Il principio di non-refoulement e la protezione par ricochet nel sistema CEDU PDF

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Università degli Studi di Firenze

Francesca Tammone

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diritto internazionale principio di non-refoulement rifugiati diritti umani

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This document discusses the principle of non-refoulement and its protection through the ricochet effect in the CEDU system. It analyzes the concept within the broader context of international law and relevant case studies. The document references various legal conventions and scholarly interpretations.

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Il principio di non-refoulement e la protezione par ricochet nel sistema CEDU Dott.ssa Francesca Tammone [email protected] Article 33 Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati «1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i con...

Il principio di non-refoulement e la protezione par ricochet nel sistema CEDU Dott.ssa Francesca Tammone [email protected] Article 33 Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati «1. Nessuno Stato Contraente espellerà o respingerà, in qualsiasi modo, un rifugiato verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche. 2. La presente disposizione non può tuttavia essere fatta valere da un rifugiato se per motivi seri egli debba essere considerato un pericolo per la sicurezza del paese in cui risiede oppure costituisca, a causa di una condanna definitiva per un crimine o un delitto particolarmente grave, una minaccia per la collettività di detto paese.» Article 1(A) Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati «Ai fini della presente Convenzione, il termine di "rifugiato" è applicabile: […] a chiunque, […] nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.» 2 Lo status del principio di non-refoulement nel diritto internazionale L’ambito applicativo del principio di non respingimento si è significativamente espanso rispetto al dettato della Convenzione di Ginevra; La definizione dello status di rifugiato è ripresa numerose fonti di diritto dell’UE, inclusa la Direttiva “Qualifiche” 2011/95/EU. Inoltre, il principio di non- refoulement è espressamente disciplinato dagli art. 78 TFUE e dall’art. 18 della Carta di Nizza; Secondo gran parte della dottrina, il principio di non respingimento trova oggi applicazione in tutti i casi in cui i migranti sono a rischio di subire una violazione dei propri diritti fondamentali. Ciò, grazie all’interpretazione estensiva promossa dagli organi di monitoraggio di diversi trattati a tutela dei diritti umani, fra cui il Patto internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione sui diritti del fanciullo e la Convenzione sull’Eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW); Per questa ragione, si ritiene che oggi il principio di non respingimento costituisca una norma consuetudinaria. 3 Divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti e tutela indiretta (par ricochet) del principio di non- refoulement È soprattuto la praqssi degli organi internazionali sul divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti ad aver condotto all’espansione del principio di non-refoulement → oggi è consolidato il principio per cui dal divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti deriva l’obbligo, per lo Stato, di non espellere o estradare cittadini stranieri che, nel Paese di destinazione, sarebbero esposti al rischio concreto di subire un trattamento contrario al divieto; Quest’interpretazione estensiva ed evolutiva del divieto di tortura ha consentito ai trattati sui diritti umani di conferire una forma tutela indiretta (c.d. «protezione par ricochet» o «di riflesso») al principio di non-respingimento formulato nella Convenzione di Ginevra del 1951. 4 La protezione par ricochet nel sistema CEDU Il «leading case» Soering c. Regno Unito (7 luglio 1989) Jens Soering, cittadino tedesco, faceva ricorso alla Corte EDU mentre era in carcere in Regno Unito in attesa di estradizione verso gli Stati Uniti, dove sarebbe stato processato per omicidio aggravato, punibile con la pena di morte. Rilevava che il proprio trasferimento negli USA avrebbe potuto non solo esporlo al rischio di esecuzione letale, ma anche a un trattamento contrario a umanità nel c.d. «braccio della morte», all’interno del quale sono Questa foto di Autore sconosciuto è concesso in licenza da CC BY-NC-ND detenuti i colpevoli di reati punibili con la pena di morte. 