Riassunto Pedagogia del Corpo - Gamelli PDF
Document Details
Uploaded by NobleDrums
Università degli Studi di Milano Bicocca
Tags
Summary
Questo documento presenta un riassunto del corso di Pedagogia del Corpo presso l'Università degli Studi di Milano-Bicocca. L'autore del riassunto evidenzia l'importanza della narrazione corporea e dell'autobiografia come paradigmi educativi. Il documento è strutturato in punti e sotto-punti.
Full Transcript
lOMoARcPSD|10938894 Non solo a parole riassunto - Gamelli Pedagogia del corpo (Università degli Studi di Milano-Bicocca) Scan to open on Studocu Studocu is not sponsored or endorsed by any college or university Downloaded by Evel...
lOMoARcPSD|10938894 Non solo a parole riassunto - Gamelli Pedagogia del corpo (Università degli Studi di Milano-Bicocca) Scan to open on Studocu Studocu is not sponsored or endorsed by any college or university Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 Non solo a parole – riassunto 1. RACCONTATI DAL CORPO La narrazione corporea è intesa come la parola di un soggetto che parla del proprio corpo, quasi mai la prassi pedagogica sviluppa anche l’articolazione inversa, dal corpo alla parola. La storia di ogni essere umano è racchiusa nel suo corpo, perciò una parte di essa è destinata a restare inaccessibile alla conoscenza: il corpo comunque racconta sfidandoci alla comprensione dei suoi messaggi, da sempre oggetto di imprescindibile interesse per le scienze dell’uomo. Fra i modi in cui si può declinare la narrazione di sé, la più affascinante è l’autobiografia corporea. Il corpo è situato nel tempo e nello spazio, le età del corpo si intrecciano con la vita: esistono un corpo neonato, un corpo giovane, adulto, uomo e donna. Il corpo è il segno tangibile di un destino, di un legame genetico visibile con chi ci ha preceduto, e allo stesso tempo di un rapporto assolutamente personale con quanto via via ci accade trasformandoci. *esperimento delle due persone che si guardano il volto e lo “confrontano” con persone realmente presenti nella loro vita* Al vero incontro con l’altro che precede ogni esperienza concettuale, Lèvinas assegna il nome di visage, volto. È dal volto, presupposto di tutte le relazioni umane, che inizia e si rende possibile ogni discorso. L’altro mi guarda e mi ri-guarda liberandosi dell’idea che di lui ho in mente. Autobiografie corporee. Educare significa mettere in relazione ciò che siamo con ciò che facciamo, sentiamo, pensiamo. Come integrare corpo e parola, nelle loro diverse declinazioni, senza limitarsi a giustapporli? Che l’educazione intenzionale di un gruppo si inscriva sempre su uno sfondo caratterizzato dalle storie di coloro che la fanno è un fatto incontrovertibile. Ogni intervento educativo è un intreccio di autobiografie. Innanzitutto l’autobiografia è un vero e proprio paradigma educativo; educare attraverso l’autobiografia è innanzitutto riconoscer che per quanto la narrazione in sé contenga un’implicita valenza educativa richiede la predisposizione e la cura di un dispositivo autobiografico tale da renderne visibili e connesse tra loro le finalità perseguite, il contesto nel quale esercitarle e le pratiche applicabili. La diffusione pedagogica dell’autobiografia ha saputo costruire proposte capaci di porre il soggetto al centro del percorso formativo, restituendo ai suoi vari ambiti la voglia di ricercare, di ricordare e di ragionare. L’educatore formato all’autobiografia si caratterizza perché in grado di intrecciare creativamente le narrazioni autobiografiche con la sperimentazione di altre modalità per dirsi, misurarsi con la molteplicità dei linguaggi. La prima grande virtù di un educatore non è la parola, ma l’ascolto: l’educatore che ascolta è l’educatore che educa. Pensare a un’esperienza educativa come a una composizione musicale, caratterizzata da momenti intensi e momenti lenti, da fasi individuali e fasi collettive, dal ricorso alla parola e da esperienze corporee. La qualità dell’esperienza dipenderebbe da come questi momenti si compongono tra loro; la qualità particolare di uno stesso momento può essere contaminata dalla qualità di un altro. 2. NARRARE IL CORPO, A MANO A MANO Pratica di formazione autobiografica di gruppo con giovani studenti adulti e poi riproposta in contesti di cura. 1. Si formano liberamente delle coppie 2. Prendetevi le mani ad occhi chiusi per alcuni minuti e poi distaccatele 3. Raccontatevi la storia delle vostre mani reciprocamente: libero emergere di memorie 4. Individualmente scrivete la storia delle mani dell’altra persona, senza giudizi o interpretazioni 5. Condivisione in gruppo e dono del proprio racconto 6. Individualmente ricalcate la forma della propria mano su un foglio e disegnateci dentro qualcosa di personale Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 7. Condivisione in gruppo Il corpo, a partire dalle sue memorie implicite, dai suoi segni che lo inscrivono, è il nostro primo tessuto biografico. Da questo corpo che siamo, parte il