Riassunti Libri Jole Orsenigo 2023-24 PDF

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Università degli Studi di Milano Bicocca

2023

Jole Orsenigo

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pedagogia riassunti libri università studi

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Questo documento fornisce riassunti di libri di pedagogia dell'anno accademico 2023-2024, presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca (UNIMIB). I libri sono di Jole Orsenigo. Il riassunto è stato postato su Docsity.

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Riassunti libri jole orsenigo 2023-24 Pedagogia Università degli Studi di Milano-Bicocca (UNIMIB) 26 pag. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/...

Riassunti libri jole orsenigo 2023-24 Pedagogia Università degli Studi di Milano-Bicocca (UNIMIB) 26 pag. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) Sommario L’ora di lezione - Massimo Recalcati.................................................................................................................................1 Cambiare la scuola – Riccardo Massa..............................................................................................................................7 Esperienza clinica – Jole Orsenigo.................................................................................................................................22 L’ora di lezione - Massimo Recalcati Introduzione Oggi, la nostra Scuola sembra rispecchiarsi in un volto smarrito a causa della condizione in cui si trova, mentre tempi addietro, l’insegnate suscitava timore appena varcava la soglia e la sua parola era data per buona a prescindere dai contenuti trasmessi perché sostenuta dalla potenza della tradizione. Oggi non è più così: c’è un indebolimento generalizzato dell’autorità, il silenzio va guadagnato, gli insegnanti fanno i conti con la solitudine e la loro funzione sembra essere solo la trasmissione di informazioni: questa pratica dell’insegnamento può ridursi a questo o può esserci un rapporto erotico tra sapere e soggetto? Per scegliere questa via, l’insegnante deve preservare l’impossibile, caratteristica da cui il sapere è attraversato. Non si può sapere tutto il sapere perché per sua struttura è bucato, non-tutto, impossibile. Di qui, l’importanza dello stile, ossia il rapporto che l’insegnante sa stabilire con ciò che insegna. La tesi principale di Recalcati è che ciò che rimane della scuola è la funzione insostituibile dell’insegnante, cioè quella di rendere possibile un incontro con la dimensione erotica del sapere, aprendo alla possibilità ad ore di lezione che non siano semplici automatismi senza imprevisti o sorprese, ma vere e proprie scoperte di nuovi mondi che talvolta possono cambiare la vita. Capitolo 1 – la Scuola smarrita Il nostro tempo è caratterizzato da una crisi del discorso educativo. Dopo le proteste del ’68 e del ’77, la Scuola non è più un dispositivo disciplinare atto alla gerarchizzazione e al controllo, ma semmai è diventata un dispositivo dalla struttura molle, “indisciplinare”, capace solo di autorizzare il rigetto per le norme: oggi non appare più decisiva nella formazione degli individui; è quasi in via d’estinzione. Gli insegnati sono oggi screditati, posti al margine della società e senza alcun tipo di riconoscimento economico o culturale nonostante il compito a loro affidato e la scuola ha sempre più le fattezze di un individuo depresso. La crisi del discorso educativo è soprattutto crisi del processo di educazione, cioè il processo per cui ognuno può diventare un soggetto. L’educazione è sempre più informale e in balia del capitalismo e della pedagogia neoliberale, che la rende un’azienda che esalta la produzione di competenze e il fare, la performance cognitiva e relega in un angolo tutto il sapere non legato all’economia, quindi anche il fallimento, il tempo morto o la pausa, cuori di ogni autentico processo formativo. Viviamo sotto una sorte di totalitarismo che sfrutta la funzione ipnotica esercitata dagli oggetti di godimento e abbatte il pensiero critico; gli insegnanti devono assolvere ad un compito impossibile; la Scuola è svuotata e caratterizzata da iperattivismo e mancante del modello riguardante il rapporto del sapere con la vita. L’apprendimento è una gara che non lascia tempo alla riflessione ma è concepito utilitaristicamente e scientista, ideologia caratterizzata, come la psicosi, dalla “forclusione”: qualcosa, in entrambe, è tagliato fuori. Nello scientismo, il sapere dell’Altro è anonimo e il soggetto è un semplice vaso vuoto da riempire; anche nella psicosi non c’è spazio per le singolarità: l’allievo non può prendere parola per manifestarsi in quanto tale, ma viene verificata passivamente la sua assimilazione delle informazioni e lui stesso cancellato. Va molto di moda l’idea che non ci possano essere limiti, che si possa godere al di là di ogni Legge, quasi tutto fosse privo di senso; invece, è proprio l’impatto con il limite che, sebbene traumatico, è positivo. È diffusa l’idea fortemente antieducativa che tutto sia possibile, contro cui la Scuola deve tener ferma la centralità del discorso educativo attribuendo la giusta dignità all’impossibile. Freud definisce l’educare, il Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) governare e lo psicanalizzare come tre mestieri impossibili, cioè strettamente legati al reale (Lacan reale = per definizione impossibile): l’impossibile è un nome dell’incontro traumatico del limite, reso possibile dall’esperienza del linguaggio, il quale scaturisce la possibilità di trovare altri orizzonti: per comprendere meglio, viene fatto l’esempio del complesso di Edipo in cui la Legge interviene tra gli oggetti familiari e, nel momento in cui il soggetto si scontra con essa, la pulsione dovrà navigare all’esterno della famiglia per trovare forme di soddisfazione non incestuose. In questo senso l’educazione non è un è repressione delle pulsioni, ma agisce come una nuova canalizzazione che non si accontenta più del circuito del familiare che già conosce, ma esige altre aperture. Com’è stata possibile questa crisi? Dobbiamo riprendere il concetto di “complesso”, termine con cui si intende un organizzatore inconscio che dirige la vita di soggetti, istituzioni e gruppi. La Scuola ne ha 3 e possono essere letti diacronicamente (prima Scuola-Edipo; poi Scuola-Narciso…) oppure sincronicamente (compresenza di tutti e tre). 1) LA SCUOLA-EDIPO (fino alle rivoluzioni del ’68 e ’77)  Basata sulla potenza della tradizione, sull’autorità del padre e sulla fedeltà al passato; il sapere viene trasmesso esprime cieca fedeltà all’autorità del passato; il modello pedagogico correttivo-repressivo; forte rapporto gerarchico alunno- insegnante; setting fortemente istituzionalizzato, così potente da confondersi con quello disciplinare. Secondo Freud, anche nel rapporto alunno-insegnante c’è uno sfondo edipico, dato dal trasferimento della stessa forma di soggezione idealizzante che caratterizza il rapporto bambino-genitore. Qui i genitori sono alleati degli insegnanti; la formazione è concepita come un raddrizzamento morale e autoritario delle storture individuali; pensiero critico visto come insubordinazione; il sapere è trasmesso senza soggettività. Genera, da un lato, obbedienza senza critica; dall’altro crea conflitto tra nuova e vecchia generazione, espresso poi nelle contestazioni del ’68 e del ’77: figli contro genitori e alunni contro insegnanti. Il conflitto però, può anche essere generativo perché di esso si nutre ogni processo di formazione, l’errore è stato nell’interpretazione della Legge solo come ostacolo al desiderio, senza rendersi conto che senza il desiderio la Legge diviene sterile, ma senza di essa, il desiderio si trasforma in caos. 2) LA SCUOLA-NARCISO (oggi)  Il mito di Narciso racconta della perdizione nella propria immagine, della sconnessione tra l’Uno e l’Altro, del mondo ridotto a immagine del proprio Io. C’è un passaggio dalla conflittualità della Scuola-Edipo ad una specularità data dalla sparizione della differenziazione dei ruoli: i genitori si sono alleati con i figli, lasciando soli gli insegnanti a svolgere la funzione educativa per abbattere tutti gli ostacoli che si presentano sulle strade dei loro figli per garantire loro successi senza traumi, preparandoli ad una sorta di gara dove il fallimento e il pensiero critico non sono tollerati. Anche qui c’è l’ombra dell’omologazione e della concezione della didattica paragonata ad un’azienda; non c’è un conflitto generazionale, anzi, davanti ai brutti voti di un ragazzo, sono i genitori a protestare smussando gli angoli della differenza generazionale in nome di un’eguaglianza che abolisce la responsabilità degli adulti di fare i genitori. È favorita, inoltre, un’acquisizione passiva e senza sforzo, proprio grazie ai dispositivi di cui oggi possiamo fare uso quando vogliamo arrivando subito a conoscere le risposte alle nostre domande, cosa che dà l’illusione di possedere un sapere illimitato. Ciò che desta più preoccupazione è la crisi della parola associata a quella della Scuola: è paradossale come, nonostante la parola circoli ovunque ad una velocità estrema, venga meno quella che comporta l’assunzione di conseguenze in seguito al dire; le parole oggi sono “solo parole”. Il modello educativo è ipercognitivista, cioè quello del riempimento delle teste, della computerizzazione e della valutazione fatta plagio, che non lascia spazio alla soggettività ma che premia coloro che ripetono a memoria una lezione. Anche gli insegnanti tendono a confondersi coi loro allievi e, in più, non viene riconosciuta l’importanza collettiva di ciò che fanno, anche perché tanto è sufficiente utilizzare la “via breve”, cliccare su Google, permettendo così anche una perdita di identità da parte loro. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) 3) LA SCUOLA-TELEMACO (quella che si spera sarà la scuola futura)  vuole restituire valore alle differenze generazionali rifiutandosi di interpretarle solo in termini antagonistici poiché sostiene che la trasmissione non sia possibile se non con l’impatto con l’Altro. Telemaco riconosce il debito simbolico, a differenza di Edipo, che ha con il padre, di cui attende il ritorno; tuttavia, non è solo una figura malinconica, ma si mette lui stesso in gioco confrontandosi con l’assenza del padre, compiendo un viaggio sulle sue orme. Ogni ricerca, infatti, a differenza di quella senza sforzo della Scuola-Narciso, si rende possibile grazie a quelle di coloro che ci hanno preceduti. Telemaco ricostituisce anche la figura dell’insegnante attraverso una parola che testimonia di sapere il sapere e che esso si può amare trasformandolo in un corpo erotico. L’insegnante testimone è quello che sa aprire mondi nuovi attraverso la parola erotica e che sostiene la promessa della sublimazione, cioè quella di abbandonare il godimento fine a sé stesso per trovarne uno che renda beata, ricca e soddisfacente la vita. Capitolo 2- Il gesto di Socrate Ciò che resta della Scuola non è la possibilità di trasformare gli oggetti del sapere in oggetti erotici, cioè capaci di mobilitare il desiderio di sapere? Per comprendere questo, Recalcati usa un esempio tratto dal Simposio di Platone: Socrate deve recarsi ad un banchetto a casa di Agatone, ma rimane fermo a pensare e quindi arriva in ritardo. Al suo arrivo, il simposiarca gli chiede di sedersi vicino a lui, illudendosi che, al solo contatto con il suo corpo, Socrate possa trasmettergli il sapere appena appreso dalla riflessione come se dovesse riempire un vaso vuoto, che invece apprende passivamente, come l’erastes, l’amante, che cerca ciò che non ha nell’oggetto amato (eromenos). L’illusione viene disvelata attraverso il gesto di sottrazione di Socrate, che si rifiuta di