolore. L’ipotalamo È una sorta di centro di controllo superiore dell’emozione e di numerose motivazioni di base. L’ipotalamo regola comportamenti eterogenei come il desiderio sessuale, la collera, la temperatura corporea, il rilascio di ormoni, l’assunzione di cibo e di liquidi, la veglia e le emozioni. Qui i messaggi vengono organizzati prima che lascino il cervello. 2.6.4 Il sistema limbico Esso ha un ruolo fondamentale nella produzione di emozioni e del comportamento motivato ed è strettamente collegato al sistema endocrino e nervoso autonomo. In termini evolutivi, il sistema limbico è una delle prime strutture ad essersi formata. Negli esseri umani è alla base di molti processi neurologici superiori, come le emozioni, ed è coinvolta nei sistemi di memoria emozionale. In particolare, l’à amigdala è strettamente correlata alla paura: segnala alla corteccia stimoli motori associati alla paura rilasciando adrenalina, dopamina e noradrenalina, il che risultano preziose per riconoscere il pericolo e dunque sopravvivere. Lesioni all’amigdala possono provocare incapacità di riconoscere paura ed emozioni veicolate da espressioni facciali. 31 à L’ippocampo ha un ruolo fondamentale nella formazione dei ricordi duraturi, avendo dunque un’enorme importanza nella memoria e nell’orientamento dello spazio. Lesioni all’ippocampo possono portare all’amnesia che può essere retrograda se si riferisce ai ricordi precedenti al danno o anterograda se si riferisce ai nuovi ricordi. Anche il morbo di Alzheimer sembra essere coinvolto in problemi all’ippocampo. Concludendo, è importante aggiungere che diverse aree del sistema limbico agiscono come vie della ricompensa o del piacere. Nel sistema limbico sono state individuate anche aree che, se attivate, fungono da stimolo punitivo o avversivo. 2.7 Sistema endocrino Le ghiandole endocrine costituiscono un sistema di comunicazione corporeo altrettanto importante. Il à sistema endocrino è formato da ghiandole che secernono sostanze chimiche dette ormoni direttamente nel flusso sanguigno o nel sistema linfatico, venendo trasportate in tutto il corpo, dove agiscono sia sulle attività interne che sul comportamento visibile. Oltre all’attività endocrina, si parla anche di à attività paracrina quando gli ormoni vengono rilasciati direttamente in un organo o tessuto adiacente e agiscono sulle cellule bersaglio; e di à attività autocrina quando gli ormoni agiscono sulle stesse cellule che li hanno prodotti e rilasciati. Componenti del sistema endocrino 1. Gonadi: producono androgeni (testosterone negli uomini, estrogeni e progesterone nelle donne), sono responsabili dello sviluppo dell’apparato riproduttivo e delle caratteristiche sessuali secondarie, del desiderio sessuali e dell’aggressività sia nei maschi che nelle femmine. 2. L’ipofisi o ghiandola pituitaria è una piccola ghiandola dalle dimensioni di un pisello, situata alla base del cranio che regola la crescita. Secreta un ormone detto somatotropo detto anche ormone della crescita, che se insufficiente causa nanismo ipofisario o se eccessivo gigantismo o nel caso circoscritto a mani, ossa facciali e piedi acromegalia. 3. Epifisi o ghiandola pineale secerne un ormone, la melatonina, in risposta alle variazioni circadiane della luce. I livelli di melatonina aumentano al tramonto, con un picco attorno a mezzanotte, e calano nuovamente all’approssimarsi dell’aurora. Il ciclo veglia-sonno è regolato dalla melatonina. 4. Tiroide: situata alla base del collo, ha una funzione regolatoria sul metabolismo, cioè sulla velocità con cui il corpo produce e consuma energia. Gli ormoni tiroidei T3 e T4, oltre a regolare il metabolismo cellulare, influiscono sullo sviluppo psico-fisico dell’organismo, sul comportamento e sulla gittata cardiaca. Una persona ipertiroidea tende ad essere magra, tesa, nervosa ed irritabile. Una persona ipotiroidea tende ad essere svogliata, assonnata, lenta, obesa e depressa. 5. Paratiroide: regola la concentrazione plasmatica di calcio. 