6 Dalla sentenza Soering c. Regno Unito: 88. […] The question remains whether the extradition of a fugitive to another State where he would be subjected or be likely to be subjected to torture or to inhuman or degrading treatment or punishment would itself engage the responsibility of a Contracting State under Article 3 (art. 3). That the abhorrence of torture has such implications is recognized in Article 3 of the United Nations Convention Against Torture and Other Cruel, Inhuman or Degrading Treatment or Punishment, which provides that "no State Party shall... extradite a person where there are substantial grounds for believing that he would be in danger of being subjected to torture". The fact that a specialised treaty should spell out in detail a specific obligation attaching to the prohibition of torture does not mean that an essentially similar obligation is not already inherent in the general terms of Article 3 (art. 3) of the European Convention. It would hardly be compatible with the underlying values of the Convention, […] were a Contracting State knowingly to surrender a fugitive to another State where there were substantial grounds for believing that he would be in danger of being subjected to torture, however heinous the crime allegedly committed. Extradition in such circumstances, while not explicitly referred to in the brief and general wording of Article 3 (art. 3), would plainly be contrary to the spirit and intendment of the Article 3 […] 7 Applicazione dei principi enunciati dal caso Soering nella casistica successiva: Espulsione o estradizione nei confronti di sospettati o condannati per attività terroristiche Extraordinary renditions Contenzioso in materia di migrazione 8 L’estradizione od espulsione di soggetti sospettati o condannati per atti di terrorismo Nei casi Chahal c. Regno Unito (15 novembre 1996) e Saadi c. Italia (28 febbraio 2008), la Corte EDU ha stabilito che il divieto di deportazione ed estradizione si applica in modo assoluto, a prescindere dalla gravità della condotta di un individuo e a prescindere dalla pericolosità sociale di quest’ultimo. Questa prassi della CEDU è stata poi applicata a più riprese anche dal Comitato dei diritti umani (v. ad es. pronunce Charles Chitat Ng v. Canada, 7 gennaio 1994, Maksudov e altri c. Kyrgystan e Uzbekistan, 31 luglio 2008). 9 Es. Saadi c. Italia Nassim Saadi, regolarmente residente in Italia da alcuni anni, era stato arrestato per associazione a delinquere e contraffazione di documenti, ma era anche sospettato di affiliazione terroristica a causa di alcuni legami con alcuni gruppi islamisti. Dopo essere stato trattenuto in custodia cautelare, era stato espulso sulla base del D.L. 144/2005, che prevedeva l’espulsione con immediato effetto esecutivo dello straniero nei cui confronti vi fossero fondati motivi di ritenere che agevolasse organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali. Nel frattempo, l’11 maggio 2005, una corte marziale tunisina aveva condannato Saadi a venti anni di detenzione con l’accusa di appartenere ad una cellula terroristica. Non essendo riuscito, attraverso le vie di ricorso disponibili nell’ordinamento italiano, a far ritirare l’ordine di espulsione, né ad ottenere lo status di rifugiato il ricorrente aveva presentato ricorso alla Corte EDU, sulla base del fatto che l’espulsione verso la Tunisia avrebbe implicato necessariamente un trattamento inumano e degradante, perché sarebbe stato giudicato da una corte ingiusta. 10 La valutazione del rischio, nel caso di specie, è compiuta sulla base DEL CONTESTO GENERALE DELLA SITUAZIONE PERSONALE Ha dato peso ai rapporti forniti dalle ONG Amnesty International e Human Rights Watch I rapporti sul Saadi avrebbe concretamente potuto trattamento dei sospettati di terrorismo in Tunisia, subire tortura e trattamenti inumani e ordinariamente sottoposti a tortura e vari degradanti, in quanto già condannato da maltrattamenti (stupro, elettroshock, l’immersione della una sentenza tunisina, nei confronti testa nel water, le percosse, bruciature di sigarette). Le della quale non avrebbe potuto fonti citate sono state ritenute attendibili “Tenuto conto presentare alcun appello con effetto dell’autorità e della reputazione degli autori dei rapporti sospensivo. in questione, della serietà dell’indagine su cui si basano, del fatto che sui punti in questione le conclusioni combaciano e che sono in sostanza confermate da altre numerosi fonti” (par. 143). 