Diritto Privato e di Famiglia PDF
Document Details
Uploaded by Deleted User
Tags
Related
- Riassunto Manuale Di Diritto Di Famiglia E Minorile PDF
- Riassunto Manuale Diritto Di Famiglia E Minorile PDF
- Riassunto Manuale di Diritto di Famiglia e Minorile PDF
- L'adozione dei Minori (Lezione 41) PDF
- Set Domande Diritto di Famiglia 2024-2025 PDF
- Set Domande per Esami 2024-2025 Diritto di Famiglia PDF
Summary
Questo documento fornisce un'introduzione al diritto di famiglia, analizzando la sua evoluzione storica, partendo dal codice civile del 1865 fino alle riforme più recenti. L'autore del documento esplora le principali fonti del diritto e le relative modifiche legislative, tra cui la Costituzione, il diritto internazionale, e la giurisprudenza. Vengono esaminati i principi chiave che hanno plasmato il diritto di famiglia, in particolare l'evoluzione dei concetti di matrimonio, di filiazione e delle forme familiari.
Full Transcript
DIRITTO PRIVATO E DI FAMIGLIA INTRODUZIONE DEL CORSO Per poter riuscire a comprendere cosa sia il diritto di famiglia dovremmo impostare il discorso concentrandoci su 4 direttrici di sviluppo fondamentali. In questo modo si potrà cogliere gli aspetti fondamentali della materia, e si acquisirà consap...
DIRITTO PRIVATO E DI FAMIGLIA INTRODUZIONE DEL CORSO Per poter riuscire a comprendere cosa sia il diritto di famiglia dovremmo impostare il discorso concentrandoci su 4 direttrici di sviluppo fondamentali. In questo modo si potrà cogliere gli aspetti fondamentali della materia, e si acquisirà consapevolezza della loro evoluzione intravedendo gli ulteriori sviluppi della materia. Per poter comprendere la materia è necessario un passaggio ulteriore al semplice studio delle nozioni, bisogna cioè cercare di capire i valori che tali disposizioni giuridiche invieranno. Tali direttrici sono: ➔ dalla centralità del matrimonio alla pluralità delle famiglie; ➔ dalla distinzione tra filiazione legittima/illegittima, legittima/naturale allo stato unico di figlio (art. 315 c.c.); ➔ dal c.d. favor legitimitatis al favor veritatis al favor stabilitatis (artt. 244, co. 4 e art. 263 coo. 3 e 4 c.c.), quanto al rapporto di filiazione; ➔ dal minore oggetto del potere altrui al minore soggetto di diritto (art. 315-bis, co. 3 c.c., art. 24 CDFUE e Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 ratificata con l. 176/1991). Lo sviluppo del diritto di famiglia Dal 1865, anno in cui è entrato in vigore il codice civile, il diritto di famiglia ha completamente cambiato fisionomia, superando i principi e i valori in esso contenuti. Questo perché, come afferma la sociologa Chiara Saraceno, la famiglia è un fenomeno sociale e non naturale, e in quanto tale muta nel corso del tempo. Non si può studiare l’attuale diritto di famiglia senza aver ben presenti i principi fondamentali che lo informano (Costituzione, diritto internazionale, diritto europeo costituiscono le fonti apicali del sistema delle fonti). Dal 1865 al 1942 e fino all’entrata in vigore della Costituzione, la società accoglieva le seguenti linee di fondo: 1. il matrimonio era sovraordinato ai singoli coniugi ed era la sola istituzione in grado di dare vita alla famiglia quale strumento funzionale a incidere positivamente sull’ordine sociale (matrimonium quasi seminarium rei publicae, indissolubile); 2. il marito era posto su piano di superiorità rispetto alla moglie e ai figli; 3. i figli dovevano essere concepiti solo in costanza di matrimonio e non fuori da esso; 4. A tutela della stabilità del matrimonio imperava il favor legitimitatis sulla verità delle filiazione: c’erano, infatti, limitazioni al disconoscimento della paternità e al riconoscimento della filiazione adulterina. Prima del 1975, infatti, non era possibile per i figli adulterini la dichiarazione giudiziaria di paternità, disposizione che obbliga il padre al riconoscimento del figlio. Tutti questi principi portavano a delle conseguenze impattanti nella società dell’epoca: la famiglia corrispondeva al matrimonio, dunque solo le coppie eterosessuali sposate erano ritenute famiglia (no omosessuali, no convivenze di fatto). All’interno della coppia il padre era posto in una posizione di superiorità rispetto alla moglie, anche per quanto concerne l’educazione dei figli, ad esempio il padre aveva dei poteri punitivi, come il riformatorio. I figli minorenni, dunque, non erano soggetti di diritto ma oggetti di potere, del padre. Oltre a ciò, vi era anche una condizione di imparità sociale tra figli legittimi e adulterini, i quali avevano due status differenti. La Costituzione del 1948 ha rivoluzionato il diritto di famiglia, prevedendo principi del tutto nuovi che hanno imposto al legislatore di riscrivere interamente la normativa. Essi sono: - art. 29 co. 1 «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio; - art. 29 co. 2 «Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare»; - art. 30 co. 1 «È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio - art. 30 co. 3 «La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima»; Sviluppo delle fonti internazionali E’ poi necessario anche ricordare alcune fonti sovranazionali, che hanno modificato i valori odierni. In particolare ricordiamo: la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (1955), e la carta di diritti fondamentali dell'Unione Europea, che ha assunto valore giuridico dei trattati. Un articolo fondamentale è poi l’8 del CEDU: “comma 1. ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita e famigliare. comma 2: non può esservi ingerenza di un'autorità pubblica nell'esercizio di tale diritto a meno che essa non sia prevista dalla legge e non sia una misura necessaria alla sicurezza nazionale, al benessere economico del paese, alla protezione della salute e della morale, alla protezione dei diritti e della libertà altrui.” Da questo articolo comprendiamo che con il termine vita familiare, non si fa riferimento al matrimonio, ma ad un relazione affettiva duratura e significativa, in cui vi è stabilità, fedeltà e reciproca assistenza morale e materiale. Secondo questa interpretazione, dunque, le famiglie sono anche: coppie omosessuali e conviventi di fatto. Inoltre, essa ha contribuito a riconoscere la rilevanza della filiazione non genetica, ovvero del dovere di prendersi responsabilità e cura anche dei figli adulterini. Oltre all’articolo sopracitato, ulteriori sviluppi si sono avuti con l’art. 9 della carta dei diritti fondamentali dell’UE, che afferma: “Il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano esercizio”. Si tratta di un articolo fondamentale perché slega la famiglia dal matrimonio, obbliga poi gli Stati nazionali a garantire delle leggi con il diritto di sposarsi e di creare una famiglia, e infine scompare il riferimento all'uomo e alla donna: si apre cioè l'ammissibilità del matrimonio omosessuale, come previsto in alcuni Stati dell'UE es. Germania e Spagna. Attraverso questa norma gli Stati non sono obbligati ad introdurre il matrimonio same sex, ma devono obbligatoriamente prevedere un istituto che consenta l'unione di persone dello stesso sesso. In Italia, ad esempio, abbiamo assistito alla creazione delle unioni civili, un istituto ad hoc creato per le persone dello stesso sesso. Ulteriori sviluppi in Italia La CEDU e le carte dei diritti Furono strumenti fondamentali per l'espressione di nuovi valori, tuttavia occorreva una riforma che avvenne con la legge n. 151 del 1975. I principali cambiamenti furono: - Principio di uguaglianza dei coniugi (art. 143) - L'obbligo del legislatore di assicurare "ogni tutela giuridica e sociale" ai figli extra matrimoniali. Nel corso del tempo poi il legislatore ha ulteriormente riformato questo principio: nel 2012 fu introdotto il principio della unicità dello stato di figlio, con cui non esistono più figli illegittimi e legittimi. Inoltre, prima di questa riforma il padre secondo il principio di “fato partitaris” poteva disconoscere il figlio nel caso di adulterio entro 5 anni dalla scoperta, ad oggi non è più possibile. Difatti, un articolo del codice civile ci dice che è possibile disconoscere il figlio solo dopo entro un anno dalla scoperta e non oltre i 5 anni di età del minore. Tale art. va a tutela del minore, poiché la struttura identitaria del bambino si è formata in base a quell’uomo e dunque è necessario che quest’ultimo continui a fare il padre. Ulteriori leggi più recenti.. - n.54 del 2006: Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, prevede il diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno genitore. - n.184 del 1983: disposizioni sull’adozione, esse si basano su due principi fondamentali: in primo luogo la predilezione del recupero della famiglia biologica, la famiglia adottiva deve essere intesa come estrema ratio. In secondo luogo la valorizzazione dei rapporti significativi col minore. - n.55 del 2015: disposizioni in materia di scioglimento di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi - n. 76 del 2016: regolamentazioni delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. Il diritto di famiglia oggi Ad oggi siamo passati dalla famiglia-istituzione, alla pluralità di modelli familiari e alla centralità del legame affettivo anche in mancanza del legame genetico, basandosi sull'interesse concreto e preminente dei minori. A fronte di tutte queste considerazioni e di queste riforme capiamo che il minore diviene finalmente soggetto di diritto, è cioè per il codice civile in grado di compiere in modo autonomo le proprie scelte, quando esso chiaramente acquisisce capacità di autodeterminazione. In questo senso, la giurisprudenza ha svolto un ruolo significativo nello sviluppo del diritto di famiglia, basti notare la valorizzazione dei legami affettivi e le riforme di alcuni istituti giuridici. Il diritto di famiglia si concentra sul diritto che regola le strutture familiari. Esse sono molteplici: matrimonio, unione civile e convivenza di fatto. Queste tre istituzioni condividono il progetto di vita in comune e sono caratterizzati dal assistenza morale e materiale: - assistenza morale: significa supportare moralmente l’altro, aiutarlo nella risoluzione di controversie e aiutarlo a raggiungere i propri obiettivi. - assistenza materiale: significa contribuire agli oneri economici, assistere l’altro nei costi e negli impegni economici del nucleo familiare. —> con questi concetti il legislatore mette in luce il fatto che vi deve essere una normativa che regoli il progetto di vita in comune, soprattutto il principio fondamentale della responsabilità che i partner hanno gli uni verso gli altri. IL MATRIMONIO L’ articolo 29 della costituzione parla del matrimonio: “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell'unità familiare” —> da alcune disposizioni del codice civile emerge che il matrimonio e’ un istituzione riservata a persone eterosessuali. Seguendo la linea del principio di responsabilità, vi e’ la promessa di matrimonio, che coniuga la libertà dei coniugi da un lato, ma la responsabilità di entrambi dall’altro. Il codice civile interviene in questa situazione disciplinandola all’articolo 79, 80 e 81: Articolo 79 : “La promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo ne' ad eseguire cio' che si fosse convenuto per il caso di inadempimento". In questo articolo si ha l'assolutezza della libertà di sposarsi come di non sposarsi: i partner possono cambiare idea in qualsiasi momento, poiché la loro promessa non e’ vincolante alla loro libertà. Parliamo dunque di promessa