incarnare l’oggetto amato. Quello che Agatone non capisce, è che si sta auto precludendo l’esperienza di affrontare il limite del sapere: esso, infatti, è abitato da un vuoto, indice del fatto che non si può sapere tutto e che il maestro non è colui che ha le risposte a tutto, ma è colui che preserva quel vuoto. Il sapere non si assorbe passivamente come se venisse travasato da un vaso ad un altro, ma quello che Socrate cerca di far capire è che ognuno deve trovare il proprio sapere attraverso un percorso di ricerca che si crea camminando, non sulle orme di qualcuno. Il maestro deve emergere anch’esso come amante del sapere e non come detentore della verità; non come colui che deve riempire un vuoto, ma che lo deve aprire. Come si produce il vuoto? Recalcati fa l’esempio di un allievo pittore inibito davanti alla tela vuota, che non sa da dove iniziare perché essa porta su di sé “il peso di ieri”, che lo imprigiona; quindi, più che vuota è troppo piena di tutto ciò che è già stato fatto e visto. L’insegnante, allora, lancia una pennellata di colore sulla tela svuotando la tela di questa pienezza, permettendo il processo creativo affinché qualcosa di nuovo venga alla luce senza condizionamenti e slegato dalla tradizione. La posizione di Socrate è atopica, strana e sovversiva: è proprio quando la parola diventa sovversiva che ci rendiamo conto di essere di fronte ad un insegnamento, che, se degno di questo nome sa animare il desiderio di sapere, generando quel trasporto erotico tipico del transfer, che inizialmente è rivolto, come per Agatone, verso il maestro, il quale dev’essere abile a dislocarlo verso il sapere, trasformando l’allievo da eromenos a erastes, secondo Lacan al centro della metafora dell’amore. La metafora dell’amore è proprio la sostituzione dell’amato con l’amante, passaggio che rende l’allievo oggetto attivo e non come colui su cui il sapere del maestro si applica, ma come colui che ricerca attivamente nell’Altro il sapere che gli manca; l’allievo, all’inizio, chiede aiuto ponendosi come un oggetto passivo che attende il travaso del sapere, a questo punto, la metafora dell’amore mette in moto il transfer, permettendo all’allievo/paziente di passare da oggetto della cura a soggetto della cura, ricercando lui stesso il sapere, da cui si sente trasportato e rapito. Esistono due volti del transfer: uno è quello regressivo, dove il soggetto si identifica con il capo, che lo mantiene in una posizione di assoggettamento, annullando il suo pensiero critico.; l’altro volto è quello di un’apertura al nuovo, caratteristica presente in ogni processo formativo e di trasmissione del sapere riuscita: il transfer diventa qui esperienza di un nuovo amore; è un movimento che non introduce il sapere Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) nel soggetto, ma esso viene mosso verso il sapere che, se può dire la verità su un desiderio di sapere, allora non può essere concepito come un oggetto che può essere contenuto, ma come una faglia: custodire il vuoto come condizione prima per rendere possibile la trasmissione del sapere, come Socrate, vuoto che è un punto di non-sapere non esterno ad esso, ma è una mancanza che nessun sapere potrebbe mai colmare. Secondo Lacan, poi, il dono più grande del maestro non è il sapere che possiede, ma quello di saper “tacere l’amore”, non vincolando l’allievo all’obbedienza, lasciandolo libero di andarsene e di separarsi da lui. Se questo non dovesse avvenire, il rischio che il maestro esiga che l’allievo segua i suoi passi e che diventi ciò che lui si attende sarebbe alto, invece solo il saper tacere l’amore può svuotare dalle attese e permettere al soggetto di incamminarsi per la sua strada, offrendogli un ascolto libero da qualsiasi finalità, senza giudizi. Cosa rende possibile questo ascolto? È proprio il “tacere l’amore”, che non sta a significare che non ci debba essere amore nell’ascolto, ma questo tacere salva lo psicanalista dall’idealizzazione ipnotica, portandolo ad essere più efficace nel suo lavoro; è un silenzio che rende possibile il transfer e quindi la spinta che anima il desiderio di un nuovo sapere. Capitolo 3 – La Legge della Scuola L’educazione come accrescimento è un falso mito del nostro tempo corrispondente al modello economico a cui esso si rifà, cioè quello dell’espansione di sé come unica verità. “Educere” ha due etimologie: la prima riguarda il condurre dietro di sé, condurre per la via giusta, da cui deriva un’idea di educazione come un percorso guidato che porta alla luce potenzialità già presenti nel soggetto; la seconda mette invece in risalto, come fece Massa, l’esperienza dell’essere trascinati, sospinti condotti oltre fino all’abbandono del sentiero già tracciato: in questo punto convergono l’educazione e la seduzione nel significato di portare in disparte, condurre via, valorizzato dalla presenza del transfer non infantilizzante che mette in moto il desiderio. Questo movimento, però, non deve sopprimere del tutto il bisogno umano di identità, di casa; si tratta di dettare i tempi di apertura verso il nuovo e di chiusura all’interno del processo di formazione. La conoscenza poi non è solo assimilazione, ma anche ricordo, elemento che tuttavia non esaurisce il movimento della conoscenza, anzi, è giusto che il processo implichi la memoria ma al solo fine di sospenderla per portare a qualcosa di nuovo, che porti a rivolgersi la domanda “che cos’hanno a che fare con la mia vita le cose che credo di conoscere obiettivamente?” e grazie anche ad una dose necessaria di oblio. Quindi: 1. Non c’è didattica che prescinda dalla memoria dell’Altro; 2. Ogni didattica implica una sconnessione dall’Altro. Non esiste l’autoformazione poiché l’educazione può avvenire solo grazie all’esistenza di un Altro (maestro, professore…), questo significa che, per smettere di essere allievi, bisogna riconoscere di esserlo stati. È stato l’errore in cui è incappata la rivoluzione del ’68: liberarsi dei padri non significa farne a meno, ma sapere come servirsene. La Scuola in questo senso è un antidoto al narcisismo dell’autoformazione: anche i maestri, se sanno innescare il transfer, sono degni eredi di un Altro. Il desiderio di spere è la condizione di ogni possibile sapere. L’insegnate, tuttavia, è sempre più solo a causa della mancanza dell’alleanza tra loro e i genitori, cosa che un tempo non era in discussione: ma allora come fa l’insegnante a continuare ad amare ciò che fa? La Scuola in quanto “dell’obbligo” uccide il desiderio, nel senso in cui i professori, imponendo costantemente agli allievi di studiare, innescano una sorta di anoressia mentale. Come si può infatti obbligare a desiderio? Come si fa a far sorgere il desiderio di sapere quando esso dev’essere obbligatorio? Come intrecciare il desiderio alla Legge? La Scuola dell’obbligo, che non va confusa con la repressività, impone un trauma, un taglio positivo, cioè, separa il soggetto dalla cultura e dalla lingua della sua famiglia; è diventata, da dispositivo disciplinare, un’istituzione di resistenza all’indisciplina tipica dei nostri tempi, i quali sostengono comandamenti di attaccamento ad oggetti inumani come alcol e droghe: perché esista formazione è necessario lo svuotamento traumatico e preliminare di questa presenza adesiva dall’oggetto. La Legge deve saper promettere una soddisfazione, data dalla via della parola, diversa da quella garantita da questo stile di vita; un altro stile di godimento diverso da quello vigente oggi, che è godimento per la Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) lettura, per la cultura. Affinché il desiderio umano si realizzi, abbiamo bisogno di qualcuno che incarni la Legge della parola. Gli allievi oggi coltivano il sogno di indipendenza, ma la cultura capitalista di oggi non li aiuta prolungando sempre di più una forma di dipendenza sintomatica, convincendoli che esistano vie brevi per realizzarsi e ottenere successo, frutto di un culto del godimento immediato della Cosa, che trascura la “via lunga” del soddisfacimento che per Freud trova il suo modello nella sublimazione. Da una parte c’è quindi il modello della “via breve”, che esclude il passaggio obbligato attraverso la perdita del godimento che l’Altro iscrive nel cuore del soggetto; l’altro è quello sublimatorio della “via lunga” che impone la rinuncia da parte della pulsione del suo soddisfacimento immediato, per raggiungerne un altro che non dissipa la vita, ma la rende generativa, modello apparentemente oggi collassato. Come si può, in questo clima in cui gli oggetti tecnologici riempiono il vuoto, mantenere vivo il desiderio se esso si nutre principalmente dell’esperienza dell’assenza? Come restituirle la giusta centralità, essendo questa la principale missione di ogni figura educativa? Freud è pessimista in proposito, ma ci dà anche un’altra notizia: i migliori educatori sono quelli coscienti della loro insufficienza, che non si ritengono modelli ideali. Chi si pone la finalità di formare l’allievo secondo un rigido modello procede lungo un sentiero pericoloso: il soggetto non è nulla senza l’Altro, ma non troverà in quest’ultimo un rappresentante della verità del suo desiderio; infatti, dire che la Scuola esiste come istituzione che risponde a leggi a cui gli allievi devono obbedire, significa che essa non lascia possibilità di autoformazione. Invece, ogni processo di formazione inizia con uno svezzamento dalla posizione centrale narcisisticamente assunta dall’Io, da tutto ciò che appartiene alla famiglia, linguaggio compreso (lalalingua), che tuttavia non va perduto, ma rimane insito nel soggetto, il quale, attraverso il Terzo simbolico della Scuola, che opererà questo processo di dematernalizzazione della lingua, verrà esposto ad un differente linguaggio, tuttavia, la lalalingua, appunto, rimane come punto di partenza delle storture di ognuno, che poi vanno curate e preservate, non raddrizzate. Capitolo 4 – L’ora di lezione + Epilogo – La bellezza della stortura L’incontro con un insegnante, con un libro, con la cultura, se autentico, porta a vedere il mondo in modo diverso nonostante esso non sia cambiato: questo è l’effetto di una testimonianza che sa incarnarsi. Istruzione e educazione non sono realtà che si oppongono, anzi, non ci sarebbe istruzione senza effetti educativi e nemmeno un’educazione senza effetti di trasmissione dell’istruzione. L’essenziale dell’insegnamento, come sappiamo, è quello di portare avanti un’erotica dell’insegnamento, che mostra come l’oggetto del sapere possa diventare essenziale nel processo educativo. Sapere, infatti, non significa solo accrescere il proprio livello di conoscenze, ma aprirsi all’apertura del desiderio, aprirsi a nuovi mondi: ecco perché l’erotica non è sconnessa alla didattica; infatti, essa è sempre attraversata da un corpo, da una pulsione, che ha come scopo la trasformazione degli oggetti del sapere in corpi erotici. Questo è un evento che irrompe sulla scena della claustrofilia familiare e apre il soggetto a mondi nuovi. Questo è un primo tipo di sublimazione, dove, appunto, sono i libri a diventare corpi erotici, ma ne esiste un altro dove, invece, accade l’opposto, soprattutto nel periodo adolescenziale. È il momento in cui il corpo non è semplice strumento di piacere sessuale, ma diventa un vero e proprio strumento da leggere. La possibilità di un corpo che diventa libro coincide con quella dell’amore, che è il nome più autentico dell’incontro, c’è del godimento ma non di tipo sessuale, poiché l’azione non avviene direttamente sul corpo, ma ciò che viene erotizzato è il sapere; il fatto di riuscire a mantenere vivi gli oggetti del sapere generando il trasporto amoroso ed erotico verso la cultura è già educare. In questo senso la Scuola, che eredita il linguaggio, che sa allargare gli orizzonti del mondo. Come? Attraverso l’amore con il quale l’insegnante investe il sapere che rende quel sapere degno dell’interesse dei suoi allievi, che apprendono quindi per contagio, per testimonianza. Gli insegnanti oggi sono oppressi e l’ora di lezione ha perso la sua centralità all’interno della Scuola schiacciata sotto il peso di una valutazione che guarda solo agli aspetti quantitativi e misurabili. Il modello scolastico diffuso oggi è quello performativo e della trasmissione delle competenze. L’allievo non è più una vite storta, ma una macchina che va riempita di files e che deve esprimere prestazioni adeguate. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) Ciò che resiste del mestiere dell’insegnante è la funzione della parola e, quindi, della scrittura che si fa testimonianza e che lega il senso alla vita. Qui si torna alla faglia che attraversa il sapere e che ritroviamo nel linguaggio: l’alfabeto è il codice che bisogna conoscere per parlare e con cui liberamente si possono formare infinite parole. Ecco, quindi, qual è il potere della letteratura della letteratura e, in generale, della parola: essa non è solo un mezzo per comunicare, ma noi viviamo, siamo fatti e respiriamo parole; esse hanno un corpo, perciò l’ora di lezione è un incontro con l’ossigeno vivo del sapere che si offre come evento, che apre mondi nuovi; con la parola che, come avviene negli incontri amorosi, è un incontro erotico. L’insegnate oggi sta quasi sostituendo lo psicologo, infatti capita di vedere alcuni maestri che tralasciano i programmi ministeriali e passano le lezioni a raccogliere le più svariate confessioni probabilmente per generare fiducia. Questo non è sbagliato, tuttavia la sua funzione non è quella e la fiducia che si deve generare nasce dalla parola dell’insegnate, percepita degna di rispetto solo se appassionata a ciò che insegna. Questa nuova ondata psicologista sembra essere fomentata dall’illusione di una vita senza sapere, contraria alla Scuola portatrice del modello informatico, che si nutre di un sapere senza vita. La scuola, quindi, è divisa in due: da una parte è il luogo dell’apertura di mondi nuovi, dall’altra di una chiusura del sapere. È proprio in questa divisione che si rivela il problema, e quindi il compito, che l’insegnante affronta ogni giorno: la didattica è vincolata dal ritorno dello Stesso, del ripetuto senza soggettivazione, come renderla quindi viva ogni volta? Tenendo sveglio il desiderio, che genera il transfer e l’innamoramento. Solo così una lezione, e un maestro, sono degni di tali nomi. È normale, tuttavia, che la Scuola produca un suo linguaggio, ma non lo è quando questo linguaggio diventa il solo possibile, quando diventa irrigidimento scolastico: come e quando rompere questo automaton? L’unica risposta è durante l’ora di lezione, la quale talvolta può cambiare la vita. Una lezione se c’è l’effetto-tyché, l’incontro inatteso con qualcosa che tocca, un incontro non prevedibile dagli schemi burocratici. Qui, il maestro non conduce solo su strade nuove, ma alimenta il desiderio del viaggio; la lezione diventa un incontro con altri mondi dove può esserci resistenza all’automaton e l’incarnazione dell’erotica del sapere. Secondo Pennac, ogni insegnante deve saper incarnare e tener viva una presenza una presenza per rendere presenti gli allievi all’ascolto. Al di là di ciò che dice, ciò che conta è da dove trae i suoi enunciati, poiché la forza di essi coincide con la sua presenza presente e solo con questa presenza sa convocare alla presenza gli allievi. Nonostante, poi, la lezione non tema l’eros, anzi, su nutra della sua potenza, sarebbe falso affermare che il rapporto allievo-maestro sia simmetrico, infatti la trasmissione del sapere è data da un processo di filiazione. Il desiderio del professore è quello di guidare le vite e le coscienze, non quello di educare o far imparare, piuttosto quello di insegnare senza un’intenzione di formare. Un elemento importante nel mestiere di insegnante lo gioca lo stile, ossia non solo ciò che il maestro dice ma come lo dice. Non per niente, gli insegnanti che ci ricordiamo sono quelli che hanno lasciato un’impronta dentro di noi, che ci hanno trasmesso l’amore per il sapere, senza il quale non si può sapere. Lo stile è il modo in cui un insegnante entra, egli stesso, in rapporto col sapere; è il modo di rendere il sapere vivo. L’elemento in cui esso si manifesta maggiormente è la voce, cioè ciò che dà spessore e corpo alla parola; non esce dal corpo ma è un corpo. Non è semplice ponte tra pensiero e parola, ma spesso la parola anticipa il pensiero, sa aprire mondi quando sceglie la via della parola e della Legge, la quale esclude la possibilità dell’esistenza di un solo popolo, di una sola lingua, di un solo mondo. Lo scopo dell’allievo deve essere quello di trovare un suo modo di trovare un suo metodo di enunciazione, non negando il transfer, ma servendosene. All’inizio è solo la caricatura del suo maestro, poi pian piano acquisirà il suo stile, che si porterà sempre delle tracce dello stile dei loro maestri, quindi non è mai puro. Ogni insegnante poi ha fatto l’esperienza di parlare ai muri, esperienza di solitudine. Questo avviene perché all’interno di ogni insegnamento c’è un’impossibilità, cioè quella della trasmissione integrale e trasparente del sapere: questo dice qualcosa di essenziale sulla postura del maestro, cioè che, se l’insegnare consiste nel lasciare un’impronta, è anche verso che essa non è dev’essere un calco, quindi deve lasciar spazio alla soggettivazione. Lacan descrive il parlare ai muri come la condizione di fondo di ogni insegnamento, in particolare della psicanalisi, che nonostante escluda la generalizzazione delle esperienze in concetti universali, insegna una verità radicale: per sapere un sapere Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) vivo, bisogna desiderarlo. Tuttavia, parlare ai muri significa che c’è qualcosa che sfugge alla parola: è la faglia che attraversa il sapere, la quale ci dice che il sapere non può sapere tutto, ha un limite, che è come un muro che ci separa dalla verità, una mancanza, ma non è solo barriera che separa, è anche terreno da cui sorge la parola. Un insegnamento dovrebbe proteggere ciò che non si può trasmettere. In ogni maestro qualcosa parla, per questo ricordiamo la voce dei maestri che abbiamo avuto, perché dà carne alla parola. I veri insegnanti sono coloro che hanno fatto nascere domande senza dare risposte precostruite; non è colui che sa, ma che sa portare il fuoco, colui che s coltivare la parola e non chi raddrizza la vite o riempie il cervello di files, ma che sa amare chi impara, ama la vite storta. Come si nota nell’esempio di Stoner di Williams, non è solo la vita dell’allievo che acquista senso, ma anche quella dell’insegnante. Come nell’opera, nel momento in cui Stoner apre il suo libro ed esso smette di essere suo, anche quotidianamente, in ogni atto che genera trasmissione, la parola che entra nella didattica si allontana da noi, si fa dono e, affinché questo sia possibile, ogni insegnante deve rinunciare al sapere già saputo rendendolo rinnovato. In questo modo, il maestro, mentre insegna, impara ridando vita a ciò che lo ha formato. Nessuno poi, può insegnare ad insegnare o ad apprendere, si sa solo che accade. Non si deve copiare i maestri per imparare, ma è utile fare con loro per poi trovare il proprio stile. Un insegnamento che poi vuole mantenersi fedele al suo compito sa evocare l’impossibile da trasmettere, impossibilità che verrà alla luce in modo diverso e saprà mettere in moto l’allievo. Come per quest’ultimo, anche l’esperienza dell’insegnamento è un mistero scaturito da un incontro con qualcosa che costringe a pensare. L’alfabeto poi è il primo passo che apre alla vita umana, che permette alla lingua paterna di sostituire la lalalingua, che tuttavia rimane insita in noi. Nonostante ciò, il linguaggio non è mai in grado di alfabetizzare integralmente la vita poiché esso è un dono che non pretende di governare il mistero della vita: viene dato dal maestro ma, per servirsene, bisogna metterci del proprio; il maestro accompagna, ma poi lascia andare affinché l’allievo inizi il suo cammino. Il maestro sa poi che è nella sospensione del sapere che si attiva la ricerca, tuttavia, essendo oggi il sapere apparentemente illimitato e a portata di mano, non genera una ricerca soggettiva, ma è disgiunto dalla verità ed è affiancato al culto della prestazione e dell’edonismo, poli in cui oggi la Scuola è smarrita. Un bravo insegnante è poi infine colui che non si vergogna dell’inciampo, anzi, lo utilizza per mostrare ai suoi allievi che la sua posizione non è esente da vacillamenti e che è proprio il fallimento a rendere possibile la ricerca di verità. L’inciampo è ciò che rende insostituibile l’insegnante dai computer: essi apparentemente posseggono un sapere illimitato, ma non conoscendo l’inciampo non possono nemmeno incarnare il sapere che mette a disposizione, non può dar luogo al transfer e dar vita alla relazione didattica: per Massa questa è la fallacia della tecnologia didattica; non esiste infatti didattica senza relazione umana. Il bravo insegnante è colui che conosce le conseguenze della noia e per questo l’inciampo è per lui fondamentale: perché tiene sveglio lui e chi lo ascolta; in più non nega il valore del sapere, ma mentre lo trasmette lo mantiene in parte sospeso; sa proteggere il vuoto, non ha paura del suo non-sapere perché è ciò che spinge alla ricerca. Oggi, la vite storta rappresenta la vita che non rispetta la logica produttiva ed utilitaristica di questi tempi, ma che si perde, che si smarrisce e che cerca un suo desiderio, dato da un incontro che rompe il legame con un mondo di prima e ne apre uno nuovo. Questo desiderio, come sappiamo, non è mai uguale a quello che l’Altro si aspetta, nasce storto: è compito dell’educazione amare questa stortura, non correggerla, ed è compito ci chi è educato esigere l’eccezione e generare uno stile nostro, rendere la nostra vita una vite storta. Cambiare la scuola – Riccardo Massa L’esperienza della crisi Sulla scuola, oggi intervengono e litigano tutti, ma tutto ciò che vien fuori da queste discussioni non incide minimamente sulla scuola reale, per Massa un riflesso di essa, più che scuola reale, riflesso che esibisce sintomi di qualcosa rimasto a lungo nascosto. Si afferma per la prima volta non di una scuola in crisi, ma di Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) una crisi della scuola, della sua forma e del suo senso, della sua dinamica interna e della sua configurazione. Per pensare alla crisi della forma-scuola, occorre pensare alla struttura latente dell’educazione. La scuola oggi è un luogo visto come improduttivo e obsoleto, legato alla tradizione idealista e lontano dalle odierne richieste del mercato del lavoro; in più essa non è preparata alla complessità della convivenza tra culture diverse, limitandosi ad un’apparente apertura e tolleranza. Il tramonto dell’educazione Il tramonto dell’educazione è interpretato in modo superficiale come una semplice morte delle buone maniere, che si riflette nella crescita di fenomeni di violenza soprattutto da parte dei più giovani: per risolvere questa situazione, molti fanno appello alla scuola, affidandole un compito insostenibile. C’è chi invece vede in modo costruttivo questa crisi, sostenendo che sia il prezzo da pagare per il suo essere rimasta legata ad un modello arretrato che si sta via via modernizzando. Il tramonto dell’educazione è conclamato dal fatto che non risulta più esserci alcun atteggiamento volto a proporre ai giovani metodi per interpretare, scoprire e renderli autonomi. La richiesta di cambiamento Tutti vogliono qualcosa dalla scuola, tutti vogliono che cambi; tuttavia, la scuola sa resistere ai cambiamenti e a conservare lo status quo. Cambiamento di pensiero Cosa fare