Malattie Epatico Autoimmuni PDF

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NicestGreekArt2771

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Michela Mantovani, Valentina Mariani, Giulia Castoldi, Elisa Fabbri

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malattie autoimmuni epatite autoimmune patologie epatiche medicina

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This document provides a review of autoimmune liver diseases, including autoimmune hepatitis, primary biliary cholangitis, and primary sclerosing cholangitis. The document discusses the causes, symptoms, and diagnosis of autoimmune liver diseases. It also touches upon the pathogenesis and treatment options for these conditions.

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Argomento: malattie autoimmuni epatiche, epatite autoimmune, colangite biliare primitiva, colangite sclerosante primitiva Data...

Argomento: malattie autoimmuni epatiche, epatite autoimmune, colangite biliare primitiva, colangite sclerosante primitiva Data: 15/11/2024 Sbobinatori: Michela Mantovani, Valentina Mariani Revisionatore: Giulia Castoldi Docente: Elisa Fabbri RIPASSO LEZIONE PRECEDENTE Le malattie autoimmuni sono dovute a una sregolata risposta immunitaria contro il self, cioè contro antigeni dell'organismo. Un esempio di malattia autoimmune sistemica è il lupus, le altre principali malattie autoimmuni sistemiche, che appartengono alla famiglia delle connettiviti, sono la sindrome di Sjogren, la sclerodermia e le miositi. MALATTIE AUTOIMMUNI DI INTERESSE EPATOLOGICO Sono malattie autoimmuni organo-specifiche che colpiscono come organo il fegato. Sono patologie abbastanza rare ma è importante sapere che esistono e sapere come si presentano per poterle individuare precocemente perché la diagnosi precoce influenza positivamente la prognosi del paziente. Le diagnosi tardive possono evolvere rapidamente verso la cirrosi e l’insufficienza epatica riducendo l'aspettativa di vita del paziente e avendo anche un impatto molto severo sulla qualità di vita. La diagnosi tardiva porta a un'elevata morbidità e mortalità. Le malattie autoimmuni di interesse epatologico sono: Epatite autoimmune Colangite biliare primitiva Colangite sclerosante Queste 3 patologie saranno trattate come tre entità patologiche distinte ma in realtà appartengono ad un continuum patologico perché esistono anche delle forme da overlap, un po’ come avevamo visto per le connettiviti sistemiche. EPATITE AUTOIMMUNE È una malattia infiammatoria cronica del fegato a patogenesi autoimmune in cui il bersaglio di questa risposta immunitaria inappropriata sono gli epatociti: c'è una perdita di tolleranza immunologica nei confronti degli epatociti. Clinicamente si presenta con: l'aumento dei livelli di transaminasi (sono gli indicatori laboratoristici di danno epatico) aumento delle immunoglobuline, soprattutto della classe IgG presenza di auto anticorpi specifici caratteristiche istologiche peculiari: la diagnosi viene fatta con la biopsia epatica. La biopsia epatica infatti ci serve, di fronte a un sospetto clinico laboratoristico importante, per confermare la diagnosi. Eziologia L'epatite autoimmune, un po’come tutte le patologie autoimmunitarie, tende a colpire prevalentemente il sesso femminile per ragioni ancora non completamente chiarite. Puó colpire persone di qualsiasi età ma è in aumento nella popolazione anziana dove però tende essere meno aggressiva. La prevalenza e l’incidenza di questa patologia sono in aumento in tutto il mondo grazie al miglioramento delle tecniche diagnostiche e alla miglior conoscenza di questa patologia che permette di intercettarla più precocemente. Anche se vi è stato un aumento dell’incidenza e della prevalenza si pensa che l’epatite autoimmune sia una patologia ancora sotto diagnosticata, cioè, si pensa che nella popolazione generale l'incidenza e la prevalenza siano superiori di quelle effettivamente documentate. Patogenesi