Psicologia Clinica PDF
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These notes provide a complete overview of clinical psychology, including its definition, scientific basis, and applications. The document also explores the differences between psychology and psychiatry, as well as various diagnostic methods and therapeutic approaches, including different types of psychotherapy.
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SBOBINA PSICOLOGIA CLINICA COMPLETA PRIMO ANNO SECONDO SEMESTRE DEFINIZIONE: La psicologia clinica è la scienza del comportamento e dei processi mentali, di cui si cerca di descrivere e spiegare il funzionamento, al fine di stabilire le leggi che ne regolano l’attività....
SBOBINA PSICOLOGIA CLINICA COMPLETA PRIMO ANNO SECONDO SEMESTRE DEFINIZIONE: La psicologia clinica è la scienza del comportamento e dei processi mentali, di cui si cerca di descrivere e spiegare il funzionamento, al fine di stabilire le leggi che ne regolano l’attività. La psicologia nasce come disciplina scientifica (presenta un fondamento scientifico) nel 1879 a Lipsia grazie all’inaugurazione di un laboratorio sperimentale da parte del fisiologo Wundt, interessato a studiare i riflessi, ovvero il modo in cui gli impulsi nervosi vengano inviati al cervello dagli organi di senso e si traducano in percezioni. In particolare, la psicologia clinica rappresenta la più importante delle dimensioni applicative della psicologia, ovvero nasce con l’obiettivo di applicarne le conoscenze per intervenire su disturbi psicopatologici e sulle aree di sofferenza degli individui. La psicologia clinica comprende quindi l’insieme delle conoscenze e delle competenze psicologiche utilizzate per affrontare i problemi degli individui, tra cui riconosciamo la difficoltà di adattamento, gli stati di disagio e di sofferenza soggettivi, i disturbi del comportamento, sintomi fisici e manifestazioni psicopatologiche. In generale si basa sull’applicazione di interventi di tipo: ⮚ Psicodiagnostico; ⮚ Sostegno psicologico; ⮚ Psicoterapia. Il termine “clinica” deriva dal greco “klinicos” che a sua volta richiama il termine “kline”, ovvero “letto”, in quanto si considera il paziente in una condizione di malattia che richiede interventi di cura. L’atteggiamento terapeutico deve richiedere interventi mirati a soddisfare i bisogni del malato attraverso un approccio di vicinanza e un approccio metodologico di conoscenza personalizzata e di ricostruzione della storia di malattia. Gli obiettivi degli interventi psicologici sono: ⮚ Interventi di tipo conoscitivo: - Assessment psicodiagnostico, comprendente il colloquio clinico e la somministrazione di test psicodiagnostici scientificamente e statisticamente validati; - Diagnosi. ⮚ Interventi di sostegno psicologico, tra cui psicoterapia e riabilitazione. Le diagnosi e la terapia sono sovrapponibili alla pratica medica in termini di inquadramento diagnostico e piano terapeutico di intervento. DIFFERENZA TRA PSICOLOGIA E PSICHIATRIA La PSICHIATRIA è definita come una branca della medicina che si occupa della cura dei disturbi mentali attraverso un approccio organicista, ovvero tramite la ricerca delle operazioni biologiche che determinano i disturbi psicopatologici e i comportamenti disfunzionali. Quindi, la psichiatria nasce come una disciplina attenta alle cause biologiche, ereditarie o acquisite, maggiormente interessate alle alterazioni delle funzioni e delle strutture cerebrali e utilizza un approccio nosografico con l’obiettivo di giungere alla diagnosi e di attribuire un etichetta diagnostica al paziente. Lo psichiatra, in particolare, è un medico specialista che si occupa dei disturbi della sfera psichica sia sul piano diagnostico che terapeutico, utilizzando strumenti come: ⮚ Cura farmacologica (psicofarmaci); ⮚ Progetti di riabilitazione neuropsichiatrica; ⮚ Interventi di psicoterapia. La PSICOLOGIA è figlia della psichiatria, in quanto nata grazie ad uno psichiatra, che si è differenziata nel tempo tramite un approccio più centrato alla persona. La psicologia: ⮚ Applica un intervento rivolto a disturbi psicopatologici e a tutte quelle forme di disadattamento che rappresentano una fonte di disagio e di malessere riconducibili ad esperienze di vita problematiche; ⮚ Applica interventi di psicoterapia e di terapia farmacologica ancora più efficaci nei confronti del paziente grazie all’integrazione necessaria con la psichiatria (lo psichiatra si occupa del farmaco per il disturbo fisico, mentre lo psicologo si occupa del resto); ⮚ Mette in atto un approccio terapeutico orientato alla relazione e all’analisi dei bisogni del paziente. DIAGNOSI La psicologia, come la medicina, presenta come punto di partenza la diagnosi, che deriva dal greco “diagnosis”=”leggere attraverso”. In MEDICINA si parla di diagnosi etiologica in quanto serve ad individuare la causa specifica che ha generato il sintomo attraverso: ⮚ La discriminazione tra alternative possibili; ⮚ L’attribuzione di manifestazioni somatiche visibili alla loro fonte causale; ⮚ Le capacità cliniche di lettura di segni esteriori di un processo patologico e dei risultati degli esami strumentali e di laboratorio. Quindi in medicina si parte dall’analisi dei processi biologici attraverso il processo di casualità di tipo deterministico (sintomo -> patologia), e i sintomi vengono considerati come una sorta di concatenazione causale rispetto ai processi biologici che lo hanno determinato. In PSICOLOGIA si parla di modello eziologico e si utilizzano diversi strumenti: ⮚ Il colloquio clinico; ⮚ La valutazione psicodiagnostica –> assessment psicodiagnostico; ⮚ L’analisi del sintomo, che in questo caso non può essere attribuito ad una causa ben specifica, ma viene effettuata in termini cognitivi, emotivi e comportamentali; ⮚ La ricostruzione della narrazione della storia di vita del paziente. Analizzando queste componenti si arriva alla diagnosi nosografica-descrittiva, che si vede effettuata sia in psichiatria che in psicologia attraverso manuali ben precisi, quali: Quindi sia la psicologia che la medicina, anche se in momenti diversi, presentano lo stesso fine, ovvero quello di capire i: ⮚ Fattori predisponenti, ovvero quei fattori di rischio che hanno portato il paziente a sviluppare quel determinato disturbo; ⮚ Fattori di insorgenza (causativi), ovvero le situazioni e gli eventi che hanno determinato l’insorgenza del problema; ⮚ Fattori di mantenimento, ovvero le situazioni che contribuiscono al mantenimento del disturbo. AMBITI DI INTERVENTO DELLA PSICOLOGIA CLINICA Gli ambiti di intervento della psicologia clinica sono: ⮚ Sanità -> in particolare per affrontare le conseguenze della malattia, per prevedere possibili reazioni emotive in seguito a delicati interventi chirurgici e per programmare interventi terapeutici e riabilitativi in pazienti che hanno ricevuto diagnosi di malattie gravi (maggiormente approfondito da noi); ⮚ Età evolutiva -> per valutazione, diagnosi e trattamento di disturbi del neurosviluppo, ritardo cognitivo, disturbi d’ansia e disturbi del comportamento. Inoltre, agisce durante l’adolescenza per quanto riguarda le difficoltà relazionali e il disagio socio-relazionale; ⮚ Genitorialità -> per il sostegno alle figure genitoriali anche in situazioni di affido e adozioni; ⮚ Ambito giudiziario -> per il contributo diagnostico rispetto all’affido e alla separazione, per fornire le motivazioni che hanno portato il soggetto a compiere il reato, per valutazione di pericolosità sociale, per l’ascolto protetto dei minori e per la valutazione della personalità dell’imputato. PSICOTERAPIA Sia la psichiatria che la psicologia, oltre ad occuparsi della valutazione e del trattamento dei disturbi psicopatologici, erogano interventi di psicoterapia. Lo psicoterapeuta è colui che, iscritto ad uno specifico albo, ha il compito di erogare un intervento professionale rivolto ad un individuo, coppia, un nucleo familiare, un gruppo di persone finalizzato a raggiungere un cambiamento nel loro funzionamento mentale che risulta fonte di sofferenza e di disadattamento, utilizzando una particolare tecnica psicologica, che viene impiegata secondo precise modalità e in base a una determinata concezione teorica, la quale definisce gli obiettivi che si vogliono raggiungere e li collega alle strategie utilizzate per ottenerli, mediante principi esplicativi. La psicoterapia è un trattamento specialistico che utilizza metodologie, tecniche e strumenti specifici per aiutare una persona a modificare pensieri, comportamenti ed emozioni disadattive alla base del disturbo psicopatologico. L'obiettivo è accompagnare il paziente verso un processo di cambiamento di pensieri, emozioni e comportamenti utile per raggiungere una situazione di maggiore benessere psicologico. In letteratura si distinguono diversi approcci teorici relativamente alla psicoterapia ovvero: 1. COMPORTAMENTISMO; 2. COGNITIVISMO; 3. TERAPIA PSICOANALITICA/PSICODINAMICA; 4. APPROCCIO UMANISTICO. APPROCCIO COMPORTAMENTISTA (1) Nasce in America (USA) all’inizio del ‘900 grazie alla pubblicazione da parte di Watson di un articolo intitolato “La psicologia così come la vede il comportamentista”. L’oggetto di studio è il comportamento dell’individuo, ovvero il risultato dell’apprendimento che si verifica sotto le influenze dell’ambiente attraverso l’associazione comportamento-stimoli ambientali. Il principio di tale approccio si basa sul fatto che tutti i comportamenti, anche quelli più complessi come il linguaggio o i comportamenti disfunzionali alla base di un quadro clinico psicopatologico, si instaurano e si consolidano mediante processi di apprendimento che possono avvenire secondo tre meccanismi fondamentali: 1. Condizionamento Classico -> Apprendimento = Stimolo - stimolo (Ivan Pavlov); 2. Condizionamento Operante -> Apprendimento = Comportamento – R+ (Burrhus Skinner); 3. Apprendimento Osservativo -> Bandura. CONDIZIONAMENTO CLASSICO (1) Nel condizionamento classico l’apprendimento avviene attraverso l’associazione stimolo-stimolo. Nel suo esperimento Pavlov presentò una ciotola di cibo, definito “stimolo incondizionato”, ad un cane e osservò che quest’ultimo iniziava a salivare naturalmente; tale risposta prende il nome di “riflesso incondizionato”. Successivamente, introdusse uno stimolo neutro, rappresentato dal suono di una campanella, che inizialmente non provocava alcuna salivazione nel cane. Volendo attivare un processo di apprendimento, che lui chiamò "condizionamento," Pavlov associò il suono della campanella con l'arrivo del cibo. Iniziò a suonare la campanella poco prima di presentare il cibo al cane. Dopo aver ripetuto questo procedimento per quattro o cinque volte, il cane iniziò a salivare non appena sentiva il suono della campanella, anche prima di vedere il cibo. A un certo punto, Pavlov presentò solo la campanella, senza il cibo, e vide che il cane iniziava comunque a salivare al solo suono della campanella. Questo dimostrava che il cane aveva attraversato un processo di apprendimento: aveva associato il suono della campanella all'arrivo del cibo. Infine Pavlov presentò per un po' di tempo solamente il suono della campanella senza il cibo e vide che dopo un po' il cane smise di salivare capendo che il cibo non sarebbe arrivato. Questo dimostra come aumentando la latenza della risposta, quest’ultima si estingue. Di conseguenza, si è arrivati alla conclusione della poca stabilità di tale processo di apprendimento. Questo tipo di condizionamento è alla base della costruzione delle fobie. Ad esempio, mentre passeggio per strada, vengo morsa da un cane. Di conseguenza, inizio a credere che tutti i cani siano pericolosi e mi mordano. Posso superare questa fobia esponendomi gradualmente