Organizzazione del SSN PDF

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This document is a lecture note on the organization and functioning of the Italian National Health Service (SSN). It discusses historical models, performance measurement, and related topics. Information about measuring performances, models, and organization of Italian healthcare systems is presented.

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Sbobina 3 - Sanità pubblica – Prof Francesco Auxilia – 7/10/2022 Organizzazione e funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) RIPRESA DELLA LEZIONE PRECEDENTE Fino all’altra volta abbiamo fatto un’analisi molto in superficie dei sistemi sanitari, abbiamo ragionato su alcune caratteristiche...

Sbobina 3 - Sanità pubblica – Prof Francesco Auxilia – 7/10/2022 Organizzazione e funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) RIPRESA DELLA LEZIONE PRECEDENTE Fino all’altra volta abbiamo fatto un’analisi molto in superficie dei sistemi sanitari, abbiamo ragionato su alcune caratteristiche e anche alcune differenze tra diversi modelli: alcuni sono molto lontani da noi, ma da essi abbiamo preso qualche spunto, e altri sono più vicino a noi, ma si differenziano dal nostro, come i modelli mutualistici. Abbiamo anche ragionato sulle tre parole chiave dei modelli universalistici: responsabilità, solidarietà ed equità. Abbiamo individuato degli “slogan” dei modelli universalistici che si basano su una definizione dell’intervento fondato sul bisogno, con una contribuzione in funzione del reddito. Nei modelli universalistici puri queste sono le regole: non si seleziona, si offre un pannello completo di queste azioni, non c’è differenziazione tra le diverse realtà territoriali. Noi sappiamo che il nostro sistema non è così: alcuni pagano il ticket e altri no, non tutte le prestazioni sono offerte e sono disponibili per i cittadini o lo sono solamente in determinate condizioni, esistono delle differenze regionali. Quindi in realtà non siamo un caso di piena applicazione del modello universalistico, ma questo modello nel tempo ha subito degli adattamenti, soprattutto in funzione della sostenibilità dell’organizzazione sanitaria: questo è il tema della conferenza di cui ha parlato prima. ASSISTENZA SANITARIA IN ITALIA Con la lezione di oggi siamo al punto 3 della scaletta: 1. Misurazione delle performance in un servizio sanitario, ci siamo interrogati sulle caratteristiche del servizio, su come viene valutato in base a quali indicatori, come viene giudicato e quali sono le sue performance 2. Modelli di organizzazione sanitaria 3. Come è organizzata l’assistenza sanitaria in Italia e successivamente in Lombardia Ci chiederemo in particolare come siamo passati da un modello mutualistico a un modello universalistico, toccando i punti principali della storia del servizio sanitario nazionale, e poi entreremo nel merito della sua organizzazione e del funzionamento di ciascuna delle sue parti. L’immagine (pagina seguente) mostra le tappe fondamentali della storia del sistema sanitario e il punto di arrivo è il 1978, da cui nascono degli interventi normativi che modellano nel tempo il servizio sanitario. Questa è una linea temporale che riassume un po’ i diversi passaggi del nostro paese. La nostra storia sanitaria inizia da parecchio lontano, dalla fine dell’800, quando nel nostro paese, sulla base di quello che stava succedendo anche negli altri paesi europei, iniziò a darsi una struttura, per cercare di prendersi cura delle persone, in base alle risorse che si aveva a disposizione, al reddito, alla cultura, al grado di sviluppo e alle esigenze. Come primo punto, con la legge Crispi-Pagliani si è cercato di provvedere a chi altrimenti non aveva possibilità di assistenza: nascono così il medico condotto e l’ostetrica condotta, che si occupavano di assistere chi non poteva permettersela. Si cominciava anche a pensare agli ospedali, che divennero pubblici già alla fine del 1800; negli anni ’30 c’è stata una prima norma che ha cercato di regolare gli ospedali per compiti in funzione della dimensione del bacino di utenza; e poi negli anni ’60 c’è stata un’altra riforma della struttura degli ospedali, che ha modificato la governance, cioè come vengono gestiti gli ospedali. 