Deconizzare la Follia PDF
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2011
Frantz Fanon
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This book, "Decolonizzare la follia", by Frantz Fanon, focuses on colonial psychiatry, offering an analysis of the issues and critiques of the subject.
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F r a n t z Fa n o n Decolonizzare la follia Scritti sulla psichiatria coloniale Saggio introduttivo e cura di Roberto Beneduce Frontiere / 4 collana diretta da Sandro Mezzadra Frantz Fanon Decoloniz...
F r a n t z Fa n o n Decolonizzare la follia Scritti sulla psichiatria coloniale Saggio introduttivo e cura di Roberto Beneduce Frontiere / 4 collana diretta da Sandro Mezzadra Frantz Fanon Decolonizzare la follia Scritti sulla psichiatria coloniale Saggio introduttivo e cura di Roberto Beneduce ombre corte Tutti i testi, se non indicato diversamente, sono tradotti da Lorenzo Navone e rivisti da Roberto Beneduce Prima edizione italiana: giugno 2011 © ombre corte via Alessandro Poerio 9 - 37124 Verona Tel./fax: 045 8301735; e-mail: [email protected] www.ombrecorte.it Progetto grafico copertina e impaginazione: Frantz Fanon Indice 7 La tormenta onirica. Fanon e le radici di un’etnopsichiatria cri tica, di Roberto Beneduce 1. Il corpo coloniale, un “corpo sospetto”. 2. Psichiatria e colonialismo, o l’etnopsichiatria malintesa. 3. Un “labirinto infernale”: Fanon con Foucault. 4. Le economie morali della menzogna e i nuovi dannati della terra. Fanon nella postcolonia 71 Ringraziamenti D e c o l o n iz z a r e la f o l l ia 73 Disturbo mentale e disturbo neurologico 92 La “sindrome nordafricana” 104 La terapia sociale in un servizio psichiatrico di uomini musul mani. Difficoltà metodologiche 123 Condotte di confessione in Nord-Africa 127 Profili dell’assistenza psichiatrica in Algeria 137 Considerazioni etnopsichiatriche 142 II TAT con donne musulmane. Sociologia della percezione e del- l’immaginazione 147 L’atteggiamento del musulmano magrebino di fronte alla follia 152 Limiti e valore del day-hospital in psichiatria La tormenta onirica Fanon e le radici di un’etnopsichiatria critica di Roberto Beneduce In quanto uomo, m’impegno ad affrontare il rischio dell’annientamento perché due o tre verità gettino sul mondo la loro luce essenziale. Frantz Fanon, Beau noire, masques blanc. Il corpo coloniale, un “corpo sospetto" 1951-1961: poco più di dieci anni. Questo il periodo di tempo nel quale Frantz Fanon prepara la sua tesi di laurea, i suoi inter venti ai convegni di psichiatria, gli articoli per “E sp rit”, “Con- sciences m aghribines” o “E1 M oudjahid” (l’organo del Fronte di Liberazione Nazionale), i suoi libri. Un tempo estremamente bre ve, che gli eventi ai quali Fanon corre incontro sembrano accelera re ancora di più, imponendo alla sua scrittura un ritmo particolare, unico, perentorio. Quasi il riflesso di una consapevolezza oscura, quella di una morte che arriverà a soli trentasei anni. Le frasi devono dire l’essenziale in poche righe, e colpire, an che quando sono poco più che frammenti dentro cui le idee sem brano esservi impresse con uno scatto più che deposte con lenti argomenti. Dei problem i non si può fare cenno. Devono essere form ulati senza esitazioni, come esige un tem po d ’inganni e di violenze, detti nella loro verità brutale, la stessa che la Storia ri vela ai vinti, agli offesi: “Perché scrivere quest’opera? Nessuno me ne ha pregato, soprattutto coloro ai quali si rivolge. Allora? Allora rispondo, con calma, che ci sono troppi imbecilli