informale, non documentata (es. uomo in ginocchio che chiede alla donna di sposarlo). La promessa informale di matrimonio non obbliga i soggetti a sposarsi e non comporta dei danni nel momento in cui vi e’ un inadempimento. Articolo 80: “Il promittente puo' domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non e' stato contratto La domanda non e' proponibile dopo un anno dal giorno in cui s'e' avuto il rifiuto di celebrare il matrimonio o dal giorno della morte di uno dei promittenti.” —> si parla di restituzione dei doni e si applica a prescindere, sia in una situazione di promessa formale che informale, sia che vi sia un motivo effettivo che non (si fa riferimento nella pratica all’anello di fidanzamento). La persona può quindi richiedere indietro il dono fatto. Articolo 81: “La promessa di matrimonio, fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata da persona maggiore di eta' o dal minore autorizzato da chi deve dare l'assenso per la celebrazione del matrimonio, oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione, obbliga il promittente che senza giusto motivo ricusi di eseguirla a risarcire il danno cagionato all'altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa. L’articolo riguarda il risarcimento dei danni. Esso viene applicato nei casi in cui la promessa e’ formale e solenne (e’ gia avvenuta la pubblicazione di matrimonio). In questo caso colui o colei che si e’ tirato indietro e’ obbligato a risarcire il danno all’altra parte delle spese fatte e per il danno fatto dalla promessa non mantenuta. (comma2) Il danno e' risarcito entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione delle parti. Lo stesso risarcimento è dovuto dal promittente che con la propria colpa ha dato giusto motivo al rifiuto dell'altro. Vi e’ però una condizione, riportata nel comma due, che afferma che le spese affrontate da uno o dall’altro coniuge sono da discutere: il coniuge non deve risarcire i danni se il motivo e’ definito grave. Questo significa che solo chi ha subito senza un giusto motivo il rifiuto di sposarsi da parte di un coniuge verrà risarcito del danno subito. Il motivo e’ definibile grave dal sentire sociale, tenendo conto della storia degli sposi. → esempio: se il rifiuto di sposarsi avviene perché il coniuge capisce di non amare più l’altra persona allora non e’ ritenuto un motivo grave e deve risarcire il danno causato sia moralmente che economicamente. Nel caso in cui invece il rifiuto avviene a seguito lla scoperta da parte del coniuge di atti di pedofilia il motivo e’ ritenuto grave e quindi non deve risarcire l’altra parte, perche il motivo e’ ritenuto grave. (comma3) La domanda non e' proponibile dopo un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio”. La domanda di risarcimento del danno deve essere fatta entro un anno dal momento in cui una delle due parti si tira indietro. Le condizioni ed impedimenti per contrarre il matrimonio riguardano gli articoli dall’ 84 al 93 del codice civile, nei quali si descrivono le condizioni per poter contrarre matrimonio: - una delle condizioni per contrarre matrimonio è l’età: l’Articolo 84 afferma che “ i minori di età non possono contrarre matrimonio”. (Mentre prima della riforma del 1975 l’uomo poteva sposarsi a 14 anni e la donna 12 se vi era il consenso dei genitori). Questo deriva dall’articolo 2 in quanto il maggiorenne e’ in pieno potere di autodeterminarsi. → Tuttavia, vi e’ un caso particolare (l’istituto di emancipazione) per il quale già a 16 anni e’ possibile contrarre matrimonio sotto l’approvazione del giudice che afferma la capacita e la maturità psicofisica. Vi devono essere gravi motivi come ad esempio la gravidanza. Si valuta quindi la presenza di gravi motivi e maturità psicofisica (devono sussistere entrambe queste condizioni). Se ci sono degli impedimenti, quindi se non se non vengono rispettati certi requisiti, il matrimonio viene considerato come invalido e privo di effetti giudici. Un’altra condizione per contrarre matrimonio e’ la capacità di intendere e di volere; L’interdetto non può quindi contrarre matrimonio perché per essere definiti tali vi e’ la perdita completa della capacità di agire: Articolo 85: stabilisce che non puo contrarre matrimonio l’interdetto per infermità mentale (intesa come una condizione temporanea, non patologica); Articolo 119: il matrimonio di chi e’ stato interdetto può essere impugnato da una serie di soggetti che sono il tutore, il pubblico ministero e tutti coloro che hanno un interesse nell’impugnare il matrimonio (genitori, coniuge stesso, fratello, soprattutto per un discorso di eredità); - Libertà di Stato, cioè bisogna verificare che gli attuali sposi non abbiamo precedenti vincoli matrimoniali: nel momento in cui non è tale viene invalidato il matrimonio ed è considerato anche un reato Impedimenti Nel contrarre matrimonio vi sono due tipi di impedimento: - Impedimenti non dispensabili: sono quegli impedimenti assoluti che non prevedono eccezioni in casi particolari e provati da giudice. - Impedimenti dispensabili: sono quegli impedimenti che con autorizzazione da parte del giudice vi può essere l’annullamento di quel impedimento e quindi gli interessati possono contrarre matrimonio. —> Articolo 86 (libertà di stato) : “ Non puo' contrarre matrimonio chi e' vincolato da un matrimonio ((o da un'unione civile tra persone dello stesso sesso) precedente” E’ però un impedimento dispensabile in quanto i coniugi possono nuovamente contrarre matrimonio nel caso in cui le precedenti nozze siano invalide (nulle) oppure quando il rapporto si e’ sciolto (quindi il divorzio) Articolo 87 (Parentela, affinità, adozione) : Non possono contrarre matrimonio fra loro: 1. gli ascendenti e i discendenti in linea retta 2. i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini 3. lo zio e la nipote, la zia e il nipote; 4. gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l'affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunziata la cessazione degli effetti civili 5. gli affini in linea collaterale in secondo grado; 6. l'adottante, l'adottato e i suoi discendenti; 7. i figli adottivi della stessa persona 8. l'adottato e i figli dell'adottante 9. l'adottato e il coniuge dell'adottante, l'adottante e il coniuge dell'adottato. —> si parla pero di impedimento dispensabile nel caso 3, 4 e 5 in quanto il tribunale, su ricorso degli interessati, con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio Articolo 89 (mescolanza di sangue): “Non puo' contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento o dall'annullamento del matrimonio precedente”. La donna che era gia sposata e che poi ha divorziato/o e’ rimasta vedova non può contrarre nuove nozze se non dopo che siano trascorsi 300 giorni dallo scioglimento del matrimonio per una possibile gravidanza (9 mesi sono 300 giorni) per una certezza della paternità perche si presume, con l’articolo 232, concepito durante il matrimonio. Per non creare incertezze il legislatore mette i 300 giorni di attesa (ora non ha più tanto senso perché esistono i test del DNA) → si ha però un impedimento dispensabile dal momento in cui fa eccezione il caso in cui il matrimonio e' stato dichiarato nullo ai sensi dell’articolo 123: Il matrimonio puo' essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti Prima del 1975: il matrimonio era un istituto che perseguiva un’interessante pubblico, doveva dare ordine alla società. Il matrimonio era considerato sovra ordinato al popolo. Il figlio adulterio non veniva riconosciuto e non poteva agire con la “dichiarazione giudiziale di paternità”: significa che per costituire lo stato di figlio esso deve essere riconosciuto. Se viene individuato il legame biologico esso viene riconosciuto come figlio. Un figlio nato fuori dal matrimonio non poteva essere riconosciuto nè tanto meno agire: era considerato un elemento disturbante nel matrimonio. Tutt’oggi, il figlio adulterino deve essere riconosciuto, educato e istruito e avere pari dignità. Il diritto di famiglia lo potremo studiare secondo 4 direttrici: - dalla centralità del matrimonio alla pluralità delle famiglie; (art 29) - La famiglia non è questione di natura: la relazione famigliare c’è quando è presente un rapporto tra le persone (stabilità non solo a livello materiale ma anche sentimentale/emotivo) e prescinde dalla sessualità (può essere etero o omosessuale) e lo stato deve garantire che quella relazione abbia un’azione giuridica. La legge però escludeva espressamente che le famiglie omosessuali e le unioni civili non potevano adottare (adozione del minorenne in stato di abbandono). L’adozione in casi particolari o in caso di minore in stato di abbandono ha avuto un’evoluzione grazie a delle sentenze giuridiche. La famiglia quindi nasce dal rapporto e non dal matrimonio: la relazione deve portata al livello della giuridicità; - Prima del 2012/2013 si diceva che se il padre non riconosce il suo stato di padre esso poteva disconoscere la paternità. Quest’azione può essere espedita da 1 anno entro la scoperta dell’impotenza e dell’adulterio e non oltre 5 anni dalla nascita. Il fondamento di stato di figlio quindi non è solo legato ad un fattore naturale ma anche in fatto di rapporto. Favor veritatis:Il nostro stato è infatti fondato sul preminente interesse del minore e non può più affermare la verità - Il minore,fino al 1965, era considerato assoggettato totalmente alla patria podestà e del potere altrui. Siamo passati da una situazione in cui il minore, oggetto del potere altrui, diventa soggetto di diritto capace di effettuare le proprie scelte nel momento in cui è capace di autodeterminarsi e questo elemento viene riconosciuto dallo stato (compimento dei 18 anni). Questo vale in tutti gli ambiti: scolastico, religioso, orientamento sessuale,ecc. Il minore è soggetto di diritto in cui è libero di scegliere e se vengono ostacolati il diritto deve fornire gli strumenti adeguati per poter affermare. Le procedure matrimoniali Quando parliamo di matrimonio nel diritto lo intendiamo: o come ad in atto o come ad un rapporto tra i due coniugi. Nel linguaggio comune è utilizzato indifferentemente, ma in termini giuridici è necessario applicare questa distinzione in quanto, a seconda di come lo consideriamo, sorgono delle regole diverse: regole che presiedono nell’atto matrimoniale e regole che presiedono nel rapporto coniugale. Se consideriamo il matrimonio come atto possiamo dire che è un atto attraverso il quale si formalizza l’unione tra uomo e donna ed è ciò che l’art 29 della costituzione dove la famiglia è definita società coniugale che attraverso quest’atto darà origine alla famiglia. Per le coppie omosessuali che vogliono formalizzare la loro unione ci riferiamo all’unione civile. >Negozio giuridico: si tratta della manifestazione delle volontà che si vincolano tra privati e può essere: monolaterale, bilaterale (vincola due soggetti =matrimonio), poligamico. Il matrimonio è uno degli atti più personali in quanto colui che si sposa vincola se stesso come persona per la costruzione di una famiglia ed ha a che fare con la sfera individuale della persona, è un negozio non patrimoniale in quanto è un vincolo tra le persone. Nel nostro ordinamento si riconoscono tre forme di celebrazione: - Concordatario ovvero davanti al soggetto ammesso dal culto cattolico; - Civile cioè che si celebra in Comune e dall'ufficiale dello stato civile; - Religioso che si celebra davanti al ministro del culto di quello specifico stato. Il matrimonio concordatario