ai cani in modo sicuro, imparando così che la mia paura era il risultato di un'associazione casuale e non una verità universale In conclusione, nel condizionamento classico l’apprendimento si basa sull’associazione tra stimolo incondizionato e stimolo neutro che dà come risultato una risposta condizionata. CONDIZIONAMENTO OPERANTE (2) Skinner utilizzò la cosiddetta "Skinner box," una scatola in cui mise un topolino. All'interno della scatola c'erano due leve: una che, se premuta, rilasciava cibo (rinforzo positivo) e un'altra che, se premuta, rilasciava una scossa elettrica (punizione, conseguenza negativa). Inizialmente, il topolino esplorava la scatola e, attraverso un apprendimento casuale, iniziò a premere la leva che forniva cibo, continuando a farlo perché riceveva una ricompensa. Al contrario, il topolino imparò a evitare l'altra leva che causava la scossa elettrica, fino a non premerla più. Il principio del condizionamento operante, quindi, si basa sul presupposto che il comportamento è influenzato dalle conseguenze ambientali. Se una conseguenza è positiva, la probabilità che quel comportamento si ripeta aumenta. Se una conseguenza è negativa, la probabilità che quel comportamento si ripeta diminuisce, fino a scomparire del tutto. Quindi, nel condizionamento operante viene introdotto il concetto di rinforzo positivo e nel caso in cui quest’ultimo non venga prorogato si parla di estinzione. Questo permette di spiegare la ragione per cui alcuni comportamenti sbagliati vengano mantenuti. Esempio: Se lo studente viene premiato con voti alti sarà più motivato ad andare bene. Esempio: Se un paziente che suona continuamente il campanello viene sempre soddisfatto dall’infermiere, continuerà a suonare. Se invece l’infermiere smette di andare ogni volta il paziente smetterà di suonare. Infatti, l’infermiere accontentando il paziente permette il mantenimento di tale comportamento sbagliato = rinforzo negativo = stimolo che sottrae il soggetto da una situazione spiacevole. APPRENDIMENTO OSSERVATIVO (VICARIO) (3) Dimostra come l’apprendimento (definito apprendimento del modello) possa avvenire anche mediante l’osservazione di comportamenti altrui. In particolare, Bandura si soffermò sullo studio di comportamenti di aggressività attraverso l’esperimento di Bobo Doll. Per tale esperimento furono presi 36 bambini e 36 bambine della scuola materna dell’università di Stanford, di età compresa tra i 3 e i 5 anni. In seguito, vennero divisi in 3 gruppi, di cui: ⮚ 24 bambini esposti ad un modello aggressivo che picchiava il pupazzo; ⮚ 24 bambini esposti ad un modello non aggressivo che giocava con il pupazzo; ⮚ 24 bambini costituenti il gruppo di controllo che giocavano senza la presenza di adulti. Dopodiché i gruppi vennero ulteriormente suddivisi tra maschi e femmine, assicurandosi che metà fossero esposti ad adulti dello stesso sesso, e l’altra metà ad adulti del sesso opposto. Nei gruppi del modello aggressivo e nel modello non aggressivo, i bambini osservavano gli adulti interagire con una bambola di nome Bobo (una bambola in plastica gonfiabile alta un metro e mezzo, di quelle che ritornano verticali dopo averle fatte dondolare). Alla fine si giunse alla conclusione che i bambini che avevano osservato comportamenti violenti erano portati ad avere reazioni fisiche violente nei confronti del gonfiabile, mentre, al contrario, con gli altri modelli di osservazione, questo non accadde. Inoltre, si notò che i soggetti erano maggiormente influenzati dagli adulti dello stesso sesso. Con questo tipo di apprendimento Bandura voleva sottolineare come talvolta anche il contesto o l’esperienza diretta mediata da fattori socio-culturali può portare ad apprendere determinati modelli comportamentali. APPROCCIO COMPORTAMENTISTA L’approccio comportamentista è stato utilizzato in psicoterapia soprattutto per destrutturare le fobie, attraverso: ⮚ Interventi di condizionamento o di controcondizionamento in cui al paziente vengono insegnati modelli comportamentali più funzionali e adattivi; ⮚ Desensibilizzazione sistematica, ovvero un trattamento comportamentale per le fobie basato sul principio del controcondizionamento e sull’associazione ansia-rilassamento; ⮚ Esposizione graduale; ⮚ Role Playing, ovvero la simulazione della situazione con il paziente in modo tale che sia pronto rispetto a quello che verrà fatto. Per superare una fobia è possibile creare una gerarchia delle situazioni che creano paura, partendo da quella che viene affrontata più facilmente (10) fino ad arrivare a quella che mette maggiormente in difficoltà (100). L’obiettivo è proprio la desensibilizzazione sistematica attraverso l’esposizione a tutte queste situazioni che instaurano la fobia. COGNITIVISMO Il cognitivismo è modello teorico che si è sviluppato nella psicologia, applicabile anche nell’ambito della psicoterapia. La teoria cognitivo-comportamentale che nasce con il modello teorico di Beck ipotizza che emozioni, comportamenti e sensazioni fisiologiche delle persone sono influenzate dall’interpretazione degli eventi da parte del sistema cognitivo. Questo vuol dire che una determinata risposta emotiva, fisiologica e comportamentale, si mantiene su un determinato pensiero alterato della realtà, innescato da una determinata situazione (in base a come interpreto la situazione giungerò ad una precisa risposta emotiva, fisiologica o comportamentale). Secondo Beck per cercare di capire i bisogni e il modo di pensare del paziente, bisogna partire da come il paziente interpreta la situazione. Esempio: un paziente che vede gli infermieri come figure poco empatiche o incompetenti si comporterà in maniera poco rispettosa e assumerà un comportamento competitivo nei loro confronti. Spesso infatti, il comportamento dipende dallo schema cognitivo che si usa per leggera la realtà e si può modificare, mediante una ristrutturazione cognitiva, agendo proprio su quei pensieri disadattivi. PSICOANALISI Il trattamento psicoanalitico poneva la sua attenzione sulle rappresentazioni inconsce che ciascuno ha di sé stesso e delle figure significative dell’infanzia, che sono state interiorizzate lungo il primo sviluppo psicologico e gli stadi affettivi che lo accompagnano. La tecnica principale della psicoanalisi è l’interpretazione – suggerimenti e ipotesi esplicative fornite dallo psicoanalista su quanto il paziente narra attraverso le libere associazioni. L’interpretazione avviene in un setting specifico, ovverosia il lettino su cui il paziente è libero di parlare mentre il terapeuta si limita ad aiutarlo a diventare più consapevole dei significati nascosti ai suoi comportamenti e alle sue risposte emotive. La psicoanalisi lavora poi sulla relazione terapeutica, cioè aiutare il soggetto a comprendere attraverso la dinamica relazionale paziente-terapeuta, il significato del sintomo – da dove nasce e qual è la dimensione inconscia che te lo alimenta. Il modello teorico della psicoanalisi che è stato introdotto da Freud si basa su questi concetti. TEORIE PSICOANALITICHE Le teorie psicoanalitiche descrivono lo sviluppo come prevalentemente inconscio e influenzato dalla sfera emotiva. I comportamenti non sono altro che caratteristiche di superficie; per raggiungere una reale comprensione dello sviluppo è necessaria l’analisi simbolica dei comportamenti e dei meccanismi profondi della mente, procedendo quindi con la tecnica dell’interpretazione. Le prime esperienze con i genitori influenzano lo sviluppo in maniera significativa. Freud, in primis, ha elaborato le teorie fondamentali. La prima topica e la seconda topica. PRIMA TOPICA - Nella prima topica, Freud descritto la mente umana come suddivisa in tre sovrastrutture attraverso la metafora dell’iceberg. Partendo dalle istanze più profonde e inaccessibili, egli identifica: ⮚ L’inconscio, sede dei pensieri e sentimenti, inaccessibile alla coscienza e a cui quindi non si è consapevoli (perché inaccettabili). L’accesso all’inconscio erano i sogni e la loro interpretazione; ⮚ il preconscio è la parte intermedia tra l’inconscio e il conscio. Rappresenta una serie di contenuti che possono essere riportati alla coscienza spostando l’attenzione, ad esempio, su di un ricordo preciso; ⮚ Il conscio, la sede di ciò di cui la persona è consapevole. Seguendo la metafora dell’iceberg, rappresenta la parte visibile. SECONDA TOPICA - Nella seconda topica Freud ha introdotto altre tre istanze della mente umana: ⮚ L’es, tutto quel contenuto di pulsioni che l’uomo non può controllare e vorrebbe mettere in atto ⮚ L’io, funge da mediatore tra l’es e il super io, fra il principio di piacere e realtà; ⮚ Il super-io, sistema psichico che preme per una condotta morale adeguata e la realizzazione dei propri ideali. Rappresenta una sorta di coscienza che porta a distinguere ciò che è giusto o ciò che è sbagliato (morale). Secondo Freud, analizzando la relazione terapeutica, si arriva a capire quali sono gli schemi cognitivi ed emotivi tipici del paziente. I principi teorici del modello strutturale freudiano vedono l’uomo come: ⮚ Un essere conflittuale nel quale pulsioni e desideri si scontrano con le esigenze esterne e materiali (disponibilità degli oggetti di soddisfazione) e sociali (divieti); ⮚ Un essere passionale e irrazionale (principio di piacere dell’es) che cerca di diventare sociale e razionale per sopravvivere (principio di realtà). Gli strumenti e le tecniche di intervento in psicoterapia psicoanalitica sono: ⮚ Interpretazione dei sogni - utile per cogliere le pulsioni insoddisfatte; ⮚ Libere associazioni - il paziente è libero di parlare e il terapeuta utilizza lo strumento dell’interpretazione per ri-significare i contenuti della sua narrazione; ⮚ La relazione terapeutica - strumento di intervento per antonomasia. ⮚ Transfert del paziente – serie di emozioni e schemi cognitivi che il paziente attiva nei confronti del terapeuta. ⮚ Controtrasfert del terapeuta – serie di emozioni e schemi cognitivi che lo psicoterapeuta attiva nei confronti del paziente. Freud elabora delle fasi psico-sessuali dello sviluppo, in cui la personalità dell’individuo si struttura gradualmente lungo il loro decorso. Ogni fase prende il nome dalla zona erogena su cui si concentra il principio di piacere: ❖ FASE ORALE – riguarda il periodo di vita dell’individuo durante il quale la zona principale per esplorare la realtà è la bocca; ❖ FASE ANALE – periodo durante il quale l’individuo è portato a sperimentare autonomia, indipendenza e capacità di controllare gli sfinteri; ❖ FASE EDIPICA – fase in cui l’individuo inizia ad acquisire la differenza di genere (differenza tra maschio e femmina) e durante la quale la zona erogena è quella genitale; ❖ FASE DI LATENZA – corrisponde all’età scolare, l’individuo si concentra sulle attività sociali e intellettuali quale la relazione con i pari; ❖ FASE GENITALE – fase in cui la personalità completa il suo sviluppo e l’individuo ha trovato un equilibrio tra il principio di piacere e il principio di realtà, quindi tra l’es (insieme di pulsioni) e il super io (che detta la morale e il comportamento dell’individuo nella realtà in cui è inserito). APPROCCIO UMANISTICO Teoria che si basa sulla concezione filosofica dell’uomo. Privilegia la libertà di scelta e di iniziativa delle persone, la loro naturale tendenza a impiegare appieno le risorse per migliorare la propria condizione e tende a promuovere nel soggetto la realizzazione di sé, l’importanza dell’interpretazione soggettiva della realtà alla base del comportamento e del rapporto con il mondo (fenomenico). Come tecnica terapeutica si utilizza molto l’ascolto empatico (modalità di intervento ideato da Carl Rorgers) e l’obiettivo della terapia è quello di aiutare il soggetto attraverso