Gestione della comunicazione finanziaria PDF

Summary

This document discusses various aspects of financial communication within a business context. It covers different communication types, such as commercial, internal, and financial communication, and highlights their respective roles. Particularly, it emphasizes the importance of financial communication in attracting investors while also considering factors like environmental, social, and governance (ESG) criteria. This document appears to be an academic or professional work on business or finance, possibly a chapter of a textbook or similar reference guide.

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La comunicazione d’impresa può essere di natura diversa: Comunicazione commerciale: forma di comunicazione destinata, in modo diretto o indiretto, a promuovere beni, servizi o l’immagine di un’impresa o di un’organizzazione che esercita un’attività commerciale o industriale....

La comunicazione d’impresa può essere di natura diversa: Comunicazione commerciale: forma di comunicazione destinata, in modo diretto o indiretto, a promuovere beni, servizi o l’immagine di un’impresa o di un’organizzazione che esercita un’attività commerciale o industriale. È importante comunicare con il cliente, fare in modo che esso apprezzi i servizi offerti. Comunicazione interna aziendale: rivolta ai dipendenti, da un contributo fondamentale alla motivazione e alla diffusione di conoscenza dei dipendenti. Comunicazione finanziaria: è quella meno conosciuta ma di grande importanza. Ha come oggetto la relazione fra l’impresa e i suoi finanziatori dal punto di vista dei contenuti e degli strumenti della comunicazione. Tutte le imprese hanno bisogno di finanziamenti, altrimenti non potrebbero produrre, fare investimenti o pagare stipendi. In quest’ottica, le imprese sono in competizione tra di loro: tutte cercano di attirare i finanziatori dalla loro parte. Le imprese, quindi, competono sia sul mercato dei beni e servizi, dove il numero dei competitors è relativamente circoscritto dato che non tutte operano nello stesso settore; sia sul mercato dei finanziamenti, dove la competizione è molto più spinta. Attraverso la comunicazione finanziaria è possibile convincere i finanziatori a concedere all’impresa le risorse finanziarie di cui necessita. Queste risorse hanno un costo: i finanziamenti comportano costi di remunerazione per quanto riguarda i finanziatori e, attraverso la comunicazione finanziaria, è possibile incidere sulla quantità di risorse e sul loro costo (raccogliere quanto serve, al minor costo). La comunicazione finanziaria ha dei contenuti particolari e fornisce informazioni che permettono ai finanziatori di scegliere se concedere o meno il finanziamento e a quale costo. Si differenzia dalla comunicazione commerciale, gestionale e da altre comunicazioni d’impresa anche per i contenuti che riguardano la finanza d’impresa. I destinatari sono molteplici e i suoi contenuti possono arrivare all’attenzione di destinatari diversi interessati allo stato di salute dell’impresa: i finanziatori; i dipendenti; i collaboratori dell’impresa; i clienti, soprattutto per quanto riguarda i beni durevoli; le altre imprese, per ragioni di natura concorrenziale; i fornitori dell’impresa; lo Stato che attraverso le imposte raccoglie denaro dall’impresa; la comunità locale. Interessa una pluralità di soggetti con caratteristiche e obiettivi diversi ma che raccolgono informazioni precise attraverso questo tipo di comunicazione. Per comunicare, si utilizzano strumenti e mezzi di comunicazione. Alcuni di essi sono presenti anche in altre forme di comunicazione d’impresa, altri sono specifici della comunicazione finanziaria. Nel tempo, è cresciuta la necessità di conoscere da parte degli investitori ed è sempre più necessaria una visione d’insieme che inglobi vari strumenti e mezzi di comunicazione: 0 Investor relations → le relazioni con gli investitori, gestite da figure professionali (Investor Relations Officer) che sono il fulcro di questo tipo di comunicazione e si occupano di gestire i rapporti con gli investitori e, più in generale, con la totalità degli intermediari. È uno strumento specifico. Comunicato stampa → è uno strumento presento anche in altre forme di comunicazione ed è la forma imposta dalla normativa per rendere pubbliche le informazioni privilegiate. Media → la comunicazione finanziaria viene diffusa sui media esperti in questo campo. IlSole24Ore è il quotidiano finanziario più diffuso in Italia che affronta tematiche finanziarie. Bilancio → è uno strumento specifico ed è un documento che riassume e presenta la situazione contabile dell’impresa, rendendone chiari gli andamenti economici. Interviste e conferenze stampa → le interviste vengono rilasciate in determinate occasioni: quando si presenta il nuovo piano industriale o i risultati di bilancio. In genere si organizzano degli incontri chiamati “earnings call” (chiamata sugli utili), si tratta di conferenze stampa nelle quali una società pubblica discute i risultati finanziari di un periodo di riferimento. Ci sono due tipi di comunicazione finanziaria: La comunicazione finanziaria primaria, rivolta direttamente ai finanziatori; La comunicazione finanziaria derivata, ossia prodotta da altri soggetti che rielaborano la comunicazione primaria (come i media), viene filtrata dai media. Attraverso la comunicazione finanziaria si veicolano informazioni (dati) sull’impresa che devono necessariamente essere trasparenti: la trasparenza è importante e consente di evitare i conflitti d’interesse che si generano quando gli interessi tra aziende e finanziatori sono diversi. I finanziatori ci parlano attraverso le reazioni alle notizie, ai contenuti della comunicazione finanziaria e per poter codificare tali reazioni abbiamo bisogno di conoscere gli investitori e capire quali sono i loro schemi di valutazione, abbiamo bisogno di conoscere le loro aspettative → la reazione dipende dalle aspettative. Il fine ultimo della comunicazione finanziaria è la creazione di valore in maniera sostenibile. Come si crea valore? Come lo si comunica? Value proposition (proposta di valore): claim che veicola l’intenzione da parte dell’impresa di fornire valore ai clienti dopo l’acquisto. Si cerca di creare una relazione tra impresa e cliente → cooperazione. Un’impresa che crea valore per i soggetti interessati è un’impresa da finanziare. La creazione di valore dipende dalle decisioni che si prendono. Oggi l’impresa impegnata nella creazione di valore è impegnata anche a promuovere il suo impegno ambientale, il rispetto dei valori aziendali, la sostenibilità, l’etica sociale dell’azienda stessa o dell’investimento → i fattori ESG creano valore per gli azionisti: Environmental (dimensione ambientale): comprende tutti quei fattori che riguardano il rispetto e la tutela dell’ambiente; Social (dimensione sociale): riguarda il rispetto dei diritti umani e fondamentali per il lavoratore, la formazione e educazione professionale dei dipendenti, le best practices in materia di salute e sicurezza sul lavoro; Governance: considera tutti gli aspetti circa l’organizzazione e struttura della società, l’adozione di un codice etico ex D.lgs 231/2001, la politica di remunerazione dei dipendenti, programmi mirati a rafforzare la reputazione e la fiducia aziendale. L’orientamento alla creazione di valore non ha interessato da sempre le imprese, è un interesse recente. La reazione di valore estremo potrebbe essere controproducente: si punta alla creazione di valore sostenibile. 1 L’investimento sostenibile mira a creare valore per l’investitore e per la società nel suo complesso attraverso una tipologia di investimento orientata al medio-lungo periodo che, nella valutazione di imprese e istituzioni, integra l’analisi finanziaria, ambientale, sociale e di governance. La costruzione della governance del futuro parte da un dialogo attento con i grandi investitori istituzionali, dalla comprensione della loro visione e delle aspettative. Si tratta di un elemento di rottura rispetto al passato, quando la comunicazione era unidirezionale. La governance deve essere efficiente e la vera sfida del futuro sarà quella di divenire sempre più sostenibile. Il dialogo mira al coinvolgimento: si tratta di una forma di comunicazione finanziaria diversa. Termini utili: - Presentazione del piano strategico d’impresa o presentazione dei risultati di bilancio: un importante momento di incontro tra l’impresa e il mercato finanziario. - CEO (Chief Executive Officer): amministratore delegato. - Event study: lo studio degli eventi. Misura l’impatto di una notizia sui prezzi della Borsa, è la reazione del mercato alla comunicazione finanziaria. - Payout dividend: è la percentuale di dividendi che viene corrisposto ai soci. - NPL (Non Performing Loans): i prestiti che le banche non riescono a far rientrare (sofferenze). - Timing della comunicazione finanziaria: quando rendere noto il piano. - ESG (Environmental, Social and Governance): rating di sostenibilità che esprime l’impatto ambientale, sociale e di governance di un’impresa o di un’organizzazione che opera sul mercato. - Governance: l’insieme dei principi, delle regole e delle procedure che riguardano la gestione e il governo di una società, di un’istituzione. L’approccio della comunicazione finanziaria si basa sul marketing. Libro Cenni & Ferretti: il capitolo tratta la relazione rischio-rendimento, una legge fondamentale della finanza (lo troviamo in qualsiasi manuale di finanza). INDICE Decisioni finanziarie d’impresa e corporate purpose Struttura dello stato patrimoniale Struttura del conto economico Principali indici di bilancio Quozienti di borsa Valore finanziario del tempo Premio per il rischio e relazione rischio-rendimento (leggi fondamentali) Creazione di valore Corporate governance Conflitti d’interesse 2 LE DECISIONI FINANZIARIE D’IMPRESA E CORPORATE PURPOSE Secondo la teoria finanziaria classica, l'obiettivo ultimo dell’impresa (corporate purpose) è la massimizzazione del valore dell’impresa. Definizione di corporate purpose: è la capacità dell’azienda di distinguersi sul mercato generando valore di lungo termine per tutti i portatori di interesse (stakeholder). Non solo i clienti e gli azionisti, ma anche i business partner, i dipendenti e la collettività. Definizione di valore d’impresa: è un sistema di idee, modi di agire e attributi considerati “importanti” per sé e quindi tali da informare l’azione dell’impresa, o dell’organizzazione in genere. Il valore creato dall’impresa è dato dall’utilità che il mercato riconosce ai suoi prodotti misurata in termini di prezzo e di quantità vendute. Si distingue in: valore d’uso: utilità procurata al consumatore dalla disponibilità di un prodotto (punto di vista del consumatore); valore di scambio: prezzo al quale un prodotto può essere scambiato sul mercato (punto di vista del commercio). Cosa si intende per valore dell’impresa? Il valore è una consistenza (≠ dai flussi). Lo troviamo nei bilanci, in particolare nello Stato Patrimoniale: il valore dell’attivo e quello del patrimonio netto potrebbero essere presi in considerazione quando si vuole osservare il