è fondato da un accordo tra lo stato della chiesa (vaticano) e dall’ordinamento statale italiano (il fondo di riferimento sono i patti lateranensi del 1929, i quali sono un accordo che ha consentito di bilanciare il sentimento religioso di una coppia con l’istituto civile del matrimonio). Il matrimonio ha effetti sullo stato italiano nel momento in cui si osservano alcune regole fondamentali. Tuttavia, se non eseguo uno dei due gli adempimenti (=cioè la trascrizione, in modo che esso abbia effetti a livello giuridico, e la recita dei tre articoli), è possibile che non possa essere riconosciuto come matrimonio. Qualunque forma si scelga di matrimonio è necessario però un procedimento e delle regole da seguire che, in più fasi, articolano nel tempo una serie di adempimenti che precedono il matrimonio. Sono 3: - Pubblicazione: il fine è quello di effettuare una serie di adempimenti nel comune o parrocchia che servono per dare pubblicità al matrimonio e che venga resa nota alla collettività la decisione di sposarsi. Rendendo nota con la “pubblicità notizia” si vuole informare alla collettività in modo tale da consentire a chiunque voglia di opporsi alla scelta di matrimonio, di far valere eventuali impedimenti alla celebrazione del matrimonio. (Es. maggiore età). Bisogna recarsi presso il comune di residenza e si richiede di affiggere le informazioni (dove e quando si svolgerà il matrimonio) in 8 giorni di tempo con un successivo tempo di 180 giorni per sposarsi. - Celebrazione: ovvero quel momento in cui gli sposi dichiarano pubblicamente la propria volontà ed ufficializzarla con la presenza di testimoni, davanti al ministro del culto o davanti all’ufficiale. La celebrazione prevede una serie di passaggi che si riassumono nello scambio di volontà tra i due sposi e, assunto questo impegno, l’ufficiale dello stato civile dovrà dichiarare che i due sposi sono uniti in matrimonio e dovrà dare lettura di una serie di articoli del codice civile che sono 143, 144 e 147. Queste norme regolano i rapporti civili tra coniugi, però deve essere svolto anche dal ministro del culto nel momento in cui i soggetti coinvolti desiderino che il matrimonio abbia valore civile , inoltre deve trasmettere l’atto matrimoniale all’ufficio preposto dal comune di residenza. - Documentazione: cioè il matrimonio deve essere ufficializzato in un documento e ciò ha una funzione probatoria, di certezza che lo attesti e che dovrà essere trascritto nei registri dello stato civile, inoltre rende noto il vincolo e lo approva. La coppia risulta sposata per la chiesa e per lo stato italiano. Articolo 143. Diritti e doveri reciproci dei coniugi. “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.” Il primo comma sovrastante tratta il principio di uguaglianza: Art.3 della costituzione. La famiglia, originariamente, girava intorno alla figura del “paters familia” considerato come il capo e la guida della famiglia. La riforma del 1975 allinea la disciplina del codice civile, dei diritti ed evoluzione della società. Uno di questi è quello della famiglia e sorge il principio di uguaglianza in cui marito e moglie assumono stessi diritti e doveri. Tale principio ha una serie di ricadute relative al cognome della moglie con l’art.143 bis, il quale dichiara che la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze che cerca di dare attuazione il principio di eguaglianza. “Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.” Il secondo comma mette in evidenza tali obblighi ma non vengono specificati in quanto si è voluto rendere questa norma in grado di adeguarsi alla mutata sensibilità morale e giuridica che la società è in grado di esprimere. Il matrimonio è un elemento legato alla storia e soggetto al cambiamento e ciascun ordinamento ha una sua idea di matrimonio, ma anche in relazione alle specificità della coppia. In termini generali, questi obblighi sono pensati per garantire la conservazione del consorzio familiare e la sua valorizzazione. Sono funzionali in modo che l’individuo possa esprimere se stesso attraverso la condivisione con la moglie: questi obblighi sono un principio di solidarietà sociale in senso religioso e civile, quindi devono essere consolidati gli uni con gli altri. In base all’opera di interpretazione dei studiosi e dei giudici, è possibile definire quali siano le caratteristiche di tali obblighi: - dovere di fedeltà: è il primo che viene nominato e che maggiormente risente del contesto storico, culturale, religioso. E’ fedele colui che condivide la comunione di vita per mantenere la lealtà e nella sintonia di portare avanti il matrimonio, implica un comportamento attivo e consente lo svolgersi del rapporto. Il dovere di fedeltà è violato quando uno dei due coniugi intrattiene anche rapporti sessuali con una persona diversa dal proprio coniuge; nelle moderne società in cui viviamo le occasioni di vicinanza e di violazione di questo dovere sono molto più varie rispetto al semplice tradimento del rapporto sessuale. Se dimostro la violazione del dovere di fedeltà da parte dell'altro coniuge è possibile richiedere il risarcimento del danno. - Obbligo di assistenza morale e materiale: ha a che fare con il rapporto di condivisione della vita che i due coniugi hanno tra di loro, implica condotte di vicinanza sotto il profilo psicologico e spirituale e anche un supporto concreto e materiale in modo che l’altro possa sviluppare la propria persona all’interno del matrimonio. La collaborazione è diversa dall’assistenza in quanto la prima implica il contribuire insieme per l’interesse della famiglia (lavorare insieme per), l’assistenza invece riguarda strettamente il rapporto tra i due coniugi, per la propria personalità e quella dell’altro coniuge. - Coabitazione cioè individuare la stessa e unica casa familiare, ma anch’esso va declinato diversamente a seconda del contesto storico. Oggi va inteso in maniera più flessibile in quanto è sempre più frequente il fatto che due coniugi lavorino in due luoghi diversi rispetto al luogo comune di convivenza (causa per esigenze lavorative). Il dovere non è violato se i coniugi si accordano. Ci deve essere inoltre una sanzione in caso violazione, ma il codice civile prevede una sanzione esplicita per allontanamento senza una giusta causa dall’assistenza familiare (Art 146). In questo caso, l’altro coniuge rimasto riceve la sospensione di adempiere gli obblighi previsti dall’Art 143. Il giudice può, secondo le circostanze, ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi, nella misura atta a garantire l'adempimento degli obblighi previsti dagli articoli 143, terzo comma, e 147. Inoltre, può richiedere la separazione semplice ma anche quella separazione che definiamo “separazione con addebito”, cioè di amputare la causa dello scioglimento del matrimonio a quel coniuge che si è allontanato senza motivo, il quale perderà: l’assegno di mantenimento e i diritti successori. Questo vuol dire che, nel momento in cui avviene questa separazione con addebito, il coniuge in questione perderà il diritto di eredità alcunchè dell’altro coniuge. Inoltre, c’è anche la penale (inserita nel codice penale) che punisce la violazione degli obblighi in assistenza familiare. L’adempimento dei doveri considerati, inoltre, risente anche delle specificità dei coniugi i quali possono scegliere le modalità più opportune per adempiere in autonomia attraverso un accordo che regoli il loro vivere in famiglia: è valido in fase fisiologica e in fase patologica (di crisi) del rapporto, cioè nel momento in cui è vicini ad una separazione. Entrambi sono in una posizione di uguaglianza anche in fase di crisi. Possiamo far riferimento all’ART.145 (riformato alla riforma cartavia) primo comma: nel momento in cui i due coniugi non trovano un accordo su un certo aspetto è possibile richiedere l’intervento del giudice. Il giudice cercherà quindi di far trovare ai coniugi un punto di mezzo e che tenga conto delle esigenze di entrambi ma, un altro aspetto che il giudice deve tener presente, è la presenza del minore. Questo vuol dire che, essendosi abbassata l’età del minore da 16 a 12 anni, il minore stesso dovrà essere legittimato dal giudice in quanto oggetto di diritto e che deve essere tenuto in considerazione. Nel secondo comma del 145 si afferma che se questa conciliazione non produce nulla, la decisione viene imposta dal giudice. La riforma cartavia affermò che la richiesta del giudice può provenire non solo da entrambi i coniugi ma anche solo da uno dei due coniugi. Terzo comma art. 143 “Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.” Articolo 144. Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia. “I coniugi concordano tra loro l'indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa. A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l'indirizzo concordato.” Articolo 147 “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall'articolo 315-bis.” Art. 122. Violenza ed errore. Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo. Il matrimonio può altresì essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull'identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell'altro coniuge. L'errore riguarda: 1) l'esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale; 2) l'esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile; 3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale; 4) la circostanza che l'altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L'azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile; 5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell'articolo 233, se la gravidanza è stata portata a termine. L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l'errore. Il rapporto matrimoniale Il rapporto giuridico che scaturisce nel matrimonio vincola il marito e la moglie, ma anche i diritti e doveri che entrambi dovranno adempiere nei confronti dei figli. Un concetto presente in ambito giuridico è quello di “matrimonio per procura” : è adottato in casi eccezionali e si tratta di mandare a matrimonio due persone che non sono fisicamente presenti durante la cerimonia, ma sono rappresentati da altre persone. I profili patrimoniali Essi sono regolati da diverse modalità. Il nostro ordinamento riconosce 3 regimi patrimoniali della famiglia: Un altro regime è quello del fondo patrimoniale, ovvero si tratta di uno strumento che viene utilizzato a seconda di qualsiasi regime patrimoniale abbiano scelto i coniugi (sia in comunione che in separazione). Essi vengono accontentati per le risorse per un vincolo specifico (es. pagare gli studi dei figli). E’ una scelta che deve essere fatta appena sposati, tanto che la scelta per comunione e separazione viene annotata nel margine dell’atto matrimoniale. In questa parte viene specificato il modo in cui i congiui hanno deciso di veicolare, ma è possibile anche modificare quest’azione quindi la si può cambiare. Se questa scelta non viene fatta, o se i coniugi non sanno scegliere cosa sia meglio, sarà la legge a decidere il modo in cui si regoleranno i rapporti patrimoniali. Il regime che opera per legge è la comunione di beni, è una regola introdotta dopo la riforma del diritto di famiglia del 1975: prima del 1975 l’impostazione era apparsa non idonea a tutelare efficientemente a tutelare il coniuge ritenuto più debole, ovvero chi può avere un patrimonio più consistente e chi meno. Questa situazione faceva sì che non solo uno dei due coniugi fosse in difficoltà ma che si trovasse esposto al livello di forza da parte