11 Principi ricavabili dalla casistica in esame: Affinché il divieto di allontanamento dello straniero verso un altro Paese venga applicato, occorre dimostrare che il rischio di subire tortura o trattamenti inumani e degradanti in tale Paese è fondato, alla luce delle conseguenze che riguarderebbero l’individuo in prima persona; La situazione di rischio generalizzato in un Paese è un indice che va preso in considerazione, ma, ai fini del divieto di allontanamento, è comunque necessario dimostrare che lo straniero possa subire in concreto, anche alla luce del contesto generale, tortura o trattamenti inumani e degradanti; Lo Stato membro della CEDU ha dunque l’onere di valutare – preliminarmente al provvedimento di allontanamento – i fattori di rischio a cui il cittadino sarebbe esposto in caso di rimpatrio. 12 I casi di «extraordinary renditions» Il divieto di tortura e trattamenti inumani e degradanti è stato applicato anche nei casi delle cc.dd. «extraordinary renditions» (lett. «consegne straordinarie»), che la stessa Corte EDU ha definito come misure anti- terroristiche che consistono nel «trasferimento extra-giudiziario di una persona da uno Stato all’altro al di fuori del normale sistema giuridico». Casi più noti: El Masri c. Repubblica federale di Macedonia, 13 dicembre 2012; Al Nashiri c. Polonia e Husayn (Abu Zubaydah) c. Polonia, 24 luglio 2014; Abu Zubaydah c. Lituania, 31 maggio 2018; Nasr e Ghali c. Italia, 3 febbraio 2016). Questi episodi, che comportano una cooperazione tra Paese del sequestro e Paese di destinazione, sono stati severamente condannati dalla Corte EDU per incompatibilità con una serie di disposizioni convenzionali, tra cui l’art. 3 CEDU (5, 8 e 13 CEDU) 13 Par. 243: «Nel contesto delle cause simili relative ad operazioni di «consegna Es. Nasr e Ghali (Abu Omar) straordinaria» […] la Corte ha sottolineato anche che, quando è accertato che lo Stato Nel 2003, a Milano, l’imam Nasr Osama Mustafà che rinvia sapeva, o avrebbe dovuto sapere, all’epoca dei fatti che la persona rinviata dal Hassan (conosciuto come Abu Omar), cittadino territorio era oggetto di una «consegna egiziano avente status di rifugiato politico in Italia straordinaria» […] misura che comporta un rischio reale di tortura o di trattamenti e sospettato di terrorismo, è stato sequestrato da crudeli, inumani o degradanti», la possibilità di una violazione dell’articolo 3 è seria e deve agenti segreti italiani e statunitensi e trasferito essere considerata come un elemento intrinseco del trasferimento […] forzatamente, attraverso le basi militari NATO di Aviano e Ramstein, in Egitto. Qui, è stato Par. 288 «Di conseguenza, lasciando che la CIA operasse il trasferimento del ricorrente trattenuto in stato di detenzione e sottoposto a fuori dal loro territorio, le autorità italiane lo hanno esposto a un rischio serio e prevedibile torture e altri trattamenti crudeli, disumani e di maltrattamenti e di condizioni di detenzione degradanti fino alla sua liberazione nel 2004, e poi contrarie all’articolo 3 della Convenzione». detenuto di nuovo, senza nessuna incriminazione, dal 2004 al 2007. Successivamente, è stato liberato, ma gli è stato imposto il divieto di lasciare l’Egitto. 14 Il contenzioso in materia di migrazione Es.: Hirsi Jamaa e altri c. Italia (23 febbraio 2012) FATTI: Nel maggio 2009, circa 200 migranti tentano di raggiungere le coste italiane dalla Libia a bordo di tre imbarcazioni. A circa 35 miglia marine a sud di Lampedusa (Agrigento), la Guardia di finanza e la Guardia costiera italiane intercettano tali imbarcazioni, trasferiscono i migranti su navi italiane e riconducono i migranti a Tripoli. Durante il viaggio, le autorità italiane non informano i migranti della loro vera destinazione e non portano a termine alcuna procedura di identificazione. Secondo le stesse dichiarazioni rilasciate dal Governo italiano ai media e nell’ambito della procedura innanzi alla Corte EDU, queste operazioni si svolgevano sulla base di accordi con la Libia (Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione del 2008). 