1 Contemporaneamente si sviluppava il sistema di welfare attraverso un meccanismo mutualistico: l’organizzazione sanitaria è partita seguendo quello che stava succedendo in Germania, con l’impostazione di Bismark: piano piano si sviluppano le diverse mutue e nel 1939 l’assicurazione contro le malattie diventa obbligatoria. Progressivamente le persone che lavoravano erano obbligate ad assicurarsi e ovviamente il datore di lavoro contribuiva all’assicurazione, così come prevede il modello bismarckiano: in questo modo sempre più persone si assicuravano, questo meccanismo andava a coprire le persone in quanto lavoratori. È un percorso abbastanza lungo, infatti arriviamo a dare una copertura assicurativa pressoché universale soltanto dopo la Seconda Guerra Mondiale, a ridosso della riforma sanitaria. Tuttavia, le strutture mutualistiche avevano diversi problemi che poi portarono alla riforma del 1978. Va spiegato infatti perché nel 1978 l’Italia sceglie un modello sanitario completamente diverso, le motivazioni del cambiamento, in questo momento, sono abbastanza importanti da conoscere. Visione di due filmati d’epoca: 1. racconta cos’è la mutua, il medico della mutua, qual è il livello di soddisfazione/insoddisfazione da parte dei medici rispetto al modello mutualistico. 2. intervista al ministro della sanità dell’epoca che spiega le ragioni, le motivazioni e le attese rispetto a questo grande cambiamento. È tutta giocata sull’aspetto economico, sul tema della spesa sanitaria, che stava aumentando a causa dei nuovi bisogni. Era incentrata sulla programmazione, cioè decidere in base alle risorse quali sono le priorità, stabilendo quindi dei budget. Il 1978 è stato per l’Italia un anno di grandissimi cambiamenti sia sociali, politici che di costumi: anno della nascita della riforma psichiatrica, anno della riforma sanitaria, anno della legge dell’interruzione volontaria della gravidanza. Ø Con le mutue si era assicurati come lavoratori (comprendendo anche i familiari a suo carico), per cui chi non lavorava non sarebbe stato coperto dall’assicurazione (7% di disoccupati). Ø Problemi strutturali: la copertura assicurativa era garantita da numerose mutue, circa 100, in base alle categorie di lavoratori (statali, locali, di enti privati, ecc.), che aveva come conseguenza delle differenze notevoli nel trattamento e nel funzionamento delle singole mutue, in base alle loro regole interne. Ad esempio, alcune mutue prescrivevano un farmaco che la persona andava a comprare in farmacia, mentre altre prevedevano che la persona anticipasse il costo del farmaco e poi ottenesse un rimborso. Poi ciascuna aveva i propri ambulatori e i propri medici specialisti. 2 Alcune mutue esistono ancora oggi, come l’ENPAM, una mutua che assicura i medici. Quindi è rimasto ancora qualcosa del modello mutualistico, ma solo sottoforma di previdenza, non di assistenza. Ø Crisi finanziaria: negli anni ’70 il modello mutualistico entra in crisi anche per un’esposizione finanziaria nei confronti degli ospedali. Infatti, le mutue pagando le spese sanitari dei propri iscritti, quelle farmaceutiche, ambulatoriali, diagnostiche e di ricovero in ospedale, si erano molto indebitate soprattutto con gli ospedali e per ripianarli è dovuto intervenire lo stato. Quindi si poneva il problema di rifinanziare il sistema oppure cogliere l’occasione per un cambiamento radicale, di cui si parlava già alla fine della Seconda Guerra Mondiale, di applicare nel nostro paese il modello universalistico, per cui ci sono voluti 30 anni, come era successo in Inghilterra in molto meno tempo, in 4-5 anni. Ø Il contesto politico e culturale ha favorito l’avvento della riforma sanitaria in Italia: c’era un governo di larga intesa, dove i principali partiti popolari dell’epoca (della Prima Repubblica), ovvero Democrazia cristiana, Partito socialista e Partito comunista e i loro alleati governavano insieme. Questo favorì l’approdo alla riforma nel 1978, anno in cui venne fatta anche la legge 180 per il trattamento di pazienti psichiatrici. Ø La riforma fu favorita anche dalla nascita