dell’altro coniuge (nella maggior parte dei casi era la donna). Questo accentuava lo squilibrio del rapporto coniugale e non rendeva effettiva egualitaria tra coniugi (art.143). Nel 1975 il legislatore cercò di porre rimedio e di garantire l'uguaglianza dei coniugi attraverso lo strumento della comunione legale. - Comunione legale: si tratta della creazione di un massa patrimoniale in comune tra i coniugi in parti uguali, crea un’unione di comunione di beni nei quali entrambi i coniugi potranno attingere per il bene della famiglia. E’ definita come una comunione senza quote, cioè abbiamo un bene in comunione per una quota. Il principio è medesimo, ma questa è senza quote cioè a seconda della cifra messa per quel bene entrambi sono a proprietà di quel bene senza differenza. Questo meccanismo fa sì che ci sia una massa di risorse da cui entrambi i coniugi possono attingere in condizioni paritarie, serve ad entrambi e garantisce anche al coniuge più debole di disporre di una massa di beni anche rivolto al coniuge che non lavora. - Separazione dei beni: si tratta del regime patrimoniale coniugale di distribuzione tra i coniugi della ricchezza acquisita durante il matrimonio. Nel regime di separazione dei beni ogni coniuge è titolare esclusivo dei beni acquisiti durante il matrimonio. - Comunione convenzionale( o legale): il regime della comunione può atteggiarsi alla comunione convenzionale (più flessibile e adatta alle esigenze della famiglia) cioè non si tratta di un regie previsto per legge ma per accordo dei coniugi. La legge da ai coniugi la possibilità di creare una comunione di beni fondata sull’accordo e su regole parzialmente diverse da quella legale, in quanto adatta di più alle loro esigenze. Il regime della comunione dei beni Capo VI: regime patrimoniale della famiglia ART.159: Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell'articolo 162, è costituito dalla comunione dei beni regolata dalla sezione III del presente capo. Forma delle convenzioni matrimoniali ART.162: Le convenzioni matrimoniali debbono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità. La scelta del regime di separazione può anche essere dichiarata nell'atto di celebrazione del matrimonio. Le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, ferme restando le disposizioni dell'articolo 194. Le convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando a margine dell'atto di matrimonio non risultano annotati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti, ovvero la scelta di cui al secondo comma. Quando parliamo di comunione legale dobbiamo tener presente dei beni distinti per 3 categorie: - Beni che fanno parte della comunione legale nel momento in cui essa viene costituita, sono beni che cadono automaticamente e necessariamente in comunione. L’ART 177 ci elenca i beni che cadono in comunione e sono: A) Gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente dal giorno successivo al matrimonio, B) I frutti (es. denaro, fondi di proprietà) dei beni propri di ciascuno dei coniugi percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione, C) I proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, lo scioglimento della comunione, non siano stati consumati. Si tratta quindi dei redditi dell’attività svolta singolarmente da ciascuno dei coniugi , quindi sia da lavoro che da capitale. D) Le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, ma se uno dei congiunti aveva già la propria azienda (intesa come un bene) prima del matrimonio succede che, dopo il matrimonio, non cade in comunione a differenza dei redditi dell’azienda. Il secondo comma dell’ART. 177 sostiene che può anche accadere che l’altro coniuge collabori nell’attività di impresa dell’altro coniuge, succede che ciò che verrà realizzato in termini di utili e incrementi cadrà in comunione legale. - Beni personali che non cadono mai in comunione legale, sono personali e in quanto gli non rientrano a condurre la massa del rapporto in comunione. Essi sono gli acquisti relativi a beni personali o di uso strettamente personale o che hanno a che fare con la professione/ lavoro svolto da ciascun coniuge. Non cadono i beni in cui, prima del matrimonio, uno dei due sposi era già proprietario neppure ciò che dopo il matrimonio acquisto per effetto di donazione o successione. Ne fa parte anche il risarcimento del danno. - Beni che cadono in comunione ma non subito, ma solo e quando la comunione andrà a sciogliersi e che andranno poi a ripartirsi. Proprio per questo si devono andare a calcolare in questa ripartizione anche i beni che precedentemente non erano in comunione. E’ detta comunione de residuo (o residuale), cioè riguarda ciò che rimane. Il calcolo delle lettere B-C vengono presi in considerazione nel momento dello scioglimento della comunione. Come si amministrano i beni in comunione? Dipende dal tipo di atto che si va a compiere, cioè se la spesa da effettuare sia di ordinaria (gestiscono ordinariamente le spese e per lo svolgimento della vita quotidiana) o straordinaria amministrazione (bisogni ed esigenze straordinaria). L’ART 180: primo comma afferma come si effettuano gli atti di ordinaria amministrazione che possono essere compiuti disgiuntamente da entrambi i coniugi (es.fare la spesa), il secondo comma afferma come si effettuano gli atti di straordinaria amministrazione, i quali eccedono l'ordinaria amministrazione (es. comprare un’auto) che richiedono un costo più consistente, quindi la regola è il compimento congiunto cioè devono essere compiuti congiuntamente in quanto si usano risorse che sono proprietarie di entrambi. Cosa succede se un coniuge vuole acquistare una proprietà per metterla a reddito ma uno dei due coniugi rifiuta? ART 181 Si andrà al giudice e si chiederà l’autorizzazione del compimento dell’atto anche l’altro coniuge non è d’accordo. Il giudice rilascerà l’autorizzazione sulla base di un’analisi dell’atto di straordinaria amministrazione potrà realizzare l’interesse della famiglia, se consentirà un miglioramento delle condizioni vita per la famiglia. Cosa succede se uno dei due coniugi preleva una parte di denaro in comunione legale e li usa per scopi strettamente personali senza il consenso dell’altro coniuge? ART 184 L’altro coniuge si recherà dal giudice e se l’acquisto riguarda un bene immobile o un bene mobile non registrato è possibile chiedere l’annullamento dell’atto. Se l’atto compiuto riguardava un bene mobile, in questo accadde che è possibile reintegrare la comunione cioè far sì che si recuperi quanto è stato usato per comprare quel bene e,se non è possibile recuperare il denaro, il coniuge dovrà ridare i soldi di tasca propria all’altro coniuge. L’ART.191: scioglimento della comunione “La comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta di uno dei coniugi, per l'annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi. Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L'ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all'ufficiale dello stato civile ai fini dell'annotazione dello scioglimento della comunione.” Quindi, l’unione si scioglie se muore uno dei coniugi o viene meno nelle ipotesi di scioglimento del matrimonio, nel momento in cui avviene la separazione giudiziaria, ci possono essere delle convenzioni tra coniugi che modifica la disciplina di comunione legale dei beni (art 210) e possono modificare la convenzione tramite un accordo. La patologia della famiglia Il nostro ordinamento consente lo scioglimento del vincolo coniugale in caso di crisi: esso si verifica quando non ci possono più le ragioni che hanno sorretto la scelta di unione e di condividere un progetto esistenziale comune. Lo scioglimento del vincolo matrimoniale era prima considerato, fino agli anni 70, un'eccezione perché la famiglia era vista come una formazione sociale alla quale si riconosceva una valenza non solo legata alla sfera personale ma anche pubblica. All’istituto del matrimonio erano riconosciuti una serie di valori e interesse di rango pubblicistico: l’ordinamento vedeva la famiglia come una istituzione da tutelare e preservare anche andando contro l’interesse personale dei coniugi. Questo era anche il modo in cui era concepita la società: il suo scioglimento era limitato a casi particolari. Prima del 1975 solo l’adulterio e altre specifiche circostanze costituivano la causa della separazione, ma si trattava di casi tassativi in cui domandare poi la separazione e che decideva poi il giudice. Essa era vista come una sanzione, cioè era considerata la sanzione per il comportamento particolarmente riprovevole da parte di uno dei coniugi. Si tratta di uno stigma sociale che andava ad inserirsi all’interno della famiglia. L’ordinamento ha iniziato ad evolvere il suo focus dalla famiglia come istituzione sociale alla personalità dei suoi componenti: ciò che va preservato è l’interesse delle singole persone che compongono quella formazione sociale e solo così si garantisce anche il loro corretto funzionamento. Ci possono essere delle situazioni nei quali il comportamento di uno dei due coniugi sia tale per cui venga meno quella comunione di vita materiale e spirituale e che non permetta di svolgere pienamente la propria personalità ma che andava ad interferire anche con la prole. Tutt’oggi la separazione è vista oggi come un rimedio ad una situazione di crisi che si traduce come un pregiudizio per i componenti più deboli, ovvero i minori. In questa logica, ci sono dei presupposti che non rispondono ad una logica di sanzione. Capo V: scioglimento del matrimonio e separazione dei coniugi -> lo scioglimento è inteso come quello che trova la sua causa per la morte di un coniuge (ART.149). Lo scioglimento si può verificare in altre ipotesi che definiamo di separazione o di divorzio, i quali sono due rimedi per la crisi familiare e che non determina il venir meno (=rende più morbido il vincolo e rimane ancora un filo che lega i due coniugi)del vincolo matrimoniale. La separazione può evolvere o verso una conciliazione dei coniugi oppure la separazione evolve in una vicenda di divorzio in cui il vincolo viene meno e non è più possibile tornare indietro. Questo passaggio dalla separazione al divorzio si lega ad una concezione morale e religiosa che il nostro ordinamento ritiene come la concezione di matrimonio si sia evoluta nel tempo, anche in base a scopi di interesse generale. Tende ad essere nel tempo un passaggio recessivo: il nostro orientamento cerca cioè di assottigliare la necessità della separazione come soluzione definitiva. La separazione deve durare minimo 6 mesi prima di arrivare al divorzio, in alcuni casi è possibile richiedere insieme domanda di separazione e divorzio nello stesso giudizio. La disciplina della separazione ART 150: la separazione personale dei coniugi può essere ottenuta o in via giudiziale (attraverso il giudice) o in via consensuale(accordo tra coniugi) e producono effetti giuridici. Entrambe sono le uniche modalità in cui è possibile passare alla sentenza di divorzio, ma esiste anche la separazione di fatto ,cioè che avviene al di fuori delle prime due, non conduce effetti giudici e non ha alcuna rilevanza se non nel caso in cui uno dei due coniugi abbandona la famiglia senza motivo (ART 143). Separazione per via consensuale: si fonda sull’accordo dei coniugi e ciò costituisce un valore da parte dell’autorità giudiziaria per i coniugi, i quali hanno la possibilità di decidere la separazione e anche le conseguenze della separazione. I diritti e doveri che vincolano il