per cambiare la scuola? Innanzitutto, è fondamentale ci sia un esercizio di pensiero che porti una frattura con i modelli della tradizione didattica, che finora non si è avuta. I luoghi del discorso Massa si focalizza sui luoghi del discorso, cioè su alcuni temi da rivedere, su cui, ovviamente, la politica non trova un punto di incontro. In realtà, c’erano stati dei tentativi di rivoluzione che però hanno cercato di cambiare la scuola in modo superficiale, fatta eccezione solo per alcune avanguardie pedagogiche, subito accantonate. Questi luoghi del discorso sono, per esempio, la necessità di investire di più su risorse adeguate; quelli che riguardano gli insegnanti e la valorizzazione delle loro carriere; la modernizzazione dei contenuti degli insegnamenti, in modo che siano più utili all’inserimento nel lavoro; i metodi di valutazione e l’autonomia delle scuole. Le formazioni discorsive Si profilano così diverse formazioni discorsive, criticate da Massa, ossia dei capisaldi da cui si sviluppano posizioni ideologiche (cambio di programmi; il fatto che il discorso psicologico debba essere messo in luce nella didattica, l’amministrazione e la dirigenza…). Sono delle rielaborazioni dei problemi secondo diversi punti di vista: un esempio è quello dei pedagogisti secondo cui parlare di scuola significa celebrare principi e valori oggi minacciati da ciò che è scientifico. Altre formazioni discorsive riguardano i contenuti dell’insegnamento; il culturalismo antropologico tratto dalle scienze umane; attenzione alla socializzazione, ai problemi di adattamento individuali, le dimensioni psicologiche e affettive e l’impatto si di esse dell’evoluzione tecnologica e, infine, la questione amministrativa e dirigenziale. La partizione del campo In tutto questo, la scuola diviene un campo influenzato da due sfere formate dalle formazioni discorsive precedenti, oggi in crisi: una didattica, che riguarda gli orari, l’amministrazione, ecc…; l’altra ha a che fare con le problematiche educative, cioè tutte quelle questioni che hanno a che fare con l’“allevamento” e quelle psicologiche. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) Educazione e prevenzione L’idea di prevenzione è ciò su cui ha fatto leva la stagione dei progetti educativi ed è quella che ha permesso un riavvicinamento tra la scuola e il mondo esterno, di cui essa prometteva di essere una riproduzione in forma ristretta. Tuttavia, essa si è dimostrata essere una richiesta di contingenza: c’è problema educativo su cui però, invece di richiedere l’intervento di altri servizi specifici, si richiede quello scolastico: questo è positivo, ma la scuola non può perdere la sua identità facendosi carico di funzioni che dovrebbero spettare ad altri. Un falso dilemma La scuola è quindi sia chiamata a ridefinire il suo senso e la sua funzione, ma anche a rispondere a richieste dettate di altri sistemi. Oggi sarebbe troppo banale dire che la scuola ha lo scopo di educare, cioè di occuparsi dello sviluppo individuale, sia di istruire, cioè di trasmettere cultura. Da qui nasce il perenne dilemma tra educare e istruire, dilemma per di più falso non perché, come si usa dire, si educa istruendo o viceversa, ma perché è una questione di dialettica, che nasce da certe ideologie. Per comprendere la questione è necessario partire dall’etimologia dei due termini. Allevare e sedurre Si dice che educare derivi da educere, cioè, aiutare qualcuno a “tirare fuori” qualcosa che è già in lui, ma in realtà deriva da educare: nutrire, allevare. Educere, prima di venir declinato così, significa anche “portare via/oltre”. In italiano, la parola “educazione” comprende entrambi i significati, allevare e condurre, come a suggerire che per educare, prima bisogna accudire e nutrire, poi condurre lontano dal luogo di cura. Anche per Platone il termine paideia si traduce con “educazione”, intesa come formazione; invece, il concetto di trofè, si traduce come “allevamento, che corrisponde alla cultura, all’istruzione o alla cura, giungendo al binomio cura e cultura. L’educazione nel suo senso originario è strettamente legata alla dimensione di cura. Non si può istruire qualcuno senza averne cura. I significati originari sono quindi tre: prendersi cura, portar via e insegnare. Tra questi tre significati non vi è però pacificazione e continuità, “portare via” significa anche rapire e strappare, mentre “educere” assomiglia molto a “seducere”, anche come sviare e portare fuori strada. Il gesto educativo è il gesto di chi porta nella “radura” (la radura dell’essere di cui parla Heidegger), ad esempio Jean-Jacques porta via Emile sin dal momento della nascita (l’educere si contrappone all’educare assumendolo in sé), anche Socrate è molto più corruttore che maieuta, è amato dai giovani anziché essere da loro sedotto e, così, funge da ostetrico-formatore. La scuola tra educazione e istruzione Massa evidenzia alcune posizioni nei riguardi dell’educare, soprattutto quella che oggi porta a considerarlo una semplice esibizione di valori e l’istruire una banale trasmissione di tecniche: se consideriamo questo pensiero da un punto di vista ideologico, educare è positivo; mentre istruire no poiché porta all’omologazione. Come abbiamo detto, la questione non riguarda un dilemma, ma la dialettica; infatti, tutte le opinioni derivano da come, in che contesto e da chi vengono formulate. Ad esempio, ci sono teorici dell’istruzione che sostengono che la scuola debba istruire, quindi contrapporre schemi didattici ad azioni autonome e indipendenti: secondo questa teoria dell’istruzione, è possibile plasmare l’individuo. Il dilemma però cambia a seconda del versante su cui lo si gioca, se da quello epistemologico (quindi dal punto di vista del sapere, in cui l’educazione non parte da zero, ma viene influenzata da alcune situazioni e l’istruzione, in cui tutti imparano allo stesso modo) o su quello ideologico. Questa questione è però talmente ambigua che tutte le posizioni sono ribaltabili (l’educazione emancipa mentre l’istruzione invade o ancora l’educazione conforma a ideali sociali mentre l’istruzione rende autonomi dai condizionamenti): ciò che occorre fare è quindi chiedersi cosa ci sia dietro certe interpretazioni. In entrambe le componenti c’è poi sia una dimensione “buona” (per l’educazione è la cura, per l’istruzione l’insegnare a fare da sé) e una Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) “cattiva” (per la prima è la repressione, il soffocamento; per l’altra il sergentismo). È vero che l’educazione ha a che fare con gli affetti e l’istruzione con la dimensione cognitiva? Sicuro è che per molto tempo le emozioni sono state considerate qualcosa di irrazionale, invece esse influiscono molto sul razionale; quindi, la messa in discussione della divisione educazione/istruzione è lecita e pensare che l’educazione sia buona e l’istruzione cattiva è insensato. Alcuni equivoci concettuali Sono molti gli equivoci concettuali, cioè le confusioni di posizione che si creano tra educare e istruire, posizioni che, come abbiamo detto, variano a seconda dell’ideologia con cui si osservano l’educare e l’istruire. Le pozioni sono poi molto ambigue: chi dà il primato all’istruzione sostiene che la formazione dell’uomo avviene secondo elaborazione di informazioni provenienti dall’esterno, pensiero messo in luce da Herbart secondo cui la scuola non deve supportare gli interessi, bensì crearli e arricchirli. Chi invece dà il primato all’educazione sostiene che in ogni individuo ci siano già delle facoltà che si sviluppano da sé, delle tendenze naturali. Luminare di questo pensiero è Rousseau, il quale sostiene che occorre addirittura rinunciare a educare, cioè a trasmettere norme e dogmi, che il bambino deve scoprire da sé. Secondo alcune posizioni l’educazione è romantica e l’istruzione illuminista; l’educazione è filosofica e l’istruzione scientifica: tutto questo non porta a nulla, eppure è tutto ciò che avviene nel dibattito sulla scuola, che ricade anche su questioni politiche confondendo il piano ideologico e quello epistemologico. Insomma, la confusione e gli equivoci concettuali sono troppi. Cognizioni e affetti La vera questione in gioco, evidenziata da Massa a questo punto, è che non c’è attenzione agli affetti nella scuola, sia per quanto riguarda l’insegnare, sia l’apprendere. Quest’accusa fu mossa anche dalla sinistra verso la cultura cognitivista in particolare nel ’68, momento di grandi cambiamenti e di negazione verso l’impostazione cattolica e di destra vigenti a quei tempi, portatrice di valori, a cui subentrarono una concezione laica e progressista. Perché tanto accanimento contro i valori dalla sinistra e tanta esaltazione dalla sponda cattolica? Gli istruzionisti guardano con sospetto la dimensione degli affetti, visti come primitivi e regressivi e da cui la dimensione cognitiva viene danneggiata; perciò, il loro coinvolgimento scolastico porterebbe solo dei danni. Massa non nega che cognitivo e affettivo siano intrecciati, ma ciò che la pedagogia di sinistra avrebbe dovuto fare sarebbe stato reggere l’urto di quella cattolica e non negare del tutto la dimensione affettiva per paura di una sua egemonia. Moralismo e tecnicismo Moralismo, tecnicismo ed estetismo sono le posizioni in cui sembrano oscillare gli atteggiamenti degli insegnanti, le quali vengono quasi ridicolizzate da Massa. Queste posizioni portano ad una prima partizione del campo. Gli insegnanti democratici, dopo essersi convertiti al cognitivismo, hanno rivendicato un po’ di spazio per sé riscoprendo il corpo, le relazioni e gli affetti, non riuscendo però ad intrecciarli con gli obiettivi didattici e i contenuti di studio, che richiedono una nuova centralità. L’ossessione dei valori Il tema dei valori merita rispetto, ma quando esso diventa un’ossessione, ostentarli non è positivo. Di questo si servì la pedagogia di sinistra affermando che i pedagogisti cattolici sarebbero dei moralisti, vecchio stampo a cui interessa solo di valori e affetti e, quindi, che la loro proposta sarebbe poco innovativa. Questo pensiero è cieco e fuorviante, infatti, accanto allo sviluppo di valori, la pedagogia cattolica è stata capace di fornire molte tecniche sofisticate. Invece, dalla parte laica, permane la volontà di far prevalere nella scuola l’istruzione, perché altrimenti si entrerebbe in un’antidemocrazia e si svaluterebbe il sapere; quindi, non tutti avrebbero le stesse possibilità di alfabetizzazione. Il mito dell’istruzione Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) Non solo ossessione dei valori, ma anche il mito dell’istruzione, connesso alla parte laica e che trova i natali grazie al pensiero marxista italiano e gramsciano: bisogna aiutare la scuola in modo che ci sia democrazia; tuttavia, non è sufficiente limitarsi ad un banale attivismo per raggiungere questo scopo, facilitando la scuola per aiutare i ceti subalterni. Che ci sia ossessione per i valori o che si dia primato all’istruzione, si è comunque all’interno del mito occidentale del valore assoluto del sapere; quindi, non c’è alcuna differenza tra educare o istruire poiché nella scuola c’è sia l’aspetto valoriale che quello democratico: sono piuttosto i discorsi che vi ruotano attorno a dare determinate prerogative alla scuola. Non esiste una contrapposizione tra pedagogia cattolica e laica perché entrambe svolgono insieme un ruolo innovativo grazie alla loro sapienza. Controversie, oscillazioni e trascorsi Il dilemma tra educare e istruire è fuorviante perché le controversie sono molto più intrecciate e articolate di un’alternativa. Le posizioni su educare e istruire sono intercambiabili: per esempio, una posizione libertaria può collocarsi tanto dalla parte dell’educare quanto quella dell’istruire: nel primo caso ci si preoccuperà di educare senza alcuna istanza normativa, nel secondo di