valore di un’impresa. Esiste il valore di tutta l’impresa (valore dell’attivo) e il valore delle sue azioni (patrimonio netto). Il valore che si legge nello Stato Patrimoniale è un valore contabile della società, definito applicando i principi contabili. Il valore contabile rappresenta effettivamente il valore dell’impresa, il valore dei suoi beni o la ricchezza degli azionisti? C’è un altro modo per misurare il valore? Si, è il valore di mercato di oggetti comparabili (in questo caso, un’altra impresa). Si tratta di un valore di scambio: l’oggetto è stato scambiato, c’è qualcuno disposto a pagare una cifra per acquisirlo e un altro disposto a venderlo per quella cifra. La teoria finanziaria dice che il valore da massimizzare, con cui si verifica la massimizzazione del valore è il valore di mercato e non il valore contabile. Spesso il valore contabile e il valore di mercato non coincidono. In un mondo ideale, senza conflitti di interesse, massimizzare il valore totale dell’impresa e massimizzare il valore delle sue azioni, non conduce a decisioni diverse. Nel mondo reale può non essere così e le decisioni possono essere diverse e si tende a massimizzare il valore delle azioni, la ricchezza degli azionisti. Le decisioni che consentono di incidere sul valore vengono assunte dai vertici aziendali al fine di perseguire l’obiettivo dell’impresa (massimizzare il valore di mercato delle azioni per l’impresa). Tali decisioni sono: 1. Decisioni di investimento Un’impresa nasce per fare e cercare buoni investimenti che creano valore: si tratta di investimenti il cui ritorno supera un certo tasso soglia (hurdle rate). Per essere considerato un buon investimento non è sufficiente che il suo rendimento abbia un esito positivo, ma deve essere superiore al tasso soglia. Il rendimento è introdotto con un termine preciso, ovvero “ritorno” dell’investimento. L’investimento funziona così: prima si spendono dei soldi per averne un ritorno. La differenza tra ciò che ho speso e il ritorno è il rendimento. Per stabilire il ritorno di un certo investimento, occorre calcolare i flussi di cassa, in uscita e in entrata (quando/ quanto esce ed entra) e gli effetti collaterali dell’investimento stesso. Il “quando” è importante per stabilire il valore finanziario del tempo, il timing. 3 Il tasso soglia (il tasso minimo accettabile) è la redditività minima dell’investimento. Per essere più specifici, il tasso soglia è il costo dei finanziamenti. Se l’investimento rende più del costo, allora è un buon investimento. Il costo dei finanziamenti non è solo il costo dei debiti ma anche dei mezzi propri, cioè il capitale di rischio dato dai soci, “equity” in inglese. I debiti hanno un costo, così come l’equity: il costo dei debiti è facilmente osservabile e, dunque, calcolabile; l’equity è un costo figurativo, non osservabile nel bilancio dell’impresa. Il debito ha un costo che è la remunerazione che chiede il finanziatore, l’equity ha un costo che è la remunerazione minima che chiede l’azionista per dare i soldi. Mentre nel debito c’è l’obbligo, da parte del debitore, di restituire il capitale preso a prestito e di corrispondere gli interessi pattuiti; nel caso delle azioni questi obblighi non ci sono e il contratto azionario non prevede un tasso di interesse da pagare. Quello di remunerare i soci non è un obbligo contrattuale ma una promessa. Gli azionisti danno soldi sottoscrivendo azioni, contando su questa promessa. La redditività minima ha dei punti di riferimento: il principale è il mercato dei capitali, su cui vengono scambiati soldi. Il costo del denaro, sia debiti sia redditi, è un costo che dipende dal rischio (relazione rischio- rendimento). Più alto è rischio, più alto è il rendimento e più alto è il tasso di soglia che cambia in base al rischio, non è uguale per tutti gli investimenti. Più gli investimenti sono rischiosi, più alto sarà il costo del denaro per finanziarli perché maggiore sarà il rischio che sopportano i finanziatori. Più rischiano gli azionisti, più rischiano i creditori, più alta sarà la remunerazione che pretendono. Il costo del denaro è un costo per l’impresa ma è un ricavo per gli azionisti → rendimento = costo. Il rischio dell’investimento che grava sui finanziatori è di due tipi: - Rischio operativo: è il rischio dell’investimento in sé e per sé. E’ il rischio che deriva dai flussi di cassa in entrata e in uscita dell’investimento, dalla loro incertezza (> incertezza = > rischio). - Rischio finanziario: è il rischio che deriva dalle modalità di finanziamento. Più è alto il peso dei debiti, maggiore è il rischio finanziario. 2. Decisioni di finanziamento Sono decisioni che riguardano le modalità di finanziamento dell’impresa (come va finanziato un certo investimento). Sono decisioni che riguardano il debito e l’equity. La decisione finanziaria iniziale da cui si parte è la struttura delle decisioni di finanziamento, ovvero il mix fra debiti ed equity. Il mix equivale alla leva finanziaria d’impresa -> è il rapporto fra debiti ed equity. L’ottimalità si misura in base agli effetti sul valore di mercato dell’impresa. La leva finanziaria ottima è quella che massimizza il valore di mercato dell’impresa. In certe condizioni, la leva finanziaria ottima è anche quella che minimizza il costo medio del capitale (delle fonti di finanziamento). Il debito è un insieme di tanti altri debiti diversi fra loro per scadenza, per struttura tecnica, per garanzie, per costo, per modalità di remunerazione ecc., e si deve scegliere quali debiti effettivamente attivare, a breve o medio termine, il loro profilo temporale deve essere coerente con quello dell’investimento. Anche l’equity è composta da diverse categorie di azioni come azioni ordinarie, azioni privilegiate, azioni di risparmio ecc. e ogni tipologia ha un suo costo. Ci sono poi gli strumenti ibridi che hanno alcune caratteristiche dei debiti e alcune dell’equity. Trovare la combinazione giusta spetta al direttore finanziario ma è necessario che le sue decisioni creino valore. 3. Decisioni sui dividendi (decisione sulla remunerazione dei soci) L’azienda genera utili e deve decidere se e come distribuire gli utili (i dividendi) ai suoi soci. 4 La regola generale è la seguente: si distribuiscono gli utili se l’impresa non ha buone occasioni di investimento e non ha buone prospettive di crescita. Saranno poi gli azionisti a decidere come investire quei soldi in modo profittevole. La modalità tradizionale per la distribuzione dei dividendi è il pagamento dei debiti. Un’altra modalità è quella del pay back (riacquisto): l’azienda ricompra le azioni dei soci, restituendo i soldi agli azionisti. La scelta dell’una o dell’altra modalità è influenzata dalla normativa fiscale dato che esse comportano una fiscalità diversa (in America si usa la modalità pay back). ❖ Il nuovo paradigma della creazione di valore: lo stakeholderism e gli investimenti ESG Articolo Il Sole24Ore 13 aprile 2021 “Le società per azioni hanno un compito: fare più utili possibili” Gli utili sono un valore contabile che non sempre corrisponde al valore di mercato. Il capitalismo degli azionisti (shareholder capitalism) è il capitalismo nel quale la corporate purpose crea valore per gli azionisti. Nell’articolo si suggerisce che esso debba essere sostituito con qualcos’altro: il capitalismo degli stakeholders (shakeholders capitalism). Secondo questa visione, lo scopo dell’impresa è la creazione di valore non solo per gli azionisti ma anche per altri soggetti che ruotano intorno all’impresa: i portatori d’interesse. Gli stakeholders sono tutti quei soggetti che hanno un interesse nei confronti dell’impresa e che possono influenzarne l’attività o essere influenzati da essa. Nell’articolo, si suggerisce di adottare i principi dello stakeholderism e degli investimenti ESG: le decisioni finanziarie devono tener conto anche di questi aspetti; i principi ESG influenzano la direzione dell’attività d’impresa. Questo cambio di paradigma rinnega il principio reso popolare da Milton Friedman, un economista della Scuola di Chicago → una e una sola è la responsabilità sociale dell’impresa: fare quanti più profitti possibile, rispettando le regole fondamentali della società (leggi e costumi etici). Secondo tale principio, l’impresa ha la responsabilità di produrre beni e servizi che la società desidera e di venderglieli con profitto. Fare profitto è il suo impegno etico e lo shareholder value è la metrica con cui misurarlo, con cui prendere le decisioni. Lo stakeholderism richiede di scegliere tra varie constituency (dipendenti, fornitori, clienti, ambiente esterno) in base a criteri arbitrari e spesso dettati dalla politica perché non ci sono ancora metriche sufficientemente adeguate a misurare la creazione di valore per diversi soggetti. Dal 2021 ad oggi, la visione che prevale è quella dello stakeholder capitalism: la comunicazione finanziaria ha fatto proprio questo paradigma → vi rientrano le tematiche ambientali, sociali, etiche che attraggono finanziamenti. Nel passaggio dallo shareholder capitalism allo stakeholder capitalism c’è una data evento: agosto 2019. In questa data la Business Roundable ha emanato uno statement: lo Statement on the Purpose of a Corporation che aveva come oggetto la corporate purpose. L’associazione riunisce gli amministratori delegati e i presidenti delle duecento aziende più importanti in America. Lo Statement dice che “mentre ognuna delle nostre compagnie segue la propria corporate purpose, noi condividiamo una responsabilità fondamentale nei confronti degli stakeholders”. Questa responsabilità riguarda: La creazione di valore per i clienti attraverso i servizi, oltre le loro aspettative; Gli investimenti nei collaboratori (equità nella retribuzione, attività di addestramento e formazione, spinta alla diversità e all’inclusione, accrescere il capitale umano, promuovere dignità e rispetto); 5 Avere un rapporto giusto ed etico con i fornitori (trattati come partner); Sostenere le comunità nelle quali si lavora (rispettare le persone, proteggere l’ambiente adottando pratiche sostenibili in tutti i campi in cui si opera); Generare un valore di lungo termine per gli azionisti (assumere impegni sul fronte della trasparenza ed effettivo coinvolgimento (engagement) con gli shareholders). Ogni stakeholder è essenziale e il valore deve essere creato per ciascuno di loro, perché il successo del futuro delle compagnie, delle comunità e del Paese dipende da loro. Lo stakeholder capitalism diventa la nuova normalità, il mainstream. Così facendo, l’impresa persegue gli interessi di una platea più ampia. Come avviene questo perseguimento di interessi? Su base volontaria? Elizabeth Warren voleva creare una legge apposita. Articolo IlSole24ORE 23 agosto 2019 LA CARTA DI BUSINESS ROUNDTABLE La carta di Business Roundtable. Manca lo Stato nella svolta etica di Wall Street. Di fatti, lo Stato è totalmente assente dalla dichiarazione, come se non avesse nessun ruolo. In realtà lo Stato è importante → alla dichiarazione sembra che le imprese abbiano abbastanza fondi e risorse da poter far tutto da sole, inclusa la produzione e gli investimenti (profitti), la promozione del benessere dei