la comprensione espressa dal terapeuta nei confronti della sua esperienza emotiva consapevole immediata, a raggiungere un rapporto più soddisfacente con sé stesso e con gli altri, a sviluppare le proprie capacità e a realizzare in maniera piena le proprie potenzialità APPROCCIO RELAZIONALE- SISTEMICO L’approccio relazionale-sistemico è il concetto teorico di riferimento nella psicologia clinica. Soggetto di intervento sono le dinamiche relazionali attive all’interno del gruppo familiare a cui appartiene il paziente e il comportamento patologico risultante dell’alterazione dei processi comunicativi interpersonali che avvengono all’interno del sistema familiare. L’intervento è indirizzato all’intero sistema familiare, partendo dal presupposto che è difficile innescare il cambiamento agendo su un singolo elemento del sistema, quanto piuttosto è bene analizzare i processi comunicativi che avvengono nel sistema familiare di riferimento, in quanto ci sono processi di influenza reciproca e rapporti di causalità circolare. Quindi l’obiettivo è quello di interrompere gli scambi comunicativi anomali all’interno del sistema familiare che sono alla base della patologia individuale. COMPETENZE PSICOLOGICHE E PRATICA SANITARIA La psicologia applicata nell’ambiente sanitario può lavorare su diversi concetti, in particolare: PREVENZIONE La prevenzione è indicata come l’attuazione di interventi volti a impedire che si manifesti una malattia, a bloccarne lo sviluppo il più precocemente possibile o a ridurne le conseguenze negative una volta che si manifesta. È importante acquisire un metodo di approccio con la psicologia clinica, andando ad osservare tutte quelle influenze psicosociali che potrebbero compromettere lo stato di salute e applicare le finalità preventive volte a fare in modo che nel paziente si promuova un comportamento sano. Nell’ambito sanitario si usufruisce di alcuni mezzi provenienti dal mondo della psicologia, come: 1. Porre maggiore attenzione a momenti esistenziali fisiologici ma delicati sul piano psicobiologico. 2. Aiutare gli operatori sanitari ad avere una maggiore sensibilità verso le componenti psicologiche dei pazienti e ad instaurare quindi relazioni di aiuto positive e più funzionali al benessere del paziente. 3. Formazione psicologica degli operatori, importante per perseguire gli obiettivi preventivi della psicologia clinica La prevenzione si divide in: o Prevenzione primaria – Si occupa di evitare l’insorgenza di malattia, agendo sulle condizioni (interne o esterne) che la determinano; o Prevenzione secondaria – Si occupa di individuare al più presto un processo patologico per affrontarlo più efficacemente e con maggiore possibilità di successo, per cui una diagnosi precoce e un sollecito intervento terapeutico; o Prevenzione terziaria – In questo caso la patologia è già presente, quindi è necessario attuare interventi idonei a ridurre le conseguenze della malattia, ad affrontarla correttamente nelle diverse implicazioni che essa comporta, eliminando gli ostacoli rispetto ad un efficace ed adeguato trattamento, eliminando le recidive e facilitando un nuovo adattamento. FORMAZIONE PSICOLOGICA DEGLI PSICOLOGI CLINICI La psicologia clinica è quella parte della psicologia relativa all’area degli studi psicopatologici e delle difficoltà che una persona può incontrare nella propria vita (studi comportamentali). La formazione e le conoscenze psicologiche sono essenziali per gli operatori sanitari per diversi motivi, tra cui: ⇨ Costruire relazioni all’interno delle proprie équipe di lavoro che siano incentrate su collaborazione, condivisione di competenze e conoscenze ed ottima risoluzione dei conflitti; ⇨ Migliorare la qualità della relazione operatore – paziente istaurando una relazione d’aiuto e di cura, dove l’operatore può assistere il paziente con il processo di accettazione di diagnosi (affrontare le angosce rispetto agli stati patologici) o aiutarlo ad acquisire sempre più consapevolezza del proprio quadro diagnostico e dell’importanza di un’aderenza costante al trattamento (miglioramento della compliance, se il paziente segue la terapia il problema si può risolvere); L’obiettivo è sempre quello di spingere il paziente a favorire uno stile di vita e un atteggiamento d’attivo rispetto ad una situazione di benessere, in modo tale da evitare tutti quei comportamenti patologici o selettivi che possono invece mantenere la malattia o addirittura aggravarla. Bisogna quindi aiutare un paziente ad avere sempre più consapevolezza dell’influenza che i propri stati d’animo possono avere sulle condotte, sui comportamenti e quindi alle manifestazioni somatiche della malattia stessa. La psicologia supporta l’ambito sanitario, dando modo agli operatori di agire sul piano della prevenzione per mezzo della: ⮚ Comunicazione, non solo con il paziente ma anche tra colleghi. ⮚ Promozione del lavoro di gruppo, attraverso un’attenzione sempre più centrata ai bisogni e alle dimensioni psicologiche del paziente, in un’ottica di lettura della malattia e di promozione e mantenimento della salute. STRUMENTI E TECNICHE DELLA PSICOLOGIA CLINICA Vi sono degli strumenti che accomunano gli psicologi sia la professione sanitaria, ovvero il colloquio clinico e i test standardizzati e scientificamente validati, per arrivare ad una diagnosi ben precisa. Gli obiettivi, nell’ambito della psicologia clinica, sono: ❖ Psicodiagnosi e valutazione delle caratteristiche psicologiche; ❖ Orientamento e selezione del personale; ❖ Valutazioni psicoattitudinali; ❖ Intervento (sostegno psicologico/psicoterapia); ❖ L’impostazione del colloquio dipende da un approccio teorico dello specialista e va ponderato in base all’utenza che abbiamo difronte (se si tratta di un bambino, un anziano o una famiglia). MODELLO EZIOLOGICO Per comprendere cosa ha il paziente, bisogna ricostruire il modello eziologico della patologia, ovvero indagare: ⮚ Sulla storia personale e familiare; ⮚ Fare un’anamnesi personale e familiare (analizzare i fattori di rischio). ⮚ Analizzare la motivazione del paziente nell’affidarsi ad un operatore sanitario ⮚ Sulla consapevolezza del proprio eventuale stato di malattia; ⮚ Le aspettative di cambiamento e adattamento, perché un paziente è in uno stato di malattia critico bisogna cercare di essere chiari su quello che ha e su come affrontare la sua condizione. quindi il modello eziologico serve a ricostruire un pochino la storia personale e familiare del paziente analizzare i fattori di rischio i fattori di insorgenza e i fattori di mantenimento. Il colloquio clinico si basa su determinate aree che bisogna indagare attraverso il seguente schema: 1. Area COGNITIVA – ad esempio, le ipotesi del paziente circa l’origine del problema clinico. Si può aiutare quindi a ricostruire con il paziente la catena causa-effetto tra il sintomo e la malattia che esso comporta. Inoltre, l’area cognitiva comprende tutte quelle credenze e pensieri distorti rispetto agli stili e alle scelte di vita (es. educare sulle conseguenze nocive del fumo o su comportamenti che influiscono sullo stato di salute, sottolineando gli svantaggi e i ‘vantaggi’); 2. Area dell’AUTOREGOLAZIONE – importante per capire gli stati emotivi predominanti e l’impatto che questi hanno sulla salute. Fa riferimento alla capacità della regolazione delle emozioni (soprattutto negative) che si possono attivare nel paziente di fronte allo stress che la malattia comporta. Le strategie di fronteggiamento dello stress possono variare – il paziente potrebbe affrontare la situazione con panico, sminuendo la sua situazione (poca compliance) o negandola, assumendo comportamenti di competizione e mancata accettazione. In base a queste si può unificare l’approccio con il paziente: se nega, c’è rassicurazione rispetto al fatto che può essere superato lo stato di malattia; se lo accetta, bisogna delineare la diagnosi e in particolare le scelte di vita e il piano terapeutico a cui aderire da quel momento in poi, accogliendo e normalizzando le sue emozioni. 3. Area SOCIALE – analizza eventuali vulnerabilità che lo portano ad esporsi a condizioni di malattia, la sua area sociale di riferimento e se ci sono variabili ‘protettive’, ovvero se è presente una rete sociale e familiare a cui il paziente può fare riferimento per fronteggiare lo stato di malattia. 4. Area del SELF-MANAGEMENT – analizza gli stili di vita del paziente, la sua gestione del tempo libero, che tipo di alimentazione segue e la capacità di pianificazione quotidiana. Chiaramente, durante il colloquio, c’è una componente di comunicazione non verbale e una serie di fattori e aspetti che non vengono presi in considerazione come: ❖ Il livello prosodico della comunicazione, gli aspetti musicali del parlato, il ritmo che utilizza il paziente e la melodia dei discorsi; ❖ L’aspetto paralinguistico della comunicazione fatto di tutti gli aspetti non verbali del parlato, come le pause, le esitazioni, gli intercalari ecc..; ❖ Le manifestazioni cinesiche e gli aspetti legati al comportamento (la postura che assumiamo, la mimica facciale, i movimenti ecc.); ❖ Le manifestazioni somatiche (rossore, tic, sudorazione ecc.); ❖ Le sfumature emotive che accompagnano ciò che il paziente esprime; ❖ L’abbigliamento (rappresentato dalla divisa); ❖ La Prossemica, ovvero gli spazi che separano gli interlocutori impegnati in un setting comunicativo (gestione dello spazio comunicativo). LA COMUNICAZIONE Per comunicazione si intende il processo e le modalità di trasmissione di un'informazione da un individuo a un altro, attraverso lo scambio di un messaggio elaborato secondo le regole di un determinato codice comune. Siccome non c'è comunicazione in assenza del processo di ricezione, la comunicazione umana necessita di almeno due individui, entrambi in grado sia di trasmettere che di ricevere, i messaggi elaborati nel codice comune. Alla base del processo comunicativo sono indicati una serie di fattori, in primo luogo l’emittente, in secondo luogo il ricevente impegnati in uno scambio comunicativo e mettono all’interno della comunicazione una serie di fattori soggettivi (pregiudizi, sistema di valori di riferimento che mette in gioco con la comunicazione verso l’altro). Se non c’è un codice comune, non c’è comprensione. La comunicazione interpersonale è una successione di avvenimenti costituiti dalla creazione e dallo scambio di segnali verbali e non verbali, tra almeno due persone collocate in un contesto sociale, disposte intenzionalmente l’una verso l’altra, in un rapporto di interdipendenza in cui ciascuna influenza significativamente il comportamento dell’altro. La comunicazione non è mai a senso unico, il ricevente è in grado di dare dei feedback anche involontariamente, i quali aiutano a interpretare il grado di comprensione. GLI ASSIOMI DELLA COMUNICAZIONE – I CINQUE PRINCIPI FONDAMENTALI Watzlawick, psicologo polacco, studia il processo di comunicazione umana, comprendendo come questo possa essere descritto come qualcosa di utile e necessario, sottolineando che: 1. Non si può non comunicare - ogni comportamento comunica qualcosa e può essere interpretato come comportamento comunicativo (anche il silenzio è una forma comunicativa); 2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione – in ogni scambio comunicativo c’è un aspetto relativo al contenuto, quindi all’informazione che viene scambiata, ma anche un aspetto relativo alla relazione che lega i due interlocutori; 3. La comunicazione è un processo circolare – non è mai una ad una via (mittente-ricevente), poiché il ricevente è in grado di dare dei feedback che continuano il processo comunicativo; 4. La comunicazione è verbale e analogica – include segnali verbali e non verbali; 5. Gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari – riflettono il tipo di relazione tra gli interlocutori, relazioni che si distinguono in: o Simmetriche – aggettivo illusorio, in quanto uno dei due interlocutori assume un ruolo dominante rispetto all’altro, che tende invece a sottomettersi. In questo scambio comunicativo si genera quindi uno scontro; o Complementari – la comunicazione più funzionale ed adeguate, ciascuno cerca di preservare il corretto equilibrio dei ruoli con rispetto reciproco. COLLOQUIO CLINICO – LE DIMENSIONI IMPLICATE Il colloquio clinico presuppone la necessità di tener conto degli aspetti verbali e degli aspetti non verbali. In particolare questi ultimi arricchiscono i contenuti del racconto, rappresentano gli aspetti che riflettono il modo di essere del soggetto e forniscono una visione più ampia del suo mondo interno. Nella pratica sanitaria, il paziente in condizioni di paura attiva schemi relazionali tipici di dipendenza rispetto al medico o all’infermiere oppure, al contrario, di diffidenza, con comportamenti di sfiducia e di opposizione. Bisogna quindi curare gli aspetti relazionali che emergono dal colloquio, il che aiuta l’infermiere a costruire con il paziente una relazione basata su una maggiore alleanza terapeutica, maggiore compliance e maggiore fiducia. Tali dinamiche socio-relazionali attivate nel colloquio con il paziente influiscono sulla conduzione dello stesso. Quindi il compito dell’operatore è di gestire al meglio la trasmissione delle emozioni che emerge nel non verbale con consapevolezza e oggettività. Approccio più psicosociale nella malattia: avvicinarsi maggiormente al significato più globale dell’esperienza di malattia per il malato, perché se capiamo che significato il paziente da alla sua condizione, potremo essere capaci di rispondere prontamente ai suoi bisogni e costruire una relazione più adeguata, però dobbiamo capire cosa pensa il paziente del suo stato di malattia, in modo tale da aiutarlo anche ad acquisire strategie di fronteggiamento più funzionali ed adeguate, tramite la comunicazione. Quindi per approccio più psicosociale alla malattia si intende: indagare sugli aspetti psicosociali del paziente e questo a noi operatori sanitari chiede di acquisire capacità relazionale per gestire al meglio il rapporto con i pazienti che riguardano 1)il modo di condurre l’intervista🡪approfondire i vissuti del paziente, le sue reazioni alla malattia, alla capacità di capire quanto gli viene prescritto e di poter effettuare adeguatamente le cure richieste 2)disposizione ad ascoltare, osservare, cogliere con interesse ciò che il paziente comunica in linea con le caratteristiche psicologiche del malato 🡪ad esempio il paziente ansioso ha bisogno di rassicurazioni e incoraggiamenti 🡪rapporto infermiere-paziente importante per la compliance. 3)la necessità di riservare uno spazio e un tempo adeguati all’incontro con il paziente, ovvero un setting adeguato🡪ambiente protetto, pulito e accogliente, evitare interruzioni o intrusioni di figure estranee, proteggere la privacy dell’incontro dalla presenza di altre figure. Quindi è l’infermiere che si prende cura del paziente fornendo Prestazioni di sostegno, chiarificazione aiuto all’ambientamento nel contesto ospedaliero Quasi un ruolo materno nei confronti del paziente🡪riempie i vuoti relazionali che spesso il paziente incontra nel rapporto con i medici E’ proprio lo staff infermieristico che vive il paziente nella sua quotidianità durante la degenza 🡪importante acquisire competenze relazionali, comunicative e capacità di ascolto empatico per cogliere i bisogni psicologici del paziente.2 COMUNICAZIONE EMPOATICA🡪capacità di condividere le emozioni altrui senza confondere nè se stessi nè le proprie emozioni con le loro. Le forme più evolute di empatia consentono un reale aiuto agli altri agendo in modo consonante alle esigenze dell’altro, ben differenziate e distinte dalle proprie. Nella relazione di cura è indispensabile che vi sia la capacità di condivisione empatica senza la quale il malato anziché come persona sarà trattato come un corpo inerte privo di emozione e interiorità. Ci sono diversi tipi di empatia Empatia reattiva🡪 riguarda la tendenza ad esprimere le reazioni emotive sperimentate di fronte alla sofferenza dell’altro Empatia parallela🡪provare emozioni simili a quelle vissute dalle persone in difficoltà Empatia cognitiva🡪 capacità di entrare nei pensieri dell’altro e capire il punto di vista BENEFICI DEL RAPPORTO EMPATICO Far capire all’interlocutore che lo stiamo ascoltando veramente Permette all’altro di dire di più Permette a noi di raccogliere maggiori informazioni sull’altro e sulla situazione Porta l’interlocutore a sviluppare intuizioni personali e ad assumersi la responsabilità dei suoi problemi I TRE LIVELLI D’ASCOLTO Ascoltare a tratti🡪sintonizzarsi o distrarsi, accorgersi degli altri, ma principalmente prestare attenzione a noi stessi; l’ascoltatore può avere uno sguardo vuoto ed è più interessato a parlare che ad ascoltare (livello d’ascolto disfunzionale) Sentire ma non ascoltare🡪 ascolto superficiale: ascolto la struttura logica del messaggio però rimanendo emotivamente distaccata dalla conversazione Ascolto empatico🡪suppone il fatto di essere attenti e presenti, di riconoscere il bisogno dell’altro e rispondere, non avere distrazioni, astenersi dal giudizio e mettersi nei panni dell’interlocutore e soprattutto prestare attenzione all’intera comunicazione, capire i sentimenti e i pensieri dell’interlocutore, mostrare in maniera verbale e non che si sta davvero ascoltando 16/05/2024 Psicologia clinica Le possibili barriere della comunicazione (Gordon, 1991) 1. ORDINARE, ESIGERE: spesso nell’obbligare qualcuno a fare qualcosa non si tengono in considerazione i suoi sentimenti. Ricevere ordini può suscitare rabbia e ostilità inoltre il rischio di dare ordini è di proporre comportamenti non adeguati per quel soggetto. 2. MINACCIARE: davanti a una minaccia, il ricevente spesso contrattacca o può aver paura di perdere l’aiuto di chi ha bisogno e sottomettersi. La paura riduce la fiducia nella relazione e la motivazione ad affrontare e superare i problemi. 3. FARE LA MORALE: l’invito a seguire determinati obblighi, imponendo una morale, può produrre nel ricevente diminuzione dell’autostima, della fiducia in se stessi e sensi di colpa. 4. DARE SOLUZIONI Già PRONTE: il rischio è di trasmettere mancanza di fiducia e si fornisce la soluzione all’altro senza stimolarlo nella ricerca indipendente. 5. PERSUADERE CON ARGOMENTAZIONE LOGICHE: se nella valutazione dell’operato di una persona e nel dirgli cosa deve fare non si tengono in considerazione i suoi sentimenti e si può sentire offesa e umiliata. 6. GIUDICARE, DISAPPROVARE, CRITICARE: giudizi, critiche e disapprovazioni continue possono portare a danneggiare l’immagine dell’altro. 7. FARE COMPLIMENTI E APPROVARE IMMERITATAMENTE: complimenti immeritati, così come le critiche, possono ferire la persona che le riceve e che li sente non corrispondenti all’immagine di sé, percependoli come falsi. 8. UMILIARE: tutti i messaggi che umiliano o ridicolizzare la persona sono offensivi. 9. INTERPRETARE, DIAGNOSTICARE, ANALIZZARE: è bene evitare di interpretare i comportanti e i messaggi della persona per evitare di farla mettere sulla difensiva o farla sentire incompresa. 10. MINIMIZZARE: minimizzare un problema per consolare l’altro può farlo sentire non compreso. 11. EVITARE IL PROBLEMA CAMBIANDO ARGOMENTO: se il problema viene schivato la persona può pensare che l’altro non la consideri importante, né consideri importanti i suoi sentimenti. 12. INFORMARSI, INTERROGARE: se il soggetto si sente sottoposto a un interrogatorio, può sentire l’altro troppo invadente e tendere a chiudersi in sé stesso e a non partecipare alla comunicazione. Suggerimenti per un ascolto efficacie: Obiettivo: per chiedere spiegazioni, ottenere informazioni, controllare se si è ben capito. Metodo: fare domande del tipo “come”, “quando”, “dove” e poi ripetere quello che si ritiene di aver capito (rispecchiamento). Obiettivo: per controllare la precisione dell’ascolto, incoraggiare un ulteriore discussione e dimostrare che si è ben capito. Metodo: ripetere i concetti fondamentali di chi parla. Obiettivo: per dimostrare che stiamo ascoltando e che abbiamo capito; per ridurre l’ansia ed ogni sentimento negativo; per dimostrare a chi parla che ci rendiamo conto dei suoi sentimenti. Metodo: illustrare con parole diverse i sentimenti di chi parla e assumere l’atteggiamento di chi parla, serio o noncurante che sia. (verbalizzazione per sinonimia). Obiettivo: tirare le somme, passare a una nuova fase di discussione; riprendere alcuni argomenti come spunto per un approfondimento o per fare il punto della situazione. Metodo: ripetere, ponderare e riassumerei concetti e i giudizi più importanti ( per capire se si sono detti tutto o bisogna aggiustare qualcos’altro). Obiettivo: per mantenere una posizione neutrale, pur mostrandoci interessati e incoraggiare l’altro a parlare. Metodo: non pronunciarsi né a favore né contro, pur usando un tono cordiale. Obiettivo: per riconoscere l’esistenza del problema. Metodo: affermare che esiste il problema (non minimizzarlo). Consigli per favorire la comunicazione Atteggiamenti non verbali: Porsi direttamente al paziente per indicare sincerità e interessa alla sua storia. Adottare una postura aperta per segnalare disponibilità. Protendersi verso il malato, per indicare vicinanza e accoglienza. (cercare di ridurre la distanza interpersonale tra me e l’altro). Mantenere un costante contatto visivo per mostrare attenzione. Mantenere una postura rilassata per indurre il paziente a essere meno ansioso. Annuire spesso e manifestare altri cenni di attenzione. Atteggiamenti verbali: Chiamare il paziente per nome. (per garantire vicinanza). Definire le emozioni e gli stati d’animo (e comprenderli). Esprimere stima. Sostenere e incoraggiare il paziente. Cosa non fare: Mostrarsi saccenti e autoritari. Assumere un tono troppo formale. Non prestare attenzione a quanto dice il paziente. Usare una terminologia troppo tecnica e specialistica. Interrompere il paziente quando parla. Rispondere in maniera evasiva a domande dirette. Fissare il paziente in maniera quasi aggressiva, oppure non guardarlo affanno. Rispondere al telefono mentre il paziente è in studio. I medici interrompono il paziente dopo circa 21 secondi ma le informazioni dette per prima non sono necessariamente le più importanti ai fini della diagnosi. Gli strumenti della psicologia clinica: i test Il test è un insieme di stimoli che viene presentato al soggetto utilizzando una particolare procedura che permette di raggiungere risposte valutabili sulla base di criteri sostenibili. I test aggiungono informazioni a quelle della conoscenza diretta della persona quindi l’obiettivo è avere una valutazione complessiva della persona, dove i test non devono sostituire l’importanza del colloquio clinico. Ambiti applicativi dei test: clinica, ricerca, formazione, selezione del personale e orientamento. Cosa valutano: caratteristiche del comportamento, presenza/assenza di sintomi che rientrano in un preciso quadro psicopatologico, abilità mentali, caratteristiche psicoattitudinali, tratti di personalità, abilità cognitive. I test hanno caratteristiche psicometriche: Validità è la capacità del test di misurare effettivamente il costrutto specifico. La validità può essere distinta in: validità di contenuto quindi il grado in cui il test prende in esame tutti i possibili aspetti del fenomeno che vuole misurare, validità predittiva quindi la capcità di predire i risultati ottenuti dal soggetto in base alla caratteristica misurata dal