La Filosofia Ellenistica PDF
Document Details
Uploaded by Deleted User
Tags
Summary
Questo documento presenta un'introduzione alle filosofie ellenistiche, coprendo argomenti quali la società e la cultura in quest'epoca, la separazione tra scienza e filosofia, il bisogno di una nuova filosofia e le scuole filosofiche ellenistiche, inclusiva una breve descrizione di Epicuro e dello Stoicismo.
Full Transcript
Le filosofie ellenistiche Indice I. La società e la cultura in età ellenistica II. La separazione tra scienza e filosofia III. Il bisogno di una nuova filosofia IV. Le scuole filosofiche ellenistiche V. Epicuro I La società e la cultura in età ellenisti...
Le filosofie ellenistiche Indice I. La società e la cultura in età ellenistica II. La separazione tra scienza e filosofia III. Il bisogno di una nuova filosofia IV. Le scuole filosofiche ellenistiche V. Epicuro I La società e la cultura in età ellenistica La società e la cultura in età ellenistica ❑ Per "ellenismo" o "età ellenistica" si intende il periodo successivo alla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e alla sua unificazione del mondo antico nel segno della cultura greca. ❑ Con la scomparsa improvvisa del conquistatore, prende avvio e si sviluppa una civiltà "universalistica", caratterizzata dall'ellenizzazione dei paesi conquistati e dalla simbiosi della cultura greca con quella orientale. L'influsso dell'Oriente, in particolare, si estende oltre i confini dell'impero di Alessandro, giungendo fino all'India, che a sua volta lo trasmette alla Cina. ❑ Il trionfo di questo nuovo mondo storico-politico coincide con la frantumazione delle forme istituzionali dell'Ellade e con la crisi delle póleis. La Grecia, inglobata in un'organizzazione politica multinazionale, l'Ellade, perde sostanzialmente la propria libertà e vede la fine dell'antica democrazia assembleare. La nuova realtà politica è ormai costituita da una serie di monarchie assolute e orientaleggianti. ❑ Al "cittadino" dell'età classica subentra il "suddito" dell'età ellenistica. II La separazione tra scienza e filosofia La separazione tra scienza e filosofia ❑ Gli scienziati-professori della biblioteca e del Museo di Alessandria sono stipendiati dallo Stato e possono quindi attendere con tranquillità alle loro investigazioni. Questo determina una grande fioritura delle discipline particolari ("specializzazione" o divisione del sapere in molteplici branche). ❑ Così le singole discipline perdono ogni relazione con la filosofia. Platone e Aristotele trattavano con perizia anche di matematica, astronomia e scienze naturali, e lo scienziato era sempre anche un filosofo. Nell'età ellenistica i filosofi restringono i loro interessi alle interpretazioni generali dell'universo, della conoscenza e della morale. E, reciprocamente, gli scienziati manifestano la propensione a occuparsi di problemi specifici, al di fuori di ogni connessione con il discorso filosofico. ❑ Questo " divorzio" culturale trova riscontro anche nella dislocazione geografica della cultura, che fa capo a due centri: Atene, antica sede di studi filosofici, e Alessandria, nuovo centro di ricerche scientifiche o, comunque, specialistiche. ❑ Tuttavia il fatto la scienza ellenistica non è del tutto priva di uno sfondo filosofico: infatti, dal punto di vista delle strutture logico-concettuali e metodologiche rappresenta il punto di arrivo della lunga tradizione che aveva portato dai filosofi ionici fino ad Aristotele. III Il bisogno di una nuova filosofia Il "bisogno" di una nuova filosofia ❑ Nel clima di generale insicurezza e di "fuga nel privato" che caratterizza quest'età di sconvolgimenti politici, sociali e culturali, al pensiero filosofico si chiede sostanzialmente di orientare due cose: - da un lato una visione unitaria e complessiva del mondo; - dall'altro la vita: si cercano parole di saggezza e di serenità, capaci di indirizzare la vita quotidiana degli individui. ❑ Gli interrogativi dominanti di questo momento storico, che la filosofia registra e stimola nello stesso tempo, sono quelli esistenziali riguardanti il destino individuale: la felicità, il dolore, il piacere, la morte, la