lavoratori e delle comunità in cui operano, l’auto-regolazione della qualità dei prodotti. Lo Stato dovrebbe essere capace di coordinare, regolare, sancire, tassare e spendere: in questo modo è indispensabile alla creazione delle società inclusiva che le imprese vogliono promuovere. Altro protagonista: la categoria degli hedge funds americani. Fanno parte del mondo dei finanziatori investono soldi raccolti dai risparmiatori in modo diversi dai fondi tradizionali. Dialogano con le imprese e si occupano di comunicazione finanziaria. Perché passare al nuovo paradigma? Perché l’economia deve essere sostenibile ma, se i benefici vanno solo a qualcuno, non lo è: il passaggio è fondamentale dato che le disuguaglianze sono sempre più diffuse. Il capitalismo è stabile se riesce far crescere la produzione di beni e servizi, stimolando l’innovazione, l’invenzione e il progresso tecnico. Lasciato a sé stesso si è dimostrato incapace di diffondere equamente i benefici della crescita. Articolo 30 novembre 2019. Professionisti del risparmio Rispetto alla dichiarazione, come siamo messi in Italia? La governance italiana è ancora orientata alla shareholder value e l’apertura alla sostenibilità è ancora limitata. In Inghilterra si è modificata la normativa inserendo nel diritto societario una norma che stabilisce tra i doveri dell’amministratori “il successo della società, a beneficio dei suoi azionisti e tenendo conto degli interessi dei suoi stakeholders”. Anche in Francia la normativa prevede che “la società è gestita nell’ambito dell’interesse sociale, prendendo in considerazione le questioni sociali e ambientali”. In Italia, invece, il diritto societario è orientato allo shareholder value e si potrebbero presentare problemi giuridici qualora l’amministratore volesse aprirsi ad altri interessi. Vista la regolamentazione comunitaria e attraverso l’autodisciplina si potrebbero creare spazi per un’apertura degli interessi, in particolare per quanto riguarda la sostenibilità, orientamento che potrebbe trovare spazio nel Codice di autodisciplina delle società quotate, revisionato di recente. 6 Codice di corporate governance: codice che identificazione le nuove regole per una corporate governance efficiente. Da ulteriori suggerimenti che si aggiungono alla normativa già presente per tutte le imprese che vogliono migliorare la corporate governance → si tratta di un codice di autodisciplina, l’adesione è su base volontaria. Articolo IlSole24Ore 04 marzo 2020 Alimentare Illycaffé cambia lo statuto da Spa a società Benefit. La nuova forma giuridica, nata negli Stat Uniti e riconosciuta dalla normativa italiana nel 2016, dice che le imprese che la scelgono non solo si danno l’obiettivo di raggiungere e dividersi gli utili, ma perseguono anche finalità di benefici comuni come il benessere delle persone e la sostenibilità ambientale. Quello delle B Corporations è un movimento che raccoglie più di 2,700 aziende in tutto il mondo, tutte accomunate dall’obiettivo di avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente. Riguardo al tema trattato, sono intervenute molte società di consulenza come la McKinsey & Company con l’articolo “Putting stakeholder capitalism into practice”. Chi vuole favorire questo passaggio, deve cambiare orizzonte temporale, porsi obiettivi e misurarli sul lungo periodo. Si seguono obiettivi guidati dai principi ESG, interiorizzati dall’impresa nel suo modus operandi. Per fare questo l’impresa deve porsi alcune domande: Qual e il nostro scopo? Qual è il contributo dell’impresa al benessere collettivo? Se l’impresa scomparisse, il mondo se ne accorgerebbe? Il valore speciale che l’impresa genera quanto si connette con le priorità ESG che gli stakeholders vogliono ottenere? Nell’ambito della sostenibilità si devono identificare delle priorità che dipendono da ciò che di speciale l’impresa ha da offrire. Quali sono le vulnerabilità? Bisogna ascoltare gli interessi degli stakeholders e comprendere cosa essi dicono dell’impresa: è il modo miglior per coprire le vulnerabilità. Chi sono gli interlocutori? Gli azionisti e i clienti. Il tema del benessere collettivo è interesse di tutte le società umane che si aspettano un interesse legato alle tematiche ambientali, sociali ecc. da parte dell’impresa. Come si collega lo stakeholder capitalism alla creazione di valore? Gestire l’impresa in modo sostenibile, permette di creare valore o distrugge valore? Ci sono molte ricerche sul tema: generalmente, le società diventate più sostenibili riescono ad imporre prezzi più alti per i loro prodotti/ servizi e ciò incontra l’approvazione dei clienti. I benefici di questo legame nell’ottica di lungo periodo: Un primo beneficio dovuto alla creazione di valore deriva dal price premiums: collocare l’impresa su una fascia di prezzo più alta. Un secondo beneficio deriva dalla regolamentazione, dall’atteggiamento dei regolatori, un atteggiamento più favorevole sul tema della sostenibilità. Un beneficio che si traduce anche in termini economici: i mutamenti nella regolamentazione possono incidere profondamente sul reddito lordo dell’impresa. Benefici derivanti dalla produttività dei dipendenti che, maggiormente motivati, lavorano di più e meglio. L’orientamento ESG che guarda gli interessi dei lavoratori ha questo tipo di effetto. 7 Tra gli interlocutori, sarebbe opportuno partire dagli interessi dei clienti? La risposta è no: tutti gli stakeholders sono importanti allo stesso modo. Ormai i singoli stakeholder giocano più ruoli: ad esempio, un dipendente può essere un azionista della società, può essere un cliente di beni e servizi offerti dall’impresa. Se l’impresa persegue gli interessi del dipendente solo come azionista e non anche come cliente, quest’ultimo rimarrà insoddisfatto → gli interlocutori sono interrelati tra loro e tutti vanno considerati, scegliendo per ciascuno delle priorità. Tra i principi ESG, si tende a preferire la E e la G, ma anche la tematica della S sta diventando sempre più centrale. Le aziende dovrebbero scegliere una di queste tre aree e concentrarsi solo su una delle tre? Non è una buona idea: occorre raggiungere livelli minimi di accettabilità su tutti e tre i pilastri e, successivamente, ci si concentra su uno o due pilastri. Quali sono le trappole di questa trasformazione? Non costruire i propri punti di forza → trovare ciò che distingue l’impresa, i punti di eccellenza; Non tenere traccia dei progressi a breve termine ottenuti → gli obiettivi di sostenibilità sono obiettivi a lungo termine: è facile impegnarsi a parole e per evitare tale comportamento opportunistico è importante rendicontare i progressi di breve termine. Sono necessarie delle metriche per far ciò. Come dovrebbero approcciare le imprese il nuovo viaggio verso lo stakeholder capitalism? Si dovrebbe iniziare esplorando il proprio mondo, conoscendo il proprio scopo, i propri stakeholders. Occorre riscoprire i bisogni che hanno portato alla nascita dell’impresa, è importante ascoltare il proprio passato. Cercare cosa piace ai dipendenti dell’impresa, per cosa si sentono orgogliosi Focalizzarsi sui “super poteri”. Il “Purpose washing” ottiene oggi molta attenzione. FINANZA SOSTENIBILE: I FATTORI ESG Quando parliamo di fattori ESG, parliamo di finanza sostenibile. L’acronimo ESG identifica le dimensioni ambientale, sociale e di governance che servono a selezionare gli investimenti socialmente responsabili. Non si guarda più solo agli indicatori classici (redditività e rischi) ma anche ad altri fattori → vedi pagine precedenti. I fattori ESG parlano di sostenibilità e gli investitori li prendono in considerazione nel decidere se concedere finanziamenti o meno. Ci sono agenzie di rating di sostenibilità che giudicano quanto le imprese siano sicure ed affidabili per ricevere investimenti: le società ad alto reddito, hanno un rischio basso; quella a basso reddito hanno un alto rischio. I voti espressi dalle agenzie hanno un codice alfanumerico, valutato dagli investitori. Le info date dalle diverse imprese sono poche e spesso sono disomogenee: ogni imprese diffonde info a modo suo e non esistono ancora delle metriche standardizzate (due imprese misurano la stessa cosa ma in modo differente). Le agenzie hanno dei modi propri per elaborare dei dati e difficilmente sono concordate. Per questi motivi si hanno ancora delle difficoltà nell’inserire i fattori ESG nelle politiche di investimento delle imprese. 8 Le società europee si occupano di reportistica. DOCUMENTO: L’UNIONE EUROPEA E LA FINANZA SOSTENIBILE L’investimento sostenibile risponde a delle caratteristiche che sono censite nella tassonomia: è il punto di partenza per il tema della finanza sostenibile. Le normative specifiche per le imprese finanziarie servono a stimolare i finanziamenti per attività economico-sostenibili → finanziare per la transazione energetica. MODALITA’ DI FINANZIAMENTO Per poter operare le imprese devono finanziarsi. Quali sono i canali di finanziamento? Il denaro assume caratteristiche diverse: o DEBITO: obbligo di restituzioni; o CAPITALE DI RISCHIO (EQUITY): restituzione alla chiusura dell’attività. Il primo canale è la BANCA che eroga finanziamenti a titolo di debito (finanziamento bancario). VANTAGGI: effettua prestiti a breve termine (18 mesi), medio termine (5 anni) o a lungo termine (5 anni +). La banca è poco invasiva: non entra nel processo decisionale dell’impresa. Non è interessata alla sua governance e costa meno rispetto ad altre forme di finanziamento (costo competitivo). SVANTAGGI: minor attitudine al MT. L’offerta è limitata. In passato il credito bancario era abbondante ≠ da oggi che non è facile ottenere finanziamenti bancari. 9 Equity: sottoscrizioni di partecipazioni azionarie. VENTURE CAPITAL: ha la peculiarità di focalizzarsi sulle start-up che si trovano in una fase di vita quasi embrionale e, per questo motivo, si trovano in difficoltà ad accedere ai finanziamenti bancari perché non hanno ancora fatturato, stanno elaborando il loro modello di business, le uscite prevalgono sulle entrate e non hanno ancora una clientela fissa. Le risorse provengono dai soci fondatori e dai venture capitalist, soggetti disposti a correre rischi elevati fornendo a tali imprese capitali in forma di equity e mettendo a disposizione della start up la loro expertise. Si rendono disponibili ad accompagnare la crescita dell’impresa nella loro fase iniziale. Visto il rischio molto elevato che corrono, per il contenimento del loro singolo investimento possono diversificare meglio il portafoglio di partecipate. Molte delle imprese che vengono finanziate dal venture capitalist proprio per il loro elevato profilo di rischio, ad un certo punto incontrano delle difficoltà ma il fatto di aver investito poco permette al portafoglio dei venture capitalist di ottenere un rendimento interessante. I venture capitalist possono essere delle imprese già strutturate che decidono di operare in questo ambito. BUSINESS ANGEL: è una figura che è possibile associare al venture capitalist, anch’esso interviene nel finanziamento delle start-up ma in una fase ancora precedente, ovvero quando la start-up è poco più che un’idea. In genere, si tratta di soggetti individuali, soggetti privati (imprenditori o ex imprenditori o manager) che, a titolo personale e con capitali limitati, offrono supporto economico e personale alle start-up. Sono soggetti che si espongono ad un rischio ancora maggiore e disinvestono quando la società assume caratteristiche tali da diventare interessanti per i venture capitalist, i quali a loro volta, passeranno il testimone ai private equity, interessati all’impresa che nel frattempo è cresciuta e si sta affermando sul mercato. 