delle Regioni con la prescrizione costituzionale del decentramento amministrativo: nel 1970 le regioni hanno una grossa responsabilità in merito all’organizzazione sanitaria e sociale, per i quali si spende circa l’80% del budget regionale. Quindi nelle elezioni per le regioni si deve tener conto del fatto che si vota su come impegnare i soldi nei servizi, sanitario e sociale. Ø In più ci fu negli anni ’70 la transizione epidemiologica: da paese agricolo con problematiche sanitarie prevalentemente a carattere trasmissivo siamo passati a una prevalenza delle patologie croniche e non trasmissibili, che richiedono tanto sforzo quindi si concilia meno bene con il modello mutualistico, in cui manca una visione sistemica dell’organizzazione sanitaria. Ø Una simile transizione comporta anche un modo diverso di approcciare la sanità, modifica i bisogni, ponendo l’accento sulla prevenzione delle malattie croniche e sulle pari opportunità per la cura e le riabilitazioni. Essendoci ancora però il sistema mutualistico, questo pagava le prestazioni (terapie, diagnosi, ricoveri e riabilitazioni), non gestiva la prevenzione; per cui parallelamente c’era un sistema separato che presidiava la prevenzione. Questo partiva dal Ministero della sanità, raggiungeva le province, col medico provinciale, e infine i comuni, con l’ufficiale sanitario. Tuttavia, questo sistema è insoddisfacente perché in realtà la prevenzione deve entrare in tutte le dinamiche, non è solo individuale ma rivolta anche a tutta la popolazione. Quindi si voleva un’organizzazione sistemica della sanità, in cui tutti gli aspetti fossero integrati tra di loro, non con filiere separate, per garantire una maggiore efficacia di intervento rispetto al cambiamento epidemiologico intervenuto nel nostro paese. Ø Il contesto internazionale: c’era l’OMS, c’era la conferenza di Alma Ata, tenuta nell’Unione Sovietica (Kazakistan oggi) nel 1978 e che ha lanciato il tema dell’assistenza primaria. Questo impulso è stato recepito e in effetti nei singoli paesi si è iniziato a ragionare in questo senso: in Italia il modello sanitario precedente era carente da questo punto di vista mentre l’architettura del sistema sanitario che nasce nel 1978 vede l’importanza della medicina territoriale, affianco alla medicina ospedaliera. Riassumendo: fattori che contribuirono alla riforma del sistema sanitario del 1978 - Problematiche nazionali e internazionali - Necessità amministrative - Preoccupazioni dell’attuazione completa dell’articolo 32 della Costituzione: 3 “la Repubblica tutela la salute, come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti “. Anche in questo c’è il tema dell’universalismo. La piena attuazione di questo articolo della costituzione non può prevedere che ci sarà una fascia di popolazione che non sia adeguatamente coperta. Siccome il meccanismo mutualistico lasciava scoperta una quota di popolazione, questa era l’occasione per sanare questa mancanza. - In più, il modello del medico della mutua non godeva di particolare favore, popolarità e prestigio; quindi, non ci sono stati molti rimpianti per quanto riguarda il cambiamento con la riforma del 1978, e per chi l’ha vissuta è stato un periodo di speranza, con aspettative di grande cambiamento e miglioramento. NASCITA DEL SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE Il 1978 vede la nascita del Servizio Sanitario Nazionale, con il passaggio da un modello bismarckiano al modello beveridgiano (universalistico): Ø I principi sono: Copertura sanitaria universale dei cittadini italiani e dignità umana Bisogno di salute e di solidarietà Ø Gli obiettivi sono centrati sul tema dell’equità: Assicurare equità nell’accesso e nel trattamento, livelli uniformi di assistenza, senza differenze di reddito e di collocazione geografica Sviluppare la prevenzione Ridurre le disuguaglianze dell’assistenza nella distribuzione geografica: si riteneva che regionalizzare la sanità fosse un’ottima idea (risorsa) perché il territorio nazionale è molto differenziato dal punto di vista socioculturale ed epidemiologico e quindi ognuno potesse fare la propria programmazione in base alle patologie più frequenti e ai propri