su questa terra. E poiché lo dico, si tratta ora di provarlo”1. N on c’è tem po. Le parole hanno il com pito di sferzare, il pensiero dei nemici deve essere svelato nelle sue ipocrisie, le teorie sm ontate nelle loro interne contraddizioni, la M aschera della Scienza strappata al volto del Razzismo: “Per il colonizzato, l’obiettività è sempre 1 Frantz Fanon, Peau noire, masques blancs, Seuil, Paris 1952, p. 5 (trad. it. Pelle nera, maschere bianche, Marco Tropea, Milano 1996). Le citazioni sono qui dall’edizione francese, la traduzione è mia. 8 DECOLONIZZARE LA FOLLIA diretta contro di lu i”2. Sta qui, in una sola frase, il com pendio di u n ’archeologia sovversiva che scava nelle contraddizioni della scienza occidentale, a partire dalla sua vacca sacra: l’oggettività. E d ’altronde il rapporto che Fanon stringe con le parole lo espri me bene questa lettera, scritta al fratello Joby: Le parole hanno i denti e devono far male. Le parole dolci e morbide devono sparire da questo inferno. L’uomo parla troppo. Occorre inse gnargli a riflettere. E per questo occorre fargli paura. Molta paura. Per questo io ho parole-archi, parole-proiettili, parole-coltello, parole che trasportano ioni. Delle parole che siano parole. E prima di pronunciare una parola, voglio vedere una maschera di sofferenza, la maschera di un uomo che cerca, di una persona delusa. Perché le parole devono essere agili, cattive. Devono levarsi, dileguarsi, strizzare l’occhio, dissolversi3. Con il linguaggio Fanon intrattiene un vero duello. Scrive, in Peau noire, masques blancs, che parlare “è esistere per l’Altro”, sot tolineando quella dimensione dialogica costitutiva della parola che ritroviamo in Bachtin4. Ma per Fanon questa dimensione dialogica è, per il Nero, una dimensione preclusa, la parola nella situazione coloniale è oppressa, violata. Fe Antille sono a questo riguardo un caso esemplare. Il nero parla diversamente quando sta col Bianco e quando sta col suo simile; il creolo, quando non espressam en te vietato (soprattutto nelle famiglie borghesi), è consentito solo nelle relazioni familiari; quanto agli ufficiali indigeni che opera no fra i Ttrailleurs senegalesi, essi svolgono soprattutto il ruolo di interpreti e trasm ettono ai sottoposti gli ordini del padrone, del colonizzatore. La parola non circola liberamente: è sbarrata. Nelle Antille, colui che ha viaggiato nella M etropoli ne ritorna “radi calmente trasform ato”, come per effetto di una “m utazione” che si esprime già nel tono della voce, e ai suoni rauchi di sem pre si sostituiscono ora nuovi fruscii: “In Francia si dice parlare come un libro; in M artinica si dice parlare come un Bianco”5. E d è questa condizione a fare del linguaggio, per il nero e per il colonizzato, 2 Frantz Fanon, I dannati della terra, trad. it. di C. Cignetti, Einaudi, Torino 1962, p. 39. 3 Joby Fanon, Frantz Fanon. De la Martinique à l’Algérie et à l'Afrique, L’Harmattan, Paris 2004, p. 141. 4 “Realtà effettiva del linguaggio non è il sistema astratto delle forme linguistiche, né l’enunciazione monologica isolata, ma l'evento sociale dell'interazione verbale, rea lizzato tramite una o più enunciazioni [.,.]. L’enunciato in quanto tale avviene tra parlanti” (Michail M. Bachtin, Linguaggio e scrittura, trad. it. di L. Ponzio, Meltemi, Roma, 2003, pp. 91-92; il corsivo è mio). 