10 Il PRIVATE EQUITY disciplina e prevede, fin dall’inizio, l’uscita dall’investimento. L’uscita può essere la cessione della quota ad un altro private equity o ad investitori che ricercano forme di investimento alternative oppure attraverso la quotazione in borsa. La QUOTAZIONE vuol dire fare domanda affinché le proprie azioni possano essere negoziate in un mercato ufficiale. Si possono quotare in borsa le azioni ma anche i titoli di debito, ovvero le obbligazioni. Es. se un’impresa ha omesso delle obbligazioni, può quotarle in Borsa. Il tipo di finanziamento che si riceve in questo caso è EQUITY. Spesso le azioni all’atto della quotazione in borsa che servono per costituire il flottante che è uno dei requisiti per potersi quotare in borsa. Il flottante indica azioni che circolano liberamente su mercato perché non fanno parte del pacchetto di controllo. L’azionista di controllo mantiene il controllo delle proprie azioni ma per quotarsi in Borsa è necessario che ci sia una parte di azioni che non siano congelate dagli azionisti ma che siano libere di circolare, altrimenti la quotazione non avrebbe senso. Le azioni che vanno a costituire il flottante sono azioni di nuova costituzione che prendono il nome di OPS (offerta pubblica di sottoscrizione). Si propone al mercato e gli investitori, attraverso un’offerta pubblica, la sottoscrizione di tali azioni. Attraverso l’emissione di nuove azioni, la società che si quota raccoglie nuovo capitale e ciò permette un rafforzamento patrimoniale. Spesso, accanto alle azioni di nuova emissione, vengono vendute azioni già esistenti. In questo caso, a vendere le azioni non è la società ma uno o più azionisti, cioè dei soggetti già azionisti dell’impresa che sono entrati nell’impresa, comprando le azioni, prima della quotazione in borsa dell’impresa stessa. Quando le azioni proposte sono già esistenti, si parla di OPV (offerta pubblica di vendita). Attraverso questa vendita, alcuni dei vecchi azionisti liquidano la loro partecipazione, si disimpegnano dalla proprietà. Tra questi azionisti ci sono anche i private equity → la quotazione in borsa è una modalità di EXIT. Il private equity che era entrato tre-cinque anni prima, monetizza le proprie azioni attraverso la modalità di OPV. La quotazione in borsa può avere come scopo: o Raccolta di nuovo capitale per finanziare investimenti, per finanziarie la crescita della società, per realizzare acquisizioni con altre società; o Liquidazione di una parte degli azionisti che intendono uscire dalla società. Questa possibilità può risolvere le esigenze di exit dei private equity ma anche le esigenze di equity di alcuni soci storici che non hanno più intenzione di rimanere nella società (es. eredi che vogliono uscire e monetizzare l’eredità); o Possibilità di ricapitalizzarsi attraverso le OPS; o Sistemare la base societaria attraverso le OPV; o Offre all’impresa una forte visibilità e notorietà → sono oggetto di attenzione da parte dei media, non solo quelli specializzati in campo finanziario; o Essere oggetti di valutazione da parte delle banche d’affari e delle società di gestione del mercato che hanno accompagnato l’impresa durante la quotazione; o Le imprese sono oggetto di maggiori controlli rispetto alle imprese non quotate, sia da parte di soggetti terzi (società che si occupano della certificazione del bilancio e attestano la corrispondenza del bilancio ai dati contabili dell’impresa e alle altre regole che devono essere rispettate), sia da parte delle autorità di vigilanza che vigilano non solo sui mercati, ma anche sulle società quotate. Questi controlli rassicurano i soggetti che entrano in affari con le imprese quotate, come atri finanziatori, i fornitori o gli stessi clienti che potrebbero sentirsi più tutelati; o Obblighi di comunicazione più stringenti rispetto alle non quotate → circolano maggiori informazioni e maggiori possibilità di intrecciare rapporti tra imprese: ragione di tipo commerciale. 11 Le imprese hanno caratteristiche diverse e i mercati finanziari offrono una gamma di destini diversi che meglio si adattano all’impresa in questione. Si offrono sia mercati regolamentati (MTA, mercato telematico azionario che adeso ha un altro nome: ENM, euro next Milan), sia mercati non regolamentati. I primi hanno più regole, sono più controllati ≠ dai secondi. All’interno dell’ENM, c’è un segmento particolare che si chiama STAR, un segmento dedicato alle società di alta qualità, intesa come qualità della governance → per quotarsi nel segmento star è necessario avere una struttura di governance più aderente ai principi di best practice dei sistemi internazionali rispetto a quella che serve per quotarsi sui segmenti di ENM tradizionali. Questo significa avere una governance più efficiente e avere maggiori obblighi di comunicazione rispetto alle altre società. Un altro elemento importante dello star è la dimensione dell’impresa: possono essere ammesse le imprese che non superano un certo livello dimensionale, generalmente le medie imprese. Le Big Cat, le imprese più grandi, non fanno parte dello star ma di altri segmenti dell’ENM. Per le società molto piccole, di recente costituzione, è stato creato un ulteriore mercato: l’AIM (alternative investment market). Non è un mercato regolamentato ma rientra nella categoria dei mercati organizzati. Non è un mercato privo di regole ma è una piattaforma di negoziazione attraverso la quale si scambiano le azioni delle società che chiedono l’accesso a questo mercato. È un mercato meno costoso e meno impegnativo e ottenere l’accesso è molto più semplice rispetto ai mercato regolamentati. N.B. il termine QUOTAZIONE si usa per i mercati regolamentati, per quelli non regolamentati si dovrebbe parlare di ACCESSO ALLE NEGOZIAZIONI. L’AIM ha caratteristiche adatte alle imprese di piccole dimensioni, imprese giovani, nelle prime fasi di vita con tassi di crescita elevati. Il nostro è un Paese di PMI ed è importante avere un mercato adatto a questo tipo di società che hanno rapporti con il mercato finanziario senza dover sostenere costi elevati e senza dover incidere sulla propria struttura organizzativa e di governance. Si chiamava AIM perché la proprietà di Borse Italiane era inglese. Adesso è stato ribattezzato in EGM (exuronext growth market) acronimo che indica il mercato per le imprese in forte crescita. Questo mercato ha raccolto un grande successo: le società quotate sull’EGM sono quasi di più di quelle che sono quotate sul mercato regolamentato, dove, negli ultimi anni, in Italia sono state più le uscite che le nuove quotazioni. La società quotata in borsa ha anche una maggiore capacità di indebitamento, anche attraverso il collocamento di obbligazioni che verranno quotate a loro volta, se la società lo richiede → accesso al canale obbligazionario. Negli ultimi anni si sta facendo consistente un altro fenomeno: le società particolari quotate in Italia si quotano all’estero e alcune volte spostano all’estero anche la sede legale della società → campanello d’allarme. Cosa potrebbe succedere se l’espatrio si allargasse ad un numero di società superiore? Il mercato di borsa fallirebbe. Perché la borsa italiana non è più attrattiva? È stato redatto il “libro verde” dalle autorità italiane per rispondere a tali domande. Sono stati trovati una serie di argomenti che hanno a che fare con l’eccessiva complessità delle norme del diritto commerciale. Negli ultimi tempi si sta cercando di approvare un decreto, il “Decreto Capitali “che dovrebbe contenere una serie di interventi per rendere la borsa italiana di nuovo più attraente agli occhi delle imprese. Dunque, le società che si quotano in borsa in Italia sono poche, quali sono le controindicazioni? La Borsa è molto più piccola, in termini assoluti e relativi, rispetto a quella di Paesi comparabili come Francia, Spagna e Germania. Le ragioni, oltre alle regole rigide e i costi che ne derivano, sono: 12 o Eccessiva dipendenza dal prezzo di Borsa → l’impresa quotata viene giudicata continuamente e questo giudizio si trasforma in prezzo, il prezzo delle azioni. A volte, tale giudizio può costituire motivo di vanto, altre volte si trasforma in critiche che si trasformano in un problema, dato che si tratta di un giudizio negativo. Bisognerebbe usare un giudizio oggettivo: c’è distanza tra il valore che l’imprenditore attribuisce alla sua impresa e il valore che viene attribuito alla stessa dal mercato. Il prezzo che oscilla può rappresentare, per i manager dell’impresa, un condizionamento che crea delle difficoltà: può creare un giudizio di sfiducia, allarmando i fornitori e i clienti ma può anche spingere l’imprenditore e i manager ad assumere iniziative per invertire questo trend, ad esempio modificando la strategia. Il prezzo è un condizionamento che spinge verso il breve termine → lo shortermismo dei mercati può condizionare l’orizzonte temporale delle imprese e questo è un dato negativo; o La quotazione in borsa ha un costo: si devono pagare delle commissioni annuali al mercato per la gestione della quotazione ma ci sono anche dei costi che ricadono sulla governance dell’impresa. Per quotarsi bisogna allegare la documentazione necessaria che viene redatta da società di consulenze (costi di consulenze), ci sono costi e obblighi di comunicazione che devono essere supportati (es. assumere un Investor Relator o potenziale l’ufficio stampa o la reportistica interna) → i costi sono ricorrenti, non una tantum e scoraggiano soprattutto le piccole imprese; o Ci sono margini di manovra ristretti per operazioni ai limiti della legalità: es. difficile invadere le imposte; o Rischio di perdere il controllo della società: l’imprenditore ha paura di poter perdere l’influenza sulla società. Es. avere degli azionisti di minoranza, vuol dire dover agire con dei comproprietari che hanno idee precise e possono far valere le loro idee nel CdA anche se sono in minoranza → la dialettica interna di può vivacizzare. Questo aspetto, in Italia, è molto rilevante soprattutto per ragioni culturali che, invece, non prevalgono nei paesi anglosassoni, dove gli imprenditori sono concentrati sulla crescita della società. Tutto questo può non essere gradito ad alcuni tipi di imprenditori. Lo strumento della quotazione sono le AZIONI (PIR). I PIR (piano individuale di risparmio) hanno conosciuto il successo anni fa, quando sono stati introdotti. Nel nostro Paese c’è un risparmio enorme da una parte, e imprese sottocapitalizzate e poco patrimonializzate dall’altro lato → paradosso: occorre che una parte di questo risparmio venga usato per capitalizzare le imprese, attraverso l’investimento di capitali di rischio. Una leva per realizzare questo, può essere il fisco, un incentivo fiscale. I PIR sono dei contenitori fiscalmente agevolati: sono un modo anche per i piccoli risparmiatori di fare investimenti senza pagare le imposte. Il PIR offre delle agevolazioni fiscali: es. non pagare le imposte sui guadagni. Per usufruire di tali benefici fiscali, gli investimenti devono avere caratteristiche precise: una quota dell’investimento deve essere a favore di piccole società o di società non quotate. I PIR hanno avuto molto successo da quando sono stati lanciati. Poi sono intervenute delle modifiche normative che avevano l’obiettivo di spingere gli investimenti verso le società non quotate, anche se questo sottintende un investimento poco liquido, in assenza di mercati su cui scambiare quei titoli, ma i fondi della normativa PIR prevedevano la possibilità d’uscita ogni giorno: con le modifiche i PIR sono diventati meno interessanti. Il BILANCIO è uno strumento di comunicazione finanziaria. 