nostro modo di stare in relazione al mondo e agli altri. Avere a che fare con la narrazione di sé (qualsiasi linguaggio scelto) è avere a che fare con emozioni, affetti, sentimenti, che appartengono al corpo e che emergono qui e ora, nel ripescare ricordi e nell’espandere immaginazioni. Ogni narrazione di sé è anche ricerca della metafora “adatta”. Cercarsi attraverso la propria storia è un atto per sentirsi “relativamente liberi”, per cercare forma. Jung -> immagini, scritture, narrazioni sono una via per tradurre l’ignoto che preme dentro, per dargli forma a partire dalle emozioni. La via della narrazione di sé può intrecciare la ragione, che prende le distanze attraverso la riflessione, la critica, l’analisi e l’immaginazione che procede attraverso un’adesione spontanea al mondo, sintetica e intuitiva. Quali corpi, quali narrazioni. Scrittura come linguaggio autobiografico. Per essere noi stessi “dobbiamo avere noi stessi – possedere, se necessario ri – possedere, la storia del nostro vissuto. Dobbiamo ‘ripetere’ noi stessi, nel senso etimologico del termine, rievocare il dramma interiore, il racconto di noi stessi. L’uomo ha bisogno di questo racconto, di un racconto interiore continuo, per conservare la sua identità”. Nel corpo vi è il ricordo, e gesti e parole del presente gli ridanno vita. Ricordare, rimembrare, rievocare tengono insieme il senso della memoria in tutte le sue parti corporee: cuore, membra, voce. E la memoria rappresenta “la massima espressione dell’immaginazione”. La costruzione narrativa di sé è uno dei modi in cui si elabora la propria identità, e riprendere i nessi del racconto interiore può salvare dal caos e abissi. E la narrazione è un atto almeno a due, anche quando l’interlocutore è il narratore stesso. Un’azione, un’interazione. Il corpo dell’immaginazione. Reale e simbolico non sono mai separati, ma connessi: siamo e insieme abbiamo un corpo. Il corpo è presenza, è poesia, è metafora, esprime ed è allo stesso tempo la propria espressione. Metafore corporee che riempiono la nostra vita quotidiana -> “ho perso la testa”, “ce l’ho nel cuore”, “terrò la bocca chiusa”, “sto con le mani in mano” … La metafora ci richiama quell’ampia disposizione che è caratteristica della nostra specie: la facoltà di immaginare altrimenti, ossia “di costruire quella realtà culturale che ci permette di stare al mondo facendo il mondo nostro”. L’immaginazione ha potere terapeutico: “storie che curano”. Ogni narrazione è una via metaforica, è una delle modalità possibili con cui avvicinarsi a noi stessi, alle nostre relazioni, al nostro stare al mondo. Lavorare sulle metafore è necessario anche per divenire più consapevoli delle proprie “metafore personali”, delle proprie cornici, che sono individuali e culturali, sociali, storiche: per capire il proprio punto di vista occorre cambiare punto di vista. In parte le metafore le scegliamo, in parte ne siamo inconsapevolmente immersi. Tracciare un segno sulla vita, questo è il senso etimologico della parola “biografo”. Un atto corporeo attraverso cui lasciare un’impronta, e finchè siamo in vita è il nostro corpo a trasportarla. Anche fin là dove immagina. 3. METTERSI IN GIOCO Due imprescindibili caratteri del gioco sono la sfida e la casualità. La sfida è il contrasto regolamentato, la dichiarazione consapevole, lo sconosciuto conoscibile; la casualità è, al contrario, l’imponderabile, l’imprevedibile, l’incontrollabile. È proprio questa unione equilibrata di strategia e di casualità a rendere unico e magico il gioco. Il gioco nel tempo ha assunto forme diverse, riconducibili a temi importanti: - Tema del percorso. Giocare col tempo. - Il tema della relazione. Giocare con gli altri. - Tema dell’ignoto. Giocare con la sorte. - Tema della ricerca interiore. Giocare con i propri contenuti interni. Roger Caillois distingue 4 tipologie di gioco: Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 - Agon: padronanza di sé, affidamento del giocatore nelle proprie capacità e responsabilità. Presenta le caratteristiche della competizione e di rivalità - Alea: il gioco non dipende dal giocatore ma dal destino e della sorte. Il giocatore è totalmente passivo. - Mimicry: il piacere diviene quello di uscire da se stessi per diventare altro. Presuppone l’accettazione temporanea dell’illusione e la trasformazione dell’individuo stesso in un personaggio immaginario. Presenta tutte le caratteristiche del gioco, ovvero regole, libertà, sospensione del reale, spazio e tempo delimitati. - Ilinx: giochi che si basano sulla ricerca della vertigine, nel tentativo di destabilizzare la percezione. Il mondo del gioco non ha solo caratteri di divertimento, non è solo un mezzo per “passare il tempo”. È diffusa la tendenza a guardare con simpatia al bambino che gioca, ma le cose cambiano quando ci si riferisce all’adulto poiché si considera il gioco poco rilevante sul piano della produttività economica. Per gli adulti il gioco si riduce al tempo libero, residuale. Anzi in età