matrimonio si allentano e si rimodellano in maniera diversa. Il vincolo matrimoniale, essendosi instaurato dopo un procedimento giudiziario, deve avere una sua ufficializzazione cioè l’accordo dei due coniugi deve essere sempre sottoposto ai pari del giudice (ART 158). L’omologazione è il provvedimento che il giudice adotta per dare effetto giuridico e ,a tutti gli effetti, i coniugi risultano separati per l’ordinamento giuridico. L'omologazione ha una maggiore rilevanza quando la famiglia che si separa ha dei figli minori in quanto viene in gioco il valore per l’interesse dei più deboli che sono primariamente i minori. Se il giudice ritiene che accordo non tutela l’interesse dei minori, l’omologazione non è concessa. Il giudice in questo caso deve segnalare che il loro accordo non va bene, ne deve individuare le ragioni e invitare i coniugi a raggiungere un nuovo accordo. ART 158: separazione consensuale “La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l'omologazione del giudice. Quando l'accordo dei coniugi relativamente all'affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l'interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell'interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l'omologazione.” Separazione per via giudiziale: (ART 151) si fonda quando la conflittualità non comprende una decisione consensuale, ci si reca quindi dal giudice per ottenere la separazione. Può essere chiesta quando si verificano fatti tali da rendere impossibile la convivenza anche per un solo coniuge o nel momento in cui si verificano gli atti che rende pregiudizievoli l’educazione della prole (genitore violento, che si dimostra non idoneo all’educazione). Differente da prima della riforma del 1975. ART 151: separazione giudiziale “La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole. Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.” Ci possono essere dei casi in cui l’intollerabilità è collocata a fatti gravi tali da giustificare non solo la domanda di separazione ma anche di addebito di separazione ( quest’ultimo fa sì che la responsabilità ultima sia collocata a solo uno dei coniugi). La legge,nel disciplinare gli effetti della separazione, prende in considerazione soltanto i rapporti patrimoniali, quindi disciplina le leggi patrimoniali della separazione e non quelle personali se non nel 156 bis che riguarda l’uso del cognome. Il vincolo rimane in piedi ma i diritti e doveri matrimoniali si attenuano. Il dovere di fedeltà si attenua ma non viene meno del dovuto, cioè devono esserci delle modalità che non risultino irrispettose nei confronti dell’altro coniuge. Assieme al dovere di coabitazione viene anche meno il dovere di assistenza morale e materiale. Quello che non viene meno ma si modula è il dovere di contribuzione alla famiglia, intesa stavolta come assegno di mantenimento: si tratta del dovere di contribuire e si tratta quindi di un assegnazione periodica di denaro che sorge solo se l’altro coniuge non risponde di adeguati redditi propri. L’addebito fa sì che il coniuge privo di reddito non avrà diritto all’assegno di mantenimento ma alimentare. Perde anche i diritti di successione, quindi di eredità. Il profilo degli effetti della separazione nei confronti dei figli Un provvedimento di separazione incide sui doveri che hanno nei confronti dei figli, ma il venir meno del vincolo coniugale ha un riflesso sulla gestione dei figli stessi. Si pone il problema a chi e come vadano affidati i figli, in quanto cessa il onere di coabitazione tra coniugi. dobbiamo considerare una legge che ha modificato questa gestione dei figlie in caso di separazione: n.24 del 2006. Questa legge è intervenuta sull'articolo 155 (bis e seguenti). Essa stabiliva che spettasse al giudice definire l’affidamento dei figli, fuori dai casi di decisione consensuale. La scelta del giudice era una scelta a favore dell’affidamento esclusivo, cioè si affida il figlio/i in via esclusiva ad un solo dei genitori che quasi sempre era la madre. La madre era il principale referente che garantiva la sicurezza al minore. Con la legge del 2006 si è ribaltata l’impostazione e ha stabilito che non è più il giudice a stabilire a chi e come( non vale l’affidamento esclusivo) vadano affidati i figli e vale l’affidamento condiviso, ovvero il giudice opta per l’affidamento ad entrambi i genitori a meno che non sia contrastante con l’interesse dei figli stessi. Avere l’affidamento dei figli è continuare ad essere gravanti dalla responsabilità genitoriale per garantire i loro diritti e doveri. Bisogna stabilire a quale genitore siano però collocati: la collocazione materiale del figlio non sta a stabilire che non sia a favore di un solo genitore, ma è necessario che ci sia una giusta spartizione dei giorni in cui figli dovranno stare con un genitore e con l’altro. Nel definire la scelta per l’affidamento condiviso o esclusivo il giudice può tenere conto dell’accordo di entrambi i coniugi e, nel momento in cui è presente, il giudice tenderà a rispettare quell’accordo ma in primis deve seguire l’interesse del figlio. (Art 337 bis, il quale ha sostituito art 155 bis e seguenti) Ciascuno dei genitori deve mantenere i propri figli, anche successivamente al divorzio, e lo deve fare in proporzione al proprio reddito personale o attraverso un assegno economico ( può proseguire anche dopo i 18 anni del figlio) o attraverso una donazione quotidiana di denaro. La casa familiare veniva assegnata al genitore che aveva il mantenimento esclusivo, anche se la casa apparteneva all’altro coniuge. Oggi, la casa familiare, viene assegnata a chi ha il reddito economico più basso. Oggi viene assegnata al prevalente interesse dei figli. Tutte le decisioni finora considerate sono decisioni che il giudice prendeva soprattutto sulla base dell’interesse di figli attraverso l’uso dell’ascolto quindi avviare delle forme di colloquio ( il minore deve avere almeno 12 anni). La riforma cartavia è intervenuta non solo sulle norme processuali ed è intervenuta sulla disciplina dell’ascolto del minore; infatti la riforma ha abrogato quegli articoli che privavano il minore di essere ascoltato e oggi si prevede che, se c’è già un accordo sull’affidamento, l’ascolto del minore non viene considerato necessario. Ciò che conta però è tutta quella serie di norme che valorizza il diritto all'autodeterminazione del minore, il quale portava davanti al giudice le proprie esigenze e desideri. L’altra novità riguarda il dovere dei genitori di redigere il piano genitoriale (473 bis n.12 comma 4) in cui tutte le decisioni relative ad educazione, istruzione, salute dei figli… sono decisioni che i genitori,anche se separati, devono prenderle insieme in quanto sono entrambi genitori affidatari in via condivisa. Se entrambi non sono in grado, il giudice prenderà la decisione. La riforma cartavia ha imposto il piano genitoriale, cioè presentare al tribunale questo piano in cui i genitori devono indicare in maniera dettagliata tutti gli aspetti della vita dei figli. Questo piano deve essere dettagliato e specifico poiché, nel momento in cui si indicano tutte le attività del figlio, i genitori mettono in evidenza il progetto di cui essi assumono nella responsabilità ad adempiere, nella loro responsabilità genitoriale, e affinché il trauma di separazione del figlio sia meno invadente del figlio. Se questo piano non risulta aderente all'interesse del figlio interviene il giudice, se i genitori si dimostrano inadeguati e non lo rispettano potranno essere sanzionati e, quando sono più gravi e costanti, possono presentarsi anche sanzioni economiche. Quando interviene la separazione, l’obbligo di retribuzione si trasforma e si può tradurre nel dovere di corrispondere un assegno di mantenimento al coniuge più debole. Questo aspetto del mantenimento è contemplato dall'art 156: “Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall'altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri. L'entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell'obbligato. Resta fermo l'obbligo di prestare gli alimenti di cui agli articoli e seguenti. Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti.” Se il coniuge non dispone ad uno di questi assegni di mantenimento possiamo procedere al codice di procedura civile. Un coniuge può essere tenuto ad un assegno di mantenimento verso l’altro o ad un assegno alimentare: Assegno di mantenimento: (art 156) il concetto di mantenimento si riferisce alle prestazioni di assistenza materiale dovute per legge alla persona che si trova in uno stato di bisogno economico, anche se per propria colpa. Rientra nell'obbligo di solidarietà familiare. Esso costituisce la trasformazione dell’obbligo dei coniugi a contribuire ai bisogni famigliare, garantisce la conservazione del tenore di vita goduto analogo al tenore di vita del matrimonio. Mira a garantire a colui che non ha reddito adeguato di ricevere questo assegno. Il suo ammontare è strettamente correlato alla situazione economica di ciascuno dei coniugi e spetta nel momento in cui è presente una disparità economica. Il reddito del coniuge, che non ha lavorato o ha lavorato part-time, può non corrispondere ad adeguati redditi e quindi si presenta una situazione di squilibrio nel momento in cui si presenta la separazione. La quantificazione dell’assegno deve essere idonea per godere il tenore di vita. Questo assegno spetta anche dopo il divorzio,ma i criteri che determinano se quell’assegno spetta, e anche la sua quantità, sono diversi quando si è in sede di separazione. Assegno alimentare: (art 433) il diritto agli alimenti (ciò che è strettamente necessario per la cura della persona) spetta a colui che si trova in stato di bisogno, cioè in una situazione in cui non è in grado di risolvere le esigenze di vita quotidiana. Ha un peso meno consistente rispetto all’assegno di mantenimento. La disciplina del divorzio Il divorzio costituisce, nella maggior parte dei casi, l’esito della separazione ma si può ricorrere al divorzio anche a causa di altre vicende che giustificano il divorzio e che non hanno a che fare con la situazione familiare. Il divorzio permette il venir meno a tutti gli effetti del vincolo coniugale. Morte, compimento di reati che determinano sentenze di condanna elevate possono esserne le cause. Fino agli anni 70 il divorzio non era consentito e l’unica causa era la morte di uno dei due coniugi. Il divorzio è divenuto un’ipotesi legittima di vincolo di scioglimento nel 1970 con la legge 898: il divorzio è disciplinato in questa legge speciale e non nel codice civile. Tale legge è stata molto discussa negli anni e non ricorre mai il termine divorzio, si parla però di scioglimento del matrimonio. Rispetto al matrimonio concordatario, con rito cattolico, ciò che si può si può scogliere sono gli effetti civili. Lo svolgimento implica che i coniugi riacquistano la loro libertà di stato e che quindi possano sposarsi nuovamente. Il divorzio trova nella separazione consensuale o giudiziale (legale in entrambi i casi) la sua causa principale: con la legge 898 del 1970 si prevedeva al divorzio solo dopo essere stati separati legalmente per 3 anni. Non è più necessario adesso aspettare 3 anni, quindi è salta questa fase di passaggio e se la separazione è stata consensuale si può ottenere i divorzio dopo 6 mesi, se è di tipo giudiziale bisogna aspettare almeno 1 anno. La legge 898 art 1 afferma che il divorzio si ottiene con la sentenza del giudice, il divorzio consensuale non è consentito, il quale enuncia lo scioglimento quando la comunione materiale e spirituale non può verificarsi quando non si rispetta l’art 3. Quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l'altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza: a) all'ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale; b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all'art. 