13 Molti comunicati stampa emanati dalle società contengono dati di bilancio. La redazione di un bilancio è disciplinata da una serie di principi contabili. Il bilancio è un documento composito: nel fascicolo di bilancio sono riportati tre prospetti che rappresentano le tre chiavi di lettura della gestione aziendale. Un’impresa può essere letta su tre diversi livelli: quello patrimoniale, economico e finanziario. Ogni prospetto considerato, consente di valutare un aspetto diverso della gestione aziendale: l’equilibrio patrimoniale dal punto di vista statico, l’equilibrio economico e finanziario dal punto di vista dinamico. STRUTTURA DELLO STATO PATRIMONIALE Nello Stato Patrimoniale ci sono tre macro-categorie: 1. Le ATTIVITA’ → i beni dell’impresa nei quali ha investito le risorse, ovvero gli investimenti, 2. Le PASSIVITA’ → i debiti, ovvero le fonti di finanziamento, 3. I MEZZI PROPRI → il capitale proprio dell’impresa, ovvero le fonti di finanziamento. Lo SP viene generalmente presentato con uno schema a sezioni contrapposte: ci sono due colonne o sezioni affiancate: a sinistra, le attività e a destra le passività e i mezzi propri. I valori (i numeri) nello SP rappresentano delle CONSISTENZE. Una consistenza è un dato, un valore riferito ad un preciso istante temporale, è una fotografia della situazione ad un preciso momento temporale: si parla, infatti, di SP al 31/12/20XX. Essendo qualcosa di fermo, si parla di equilibrio patrimoniale statico, è come se la situazione ad un certo istante temporale venisse congelata. Attraverso la relazione tra attività, passività e mezzi propri, è possibile esprimere un giudizio sull’equilibrio patrimoniale statico → si valuta la coerenza tra la struttura delle fonti di finanziamento e la struttura degli investimenti effettuati. Si tratta di uno SP riclassificato: nello SP “originale” pubblicato nel fascicolo di bilancio, ci sono molte più voci. Per leggere i prospetti di bilancio in modo più agevole, si ricorre alla riclassificazione, ai fini di ridurre il numero delle voci che vengono ricondotte ad una sola voce, facilitando la lettura. La riclassificazione non è casuale! ATTIVO Sommando tutte le voci dell’attivo, si ottiene il TOTALE ATTIVO che rappresenta la storia di tutti gli investimenti aziendali durante tutta la vita dell’impresa. Una parte di questi soldi li ritroviamo nelle liquidità, una parte come crediti verso i clienti, una parte come altre tipologie di credito breve scadenza, una parte in scorte → voci attive del CAPITALE CIRCOLANTE, ovvero tutti gli investimenti che si trasformano in moneta (alcuni lo sono già, come le liquidità) nel giro di qualche mese, nel breve termine. 14 Le IMMOBILIZZAZIONI sono investimenti a lungo termine (si trasformano in moneta molto lentamente) e hanno un rigiro molto lento (es. acquisto di uno stabile che rimarrà nell’attivo della società per molti anni di verga di ferro che rimarrà nei conti aziendali per poco tempo perché verrà trasformata). Le immobilizzazioni possono avere: o Natura reale: sono tangibili (auto, immobili, terreni, macchinari, impianti, attrezzature)→ immobilizzi reale; o Natura finanziaria: es. investire in azioni di un’altra società che entrerà nel gruppo, o concessione di finanziamenti a medio-lungo termine a società del gruppo → immobilizzi finanziari o Natura immateriale → immobilizzi immateriali. Sono una parte degli immobilizzi materiali può essere iscritta a bilancio sulla base dei principi contabili, es. i brevetti o l’avviamento che deve derivare da un’acquisizione societaria fatta in precedenza. Non vi rientrano elementi di grande valore come il know-how o il valore del marchio, a meno che non ci siano stati pagamenti per l’acquisizione del marchio (il proprio marchio non viene generalmente valorizzato), la capacità di innovazione di una società. La voce LIQUIDITA’ non include solo il denaro in cassa, include tutte quelle forme che sono moneta: es. i conti correnti bancari e postali attivi, i titoli del mercato monetario a breve scadenza. PASSIVO E NETTO Queste voci riportano i debiti e i mezzi propri dell’’impresa. La classificazione dei debiti può essere riportata in base alla loro durata ma è accettata anche una riclassificazione di altro tipo. Nella riclassificazione basata sulla scadenza, sono riportati per primi i debiti a breve (debiti commerciali, debiti verso i fornitori, debiti finanziari e altri debiti di BT). Per breve termine si intendono i prossimi 12 mesi. La somma di tutti i debiti a breve termine rappresentano le PASSIVITA’ CORRENTI, ovvero le componenti negative del capitale circolante che cambiano (circolano)continuamente man mano che i debiti vengono saldati. La differenza tra attività correnti e passività correnti è il CAPITALE CIRCOLANTE NETTO, nella sua definizione finanziaria. In questo tipo di riclassificazione, nei debiti finanziari a MLT non ci sono solo i mutui, le obbligazioni e tutte le altre forme di finanziamento che hanno una scadenza protratta nel tempo ma ci sono anche i debiti verso i dipendenti: il fondo TFR. Il fondo TFR è un prestito che i dipendenti fanno all’azienda, che incasseranno e recupereranno all’atto della cessazione del rapporto di lavoro. C’è un dibattito sul fatto che tale fondo abbia una natura finanziaria oppure operativa essendo un costo dilazionato nel tempo. Se lo si considera come fondo finanziario, lo si colloca tra i debiti finanziari a MLT, collocato all’esterno del capitale circolante; se lo si considera come un fondo operativo, andrebbe collocato fra i debiti commerciali, perché sarebbe un debito verso i fornitori all’interno del capitale circolante. Sommando le passività correnti e i debiti finanziari a MLT, si ottengono i DEBITI TOTALI. Il CAPITALE NETTO (CN) è la differenza tra l’attivo e il passivo e rappresenta la fetta di capitale di rischio conferita dai soci o accumulata nel tempo attraverso il riporto di utili a riserva. Il CN è composto da tante voci riclassificate come capitale netto: es. il capitale sociale, il fondo di riserva ordinario, fondi di riserva straordinari, fondi di rivalutazione dei beni aziendali, le riserve di utile non distribuite, l’utile netto → voci aggregate in un’unica voce che rappresenta il capitale di rischio che i soci hanno conferito o lasciato all’interno dell’impresa. 15 Attraverso lo SP si vede quanto è patrimonializzata un’azienda, cioè quanto grande è la fetta di capitale proprio e del capitale netto rispetto alle fonti di finanziamento e, per contrasto, quanto è indebitata l’azienda. È possibile osservare la coerenza tra la durata dei debiti e la durata delle attività: es. gli immobilizzi non possono essere finanziati con debiti a breve ma con mezzi propri o con debiti a MLT. Confrontando tutte le voci è possibile capire se la struttura finanziaria di un’azienda è equilibrata in senso statico oppure no: se il capitale circolante netto fosse negativo, con passività correnti superiori alle attività correnti, la struttura sarebbe squilibrata perché vorrebbe dire che una parte degli immobilizzi sarebbe finanziata con debiti a breve e questo sarebbe rischioso, tanto da mettere in crisi gli equilibri finanziari e patrimoniale dell’azienda. STRUTTURA DEL CONTO ECONOMICO I valori nel Conto Economico sono: o RICAVI → componenti positivi di reddito; o COSTI → componenti negativi di reddito. Anche il CE è spesso rappresentato come uno schema a sezioni contrapposte, come previsto dal Codice civile, ma se viene riclassificato, si può usare uno schema diverso. Nello schema tradizionale, a sinistra ci sono i costi e a destra i ricavi. Mentre nello SP i valori riportati erano consistenze, nel CE i valor riportati sono dei FLUSSI, in particolare FLUSSI DI REDDITO, positivi o negativi. Si parla di flussi perché tali valori vengono misurati non rispetto ad un istante temporale preciso ma rispetto ad un intervallo di tempo: es. ricavi o costi conseguiti o sostenuti in quel trimestre. Durante tale intervallo, i costi o i ricavi sono fluiti. Attraverso l’analisi del CE si valuta l’equilibrio reddituale dinamico, ovvero la capacità di produrre un reddito positivo dovuto dal fatto che i ricavi superano i costi → la dinamica dei costi e dei ricavi. L’equilibrio è dinamico perché il CE è un film, non una fotografia. È la storia dall’inizio del periodo fino alla fine del periodo preso in considerazione. Sommando le prime voci si ottiene il VALORE DELLA PRODUZIONE, dal quale vengono tolti i costi per l’acquisizione di materie e servizi, viene aggiunta la variazione (positiva o negativa) delle scorte, si sottraggono gli altri costi di gestione e si aggiungono i proventi diversi: la loro somma algebrica determina il VALORE AGGIUNTO → è uno schema di riclassificazione del CE a valore aggiunto. Togliendo i costi del personale, si ottiene il MOL (margine operativo lordo) che corrisponde all’EBITDA. Indica i costi di gestione operativa (gli utili) prima che vengano sottratte tasse, interessi, ammortamenti i e le svalutazioni. È un margine segnaletico dell’andamento finanziario dell’impresa: EBITDA + genera cassa; EBITDA – non genera cassa. Sottraendo al MOL gli ammortamenti e gli accantonamenti, si ottiene il REDDITO OPERATIVO (RO, in gergo anglosassone EBIT). Si aggiungono i proventi finanziari e si sottraggono gli onesi finanziari, si ottiene così il RISULTATO LORDO DI 16 GESTIONE ORDINARIA, al quale si aggiunge il saldo proventi e oneri straordinari (SPOS), si ottiene l’ULTILE LORDO. All’utile lordo si sottraggono le imposte e si ottiene l’UTILE NETTO D’ESERCIZIO (UN). In questo schema vi sono aggregati reddituali: l’EBITDA e L’EBIT e una voce che può essere d’interesse, ovvero il VALORE AGGIUNTO, che viene ripartito tra chi ha apportato lavoro (il personale), chi ha apportato risorse finanziarie (i soci) e le imposte (lo Stato). L’EBITDA è una approssimazione del flusso di cassa generato dalla gestione operativa: riveste un particolare interesse perché rappresenta l’anello di congiunzione tra la dimensione reddituale e quella monetaria della gestione aziendale. Il MOL è un margine di reddito (differenza tra costi e ricavi) ma è anche un’approssimazione della differenza tra entrate e uscite generate dalla gestione operativa (ovvero il processo ripetitivo delle operazioni di acquisto, produzione e