Psicologia della Comunicazione - Libro PDF
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2013
Lorella Lotto, Rino Rumiati
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Summary
Psicologia della comunicazione è un testo che esplora la comunicazione umana, dall'analisi dei suoi elementi base alla sua attuazione in contesti differenti, come i gruppi e le organizzazioni. Il volume, suddiviso in parti teoriche e applicative, affronta argomenti come la comunicazione verbale e non verbale, la persuasione, gli ostacoli alla comunicazione e le applicazioni in diversi ambiti, tra cui la politica e il marketing. Il libro è particolarmente adatto a studenti e professionisti interessati alla psicologia, alla comunicazione e al comportamento umano.
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MANUALI Psicologia I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull’insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it Testatina 3 Introduzione alla psicologia della comunicazione a cura di LORELLA LOTTO RI...
MANUALI Psicologia I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull’insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it Testatina 3 Introduzione alla psicologia della comunicazione a cura di LORELLA LOTTO RINO RUMIATI Seconda edizione il Mulino ISBN 978-88-15-24585-4 Copyright © 2007 by Società editrice il Mulino, Bologna. Seconda edizione 2013. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo – elettronico, meccanico, reprografico, digitale – se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d’Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie Indice Premessa 9 parte prima TEORIA I. Concetti di base della comunicazione, di Lorella Lotto e Rino Rumiati 15 1. Definizione e struttura della comunicazione 15 2. Significato, intenzionalità e contesto 17 3. Regole della comunicazione 19 4. Comunicazione come azione 21 5. Competenza comunicativa 21 6. Comunicazione verbale 23 II. Comprensione e produzione di messaggi, di Lorella Lotto 29 1. Le ambiguità del linguaggio 29 2. Facoltà linguistica 30 3. Fonemi 31 4. Morfemi e parole 32 5. Frasi e regole sintattiche 33 6. Come interagiscono sintassi e semantica nella comprensione di una frase 34 7. Modelli interattivi e modelli seriali 35 8. Strategie di analisi sintattica 37 9. Ruolo della prosodia 40 10. Processo di produzione 40 11. Errori in fase di produzione: le brille stellano o le stelle brillano? 41 III. Codici visivi e codici verbali, di Lorella Lotto 43 1. Immagini o parole 43 2. Codice visivo e codice verbale 44 6 Indice 3. Peculiarità del codice visivo 45 4. Linguaggio delle immagini 48 5. Regole di configurazione spaziale 48 6. Rappresentazioni esterne e rappresentazioni interne 52 7. Conoscenza 53 8. Organizzazione della conoscenza 54 9. Proposta di un modello di memoria semantica 58 10. Affermare che una persona è simpatica equivale a dire che non è antipatica? 61 IV. Comunicazione non verbale, di Caterina Suitner 63 1. I sistemi della comunicazione non verbale 65 2. Il sistema vocale 66 3. Il sistema cinesico 67 4. Il sistema prossemico 69 5. Il sistema delle rappresentazioni visive 70 6. Le funzioni della comunicazione non verbale 71 V. Comunicazione persuasiva, di Nicoletta Cavazza 79 1. Funzione persuasiva della comunicazione 79 2. Approccio atomistico: fonte, messaggio e ricevente 81 3. Abbiamo una teoria del processo di persuasione? 91 4. Quando l’obiettivo è il comportamento 94 VI. Ostacoli a una comunicazione efficiente, di Lorella Lotto e Rino Rumiati 97 1. Fallimenti comunicativi e miscomunicazione 97 2. Fallimenti comunicativi ed elementi costitutivi del processo di comunicazione 98 3. Aspetti di relazione nelle distorsioni comunicative 102 4. Conoscenze passate e linguaggio figurato 103 5. Comunicazione paradossale 105 6. Comunicazione paradossale e comunicazione patologica 107 7. Distorsioni comunicative nei media e attraverso i media 108 PARTE SECONDA APPLICAZIONI VII. Gruppi e comunicazione nei gruppi, di Rino Rumiati 113 1. Organizzazioni, gruppi e team 113 2. Struttura e funzione dei gruppi 115 Indice 7 3. Reti di comunicazioni e modalità di comunicazione nei gruppi 118 4. Comunicazione e influenza sociale nei gruppi 121 5. Comunicazione e coesione di gruppo 123 6. Modalità di comunicazione ed efficienza dei gruppi 125 7. Coesione, decisioni e controversie costruttive 127 VIII. Comunicazione nella gestione dei conflitti, di Davide Pietroni 131 1. Il fenomeno del conflitto 131 2. Strategie comunicative contenitive 134 3. Strategie negoziali e stili comunicativi 138 4. Strategie comunicative generative 142 5. La frontiera della comunicazione emotiva 145 IX. Comunicazioni di massa, di Luciano Arcuri 147 1. Quando il mondo delle comunicazioni di massa diventa un caso clinico 147 2. La psicologia delle comunicazioni di massa rincorre i problemi 149 3. Dalla ricerca sugli effetti alla ricerca delle influenze 151 4. Le comunicazioni di massa come strumento di socializzazione 153 5. Il messaggio pubblicitario 156 6. Fattori percettivi ed efficacia dei messaggi pubblicitari 158 7. Influenza dei messaggi subliminali o forza delle preconcezioni? 