Perdita di tolleranza immunologica contro gli epatociti Predisposizione genetica (geni HLA DR3 e DR4) Modificazioni epigenetiche Fattori ambientali (agenti virali* e/o xenobiotici) “mimetismo molecolare” o cross-reazione Risposta immuno-mediata contro antigeni “self” epatici Infiammazione epatica cronica persistente e auto perpetuante La patogenesi è multifattoriale: i soggetti che sono geneticamente predisposti (la predisposizione genetica è una condizione sine qua non), esposti a determinati fattori ambientali come virus (epatite, CMV, EBV) o farmaci (la nitrofurantoina e la aminociclina sono stati associati alla insorgenza di epatite autoimmune ma anche altri farmaci come, per esempio, la metildopa) hanno un maggior rischio di insorgenza di queste patologie. La predisposizione genetica è testimoniata dal fatto che per queste malattie esiste una familiarità, cioè spesso sono colpite più persone all'interno dello stesso nucleo familiare. Risulta importante quindi raccogliere anche l'anamnesi familiare del paziente. I geni mutati che favoriscono l’insorgenza dell’epatite autoimmune sono: gene HLA con le varianti: o DR3 o DR4 Questi geni codificano per degli antigeni che sono coinvolti nel processo di presentazione dell'antigene ai linfociti CD4+. Meccanismo di mimetismo molecolare: l’agente esterno a cui siamo esposti può condividere delle sequenze molecolari con molecole che sono proprie del self. Dopo una prima esposizione l'individuo si sensibilizza e alla seconda esposizione a queste molecole, appartenenti però a tessuto ospite, si viene a creare una risposta immunitaria inappropriata contro gli epatociti: c'è una cross reazione/una cross reattività da parte del sistema immunitario che riconosce delle strutture molecolari espresse dagli epatociti attribuendoli impropriamente a strutture molecolari di virus o agenti patogeni esterni e quindi si viene a determinare proprio questa risposta diretta contro gli antigeni self epatici provocando infiammazione cronica persistente che si auto mantiene e che porta, alla fine, alla distruzione del parenchima epatico con possibil evoluzione verso la fibrosi e verso la cirrosi epatica. La prof.ssa rispiega con altre parole il concetto del mimetismo: gli antigeni self dell'organismo, espressi dagli epatociti possono presentare delle sequenze molecolari analoghe a quelle espresse da agenti esterni come i virus per cui, dopo una prima esposizione e sensibilizzazione legata all’esposizione a questi virus, il sistema immunitario scatena una risposta inappropriata diretta contro gli antigeni self. Questo provoca uno stato infiammatorio cronico che poi esita in un danno tissutale. Anche le caratteristiche individuali incidono sull’insorgenza di epatite autoimmune. Queste caratteristiche sono: l'età il sesso alterazioni ormonali legata a uno stato di gravidanza le comorbidità le forme autoimmunitarie di epatite sono solo una delle possibili eziologie di malattia epatica; tra le altre ci sono le forme virali e le forme metaboliche come NAFLD (steatoepatite non alcolica). Le comorbidità influenzano negativamente la prognosi: se un paziente ha una malattia autoimmune del fegato ma concomitamene vi è anche un'altra patologia virale o metabolica del fegato la prognosi è peggiore e il rischio che evolva verso cirrosi epatica e forme gravi è maggiore. Recentemente, gli studi hanno evidenziato anche un possibile ruolo del microbiota intestinale nell’insorgenza di epatite, infatti nei pazienti con epatite autoimmune vi è un'attivazione aberrante del sistema immunitario legata a dei segnali provenienti dal microbioma intestinale (esiste un asse intestino-fegato). Queste evidenze sono importanti per il possibile ruolo che i probiotici o interventi dietetici mirati possono avere chiaramente non tanto nel prevenire la malattia ma soprattutto nel rallentarne la progressione, quindi per migliorare la qualità di vita. Diagnosi È difficile diagnosticare l’epatite autoimmune perché