vendita). I valori sotto l’EBITDA sono voci, di costo e di ricavi, che non hanno a che fare con la gestione operativa ma con le scelte di finanziamento, con componenti straordinarie e con le imposte che non derivano da scelte aziendali di investimento. Nello schema, viene evidenziata una voce, quella degli AMMORTAMENTI e ACCANTONAMENTO, è un costo ma non un’uscita di cassa: a fronte degli ammortamenti, non c’è nessuna uscita di cassa. Anche gli accantonamenti non sono accantonamenti di denaro, generano un costo ma non un’uscita di cassa. Nel caso degli ammortamenti, la registrazione in partita doppia della quota di ammortamento è ammortamenti a fondo ammortamenti. La quota è un costo e finisce nel CE, il fondo ammortamenti finisce nello SP. Non abbiamo coinvolto la voce cassa o liquidità che non si è mossa quando abbiamo fatto nascere gli ammortamenti. Lo stesso vale per gli accantonamenti: non si movimenta la voce liquidità o cassa. STRUTTURA DEL RENDICONTO FINANZIARIO Il terzo prospetto è il Rendiconto Finanziario, la cui obbligatorietà è relativamente recente, fino a qualche anno fa non lo era. Oggi è obbligatorio per alcune imprese: quelle di grandi dimensioni e le società quotate in borsa. I numeri nel rendiconto finanziario rappresentano: o Le ENTRATE → valori positivi; o Le USCITE → valori negativi. Le entrate e le uscite si sono realizzate in un certo intervallo di tempo, lo stesso del CE. Anche in questo caso si parla di flussi, ma si tratta di FLUSSI DI CASSA che analizzano l’equilibrio finanziario dinamico. Il CE e il RF sono due documenti distinti perché non tutti i ricavi si trasformano in entrate e non tutte le uscite si trasformano in costi. C’è quindi, una differenza tra ricavi e entrate e tra costi e uscite. Il film del reddito non coincide con il film dei flussi di cassa → essendo prospetti distinti, vanno valutati distintamente. I mercati finanziari sono molto sensibili ai flussi di cassa, in misura maggiore rispetto ai flussi di reddito. Viene redatto secondo dei principi contabili: uno di questi è l’OIC 10 → OIC sta per Organismo Italiano di Contabilità. Questo principio detta una struttura del rendiconto e detta dei criteri di classificazione dei flussi, i quali 17 vengono distinti in tre macro-categorie. Si tratta di una distinzione che permette di valutare la dinamica dei flussi di casa in relazione alle diverse scelte dell’impresa. 1. FLUSSO DELL’ATTIVITA’ OPERATIVA → entrate/ uscite connesse alla gestione operativa e alla gestione eventualmente accessorie. “Parente stretto” dell’EBITDA. Per calcolare questo flusso di cassa si parte dall’EBITDA. Rappresenta il collegamento tra la capacità di produrre reddito e la capacità di produrre flussi di cassa. 2. FLUSSI FINANZIARI DELL’ATTIVITA’ DI INVESTIMENTO → rientrano gli esborsi, cioè quanto è stato speso per gli investimenti reali, finanziari e immateriali al netto delle entrate per le operazioni opposte, ovvero il disinvestimento di immobilizzazioni o di attività finanziarie non immobilizzate (nello SP rientrano nell’attivo corrente). Rientrano le uscite per acquisizioni di altre imprese o le entrate per cessioni di aziende controllate e rami d’azienda. Sono entrate e uscite con carattere discontinuo che fanno parte della gestione extra-corrente dell’impresa, non di quella corrente perché avvengono ogni tanto, in modo episodico. 3. FLUSSI FINANZIARI DELL’ATTIVITA’ DI FINANZIAMENTO → flussi di cassa che derivano dalle scelte di finanziamento. Quando l’azienda si indebita, entra danaro (voce positiva), quando l’azienda rimborsa esce denaro (voce negativa). I rimborsi, il pagamento dei dividendi sono uscite. L’accensione di nuovi debiti, l’emissione di nuove azioni sono entrate. Stretto collegamento con le decisioni finanziarie d’impresa, ovvero decisioni di investimento, di finanziamento e decisioni di remunerazione dei soci: in questa categoria troviamo gli esiti di tali decisioni assunte in precedenza. La somma di queste macro-categorie determina la variazione delle disponibilità liquide. Facendo la sommatoria si ottiene l’incremento o il decremento delle disponibilità liquide. Questa variazione delle disponibilità liquide deve corrispondere al delta della voce derivante dallo SP, ovvero deve derivare dal confronto tra il valore della liquidità per ogni SP alla fine del periodo e il valore della liquidità dello SP relativo al periodo precedente. Qual è la struttura del rendiconto finanziario? Ci concentriamo sulla parte alta del prospetto, quella che arriva alla definizione del flusso derivante dall’attività operativa perché le altre voci non comportano grandi interventi. Il flusso più complesso da ricostruire è il flusso di cassa dell’attività operativa. Quello presentato è il metodo indiretto che potrebbe partire dall’EBITDA ma, in questo caso, parte dall’ultima voce del CE, ovvero l’utile o la perdita di esercizio. 18 Si comincia a correggere questa voce: si fanno alcuni interventi. Il primo intervento consiste nel risommare alcune voci di costo e nel togliere alcune voci di ricavo. Risomma delle imposte sul reddito, degli interessi passivi e si tolgono gli interessi attivi, i dividendi incassati durante l’anno. Si risommano le minusvalenze e si tolgono le plusvalenze derivanti entrambe dalla cessione di attività. Si elimina dall’utile netto l’effetto di tutte queste voci → si sterilizza l’utile. Come se, tenendo in mente lo schema del CE, risalissimo verso l’alto, togliendo le imposte e i componenti della gestione finanziaria, ricavando l’utile o perdita dell’esercizio prima delle imposte sul reddito, prima degli interessi incassati o pagati, prima dei dividendi incassati, prima delle minusvalenze o plusvalenze derivanti dalle cessioni. A questo punto si aggiungono tutti quei costi che non hanno comportato un esborso di denaro e che non hanno trovato una contropartita del capitale circolante netto. Ad esempio, si risommano gli accantonamenti o gli ammortamenti delle immobilizzazioni, le eventuali svalutazioni per perdite di valore ed altre rettifiche di carattere non monetario. Attraverso questa operazione si ottiene il FLUSSO FINANZIARIO PRIMA DELLE VARIAZIONI DI CCN. Si è ricostruito l’EBITDA. Stiamo parlando della gestione operativa. Questo processo genera delle conseguenze reddituali (EBITDA) e delle conseguenze monetarie (flusso di cassa derivante dall’attività operativa). Questo processo genera prima dei flussi di capitale circolante e poi dei flussi di cassa → è comunque un flusso di risorse finanziarie ma non è completamente un flusso di cassa, in quanto al suo interno ci sono anche i debiti e i crediti finanziari e le scorte. Questo flusso prima del capitale circolante va interpretato come una premessa al flusso di cassa; come un flusso di cassa che avremmo se non ci fossero variazioni nei conti del capitale circolante. È un flusso di cassa potenziale della gestione operativa. Si può trasformare interamente in flusso di cassa effettivo o solo in parte: questo dipende dagli investimenti in capitale circolante che devono essere tolti affinché diventi un flusso di cassa. Il capitale circolante è formato da voci attive (crediti commerciali, scorte) e da voci passive (debiti verso i fornitori, altri debiti a breve). Qui si eliminano le variazioni di queste voci, più diminuzione o meno l’aumento delle rimanenze (scorte). L’aumento delle scorte è un investimento, un impiego delle scorte. Se le scorte sono diminuite, il segno è +: la diminuzione di scorte genera cassa. Lo stesso vale per i crediti verso i clienti e altri: se i crediti diminuiscono è un’entrata di cassa (+). I debiti sono una componente negativa del capitale circolante. Un aumento dei debiti è un’entrata di soldi (una mancata uscita). Una riduzione dei debiti è un rimborso, un’uscita. Altre voci sono i ratei e riscontri attivi e passivi. Un aumento dei ratei attivi è qualcosa che assorbe risorse (-), una diminuzione dei ratei attivi è qualcosa che libera risorse (+). Per i ratei passivi è l’opposto: un aumento è qualcosa di positivo dal punto di vista monetario, una diminuzione è una sorta di rimborso. Operando tutte queste rettifiche si ottiene il FLUSSO FINANZIARIO DOPO LE VARIAZIONI DI CNN. Ci sono poi altre piccole rettifiche da fare che riguardano le gestioni accessorie. Si risommano gli interessi incassati e si tolgono gli interessi pagati. Si tolgono le imposte sul reddito pagate e si aggiungono i dividendi incassati, togliendo l’utilizzo dei fondi operativi. Rispetto alla prima parte dove sono contenute queste stesse voci, c’è qualcosa di diverso: mentre nella parte alta le imposte, gli interessi, i dividendi entrano per il loro ammontare di competenza nel CE, le imposte pagate, gli interessi pagati, i dividendi incassati entrano nella logica di cassa (uscite/entrate effettive). Quindi, l’importo delle voci di sotto, è diverso dall’importo delle stesse voci di sopra. Il risultato finale è il FLUSSO DERIVANTE DALL’ATTIVITA’ OPERATIVA. 19 Il rendiconto finanziario è un documento importante che permette di apprezzare la capacità dell’impresa di generare cassa attraverso la sua gestione operativa → rispecchia la capacità di autofinanziamento che viene rappresentato solo parzialmente dall’EBITDA che è un’approssimazione, qui invece abbiamo l’effettivo. Questo flusso derivante dall’attività operativa viene poi utilizzato per l’attività di investimento e nell’attività di finanziamento. Accade a volte che le uscite per investimenti siano in certi anni superiori alla cassa generata internamente. Es. investo 10 milioni di euro ma la gestione operativa ha generato solo 5 milioni di euro. Si crea un fabbisogno finanziario che deve essere coperto attraverso l’attività di finanziamento. I flussi finanziari dell’attività di investimento hanno segno negativo (-), quelli dell’attività di finanziamento hanno segno positivo (+), sono delle entrate. Attraverso l’indebitamento si aumenta il capitale sociale. PRINCIPALI INDICI DI BILANCIO Per leggere e interpretare i bilanci, sono utili i prospetti presentati prima dopo la loro riclassificazione. Il prospetto del rendiconto finanziario è già in un certo senso riclassificato. Per valutare la performance di una società si ricorre anche a degli indici di bilancio. Sono indicatori che misurano: o La redditività o La marginalità o L’efficienza o La struttura finanziaria Permettono di dare una valutazione sull’equilibrio finanziario, reddituale, patrimoniale dell’impresa in modo più agevole rispetto alla lettura di un fascicolo di bilancio. Gl indici di bilancio sono dei quozienti: sono rapporti tra due quantità, una al nominatore e una al denominatore. Sono strumenti per interpretare i bilanci che permettono di compararli nel tempo e nello spazio, permettono di cogliere i trend ecc → cogliere l’andamento temporale delle performance. Facilitano il confronto tra imprese nello spazio e nel corso della vita dell’impresa stessa: permettono di effettuare analisi temporali e spaziali. Ci sono tantissimi indici di bilancio. 