virtù, l'imperturbabilità ecc. ❑ Si assiste cosi a una spoliticizzazione del discorso filosofico: il progetto platonico di mettere il sapere al servizio di una riforma della società è ormai tramontato. ❑ Il rapporto tra la filosofia e il suo pubblico viene assimilato alla relazione tra il terapeuta e il paziente: la vita, con le sue immancabili delusioni è la malattia; il filosofo, con le sue dottrine, è il medico. Farmacista delle angosce, chirurgo delle false opinioni, erborista delle intossicazioni del vivere sociale, il filosofo viene gradualmente ad assolvere un compito "consolatorio", analogo a quello assolto dalla religione, poiché si propone di condurre gli uomini alla salvezza personale, liberandoli dalle superstizioni e dai timori della mente di fronte alle cose (gli epicurei), dalle stolte credenze (gli stoici) e dalle boriose dottrine dei dogmatici (gli scettici). ❑ La filosofia come terapia mentale ed esistenziale, come via per la serenità: questo è l'obiettivo principale perseguito dalle grandi scuole filosofiche dell'ellenismo. IV Le scuole filosofiche ellenistiche Le scuole filosofiche ellenistiche ❑ La scissione della filosofia dalla vita politica e dalle scienze si accompagna a una nuova impostazione delle scuole filosofiche. ❑ Nell'Accademia platonica, ad esempio, non era infrequente la presenza di uditori che esprimevano apertamente il proprio disaccordo con Platone, dando origine a dispute anche significative. ❑ Nell'ellenismo, invece, i maestri insegnano solo la loro filosofia, e si aspettano dai loro seguaci un'adesione incondizionata e piena (dogmatismo). In tal modo le varie scuole si riducono spesso a comunità di iniziati, caratterizzate al loro interno da una scarsa attitudine alla discussione e dal culto dei "capi-scuola". I contatti con l'esterno sono estremamente limitati e ridotti perlopiù a ingenerose polemiche con le scuole avversarie. ❑ Va poi ricordato che le filosofie ellenistiche - almeno quelle più ampie, cioè l'epicureismo e lo stoicismo si propongono come sistemi completi, come visioni esaustive che forniscono agli adepti gli strumenti per comprendere la totalità degli aspetti del mondo. Le scuole filosofiche ellenistiche ❑ Altri due tratti caratteristici della filosofia di questo periodo sono il tendenziale orientalismo e l'esplicito cosmopolitismo. ❑ L'ellenizzazione dell'Oriente mostra infatti, come altra faccia della stessa medaglia, una certa orientalizzazione della mentalità ellenica, destinata a radicalizzarsi ulteriormente nell'ultima fase della filosofia greca. La ricerca di una "via della salvezza" per l'individuo e la rassegnazione di fronte all'esistenza sono per il momento gli esempi più vistosi di tale mentalità "orientale", che più tardi si manifesterà nell'interesse per l'astrologia, per la religione e per le scienze occulte. ❑ All'individualismo apolitico delle filosofie ellenistiche corrisponde inoltre l'aspirazione a un'unità cosmopolitica tra i popoli, capace di andare oltre le barriere tra le nazioni. ❑ La filosofia del periodo ellenistico, a parte la scuola cinica, è fondamentalmente costituita da tre grandi indirizzi: l'epicureismo, che è la dottrina della scuola fondata ad Atene da Epicuro; lo stoicismo, che prende il nome dal Portico (in greco Stoà) in cui era situata ad Atene la scuola fondata da Zenone di Cizio; lo scetticismo, che non costituisce una scuola in senso stretto, ma un indirizzo di pensiero seguito da scuole filosofiche diverse. V Epicuro La scuola epicurea ❑ La scuola ateniese di Epicuro aveva sede nel giardino del filosofo, sicché i suoi seguaci furono chiamati filosofi del "Giardino". L'autorità di Epicuro sui suoi discepoli era grandissima. Come le altre scuole, anche quella epicurea costituiva un'associazione di carattere religioso, ma la "divinità" a cui essa faceva riferimento era il suo stesso fondatore. I seguaci e gli amici del filosofo furono numerosissimi, e tra essi non mancarono le donne, che erano ammesse alle lezioni della scuola. ❑ Nonostante questa apertura, e nonostante le amicizie epicuree fossero famose in tutto il mondo antico per la loro nobiltà, nessuno dei discepoli di