ha una presentazione piuttosto eterogenea. Le manifestazioni sono molto ampie e possono andare da pazienti asintomatici fino a quadri che possono arrivare già all'esordio, alla cirrosi epatica avanzata. La diagnosi di epatite autoimmune nei pazienti asintomatici viene fatta perché, per qualche motivo, il paziente esegue un controllo degli esami del sangue includendo i test di funzionalità epatica e si rileva un aumento delle transaminasi più altre alterazioni laboratoristiche. imm: range anche di gravità molto variabile. EPATITE AUTOIMMUNE Gli individui che già all'esordio si presentano con un quadro di cirrosi epatica sicuramente avrà un'evoluzione prognostica più PRESENTAZIONE CLINICA sfavorevole. Per questo è importante la diagnosi precoce. Paziente Cirrosi epatica asintomatico scompensata Tre tipologie di esordio dell’epatite Estrema eterogeneità clinica autoimmune: acuto insidioso asintomatico L'esordio acuto è quello più frequente e si presenta con un quadro di epatite acuta (ittero con un incremento delle transaminasi molto elevato). Per poter fare la diagnosi si devono escludere le altre cause di danno epatico acuto come: l’infezione virali (HAV, HBV, HCV, HEV, CMV, EBV. Quelli che cronicizzano sono HBV e HCV) farmaci malattie metaboliche (morbo di Winston, l'emocromatosi) l'autoimmunità Nella diagnosi differenziale, di fronte a un paziente con epatite acuta, bisogna considerare anche a un quadro di autoimmunità: oltre a richiedere i marker dell'epatite bisogna richiedere anche quei parametri di laboratorio che permettono di fare la diagnosi di epatite autoimmune. Esordio acuto: può essere così grave da manifestarsi con epatite fulminante che evolve rapidamente in insufficienza epatica acuta. Questi pazienti devono essere indirizzati al centro trapianti perché l'unico modo per salvargli la vita è il trapianto di fegato. Esordio insidioso: l'esordio non è così eclatante, i sintomi sono aspecifici. Alcuni sintomi possono essere ad esempio mialgie e astenie. Se in ambulatorio medico arriva una giovane donna che riferisce mialgie sarebbe bene far eseguire un pannello di autoimmunità (è una modalità di presentazione dell'epatite autoimmune e delle malattie autoimmuni). Esordio completamente asintomatico: il paziente non lamenta alcun sintomo o segno di malattia. Può essere riscontrata nel momento in cui il paziente esegue degli esami ematici per un altro motivo e viene rilevata un'alterazione dei test di funzionalità epatica in modo particolare un aumento delle transaminasi; oppure all'interno dello stesso individuo possono clusterizzare più malattie autoimmuni quindi questi pazienti in realtà hanno anche altre malattie autoimmuni extraepatiche (es: paziente con malattia autoimmune della tiroide esegue un controllo degli esami laboratoristici del fegato che rilevano un'alterazione delle transaminasi. A questo punto il paziente inizia il percorso per confermare una diagnosi di epatite autoimmune associata). Spesso si associano all’epatite autoimmune patologie autoimmuni come la tiroide autoimmune, malattie cutanee come l'alopecia, la vitiligine e la psoriasi, malattia celiaca, connettiviti come la sindrome di Sjogren, malattie infiammatorie croniche intestinali. La diagnosi dell’epatite autoimmune non è semplice: il motivo per cui spesso è misconosciuta o sotto diagnosticata è proprio perché non c’è un sintomo, un segno o un'alterazione di laboratorio che sia patognomonica per la patologia. Tutti i pazienti che presentano un’ipertransaminasemia oppure un paziente che ha già una forma più evoluta di malattia epatica quindi una cirrosi epatica, di cui non sappiamo l'eziologia, va sempre presa in considerazione l’epatite autoimmune nella diagnosi differenziale. La diagnosi di epatite autoimmune si basa su: aumento delle transaminasi, ↑ ALT, AST Ipergammaglobulinemia policlonale (soprattutto elevati livelli di IgG) Autoanticorpi circolanti Epatite all’interfaccia all’esame istologico (biopsia