6. Timo: secerne la timosina, un ormone che regola la produzione e la funzione dei linfociti T del sistema immunitario. 7. Ghiandole surrenali: è in associazione col SNA producendo epinefrina e norepinefrina. Prepara il corpo alla reazione fight-o-flight. Sono situate sopra i reni. La produzione di ormoni, quali il cortisolo, da parte delle ghiandole surrenali, aumenta durante le situazioni pericolose, influendo sul processo immunitario, sui riflessi dell’attività cognitiva e sembra potenziare la formazione dei ricordi. 32 8. Pancreas: voluminosa ghiandola annessa all’apparato digerente, produce un succo pancreatico, fondamentale per la digestione di diverse sostanze che passano attraverso l’intestino tenue. Secerne due ormoni: l’insulina e il glucagone, che hanno la funzione di controllare i livelli di glucosio nel sangue. 9. Ghiandole endocrine secondarie: organi secondari che immettono ormoni nel sangue. 3.0 Sensazioni e percezione La funzione primaria dei sensi è di agire come trasduttori biologici, strumenti che convertono un tipo di energia particolare in un’altra. Ciascun senso trasforma un particolare tipo di energia fisica in immagini di attività (potenziale d’azione) nei neuroni. Le informazioni che arrivano al cervello dagli organi sensoriali creano le à sensazioni che, rielaborate dal cervello si trasformano in à percezioni. Il processo grazie al quale il neurone sensoriale traduce gli eventi fisici in segnali elettrici è detto à trasduzione. È possibile comprendere meglio il procedimento di elaborazione delle sensazioni e delle percezioni grazie all’ausilio della psicofisica: qui l’energia fisica si misura sulla base della dimensione delle sensazioni prodotte dalla nostra esperienza, come il rumore o la luminosità. La ricerca psicofisica ha permesso di scoprire che la vista restringe il nostro campo percettivo: seleziona e analizza informazioni al fine di codificare e inviare al cervello solo i dati più importanti. Legge di Weber – Fechner (1834 – 1860) Ψ = KlogR + C dove: Ψ = sensazione soggettiva R = intensità dello stimolo K = costante che dipende dallo stimolo (soglia) C = costante che determina lo stato iniziale dello stimolo All’aumentare dell’intensità dello stimolo, la sensazione esperita si comporta in maniera logaritmica. 33 3.1.1 Selezione Si è detto che il cervello seleziona e analizza solo i dati più importanti. Gran parte della selezione avviene perché i recettori sensoriali non trasducono tutte le energie che incontrano. Selezione per recettori: Molte tipologie di stimolo non producono sensazioni dirette perché non abbiamo i recettori sensoriali per tasdurne l’energia. Selezione per soglia assoluta: affinché si crei una selezione, l’energia deve superare un’intensità minima detta soglia assoluta del sistema sensoriale. Ad esempio, gli animali che cacciano di notte hanno una soglia sonora assoluta molto bassa. 3.1.2 Adattamento sensoriale I recettori sensoriali rispondono meno agli stimoli che non cambiano. Questo accade perché per il cervello non c’è ragione di ricordarsi di un input sensoriale che non cambia. L’olfatto, infatti, è il senso che si adatta più velocemente, nella vista invece ciò non si verifica a causa del continuo movimento degli occhi. 3.1.3 Analisi sensoriale Quando i sensi processano un’informazione, dividono il mondo in stimoli di base. Il sistema visivo, ad esempio, ha una serie di detettori-rilevatori che si accordano con stimoli specifici come linee, forme, colori e altre immagini. (Pop-up visivo). 3.1.4 Codifica sensoriale Dopo aver selezionato l’informazione, i sistemi sensoriali devono codificarla. Con il termine à codifica sensoriale, infatti, s’intende la trasformazione di caratteristiche percettive in messaggi che vengono inviati al cervello. Solo differenze rilevanti fra stimoli possono essere codificate. Per à soglia differenziale infatti, s’intende “quanto deve cambiare uno stimolo prima che diventi apprezzabilmente diverso?”