adulta il gioco assume una connotazione negativa (“a che gioco stai giocando?”). Il gioco è una grande metafora positiva dell’educazione per ogni età della vita, un modo di raccontare e di raccontarsi, luogo elettivo delle elaborazioni, dei significati, delle ansie degli uomini e delle donne di ogni latitudine del pianeta. Corpo, gioco, sport. Prendendo come esempio la scuola, l’educazione motoria e fisica non possono essere identificate solo come attività di promozione della pratica sportiva. Nella tradizione educativa greca, lo sport, il teatro, le arti, si alimentavano dell’identico progetto culturale: le tragedie greche, le dispute filosofiche, come le celebrazioni sportive, erano insieme occasioni di costruzione di una forte identità sociale. Nella società contemporanea di è indubbiamente dissolto il rapporto fra corpo e mondo che esisteva all’origine, relegando lo sport in uno spazio altro, separato. Nella sua rappresentazione più autentica, lo sport costituisce il naturale prolungamento, oltre l’età dell’infanzia, del gioco corporeo del bambino, con cui siamo entrati nel mondo imparando ad abitarlo. Il piacere del movimento spontaneo, da Piaget in poi, è il piacere di vivere il proprio corpo nell’esercizio spontaneo e libero del movimento. Questo piacere, che passa attraverso una molteplicità di pratiche (saltare correre dondolarsi pedalare), tende a essere precocemente finalizzato e specializzato, mentre andrebbe rispettato e tutelato nei suoi tempi di sviluppo. Nella pratica sportiva, a un giovane come ad un adulto è data la possibilità di ricontattare quel piacere originario del movimento, essere un corpo vivo che si relaziona ad altri corpi vivi, di esercitare nel tempo e nello spazio le proprie molteplici potenzialità espressive. Una dimensione che trascina con sé la dimensione del conflitto, perlopiù nella forma del litigio, che tende ad essere negata moralisticamente, senza che siano offerte occasioni di riflessione e di elaborazione dell’aggressività sottese a questa inevitabile forma di espressione dell’emotività umana. Il conflitto è una modalità della relazione con gli altri che assume la perturbazione come strumento di riconoscimento reciproco. In quest’ottica si può ben collocare un più equilibrato rapporto tra sfida e cooperazione, la cui contrapposizione ideologica, rappresenta spesso un falso problema. La parola sport viene dal latino “deportare”, “uscire fuori” -> deportar/desporter -> disport -> sport. Per Riccardo Massa: educare significa “condurre altrove”, all’aperto, in un luogo lontano e diverso, teso a generare l’esperienza, nel soggetto in formazione, del trovarsi altrove. Lo sport consente di esplorare l’ambiente e di mettere in gioco possibilità alternative; abituati come siamo a identificare l’educazione allo sport con uno spazio attrezzato e specifico abbiamo in buona parte svuotato di senso questa possibilità, così come abbiamo limitato il fare scuola alla presenta di cattedra e banchi e identificato il fare teatro con un palcoscenico rivolto verso una fila di poltroncine. Educare allo sport deve necessariamente comportare l’opportunità di riappropriarsi degli spazi del “selvatico”, del “non addomesticato”. La parola sport dovrebbe designare un’azione che recuperi la presenza dell’individuo nel mondo come espressione di unicità e alterità. 4. COME A TEATRO Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 Il teatro può essere fatto ovunque e l’unica cosa essenziale è la presenza viva di un corpo in scena. Si può rintracciare un’origine del teatro nelle attività simoliche che i bambini praticano fin dalla prima infanzia, attraverso i giochi che costantemente mettono in scena: il “far finta di” rappresenta, a tutti gli effetti, una sorta di originario prototeatro. Il teatro si è sempre trovato nella sua ricerca a interrogarsi e a sperimentare intorno a categorie istitutive della stessa educazione: il testo, il corpo, lo spazio, il tempo. È il corpo dell’educatore a doversi innanzitutto “fare teatro”: esempio del raccontare una fiaba a un bambino (voce del lupo/voce della fatina). Nel teatro ogni singolo soggetto può dire di sé pur raccontando di altro. Il teatro permette di agire sulla scena formativa elaborando temi vitali e, allo stesso tempo, permette di essere coscienti della finzione consentita da questa elaborazione. Un incontro fertile da favorire. Riccardo Massa: “ciò che è vero nell’educazione è vero nel teatro e viceversa”. Tutto ciò che avviene sulla scena è dato dall’esistenza di una “partitura corporea” (fatta di parole, gesti, voce) grazie alla quale di produce una qualità di presenza fisica capace di alimentare a sua volta l’attenzione di chi partecipa, gli attori ma anche il pubblico. La chiave educativa del teatro sta nella regia che produce un simile risultato. Il regista è il responsabile capace di guardare alla scena come a un corpo unico, vivente, in movimento. I suoi punti di forza sono: - La cura dello spazio - La presenza corporea dell’attore - Gli screens Per incontrare l’educazione il teatro deve interrogarsi, attraverso il suo progetto artistico, su quale sia il suo progetto pedagogico. 