5 Fanon, Peau noire, cit. p. 16. LA TORMENTA ONIRICA 9 una questione decisiva. Negli stessi anni Albert Memmi scrive che il colonizzato vive una “catastrofe interna”, è vittima di una “m u tilazione sociale e storica”. Sospinto “fuori dalla Storia e dalla città [...], il colonizzato sembra condannato a perdere progressivamen te la propria m em oria” (o a ripiegarsi su tradizioni ossificate, su “valori rifugio”6). La sua amnesia diventa però un vero e proprio “dramma linguistico” quando deve fare i conti con un bilinguismo che non si è scelto ma gli è stato imposto7. Per Fanon l’atto di parola è l’atto di soggettività per eccellen za, di asserzione di sé, di ancoraggio a un m ondo, a una Storia: “Parlare è essere capace di utilizzare una certa sintassi, possedere la morfologia di questa o quella lingua, ma è soprattutto assumere una cultura, sopportare il peso di una civiltà”8, formula che fa eco a M erleau-Ponty e che l’autore ripete qualche pagina più innanzi con parole pressappoco identiche, quasi a riafferm arne l’im por tanza9. Come ha sottolineato Eileen Julien10, Fanon sembra cerca- 6 Sembra esserci qui un’analogia con quanto Fanon avrebbe scritto ne I dannati della terra relativamente ai culti di possessione, che ai suoi occhi appaiono “in realtà sedute di possessione-spossessamento”, i cui effetti psichici (“sfaldamenti della personalità”, “sdoppiamenti”, “dissoluzioni”) contribuiscono nei fatti a rendere stabile il mondo coloniale, lasciando immutati i rapporti di forza e limitandosi a nutrire un immagina rio di forze oscure, di poteri invisibili. Scrive Fanon: vi ci si reca “impazienti [...]. Al ritorno è la calma che torna al villaggio, la pace, l’immobilità”. Solo nel corso della lotta di liberazione si assisterà ad un “disamore per queste pratiche”, perché la lotta anticoloniale è un radicale processo di metamorfosi: psichica, culturale, religiosa, so ciale, estetica (Fanon, I dannati della terra, cit., p. 22). Questo passaggio assai contro verso è ripreso da Sartre nella prefazione, là dove suggerisce che i riti di possessione possono esprimere una forma di indocilità, anche se inconsapevole: “Danzano: ciò li tiene occupati; scioglie loro i muscoli dolorosamente contratti; e poi la danza mima in segreto, spesso a loro insaputa, il ‘no’ che non possono dire, gli omicidi che non osano commettere” (Jean-Paul Sartre, Prefazione, in Fanon, I dannati della terra, cit., p. xvi; il corsivo è mio), Sul valore dei culti di possessione come forma di liberazione “neH’immaginario”, cfr. Gérard Althabe, Oppression et libération dans l’imaginaire. Les communautés villageoises de la còte orientale de Madagascar, La Découverte, Paris 2002. Sul significato politico dei culti di possessione, riconoscibile in quegli atti di mi metismo evocati da Sartre, rinvio a Roberto Beneduce, Trance e possessione in Africa. Corpi, mimesi, storia, Bollati Boringhieri, Torino 2002. 7 Albert Memmi, Portrait du colonisé précédé de Portrait du colonisateur, Buchet/Chas- tel, Paris 1957, pp. 111-124. 8 Fanon, Peau noire, cit., p. 13. 9 Ivi, p. 30. 10 L’intervento “Frantz Fanon, Poet. Pleasure of thè Text, Power of thè Text”, è sta to tenuto da Julien nel corso del seminario, “Penser aujourd’hui à partir de Frantz Fanon”, organizzato dal Centre de Sociologie des Pratiques et des Représentations Politiques dell’Université Paris Diderot, Paris 7, con la collaborazione della Pondation La Ferthée della Fondation Frantz Fanon (30 novembre-1 dicembre 2007). 10 DECOLONIZZARE LA FOLLIA re in questo passaggio un difficile equilibrio, espresso dal gioco di questi quattro verbi espressi tutti all’infinito: utilizzare, possedere, assumere, sopportare, gli ultimi due sospesi però fra una dimensio ne attiva, del fare, e una passiva, dell’adeguarsi,