. Più lo stimolo è diverso, più viene percepito. Con à localizzazione sensoriale s’intende che il tipo di sensazione provata dipende dall’area del cervello che viene attivata dagli impulsi nervosi provenienti dai recettori sensoriali. Alcune aree del cervello ricevono, infatti, informazioni visive, altre uditive o derivanti dal tatto o dal gusto. È importante delineare che non abbiamo un reale controllo su ciò che i nostri sensi trasducono, analizzano e codificano; né tantomeno sull’adattamento sensoriale. Diversamente l’attenzione selettiva è una capacità diversa e controllabile. 3.1.5 Attenzione selettiva Per à attenzione selettiva s’intende quello stato in cui il cervello si concentra su un determinato input sensoriale inibendo gli stimoli circostanti. Ciò provoca d’altra parte la à cecità da disattenzione ovvero l’impossibilità di notare uno stimolo perché l’attenzione è focalizzata su un 34 altro stimolo specifico. L’inconsapevole riduzione dei dati (cecità da disattenzione) insieme alla consapevole e riflessiva attenzione selettiva, riducono il flusso delle informazioni sensoriali che arrivano al cervello. 3.1 La vista Diverse lunghezze d’onda formano lo à spettro ottico, ovvero la gamma di energia elettromagnetica alla quale l’occhio è sensibile. Le tre grandezze dello spettro ottico sono tonalità, saturazione e vividezza. a. La à tonalità si riferisce alla grandezza d’onda dello spettro ottico; b. La à saturazione si riferisce alla purezza dei colori, ovvero alla distanza da una specifica e ristretta lunghezza d’onda; c. La à vividezza corrisponde all’altezza dell’onda, ossia all’ampiezza. Ampiezza maggiore produce colori più intensi e brillanti. 3.2.1 Struttura dell’occhio a. Il à cristallino è una lente biconvessa che focalizza le immagini su uno strato di cellule fotosensibili che si trovano sul fondo dell’occhio. b. La à retina è una membrana composta da fotorecettori. c. La à cornea è una membrana anteriore utile per la messa a fuoco. La cornea è responsabile del processo di à rifrazione ovvero quel processo per cui i raggi luminosi vengono incurvati per convergerli sul cristallino. A sua volta il cristallino, esegue altri adattamenti alla distanza dell’oggetto da mettere a fuoco aumentano o diminuendo il suo spessore e quindi il grado di curvatura dei raggi luminosi. Tale processo prende il nome di à accomodazione e si riferisce alla messa a fuoco finalizzata agli elementi presenti nell’ambiente che si trovano a meno di 6 metri dall’occhio. Ad influenzare anche sulla messa a fuoco, vi è un ultimo processo detto à convergenza: poiché la nostra visione è binoculare, gli occhi devono ruotare verso l’interno per mettere a fuoco un oggetto vicino e verso l’esterno per la messa a fuoco di un oggetto distante. Problemi visivi a. Ipermetropia: caratterizzata da una forma dell’occhio irregolare: se il globo oculare è più corto, si ha una vista sfuocata da vicino e nitida da lontano. b. Miopia: caratterizzata da una forma dell’occhio irregolare: se il globo oculare è più lungo, si ha una vista sfuocata da lontano e nitida da vicino. c. Astigmatismo: si verifica quando cornea e cristallino hanno una curvatura asimmetrica: l’occhio avrà più di un punto focale, ne risulterà una visione in parte nitida e in parte sfuocata. d. Presbiopia: consiste in un invecchiamento circa la flessibilità del cristallino: il punto di fuoco si allontana progressivamente e non si riesce ad eseguire l’accomodazione: difficoltà a vedere da vicino. e. Cataratta: opacizzazione della cataratta. 35 Controllo della luce in entrata L’iride è quel muscolo capace di controllare la luce in entrata: si tratta di un muscolo circolare, costituito da uno stato piatto di fibre muscolari e da due strati di cellule epiteliali pigmentate (la parte colorata dell’occhio). Allargandosi e contraendosi, à l’iride regola la quantità di luce che penetra nell’occhio, modificando la dimensione della à pupilla (diametro varia da 1 a 7 mm). Tramite rapidi adattamenti, l’iride quindi consente di passare in pochi attimi dall’oscurità alla luce, o viceversa. Nelle condizioni di luce scarsa le pupille si dilatano e ciò prende il nome di à midriasi, mentre nelle condizioni di luce intensa le pupille si restringono e ciò prende il nome di à miosi. La differenza tra miosi e midriasi completa è di 17 volte. Se questi processi non ci fossero, entrando in una stanza buia non vedremmo nulla per diverso tempo. 