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione; c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio; d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all'art. 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell'art. 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio. Ma anche nei casi in cui: a) l'altro coniuge è stato assolto per vizio totale di mente da uno dei delitti previsti nelle lettere b) e c) del numero 1) del presente articolo, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta l'inidoneità del convenuto a mantenere o ricostituire la convivenza familiare; b) è stata pronunciata con sentenza passata in giudicato la separazione giudiziale fra i coniugi, ovvero è stata omologata la separazione consensuale ovvero è intervenuta separazione di fatto quando la separazione di fatto stessa è iniziata almeno due anni prima del 18 dicembre 1970. In tutti i predetti casi, per la proposizione della domanda di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, le separazioni devono essersi protratte ininterrottamente da almeno dodici mesi dalla data dell'udienza di comparizione dei coniugi nella procedura di separazione personale e da sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche quando il giudizio contenzioso si sia trasformato in consensuale, ovvero dalla data certificata nell'accordo di separazione raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita da un avvocato ovvero dalla data dell'atto contenente l'accordo di separazione concluso innanzi all'ufficiale dello stato civile. Nei casi in cui la legge consente di proporre congiuntamente la domanda di separazione personale e quella di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, quest'ultima è procedibile una volta decorsi i termini sopra indicati. L'eventuale interruzione della separazione deve essere eccepita dalla parte convenuta. (1) c) il procedimento penale promosso per i delitti previsti dalle lettere b) e c) del n. 1) del presente articolo si è concluso con sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato, quando il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ritiene che nei fatti commessi sussistano gli elementi costitutivi e le condizioni di punibilità dei delitti stessi; d) il procedimento penale per incesto si è concluso con sentenza di proscioglimento o di assoluzione che dichiari non punibile il fatto per mancanza di pubblico scandalo; e) l'altro coniuge, cittadino straniero, ha ottenuto all'estero l'annullamento o lo scioglimento del matrimonio o ha contratto all'estero nuovo matrimonio; f) il matrimonio non è stato consumato; g) è passata in giudicato sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso a norma della legge 14 aprile 1982, n. 164. Quindi, il divorzio è un effettivo scioglimento del vincolo matrimoniale: ciascuno dei coniugi dovrà acquisire la sua libertà di stato ed entrambi potranno sposarsi nuovamente. Le cause di scioglimento del vincolo matrimoniale sono solo quelle indicate nella legge 898 del 1970. Ci deve essere un’impossibilità di comunione di vita matrimoniale e spirituale dei coniugi, ma può variare e deve essere prevista per legge. La causa principale è la separazione legale, che sia consensuale (6 mesi) o giudiziale (1 anno). La legge 898 prevede altre cause di scioglimento del vincolo, in primis la commissione di gravi reati da parte di uno dei due coniugi. Una causa più risalente riguarda la non consumazione del matrimonio, legata alla concezione tradizionale e attuale del matrimonio, quindi che non ci sia il modo di considerare il matrimonio come realizzazione di entrambi i coniugi e della famiglia stessa. Il diritto internazionale privato si riferisce cioè al fatto che, se uno dei due coniugi è straniero, ci possono essere dei criteri in cui è possibile far riconoscere l’atto del matrimonio anche nell’altro stato dell’altro coniuge: stessa cosa avviene anche per lo scioglimento. L’ultima causa riguarda l’ipotesi nella quale uno dei due coniugi voglia intraprendere un percorso per cambiare il proprio sesso. Il mutamento di genere impatta sicuramente sul vincolo matrimoniale, ma questo si può creare un problema cioè avere due persone legate dal vincolo matrimoniale dello stesso sesso. Questo non era consentito e prima della legge 898 si riteneva che automaticamente si dovesse sciogliere il matrimonio. Non teneva però conto dell’aspirazione dei due coniugi di portare avanti il loro progetto esistenziale comune. La giurisprudenza però può segnalare questo avvenimento, in modo da tener conto i diritti fondamentali dei coniugi coinvolti. Questo passaggio è avvenuto nel 2016 con la legge delle unioni civili: oggi stabilisce che se i coniugi manifestano la volontà di non scioglierle il loro vincolo esistente allora, in questi casi, può seguire l'automatica instaurazione delle unioni civili. L’ordinamento permette così di ufficializzare il legale affettivo e si garantisce a quella coppia di mandare avanti la loro comunione di vita spirituale e matrimoniale. Se il mutamento di genere coinvolge due persone già unite civilmente, c’è un problema di discrimazione tra queste due vicende. La sentenza del 2012 ha affermato che non sia possibile passare dall’unione civile al matrimonio: si contestava non tanto il merito della domanda di costituzionalità ma il modo in cui è stata posta. Quindi la corte non è arrivata ad esaminare la questione, ma il dibattito è ancora presente e la questione potrebbe essere riproposta. Effetti dello scioglimento del vincolo I rapporti personali tra coniugi vengono meno nello scioglimento (art 143 non è più vincolante), i rapporti patrimoniali sono il piano più rilevante soprattutto inerente alle conseguenze dello scioglimento. In questo caso il marito e la moglie non sono più eredi l’uno dell'altro proprio per effetto del divorzio (viene meno il diritto alla quota di legittima). Il divorzio fa venir meno la comunione dei beni di entrambi i coniugi, ma una conseguenza patrimoniale più rilevante è il profilo dell’assegno di divorzio, cioè la possibilità che uno degli ex coniugi abbia diritto all’assegno da parte dell’altro coniuge. Legge 898 1970, art 5 comma 6: con la sentenza dello scioglimento del matrimonio il tribunale, tenendo conto della società dei coniugi, risponde l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente un assegno quando l’altro coniuge non ha i mezzi adeguati o non può procurarseli per ragioni oggettive quindi che non gode più della copertura. Non si tratta di uno stato di bisogno, bensì di contenimento (non si tratta di assegno alimentare). Questo assegno divorzile si pensava che fosse a scopo assistenziale, cioè aiutare quel congiure economicamente più debole, in virtù delle scelte fatte in precedenza. Tuttavia, se per l’assegno di mantenimento è in sede di separazione quindi di transizione in cui il vincolo c’è ancora, ha senso anche in caso di divorzio? Nel 2017 interviene una sentenza della corte di cassazione in cui riteneva che questa impostazione tradizionale non fosse più ragionevole. Si reputa che se due coniugi arrivano a prendere una decisione di scioglimento, essi devono anche assumersi la responsabilità di questa scelta di cui le conseguenze economiche sono volontariamente accettate dai coniugi. Per stabilire se un coniuge ha diritto all’assegno di divorzio bisogna considerare l'autosufficienza economica, cioè il diritto all’assegno viene valutato esistente sulla base di una valutazione che non riguarda più il rapporto di vita durante il matrimonio ma bisogna considerare la situazione di vita del singolo individuo. Questa sentenza però venne fortemente contestata, in quanto si riteneva che il diritto all’assegno spetta a prescindere dal tenore di vita del singolo. La soluzione di compromesso è la sentenza di cassazione a nazioni unite del 2018: la cassazione afferma che l'assegno divorzile non può avere funzione del tutto esistenziale, ma deve comunque tener conto del contributo e del ruolo svolto dal coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio familiare. L’altro contiene ha avuto così la possibilità di accedere a stipendi più consistenti ma ciò è stato possibile grazie all'altro coniuge che si è maggiormente occupato della famiglia. L'assegno divorzile ha quindi una funzione composita quindi svolge più funzioni, non solo assistenziale ma anche compensativa o perequativa, cioè serve a compensare il coniuge oggi economicamente più debole per le scelte che ha compiuto in costanza di matrimonio, alle sue rinunce allo studio, al lavoro e, mentre era condivisa, ha avuto una sua rilevanza per l’altro coniuge. Quindi, la donna (ad esempio) necessita di essere considerata in caso di divorzio. Nel 2016 il nostro ordinamento esprime la presenza adatta ad una pluralità di famiglie: sono tutelati anche modelli famigliari ulteriori. Questo ha condotto il legislatore italiano per adottare un istituto specifico per le coppie dello stesso sesso, ovvero l’unione civile. Questa scelta esprime una precisa opzione culturale ed è legittima, che però se andiamo ad analizzare a livello giuridico in quanto sono tutta una serie di rinvii alla disciplina del matrimonio. In questo quadro, possiamo vedere in cosa consiste questa unione civile. La disciplina dell’unione civile è affronta nella legge n 76, composta da un unico articolo, suddiviso in 69 commi. Il comma 1 definisce cosa sia l’unione civile in termini generali: è qualificata come una formazione sociale ai sensi degli articoli 2 e 3 della costituzione che sono pienamente tutelati. Viene quindi considerata come una formazione tutelata e legata al principio costituzionale di uguaglianza. Il comma 2 afferma che la formazione generale si deve instaurare tra due persone dello stesso sesso, ma devono essere due persone maggiorenni. Qual’è il procedimento dell’unione civile? E’ un procedimento che ricalca il procedimento matrimoniale ma si tratta di un caso ancora più semplice e agire da svolgere,rispetto al procedimento matrimoniale. Si articola in due fasi fondamentali: 1. La prima fase prevede l’intervento dell’ufficiale dello stato civile (è possibile sceglierlo, nel caso del matrimonio bisogna recarsi al comune di residenza), al quale la coppia deve indicare i propri dati anagrafici e il luogo di residenza e evento dichiarare la assenza di impedimenti formali per l’instaurazione dell’unione civile. Sono liberi di scegliere il comune in modo da poter essere liberi di entrare nel comune in cui desiderano entrare, in quanto in alcuni comuni questo tipo di scelte possono non essere del tutto ben viste e che possono essere giudicate. L’ufficiale dello stato civile, una volta ricevute le dichiarazioni della coppia, effettua le verifiche necessarie di quanto dichiarato e vi sono 30 giorni per la verbalizzazione dell’esito di tali verifiche. Solo in casi eccezionali si può saltare questi 30 giorni, quindi in casi di esigenze come pericolo della vita di uno dei due coniugi e che necessitano quindi di un'urgenza per instaurare il vincolo. 