escludere ogni progetto formativo che non si limiti ad agire sui processi di acquisizione ed elaborazione delle conseguenze. La pedagogia sessantottina mostra che la cultura contestataria era sotto il segno dell'educazione. In essa era però presente un filone fortemente intellettualista che dava il primato all'istruzione e contro l'educazione tradizionale. Questo filone si è introdotto nella normalizzazione didattica degli anni 70. Lo stesso vale per il rapporto tra cognitivo e affettivo. Lo stesso vale per la pedagogia sessantottina e per il rapporto tra cognitivo e affetti: non è detto che il primato all’istruzione comporti maggior disattenzione alla dimensione affettiva, anche se di fatto è avvenuto così, anzi, c’è stato più che altro un rifiuto dei modelli psicodinamici; non è neppure detto che la dimensione affettiva porti alla celebrazione dei valori tradizionali, benché anche questo sia accaduto. Tutte queste controversi sembrano però più preoccupate ad enunciare manifesti educativi più che a riflettere su discorsi pedagogici. Posizioni e commistioni Le varie posizioni si mescolano e rimescolano continuamente, ma bisogna ricordarsi che, alle spalle di questo, vi è una memoria storica da non scordare; infatti, il fascino della pedagogia sta anche nel suo riprodurre al suo interno le controversie della realtà sociale: ci sono i laici che cercano di intendersela con gli psicologi, chi sostiene la cultura umanistica, chi vorrebbe più conoscenza scientifica, ecc… Ogni affermazione, pur avventata che sembri, rinvia ad un certo pensiero ed è solo prendendolo in considerazione che essa può rivestire un particolare interesse. Anziché, però, invalidare questi pensieri, bisognerebbe chiedersi di quali discorsi sono il sintomo. Nominazioni e combinazioni Massa classifica alcune posizioni in modo schematico per coglierne la complessità dei loro valori. Per farlo, si parte da tre assi di riferimento: il primo caratterizzato dall’asse emotivismo – cognitivismo: il primo riguardante l’atteggiamento di chi si preoccupa maggiormente, all’interno della scuola, di dare più spazio ai sentimenti; viceversa, il secondo è quello di chi dà il primato alla dimensione cognitiva. Un secondo asse di riferimento è caratterizzato dalla polarizzazione tradizionalismo – progressismo: il primo prova nostalgia per la funzione elitaria della scuola; la seconda crede che il miglior modo di educare le élite sia la democratizzazione diffusa. Un terzo asse è quello moralista – nichilista: il primo ha fiducia in un determinismo dettato da qualche principio perenne; l’altro prescinde da qualsiasi valenza morale. Si può immaginare che questi tre assi diano forma ad un cubo ad 8 facce come combinazioni delle posizioni indicate, da cui emergono ulteriori valori di posizione: 1) Cognitivismo – moralismo – tradizionalismo  essenzialismo: nostalgia dei contenuti ritenuti essenziali per la formazione Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) 2) Emotivismo – tradizionalismo – moralismo  volontarismo: attenzione alle emozioni e agli affetti come strategia di formazione del carattere e come appello alle forze di volontà 3) Sentimentalismo  fa leva sulle emozioni e gli affetti (es. Professor Keating) , più che risolvere problemi li creano 4) Cognitivismo – nichilismo – tradizionalismo  intellettualismo 5) Cognitivismo - nichilismo - progressismo  tecnicismo didattico: centralità della strumentazione linguistica e del ragionamento scientifico, porta al fallimento, non si impara niente e non ci si diverte più. 6) Cognitivismo – moralismo – progressismo  illuminismo pedagogico 7) Emotivismo – nichilismo – tradizionalismo  estetismo e materialismo: Gli preme che in ognuno, nella scuola e nel mondo si manifesti un potenziale espressivo, artistico e creativo attraverso forme vecchie o nuove di linguaggio e tecnologiche. I sintomi del rimosso Per “rimosso” si intendono proprio gli affetti, che non vengono presi in considerazione nel discorso sulla scuola. Questo, insieme alla rimozione della struttura materiale dell’accadere educativo, provoca una scissione tra cognitivo e affettivo e i sintomi di essa sono inscritti nell’esperienza scolastica. Occorre però insistere su questa dimensione resa invisibile dalla ridondanza dei discorsi politici e didattici sugli insegnanti. Tra i vari sintomi derivati da ciò ricordiamo la rabbia dei genitori, la depressione degli insegnanti e la sofferenza dei più giovani, tutti sintomi di uno strato rimosso: quello degli affetti, non adeguatamente considerate perché, tra le altre cose, alcuni si chiedono se lo scopo della scuola sia il benessere, non ha fini terapeutici o creativi e, siccome riproduce situazioni della realtà sociale, pur essendo protetta, deve riprodurne anche le difficoltà. Anche se si volesse pensarla così, ciò che provano adulti e ragazzi non può essere comunque sottovalutato. La scuola è anche molto forte e riesce a mantenersi barricata nella sua forma; tuttavia, ha anch’essa presentato dei bisogni educativi, ai quali sono state fornite risposte equivoche nonostante non potessero esse sottovalutati. Un altro sintomo sta nel forte coinvolgimento emotivo per la scuola a cui si aggiunge però un grande disinteresse, ma il sintomo più grande è la psichiatrizzazione delle situazioni giovanili, i quali, se frequentanti di altri servizi educativi extra-scolastici, sono visti come deviati e non come semplici giovani che ricevono educazione da altri servizi oltre la scuola. Nonostante la forma della scuola sia ormai collassata, ciò che continua a mantenerla stabile è la figura degli insegnanti anche se essa non dipende da loro. Questa figura viene spesso denigrata, invece ciò che si dovrebbe fare è apprezzarne l’impegno e la passione. Attori e rappresentazioni Spesso Massa utilizza la metafora teatrale quando parla di scuola, descrivendola come un luogo caratterizzato da attori che vi agiscono mettendo in scena copioni, giochi relazionali e parti. Questa impostazione non incide sulla forma della scuola, ma sul tessuto quotidiano, spesso emarginato dai discorsi di carattere politico e pedagogico, cosa che non può essere fatta visto che la scuola è la rappresentazione in forma ristretta e protetta della realtà sociale. Il cognitivismo assoluto Una prima risposta (inadeguata) a questo aggregato di sintomi del rimosso è costituita dal cognitivismo assoluto, di matrice marxista, ossia la tacitazione di ogni aspetto dell’esperienza scolastica incentrato sul versante affettivo. Questo rispondeva a delle specifiche esigenze degli insegnanti, soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi e il curricolo. Il Sessantotto sappiamo essere una grande stagione educativa, in cui, tra le altre cose, vengono denunciati i tradizionali metodi di valutazione. Ciò avviene in un momento di collusione tra la pedagogia cattolica, quella marxista e quella laica: le ultime due, che si sentivano imprigionate in un contesto che non riuscivano più a dominare, cercarono a tutti i costi di difendere lo sperimentalismo scientifico. Alla fine, le parti giunsero ad un accordo di gestione sociale della scuola di Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) stato. I comunisti difendevano il cognitivismo, i cattolici i valori e i libertari accusavano entrambi di aver distrutto la scuola: in realtà, i cattolici furono i primi ad occuparsi del curricolo e delle tecniche didattiche; quindi, sarebbe ingiusto ritenerli solo dei moralisti sentimentali. Il didattismo docimologico Una seconda risposta inadeguata ai sintomi del rimosso si trova in una questione già emersa negli anni ’50: il didattismo docimologico, cioè nell’applicazione esagerata delle valutazioni, messe in atto con la denuncia di metodi valutativi irrazionali e dell’influenza delle condizioni sociali sulla selezione scolastica. Anche qui, l’aspetto politico e ideologico non è da sottovalutare poiché le procedure di programmazione e istruzione sono basate sull’idea che per imparare qualcosa sia necessario sottoporre all’autocontrollo il processo di studio, spezzettandolo in unità didattiche e verificandone subito l’acquisizione. Una tecnologia obsoleta La pedagogia è tecnologia dell’educazione nel senso di un macchinismo di natura, per esempio, culturale, sociale e simbolica; ha a che fare con il modo in cui sono costruite le aule, disposti gli orari e le strategie disciplinari, mezzi con cui ci impadronisce della verità dell’altro. Questo fa paura, quindi il primato dell’istruzione si illude, temendola, di poter rimuovere, ignorandola, questa materialità educativa. Non si tratta di aver paura delle macchine, ma di capire che anche la scuola sia una grande macchina ora inceppata, paragone che alla pedagogia cattolica e alle anime buone della pedagogia non piace, le quali, non tematizzandola, ne permettono il declino. Ciò che risulta decisivo è il rapporto con le tecnologie multimediali e informatiche non come semplici strumenti didattici, ma come nuovi universi antropologici, appiattito oggi a semplice metodo di valutazione. Ovviamente è stato del tutto inadeguato fare didattismo docimologico per rispondere ai problemi della scuola, ignorando che la valutazione svolge anzitutto una funzione affettiva e relazionale e quindi non può che essere effettuata secondo un sistema complesso di metodi quantitativi e qualitativi complessi. Contenutismo, scolasticismo, statalismo La terza risposta inadeguata è il contenutismo, idea secondo cui i contenuti delle materie scolastiche sono tutto quello che è necessari cambiare della scuola, come se esibire il sapere in modo nuovo e aggiornato inducesse ad apprenderlo magicamente. Invece sappiamo bene che impariamo più efficacemente quando il sapere veniva esposto in maniera seducente e in un modo che coinvolgesse la curiosità, che suscitasse volontà di sapere e desiderio di conoscere. Un’altra risposta inadeguata è stata uno scolasticismo troppo insistito: è davvero necessario andare a scuola tutta la vita, in un così grande numero di ore? O forse c’è stata troppa fiducia nell’idea che più si va a scuola più la vita migliora, visti il fastidio e la saturazione che serpeggiano oggi? Secondo Massa, una soluzione sarebbe rendere la scuola un setting pedagogico più flessibile e aperto. Altre due risposte inadeguate accennate da Massa sono lo statalismo e il centralismo, che non sono più state riproposte negli ultimi anni. Antifamilismo e corporativismo Un’altra risposta, tipica della sinistra, che si è illusa di difendere così la specificità della scuola, è stata la sottovalutazione e l’interruzione del dialogo tra essa e la famiglia, che invece è importantissimo, visto che tra le due entità si stabilisce un patto formativo implicito. Questo implica che, quindi, la famiglia non venga coinvolta nelle dinamiche di tipo affettivo legate all’esperienza scolastica. È importante sottolineare che la scuola non deve essere un’altra famiglia, ma il paragone tra le due deve esserci solo a scopo interpretativo, così come quello tra la scuola e le altre agenzie educative. Valorizzare questa differenza, tuttavia, può portare alla rimozione della dialettica tra scuola e famiglia. Un’altra risposta inadeguata è stata il corporativismo, ossia il troppo carico dato alla corporazione degli insegnanti, spesso denigrata e umiliata. Le dimensioni residuali Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) La prima dimensione residuale è costituita dal tessuto microsociale di cui è costituita la dimensione l’esperienza scolastica e, quindi, quella degli affetti e delle fantasie di tipo primario attivate da essa. La dimensione soggettiva di chi apprende è insegna è sì riconosciuta, ma considerata marginale, come il fatto che la scuola abbia una sua quotidianità, una sua routine e una sua vita sotterranea e, invece, viene pensata come un insieme di curricoli e obiettivi a cui lo svolgimento dei programmi è finalizzato. La scuola non ha certo il compito di organizzare eventi, ma ciò non toglie che è comunque una grande agenzia di socializzazione. Questi aspetti residuali andrebbero tematizzati per rendere la scuola più potente sul piano dell’istruzione e della simbolizzazione culturale. La dimensione etnografica che, in quanto insieme di culture interne, costituisce la vera cultura scolastica. I nuclei irrisolti I nuclei irrisolti sono questioni non affrontate che non hanno causato particolari sintomi, ma che vanno affrontati per parlare di scuola.  