epatica) Per confermare la diagnosi è necessaria la biopsia che rileva all'esame istologico un quadro caratteristico di epatite all'interfaccia. In base al tipo di auto anticorpo, possiamo classificare l'epatite autoimmune in 2 tipi: epatite autoimmune tipo 1: positività degli autoanticorpi antinucleo (ANA) e antimuscolo liscio (SMA) epatite autoimmune tipo 2: positività degli autoanticorpi anti liver kidney microsome type 1 (LKM1) e anti liver cytosol type 1 (anti- LC1). È rara negli adulti, è più frequente nei bambini. In realtà è solo una classificazione sierologica, non ha un significato clinico. Gli anti soluble liver antigen/liver pancreas (anti-SLA/LP) sono piuttosto specifici per l’epatite. Si possono trovare associati anche ad altri autoanticorpi. In passato è stato ipotizzato che questi anticorpi si associassero a delle forme più aggressive della patologia. Il significato prognostico sfavorevole però non è stato completamente confermato. La biopsia è obbligatoria per confermare la diagnosi e per vedere il grado di severità della malattia: con l'esame istologico si può vedere il livello di infiammazione e la deposizione di tessuto fibroso che ci indica la progressione istologica del danno epatico (quado c’è deposizione di tessuto fibroso la progressione verso la cirrosi diventa irreversibile). Se invece c'è principalmente infiammazione, il danno istologico è ancora parzialmente reversibile. La biopsia è necessaria anche per escludere altre cause di epatite come virus Epatite all'interfaccia: quadro di infiammazione portale con infiltrati plasmacellulari. Si manifesta in quasi il 98% dei pazienti. Epatite all’interfaccia con infiammazione portale (1) e emperipolesi (2) Altro segno, abbastanza specifico, è la presenza di un linfocita all'interno del citoplasma di un epatocita proprio a indicare un’aggressione immunologica nei confronti degli epatociti. Questa condizione viene definita Emperipolesi. Rosette epatocellulari: gli epatociti si organizzano attorno ad un lume centrale come risposta al danno epatico. È un tentativo di risposta al danno epatico. In base ai reperti istologici, l'anatomopatologo nel referto classificherà il paziente come: epatite autoimmune probabile epatite autoimmune possibile epatite autoimmune improbabile Imaging Ecografia epatica: l'ecografia epatica nella diagnosi diciamo di epatite autoimmune non dà informazioni però è un’indagine di completamento che viene fatta per stadiare la malattia. Grazie all’ecografia riesco ad individuare un fegato cirrotico o un eventuale complicanza della cirrosi epatica. È necessario un programma di sorveglianza per un'eventuale diagnosi precoce di una HCC e per migliorare la prognosi del paziente. Generalmente questo vale sia per l'epatite autoimmune ma anche per altre tipologie di danni epatico. L'ecografia per la sorveglianza del HCC deve essere eseguita ogni 6 mesi. Fibroscan: va a rilevare sostanzialmente quello che è il grado di indurimento del fegato legato alla deposizione di tessuto fibroso. Può essere utile per monitorare la progressione di malattia Queste metodiche non consentono la diagnosi, vengono utilizzate una volta che è stata fatta la diagnosi per inquadrare il danno epatico, quindi l'eventuale presenza di una cirrosi. Trattamento L'obiettivo del trattamento è indurre la remissione/una risposta biochimica completa, cioè una normalizzazione dei valori sia delle transaminasi che delle IgG. La normalizzazione dei valori predice fondamentalmente anche la remissione istologica. La risposta al trattamento è variabile da soggetto a soggetto, in alcuni pazienti si ha una buona risposta al trattamento con il raggiungimento della remissione di malattia entro i 6 mesi. Un terzo dei pazienti non riescono a raggiungere questa risposta biochimica completa. È importante avere questo obiettivo perché non solo arresta la progressione della malattia, quindi la progressione della fibrosi, ma consente anche la regressione istologica