test, validità concorrente/discriminante cioè di basa sulla verifica di quanto si sovrappongono o si differenziano i rilievi effettuati da due strumenti distinti che misurano variabili simili o diverse. Fedeltà è la capacità del test di fornire sempre risultati sovrapponibili a prescindere dalle condizioni di somministrazione---- per valutare la fedeltà del test si applica il metodo delle forma parallele (elaboro dallo stesso test 2 versioni simili e le somministro a due gruppi di soggetti e si vede quanto il test mi porta gli stessi risultati), il metodo del test-retest (quando lo stesso test lo somministro alla stessa persona a distanza di tempo e vedere se mi porta gli stessi risultati e quindi per validare il test), il metodo del split- half ( somministro metà del test a un campione, l’altra metà all’altro campione e vedo quanto quel test mi conduce a risultati simili). Tutti questi concetti mi permettono di arrivare alla standardizzazione del test cioè i dati raccolti con un test possono essere confrontati con criteri di riferimento che vengono raccolti precedentemente al fine di consentire una corretta interpretazione dei risultati. Quindi i test usati in ambito clinico se non sono validati e standardizzati scientificamente, non si possono utilizzare. La diagnosi nosografica descrittiva ci aiuta a dare un nome al sintomo che il paziente porta. Per effettuare questa diagnosi si somministrano dei test, interviste o con manuali che aiutano a capire i problemi del pazienti in base ai sintomi. I disturbi psichici (DMS-5): *Anedonia: non provare piacere per le attività che si svolgono. È caratterizzato da episodi maniacali (in cui il tono dell’umore è molto elevato, caratterizzato da euforia, spende molte energie nelle proprie attività), ed episodi depressivi (apatia e perdita di interesse). Quindi ci sono up e down nel tono dell’umore (almeno per 6 mesi), e il passaggio dal momento maniacale al depressivo non è prevedibile. Il farmaco stabilizza il tono dell’umore. Poi inizia l’area nevrotica, cioè l’area di disturbi mentali in cui il paziente è consapevole. Nei casi gravi, si può iniziare con il trattamento farmacologico e poi procedere con le modificazioni relative agli schemi di pensiero. Differenza tra paura e ansia: la paura è associata a uno stimolo reale, tangibile, esistente; l’ansia è associata a un pericolo irrazionale (che ho nella mente, ma non è detto che ci sia) o ad immaginare scenari peggiori. Ad esempio si parla di DOC in ambito relazione cioè se siamo ossessionati dal fatto che il nostro partner ci potrebbe tradire, sono convinto che questo accadrà nella realtà e quindi si ha la compulsione del controllo. Difronte a un sintomo fisico, giungono a pensare a patologie brutali. Anche in questo bisogna agire sul comportamento, modificando lo stile alimentare però prima bisogna destrutturare i pensieri negativi che hanno portato il paziente ad avere il disturbo alimentare. Cleptomania: la tendenza a violare norme sociali, applicando comportamenti sbagliati. Si crea dipendenza perché la sostanza attiva il sistema cerebrale di ricompensa (dopaminergico) e questa sensazione di piacere, portano a desiderare sempre di più la sostanza. Poi, però, il corpo si abitua e richiede quantità sempre più elevate. Anche il disturbo da gioco d’azzardo produce gli stessi effetti. LA PERSONALITÀ La personalità si definisce come un’organizzazione stabile e coerente di tratti: pattern costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di sé stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti personali e sociali. È un insieme di caratteristiche che permettono a ciascuno di noi di essere sempre sé stesso e di avere la stessa predisposizione ad agire indipendentemente dal variare delle situazioni. La personalità si costruisce lentamente durante il corso di sviluppo ed è il risultato dell’incontro tra le predisposizioni individuali innate e l’ambiente circostanti. Allo stesso tempo, gli individui dotati della capacità di anticipazione e di riflessione, contribuiscono in modo attivo al loro divenire, selezionando gli ambienti e trasformandoli. La personalità è quindi un insieme di caratteristiche stabili che si modificano nell’interazione con gli stimoli ambientali, in virtù delle molteplici interazioni che l’individuo ha nel corso dell’esistenza. La personalità è una serie di tratti profondamente impressi e difficilmente modificabili ed è il risultato dello sviluppo psicobiologico, apprendimento sociale e contesto psicoaffettivo (dove nasco, cresco e mi sviluppo). Ognuno è il risultato delle interazioni tra la natura biologica e il contesto in cui vivo, e quindi la nostra personalità si costruisce anche in base alle persone che mi circondano. TEORIE E MODELLI DELLA PERSONALITÀ Teorie tipologiche Teorie dei tratti, dei fattori e delle dimensioni della personalità Teorie psicodinamiche Teorie dell’attaccamento e della relazionalità Teorie cognitive e comportamentali Attraverso un excursus storico delle teorie relative allo sviluppo della personalità…..LE TEORIE TIPOLOGICHE Ippocrate (V secolo a.C.) propose 4 tipi di temperamento, ciascuno in relazione a uno specifico umore corporale: il temperamento collerico corrisponde alla bile gialla, il melanconico corrisponde alla bile nera, il sanguigno corrisponde al sangue, il flemmatico corrisponde alla linfa. Quindi quando prevaleva una componente somatica, si aveva una determinata personalità. Gustav Jung (1923) fu un allievo di Froid e introdurre il concetto di introversione vs estroversione. Sheldon (anni 40) che mise in relazione le caratteristiche del corpo con il temperamento; quindi distinse il temperamento endomorfo associato a un temperamento viscerale, un temperamento esomorfo associato a un temperamento somatico (concentrato sull’aspetto fisico) e un temperamento ectomorfo associato a un temperamento cerebrale (concentrato sulla razionalità). Le teorie tipologiche assumono un ruolo importante nella storia della personalità perché inizialmente si voleva capire il motivo di un determinato comportamento della persona, partendo dal presupposto che le persone nascono con una determinata personalità che non si può modificare nel tempo. (ecco perché si chiamano teorie tipologiche). TEORIA DEI TRATTI Il maggior esponente fu Allport e ci dice che la personalità è data da un insieme di tratti che possono essere interpretati come dimensioni dicotomiche che si dispongono in continuum. Sono tratti stabili ma flessibili, cioè la persone durante il continuum può passare da un estremo all’altro. Infatti secondo Allport, in una persona il pattern di disposizioni può essere generalizzato attraverso le diverse situazioni e si mantiene stabile e determina l’unicità della persona. Ecco i sedici tratti originari identificati di Cattell: Questi ogni individuo ha dei tratti ben precisi che si presentano in maniera dicotomica. TEORIA DEI TRATTI BIG FIVE Secondo questa teoria (di Costa e McCrae), la personalità è costituita da 5 tratti fondamentali. Il tratto è un costrutto bidimensionale in cui l’estremità di un continuum esprime la caratterizzazione di un tratto e l’altra estremità l’aspetto complementare. I 5 tratti sono: PSICOLOGIA CLINICA 21/05 Le teorie che si sono occupate di capire come la personalità si sviluppa. Fondamentalmente in questa slide le ho riassunte brevemente, ogni teoria ha una specifica concezione rispetto a “che cos’è la personalità” e “da come la personalità si sviluppa”. In particolar modo le teorie psicoanalitiche che abbiamo accennato con Freud, ci dicono che la personalità dipende da conflitti intrapsichici e da come questi conflitti sono stati risolti. Quindi, la personalità non solo è collocata in un livello profondo, ma si parte dal presupposto che per studiarla occorre accedere a queste dimensioni così profonde e inconsce attraverso delle tecniche come, ad esempio, può essere il sogno o le tecniche delle libere associazioni. Le teorie socio-cognitive ci dicono come la persona può essere definita come un agente attivo che utilizza i processi cognitivi per comprendere gli eventi passati e attuali e prevedere i futuri, scegliendo il corso delle azioni e comunicare con gli altri in base appunto a questa continua influenza con l’ambiente esterno. Quindi è vero che la personalità è un qualcosa di profondo dell’essere umano, ma che si costruisce attraverso le interazioni che l’essere umano vive continuamente con il contesto sociale circostante. Quindi da ciò deriva l’origine sociale del comportamento e l’importanza dei processi cognitivi di pensiero in tutti gli aspetti del comportamento umano. Il situazionismo e interazionismo, dove si collocano il comportamentismo e il processo di apprendimento e di condizionamento, e anche il concetto di apprendimento sociale. Il situazionismo ci dice che la personalità dipende soprattutto dall’ambiente e dalle situazioni più che dalle caratteristiche della persona. Ciò che conta è la serie di rinforzi e l’insieme di modelli a cui la persona è stata esposta e come questi hanno strutturato modalità, anche stabili nel tempo, di comportarsi. Filone umanistico-fenomenologico che ci sottolinea come non solo l’individuo è fondamentalmente buono, attivo e modificabile e aspira alla crescita e alla propria autorealizzazione. In tale approccio, si considera la personalità come basata su idee e valori personali. Questo è l’insieme delle teorie che si sono occupate dello studio della personalità. Come viene studiata la personalità Perché si studia la personalità? Lo studio della personalità ci aiuta ad indagare quali sono quelli aspetti che rendono gli individui uguali ad altri individui e anche quali sono quelle caratteristiche che gli rendono unici, perché essendo uno strumento standardizzato ci consente di prendere l’individuo e collocarlo all’interno di specifiche categorie, ma allo stesso tempo ci permette di capire qual è il funzionamento tipico di quella persona e della sua personalità. 1. Per esempio, avrete sentito parlare MMPI-II (Minnesota Multiphasic Personality Inventory) che attualmente è uno dei test utilizzati soprattutto nei concorsi per le forze armate, oppure nelle perizie in ambito giudiziario; si tratta di uno strumento considerato valido e standardizzato scientificamente che serve per ottenere un quadro complessivo della personalità del soggetto e per individuare aree problematiche sulle quali eventualmente approfondire ulteriormente la valutazione. Oltre a questo strumento standardizzato che è il più validato utilizzato attualmente per lo studio della personalità ci sono i test proiettivi. 