3.2.2 Coni e bastoncelli L’occhio ha due tipi di cellule recettoriali contenenti un pigmento con spettro di assorbimento diverso. Si tratta di coni e bastoncelli. I 5 milioni di à coni presenti in ciascun occhio vengono attivati da una luce intensa e sono preposti alla detezione del colore e dei particolari minuti. I 120 milioni di à bastoncelli viceversa, non sono in grado di distinguere i colori e sono sensibili alla luce crepuscolare. I bastoncelli “vedono” in bianco e nero ma sono molto sensibili alla luce, i coni “vedono” a colori ma sono meno sensibili alla luce. La retina presenta un punto in cui non sono presenti fotorecettori: ciascuno dei due occhi ha un à punto cieco. La presenza del punto cieco ci fa capire come la visione dipenda in gran parte dal cervello. È la corteccia visiva, infatti, che riempie attivamente lo spazio vuoto con le immagini provenienti dalle aree vicine. Inoltre, bisogna dire che l’immagine sensoriale che parte dalla retina per arrivare alle aree corticali della visione, oltre ad avere un punto cieco, è: - frazionata, per l’attivazione di fotorecettori diversi; - rovesciata perché passa attraverso il cristallino; - sfarfallante a causa dell’azione in sequenza di recettori visivi contigui - oscillante per il moto esploratorio compiuto continuamente dagli occhi. Inoltre, è stato notato come i neuroni della corteccia visiva scaricano solo quando vengono rilevate alcune caratteristiche nell’immagine, quali orientamento delle linee e zone a elevato contrasto luminoso. È stato notato, che nella corteccia visiva primaria sono presenti: 1. le cellule semplici, che si attivano quando giungono segnali puntiformi; 2. le cellule complesse, sintonizzate per l’orientamento e la frequenza spaziale; 3. le cellule ipercomplesse, sensibili specialmente per reticoli spezzati, linee e contorni. Detto ciò, si può affermare che cervello analizza prima di tutto le informazioni visive categorizzandole in linee, angoli, zone d’ombra, colore, movimenti e altre caratteristiche di base. Poi, 36 altre aree del cervello elaborano e integrano queste informazioni in percezioni visive complesse e globali. Circa il 30% del cervello umano, infatti, è deputato alla visione. Acuità visiva (visus) Per acuità visiva s’intende quell’insieme di capacità dell’occhio di captare con precisione un pattern spaziale specifico. L’acuità visiva si misura dall’angolo minimo sotto cui devono essere visti due punti adiacenti perché l’occhio li percepisca diversamente. I coni sono concentrati al centro della retina: infatti la à fovea, l’area retinica centrale contiene solo ed esclusivamente coni. L’acuità visiva normale è di 11/10, ciò significa che l’individuo riesce a vedere fino a 6 metri di distanza, riesce quindi a distinguere due lettere perché vengono stimolati due fotorecettori non contigui della retina. Si valuta l’acuità visiva attraverso gli ottotipi. Visione periferica Anche le aree intorno alla fovea ricevono luce, creando un’ampia regione di à visione periferica. I bastoncelli sono più numerosi ad una distanza circa di 20° dalla retina. Questo tipo di visione non è molto nitida, ma i bastoncelli sono alquanto sensibili al movimento. I bastoncelli sono anche molto sensibili in condizioni di luce scarsa. 3.3 Percezione dei colori Se volessimo trovare il colore più vivace possiamo dire che: in termini di coni, questi sono più sensibili al giallo-verde a parità di riflesso (stessa luce), mentre i bastoncelli sono più sensibili ai colori blu-verdi a parità di luce scarsa. 