20 Questi sono i più popolari. Gli indici vanno letti e interpretati in modo sistematico, congiuntamente riconoscendo i legami matematici o logici che collegano i diversi indici. Esiste una mappa di forma piramidale che posiziona questi indici sulla base dei legami tra l’uno e l’altro. Al vertice della piramide, c’è il ROE (redditività del capitale netto, dei mezzi propri). L’UN si trova nel CE, il CN nello SP. É un indicatore di redditività dei soldi investiti dai soci nella società. Un altro indicatore di redditività è il ROI (redditività degli investimenti fatti dall’impresa). Gli investimenti generano reddito operativo (RO). È la misura di ciò che hanno reso effettivamente gli investimenti diviso il totale attivo (TA) che è l’ammontare degli investimenti fatti dall’impresa. Di ciascuno di questi indici esistono varie versioni. Segue un indicatore di marginalità, il ROS (redditività sulle vendite). Quanto guadagno per ogni euro di vendita/di fatturato. È il rapporto tra il reddito operativo e il fatturato (i ricavi, il volume di vendite). Si tratta di un guadagno lordo, a cui si aggiungono altri costi da sostenere. A seguire, c’è un indicatore di efficienza, la rotazione del capitale investito. È il rapporto tra le vendite (S) e il totale attivo. Quanti euro di fatturato mi ha generato ogni euro investito. Es. se il rapporto fosse uguale a due, vorrebbe dire che per ogni euro investito, ho ottenuto due euro di fatturato. Ci sono anche casi di valori inferiori ad 1: ci sono settori in cui gli investimenti sono elevatissimi e il fatturato è basso. Altri settori dove succede il contrario: gli investimenti sono bassi e il fatturato è alto. Il successivo indicatore è un indicatore di struttura finanziaria ed è la leva finanziaria. Rappresenta le scelte di finanziamento nelle sue componenti di reddito e capitale netto. È il rapporto tra il totale attivo e il capitale netto. La differenza tra il TA e CN sono i debiti. La leva finanziaria misura il ricorso ai debiti: > è il rapporto, > è il ricorso al debito. L’impresa “leveraged” è quell’impresa che fa ricorso ad un’alta percentuale di indebitamento per finanziarie le attività produttive. Si movimenta una quantità maggiore di investimenti rispetto a quella che si impiega con i soli mezzi propri → effetto di leva: con una piccola leva (pochi mezzi propri) si solleva un carico pesante (quantità importante di investimenti). Alcuni di questi indicatori sono collegati tra loro in modo matematico. Si effettuano scomposizioni del valore che permettono di cogliere le relazioni matematiche tra il ROE e gli altri indici. Per interpretare il ROE, per valutare le differenze tra aziende o l’andamento nel tempo, si può ricorrere ad una scomposizione moltiplicativa o ad una scomposizione additiva. 21 Nella scomposizione moltiplicativa gli indici che determinano il ROE si collegano tra loro attraverso delle moltiplicazioni. Il ROE è, quindi, il prodotto tra il ROI, la leva finanziaria e un terzo indicatore che è il rapporto tra l’utile netto e il reddito operativo. In base a questa scomposizione si coglie l’incidenza della redditività degli investimenti, l’incidenza della leva finanziaria e l’incidenza del terzo rapporto UN/RO. Il terzo quoziente rappresenta l’incidenza di tutte quelle voci che sono tra il risultato operativo e il reddito netto: le imposte, la gestione finanziaria, gli interessi pagati e incassati. SI tratta di un indicatore composito che misura l’incidenza di tre elementi diversi. Generalmente, l’utile netto è superiore al risultato operativo, salvo casi particolari. Il terzo indicatore è in genere inferiore a 1 e quindi abbassa il ROE. Se si ricorre al debito, la leva è un numero superiore a 1 → la leva ha un effetto di per se positivo sul ROE, lo aumenta. Più è alto il ROE, maggiore sarà l’effetto positivo sul RO. La redditività del capitale proprio di un’azienda dipende dalla sua redditività industriale, da quanto ha fatto ricorso al debito e quanto il debito abbia agito in negativo sul fronte interessi pagati, quanto abbia agito in negativo l’effetto delle imposte e quanto abbia agito in negativo l’impatto dei componenti straordinari. Il difetto di questa scomposizione è che non si capisce in modo preciso l’impatto reddituale dei debiti perché è positivo sull’indicatore leva ed è negativo sul terzo indicativo, il quale non rappresenta solo l’impatto dei debiti ma anche di altre cose ed è difficile stabilire se i debiti hanno fatto bene o male alla redditività dell’impresa. Per capire meglio l’effetto dei debiti, si ricorre alla scomposizione additiva del ROE, elaborata proprio a questo scopo. Tutti i termini sono moltiplicati per T, che rappresenta l’impatto delle imposte. Es. se le imposte hanno rappresentato il 40% dell’utile lordo, T sarà il 60%. T rappresenta la quota di quel ricavo, quel costo al netto dell’effetto fiscale → quello che resta all’impresa dopo le imposte. La prima somma è ROIxT: la redditività industriale netta dopo le imposte. L’altro termine è più articolato: (ROIxT – (OF-PF)Xt/D). C’è di nuovo la redditività industriale netta (ROIxT) meno oneri finanziari – proventi finanziari (sono il risultato della gestione finanziaria) xT, quindi al netto (dopo) le imposte diviso D (l’ammontare dei debiti) → questo termine rappresenta il costo netto dei debiti. Quanto mi sono costati i debiti al netto degli interessi incassati e al netto delle imposte? Il differenziale tra parentesi dice se c’è un margine positivo o negativo rispetto al costo del debito, in altre parole, dice se la redditività industriale dell’azienda è superiore o inferiore al costo dei debiti. Se il differenziale è +, vuol dire che conviene indebitarsi dal punto di vista reddituale perché i debiti sono minori di ciò che si ricava dall’investimento (es. raccolgo prestiti al 4% netto e investo all’8% netto). Questo differenziale viene moltiplicato per un’altra misura di leva finanziaria D/CN (struttura finanziaria, misura il peso del debito) chiamata “leverage” in inglese. Come la leva finanziaria, misura il peso del debito ma in maniera diversa. Dato che è presente una componente reddituale straordinaria, l’ultimo termine fa riferimento al saldo delle operazioni straordinarie, positivo o negativo, al netto delle imposte standardizzato sul capitale netto (SPOSxT/CN). Grazie a questa scomposizione si riesca a capire direttamente se i debiti hanno un effetto positivo o negativo sulla redditività aziendale. Data una certa redditività industriale, è possibile accrescere la redditività per gli azionisti attraverso la leva del debito, purché il costo del debito sia inferiore alla redditività industriale. L’incremento della leva non deve ripercuotersi negativamente sul costo del debito. Se ci spingiamo troppo in là con i debiti, i creditori pretendono un aumento del tasso di interesse → questo è controproducente. 22 Nella misura in cui è possibile far crescere i debiti senza far crescere la rischiosità, quindi senza far aumentare il costo dei debiti, allora conviene sfruttare la situazione dal punto di vista reddituale. ESEMPIO NUMERICO Immaginiamo di avere un totale attivo di 100; un debito di 60 e un capitale netto di 40. Immaginiamo che il nostro fatturato sia di 200 e il nostro risultato operativo sia di 15. Immaginiamo che ci siano 4,8 di oneri finanziari al netto dei proventi e che le nostre componenti straordinarie (proventi, oneri) siano negativi per 0,2, sono più gli oneri che i proventi straordinari. Se a questo togliamo l’ultile lordo di 10 e le imposte di 3,5. Avremmo un utile netto di 6,5. Se pago 3,5 di imposte su 10 di utile lordo, vuol dire che l’incidenza delle imposte è il 35% dell’ultime lordo. Ne deriva che T sia 1-35%, cioè 65%. Il 35 è 3,5 diviso 10. A questo punto si possono calcolare gli indici. Il ROE è 6,5/40 = 16,25% → ogni euro investito dai soci ha generato un ritorno del 16.25%. Il ROI è 15/100 = 15%. Il ROS è 15/200 = 7,5% → per ogni euro di fatturato, il margine è pari a 7,5 centesimi. La RCI (rotazione capitale investito) è 200/100 = 2 → i miei investimenti annualmente consentono una buona rotazione del capitale investito. Si osservano ora le due scomposizioni. Scomposizione moltiplicativa → ROE = 15% X 100/40 X 6,5/15 = 16,25%. La scomposizione moltiplicativa funziona: ha restituito il valore giusto del ROE. Scomposizione additiva → ROE = 15% X 65% + (15% X 65% - 4,8 x 65%/60) x 60/40 + (-0,2 x 65% / 40) = 16.25%. Anche la scomposizione additiva funziona e ha restituito il corretto valore del ROE. L’impresa beneficia, dal punto di vista reddituale, del ricorso al debito: ha una redditività industriale superiore al costo del debito. Dovrà valutare se spingere di più o meno sulla leva finanziaria, certamente non le conviene diminuire i debiti. Occorre fare un’analisi temporale e di benchmarking, altrimenti questi numeri da soli non hanno senso. 23 Presentazione dei risultati di bilancio BREMBO 2021 (società quotata in borsa che produce impianti frenanti di alta qualità montati su automobili performanti). Vediamo un manufatto della comunicazione finanziaria. Si tratta di una Conference Call with Analysts. La presentazione dovrebbe essere di venti pagine circa. H1: primo semestre (H sta per half). Si parte da un riassunto: Summary of Consolidated Statement of Income. Confronto tra secondo trimestre (Q2) del 2021 e secondo trimestre (Q2) del 2019, anno maggiormente rappresentativo rispetto al 2020. A metà anno, si presentano anche i risultati del primo semestre (H1) e si hanno più informazioni da presentare. Anche in questo caso c’è il doppio confronto tra il primo semestre del 2019 e del 2021. In aggiunta delle tabelle, si utilizzano anche i grafici: si tratta di una comunicazione basata sulle immagini. È una tecnica molto utilizzata quando si presentano dei numeri. Quando si decide di utilizzare sia grafici che tabelle, nel grafico occorre riportare qualcosa di diverso rispetto alle tabelle viste in precedenza. H1 2021 Revenues → nella seconda colonna riporta la qualità e la composizione del fatturato. Ci può essere una variazione. I tassi di cambio possono cambiare in modo favorevole o sfavorevole. Perimetro di consolidamento: relativi al gruppo che ha una propria composizione → si acquistano aziende. Questi elementi spiegano la variazione delle vendite: i dati non vengono solo presentati ma si spiegano, sottolineando le variazioni di fatturato, di reddito. H1 2021 Revenues by Application → spiegazione del fatturato generato dai vari comparti, delle aree di business (es. Comparto moto, comparto auto). Viene utilizzato un istogramma per la presentazione dei dati. H1 2021 Revenues by Area → analisi della scomposizione del fatturato relativa alle aree geografiche. Nel grafico a torta sono presenti i nomi del Paesi e le relative percentuali: è importante precisare l’esatto valore della fetta, indicato dai numeri, non solo dallo spessore della fetta stessa. H1 2021 EBITDA → informazione già data nella sintesi che qui va più in profondità. I costi hanno avuto una dinamica sfavorevole e hanno ridotto l’EBITDA. Financial Charges → (costi finanziari) include i finanziamenti ricevuti dall’impresa e il peso di tali costi. L’azienda ha oneri finanziari modesti: probabilmente è poco indebitata. Il costo dei debiti è molto contenuto: l’azienda è solida, ha buona credibilità redditizia. Il costo dei debiti finanziari è molto basso. Tax RATE → imposte a confronto. C’è stato un recupero di redditività e le imposte si sono alzate. Un tax rate del 25% è abbastanza elevato, quasi corrispondente all’aliquota nominale. Le info sulle imposte sono già state date nella sintesi iniziale, qui vengono forniti ulteriori dettagli. Net Financial Positions → si analizza il netto tra i debiti e la liquidità: spesso ci si indebita per effettuare finanziamenti liquidi. 