5. AVVENTURE CORPOREE Esiste un forte retaggio che vede l’educazione come pratica da svolgere perlopiù in luoghi chiusi; è sempre più raro vedere bambini arrampicarsi sugli alberi o rotolare sul prato, la dimensione del rischio è praticamente scomparsa. Parallelamente si sono sviluppate delle pedagogie alternative che fanno dell’avventura in natura un dispositivo pedagogico particolarmente interessante -> scoutismo, “Casa- laboratorio di Cenci (Franco Lorenzoni). L’idea nascente della Casa era quella di costruire buone pratiche per bambini e adulti in grado di recuperare una sensibilità ecologica del pianeta che non si limitasse ai progetti di educazione ambientale. Il loro modo di fare scuola era composto dal fare, il mettere concretamente in gioco tutto il proprio essere in quel che si intraprende, avere come mezzo e come fine la realizzazione etica dell’interezza di tutti e di ciascuno. La centralità del corpo ha sintetizzato per anni l’idea di una pratica didattica fondata su una relazione educativa globale, in grado di coinvolgere l’interezza della persona. Cominciare col camminare. La storia dell’umanità inizia coi piedi; siamo sapiens grazie alla capacità di spostamento sulle lunghe distanze che ci ha portato lontano, a esplorare di volta in volta i nostri limiti. Il pensiero si sviluppa insieme alla conquista del cammino, non a caso ogni bambini accede al linguaggio solo dopo aver conquistato la deambulazione eretta. Camminare e pensare sono pratiche interdipendenti; il camminare è anche e soprattutto un’attività simbolica ed espressiva. “camminare ha un qualcosa che anima e ravviva le mie idee” – Rousseau. Occorre la lentezza propria del camminare, la stessa che caratterizza il funzionamento lento del nostro corpo, per sintonizzare il “dentro” con il “fuori”, per generare quella risonanza fertile fra azione e pensiero, biologia e cultura. Per una pedagogia dell’avventura. Conversazione con Riccardo Massa. Quali sono i significati forti dell’avventura dal punto di vista formativo? Quali sono i luoghi dell’avventura? Il significato forte, la ragione prima, dal punto di vista formativo dell’avventura, sta nella necessità di offrire ai ragazzi esperienze che consentano loro di diventare nel futuro adulti con minor bisogno di compensazioni emotive, affettive ed esperienziali, di quanto attualmente gli adulti non sembrino avere. I luoghi Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 dell’avventura sono i luoghi dell’avventura extrascolastica: quelli tradizionali del tempo libero, delle vacanze … ma comunque il luogo dell’avventura per eccellenza resta il luogo di pratica di vita di bambini e ragazzi insieme ad adulti. Avventura come occasione di crescita intergenerazionale. Avventura come modalità di vita, nell’arte, l’estetica, il gioco … Avventura come spazio privilegiato di esercizio della corporeità 6. AUTOBIOGRAFIE SENSIBILI Incarnare il proprio metodo. Nascere e morire riguardano la nostra durata biologica e assumono valore simbolico èer ogni aspetto della nostra esistenza. Per chi si occupa di educazione e di cura, l’ascolto di sé è il primo passo indispensabile per porsi in ascolto dell’altro. Pur con resistenze e fatiche, attraverso l’autobiografia e la narrazione di sé ci si inoltra nella ricerca del senso della propria esistenza, nel tessuto delle molteplici identità che appartengono a ognuno, e che si riscoprono in direzione del proprio percorso di vita e professionale. Tradurre la vita. Scrivere di sé consente di attraversare in prima persona una via di ricerca nella quale accompagnerete altri, anche nei tratti di conversazioni quotidiane. Sperimentare la narrazione autobiografica consente di vivere una modalità di stare in relazione innanzitutto con voi stessi prima che con l’altro: ne emerge ulteriore consapevolezza sul proprio essere educatori. Nella narrazione e nell’ascolto, si cerca una traduzione in parole, immagini, simboli, sguardi, gesti delle “cose” della vita, tra linguaggi irriducibilmente diversi e mondi possibili da incrociare. La narrazione biografica e autobiografica, in ogni linguaggio espressivo, diventa così anche la traduzione dell’evoluzione della vita nelle relazioni, incluse le particolari relazioni dei setting educativi e di cura. Jung affermava che il metodo è il terapeuta, e lo è anche l’insegnante, l’educatore. Spunti per un’autobiografia sensibile al corpo. Alcune modalità attraverso cui guardarvi e raccontarvi, ruotando attorno all’io e trascendendolo. Concetto di “trascendenza”: la trascendenza non indica una realtà “altra” trascendente e inattingibile, nel senso metafisico o religioso del termine. Essa è piuttosto immanente alla vita e si palesa come la capacità di stabilire delle connessioni con qualcosa di più grande dell’io e di percepirsi come parte di esso, riconoscendo in questa privilegiata