Epicuro apportò un con- tributo originale alla dottrina del maestro. La filosofia come quadrifarmaco ❑ Epicuro vede nella filosofia la via per raggiungere la felicità, intesa come liberazione dalle passioni. ❑ Il valore della filosofia è dunque puramente strumentale, in quanto il suo fine è la felicità. ❑ Mediante la filosofia l'uomo si libera da ogni desiderio irrequieto e molesto, oltre che dalle opinioni irragionevoli e vane e dai turbamenti che ne derivano. ❑ Il ruolo della filosofia consiste pertanto nel fornire all'uomo un «quadruplice farmaco», ovvero un quadrifarmaco capace di: 1. liberare gli uomini dal timore degli dèi, dimostrando che questi ultimi, per la loro natura beata, non si occupano delle faccende umane; 2. liberare gli uomini dal timore della morte, dimostrando che essa non è nulla per l’uomo: quando ci siamo noi, la morte non c'è; quando c'è la morte, non ci siamo noi (Lettera a Меnесео, 125); 3. dimostrare l'accessibilità del piacere, cioè la sua facile raggiungibilità; 4. dimostrare la lontananza del male, cioè la brevità e la provvisorietà del dolore. La dottrina epicurea manifesta quindi chiaramente la tendenza dell'intera filosofia post-aristotelica a finalizzare la ricerca speculativa a un obiettivo pratico.. La canonica o logica (teoria della conoscenza) ❑ Se dal punto di vista pratico la filosofia epicurea è una "cura" dell'anima, dal punto di vista teorico essa si distingue in tre parti: la canonica, la fisica e l'etica. ❑ Epicuro chiama canonica la logica, o meglio la teoria della conoscenza, in quanto la considera diretta essenzialmente a fornire il criterio della verità, cioè il «canone», o la regola, in grado di orientare l'uomo sia nella conoscenza sia, di conseguenza, nella ricerca della felicità. ❑ Tale criterio della verità è costituito per Epicuro dalle sensazioni, dalle anticipazioni e dalle emozioni. ❑ Le sensazioni sono prodotte nell'uomo dal flusso degli atomi che si staccano dalla superficie delle cose (secondo la teoria di Democrito). I flussi di atomi, infatti, formano delle immagini (éidola) che sono in tutto simili alle cose da cui sono prodotte. ❑ Da queste immagini derivano in noi le sensazioni. Dalla combinazione di due o più immagini diverse derivano le rappresentazioni fantastiche: ad esempio, la rappresentazione del centauro deriva dall'unione dell'immagine dell'uomo con quella del cavallo. ❑ Dalle sensazioni (ovvero dalle immagini che le causano) ripetute e conservate nella memoria derivano anche le rappresentazioni generiche, o i concetti, che Epicuro chiama anticipazioni. La canonica o logica (teoria della conoscenza) ❑ I concetti, infatti, non sono che immagini generiche, o schematiche, mediante le quali noi possiamo "anticipare" le sensazioni future: ad esempio, se qualcuno ci dice "sta arrivando un uomo", nella nostra mente si forma subito, sulla base delle sensazioni passate, l'immagine generica di un uomo che anticipa l'esperienza che sto per vivere (la vista di un uomo in carne e ossa). ❑ Ora, la sensazione è sempre vera ed evidente. Infatti non può essere confutata da una sensazione omogenea, che la conferma, né da una sensazione diversa, che, provenendo da un altro oggetto, non può contraddirla. ❑ La sensazione è dunque il criterio fondamentale della verità. Ma poiché anche i concetti, o le anticipazioni, derivano dalle sensazioni, anch'essi sono veri ed evidenti, e insieme con le sensazioni costituiscono il criterio fondamentale della verità. Il criterio basilare della verità, è l'evidenza (in greco enérgheia), cioè la manifestazione incontrovertibile delle cose alla nostra mente: la base fondamentale di tutto è l'evidenza. ❑ Evidenti quanto le sensazioni e i concetti sono le emozioni, che infatti rappresentano per Epicuro il terzo criterio di verità. Le emozioni consistono nel piacere o nel dolore che accompagnano le sensazioni, e hanno un ruolo di fondamentale importanza, poiché costituiscono la norma per la vita pratica: sono il criterio fondamentale dell'etica. ❑ Dato che le sensazioni, i concetti e le emozioni sono sempre veri, in essi non può sussistere l'errore, che può invece sussistere nell'opinione, ovvero