2. I test proiettivi si tratta di test la cui valutazione è fortemente influenzata dalla soggettività del valutatore, cioè, è vero che ci sono dei criteri d’interpretazione studiati scientificamente presenti in letteratura, ma si basano su stimoli troppo ambigui. TEST PROIETTIVI TEMATICI Ci sono una serie di test che vengono utilizzati per l’età evolutiva: Child Apperception Test (CAT -Bellak e Bellak, 1952) →10 tavole con animali in varie situazioni. Blacky Pictures Test (BPT- Blum, 1962) → protagonista è Blacky, un cagnolino nero e la sua famiglia. PN (Corman, 1962) → protagonista è Patte-Noir, maialino con una macchia nera L’obiettivo è quello d’inventare una favola a partire da uno stimolo. E se vi fate un giro in rete, noterete come anche in ambito peritale questi test vengono utilizzati nella valutazione dei minori, perché sono uno strumento meno invasivo ma allo stesso tempo ti consente una minima valutazione di chi hai davanti. Mentre in età adulta viene usato come test proiettivo tematico: il Thematic Apperception Test (TAT-Murray, 1943), è costituito da 31 tavole raffiguranti fotografie, riproduzioni, quadri, illustrazioni e si chiede al soggetto di dire che cosa vede, è anche questo un test influenzato dalla soggettività di ciascuno. Il test più valido e più utilizzato è l’MMPI-II. I test proiettivi hanno delle loro categorie, si possono suddividere in: Test proiettivi di completamento: (sono quelli che abbiamo visto per l’età evolutiva) si tratta di una serie di test costituiti da delle immagini che l’individuo non solo deve provare ad interpretare ma deve anche provare a narrarci una storia con le immagini. Ci sono: Test delle Favole (completare una storia interrotta), Picture Frustration Test (rispondere ad ipotetiche situazioni di frustazione) e Test di Wartegg (completare dei disegni). Test proiettivi strutturali: sono quelli un po’ più complessi e più articolati. Per esempio, il Test di Rorschach è costituito da diverse tavole raffiguranti delle macchie d’inchiostro e si chiede all’individuo che cosa vede in queste macchie, anche se c’è un protocollo di siglatura e d’interpretazione sulla base di 3 criteri (localizzazione, determinante e contenuto della risposta), si tratta di un test valido ma fortemente vincolato alla soggettività dell’esaminatore. Il test di Rorschach è un test proiettivo che è stato creato da uno psichiatra svizzero, di stampo psicoanalitico, che notò che gli individui, nell’interpretazione di tavole da lui stesso create, si basavano non solo su dato percettivo ma erano influenzati anche dai vissuti personali (come esperienze, fantasie, paure) che lui andava ad esplorare e nel caso di soggetti patologici, erano così coinvolgenti da sopraffare la percezione realistica degli stimoli. MINNESOTA MULTIPHASIC PERSONALITY INVENTORY (MMPI-II, HATHAWAY E MCKINLEY,1989) La MMPI-II è una scala autovalutativa di tratto, a risposta dicotomica (vero/falso), costituita da 567 domande nella sua versione integrale e da 365 domande nella sua versione ridotta. Queste domande sono suddivide in 10 scale cliniche che vanno a misurare: l’ipocondria, la depressione, l’isteria, la deviazione psicopatica, i tratti di mascolinità/femminilità, la paranoia, la psicastenia, la schizofrenia, l’ipomania e l’introversione sociale. Oltre a queste scale cliniche ci sono 3 scale di controllo: 1. La scala Lie (L) → valuta quanto il soggetto stia mentendo oppure no , quanto il soggetto sta fornendo delle risposte reali e quanto invece sta cercando di simulare e di dare un’immagine falsata di se. 2. La scala Frequency (F) → la tendenza del soggetto a riconoscere di avere una vasta gamma di problemi psicologici. 3. La scala K → rileva lo stile difensivo nei confronti del test. (Ci sono degli psicologici clinici che, per quanto possa essere sbagliato che preparano le persone a fare questo test così che al concorso vadano preparate.) I TRATTI E I DISTURBI DI PERSONALITÀ I tratti di personalità sono pattern costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di sé stessi, che si manifestano in un ampio spettro di contesti sociali e personali. I disturbi di personalità sono i più complicati da vedere, perché chi soffre il disturbo di personalità, tenderà a venire nelle strutture ospedaliere o dai liberi professionisti per altre motivazioni (ad esempio per l’ansia) e in un secondo momento ti accorgi che sei difronte ad un disturbo di personalità. Si parla di disturbo di personalità quando i tratti di personalità sono rigidi e disadattivi, quando quella persona ha un punto di vedere la realtà molto rigido e non è capace di mettere in discussione il modo in cui vede la realtà, questo lo porta ad una serie di comportamenti disfunzionali e poco adattivi rispetto alla situazione in cui si trova. La caratteristica essenziale di un disturbo di personalità è un pattern abituale di esperienza interiore e di comportamento che devia marcatamente rispetto alle aspettative della cultura dell’individuo e si manifesta in almeno due delle seguenti aree: Cognitività. Affettività. Funzionamento interpersonale. Controllo degli impulsi. Si tratta di un pattern inflessibile, pervasivo, stabile e di lunga durata. Esordio si colloca tra l’adolescenza/prima età adulta. CLASSIFICAZIONE DISTURBI DI PERSONALITÀ I disturbi di personalità nel DSM-5 sono suddivisi in cluster. Nel cluster A rientrano i MAD: bizzarri ed eccentrici, quei disturbi di personalità che hanno in sé un qualcosa che ci richiama la sfera psicotica della schizofrenia. Disturbo PARANOIDE di personalità, disturbo SCHIZOIDE di personalità e disturbo SCHIZOTIPICO di personalità. Nel cluster B troviamo i BAD: caratterizzati da una forte disregolazione degli impulsi e da una disadattiva capacità di gestione delle emozioni, quello più inflazionato nel mondo dei social è il disturbo NARCISISTICO di personalità, oppure il disturbo FONTE caratterizzato da una disregolazione degli impulsi, emotività eccessiva, incapacità di gestire le emozioni e difficoltà nella gestione degli eventi di vita stressanti. Nel cluster C rientrano i SAD: tutti gli ansiosi e timorosi, disturbo EVITANTE di personalità, disturbo DIPENDENTE di personalità e il disturbo OSSESSIVO COMPULSIVO di personalità. CLUSTER A DISTURBO PARANOIDE DI PERSONALITÀ È tipico di tutti quei soggetti che tendono ad avere una dimensione rispetto ai tratti della paranoia molto alti. Cos’è la paranoia? Quali sono i tratti paranoici della personalità? La tendenza di guardare gli altri sempre con sospetto, qualsiasi cosa che l’altro dica o faccia è sempre contro di me, c’è sempre qualcuno che ce l’ha con me. Si tratta di un quadro di disturbo di personalità caratterizzato da sfiducia e sospettosità, chi ne soffre tende ad interpretare il comportamento degli altri come malevolo comportandosi così sempre in modo sospettoso. CONVINZIONI TIPICHE: Nella maggior parte delle occasioni, le altri sono ostili/infedeli Gli altri tenteranno volontariamente di degradararmi o disturbarmi Se gli altri scoprono qualcosa su di me lo useranno contro di me “Non si può abbassare la guardia” Chi è il paziente che ha un disturbo paranoidi di personalità? Colui il quale tenderà sempre a non fidarsi di chi ha difronte, è sempre sospettoso, sempre pronto a leggere il male anche dove non c’è e soprattutto è riluttante a confidarsi con gli altri, tenderà a non aprirsi adeguatamente rispetto ad una sua sofferenza psicologica o fisica. DISTRURBO SCHIZOIDE DI PERSONALITÀ (Le critiche le ignoro, i complimenti non li sento!) È tipico di quelle persone che scappano dal contatto sociale, perché non sono abituati a fidarsi del prossimo, piuttosto mi deprivo sul piano affettivo e non mi espongo per preservare me stesso. È caratterizzato dalla difficoltà nello stabilire relazioni sociali e, soprattutto l’assenza dal desiderio di stabilirle. Pochi amici stretti o confidenti; lavori che richiedono un contatto sociale minimo nulla, non sono coinvolti in relazioni intime e in genere non si costruiscono una propria famiglia. LE IDEE E I SENTIMENTI che guidano questo tipo di personalità è caratterizzato: “preferisco farlo da solo”; “preferisco stare da solo” “non mi sento motivato”; “che importa” Non mostrano/provano forti emozioni né positive né negative, appaiono e si sentono indifferenti e privi di desideri (anaffettivi), assenza di sofferenza per le mancate occasioni relazionali. DISTURBO SCHIZOTIPICO DI PERSONALITÀ (Io nella vita più che” punti di riferimento”, ho “idee di riferimento”!) Cosa sono le idee di riferimento? Rappresenta la tendenza ad interpretare come collegati fra di loro eventi che non lo sono, c’è un po’ di quel pensiero magico che porta alla persona non solo esperienze progettive insolite, ma anche a condizioni strane che influenzano il comportamento e sono in contrasto con le norme socioculturali. Hanno delle credenze davvero bizzarre, come ad esempio sentire di avere poteri speciali come prevedere gli eventi o leggere i pensieri degli altri. Sono una serie di disturbi che hanno un distacco dalla realtà oggettiva e quindi un esame di realtà molto compromesso ecco perché rientrano nel cluster A che ha alcune sintomatologie simili a quelle della sfera psicotica. IDEE TIPICHE: Avere sesto senso So quello che gli altri pensano o vogliono fare Gli altri possono leggere i miei pensieri o rubarmi qualcosa C’è un legame genetico con la schizofrenia e la depressione. CLUSTER B rientrano una serie di pazienti con personalità caratterizzate da una difficoltà di regolazione dell'impulso e difficoltà nella gestione delle emozioni. DISTURBO ANTISOCIALE DI PERSONALITÀ È caratterizzato dal fatto che si tratta di un quadro pervasivo di inosservanza e di violazione dei diritti degli altri. Come appaiono questi individui? Innanzitutto, disonesti manipolativi per trarre profitto piacere personale. Le decisioni sono impulsive, minimizzano le conseguenze dannose oppure mostrano indifferenza nel momento in cui fanno del male all’altro, e vi è una completa assenza di senso di colpa. Intolleranza alla noia. IDEE TIPICHE: Gli altri sono deboli e meritano di essere sfruttati; Se non tratto male gli altri, sarò io ad essere trattato male; Posso farla franca per cui non c'è da preoccuparsi per le conseguenze negative; Se la gente non sa badare a sé stessa questo è un problema loro. Il disturbo antisociale di personalità è uno dei disturbi di personalità che è vero che vediamo nella tarda adolescenza, più nell’età adulta perché prima dei 18 anni non si può diagnosticare, però ha le sue radici dal disturbo della condotta (nell'età evolutiva); quel disturbo ADHD non adeguatamente trattato può portare a un disturbo della condotta e ad un disturbo positivo provocatorio può sfociare nei disturbi antisociali di personalità. DISTURBO ISTRONICO DI PERSONALITÀ È tipico di quelle persone che attendono alla spettacolarizzazione delle loro emozioni con l con l'obiettivo di attivare il processo della vittimizzazione. Tendono a recitare la parte della” vittima”, a mostrare le proprie emozioni in maniera molto teatrale pur di ottenere l'attenzione dall'altro. Come si relazionano con gli altri? Recitano la parte della vittima Stile interpersonale sessualmente provocante con richieste di attenzione costante Possono apparire depressi e sconvolti quando non sono al centro dell'attenzione, possono mostrare dipendenza nei confronti delle relazioni con gli altri. Intolleranza alla posticipazione alla gratificazione abbandona presti progetti anche se accolti con entusiasmo PENSIERI TIPICI Sono una persona stimolante e interessante; Per essere felice ho bisogno che gli altri mi prestano attenzione; Se non sono capace d’intrattenere o fare impressione sugli altri, non valgo; È terribile se la gente mi ignora. L’aspetto interessante di questo disturbo di personalità è che appare più diffuso soprattutto tra le donne. È tipico di quelle persone che pur di ricevere l'attenzione altrui mettono in atto una serie di esagerazioni nella manifestazione delle proprie emozioni. In generale, tutti i disturbi di personalità nascono da esperienze di deprivazione, traumatiche vissute nell'ambito delle prime relazioni di attaccamento, a partire da relazioni d’attaccamento complicate con le figure genitoriali c'è il rischio di incorrere in un quadro psicopatologico che, se non adeguatamente affrontato, può portare allo sviluppo di un disturbo di personalità, non c’è un nesso causa-effetto tutto sta nell’influenza dell’ambiente circostante; certo è che se io ho vissuto esperienze negative nelle mia infanzia, nella mia adolescenza, quello viene chiamato fattore di vulnerabilità, ciò che rende più vulnerabile allo sviluppo di determinati quadri psicopatologici. DISTURBO NARCISISTICO DI PERSONALITÀ (uno dice "mi hanno appena detto che ho tre mesi di vita” e l’altro risponde “oddio mi spiace immensamente che non potrei venire alla