della patologia e quindi migliora la prognosi del paziente. I pazienti che con la terapia raggiungono una normalizzazione delle transaminasi, delle IgG quindi raggiunge una risposta biochimica completa, avranno indubbiamente una prognosi migliore di un paziente che invece non raggiunge queste caratteristiche. Il trattamento si basa fondamentalmente su una terapia di tipo immunosoppressivo: nella fase iniziale del trattamento si utilizzano gli steroidi ad alte dosi (dosaggio 0.5- 1 mg pro-chilo). La risposta al trattamento si basa sull'andamento delle transaminasi e delle IgG. Viene definita mancata risposta al trattamento se le transaminasi non si riducono di almeno il 50% entro 1/4 settimane dall'inizio della terapia. Una volta che si raggiunge la risposta al trattamento steroideo il dosaggio deve essere progressivamente scalato perché la terapia steroidea ad alte dosi ha effetti collaterali importanti. Inoltre, è necessario passare a una terapia di mantenimento che è basata su immunosopressori: il farmaco di prima scelta, quello più comunemente utilizzato, è l’azatioprina che può essere utilizzata in monoterapia o in associazione a un basso dosaggio di steroidi. Generalmente si inizia con una dose bassa, circa 50 milligrammi al giorno, monitorando gli effetti collaterali, successivamente la dose viene aumentata. Esistono delle terapie di seconda linea sia per quanto riguarda l'induzione alla remissione che per la terapia di mantenimento. Un'alternativa al cortisone può essere la 6 mercaptopurina o il Micofenolato. La terapia di mantenimento va personalizzata sul singolo individuo onde evitare delle recidive ed è un trattamento a lungo termine, spesso a vita perché la sospensione del trattamento porta al rischio di recidiva di malattia. Il trapianto di fegato viene eseguito solamente nelle epatiti fulminanti che danno insufficienza epatica acuta, nelle cirrosi epatiche terminali e nei casi evoluti verso una HCC (tra le varie eziologie di carcinoma epatico, come le forme virali o d’abuso di alcol o metaboliche, l'epatite autoimmune ha il tasso più basso di rischio di sviluppo del carcinoma: il 9% dei pazienti con cirrosi epatica possono sviluppare un epatocarcinoma; per questo è indicata la sorveglianza con l'ecografia, metodica non invasiva, ogni sei mesi. Ci sono dei fattori di rischio che possono aumentare il rischio di evoluzione verso l'epatocarcinoma che sono l'età avanzata, il concomitante uso di alcol, sesso maschile, un mancato controllo dell'attività di malattia con la terapia e l'eventuale appunto recidive in corso di trattamento. Trattamento dell’epatite fulminante che dà un'insufficienza epatica acuta: iniezione per via endovenosa di dosi molto importanti di cortisone per avere una risposta più rapida possibile. Questi pazienti devono essere urgentemente centralizzati in un centro trapianti. Criteri prognostici Età: l'esordio in un soggetto più giovane rispetto al soggetto anziano tende ad avere una prognosi peggiore. Se all'esordio è già presente un quadro di danno epatico evoluto, quindi un quadro di cirrosi epatica, chiaramente la prognosi è peggiore. Altro criterio prognostico negativo il non raggiungimento della remissione con il trattamento. COLANGITE BILIARE PRIMITIVA È una malattia colestatica cronica del fegato, caratterizzata anche in questo caso da una patogenesi autoimmune, quindi una distruzione immuno-mediata, perché si ha risposta immunitaria inappropriata contro il self, ed in questo caso il bersaglio è costituito dai piccoli dotti biliari intraepatici i quali verranno dunque distrutti. Si avrà come conseguenza la colestasi cronica, infiammazione a livello dello spazio portale, deposizione di tessuto fibroso, ed infine evoluzione verso cirrosi ed insufficienza epatica. Fino al 2015 veniva chiamata “cirrosi biliare primitiva’’, successivamente è stato modificato a “colangite biliare primitiva’’, proprio perché la malattia è legata ad un’infiammazione e distruzione dei