nei giudizi che formuliamo a partire dai concetti. ❑ L'opinione può essere vera o falsa: è vera se è confermata, o almeno non contraddetta, dalla testimonianza dei sensi, mentre è falsa in caso contrario. Attenendosi ai fenomeni, quali ci sono manifestati dalle sensazioni, si può, con il ragionamento, estendere la conoscenza anche a cose che alla sensazione restano nascoste; ma la regola basilare del ragionamento rimane quella che prescrive il più stretto accordo possibile con quanto ci appare come evidente, cioè con i fenomeni percepiti. VI Lo Stoicismo La scuola stoica ❑ Il fondatore della scuola stoica fu Zenone di Cizio, che intorno al 300 a.C. riunì i propri allievi nel "Portico dipinto" (Stoá poikile) di Atene. ❑ Gli stoici intesero la filosofia come esercizio della virtù e, poiché riconoscevano tre virtù principali (razionale, naturale e morale), dedicarono i propri studi ai tre corrispondenti ambiti filosofici: la logica, la fisica e l'etica. La logica ❑ La logica stoica include due grandi sezioni: - la prima si occupa del processo della conoscenza, - la seconda studia invece i meccanismi e le forme del ragionamento. ❑ 1) La nozione fondamentale della teoria stoica della conoscenza è quella di "rappresentazione catalettica", espressione che indica quel tipo di rappresentazione che, per il suo carattere evidente, costituisce il criterio della verità. ❑ Gli stoici la interpretano come a) l'azione dell'oggetto che imprime la propria immagine sull'intelletto e, insieme, come b) l'atto dell'intelletto che "afferra" e "comprende" l'oggetto accordando il proprio "assenso" alla rappresentazione. ❑ Per gli stoici tutta la conoscenza deriva dunque dai sensi: l'anima è una sorta di tabula rasa su cui sono registrate le impressioni sensibili. Dall'accumulo di queste impressioni si formano i concetti, che sono definiti anche "prolèssi" o "anticipazioni", in quanto si tratta di "schemi" che anticipano le esperienze future. ❑ I concetti degli stoici non sono, come per Aristotele, le essenze delle cose, ma semplicemente segni che "stanno per" un determinato insieme di oggetti. Su questa base, gli stoici elaborano un'originale teoria del significato, secondo cui, dietro ogni nostro concetto, esiste sempre una relazione triadica che unisce un significante (la parola che lo esprime), un significato (il concetto stesso, ovvero la rappresentazione mentale corrispondente a quella parola) e un oggetto (la cosa concreta espressa dalla parola). La logica ❑ 2) Per quel che invece riguarda la teoria del ragionamento, gli stoici identificano il ragionamento per eccellenza non nel sillogismo aristotelico, ma nel ragionamento anapodittico, ovvero non-dimostrativo, che collega tra loro non singoli termini ma proposizioni, in modo tale che la conclusione risulti immediatamente evidente. ❑ Ogni altro tipo di ragionamento, secondo gli stoici, è riconducibile a questa forma, la quale a sua volta si articola in cinque figure di base. La fisica e l’etica ❑ La fisica stoica si impernia sull'idea di un ordine immutabile, razionale, perfetto e necessario che governa ogni cosa e che si identifica con la divinità. ❑ I due principi alla base di tutta la realtà sono: - da una parte la materia, principio passivo su cui agisce - Dio, principio attivo di natura corporea: caldo soffio vitale e «ragione seminale del mondo» che vivifica la materia determinando la nascita dei singoli esseri e l'alternarsi dei cicli cosmici. ❑ L'etica stoica si fonda sul precetto del «vivere secondo natura», ovvero rispettando l'ordine razionale (il lógos) che regola l'universo. Le azioni conformi alla natura, o alla ragione, costituiscono per gli stoici l'ambito del dovere, e la scelta del dovere, ripetuta e consolidata fino a diventare una disposizione costante (un "abito", cioè un'abitudine), coincide con la virtù, che secondo gli stoici è l'unico bene. ❑ Gli stoici negano il valore delle emozioni, che non solo non hanno alcun ruolo all'interno dell'ordine razionale del Tutto, ma anzi sono "malattie dell’anima" che colpiscono solo gli stolti. ❑ Il sapiente, invece, è colui che coltiva l'apatia, ovvero il totale distacco dalle emozioni.