15 Nel caso Hirsi Jamaa e altri c. Italia, i fatti si erano pacificamente verificati al di fuori del territorio italiano, seppur all’interno della zona di «ricerca e soccorso» di competenza maltese (secondo la Convenzione SAR del 1979). Pertanto, all’interno di questa sentenza, la Corte EDU ha dovuto pronunciarsi sulla giurisdizione dello Stato italiano. A tal fine, esamina la propria giurisprudenza precedente sulla questione della migrazione. Art. 1 CEDU Obbligo di rispettare i diritti dell’uomo Le Alte Parti contraenti riconoscono a ogni persona sottoposta alla loro giurisdizione i diritti e le libertà enunciati nel Titolo primo della presente Convenzione. 16 Norme internazionali pertinenti: i poteri dello Stato su spazi non rientranti nel territorio secondo il diritto internazionale esistente La Convenzione di Montego Bay del 1982 (United Nations Convention on the Law of the Sea, anche nota come Convenzione UNCLOS) suddivide così gli spazi marini: Mare territoriale (entro 12 miglia dalla costa) → qui, lo Stato esercita poteri equivalenti a quelli esercitati nella terraferma Zona contigua (zona di mare compresa dalle 12 alle 24 miglia dalla costa) → Lo Stato costiero può esercitare i propri poteri di governo per prevenire e reprimere la violazione delle proprie leggi e dei regolamenti doganali, fiscali, sanitari e di immigrazione; ZEE (max 200 miglia marine dalla costa) e piattaforma continentale (naturale prolungamento sottomarino delle terre emerse) 17 Dalla sentenza Hirsi Jamaa c. Italia: «74. Sin dal momento in cui uno Stato esercita, tramite i propri agenti operanti fuori del proprio territorio, controllo e autorità su un individuo, quindi giurisdizione, esso è tenuto, in virtù dell’articolo 1, a riconoscere a quell’individuo i diritti e le libertà enunciati nel titolo I della Convenzione pertinenti al caso di quell’individuo. […] 75.La giurisprudenza della Corte rivela casi di esercizio extraterritoriale della competenza da parte di uno Stato nelle cause riguardanti azioni compiute all’estero da agenti diplomatici o consolari, o a bordo di aeromobili immatricolati nello Stato in questione o di navi battenti la bandiera di detto Stato. In queste situazioni, basandosi sul diritto internazionale consuetudinario e su disposizioni convenzionali, la Corte ha riconosciuto l’esercizio extraterritoriale della giurisdizione da parte dello Stato interessato. 18 76.Non è oggetto di contestazione dinanzi alla Corte la circostanza che gli avvenimenti controversi si siano svolti in alto mare, a bordo di navi militari battenti bandiera italiana. Il governo convenuto riconosce del resto che le motovedette della guardia di finanza e della guardia costiera sulle quali sono stati imbarcati i ricorrenti rientravano completamente nella giurisdizione dell’Italia. 77. La Corte osserva che, in virtù delle disposizioni pertinenti del diritto del mare, una nave che navighi in alto mare è soggetta alla giurisdizione esclusiva dello Stato di cui batte bandiera. […] Dal momento che vi è controllo su altri, si tratta in questi casi di un controllo de jure esercitato dallo Stato in questione sugli individui interessati.[…] 81.Ora, la Corte nota che nella presente causa i fatti si sono svolti interamente a bordo di navi delle forze armate italiane, il cui equipaggio era composto esclusivamente da militari nazionali. Ad avviso della Corte, sin dalla salita a bordo delle navi delle forze armate italiane e fino alla consegna alle autorità libiche, i ricorrenti si sono trovati sotto il controllo continuo ed esclusivo, tanto de jure quanto de facto, delle autorità italiane.» 19 Sviluppi storici a partire dalla sentenza Hirsi L’Italia, una volta condannata dalla Corte EDU per violazione degli artt. 3 (divieto di tortura) e 4 protocollo 4 (divieto di espulsioni collettive) non ha più compiuto respingimenti per il tramite delle proprie motovedette; Dalla prassi, emerge che negli ultimi anni i respingimenti verso la Libia siano stati invece realizzati dalla Guardia Costiera Libica (sulla base giuridica di specifici accordi, come il Memorandum d’intesa tra Italia e Libia), nella consapevolezza del governo italiano. Questi casi potrebbero rendere più difficile dimostrare che sussiste la giurisdizione dello Stato italiano, perché, sulla base dell’orientamento prevalente della giurisprudenza occorrerebbe dimostrare che in questi casi lo Stato italiano ha esercitato un controllo continuo ed effettivo sui migranti respinti. 20

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