esperienza di senso che esistere è prendere parte a quella tessitura dell’ordito del mondo che i buddhisti chiamano tantra ma che altro non che la vita stessa. Le trascendenze si intrecciano allo scopo degli esercizi antichi, esercizi del corpo ed esercizi dell’anima, di rapporto con il sé, di rapporto con il cosmo ed espansione dell’io, del rapporto degli altri e la figura del Saggio. Questo movimento verso le trascendenze è possibile sia con noi stessi sia nelle relazioni con gli altri. La filosofia antica (Hadot) era legata all’azione concreta del singolo e della collettività nel mondo. La filosofia ha come origine quindi una vocazione attiva, dove corpo e mente non sono distinti. Filosofia diviene un metodo formativo che non consiste nell’insegnamento di una teoria astratta ma in un’arte di vivere, in un atteggiamento concreto. La scrittura come viene proposta è dunque anche un esercizio filosofico, inteso in questa direzione di pratica che accompagni la propria ricerca di senso nella vita. Esercizi: - L’alfabetiere del corpo - Scrivo una lettera al mio corpo - Quella volta che … - Racconto la mia nascita - Immagino la mia morte - Scelgo un tema - Apro un album di fotografie mie e di altre persone o una scatola di lettere, una pagina di diario … e da lì parto a scrivere Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 2 esercizi che prendono spunto dalla filosofia antica e dalle pratiche filosofiche, a unire il corpo nel qui e ora con l’autobiografia, se stessi con il mondo della natura: - Spazio nel tempo 1. Cerca un luogo tranquillo e sdraiati su un prato. Chiudi gli occhi e senti gli elementi intorno a te, poi apri gli occhi e osserva la microvita che ti circonda nell’erba. 2. Cerca una notte stellata senza nuvole lontano dalle luci della città e osserva gli astri nel cielo. A seguire scrivi o rappresenta simbolicamente attraverso il disegno o la scrittura le tue sensazioni. - Tempo nello spazio Isolati e guarda uno spicchio di celo, immagina di salire la su … poi chiudi gli occhi e immagina di vedere il nostro pianeta a distanza e contempla dall’alto Queste proposte si ispirano all’esercizio dello “sguardo dall’alto”. L’esercizio comunica un senso di appartenenza innanzitutto corporea verso ciò che costituisce “fisicamente” tutto l’universo, un senso che ci avvicina a ogni essere animato e inanimato. Questo esercizio diventa anche un possibile esercizio di “meditazione sulla morte”, e dunque un invito a entrare in profondità nella vita che ci è stata data da vivere. Simbolicamente “morte” sono tutti i passaggi, le trasformazioni, le fini che la nostra vita attraversa. Esercizio sul nostro nome, che ha un’immediata pregnanza corporea, incarnata nella nostra voce quando ci presentiamo con esso, e nelle voci di tutti coloro che ci hanno chiamato. La pratica di scrittura autobiografica proposta in questo esercizio è un inizio di apertura consapevole al collettivo e ai suoi “limiti” a vari livelli: dal proprio vissuto sul nome alla famiglia di origini e al contesto culturale … Il mio nome: - Racconta le origini del tuo nome - Racconta alcune tappe del tuo vissuto in relazione al tuo nome - Racconta cosa sai delle origini etimologiche del tuo nome - Su un foglio bianco fai una cornice e inserisci al suo interno la tua firma e il nome di altre persone significative - Ricorda le voci di chi ti ha chiamato e falle risuonare - Su un altro foglio rappresenta il tuo nome tramite disegno o scrittura 7. LO SGUARDO: VERSO LA MITOBIOGRAFIA Quali sono i primi strumenti nelle professioni educative e di cura? Quali effetti produrranno? Un esercizio per “affinare gli strumenti” è quello dello “sguardare”, che apre ad altre riflessioni sul vedere, ne amplia il senso, nella direzione di sensibilità biografica. Sguardare è un guardare che sia un immaginare, dove il rapporto tra significato e significante diventa intermittente e genera risonanze che aprono nuove possibilità di comprensione. Cogliere l’invisibile nella scena che ci sta difronte. Al modo di guardare si correla il modo di vivere. Lo sguardare e il doppio sguardo sono esempi di possibilità di visione fondamentali nella cura e incarnate nel corpo della vita. Il nostro sguardo sull’esterno è sempre dall’interno, ma è anche vero che ogni sguardo del mondo influisce su di noi. La nostra vita è uno scambio di sguardi. Lo sguardo tra mondi. I primi altri che abbiamo incontrato sono stati nella nostra casa natìa. I primi atri sono quelli che si incontrano ogni mattina quando riapriamo gli occhi; e poi ci sono i volti che vediamo e incrociamo quando usciamo dalle mura domestiche, negli altri luoghi da abitare. Le strade e le case nella letteratura psicanalitica sono immagini di chiusure e aperture, di ciò che va ricordato o dimenticato. Può valere anche per la scrittura autobiografica, che lavora sul tempo, la memoria, l’immaginazione, il passato, il futuro. Nella scrittura autobiografica siamo, tra le tante possibilità, nella navigazione di un fiume che intreccia tempi, luoghi, esistenze, piani narrativi, e navighiamo mentre il fiume della vita si muove qui con noi. Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 La vita, l’incontro con luoghi altri, gli altri, cambia gli sguardi, le mappe, le forme. Se siamo disponibili a lasciar modificare il nostro sguardo, l’incontro con altri luoghi lo amplia, lo trasforma, lo arricchisce. Il diritto allo sguardo, tra i miti del nostro tempo. Alcuni sguardi verso la biografia degli umili, e di singoli individui, diventa un segno storico, in una lentissima trasformazione della Storia. Tanti “ognuno” che emergono dopo essere stati messi sotto silenzio per millenni. Emerge in un certo periodo della storia il diritto alla biografia, che è anche diritto alla vita come riconoscimento. Non avere diritto alla biografia significa anche non essere visti come esseri umani. Nella narrazione autobiografica, nello sguardo sulle biografie altrui, vicine e lontane dalle nostre, piano piano la prospettiva mitobiografica allarga il campo. La mitobiografia è quell’humus biologico, culturale, simbolico, mitologico in cui ognuno di noi cresce e vive. 8. LA POSTURA DELL’ASCOLTO Nell’antica Grecia i giovani si formavano alternando nei ginnasi l’attività fisica alle conversazioni con i filosofi alle lezioni dei retori (paideia); l’attività sportiva era ritenuta sacra. Per Platone le discipline del corpo e dello sport rivestivano un ruolo imprescindibile nella formazione del carattere dell’uomo sociale, elevando il corpo a vero e proprio soggetto politico. oggi il corpo appare assente dall’educazione e dalla cura. Se è vero che la pedagogia non può che essere sempre teoria congiunta a una prassi, nella pedagogia del corpo questo diventa radicale. Nei luoghi dell’educazione e della cura, la pedagogia del corpo si propone di sovraesporre e mobilizzare il corpo, sottraendolo alle tante teorie che si limitano a parlarne senza considerarne le concrete potenzialità espressive e relazionali. La chiave per accedere alla comprensione dell’approccio della pedagogia del corpo va ricercata nella parola “postura”. La coscienza della postura del corpo non è solo la coscienza che una mente può avere del corpo, ma comprende anche la coscienza incarnata che un essere vivente indirizza al mondo ed esperisce in sé (non si può percepire di essere seduti o in piedi senza percepire quella parte dell’ambiente su cui ci si siede o si sta). La postura si collega alla bioenergetica di Reich, sviluppata da Alexander Lowen -> agire sulla tensione muscolare per liberare l’energia bloccata. Il nostro sistema educativo tende a sottostimare la dimensione corporea propriamente fisica, implicata nella formazione di tensioni e traumi, sopravvalutando quella cognitiva (chi è arrabbiato vive in un corpo arrabbiato, chi è triste in uno triste). L’armatura implica una certa visione del mondo; ecco perché il cambiamento di postura auspicato dalla pedagogia del corpo implica un cambiamento profondo nel modo di guardare agli aspetti costitutivi della relazione educativa. I saperi educativi devono essere incarnati per evitare quella deformazione professionale che si riassume nella tendenza a teorizzare su tutto ciò che accade, applicando schemi di comprensione alla relazione senza riuscire a starci dentro. Uno spazio educativo non vale un altro, poiché educare non è solo riferirsi alla “testa” dell’altro escludendone il corpo, le sue sensazioni ed emozioni. Il contributo delle neuroscienze. L’uomo vive la maggior parte della sua esistenza in relazione con gli altri, per la sua natura intrinsecamente intersoggettiva, che non è solo questione esistenziale ma traspare anche a livello neuronale. La scoperta nei neuroni specchio ha portato alla formulazione della teoria della cosiddetta “simulazione incarnata”: l’intersoggettività non si realizza primariamente mediante l’attribuzione di stati mentali ad altri soggetti (quindi non è un fatto puramente mentale), ma attraverso un vero e proprio rispecchiamento di stati corporei. Quindi secondo il paradigma della simulazione incarnata le altre persone non sarebbero simili a noi in quanto dotate di una mente come la nostra, ma in quanto dotate di un corpo che non solo è simile al nostro ma potrebbe, addirittura, essere il nostro. In sostanza grazie all’attivazione dei neuroni specchio riusciamo a comprendere il comportamento altrui senza bisogno di pensare, codificando li atti motori altrui come se fossero compiuti dal nostro stesso corpo. Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 9. SENTIRE LA VITA Di ascolti e riconoscimenti. Il lavoro su di sé e sulla propria storia rende meno ciechi e sordi al proprio portato autobiografico: un educatore deve avere la necessità di porsi domande sul proprio ascolto, sulla propria empatia, sulla propria postura nelle relazioni di formazione e cura. La relazione è innanzitutto un evento “intercorporale” (Maurice Merleau-Ponty). Il dialogo, il rapporto tra l’io e il tu che creano la nostra identità coinvolgono oltre alle labbra gli occhi, le mani, il corpo tutto. Solo dal riconoscimento di sé può partire il riconoscimento dell’altro; la qualità del racconto dipende anche dalla qualità dell’ascolto, e da questo scambio dipende la qualità del riconoscimento che si genera. Per un ascolto che cura è necessario prendersi cura delle proprie modalità di ascolto. Nelle pratiche autobiografiche (e in quelle educative) si possono riconoscere differenti modi di raccontare la storia personale: ognuno può raccontarsi come oggetto, come soggetto, o come agente/attore. Se è rivolto a un oggetto, l’ascolto è colonizzante, ci si sostituisce all’altro. Se è rivolto a un soggetto, si cerca una relazione attraverso l’empatia, la chiarificazione, mirando allo sviluppo della persona in tutti i suoi aspetti; ma si trascurano i lati d’ombra, l’impossibilità di chiarificare ogni cosa. Se si parla di attori o agenti la strategia di ascolto è transazionale o sistemica: l’ascolto è un fare-insieme e tutti gli elementi della situazione sono collegati qui e ora. Nella comunicazione l’ancoraggio primario è quello di dare all’altro la certezza che può comunicare a sua volta e che verrà ascoltato in un clima di attenzione ed empatia -> spessore del ruolo del destinatario: l’ascolto richiama alla responsabilità. Nelle relazioni educative e di cura, cruciale per una buona riuscita del processo è la propria personalità, che non è data a priori ma rappresenta il massimo risultato che abbiamo raggiunto, il punto cui siamo giunti. Nella narrazione il riconoscimento ha funzione terapeutica, si tratta di ri-conoscersi, conoscere di nuovo ciò che si è conosciuto vivendo. Il tema del riconoscimento è da Ricoeur posto come questione filosofica fondamentale. Riconoscenza anche come ringraziamento di essere riconosciuti nella propria identità. Appunti di pratiche sensibili. Esempi di pratiche autobiografiche, sensibili al corpo, da proporre a gruppi o a singoli. Sono centrati sugli oggetti come modalità trasversali di guardare la propria storia e di ascoltare quella altrui, tra risonanze e dissonanze. (pag. 135) - Gli oggetti della cura - Io e il corpo - Il corpo nel tempo - La natura del corpo 10. DARE VOCE In ambito pedagogico, l’educazione della voce è associata allo sviluppo di una competenza artistica e assegnata all’educazione musicale. Oggi, si assiste a una forte riduzione delle occasioni di espressione musicale: si canta molto meno rispetto a qualche decennio fa. Dai primi suoni umani emessi è nata la melodia, con la quale noi ancora oggi esprimiamo e comprendiamo suoni in relazione alla gioia, al dolore ecc.; il ritmo, quale prodotto dell’alternanza tra toni e volumi alti e bassi, suoni e silenzio, lentezza e velocità è da sempre in connessione con la dimensione sensomotoria dell’esperienza. In senso fisiologico, la voce è una produzione del corpo, una vibrazione sonora dovuta alla vibrazione delle corde vocali grazie all’integrazione funzionale dell’apparato fonatorio con quello respiratorio. La voce è vibrazione, e ogni vibrazione ha una frequenza. Per un insegnante o un educatore la voce costituisce il principale strumento professionale. Uno strumento che egli utilizza costantemente per spiegare, per conversare, per richiamare, per dare e togliere parola. La voce è uno strumento potente, la sua Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 consapevolezza non equivale tanto ad acquisire delle tecniche, ma a riconoscere il modo con cui noi, attraverso la voce e a partire dalla nostra storia, entriamo in relazione con noi stessi, con gli altri e con l’ambiente che ci circonda. Una questione di ritmo. L’emissione della voce mostra delle affinità con il mettere al mondo, con il parto. Nell’utero materno, i suoni sono percepiti dal feto come vibrazione tattile sulla pelle. Venendo alla luce e crescendo, ci si apre alla relazione grazie all’importanza dei vissuti tonico-emozionali, vale a dire la capacità propria del neonato di interpretare e dare senso alla comunicazione adulta a lui rivolta filtrandola attraverso le proprie risonanze corporee. Nell’emettere suoni, nel rispondere a sua volta con la voce, si dimostra capace di far vibrare tutto il suo corpo come uno strumento perfettamente accordato. Daniel N. Stern: vitalità, ovvero la conseguenza del modo di disporsi e di atteggiarsi con i corpi nella relazione: come ci si guarda, si entra in contatto, si comunica reciprocamente attraverso la modulazione tonico- affettiva delle reciproche voci. Nella voce appare l’eros, il corpo, la carne della parola. È la voce del maestro a rendere vivo il sapere, a rianimarlo permanentemente. Il rimbalzo della voce. I bambini hanno un senso spiccato per la musicalità della voce. Il canto è vivificante: è fondamentale cercare, accettare, stimolare senza sosta una riarmonizzazione del corpo, del suo comportamento statico, motorio e mentale per restituire al “cantore” quella massa energetica che gonfiava il suo ventre da bambino, ma che le