2. Una volta trascorsi i 30 giorni, la coppia si presenta davanti all’ufficiale e costituzionalizza l’unione. Questa fase è più veloce rispetto al matrimonio, si riduce infatti ad una dichiarazione di volontà che i due soggetti sono tenuti a fare davanti all’ufffciale e a due testimoni. L’ufficiale raccoglie le volontà dei soggetti e non pronuncia una formula solenne di chiusura, come nel matrimonio, ma è necessario dare lettura dei diritti e doveri per l’unione civile che sono disciplinati dall’Art.1 comma 11 e 12 della legge n. 76 del 2016. E’ questo un momento chiave in quanto avviene la presa di consapevolezza rende solenne quel dovere di solidarietà sociale a cui i componenti sono chiamati. Successivamente, l’ufficiale formalizza l’atto costitutivo dell’unione civile all’interno dello stato civile per dichiarare che quelle due persone sono unite. Anche qui, i componenti sono chiamati a manifestare in ordine al regime patrimoniale che intendono instaurare: comunione dei beni o separazione dei beni oppure comunione convenzionale (=accordo tra coniugi). Se questo non avviene, il legislatore dichiarerà per via residuale la comunione legale in quanto questa forma è in grado di tutelare meglio il coniuge economicamente più debole. Infatti il comma 13 dichiara che: il regime patrimoniale dell’unione è costituito dalla comunione dei beni. I presupposti dell’unione civile Ai fini della validità dell’unione, i due soggetti devono dichiarare l’assenza di impedimenti. La presenza di uno degli impedimenti comporta l’invalidità/annullità dell’unione. Questi impedimenti sono contenuti nel comma 4: - la sussistenza di un persistente vincolo, cioè se uno dei due aveva già instaurato in precedenza un vincolo civile o patrimoniale: il nostro ordinamento tutela l’unione monogamica, cioè la tutela riconosciuta per coloro che non hanno avuto precedenti vincoli. - L'interdizione per infermità di mente: la legge richiede che i partner siano capaci di agire e che non siano infermi di mente. - Art 86: non possono unirsi civilmente persone legati da rapporti di parentela o di affinità per garantire la salute della stipe. - Esistenza di una condanna per la commissione di gravi reati. Sono gli stessi vincoli del matrimonio. Un aspetto importante è quello del rapporto che scaturisce dall’unione civile. I diritti e doveri sono disciplinati dai comma 11 e 12: il comma 11 prevede che le parti acquistino gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri (principio di uguaglianza). Nel comma 12 vengono delineati l’obbligo di assistenza morale e materiale e di coabitazione. In più si sostiene che entrambe le parti, a seconda delle proprie sostanze e capacità lavorative, ma devono contribuire a soddisfare i bisogni comuni ,nel 143 si faceva invece riferimento ai bisogni della famiglia. Questa scelta di differenti termini sono degli indici di prudenza in cui il legislatore è intervenuto per l’attuazione di questo istituto. Comma 20: esplicita in che termini si rapporta l’unione civile con la disciplina del matrimonio. Prevede che: - Al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e obblighi, le disposizioni del matrimonio si applicano anche nelle parti dell’unione civile: è possibile applicare una tutt’altra serie di norme riferite dalla disciplina del codice civile in modo da tutelare l’effettività dei diritti e obblighi. Ma questa clausola di equivalenza non si applica alle norme non chiamate espressamente, quindi non deve trattarsi di un caso simile ma deve essere richiamato espressamente. - Clausola di salvaguardia: il legislatore richiede che per l’adozione sia necessario fare considerazione più specifiche. - Rinvio alla disciplina dell’assegno divorzile: comma 25. L’unione civile può essere sciolta ma non richiede il passaggio intermedio della separazione, differentemente dal caso dei coniugi in cui la separazione può portare al divorzio o al ricongiungimento. L’unione civile si scioglie sulla dichiarazione volontaria delle due parti, purchè venga fatta davanti all’ufficiale dello stato civile. Però, non basta manifestare la propria volontà in quanto, entro 3 mesi dalla dichiarazione di volontà di sciolta, si dovrà andare dal giudice e fare domanda per lo scioglimento dell’unione civile. Possiamo definire la volontà di scioglimento come un passaggio intermedio, come lo è la separazione in caso di matrimonio. Anche l’unico civilmente ed economicamente più debole ha diritto ad un assegno con funzione contributiva e non tanto composita, come nel caso dell’assegno divorzile. La convivenza di fatto Legge 76 del 2016: è la legge che è volta a regolamentare le unioni civili ma anche la disciplina di convivenza. Questo significa che il nostro ordinamento riconosce la rilevanza giuridica anche per le convivenze, quindi un ulteriore modello famigliare. E’ presente la convivenza con una rilevanza giuridica differente: - Convivenza registrata, cioè sono formalizzate attraverso il meccanismo della registrazione; - Convivenze non registrata, quindi non formalizzata e che tentano di rivendicare la loro rilevanza e autonomia perché non si avvalgono di quel meccanismo di legislazione; C’è quindi una tendenza a privatizzare il rapporto coniugale, cioè si tratta di un passaggio da concezione pubblicistica del matrimonio ad un modello in cui ciò che prevale è la persona che attraverso il matrimonio esercita i propri diritti grazie allo strumento dell’accordo. Tutto si fonda sull’accordo: quindi lasciare sempre di più la possibilità del rapporto tra privati cioè che siano loro a scegliere la disciplina del rapporto e non più la legge. Dall’altro lato, la legge 76 del 2016 è espressione di una sentenza opposta cioè ad istituzionalizzare certe relazioni affettive cioè c’è il bisogno che certe relazioni sentano il bisogno di riconoscimento dei diritti. I privati sono disposti a cedere una parte della propria autonomia in cambio di tutela, garanzie. Quindi, questa legge nasce dentro queste due tendenze opposte e cerca di bilanciare l’autonomia delle scelte dei privati con l’esigenza di avere delle garanzie. La convivenza è quindi la relazione affettiva al di fuori del matrimonio e dall’unione civile. Essa prima veniva considerata come una famiglia priva di legittimità e fondata sullo stato di natura, si guardava con molta diffidenza la convivenza in quanto il legislatore non le disciplinava. Nella vita di tutti i giorni emergevano problemi di tutela che venivano portati all’attenzione dei giudici, i quali hanno dovuto dare una risposta e una tutela fino ad arrivare al riconoscimento dei diritti, con la legge 76 del 2016, alle convivenze di fatto. Accadeva che, quando una persona andava a convivere con il proprio partner, uno dei due poteva essere economicamente più debole per sostenere l’altro. La disciplina che regola la convivenza Con la disciplina della convivenza di fatto, e con la legge del 2016, si nota l’esistenza di due esigenze diverse e contrapposte che devono essere prese in considerazione. Da un lato, nell'analisi della disciplina del matrimonio, abbiamo visto che c’è una tendenza ad allentare la disciplina legislativa e a lasciare più spazio alla volontà e autonomia negoziale di coniugi: è il riconoscimento della centralità dell’accordo, intenso come uno strumento in grado di regolare i rapporti così legati alla sfera personale. Come abbiamo visto è attraverso l’omologazione che il giudice osserva che l'accordo dei coniugi rispetti l’interesse e il bene dei minori presenti. Un altro esempio di rilevanza dell’accordo è la comunione su base convenzionale, quindi i coniugi possono prevedere di gestire i beni il quale è disciplinato appunto dall'accordo. Questi infatti sono due esempi di quando l’accordo sia per la legge di fondamentale importanza e si lascia ai coniugi la libertà di autodisciplinarsi. Nel momento in cui ci spostiamo in un’altra ottica, nel caso di relazioni affettive di fatto quindi quelle che vengono a prescindere dal matrimonio e dalle unioni civili, possiamo parlare di giuridicizzazione cioè di lasciar spazio alla legge, far sì intervenire la legge nella disciplina di questi rapporti. Nascono di fatto, quindi che la legge non reputa: si tratta quindi di una scelta che viene giuridicamente tollerata e consentite ma che sfugge a quelle che sono le regole sia del matrimonio che dell’unione civile. Questo approccio ad un certo appunto è apparso come una modalità che non teneva conto delle singole esigenze e dei rapporti affettivi, ci sono stati una serie di problemi legati alla convivenza di fatto che sono arrivati all’attenzione dei giudici. Ci si è accorti che una forma di tutela e stabilità fosse necessaria, sia per la parte della coppia che poteva essere economicamente più debole ma soprattutto quando sono presenti dei figli, e che la sola tolleranza non sarebbe bastata. A prescindere delle vicende, è necessario che l'ordinamento si interessi. Coloro che erano coinvolti in questi rapporti affettivi di fatto hanno preferito rinunciare ad una parte della loro autonomia e della loro autodeterminazione in cambio del riconoscimento delle loro tutele. Con la legge n. 76 del 2016 si sono disciplinati alcuni profili, soprattutto in presenza di figli minori: a partire dal comma 36 di tale legge si disciplina la convivenza di fatto. Nella realtà odierna è quindi possibile sostenere che le convivenze di fatto abbiano assunto una rilevanza giuridica. Fino alla fine degli anni 80 del secolo scorso, l'ordinamento aveva un solo atteggiamento di tolleranza e che non fosse opportuno di disciplinare le convivenze di fatto, in quanto si pensava che queste persone avessero scelto appositamente di non accedere alla disciplina e tutela del matrimonio e di non aderire al modello famigliare. Queste convivenze sono comunque relazioni affettive fattuali e hanno rilevanza giuridica nel momento in cui si consideri i fini dell’art.2 della costituzione: quest’ultimo sostiene che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Il luogo in cui infatti si esprime la personalità dell'individuo è proprio la famiglia, considerata come la più importante e riconosciuta. Oggi si parla infatti di famiglie, non più di famiglia al singolare, in quanto possono essere costituite non solo dal matrimonio, ma anche dall’unione civile e non solo. Negli anni 80 le convivenze di fatto non venivano del tutto messe da parte, in quanto il legislatore doveva rispettare i sensi previsti dall’articolo 2 della costituzione: veniva quindi riconosciuto come valore meritevole. Questo ha condotto il legislatore a chiedersi se fosse opportuno e in che modalità intervenire: prima del 2016 c’è stata un’evoluzione nel pensiero dei giudici, giuristi e degli studiosi del diritto (in particolar modo è un tema che ha toccato principalmente i giudici in quanto sono coloro che maggiormente si interfacciano tra la realtà giuridica e tra le persone) e si è trovati a rispondere ad alcuni bisogni di tutela. Ad esempio, la legge della disciplina la locazione della casa del 1978 fu una modalità giuridica che non contemplava il profilo di tutela dei conviventi, cioè essa sosteneva che nella casa, che fosse abitata da una coppia di persone non sposate, alla morte di uno dei due membri l’altra persona non poteva rimanere nella casa e non poteva subentrare nel rapporto di locazione cioè non poteva succedere nel contratto di locazione. Ma se la coppia è sposata alla morte del coniuge che ha firmato il contratto di locazione, l’altro subentra automaticamente nel contratto di locazione al posto del coniuge morto. Quindi, questa legge del 1978 riconosceva la disciplina di locazione ai coniugi sposati ma non alle convivenze di fatto, in