Ridefinizione del mandato, della missione, della scuola  Rapporto tra istruzione scolastica e apprendistato sociale: a scuola si imparava, oltre ai programmi didattici, anche a stare al mondo. Oggi questo tipo di educazione è affidato ad agenzie extra- scolastiche a cui, però, è esposta solo una minoranza; questo fatto viene constatato anche dai professori, che lamentano la ricaduta di questa mancanza sui processi didattici.  Come si comporta la scuola di fronte alle odierne e sempre più diffuse forme di educazione informale  Il codice comunicativo scolastico  Il setting pedagogico  Scuola come contesto relazionale: è chiamato in causa il ruolo dell’insegnante, che ha una sua specificità a cui si deve rispondere in modo adeguato  Struttura organizzativa: non assolutamente secondaria rispetto alla dimensione relazionale e quella dei contenuti La fine della pedagogia Questa parte è collegata al paragrafo del tramonto dell’educazione, in quanto si descrive una fine della pedagogia accompagnata da una pedagogizzazione indiscriminata della vita sociale e della cultura. Tutto oggi è diventato pedagogico. Un altro aspetto della pedagogizzazione della cultura è rappresentato dalla curvatura etica della filosofia, la quale si presenta come una piccola pedagogia nel senso di un sapere che pretende di incidere sulla vita delle persone. Il pedagogico è dappertutto, per questo la pedagogia è finita. I nemici della pedagogia Collegato al paragrafo precedente; i nemici più accaniti sono i sostenitori della didattica che credono ancora che la pedagogia sia una disciplina astratta: in realtà pedagogia e didattica sono la stessa cosa, in quanto teoria e metodologia dell’esperienza educativa. In più, gli esperti di didattica sostengono di non saper più che fare delle tecniche didattiche. Nemici della pedagogia sono anche gli psicologi, che riconducono a sé ogni questione legata alla formazione, e gli esteti e i moralisti, che pensano di sapere perfettamente come un individuo può svilupparsi. I nemici della pedagogia sono figli di un’antipedagogia sviluppatasi negli anni Sessanta come un’insofferenza verso una strategia repressiva e analizzata da Foucault, che mette in luce la funzione coercitiva non solo della scuola, ma di tutte le pratiche moderne, restituendola nella sua positività. La fallacia didattica La fine della pedagogia si accompagna ad una fallacia didattica nel costituirsi come tecnologia scolastica, che ovviamente ha conseguenze sulla scuola. Con questa si intende una programmazione su base scientifica dei comportamenti degli insegnanti. La tecnologia didattica si presenta come obsoleta e Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) fallimentare perché l’istruzione non può in alcun modo essere programmata scientificamente. La didattica pretende di far precipitare sulla scuola una tecnologia troppo debole, che si illude di rendere scientifiche le pratiche educative trascurando le condizioni sociali e affettive dell’insegnamento. L’enfasi comunicativa Un altro effetto sulla scuola è dato dall’enfasi comunicativa. Le scienze della comunicazione sono fondamentali in quanto ispirazione del fronte più avanzato delle scienze dell’educazione, tuttavia solitamente questo collegamento si riduce ad un ricondurre le teorie della comunicazione in campo scolastico semplicemente cercando nuovi metodi di comunicazione, processo che porta ad un rischio di identificazione dell’educazione nella comunicazione: i pedagogisti hanno riciclato il loro sapere declinandolo intorno al concetto di comunicazione, d’altra parte gli esperti di comunicazione hanno trovato nell’educazione un campo da colonizzare. Essi, poi, quando parlano di scuola e comunicazione, si limitano a dire che l’insegnante dev’essere un bravo comunicatore; tuttavia, in ogni situazione educativa è in gioco anche dinamiche relazionali profonde: fare corsi ai formatori e agli insegnati su come comunicare non basta, ma bisognerebbe renderli consapevoli dei diversi significati pedagogici della comunicazione. Nel passato non è che la questione educativa non fosse posta, ma gli insegnanti interiorizzavano un modello comunicativo che era anche modello di metodo andando a sentire altri docenti. La psicologia dell’educazione è una disciplina che studia il processo di insegnamento, ma che fatica ad inserire i processi comunicativi e cognitivi in una tecnologia più ampia. La grande formatrice La televisione è la grande formatrice a lungo demonizzata e di cui la scuola, secondo alcuni, era l’unica strada alternativa. C’era perciò chi la temeva e chi ne portava in primo piano le potenzialità educative. Come ogni cosa, essa ha degli effetti positivi o negativi in base all’uso che se ne fa. Molto spesso si parla di quanto debba rispettare i valori morali della vita in generale, ma poco di quanto ultimamente sia troppo pedagogica, piena di prediche estenuanti; sarà pur violenta, ma non è sicuramente priva di intenti pedagogici ed educativi. Paradigmi e modelli Tutti questi discorsi sulla scuola e sull’educazione richiedono un’analisi e un ragionamento dei grandi paradigmi epistemologici, cioè sulle teorie e sulle idee su cui si strutturano i discorsi, e sui modelli impliciti da cui sono orientati, soprattutto per comprenderle e interpretare l’educazione. Nonostante i vecchi paradigmi filosofici e i soliti modelli pedagogici con cui si fa valere il primato dell’educazione o dell’istruzione siano superati, la scuola fa fatica ad accettare i modelli propri del paradigma materialista in cui confluiscono le scienze cognitive e la psicanalisi, che possa rendere possibile l’esplicitazione dei modelli pedagogici in cui cognitivo e affettivo sono essenziali, insomma, uno scenario epistemologico che imponga alla scuola un cambiamento. Pensare l’educazione Quello che ha questo punto bisogna riproporre per cambiare la scuola è, come abbiamo detto, un esercizio di pensiero: bisogna pensare l’educazione, compito affidato alla pedagogia in quanto filosofia dell’educazione e non ai filosofi o agli intellettuali; ai filosofi, in particolare quelli dell’educazione, quindi i pedagogisti, si dovrebbe chiedere di aiutare gli uomini di scuola a pensare l’educazione. Utopia e ideologia Da qui, Massa espone il suo pensiero: innanzitutto, a proposito dell’incidenza di un pensiero sull’educazione sulla realtà sociale, evidenzia tre tipi di attitudini attorno al nesso di cambiamento scolastico e processi educativi: una prospettiva utopica, una funzione ideologica e un esercizio critico. Prima di attestarsi in una posizione critica, è presente un’oscillazione tra utopia e ideologia. Questi tre elementi Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) furono analizzati da Mannheim, sociologo secondo cui i sistemi di idee, quelle sull’educazione comprese, sono influenzati da condizioni sociali determinate. L’utopia, secondo lui, è un sistema di idee che non ha valore in sé stesso in quanto non realizzabile, ma che ha una funzione di emancipazione e di spinta al cambiamento. L’ideologia è un sistema di idee che deriva da ciò da cui si è influenzati e che poi ripropone queste circostanze. Il senso dell’oscillazione tra utopia e ideologia sta nel rinvio all’attitudine critica che non si accontenta di ripetere la forma della scuola non rinuncia alla visione utopica ma non si illude di poterla realizzare, utilizzandola comunque per apportare cambiamenti. Il concetto di utopia dev’essere inteso come una sorta di esperimento mentale come quello fatto da Rousseau, il quale decide di inventarsi un allievo ideale immaginandosi come sia la sua educazione se non influenzata dalla società. Educazione e finitudine Quali sono i momenti di frattura, le svolte teoriche, che hanno riguardato l’educazione? Massa ne evidenzia due, ossia le novità portate da Rousseau e Dewey. Rousseau pensa all’educazione in negativo, cosa che gli permise di configurarla come qualcosa che deve avvenire all’esterno di influenze sociali, mentre prima di lui, essa doveva avvenire nei collegi o nelle città. Il suo pensiero è utopico perché è radicalmente critico. Questa frattura si estende nel momento in cui nasce il sentimento per l’infanzia e l’investimento pedagogico su di essa: siamo nel momento in cui la mortalità infantile, nonostante si sia abbassata, è ancora presente e utilizzata contro la pedagogizzazione del bambino. È proprio il tema della morte che darà una grande spinta ad un nuovo modo di intendere l’educazione: il bambino è destinato a morire in quanto essere umano; quindi, la sua educazione deve tener conto della sua felicità terrena e non in funzione del futuro, ma del presente. A questo concetto si accompagna una visione positiva dell’educazione attraverso il concetto di natura, di sviluppo spontaneo: si devono creare le condizioni perché il bambino cresca felice qui e ora e in ogni momento della vita, perché deve morire. Le radici della scuola attiva La seconda frattura è rappresentata da John Dewey, il quale concepisce l’educazione come un processo che non riguarda una facoltà di tipo contemplativo, ma l’esercizio attivo di una strumentazione cognitiva volta a risolvere problemi sociali. La ragione è intesa come strumento per l’azione, come metodologia continua di elaborazione e di soluzione dei problemi. La radice riguarda il pensare l’educazione come un esercizio attivo di funzioni cognitive complesse, come esperienza vissuta densa di valenze affettive, come rapporto costitutivo con l’ambiente naturale e la vita sociale, non più come facoltà contemplativa di tipo spirituale. La scuola attiva trova qui le sue radici; l’attivismo nasce da Dewey, ma poi verrà sostituito dal cognitivismo. L’educazione buona Le altre fratture sono rappresentate da Marx, il quale pensa che l’educazione, non riuscendo a essere prassi materiale, è null’altro che ideologia e svolge una mistificazione ideologica, e Freud, secondo cui essa è rimozione degli istinti in ambito inconscio. Queste idee causano ancora una volta l’oscillazione tra una buona e una cattiva educazione, idea che non esiste in quanto l’educazione non è né l’una né l’altra, ad esserlo sono i suoi effetti. Educazione e scuola È impossibile pensare alla scuola senza avere una teoria dell’infanzia o dell’adolescenza, possibile solo a partire solo da una passione per la carne, il cuore e la mente che porta ad una rielaborazione dell’esperienza adolescenziale in modo adulto. Esiste però un problema educativo più ampio che riguarda la società e le altre agenzie di formazione: l’esigenza di specifiche figure educative professionali. Il paradosso della scuola, poi, sta nel fatto che essa è istituita con lo scopo di interagire con la vita sociale da cui però è protetta e separata. I codici simbolici Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) Nel ripensare la forma-scuola può essere utile richiamare l’impossibilità e la necessità di utilizzare codici simbolici che costituiscono i media comunicativi della vita sociale (amore, soldi...). Essi non si possono usare dentro la scuola poiché non sono suoi oggetti di scambio; i tratti distintivi della scuola sono l’asimmetria della relazione e i media valutativi. Tutti i tentativi di organizzare comunità scolastiche ed educative che riproducano dinamiche simili