aggressioni emotive, l’apprendimento della parola, l’esperienza del camminare e gli ammaestramenti scolastici hanno indebolito o censurato. La relazione educativa e di cura è anche questione di sintonia ritmica e corporea. La voce è un gesto che istituisce l’esistente, che fa apparire qualcosa. Caratteristica altrettanto unica della voce è il suo essere caratterizzata dal “rimbalzo”. Toccare è essere toccati, guardare è essere guardati, ascoltare è essere chiamati. Ogni gesto è sempre corrisposto. L’aspetto fonetico della voce è poco considerato nella riflessione pedagogica, si finisce spesso per dimenticare che i contenuti non si trasmettono da soli, ma richiedono un veicolo. La voce è sempre relazione, risente della dimensione emotiva e affettiva, dimostrandosi in grado di indurre cambiamenti profondi. Anche la voce, come ogni gesto, è quindi una postura che si può formare, educare, portare a consapevolezza. Esempio della lettura e scrittura. Esplorazioni vocali. Come è possibile educare la voce? Educare è scoprire le differenze. *esercizio sulle vocali fatto in classe* La capacità vocale è una conseguenza della capacità di ascolto; le due dimensioni si influenzano reciprocamente. L’educazione vocale permette di comprendere meglio che tipo di ascolto abbiamo nei confronti dell’altro, quanto ci lasciamo influenzare, se siamo capaci di empatizzare. 11. RICOMINCIARE DAL SILENZIO La meditazione è una qualità conoscitiva della mente. L’affermazione nella nostra società del ruolo dell’efficienza, intesa come rapidità, naturale conseguenza di tale sviluppo, si è tradotta nella scelta/necessità di produrre in grandi quantità, in modo eguale per tutti, via via coinvolgendo aree sempre più estese del pianeta. L’accelerazione ha generato una serie di meccanismi, che hanno finito inevitabilmente per riflettersi anche nei nostri più intimi atteggiamenti, comportando difficoltà e problemi. In stretta relazione con l’incremento di condizioni esistenziali ansiogene, viviamo in un’epoca di velocizzazione del pensiero e dell’azione che minaccia profondamente la salvaguardia delle nostre facoltà cognitive. Non possiamo non avvertire il bisogno di tornare sinceramente a chiederci che cosa Downloaded by Evelin V. ([email protected]) lOMoARcPSD|10938894 significhi pensare. Per noi occidentali tornare a pensare significa accorgersi che tra ogni pensiero, per quanto piccolo, c’è uno spazio. Nella meditazione, lo spostamento dell’asse dell’attenzione dal flusso ininterrotto dei pensieri alla consapevolezza che li genera permette di stabilire un rapporto più amichevole con quanto accade nella propria mente, poiché la meditazione di presenza mentale consente di sostenere il nostro sguardo sull’enorme resistenza a questo genere di attenzione. Esiste un modo per accostarsi al silenzio in grado di cogliere la sua vera natura? Negli ambiti educativi che conosciamo il silenzio risulta tenacemente evitato e rimosso, relegato nelle zone d’ombra; il problema del silenzio infatti contiene in sé il problema della comunicabilità di ciò che è essenziale nella trasmissione educativa. In tutta la tradizione orientale la comunicazione di ciò che è essenziale rimanda da sempre a un atteggiamento di fondo da adottare, riassumibile in una forma che è quella di “non dire dicendo”: l’essenziale, per essere trasmesso, dev’essere al contempo mostrato e taciuto, poiché l’essenziale dimora negli spazi di silenzio che punteggiano la relazione. La difficoltà di vivere il silenzio, a lascargli spazio nella relazione educativa, si alimenta dell’incapacità di riconoscerlo anzitutto a livello dell’accordo dei ritmi interni e profondi responsabili del funzionamento del corpo. La moltiplicazione dell’osservatore. Nel momento in cui, attraverso la meditazione, si acquisisce la conoscenza dei momenti di sospensione del pensiero, a questi momenti di sospensione non può non corrispondere una sospensione più ampia del giudizio con cui siamo soliti considerare il rapporto stesso con i pensieri. In questo modo si rivela a sè stessi una qualità fondamentale che è quella della presenza. Allenarsi a guardare la complessità dinamica della mente, a moltiplicare i punti di vista di chi osserva, è uno degli scopi della meditazione. Dire che la mente e il corpo sono inseparabili significa richiamare l’importanza di un approccio psicocorporeo: la presenza coincide con la corporeità. Le tecniche psicocorporee sono una via per educare la propria mente. Il tema della meditazione s’inscrive nel più ampio contesto della ricerca pedagogica centrata sullo sviluppo dell’attenzione intesa come qualità “metacognitiva”, l’attitudine riflessiva esclusiva della mente umana che può considerare sé stessa, ovvero il proprio funzionamento. Le conseguenze intorno al corpo e alla mente che si trasmettono riguardano perlopiù un corpo e una mente resi da subito oggetti: occorre ritrovare il modo di mettere in scena il corpo e la mente viventi, soggettivi. Downloaded by Evelin V. ([email protected])