presentazione del mio ultimo libro”). Il disturbo narcisistico di personalità è caratterizzato da vertici sul piano della comprensione delle emozioni altrui l’empatia, loro non sanno neanche dove abita e dall’altro lato c’è un disturbo di personalità che caratterizza soggetti volti a considerare i propri bisogni e la propria vita migliore di tutto e di tutti. I narcisisti sono i primi insicuri, è proprio per nascondere questo senso di insicurezza che loro cercano di ergersi come persona estremamente speciale, persona che deve essere riconosciuta dagli altri, come una persona brillante che come lei non c’è nessuno. Questo senso di insicurezza nasce da esperienze relazionali negative o di deprivazione. Come dice il DSM-5 fondamentalmente non solo la persona avrà un senso grandioso d’importanza ma sarà assorbita da fantasie di successo, potere, fascino, bellezza illimitati, o di amore ideale. Soprattutto manca di empatia e sfrutta i rapporti interpersonali, cioè le relazioni che costruisce o costruirà saranno finalizzate solo ed esclusivamente a raggiungere i propri obiettivi, però fondamentalmente l’latro viene usato come mezzo, non è importante per la propria crescita personale. L’aspettativa dell’altro qual è? Il disturbo narcisistico di personalità porta la persona a vedere l’altro come fortemente incapace di fornire le cure e organizzano la propria esistenza facendo a meno dell’amore degli altri, assumendo atteggiamenti di distacco e di superiorità. Perché dico che nasce da relazioni di attaccamento e di deprivazione emotiva? Perché appunto tipicamente i soggetti che portano il disturbo narcisistico di personalità nell’età adulta e che, come vedete, non solo colpisce maggiormente i soggetti di sesso maschi la ha anche una prevalenza molto alta nella popolazione clinica, si tratta di soggetti che hanno vissuto un’infanzia in cui venivano considerati dai genitori come un mezzo attraverso il quale sviluppare e potenziare la stima di sé; si tratta d’individui che non sono mai stati riconosciuti nella loro individualità e specificità e quindi pur di essere riconosciuti quanto tali, si ergono sul piedistallo tendendo a sottovalutare chi hanno davanti. DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ (Non è vero che io idealizzo e poi rapidamente svaluto!...sei tu che rapidamente passi dall'essere un Dio all'essere uno stronzo!!). Il disturbo borderline della personalità è caratterizzato dalla disregolazione degli impulsi e dalla difficoltà di vivere le relazioni, sono quei soggetti che tendono ad oscillare continuamente tra l’idealizzazione e la svalutazione dell’altro. Ci sono fasi in cui l’altro viene fortemente idealizzato, non si possono separare, fino ad arrivare a comportamenti di svalutazione dell’altro e ciò che lo caratterizza (questo è l’aspetto critico) è la presenza di una forte instabilità affettiva e anche a comportamenti autolesionistici. In tutti i disturbi di personalità il trattamento farmacologico è importante soprattutto in questo disturbo. Questi soggetti sono caratterizzati da un discontrollo degli impulsi, da un’instabilità relazionale e soprattutto quando hanno un’emozione la vivono davvero a pieno e non la sanno gestire e possono incorre a comportamenti disadattivi. È un disturbo che si trova molto spesso nelle cliniche psichiatriche, colpisce maggiormente le donne ed è visibile entro la prima età adulta. IDEE TIPICHE Sono fragile e vulnerabile (io devo essere capito in tutto e per tutto dagli altri); Sono inaccettabile e destinato all’abbandono (quando c’è la fase di svalutazione dell’altro, sono loro che si mettono in discussione e dicono ”è colpa mia se questa persona non è più con me” e quindi c’è il baratro della situazione e l’attuazione dei comportamenti autolesionisti). Il mondo è pericoloso e malevolo (sono spinti ad essere sempre in allerta rispetto ai pericoli che provenienti dall’ambiente sociale che è ricco di pericoli, dal momento che dell’altro non ci si può fidare, io sono fragile e vulnerabili, quindi succede che costruisco quelle mie piccole relazioni interpersonali che vanno comunque male perché sono sempre pronto a mettere in discussione l’altro ma soprattutto me stesso). È un piano fortemente instabile sia sul piano emotivo, cognitivo, relazione e comportamentale. L’aspetto preoccupante del disturbo borderline è che c’è un’elevata associazione tra BPD e i disturbi dissociativi appartenenti all’Asse I. I disturbi dissociativi sono quei disturbi che troviamo tipicamente in soggetti che hanno subito eventi traumatici stressanti (quello che viene chiamato disturbo post traumatico da stress) e in definitiva i disturbi dissociativi sono caratterizzati da depersonalizzazione, cioè la tendenza di perdere contatto con se stessi, è come se si estraniano dal proprio corpo e questo porta ad una maggiore incidenza dei comportamenti autolesionistici e la derealizzazione, cioè si distaccano completamente dalla realtà circostante e restano mobilizzati in un modo di vedere la realtà molto disattivo e molto disfunzionale. Il disturbo di personalità borderline nasce da una relazione d’attaccamento disorganizzato, cioè non aver raggiunto nel proprio percorso di sviluppo relazionale socio emotivo la piena integrazione tra l’immagine che io ho di me stesso e l’immagine dell’altro; quindi, fondamentalmente l’altro sarà per me un pericolo e soprattutto non sarà adeguatamente integrato nel mio schema di realtà. CLUSTER C rientrano tutti coloro che hanno un quadro caratterizzato da paura, ansia, angoscia e tendenza all’irritabilità DISTURBO EVITANTE DI PERSONALITÀ Il soggetto desidera stare con gli altri ma non ci riesce, tende ad inibirsi sul piano delle relazioni sociali seppur desidera una rete più ampia come punto di riferimento. La convinzione radicata è di vale poco, sente un profondo senso di inadeguatezza nella vita di relazione, con un enorme timore delle critiche, della disapprovazione altrui e di esclusione. Per evitare queste esperienze dolorose la sensazione di sentirsi escluso dagli altri tende a ritirarsi in se stesso. Se da un laro desidera relazionarsi con gli altri, dall’altro lato mostra una serie di limitazioni nel relazionarsi proprio per il timore di essere umiliato e/o ridicolizzato. Si tratta di quelle persone che possono apparire inibite sul piano sociale e interpersonale e che in qualche modo non si espongono più di tanto a causa di questi sentimenti di inadeguatezza e di sensibilità al giudizio negativo. IDEE TIPICHE Se la gente avesse modo di conoscermi da vicino, scoprirebbe chi sono realmente e mi respingerebbe; Essere smascherato come inferiore a un adeguato sarà insopportabile; È meglio non fare nulla piuttosto che provare a fare qualcosa che può far fallire. C’è una forte comorbilità con l’ansia sociale. DISTURBO DIPENDENTE DI PERSONALITÀ (se il mio respiro ti dà noia, dillo cercherò di stare in apnea il più a lungo possibile!) La persona con il disturbo dipendente di personalità è quella persona che è disposta ad annullare sé stessa pur di accogliere i bisogni e i diritti dell’altro, una persona che ha bisogno dell’altro, cerca continuamente rassicurazioni dagli altri anche a costo di essere sottomesso dal momento che senza relazioni non sa stare; è quella persona che ha ragione di essere soltanto se è all’interno di una relazione, appagante o meno appagante che sia. IDEE TIPICHE: Ho bisogno di qualcuno vicino a me disponibile tutte le volte per aiutarmi; Io sono impotente quando vengo lasciato solo; Se non sono amato, sarò sempre infelice. Ciò che caratterizza questo disturbo è il senso di vulnerabilità che io posson colmare soltanto se resto in relazione con qualcuno. Come dice il DSM-5: quando termina una relazione intima cerca con urgenza un'altra relazione come fonte di accudimento e di supporto. In questo caso il disturbo va ad instaurarsi in un soggetto profondamente vulnerabile sul piano delle relazioni d’attaccamento. DISTURBO OSSESSIVO COMPULSIVO DI PERSONALITÀ (ho tre figlie femmine: costanza regola e disciplina) Il disturbo ossessivo di personalità tende ad essere caratterizzato dagli stessi tratti che abbiamo visto nel disturbo ossessivo compulsivo, cioè il fatto che c’è da un lato la presenza di ossessioni e quindi pensieri ricorrenti, automatici, inconsapevoli che ti spingono a mettere in atto delle compulsioni per abbassare l’ansia. Quando il disturbo ossessivo compulsivo tende a radicarsi sempre di più, io applico queste stesse ossessioni, queste stesse compulsioni anche sul piano delle relazioni con il mondo esterno e con gli altri, in quel caso si parla di disturbo ossessivo di personalità dove appunto ciò che gli contraddistingue è che ci sono delle rigidità a livello cognitivo che portano la persona a volere il controllo di tutto e a mantenere un certo ordine; se le cose non vengono fatte in quel preciso ordine scatta l’ansia. Hanno il bisogno di mantenere le cose sotto controllo e sotto un ordine che la loro stessa mente detta, che è un ordine disfunzionale e disadattivo perché il mondo esterno non lo posso controllare. Ciò che lo caratterizza è una sorta di pensiero magico molto forte e molto radicato. La fusione tra pensiero e azione e ciò che caratterizza sia il pensiero ossessivo compulsivo sia il disturbo ossessivo di personalità, perché quel tratto di ossessività e compulsività è così radicato da diventare un tratto costitutivo della persona che si va a radicare nei diversi contesti interpersonali. IL PAZIENTE OSPEDALIZZATO Descrive come rapportarsi al paziente che entra in ospedale. L’ospedale è per sua natura un ambiente confinato e dedicato alla cura delle persone malate, ma allo stesso tempo, la malattia è un imprevisto; quindi, per sua natura stressante; l’ingresso in ospedale comporta uno squilibrio psicofisico e organizzativo, sia nel paziente, sia per l’intera famiglia di riferimento. L’ospedalizzazione, in sé, rappresenti un evento di vita particolarmente stressante per la persona, che noi siamo chiamati a ridurre lo stress il più possibile. “Le emozioni che i pazienti provano sono comprensibili, tenendo conto che all’ingresso la persona diventa un , in un ordine sociale nuovo e molto differente; lui o lei è il contenitore passivo di procedure diagnostiche, terapeutiche e di assistenza infermieristica, mentre i loro simboli di identità personale, come i vestiti, vengono rimossi e la loro privacy violata” (Gammon, 1998) I pazienti smettono di essere persone per diventare “pazienti”, dove le abitudini, in un ambiente del tutto nuovo, vengono stravolte, non si è più autonomi come lo si era prima. L’ospedalizzazione, quindi, può essere vissuta, come una sensazione di minaccia e frustrazione. Imposizione di abitudini e orari nuovi Limitazione dello spazio e dell’autonomia Difficoltà di comprensione del gergo tecnico spesso usato dal personale sanitario La necessità di affrontare procedure diagnostiche e terapeutiche invasive o anche dolorose Il mancato rispetto del pudore e della propria dignità Dall’altro lato, c’è anche il disagio vissuto dai familiari, perché: Subentra la preoccupazione per le condizioni di salute del proprio congiunto Preoccupazione per la sospensione delle sue normali attività quotidiane Preoccupazione rispetto alle eventuali conseguenze a cui la condizione patologica porterà REAZIONI EMOTIVE ALL’OSPEDALIZZAZIONE ANSIA: anticipazione di una minaccia futura; insonnia; facile irritabilità, difficoltà nell’affidarsi alle cure del personale sanitario; in un ambiente del tutto nuovo non si sa in cosa si va incontro. AGGRESSIVITA: conseguente risposta all’ansia e alla paura; nasce dalla mancata accettazione della propria condizione e dalla scarsa fiducia rispetto all’assistenza ricevuta. REGRESSIONE: vissuto