dotti biliari, mentre la cirrosi è la conseguenza e stadio finale. L’acronimo in entrambi i casi rimane uguale: PBC in inglese, CBP in italiano. Epidemiologia Colpisce soprattutto le donne con un picco di prevalenza che va dalla quarta alla sesta decade. Tuttavia quando colpisce gli uomini la prognosi è peggiore, quindi il tasso di sopravvivenza è nettamente inferiore. Patogenesi La patogenesi non è ancora completamente chiarita ma è sempre multifattoriale, per cui i soggetti geneticamente predisposti, in seguito ad esposizione a fattori ambientali, subiscono una risposta immunitaria inappropriata con infiammazione, distruzione dei dotti biliari ed evoluzione verso la cirrosi. Un aspetto importante è la familiarità, quindi più donne della stessa famiglia sono affette (donne perché epidemiologicamente più significative). Anatomia patologica Nell’immagine si vede una “lesione duttale florida”, caratteristica. Rappresenta una colangite distruttiva cronica non suppurativa dei dotti biliari intraepatici, che vanno incontro a necrosi e vengono circondati da un infiltrato denso di cellule infiammatorie che formano un vero e proprio granuloma, quindi è una colangite granulomatosa. Diagnosi Spesso la diagnosi non è facile perché l’esordio è insidioso e paucisintomatico. Le persone che non presentano sintomi vengono intercettate per alterazione degli esami laboratoristici: - Aumento di indici di colestasi (in particolar modo di fosfatasi alcalina) - Riscontro di autoanticorpi specifici per la CBP, chiamati anticorpi anti-mitocondrio (positivi in >90% dei casi) Due sintomi principali che possono essere presenti all’esordio sono il prurito e l’astenia (sintomi aspecifici), solo nelle fasi più avanzate si avrà un ittero conclamato. Dalle slide anche: “sindrome sicca”, fastidio addominale e dolori ossei Altre manifestazioni cliniche caratteristiche sono i xantomi/xantelasmi, dovuti ad un accumulo sottocutaneo del colesterolo, perché quest’ultimo è componente della bile, quindi essendoci colestasi aumenta il livello di colesterolo nel sangue e tende a depositarsi a livello sottocutaneo. Gli xantelasmi sono placche bianco- giallastre che si formano soprattutto sulla palpebra superiore ma si ritrovano anche a livello della palpebra inferiore, vicino alla radice del naso. Altre manifestazioni cliniche sono legate al malassorbimento dei lipidi (steatorrea) e di vitamine liposolubili: - Vit A: disturbi sulla visione - Vit E: responsabile di neuropatia e miopatia - Vit D: può dare osteopenia/osteoporosi - Vit K: deficit coagulativo (da slide) L’associazione più caratteristica è con la “sindrome Sicca’’, infatti spesso all’esordio i pazienti manifestano astenia, prurito e secchezza oculare o delle fauci. Può associarsi anche al fenomeno di Raynaud, sclerodermia o sindrome CREST e malattie della tiroide. I primi casi descritti di questa patologia erano donne con quadri molto evoluti, malattie epatiche end stage. Oggi viene intercettata molto più precocemente, quindi la forma più frequente in assoluto è legata ad alterazioni degli indici di colestasi associate a positività degli auto-anticorpi. Spesso la diagnosi avviene perché i pazienti fanno esami di controllo oppure perché, come nell’epatite autoimmune, i pazienti hanno altre malattie autoimmuni extraepatiche e facendo un controllo della funzione epatica si scopre un aumento degli indici di colestasi. Ricapitolando: - Indici di colestasi aumentati - bilirubina normale nelle fasi iniziali, aumenta quando la malattia progredisce (evoluzione verso ittero franco con significato prognostico sfavorevole) - ipergammaglobulinemia con aumento delle IgM (epatite AI è IgG) - Ipercolesterolemia: perché il colesterolo è componente della bile e c’è colestasi; quindi, aumentano i livelli di colesterolo ematico - positività degli anticorpi antimitocondrio (AMA) (titolo > 1:40) in > 95% dei casi, sono caratteristici della malattia e fondamentali per la diagnosi perché risultano