24 Nei grafici e tabelle presenti, il confronto veniva fatto sul corrispondente trimestre/ semestre dell’anno prima e non sui dati di fine anno. Il fatturato è un flusso, così come l’EBITDA, e il flusso si misura usando i dati di fine anno. Le consistenze possono essere confrontate ad esempio il 30 giugno e il 30 dicembre, posso usare anche il dato di fine anno precedente. L’indebitamento netto è molto aumentato. IFRS 16: principio contabile internazionale. Il numero 16 riguardo il leasing. Tale principio contabile è cambiato e, di conseguenza, l’importo dei debiti netto viene oggi rappresentato includendo nell’indebitamente il leasing. Quest’ultimo viene, quindi, considerato come debito. Qual è la causa dell’incremento dei debiti? Si fanno investimenti in capitale fisso e in capitale circolante netto NWC). Si fanno operazione di acquisizione e di fusione (M&A), si dividono i dividendi → ciò spiega l’incremento dei debiti. Net Debt Structure → vengono date info sia sul dato passivo sia sulla liquidità. Da una parte viene ridotta la liquidità e dall’altra parte, dato che la liquidità non era sufficiente, l’azienda si è indebitata. I debiti a breve termine sono stati ridotti in modo significativo. I debiti totali (somma dei debiti a breve e lungo termine) sono incrementati. I debiti a breve sono negativi, sono il differenziale tra debiti a breve e liquidità, che è sempre stata maggiore rispetto ai debiti a breve termine. L’azienda ha una buona dotazione di liquidità che serve a rimborsare i debiti a breve termine e c’è anche un buffer di liquidità: è in una posizione finanziaria molto solida. Financial results → investimenti fatti dalla società, comprendono i debiti a medio e lungo termine ed è visibile la struttura finanziaria dell’impresa. Main Rations → vengono riassunti i principali indici di bilancio: ROI (Rolling) → l’azienda dispone di dati su base trimestrale per calcolare indicatori di rolling che “ruotano” quattro trimestri. ROE (Rolling) → è più alto del ROI: i debiti finanziari sono qualcosa di positivo per l’impresa GEARING → la leva è molto contenuta NET DEBIT/ EBITDA → un dato di consistenza che varia in un dato di flusso. Un anno di EBITDA per annullare i debiti. EBITDA/ NET financial charges EBIT/ NET financial charges NET financial charges/ NET REVENUES EBITDA: reddito lordo che rappresenta una stima, un’approssimazione del flusso di cassa generato dalla gestione. TAX RATE: incidenza delle imposte sul reddito netto. 25 QUOZIENTI DI BORSA Mettono in connessione la realtà aziendale rappresentata nel bilancio e quella percepita dagli investitori. La loro caratteristica principale è quella di mettete a confronto il prezzo di borsa con un dato di bilancio (dato di SP o di CE) → ciò che viene confrontato è il valore che gli azionisti attribuiscono alla società. Si tratta di confronto tra un valore di mercato, di scambio e il valore che ritroviamo nel bilancio. C’è, quindi, un’ottica esterna (il mercato) e una interna (il bilancio). Tali quozienti di borsa sono, nella maggior parte dei casi, dei prezzi relativi: si relativizza una certa quantità per poter effettuare dei confronti. Non ha senso confrontare i prezzi delle azioni di una società o dell’altra: per poter fare confronti bisogna relativizzare i prezzi e confrontare con un altro aggregato. Gli indici di borsa sono importanti proprio perché permettono confronti nel tempo e tra le varie società. Attraverso i quozienti si possono classificare le società che hanno emesso le azioni. Due gruppi: o Società value → hanno quozienti che le fanno apparire convenienti (di basso prezzo). o Società growth → hanno quozienti che le fanno apparire con alti prezzi relativi. Tale giudizio emerge dal mercato: può esserci o meno corrispondenza tra l’identità dell’azienda e il giudizio del mercato. Sapere come il mercato vede l’azienda è utile per guidare la comunicazione finanziaria, che sarà diversa a seconda del tipo di azienda. Quella growth spinge molto sul tasso della crescita, sugli investimenti # da quella value che evidenza la sicurezza, la generosità nel distribuire dividendi. Rappresentano uno strumento molto grezzo di valutazione delle azioni: alcune azioni sono sottovalutate e in realtà valgono più del loro prezzo. Sono uno strumento di selezione delle azioni su cui investire. Le indicazioni che danno sono relativamente imprecise. Per queste ragioni troviamo tali quozienti nella comunicazione finanziaria e nei rapporti prospettici dell’impresa. Alcuni quozienti di borsa: VEDI SLIDE Price- earnings (rapporto prezzo/utile). È il più popolare. Quotazione dell’azione/ utile per il numero di azioni in circolazione. Il prezzo dell’azione viene standardizzato sulla base dell’utile per azione. Es. se fosse pari a 15, lo potremmo interpretare come il numero di anni necessario per recuperare i soldi spesi. Quanti anni servono di utili per rientrare nel prezzo delle azioni. I confronti tra azioni vengono fatti tra società che appartengono più o meno allo stesso settore. Price-cash flow (rapporto prezzo/ flusso circolante) Quotazione dell’azione/ (utile + ammortamenti) per azione. Viene calcolato come utile + ammortamenti → è un’approssimazione dell’EBITDA. Fino a qualche tempo fa non era obbligatorio. Price -to – book value (rapporto prezzo/ CN) 26 Metto a confronto il valore di bilancio dell’azione con quello del valore di borsa. Se il primo è maggiore???? Le azioni value hanno questi rapporti bassi, sotto la mediana. Le azioni growth ce li hanno alti, aspra la mediana. Es. Tesla è considerata growth, Dividend yield (rapporto dividendo/prezzo) Le azioni growth ce l’hanno basso Dice qual è la redditività da dividendo. Più è alto, maggiore è per l’azionista che ottiene un rendimento più alto. È solo una parte corrente del rendimento di un’azione. Enterprise value rations. Mentre nei primi quattro quozienti, si usa il valore di borsa delle azioni, quindi del capitale netto, in questi indici si calcola il valore di tutta l’impresa, non solo il valore di mercato delle azioni come nei primi quattro casi, In borsa c’è il valore delle azioni, non il valore del totale atti o. Quest’ultimo e uguali ai debiti + capitale netto Valore di mercato dell’attivo (quotazione dell’azione) + debiti per azioni/ EBITDA al numeratore Al denominatore ci sono flussi di reddito prodotti dagli investimenti usati per remunerare zia gli azionisti sia i creditori. Per le società industriali e commerciali questi indici sono ritenuti più affidabili. Per le società finanziarie si usano gli indici precedenti. Tali indici non sono sui giornali e le società vengono rappresentati con quozienti riferiti al solo valore dell’azione. QUOTAZIONI E FONDAMENTALI I prezzi di borsa si formano sulla base di informazioni. Dai prezzi di borsa si può inferire la percezione che gli investitori hanno dei fondamentali dell’impresa. Gli investitori attribuiscono valore alle società quotate attraverso l’espressione dei prezzi. Questa elaborazione di informazioni tiene conto dei prezzi dei titoli azionari, obbligazionari che sono influenzati dalle aspettative degli investitori su ciò che può accadere in futuro. Le aspettative sono sui fondamentali, ovvero sugli elementi che incidono sul valore delle società. I prezzi riflettono le aspettative sui fondamentali, su quello che il mercato si attende circa i driver dei valori. I prezzi hanno quindi contenuto informativo: è nascosta l’aspettativa sui fondamentali. Per estrapolare le informazioni sulle aspettative è necessario adottare un modello. Ci sono varie formule per calcolare il prezzo di una società. Modello di Gordon: è la formula più semplice. Dice che il prezzo al tempo 0 (di oggi) di un’azione è uguale al rapporto DPS/ kE – gn. Il DPS è il dividendo unitario che sarà pagato al tempo 1. Questo dato riguarda il futuro, è un dato previsto. Al denominatore: kE è il costo del capitale di rischio (costo dell’equity) che si può considerare come il rendimento preteso dagli investitori per acquistare le azioni della società. Per l’azienda è un costo. G è il tasso di crescita annuale dei dividendi nel lungo periodo. 27 K e G sono due percentuali! Sono dati relativi al futuro. Sono valori attesi, ovvero delle aspettative. Il valore atteso dipende da questi tre fattori. Il dividendo è una parte dell’utile: le società pagano i dividendi sulla base degli utili che realizzano. La quota degli utili distribuiti può variare ed è distribuita sottoforma di dividendi e prende il nome di PAY OUT. Il pay-out è una percentuale, è la frazione di utili che viene distribuita come dividendo. Il dividendo pagato al tempo 1 si può esprimere con riferimento agli utili e quindi: utile unitario x pay-out x 1 + gn. Nel modello di Gordon il tasso di crescita del dividendo g è anche il tasso di crescita degli utili. Si ipotizza che il pay out sia costante nel tempo (nella formula non ha un pedice legato al tempo). Il tasso di crescita G deve essere inferiore a K, altrimenti il prezzo sarà negativo. Per applicare il modello occorre avere una previsione sui dividendi che saranno distribuiti a breve, una previsione circa il rendimento che gli azionisti pretendono e il tasso di crescita dei dividendi. Quest’ultimo termine fa sì che nella formula ci siano i dividendi di più anni: il prezzo di un’azione è il valore attuale dei dividendi. La formula di Gordon permette di individuare i fondamentali dell’impresa: i dividendi, il tasso di crescita dei dividendi, il costo del capitale → dipende dal rischio a cui si espongono gli investitori. DAL MODELLO DI GORDON AL PE Il contenuto informativo del price- earnings. Nella formula di Gordon è necessario inserire un riferimento agli earnings (utili). Quando dividiamo al tempo 1 l’espressione si semplifica. Il PE può essere calcolato usando gli utili storici o gli utili previsti. Se si utilizzano gli utili storici, si ottiene il price earnings cosiddetto storico. Se si usano gli utili previsti, si ottiene il price earnings detto leading. Il pe leading dice che il pe di una certa azienda dipende al pay out, dipende da Ke e dipende da g. Questo vuol dire che, a parità di altre circostanze, se un’azienda ha un pay out più alto di un’altra azienda è giusto che abbia un price earnings più alto. Invece, a parità di altre circostanze, se un’azienda ha un Ke più basso di un’altra azienda, è giusto che abbia un price earnings più alto, Ke incide negativamente sul prezzo di borsa. Se due aziende sono diverse per G, l’azienda che ha il G più alto, è giusto che abbia un price earnings più alto. Questi indicatori rappresentano la convenienza di un’azione in modo molto grezzo. 28 DAL MODELLO DI GORDON AL DY Il contenuto informativo del dividend yield Il dividendo/prezzo rappresenta sia un

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