3.3.1 Teorie sulla visione dei colori La à teoria tricromatica della visione dei colori afferma che vi sono tre tipi di coni, ognuno dei quali è più sensibile ad alcune lunghezze d’onda, in particolare al rosso, al verde o all’azzurro. Gli altri colori si formano grazie alla combinazione di questi tre. Questa teoria non tiene conto però dei colori primari che sono 4 (rosso, verde, azzurro e giallo) e che non possono essere ottenuti dalla combinazione di altri colori. Per questo si è giunti ad una seconda teoria, quella dei à processi opposti secondo la quale la vista scompone i colori in messaggi “o uno o l’altro”: il sistema visivo quindi codifica solo per il rosso o il verde, il giallo o l’azzurro, il bianco o il nero. Si codifica il colore come una coppia in cui un determinato colore impedisce il passaggio al colore opposto. Entrambe le teorie sono corrette: la teoria tricomatica riguarda la retina in cui sono stati riscontrati tre diversi tipi di coni (iodopsina, fotospina, retinene). Nei bastoncelli invece, il pigmento fotosensibile è la rodopsina. Ciascun tipo di iodopsina è più sensibile ad un certo tipo di luce. I tre tipi di coni generano impulsi nervosi con intensità diverse per produrre diverse sensazioni di colori a livello corticale. La teoria dei processi opposti è valida per spiegare cosa accade a livello delle vie nervose del sistema visivo e a livello corticale dopo che l’informazione sensoriale è partita dall’occhio. 37 Costruzione dei colori Il colore percepito di un oggetto è influenzato dai colori degli altri oggetti vicini. Ciò prende il nome di à contrasto cromatico simultaneo perché l’attività dei neuroni in un’area della corteccia visiva è influenzata dall’attività delle aree vicine. La percezione del colore viene costruita attivamente a livello corticale. Il cervello non si limita più ad avere informazioni sensoriali sui colori, ma deve generare il colore dei dati ricevuti. Ecco perché il contrasto cromatico simultaneo può far cambiare enormemente la percezione di un dato colore se accostato ad un altro. 3.3.2 Cecità ai colori assoluta e parziale La à cecità ai colori è l’incapacità di percepire i colori. Chi è affetto da questa condizione è privo di coni, oppure i coni non funzionano in modo normale. La cecità assoluta ai colori è rara. Nella à cecità ai colori parziale, invece, non vengono percepiti solo alcuni colori. La cecità ai colori è causata da mutazioni nei geni che controllano i diversi tipi di iodopsina sensibili al rosso, verde e blu nei coni. La cecità al verde-rosso è una caratteristica legata al sesso, ossia è collegata al cromosoma X femminile. 3.4 Adattamento al buio L’adattamento al buio indica un marcato aumento della sensibilità della retina alla luce che si verifica entrando in un luogo non illuminato. Sono necessari dai 30 ai 35 minuti di oscurità completa per raggiungere la massima sensibilità visiva. A quel punto gli occhi diventano 100.000 volte più sensibili alla luce. Perché avviene ciò? Quando coni e bastoncelli vengono colpiti dalla luce, si ha una scissione di iodopsine e rodopsina nelle loro componenti. Per recuperare la sensibilità alla luce, tali pigmenti devono ricrearsi, cosa che richiede qualche tempo. Si aumenta, dunque, la rodopsina. 3.5 L’udito Per stimolo uditivo s’intende una forma di energia che si propaga sotto forma di una serie di invisibili onde di compressione e di rarefazione nell’aria. Per à onde sonore dunque s’intende qualsiasi oscillazione ritmica delle molecole nell’aria. Le dimensioni delle onde sonore sono: a. la frequenza: il numero di onde al secondo: corrisponde alla percezione di altezza del suono (acuto vs grave), l’orecchio umano riesce a captare fra i 20 e i 20.000 Hertz (oscillazioni al secondo). Le frequenze della voce sono comprese tra i 250 e i 4000 Hz. b. l’ampiezza: corrisponde alla percezione del volume cioè dell’intensità del suono che dipende dalla pressione esercitata dalle onde sonore sul timpano La misura dell’intensità del suono avviene su una scala logaritmica di cui l’unità di misura è il decibel. 