essere i più sensibili e più specifici. Non ha significato prognostico, il titolo anticorpale non correla con la prognosi. Si possono evidenziare gli AMA all’immunofluorescenza indiretta su sezioni di tessuto, come ad esempio fegato, rene, stomaco di cavie. Più recentemente anche su cellule chiamate Hep-2-cells (immagine). Quindi quali sono i criteri diagnostici secondo le ultime linee guida della società europea del fegato? Devono essere verificati almeno 2 di questi 3 criteri: 1. Presenza di anticorpi antimitocondrio a. Nel contesto di una colestasi biochimica ed in assenza di altre potenziali cause di danno colestatico 2. Colestasi intraepatica (ecografia addome normale; elevati livelli di fosfatasi alcalina) a. Per quanto riguarda l’imaging che normalmente utilizziamo nel fegato non ha un ruolo diagnostico per quanto riguarda la CBP, l’ecografia addome serve però quando di fronte ad una colestasi laboratoristica dobbiamo escludere altre cause extraepatiche di colestasi (es. neoplasie, ostruzione biliare). Quindi va sempre fatta un’ecografia per verificare che si tratti di una colestasi intraepatica. Inoltre valuta il grado di evoluzione verso la cirrosi epatica ed eventuali sub-complicanze (come ipertensione portale, ascite, segni di splenomegalia) b. Il fibroscan viene utilizzato per fare lo staging della malattia, soprattutto per quanto riguarda il grado di fibrosi 3. Biopsia che esprime una colangite distruttiva non suppurativa (non suppurativa significa non purulenta) a. Siccome sono necessari 2 criteri su 3 per fare diagnosi, se sono presenti AMA e colestasi, si può evitare la biopsia. Quest’ultima viene eseguita quando ad esempio ci sono gli AMA negativi oppure se sospettiamo una concomitante eziologia associate (come una forma metabolica). Può anche valutare il grado di severità della malattia e la progression della fibrosi b. Ci sono delle forme di overlap tra epatite autoimmune e CBP, dove i pazienti presentano caratteristiche di entrambe le patologie, e la biopsia in questo caso può rilevare doppia diagnosi Trattamento Il farmaco di prima linea è l’acido ursodesossicolico (13-15 mg/kg/die), molto efficace perché ha azione coleretica (promuove la sintesi e secrezione di bile, ricca di acidi biliari e povera di colesterolo), antinfiammatoria, immunomodulatoria e citoprotettiva. Quindi non soltanto migliora da un punto di vista biochimico la colestasi, ma rallenta anche la progressione istologica. Se assunto fin dagli stadi iniziali è in grado di controllare la malattia e garantire al paziente un tasso di sopravvivenza sovrapponibile a quello della popolazione generale. Dei pazienti affetti da CBP circa il 50% risponde bene a questo farmaco, con normalizzazione della colestasi, rallentamento della progressione della malattia e buona sopravvivenza. Il restante 50% però non tollera o non risponde alla terapia, ed in questo caso è presente un altro farmaco per la terapia di combinazione di seconda linea: acido obeticolico. È un acido biliare semisintetico che va ad agire come agonista del recettore nucleare coinvolto nella sintesi, secrezione e trasporto degli acidi biliari. Quindi stimolando questo recettore si avrà anche in questo caso un effetto coleretico, antinfiammatorio ed antifibrotico. Infine c’è un’ultima fetta di pazienti che non risponde a nessuno dei due farmaci, e per questo si stanno cercando altre opzioni terapeutiche. COLANGITE SCLEROSANTE PRIMITIVA Anch’essa è una malattia colestatica cronica, caratterizzata da infiammazione, obliterazione e fibrosi sia dei dotti biliari intra-epatici che extra-epatici (differenza rispetto alla CBP che invece interessava solo i dotti biliari intra-epatici) con progressiva distruzione dell’albero biliare. Epidemiologia Si caratterizza per il fatto che è più colpito il sesso maschile, e frequentemente è associata ad una malattia cronica intestinale, più frequentemente RCU ma coinvolge anche il Morbo di Chron. Anatomia patologica La lesione