a campi esterni alla scuola la porterebbero alla dissoluzione nel sociale; tuttavia, un’influenza didattica priva di quegli elementi risulta deficitaria rispetto ai propri obiettivi cognitivi. Tutte le volte che si pensa la scuola come un recinto che trasmette conoscenze o come enti simili, non si riesce a percepire la sua esigenza paradossale scolastica: istituire uno spazio e un tempo di esperienza agita e di rielaborazione culturale, area difficile da governare e pensare. Educazione e vita Oltre alla scuola, ci sono altri contesti in cui si può dare educazione intenzionale. La vita e l’educazione, sebbene siano intrecciate, non possono confondersi e lo stesso vale per la scuola. Il nesso tra educazione e vita sta nel fatto che l’educazione è una modalità esistenziale di rielaborazione delle esperienze della vita e, su questo sfondo, la scuola dà loro un significato cognitivo. Per rigenerare la scuola però non si deve tralasciare, appunto, gli altri servizi di educazione intenzionale, luoghi che nella nostra esperienza sappiamo essere maggiormente attribuiti a utenti devianti o problematici, così che l’unico servizio educativo per la normalità sia la scuola. Questo discorso sul nesso tra educazione e vita, come quello tra scuola e educazione, è un altro di quei discorsi che appare censurato. L’educazione non può giocarsi solo all’interno della scuola, ma nemmeno solo in famiglia. Alcune questioni aperte Altre questioni aperte, senza riposta, riguardano tra le altre cose il setting, cioè il contratto educativo. La maggior parte di questi discorsi hanno una ricaduta importante sul ruolo degli insegnanti, che spesso non sanno darsi una loro definizione: come considerare il rapporto costitutivo tra educazione e valutazione? Essa non è solo un gesto tecnico, ma ha a che fare con la conferma o la non conferma di sé stessi, col giudizio: è possibile creare una forma-scuola senza valutazione? Qual è il rapporto tra valutazione e relazione nella vita scolastica? Sulla questione del setting: come può configurarsi la dinamica gruppale in modo diverso rispetto al passato? Su tutt’altro registro: quali sono i miti che caratterizzano l’esperienza scolastica? Lo statuto del ragazzo Il bambino è da tempo al centro del mondo, tuttavia continuano a non essere percepiti e rispettati nelle loro esigenze vitali nella loro autonomia individuale. Pur essendo divenuti un grande oggetto sociale, l’ambivalenza e le proiezioni nei loro confronti permangono prive di elaborazione adeguata. Lo stesso vale per i ragazzi. L’adolescenza e la condizione giovanile, per l’incidenza che hanno sulla fenomenologia sociale, sono sotto l’attenzione di tutti. L’adolescenza è poi sempre vista in modo negativo; è un’età soggetta a forte abuso sociale e a colonizzazione scolastica, che li porta rinunciare a espressioni vitali e creative. Lo statuto del ragazzo è caratterizzato da antinomia e paradosso, elementi solitamente ignorati. La pedofilia è sintomo e l’esito inquietante di una rimozione della passione erotica del corpo, la mente e l’anima dei ragazzi. Solo una problematizzazione di questo tipo può contrapporsi all’esercizio della violenza fisica e psicologica sui bambini. Lo statuto delle ragazze e dei ragazzi come individui autonomi nella concretezza della vita scolastica, anziché soggetti giuridici astratti rivestiti di alcuni panni coloriti e vivaci, chiede di essere riconosciuto indipendentemente da qualunque statuto studentesco. Il mandato istituzionale La scuola deve istruire consentendo agli individui di diventare autonomi attraverso la trasmissione di cultura, la quale deve orientare ad una formazione professionale adatta all’inserimento nel mercato del lavoro e dello sviluppo economico; deve formare lo spirito critico, gusto estetico e ai metodi di indagine e di Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) metodo, ma anche alla professionalità e ai rapporti sociali, per essere dei buoni cittadini capaci cooperare. Deve educare, cioè, trattare le componenti umane orientandole verso valori condivisi nel rispetto della libertà personale. In questo compito oggi la scuola è sempre più sola, anzi, schiacciata da altri contesti come la famiglia, o situazioni, come la disoccupazione crescete. La soluzione a questo non sta nel fatto che la scuola debba farsi carico di tutto né semplificando il suo mandato, ma limitandolo e contestualizzando, poiché essa non è un centro sociale, ma deve pretendere l’intervento di altri servizi. Il dispositivo La forma tradizionale di scuola è formata da maestri e professori, banchi e aule, orari, materie da studiare, compiti, lezioni ed esami; il suo dispositivo è lo stesso da anni e anni e le uniche esperienze che hanno provato ad apportare dei cambiamenti sono state negli anni ’70 e altre lungo il ‘900. Oggi, però, questo dispositivo tradizionale si è inceppato. Il termine “dispositivo” viene ripreso da Foucault, ma oggi viene utilizzato per indicare qualsiasi elemento normativo o istituzionale, quando, invece, dovrebbe evocare il sistema incorporeo delle procedure in atto all’interno della scuola o in qualsiasi altra situazione educativa. Quello scolastico è rimasto un dispositivo disciplinare, cioè atto rendere docili i corpi attraverso il passaggio di saperi, caratterizzato da assoggettamento, individualizzazione e da una forte burocratizzazione. La scuola, però, non è una semplice macchina o un carcere perché in essa c’è molto di più: la dimensione simbolica e affettiva. La crisi odierna del dispositivo scolastico nasce dalle modalità attuali di produzione e consumo del sapere, dalla decostruzione dei modelli, dal venir meno dell’alleanza tra essa e la famiglia. Cambiare questa forma può sembrare un’utopia ma è richiesto dalle dinamiche vigenti, che mai dovrebbero vietare di pensare ad un tale cambiamento, il cui pensiero trova lo spazio teorico proprio nel dispositivo. Livelli di scuola Nella prospettiva di un cambiamento, devono essere considerati alcuni punti: la percezione della scuola, i modelli, i discorsi, che mutano radicalmente a seconda del grado scolastico e del ciclo, di cui Berlinguer propone una ristrutturazione e una visione complessiva diversa, nonostante sembra però anche appiattirli. Essi devono essere colti in continuità e guardando alle loro differenze specifiche. Livelli diversi di scuola suscitano anche idee di scuola diverse da parte delle famiglie, il cui rapporto con la scuola non viene tematizzato da Berlinguer, tuttavia dev’essere soggetto di attenzione soprattutto da parte del docente. Il setting pedagogico Tutta la scuola deve configurarsi come un setting pedagogico, ovvero una modulazione di ruoli istituzionali, spazi, tempi, regole e procedure, per consentire lo svolgimento di un gioco relazionale e la messa in pratica di insegnamento e apprendimento. Ragionare in termini di setting vuol dire, infatti, ragionare sull'interazione educativa e le strategie relazionali, ribaltando la forma-scuola tradizionale. Significa creare un gruppo di progettazione, gestone, verifica e supervisione, creare lo spazio e il tempo giusto per l'azione e, per questo, sono chiamate in causa le strutture architettoniche della scuola. L'idea di setting riguarda quindi un luogo a cui ricondurre il senso stesso dell'esperienza scolastica, in rapporto alle aspettative sociali e professionali esterne. Il setting non riguarda solo l'ambiente esterno, i vincoli e le regole, ma soprattutto le disposizioni interne degli insegnanti e la loro progettualità in atto. La scuola come ambiente deve essere capace di istituire un'area di esperienza transizionale e di maturazione mentale. Interpretando in maniera clinica l'esperienza scolastica si crea un rapporto tra setting pedagogico, transfert educativo e controtransfert. Richiede costante interpretazione, attribuzione e ricostruzione (da parte degli insegnanti). Il rischio costante a cui è sottoposto il setting è la cristallizzazione (perciò deve essere ogni volta risoggettivato). Il suo significato sta nel passaggio dalle regole della scuola e dell'insegnante a quelle del gruppo scolastico. L'idea di setting in pedagogia si connette a quella di ambiente, contesto e sfondo integratore. Il setting è il luogo della comunicazione, comporta una formazione alla consapevolezza di sé e si riconduce alla nozione di dispositivo pedagogico. Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) L’organizzazione scolastica Al di là del contratto tra scuola pubblica e società, bisogna concentrarsi anche su altri tipi di contratti, come quelli con i ragazzi e le loro famiglie, stipulazione possibile solo se la scuola riesce ad esplicitare in modo chiaro il suo mandato, che si svolge all’interno di un progetto educativo attento alle condizioni, agli imprevisti e alle tecniche. È necessaria quindi un’autonomia da parte della scuola, che richiede un’attenzione particolare all’organizzazione scolastica, in particolare alla dimensione gruppale, le cui dinamiche interne devono essere sorvegliate da una competenza specifica. Il ruolo dell’insegnante va anch’esso ridefinito in un insieme di figure educative, che necessitano di un loro spazio di risoluzione dei conflitti. La cultura scolastica La dimensione relazionale, affettiva e psicosociale è centrale e non si contrappone a quella dei contenuti scolastici, ma inscrive assieme ad essi in un dispositivo di metodo e organizzativo che produce cultura scolastica come universo simbolico, che non annulla lo scontro e il confronto con i contenuti di studio. Quello che importa è che i contenuti di cultura rivendichino la loro autonomia, ma rimangano legati alla realtà sociale. La valutazione rimane un punto essenziale in quanto punto di conferma di conferma, confronto e consolidamento, ma non deve essere il centro della relazione didattica e dell’esperienza educativa, per questo è un elemento che va tematizzato. Il suo valore certificativo può dare crediti didattici anche sulla base di altre esperienze, aprendo un collegamento con il rapporto tra scuola pubblica e privata, dove in quest’ ultimo sono appiattite le scuole gestite dagli enti locali, ammirate da chiunque nel mondo. Le nuove finalità educative Le materie scolastiche vanno ripensate come saperi dotati di una loro indipendenza epistemologica ma inscritti in un campo di esperienza emotiva praticabile nella vita scolastica; ci si deve riappropriare delle nuove finalità educative, non eliminandole o trasformarle in precetti morali. I vari tipi di educazione spesso visti come tali, come quella sessuale o al benessere e anche l’educazione interculturale, non devono essere un di più, anzi, devono trovare il loro spazio nella normale attività scolastica, i cui protagonisti ribadiamo essere gli adolescenti. Lo stesso vale per i corsi di formazione. La latenza pedagogica La clinica della formazione è stata sperimentata ed elaborata negli ultimi anni e si situa nello spazio di un training e di una supervisione pedagogica del lavoro educativo. Si basa su un percorso in piccolo gruppo a partire da un’attività di 1) narrazione di concrete vicende informative, a cui segue 2) una categorizzazione delle rappresentazioni formative implicite, con lo scopo di tratteggiare il modello di comprensione che orienta la definizione di obiettivi, contenuti e strumenti di controllo della programmazione didattica. Successivamente opera 3) una pratica ermeneutica, intesa come costruzione e decostruzione continua di aspetti educativi e dell'immaginario pedagogico. L'attività clinica si configura come destrutturazione delle componenti simboliche e materiali di una certa situazione formativa e come un setting di lavoro volto ad esplicitare le caratteristiche proprie di qualunque setting pedagogico. Tale clinica formativa si occupa di dimensioni relative ad una latenza pedagogica, ovvero ad aspetti impliciti e nascosti dell'esperienza educativa che chiedono di essere riconosciuti e tematizzati tra mondo della formazione e mondo della vita. Latenza pedagogica: oltre ad essere referenziale e cognitiva, le sue strategie inconsapevoli la rivelano anche come latenza affettiva (interpretazione del codice affettivo della formazione) e procedurale (il dispositivo di elaborazione). La proposta Berlinguer Il ministro Berlinguer propone una riforma di riordino dei cicli scolastici nella loro globalità. Lo schema è: rendere obbligatorio l’ultimo anno di materna; il ciclo primario dura sei anni, sostituire la scuola media e il Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) biennio delle superiori con una scuola triennale di orientamento; prevedere una scuola superiore che si conclude a diciotto anni. La scuola di base dura quindi sette anni, mentre la durata complessiva degli studi è di tredici anni, distribuiti su tre livelli (ciclo d’infanzia, primario e secondario). Questa formazione non deve avere come obiettivo primario la trasmissione di conoscenze, ma coniugarle all’utilizzo del senso critico e alla capacità di indagine. La scuola di Berlinguer deve fondarsi su una concezione per obiettivi da verificare regolarmente. 