bisogni, e progressivamente raggiungere livelli uniformi di salute in tutto il paese. Non è lo Stato che amministra l’assistenza, ma il sistema risulta decentrato. Controllare la crescita della spesa, cercando di avere costi relativamente bassi come nel modello inglese, modello che si è confermato nel tempo. Controllo pubblico democratico del sistema: retaggio della cultura dell’epoca, che voleva il cittadino in qualche modo coinvolto e la partecipazione era attraverso dei delegati eletti all’interno dei comuni o delle regioni. Oggi non useremmo questo termine, useremmo magari rendere conto al cittadino; in ogni caso oggi la partecipazione del cittadino è quasi individualistica oppure ci sono i volontari che partecipano alla vita delle strutture sanitarie e possono essere coinvolti nelle decisioni Orientare il sistema di finanziamento verso un meccanismo basato sulla tassazione generale, in base al reddito di ciascuno L’articolo 1 della legge 833 del 1978 ci serve per richiamare alcuni principi che abbiamo incontrato: “Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L’attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini.” Quando parliamo di “funzioni, strutture, servizi e attività” stiamo richiamando la definizione di Servizi Sanitari dell’OMS. Quando parliamo di “promozione al mantenimento ed al recupero… …condizioni individuali o sociali” stiamo richiamando la costituzione dell’OMS sia per il concetto di salute, ma anche al fatto 4 che ogni cittadino ha il diritto di godere del più elevato stato di salute possibile senza limitazioni di razza, religione, reddito… infatti compare la parola eguaglianza. Poi si fa riferimento al fatto che il servizio sanitario nazionale nasce decentrato, con sussidiarietà verticale, invece il servizio sanitario deve essere il più vicino possibile al cittadino e poi si parla del tema della partecipazione. Di fatto la grande novità fu la nascita del servizio sanitario locale: si chiamavano tutte Unità Sanitarie Locali, USL, ora si chiamano in diversi modi: ATS, ASL, ASP, ogni regione ha coniato un nome diverso. Erano il punto, nell’ambito di un territorio, di fornitura di servizi sanitari più vicino al cittadino, dove trovava risposta ai propri bisogni che fossero prevenzione, riabilitazione, scelta del medico di base o del pediatra, sportello di assistenza per disabilità, ecc. L’idea era che questo avvicinamento del SSN al cittadino formasse un bacino d’utenza relativamente piccolo per cui esso all’epoca era dai 50.000 ai 200.000 abitanti: secondo questa logica, Milano aveva 13 USL e la Lombardia circa 75. C’era una frammentazione notevole per avere una gran vicinanza al cittadino. Alcune USL avevano tutto un profilo di attività, compresi gli ospedali; ad esempio, la Macedonio Melloni era il presidio di una USL, e come questa gli ospedali più piccoli erano parte della USL, mentre quelli più grossi erano indipendenti, come l’ospedale di Niguarda. Quindi rappresentavano tutto il profilo delle attività sanitarie su uno specifico territorio. Qual era la governance delle USL? Importante capirlo per comprendere i passi successivi. Il modello di governance non era manageriale, ma di tipo politico amministrativo perché l’USL aveva questi tre organismi: - Assemblea generale, che coincideva sostanzialmente con il consiglio comunale, eletto e formato dai rappresentati dei cittadini, individuava e indicava un comitato di gestione e amministrava l’USL. - Comitato di gestione che a sua volta individuava un presidente, che era un primo tra pari, non un manager. - Collegio dei revisori, composto da 3 membri, uno designato dal Ministro del tesoro e uno dalla regione Era una governance molto faticosa per problemi di dinamiche interne e soprattutto per problemi legati alla quantità di USL quindi di tanti comitati, di tanti presidenti. La gestione così complessa non è di tipo manageriale, come lo intendiamo oggi, perché il presidente è uno tra parti e il comitato di gestione è fatto di persone che interpretano quella partecipazione dei cittadini alle decisioni. Quindi già alla nascita il sistema ha un problema legato alla complessità amministrativa. Gli ospedali, di diverse dimensioni, da