38 3.5.1 Come si odono i suoni L’udito comporta una complessa serie di eventi che iniziano dal padiglione auricolare: la parte esterna e visibile dell’occhio. a. L’orecchio esterno agisce come un imbuto in cui vengono convogliate le onde sonore. b. Le onde sonore raggiungono il meato acustico o condotto uditivo, che amplifica di 10 volte le frequenze comprese tra i 2.500 e i 5.500 Hz. c. Le onde sonore giungono alla membrana del timpano, facendola vibrare. d. La vibrazione della membrana sollecita tra minuscoli ossicini uditivi: martello, incudine e staffa. e. I tre ossicini uditivi mettono in contatto il timpano con la coclea ovvero un canale osseo a forma di chiocciola che costituisce l’orecchio interno. La staffa è a contatto con una membrana sulla coclea, detta finestra ovale la quale muovendosi avanti e indietro provoca onde nel liquido che si trova all’interno della rampa vestibolare detta à perilinfa. f. La pressione generata si trasmette attraverso la membrana di Reissner al dotto cocleare. g. Dal dotto cocleare l’informazione passa alla membrana basilare e successivamente sulle à cellule ciliate le quali captano le onde che si propagano attraverso l’endolinfa contenuta nel dotto. Le cellule ciliate sono recettori acustici che costituiscono, insieme alle cellule di sostegno, l’organo del Corti, il vero organo sensoriale uditivo. h. Le stereociglia, cellule poste sulla parte apicale di ogni cellula ciliata, sfiorano la membrana tectoria quando le onde sonore si propagano nell’endolinfa. Quando le sterociglia si flettono, avviene la trasduzione delle onde sonore in impulsi nervosi che vengono inviati alla corteccia uditiva controlaterale. 39 Suoni alti e suoni bassi Secondo la à teoria della frequenza quando l’altezza del suono supera i 4.000Hz, impulsi nervosi di frequenza corrispondente vengono inviati al nervo acustico. (800Hz = 800 impulsi al secondo). Secondo questa ipotesi, la discriminazione in frequenza del sistema uditivo è il risultato di un codice temporale dei suoni nella frequenza di scarica delle fibre uditive. Secondo invece la à teoria del principio di sede tonalità diverse attivano aree specifiche della coclea. La risposta della membrana basilare ai suoni di diversa frequenza dipenderebbe, infatti, dalle sue proprietà elastiche che variano dalla base, relativamente stretta e rigida, all’apice, che invece è più largo ed elastico. Detto ciò: – i toni acuti vengono percepiti alla base, vicino la finestra ovale (16.000 – 2.000 Hz); – i toni gravi sollecitano l’apice della coclea (2.000 – 250 Hz). Ipoacusie Esistono due tipi di acusie: l’ipoacusia conduttiva e l’ipoacusia neurosensoriale. à L’ipoacusia conduttiva si verifica quando il trasferimento delle vibrazioni dall’orecchio esterno all’orecchio interno è troppo debole. Si verifica a causa di malattie o lesioni. In alcuni casi è necessario installare un aparecchio acustico, che rende i suoni più alti e più chiari. à L’ipoacusia neurosensoriale invece, si verifica quando si ha un danneggiamento delle cellule ciliate dell’orecchio interno o del nervo acustico. Diversi lavori, hobby e passatempi possono portare ad una à sordità indotta dal rumore: una forma piuttosto comune di ipoacusia neurosensoriale che si verifica quando dei rumori molto forti danneggiano le cellule ciliate. Le cellule ciliate una volta distrutte non si possono riparare, tuttavia in molti casi di sordità neurosensoriale, “basta” bypassare le cellule ciliate stimolando direttamente il nervo acustico. Gli impianti di ultima generazione, infatti, si basano molto sulla teoria del principio di sede per separare i toni acuti da quelli gravi. Un’esposizione quotidiana di minimo 85db può provocare una sordità permanente. Anche brevi periodi a 120db (concerto rock) possono causare uno spostamento temporaneo di soglia (sordità parziale e transitoria). Una breve esposizione a 150db (in prossimità di un jet) può provocare una sordità permanente. 3.6 L’olfatto Come avviene la trasduzione dello stimolo olfattivo? 1. L’aria entra nel vestibolo nasale in cui si aprono le due narici: ha la prima funzione di filtrare l’aria in ingresso. 2. Il vestibolo nasale

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