1) ULTIMO ANNO DI MATERNA  prepara ai tempi scolastici 2) CICLO PRIMARIO (3 BIENNI)  primi due anni di alfabetizzazione, avvicinamento alla tecnologia e una lingua straniera; ultimo biennio di consolidamento 3) CICLO SECONDARIO  primo triennio  orientamento a. Primo anno  ventaglio di percorsi b. Secondo anni  scelta indirizzo (si può cambiare in corso) c. Ultimo anno corsi di formazione + esame 4)  secondo triennio  professionalizzante + esame di stato La funzione del personale scolastico diventa indispensabile, soprattutto i tutor, figure di aiuto e sostegno. La risposta del ministro Il documento di Berlinguer risulta molto insolito per la sua volontà di ristrutturare complessivamente del sistema scolastico. Anche questa riforma ha però dei punti critici: innanzitutto, il fatto che anche il ministro non prenda in considerazione la rimozione di tutti gli aspetti enunciati prima, ribadendo la considerazione della crisi della scuola da parte della sinistra altamente superficiale. La dimensione affettiva è, quindi, ancora ignorata, come i processi di socializzazione, il rapporto con le famiglie e la vita scolastica. Per riformare la scuola non basta ripensare gli obiettivi, ma analizzarla come dispositivo di ripartizione dei tempi, spazi e attività, cosa che rimarca la sua missione cognitiva e la sua differenza dalla vita diffusa. Ci sono diversi rischi per quanto riguarda la ripartizione degli anni di formazione: alcuni esempi riguardano l’università, licealizzata, e la scuola elementare come formato ridotto della scuola media, la quale è abolita. Quello che conta, alla fine, è ripensare la scuola globalmente, non solo nel suo apparato istituzionale, ma nell’esperienza individuale. Cultura alfabetica e nuove tecnologie L’analfabetismo evidenzia il fallimento della forma- scuola tradizionale e della fiducia illuminista nel potere emancipatorio dell’istruzione. Sono diffuse forme di analfabetismo sociale ed emotivo. L’unico modo per affrontare la questione dell’analfabetismo consiste nel farla emergere sullo sfondo delle mutazioni antropologiche prodotte un tempo dalle pratiche della lettura e della scrittura, ma ora indotte dalle nuove tecnologie. L’alfabeto e la stampa sono stati i due media che hanno determinato i caratteri della nostra esperienza, configurando l’apprendimento come una visualizzazione di segni. Lo sviluppo della scuola si accompagna alla decadenza delle componenti dialogiche della parola e dell’oralità, svalutazione delle forme pedagogiche essenziali come la narrazione, la musica, la danza, la recitazione e la memorizzazione apprenditiva. Un pensare per concetti invece che per sensazioni. Le nuove tecnologie di impaginatura e la scoperta della stampa renderanno possibile la comparsa del libro che ci proietta verso la sistematicità, la linearità e l’ordine, formando così l’individuo moderno e trasformando lo stile di vita e di pensiero. Dewey è stato il pedagogista che ci ha ricordato che l’istruzione deve essere rivolta a delle persone che agiscono, soffrono e godono. Il ritorno all’oralità ripropone il paradigma alfabetico stravolgendolo in testo elettronico. L’essenza stessa della pedagogia risulta minacciata da questa esistenza apriva di dimensione emotiva. A questa visione si contrappone l’entusiasmo di essere digitali. L’informatica infatti permette una diffusione rapida del sapere. L’educando può selezionare a piacere tutte le risorse disponibili e il formando darà vita ai dati di conoscenza, non più l’istruttore che pretende di Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) porli in sequenza rispetto a obiettivi determinati. Cosa vi è di più pedagogico della realtà virtuale? Il tempo e lo spazio risultano strutturati in modo diverso, rendendo possibili comunicazioni non sincroniche indipendenti da collocazioni specifiche. Essere in rete significa passare dalla personalizzazione alla socializzazione liberata dal qui e ora. L’educazione può essere vista come una conversazione infinita tra individui di qualsiasi cultura ed età. Quali conseguenze determina sulla nostra alfabetizzazione scolastica l’irrompere di una nuova oralità ma di una nuova cultura digitale? Cosa implica l’analfabetismo digitale e multimediale della scuola in una cultura caratterizzata dalle nuove tecnologie della parola? Tali tecnologie sono portatrici di esperienza. Per questo si configurano come dispositivi pedagogici. È soltanto a livello di dispositivo pedagogico che può avvenire l’incastro tra tecnologie educative e tecnologie informatiche. La formazione scolastica deve porsi in sintonia con l’azione di quei formatori che sono i mass media. Le tecnologie della parola necessitano di apparati educativi specifici. La materialità della formazione diffusa richiede una materialità corrispettiva di ordine educativo dentro e fuori la scuola. L’istruzione dei mass media non suscita più una risonanza significativa. La scuola dovrebbe ritrovare una propria autonomia, uno spazio capace di equilibrare e rielaborare le influenze esterne. La pedagogia deve presidiare lo spazio della scrittura e della lettura, valorizzando le componenti corporee, emotive e sociali. Chiede di essere pensata sotto il segno di una materialità specifica in cui cultura alfabetica, cultura massmediologica e cultura digitale si ricompongono funzionalmente. Dalla conoscenza e dalla interpretazione di sé, si può costruire una alfabetizzazione mirata a ricongiungere oralità e scrittura. Nella scuola non si devono riproporre le stesse forme di vita che i ragazzi subiscono altrove ma bisogna agirle ed elaborarle. Oltre un nuovo attivismo La scuola è un riflesso dell’agire sociale e fa parte della realtà. Deve indurre apprendimento di competenze effettive, capacità di successo, padronanza di abilità e saperi fondanti. Il darwinismo sociale nella scuola non è più ammesso, niente più differenze di casta. La scuola deve educare, rendere autonomi, insegnare a trovare parti buone dentro di sé, modificare le relazioni con gli altri, apprendere dall’esperienza. La scuola è stata un campo di innovazioni e creatività operate dagli insegnanti. La scuola chiama in causa la possibilità di comunicazione tra adulti e ragazzi. Con il laboratorio e l’attivismo da cui deriva si ha la possibilità di mutare la forma della scuola. Ma questo scontra con la valutazione e la disciplina. Per quanto riguarda lo spazio e il tempo si ha la necessità di superare una concezione pressurizzata dell’ambiente fisico. È importante insistere su una delimitazione dello spazio e del tempo scolastici. Devono essere ridimensionati lasciando gli edifici scolastici a disposizione per qualunque iniziativa. Bisogna dare corpo alla scuola sostituendo alla disciplina le regole rigorose di un setting predisposto per l’istituzione di un campo di esperienza. Si deve usare la metodologia del problem solving, lavorare attraverso forme di coordinamento pedagogico, su spazi, tempi, simboli, immagini, corpi, rituali, ricreare la scuola come spazio di vita, di espressione e di ricerca, assicurare una supervisione di clinica della formazione per la rielaborazione cognitiva e affettiva di questo lavoro e dei conflitti che deve attivare, tornare a pensare per attività latenti. L’attivismo tradizionale è fallito ma i ragazzi non reggono più il teatrino delle lezioni tradizionali. Avventura e corporeità Compito della scuola è accendere il desiderio attraverso il corpo e l’avventura: il primo, attraverso l’avventura, esercita presa sul mondo; l’altra evoca il tempo e fa vivere il corpo. L’avventura, il gioco, il corpo, il cinema e la musica fanno scuola oggi, non sono attività complementari. Mentre il cinema e la TV si appellano al corpo virtualmente, la scuola deve lo deve riconsegnare alla vita reale: solo così essa può entrare il contatto con questo. Avventura vuol dire viaggi, scambi e lingue diverse, non semplici esperienze soggettive. Un’altra caratteristica fondamentale è che la scuola del corpo dev’essere una scuola tecnologica in una funzione espressiva e strumentale; poi la scuola dev’essere un luogo di professionismo e Document shared on https://www.docsity.com/it/riassunti-libri-jole-orsenigo-2023-24/11154182/ Downloaded by: federica.molinari.541 ([email protected]) professionalità. Però lavoro e tecnologia interessano la scuola solo in quanto facenti parte di un dispositivo di avventura e corpo. Punteggiature Nell’ultimo paragrafo, Massa evidenzia ancora che la scuola debba essere attenta alle dinamiche affettive come i processi di transfer e alle rielaborazioni delle esperienze di gruppo, sottolineando quindi che nell’esperienza scolastica nulla va lasciato al caso. Passare oltre Se si vuole una scuola in cui i ragazzi non vengano valutati rispetto alle loro competenze, essi non imparano niente e il loro sviluppo emotivo è compromesso dalla mancanza di prescrizioni e di valutazioni adeguate. Per questo sono confusi, compiono gesti distruttivi e non viene rafforzato il loro apprendimento. In realtà non è stato detto che non si deve valutare o imporre regole determinate, ma che non si può ridurre a questo la sua natura. La scuola deve cambiare perché la realtà esterna è cambiata. Si deve tenere conto del mondo interiori dei ragazzi. La scuola non deve essere un luogo in cui far vedere se si è riusciti ad imparare o no. Cambiare la scuola vuol dire mutare il paradigma della comunicazione e dell’organizzazione didattica, ridefinire la posizione degli insegnanti, dei ragazzi, dei genitori. Bisogna partire dall’esperienza negativa che i ragazzi trovano nelle scuole, dal risentimento dei genitori per questa oppressione. Bisogna usare i test come strumento di insegnamento e di apprendimento a fianco di altre tecniche didattiche e di altre modalità di valutazione, non come espediente di selezione arbitraria all’inizio o alla fine di un cero ciclo scolastico. Punizioni non bocciature, possibilità di acquisire abilità ed esercitare competenze piuttosto che emissione di verdetti. Esplorazioni e sperimentazioni, prove di gruppo o individuali, non compiti a casa o interrogazioni. Questo non vuol dire non valutare. Sono le mutazioni dei linguaggi e delle forme di esperienza a chiedere di ridisegnare la scuola. È la fede in una istituzione fine a sé stessa o in valori assoluti ad andare contro la tendenza dei giovani a ricostruire le condizioni della propria esistenza. La scuola deve essere lo spazio di elaborazione cognitiva e affettiva, a partire da esperienze di stupore e di scoperta del mondo. Una scuola come contesto integrato all’ambiente sociale. Una scuola c

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