quelli più piccoli a quelli con più utenze e che quindi non potevano stare all’interno di una unica USL, perché avevano un bacino di utenza più ampio; quindi, la riforma si inventa il concetto di presidio multizonale, grandi ospedali che, per il bacino di utenza ampio che servono, hanno autonomia e non sono all’interno delle USL. Questa architettura così complessa va in crisi dopo neanche 15 anni (1978-1972) per una serie di motivi, alcuni che ci siamo continuamente trascinati, come la conflittualità stato-regione, soprattutto sul fronte spesa, perché le regioni nella loro autonomia andavano in deficit e dovevano essere ripianate. Oppure il problema della governance delle strutture, che essendo così complesse difficilmente riuscivano a tenere sotto controllo i costi. SECONDA RIFORMA DEL SSN Gli anni ’92-93, in cui matura la seconda riforma, sono anni critici per il nostro paese perché, anche senza euro, c’era comunque un sistema di relazioni di economie (anni di grande frenesia economica) tra i paesi che componevamo quella che ancora non si chiamava unione europea e c’erano rapporti di cambio determinati e fissi tra le varie monete. L’Italia esce da questo sistema perché la propria spesa pubblica è fuori controllo soprattutto in due ambiti: - Ambito sanitario - Spesa previdenziale 5 Questo deficit italiano fa sì che in questi anni venga prelevato denaro dai risparmi dei cittadini per finanziare in parte questo debito. Facendo un’analisi delle conseguenze (e anche delle delusioni della riforma), si arriva a diverse considerazioni: - Il problema economico nasce dalla non responsabilizzazione degli organismi di governo delle strutture sanitarie; in pratica si mette in crisi il modello di governo delle strutture sanitarie (comitato di gestione, presidente), perché non si definisce bene chi risponde delle risorse utilizzate - Si mette in discussione la numerosità delle USL, situazione troppo frammentata Così inizia un percorso di riforme, che dura per tutto il decennio, dal ’92 al ’99. La seconda riforma nasce nel ’92-93, riforma della cosiddetta aziendalizzazione della sanità. Questo termine ha creato una serie di equivoci; c’è chi ha tirato in ballo la privatizzazione, chi ha detto che siamo diventati aziende, bisogna stare molto attenti a questo perché in realtà non si è trattata di privatizzazione, ma di introdurre meccanismi, modelli di governo tipici del mondo aziendale in ambito sanitario. Tutto ciò è nato a Milano in collaborazione con la Bocconi che è stata una dei principali motori di questo passaggio. In pratica, furono eliminati i comitati di gestione, i presidenti e le assemblee identificando una figura di riferimento che è il direttore generale, un manager che assume la responsabilità e la gestione del funzionamento della struttura sanitaria. Si passa ad un organismo di tipo monocratico, cambia quindi il modello di governance. Fu introdotta anche la responsabilità sui costi: fare una valutazione e avere un bilancio economico finanziario, nel senso di poter stabilire le uscite e le entrate per cercare di portare il bilancio in pareggio. In questo modo entra in gioco il tema della qualità dei servizi, bisogna evitare il decadimento della qualità dei servizi e trovare un equilibrio tra le due cose. La partecipazione dei cittadini non si legge più come ingresso attraverso il meccanismo della delega, ma attraverso strutture come gli uffici di pubblica tutela, piuttosto che le analisi di gradimento o il coinvolgimento delle associazioni di volontariato. Le aziende sanitarie hanno un direttore generale con un incarico a termine, la direzione delle strutture è fatta anche da un direttore sanitario e da un direttore amministrativo, tutti con un incarico a termine e valutati su obiettivi. Se dovessimo riassumere con una parola il senso delle riforme del ‘92-93 essa è efficienza: hanno tentato di ridurre i costi con una contemporanea miglioria dei servizi. Anche nel mondo della sanità efficienza significa fornire maggiori prestazioni con i minori costi di gestione. In sintesi l’aziendalizzazione comprende: - Cambio di governance - Introduzione nuovi modelli organizzativi e sistemi operativi con controllo