quanto il convivente non aveva nessun tipo di rapporto coniugale. Questa legge tutelava la coppia sposata, ma non la coppia non sposata: questa legge richiama l’attenzione dei giudici da parte dei conviventi che non avevano il diritto di successione. Tale legge venne infatti dichiarata incostituzionale ,dalla corte costituzionale, nella parte in cui non prevedeva il diritto di abitazione a favore del convivente, cioè a colui che aveva condiviso il progetto esistenziale e affettivo con il proprio partner e che, a causa della morte di esso, si ritrova a lasciare l’abitazione. Si fa leva quindi alla tutela del diritto di avere un'abitazione per riconoscere implicitamente la rilevanza della convivenza di fatto: ecco perché il mondo giuridico assorbe al suo interno la formazione sociale di fatto e ne garantisce la tutela. Un altro esempio è la legge sulla procreazione medicalmente assistita cioè la n.40 del 2004 (normativa che permette l'accesso a ogni coppia che abbia problemi accertati di infertilità o di sterilità) la quale, nella sua versione originaria, ha consentito l’accesso alla procreazione da parte di coppie di fatto quindi questo accesso non è quindi previsto per i soli coniugi. Questo vuol dire che anche le coppie non sposate possono avere una loro esigenza di avere figli accedendo a tali tecniche. Si da valore anche a quelle persone che possono presentare problemi di fertilità, anche se non sposate. Arriviamo al 2016, in cui è intervenuta la legge n.76 e si inizia a dare rilevanza alle esigenze di tutela che pone la convivenza di fatto. Cos’è la convivenza di fatto? Definizione La definizione di convivenza di fatto la ritroviamo nel comma 36, art.1; è presa in considerazione quando sono presenti due persone maggiorenni (quindi con capacità di agire e autodeterminarsi) le quali devono essere unite da legami affettivi di coppia, non devono essere vincolati da rapporti di parentela, affinità o adozione. La convivenza di fatto è dunque una relazione affettiva, un legame affettivo di coppia tra due persone maggiorenni che sono legate stabilmente (=cioè la legge dà rilevanza a quei legami stabili e duraturi nel tempo), caratterizzati da un atteggiamento di reciproca assistenza morale e materiale ,cioè quel concetto che abbiamo già analizzato nel matrimonio e nell’unione civile, da cui scaturisce poi la famiglia. La giurisprudenza afferma quindi che sussista una convivenza di fatto, che trovano poi disciplina nella legge, cioè ciò che conta è l’esistenza di un legame affettivo stabile e duraturo, non interessa tanto l’istituzionalizzazione e le procedure, fasi (differentemente dal matrimonio). Per avere una convivenza di fatto non c’è quindi bisogno di ufficializzazione del vincolo: per definirla come tale non c’è bisogno di un procedimento che conduca alla sua formazione bensì conta la relazione fattuale stabile tra le due persone. Prescinde da un procedimento formale. Il legislatore dà importanza all’esclusività del rapporto, cioè non ci devono essere vincoli di parentela, affinità o adozione e, soprattutto, non devono essere vincolate da un matrimonio o da un'unione civile. Il comma 37 afferma che, se la coppia lo desidera quindi non è un passaggio obbligatorio, può dar luogo ad un meccanismo di registrazione che è quello della dichiarazione anagrafica, affinché quella convivenza trovi un suo particolare riconoscimento a livello giuridico, cioè la si porta a conoscenza. E’ una possibilità che però non ha una rilevanza costitutiva nella convivenza, cioè può esserci o meno. Questa legge del 2016 disciplina la convivenza di fatto prendendola in considerazione al fine di riconoscere diritti e doveri tra le parti. Il comma 38 afferma infatti che i conviventi hanno gli stessi diritti, spettanti ai coniugi, nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario. Vediamo quindi come il legislatore sia intervenuto disciplinando i singoli aspetti della convivenza: a tutela di quella che si considera una famiglia si sono estesi i diritti che spettano al coniuge come, ad esempio, riferendosi alle norme dell’ordinamento penitenziario. Quindi, se un componente è detenuto per aver commesso un reato fino al 2016 solo il coniuge aveva il permesso di visita in carcere ma non veniva riconosciuto al convivente. Nel 2016, e a seguire, quanto prevede la legge dell’ordinamento penitenziario il convivente di fatto ha diritto, come il coniuge, di far visita al proprio caro. Ancor più rilevante è il diritto riconosciuto dal comma 39 il quale afferma che in caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonche' di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari. Prima di questa legge, l’altro convivente non poteva accedere alla stanza in cui si trovava l’altro convivente ricoverato e tanto meno non poteva avere informazioni sulla sua salute. Questo avviene, nel 2016, grazie alla presenza del legame affettivo presente e riconosciuto ai fini della tutela della salute. Altra disposizione riguarda le decisioni sulla salute di uno dei conviventi nel caso in cui quest’ultimo non sia in grado di intendere di volere (esempio celebrazioni funerarie), cosa che prima non veniva riconosciuta dal convivente. Possiamo riassumere dicendo che il legislatore ritiene che questi diritti siano particolarmente bisognosi di garanzie, in quanto attinenti al diritto alla salute, alla visita quindi diritti attinenti alla persona. Ci sono anche dei rapporti legati alla sfera patrimoniale, in particolare è rilevante la questione dei diritti sulla casa familiare che sono il profilo in cui, prima del 2016, si è creata maggior tensione. Prima di questa legge non c’era nessuna norma che regolava i diritti della casa familiare: si riteneva infatti che al momento dello scioglimento del rapporto, l’altro coniuge, non proprietario della casa familiare, non poteva avere alcun diritto su quella casa tranne nel caso in cui il coniuge in questione fosse la madre con dei figli. E’ però una tutela non così certa ed effettiva, se non in specifici casi come nel momento in cui sono presenti dei figli. La legge del 2016 prende in considerazione diversi aspetti e possiamo distinguerle in 3 ipotesi fondamentali: 1. Il comma 42 afferma che in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitano figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Questo comma cerca quindi di bilanciare interessi contrapposti che sono quelli degli eredi per legge e dei conviventi, quindi dà il tempo per legge di stabilirsi. 2. Il comma 44 fa riferimento invece alla questione del contratto di locazione e afferma che nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto. 3. Il comma 43 afferma che il diritto di cui al comma 42 viene meno nel caso in cui il convivente superstite (rimasto in vita) cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto. Lo scioglimento della convivenza di fatto Anche la convivenza di fatto può però ricorrere allo scioglimento, quindi può cessare. Soprattutto in questo profilo, il legislatore prevede uno strumento importante: il comma 50 infatti prevede che i conviventi di fatto possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza. Si tratta quindi di un contratto, accordo scritto con il quale i conviventi di fatto registrati possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune. Per avere valore, ai fini di questa legge, deve essere scritto con una certa formalità: l'ordinamento infatti prevede le forme scritte per un atto pubblico che viene redatto da un pubblico ufficiale cioè è un atto che viene scritto da un notaio. Si tratta quindi da una massima garanzia sicurezza che il diritto può dare ad un atto scritto. In alternativa possiamo scrivere questo atto senza recarsi dal notaio ma anche solo per firmarlo, quindi anche per soli scopi di autenticità. Questo contratto è quindi caratterizzato da uno spiccato formalismo e che garantisce la stabilità e la certezza del diritto. Con questo contratto possiamo regolare, come lo definisce il comma 53: a. l'indicazione della residenza; b. le modalita' di contribuzione alle necessita' della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacita' di lavoro professionale o casalingo; c. il regime patrimoniale della comunione dei beni; Questi contenuti non sono tassativi, cioè sono alcuni possibili contenuti ma i conviventi possono aggiungere profili ulteriori. E’ uno strumento riconosciuto dalla legge ed espressione della piena autonomia e libertà dei conviventi. Diritti e doveri del minore: LO STATO DI FIGLIO La disciplina della filiazione possiede una lunga storia, in particolare lo status di figlio per i genitori. E’ una concezione di fondamentale importanza per l’ordinamento perché serve per individuare le persone che assumono la responsabilità genitoriale: ci sono una serie di poteri che i genitori devono esercitare per l’interesse del minore. Una prima notazione è quella del concetto di filiazione: con questo termine intendiamo diversi punti vista cioè che questo fenomeno lo possiamo considerare dal punto di vista biologico, antropologico, sociologico, psicologico… e tutti questi sono lo sfondo generale anche se ciò che ci interessa è il punto di vista giuridico. Dal punto di vista giuridico, il termine filiazione lo dobbiamo declinare in due accezioni diverse: 1. Come atto, cioè come modalità che permette di accettare, attraverso un documento giuridico, che un bambino è figlio di uno o due determinati genitori giuridicamente; 2. Come rapporto, che si instaura tra i genitori e il figlio; Ma ne possiamo parlare anche dal punto di vista fattuale (procreazione), cioè del processo naturale, a cui dobbiamo ricollegare atti e rapporti giuridici. In realtà, non c’è sempre il fatto naturale della procreazione perché oltre alla procreazione biologica c’è anche la filiazione adottiva la quale presuppone la sentenza di un giudice che determina l’adozione di un minore. L’unione con il figlio adottivo e i genitori avviene attraverso una sentenza, per legge. La filiazione adottiva presuppone l’accertamento da parte del giudice della capacità dei genitori adottivi: diventano genitori adottivi coloro che possiedono requisiti idonei ad esercitare la responsabilità genitoriale. Un terzo tipo di filiazione che in tempi più recenti si è sempre più affermato, cioè la filiazione che discende dall’impiego di tecniche di medicazioni assistite, artificiale. Quest’ultima discende dall’applicazione delle regole della legge 40 del 2004 che stabilisce a quali condizioni si possa accedere ad una tecnica di procreazione medicalmente assistita. Quindi la procreazione può essere: - Omologa; - Eterologa, inizialmente vietata, ma ora costituzionalmente conforme; Anche in questo caso si instaura un rapporto di filiazione con i genitori. Le regole sulla costituzione dello status di filiazione mutano a seconda della tipologia di filiazione che stiamo trattando, in quanto è diverso il fatto iniziale. Sebbene vagano regole diverse, esse le dobbiamo leggere con una stessa lente la quale è rappresentata dall’unicità dello stato di figlio e dal principio del preminente interesse al sano sviluppo psico-fisico del minore, ma ciò che muta è la modalità di accertamento. Lo stato di figlio è la posizione giuridica e familiare che un determinato bambino assume in una certa famiglia e a ciò si ricollegano una serie di diritti e doveri, ma si ricollega anche un riconoscimento pubblico. E’ oggetto di diritto fondamentale di ogni persona umana il fatto di essere riconosciuta la propria posizione giuridica e che ven