caratteristica è la “lesione a buccia di cipolla’’, con strati concentrici di tessuto connettivo che circondano i dotti biliari. Clinica La normale architettura dei dotti biliari viene persa poiché si ha infiammazione e distruzione dell’albero biliare, per cui si viene a creare un’alternanza tra aree stenotiche ed aree dilatate nell’arco dell’albero biliare, sia a livello intraepatico che extraepatico. Le stenosi determinano una stasi di bile a livello intraepatico. La manifestazione più caratteristica è la colangite ricorrente, dovuta alla colestasi ed alla sovrainfezione della bile stessa. La triade caratteristica della colangite (in generale, non necessariamente colangite sclerosante): 1. Febbre di tipo settico, anche molto elevata 2. Dolore ipocondrio dx 3. Ittero Più comunemente nella popolazione generale la causa più frequente di colestasi sono i calcoli, predisponendo alla colangite. Il principio è lo stesso per la colangite sclerosante primitiva, solo che al posto dei calcoli ci sono le stenosi. Esami di laboratorio Essendoci una colestasi si ha un aumento degli indici di colestasi. Nel 65-80% dei casi si ha la positività degli anticorpi p-ANCA (anticorpi diretti contro il citoplasma dei neutrofili). Caratteristicamente questi anticorpi sono presenti sia nella colangite sclerosante primitiva che nei pazienti con RCU, ad indicare come ci sia probabilmente un ponte tra queste due patologie a livello eziopatogenetico, anche se non è ancora chiaro. L’esame principe per fare la diagnosi è la colangio-RM, che ci mostra le irregolarità dell’albero biliare con alternanza di aree stenotiche ed aree dilatate, per dare un aspetto caratteristico detto a “corona di rosario’’ o a “filo di perle’’. Decorso clinico Il decorso clinico è variabile ma anche in questo caso c’è una quota significativa di pazienti che progredisce verso la malattia epatica terminale con possibile indicazione di trapianto di fegato. Trattamento A differenza dell’epatite autoimmune e della cirrosi biliare primitiva dove ci sono trattamenti che rallentano la progressione della malattia e ne migliorano la storia naturale, nella colangite sclerosante primitiva non c’è un trattamento ad oggi che ci consenta di rallentare la progressione della malattia e di migliorare la storia naturale o la qualità di vita del paziente. La terapia antibiotica viene fatta solo in acuto, il paziente viene ospedalizzato. La ERCP può essere utilizzata per dilatare le stenosi e prevenire gli episodi di colangite. Un altro aspetto importante da tenere presente per la gestione dei pazienti è l’altissimo rischio di sviluppare alcune tipologie di neoplasie, soprattutto il colangiocarcinoma (7-15%) che è la principale causa di morte, per cui è molto importante fare un programma di sorveglianza. Nei pazienti che presentano concomitante RCU c’è anche un rischio aumentato di sviluppare neoplasie colon-rettali. Quindi è molto importante in questi pazienti sorvegliare. OVERLAP EPATITE AUTOIMMUNE/CBP Ci sono dei casi di coesistenza nello stesso paziente di caratteri sia dell’epatite autoimmune, che della CBP. In questo caso se il paziente ha già soddisfatto i criteri per la diagnosi di epatite autoimmune, ma rileviamo anche un aumento degli indici di colestasi, positività di AMA, ed eventualmente biopsia di lesioni del dotto biliare, ci orientiamo verso la diagnosi di overlap. Può presentarsi anche il caso opposto: il paziente ha già diagnosi di CBP ma presenta anche aumento delle transaminasi, positività agli autoanticorpi SMA e ANA, esame istologico con quadro di epatite all’interfaccia, di nuovo ci addentriamo verso diagnosi di overlap. OVERLAP EPATITE AUTOIMMUNE/CSP Se nel paziente che soddisfa i criteri di epatite autoimmune rileviamo marcato aumento degli enzimi di colestasi ed alla colangio-RM un quadro con alternanza di stenosi e dilatazioni dei dotti biliari, possiamo pensare ad una forma da overlap.

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