di gestione, unità innovativa che di fatto controlla le entrate e i costi di gestione delle strutture sanitarie. Si inseriscono alcuni sistemi mutuati dal mondo delle aziende: come si pagano le prestazioni, come vengono rimborsate dal servizio sanitario nazionale. - Introdotti sistemi di retribuzione innovativi - Introdotto il tema della qualità dell’assistenza: è rilevante in questo momento perché se puntassimo tutto sull’efficienza il rischio è di spendere il meno possibile a scapito proprio della qualità dei servizi - Unità sanitarie locali ridotte, da allora in poi chiamate aziende (ASL, aziende sanitarie locali) e coincidono con la provincia - Alcune regioni si spingono molto oltre nel progettare un modello che spinga sull’efficienza (ad esempio, la regione Lombardia ha un modello completamente diverso dalle altre regioni) - Agevolazione dell’ingresso di altri operatori oltre all’operatore pubblico, le regioni possono organizzare la propria rete inserendo operatori privati - Le regioni hanno la grossa responsabilità di nominare il direttore regionale - Le regioni ricevono finanziamenti dal centro e lo ripartiscono tra le strutture del servizio sanitario regionale; si comportano come una holding e acquisiscono sempre più autonomia rispetto al sistema centrale. 6 In ogni caso, anche se son stati fatti degli aggiustamenti successivi, il modello di governance aziendale è quello che sussiste ancora oggi. Nonostante la riforma rimangono i principi di fondo, cioè la copertura universale e il sistema di finanziamento volto a garantire: 1. Contenimento dei costi 2. Promozione dell’equità 3. Efficienza 4. Responsabilità: formare e responsabilizzare medici e personale sanitario sul consumo delle risorse 5. Capacità di risposta alle esigenze del consumatore attraverso la concorrenza tra i diversi erogatori TERZA RIFORMA DEL SSN Nel 1999 c’è la terza riforma, che cerca di intervenire sulle criticità emerse nei sette anni precedenti: - Definisce il ruolo dello Stato e delle regioni: lo stato deve decidere quali sono i servizi e le prestazioni che devono essere forniti in maniera uniforme a tutti i cittadini su tutto il territorio nazionale e indicare i principi guida e le strade da percorre. Alle regioni si lascia la responsabilità dell’organizzazione delle strutture sanitarie. Si passa al principio di fondo, secondo cui la responsabilità principale dello stato è di assicurare livelli di assistenza uniformi su tutto il territorio nazionale, quindi, ad esempio non è possibile che un cittadino che vive in Val d’Aosta abbia accesso a determinati servizi e chi invece vive a Pantelleria non abbia gli stessi servizi. Quindi il ruolo dello stato è quello di definire gli obiettivi e di dare indicazioni chiare rispetto a quello che i cittadini hanno diritto di ricevere da parte del servizio sanitario. - È un anno di grande tormento perché è l’anno della vicenda Di Bella (consiglia di vedere delle clip su raiplay su questo periodo storico), seguita anche da vicende analoghe verificatesi nel corso degli anni, come il caso di un veterinario che pretendeva di curare i tumori con un siero, senza alcuna prova scientifica della sua efficacia. La vicenda Di Bella fu molto significativa per la nostra sanità: questo patologo modenese aveva ideato un cocktail di farmaci, considerandolo come terapia risolutiva dei tumori. Ovviamente riguardo a questo la comunità scientifica si divise, con la maggior parte che era a sfavore, per la mancanza sia di comprovata efficacia sia di plausibilità biologica del suo utilizzo. L’opinione pubblica invece era in parte salda nel considerare che il SSN dovesse garantire questa terapia a chi si volesse curare con questa. La questione richiese l’intervento della magistratura e la decisione fu di metter in piedi una commissione che doveva dimostrare l’inefficacia della terapia: il nostro paese si espose di fronte a tutta la comunità scientifica mondiale con uno studio RCT (randomized controlled trial), dimostrando così la mancanza di efficacia di questa terapia. Questa vicenda fece riflette su che cosa il SSN dovesse fornire, in modo da sposare il paradigma della medicina basata sulle prove di