di dipendenza del paziente nella relazione di cura con il personale sanitario; passività dipendenza; il paziente avverte la perdita della propria autonomia. DEPRESSIONE: legata alla perdita della salute, dell’immagine invulnerabile e positiva di sé; necessario promuoverne il superamento con atteggiamento di comprensione e condivisione; il rischio è che la depressione può portare ad una sensazione di isolamento ISOLAMENTO: l’ospedalizzazione conduce a una sensazione di isolamento rispetto alle proprie tipiche reti relazionali; la persona si chiude nei confronti del personale; il personale infermieristico e sanitario deve promuovere l’ascolto, comprensione del vissuto del paziente e creare una relazione di fiducia. Ciò che caratterizza l’ospedalizzazione è anche questo, cioè il fatto che una persona bisognosa di cure, può correre il rischio di vivere anche un vissuto di dipendenza nei confronti del personale; al contrario il paziente può dimostrarsi: Passivo Dipendente Anche se un margine di autonomie le ha conservate, cercherà in qualche modo di affidarsi del tutto al personale, piuttosto che prendersi lui l’impegno di dedicarsi a quelle mansioni tipiche di vita quotidiana, che invece è capace di svolgere; regredire è uno stato di dipendenza. Cercare di attivare nel paziente, un atteggiamento di accettazione, anche se complicato. IL NUOVO APPROCCIO VERSO IL PAZIENTE Prospettiva orientata verso la salute e i bisogni della persona. Maggiore attenzione alla dimensione psicologica, sociale e spirituale dei pazienti Relazione incentrata sulla persona: non solo bisogni fisici, ma anche esigenze di salute psicologica e sociale Maggiore attenzione anche alla progettazione degli ambienti ospedaliero, importante salvaguardare privacy, autonomia personale e promuovere l’informazione Attenzione all’ambiente ospedaliero come fattore di stimolo nel ripristino della salute Per salute si intende quella fisica, psicologica e sociale; dobbiamo promuovere n benessere psicologico, adattamento sociale e funzionamento biologico. Molto spesso negli ambienti ospedalieri, non vengono presi in considerazione delle variabili, molto spesso il paziente si ritrova a ricevere poca privacy, poca autonomia, o addirittura le informazioni vengono divulgate in presenza di altri pazienti; questa violazione, in persone vulnerabili dal punto di vista psicologico ed emotivo, tenderà a far pesare di più l’ospedalizzazione. Dobbiamo far attenzione anche all’ambiente, anche le variabili aziendali giocano un ruolo fondamentale sia nel ripristino della salute ( nella capacità di aiutare il paziente a vedere lo stato di malattia in modo più adattivo), dall’altro lato aiutano il paziente ad affrontare lo stato di malattia al meglio, con più determinazione nel fare ciò che è chiomato a fare. BISOGNI PSICOLOGICI DEI PAZIENTI Le preoccupazioni più frequenti riguardano (Yen,2002): La condizione fisica Rapidità e efficienza dell’assistenza infermieristica Responsabilità e attitudine del personale sanitario a prendersi cura di loro Preparazione dei cibi Ambiente e spese mediche Il benessere psicologico è correlato alla degenza; in Germania, pazienti degenti in cardiologia con ansia presentavano una degenza più lunga mentre la depressione ha rappresentato un fattore di rischio maggiore di morte intraospedaliera. (Herrmann, 1999) Studi effettuati in vari reparti, che hanno valutato come il benessere psicologico potesse influire sulla salute fisica dei pazienti. REPARTO DI CARDIOLOGIA: possibile notare come i pazienti supportati dal punto di vista psicologico e sociale mostravano livelli più bassi di depressione, anche nel follow up; si è dimostrato come, se non si soddisfacevano i bisogni legati alla necessità di informazione del supporto psicologico dei pazienti, i pazienti riuscivano ad affrontare la malattia in maniera più negativa (Barefoot et al, 2003) REPARTO DI GERIATRIA: profilo complessivo di rischio più elevato; quadro clinico caratterizzato da deficit cognitivi e malattie somatiche spesso accompagnate da sintomi depressivi; obiettivo è il bisogno di identificare l’eventuale presenza di tali sintomi così da fornire strategie terapeutiche più efficaci e formularne una prognosi. Il personale infermieristico deve creare un ambiente compassionevole, per capire tale termine, lo capiamo meglio introducendo il temine inglese “compassion”; molto spesso nella lingua italiana per una sorta di errore interpretativo, confondiamo la compassione con la pietà. La compassione è il fatto che “io ci sono” per cercare di accompagnare il paziente durante la sua esperienza. (Marangoni, 2004) REPARTO DI MALATTIE EFFETTIVE: fattore di rischio per l’equilibrio psicofisico rappresentato dalla necessità dell’isolamento: livelli di depressione e ansia significativamente maggiori, minore autostima e senso di controllo (Gammon, 19989), si ha una compromissione del benessere psicologico e strategie di coping disadattive. REPARTO DI TERAPIA INTENSIVA: il personale infermieristico deve creare un ambiente compassionevole (Nussbaum, 2003) Obiettivo: è rendere l’esperienza della morte meno dura possibile. RAPPORTO TRA PERSONALE SANITARIO E PAZIENTE Il personale sanitario deve essere più attento agli aspetti psicologici dei pazienti; il 95% dei sanitari sostenevano che l’attenzione e la cura verso i bisogni emotivi dei pazienti costituiva un momento essenziale nel loro lavoro; ampio ruolo delle infermiere nella gestione delle difficoltà emotive e sociali dei degenti. Nel lavoro dell’infermiere il benessere emotivo della persona ricoverata è considerato un aspetto essenziale; l’infermiere è chiamato a svolgere il proprio lavoro, ma in coordinazione con il lavoro degli altri, nessuno di noi opera da solo. Il lavoro di equipe e condivisione con i colleghi è importante e fondamentale. Importante è la cooperazione tra staff infermieristico e medici: 1. Migliorare significativamente le condizioni cliniche del malato 2. Interdisciplinare il lavoro di squadra che aumenta la soddisfazione dei malati e diminuisce i costi sanitari istituzionali Occorre promuovere: Concordanza rispetto ai ruoli e alle aspettative relative ai comportamenti di cura messi in atto Capacità comunicative adeguate, comunicazione e collaborazione necessarie Attiva partecipazioni infermieristica al lavoro dei medici e viceversa Rispetto reciproco Pari dignità a medico e infermiere PSICOLOGIA CLINICA 22/05/2024 IL PAZIENTE OSPEDALIZZATO L’ingresso in ospedale comporta uno squilibrio psicofisico e organizzativo sia nel paziente, sia per l’intera famiglia di riferimento → necessità di assisterlo, di rendergli la permanenza meno disagevole. L’adattamento alla nuova situazione implica un cambiamento a livello comportamentale, relazionale ed emotivo →attenzione del paziente centrata sul far fronte ai disagi della patologia. In Italia l’80% delle persone non istituzionalizzate over 65 presenta una malattia cronica e circa il 50% presenta compromissioni funzionali, cognitive e limiti nelle attività quotidiane. La progressione della malattia è accompagnata da una sensazione di perdita della salute e dell’integrità fisica; della normalità e della libertà; dell’autostima e di identità personale; della capacità di gestione del proprio corpo; della possibilità di poter decidere in modo autonomo del proprio futuro. Rolland (1987) ha identificato tre specifiche fasi che il malato cronico attraversa dalla comparsa dei primi sintomi fino al momento della morte: 1. La crisi → il paziente comincia a convivere con i sintomi correlati alla patologia, con cui è destinato a conviverci. 2. La fase «cronica» → il paziente si sforza di mantenere un normale stile di vita, nonostante la malattia e i vissuti di incertezza. 3. La fase «terminale» → vissuti di dolore e di morte. L’obiettivo del sistema sanitario è rallentare il deterioramento e prevenire le eventuali complicanze di salute. LE CRITICHE CHE SI POSSONO MUOVERE AL SISTEMA SANITARIO: -la struttura ospedaliera appare spesso inadeguata rispetto al riconoscimento e alla gestione dei disturbi psicologici correlati alla malattia -prevale l’assenza di rispetto della privacy -la comunicazione operatori sanitari-paziente-famiglia appare carente (la comunicazione di tipo informativo deve essere “curata” nel dettaglio) -vige una mancata attenzione ai bisogni psicologici del paziente e della sua famiglia nell'affrontare la malattia e il ricovero LA MALATTIA CRONICA Nel contesto ospedaliero il focus della cura del paziente con malattia cronica è l’incoraggiamento alla gestione autonoma del suo trattamento, cioè coinvolgere il paziente in tutti gli aspetti del suo percorso terapeutico. Infatti «L'educazione terapeutica consiste nell'aiutare il paziente e la sua famiglia a comprendere la malattia e il trattamento, a collaborare alle cure, a farsi carico del proprio stato di salute e a conservare e migliorare la propria qualità di vita» (WHO; 1998). Ciò è possibile attraverso un processo interattivo incentrato sul paziente, stabilendo obiettivi e applicando tecniche di insegnamento e di valutazione che consentano al paziente di approfondire la conoscenza della malattia e del proprio stato di salute (sapere = conoscenza), di gestire con competenza le terapie (saper fare =autogestione) e di poter prevenire le possibili complicanze (saper essere = comportamenti). Obiettivo dell'intervento educativo è il trasferimento delle competenze terapeutiche dal curante al paziente, favorendo responsabilizzazione, autogestione e collaborazione attiva ATTRAVERSO Attenzione al linguaggio utilizzato (ancora troppo tecnico in ambito medico e sanitario). Ottica di prevenzione e promozione della salute. Cura della relazione e attenzione alla comunicazione con il paziente (formazione psicologica degli operatori necessaria). Promozione del ruolo attivo del paziente nel processo decisionale. Lavoro di équipe, importante da promuovere per raggiungere un qualsiasi obiettivo che si pone col paziente. L’educazione terapeutica promuove il corso di educazione all'autogestione, infatti i pazienti, pur soffrendo di diverse patologie, presentano difficoltà simili nella gestione della vita quotidiana, per poter apprendere le strategie più efficaci per gestire la malattia e tutto ciò che essa implica e poter acquisire conoscenze e abilità specifiche, così da facilitare la percezione soggettiva di un migliore stato di benessere e ridurre l'utilizzo delle risorse sanitarie, permettendo al paziente di sentirsi più motivato nell’eseguire il progetto terapeutico. I benefici arrecati sono: Incrementare nei pazienti comportamenti adattivi volti al mantenimento dello stato di salute. Promuovere positiva sensazione di benessere a livello psicologico e fisico. Maggiore motivazione nei pazienti nell'incrementare la propria vita sociale e relazionale. Riduzione del disagio, dell'affaticamento e del distress, minore frequenza dei ricoveri e del numero dei giorni di ospedalizzazione. La famiglia è fondamentale per il paziente; il compito del personale sanitario è quindi rendere il paziente partecipe del suo percosso terapeutico e fornire supporto sociale e psicologico, presentando sensibilità funzionale e relazione, non solo verso il paziente, ma anche verso la famiglia. IL PAZIENTE CHIRURGICO Il paziente chirurgico è un paziente che deve subire un intervento, richiedendo naturalmente il ricovero ospedaliero, ciò porta a delle reazioni emotive: PAURA (anestesia, intervento, post operatorio, dolore). Queste reazioni sono influenzate da fattori individuali: età, variabili psicosociali, capacità cognitive, ansia di tratto del paziente. IL RUOLO DEL PERSONALE SANITARIO→ 1. Informazione: informare/sostenere il paziente su ciò che verrà fatto circa le differen