efficacia. - Nasce il meccanismo dell’accreditamento: tutte le strutture che lavorano per il SSN, compresi gli ospedali, devono essere accreditate, per funzionare, per essere finanziate dal sistema sanitario, in modo da avere degli standard di qualità predefiniti. - Viene anche stabilito il rapporto del SSN con i medici: i medici, e oggi anche le altre professioni sanitarie, devono avere un rapporto unico di lavoro con il SSN (la maggior parte dei medici hanno questo rapporto), la libera professione va comunque garantita, ma all’interno delle strutture del sistema sanitario. Poi ci sono state una serie di deroghe per la difficoltà delle strutture ad accogliere la libera professione. Possiamo ragionare criticamente su questo punto in modo virtuoso o non virtuoso. La prima mi permette comunque di pensare che nella mia struttura, grazie ai finanziamenti, lavorano i migliori specialisti che visitano secondo libera professione, attraendo molte persone perché la struttura è un punto di riferimento ma se un paziente dovesse aver bisogno di essere operato o ricoverato comunque usufruirebbero delle strutture ospedaliere del SSN, passando alla fase ambulatoriale (questo si sposa bene con la logica manageriale). La lettura non virtuosa passa attraverso il 7 meccanismo della differenza di condizioni e tempi di attesa. Quindi anche questa soluzione ha trovato delle situazioni di disuguaglianza. L’accoglienza all’interno di strutture del SSN della libera professione fu un processo lento, poiché molte strutture non erano adatte a svolgere questo tipo di attività, ed è un processo che ci trasciniamo ancora oggi. Arriviamo così al 2001, quando viene modificato l’articolo 117 della Costituzione, stando sempre nel tema della dinamica tra Stato e regioni. La modifica stabilisce che la materia sanitaria è una materia concorrente, termine che può essere confondente: significa che Stato e regioni concorrono a prendere decisioni in materia sanitaria (è la cosiddetta devoluzione, dalla sbobina passata). Questo ci fa capire l’inizio anche abbastanza rapido verso modelli anche molto diversi tra regioni confinanti. Tra il 2001 e il 2012 c’è stata una fase in cui i cambiamenti riguardavano, non la struttura organizzativa sanitaria, ma la parte economica, ovvero la sostenibilità economica e finanziaria della sanità. Nel 2012 c’è la legge 189 o legge Balduzzi, che non è una quarta riforma ma interviene su diversi ambiti della sanità, che vanno a ritoccare il quadro stabilito con la seconda e la terza riforma: - Prevedeva la riorganizzazione dell’assistenza primaria, della sanità territoriale, intervenendo sul rapporto con i medici di medicina generale. Questi non sono dipendenti del SSN, sono liberi professionisti convenzionati con il SSN: ricevono una quota capitaria per i propri assistiti e in cambio devono impegnarsi a fornire una serie di prestazioni e a collaborare su determinati ambiti, grazie alla convenzione con il SSN. - Viene revisionato il tema della libera professione, a distanza dalla riforma del 1999, riportandola all’originale, cioè si cerca esercitarla all’interno delle strutture sanitarie - Si ragiona sul rischio clinico e sul governo clinico, attraverso la responsabilizzazione del percorso diagnostico terapeutico e la sicurezza dei pazienti - Si interviene sui IRCCS (istituti di ricovero e cura a carattere scientifico) In conclusione, possiamo dire che rispetto al quadro del 1978 il nostro SSN è cambiato molto: è diventato completamente universalistico, il paniere delle prestazioni è ampio e sono offerte a tutti. Nel 1978-1980 in farmacia si poteva prendere di tutto, come l’aspirina, mentre oggi non è così; il SSN è nato a quel tempo: Ø Con un profilo omnicomprensivo di servizi e prestazioni Ø Con la logica di libertà di accesso ai servizi senza alcun tipo di sbarramento Ø Decentrato, ma con forte peso dello stato centrale Nel corso di questi 40 anni è diventato un sistema: Con prestazioni che sono offerte in modo globale, con delle limitazioni Con alcuni che pagano un ticket per ricevere una prestazione, che quindi non risulta sempre gratuita Fortemente decentrato 8

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