160 8. Come i messaggi pubblicitari influenzano i sistemi di atteggiamento 162 9. La forza delle rappresentazioni di gruppi sociali 163 X. Comunicazione pubblica e organizzativa, di Marino Bonaiuto e Antonio Pierro 167 1. L’importanza strategica della comunicazione per impresa e istituzioni 167 2. La comunicazione nell’organizzazione contemporanea 170 3. Il paradigma della comunicazione organizzativa o d’impresa 174 4. Le campagne di comunicazione pubblica 179 XI. Comunicazione politica, di Patrizia Milesi e Patrizia Catellani 185 1. Obiettivi, vincoli e caratteristiche della comunicazione politica 185 2. Gli attacchi ai politici e i loro effetti 187 3. Le difese dei politici e i loro effetti 192 4. Difendersi in caso di scandalo 194 5. La costruzione dell’«ingroup» 196 6. La costruzione dell’«outgroup» 200 7. La costruzione delle minoranze 202 8 Indice XII. Marketing e comunicazione, di Marco Bettiol 205 1. Marketing, comunicazione e produzione di massa 206 2. Il processo di comunicazione 208 3. Strumenti e canali di comunicazione: il «communication mix» 211 4. La comunicazione integrata 221 5. Verso un nuovo consumatore 222 6. La marca come mondo possibile 225 7. La diffusione dei social network: la nuova comunicazione è di massa 227 XIII. Comunicazione e promozione della salute, di Ketti Mazzocco e Lorella Lotto 229 1. Comunicazione e salute 229 2. Effetto «framing» 230 3. Elaborazione delle informazioni guidata dall’«affect» 235 4. Coinvolgimento emotivo 237 5. Medicina personalizzata 238 XIV. Comunicare i rischi e i pericoli, di Lucia Savadori 243 1. Che cosa si intende con «rischio» e «pericolo» 243 2. Forme elementari di comunicazione del pericolo 246 3. La comunicazione del pericolo nelle società moderne 248 4. La comunicazione tra esperti e pubblico 251 5. Immagini e mass media nella comunicazione del rischio 254 6. Mass media, disastri naturali e genocidi 256 7. Comunicare usando la via esperienziale 258 8. Il formato di presentazione del rischio 258 XV. Tecnologie per la comunicazione e social media, di Oronzo Parlangeli 261 1. Rivoluzione tecnologica 261 2. Comunicazione: riflessioni teoriche e tecnologiche 262 3. Tecnologie e caratteristiche definienti 264 4. Interfacce e tecnologie ICT 264 5. I social media 271 6. Prospettive future 276 Riferimenti bibliografici 281 Indice analitico 303 Premessa Nel panorama editoriale attuale si possono trovare diversi ottimi volumi che trattano il tema della comunicazione. Tali testi sono caratterizzati da chiavi di lettura e orientamenti differenti: alcuni sono contraddistinti da approcci semiotico-psicologici, altri da approcci sociologici o sociolinguistici. Questo patrimonio di conoscenze e di strumenti rispecchia la complessità dell’argomento. La comunicazione umana è in effetti un’attività assai articolata che si sviluppa in modo ineluttabile all’interno delle relazioni interpersonali, ed è proprio quest’ultimo aspetto a conferirle determinate peculiarità. La comunicazione è lo strumento che consente agli individui di scambiarsi contenuti cognitivi ed emotivi, sia quando condividono lo stesso luogo e/o lo stesso tempo in cui avviene lo scam- bio comunicazionale, sia quando non li condividono. Gli scambi comunicazionali permettono alle persone il trasferimento di informazioni relative a stati presenti, ma anche a stati passati, garantendo in tal modo continuità all’accrescimento della conoscenza; tali scambi, inoltre, consentono agli interlocutori di prevedere e di progettare stati futuri. La comunicazione avviene dunque in un ambiente sociale e ne costituisce il naturale comple- mento. È in questo senso che acquista un ruolo centrale la descrizione del carattere relazionale di tale attività, che da un lato accomuna l’uomo alle altre specie viventi (dato che anche queste ultime utilizzano sistemi di comunicazione a volte complessi), e al tempo stesso lo differenzia, dal momento che utilizza un sistema di comunicazione caratterizzato da una modalità specie- specifica come il linguaggio umano. La dinamica comunicativa vede coinvolti per lo meno due agenti (due soggetti individuali, ma anche gruppi di individui) che producono messaggi, li interpretano, li codificano e li trasformano, li recuperano e talvolta, in tutto o in parte, li dimenticano. L’interesse dei curatori e degli autori del presente volume è volto in modo particolare a mettere in luce i meccanismi propriamente psicologici e le strategie cognitive alla base del processo comunicativo per sé e nei diversi contesti comunicativi, nell’intento di evidenziare i fattori o le condizioni che contribuiscono in varia misura a rendere una comunicazione efficace e funzionale. Questa seconda edizione del manuale Introduzione alla psicologia della comunicazione si articola, come la precedente, in due parti: a una prima parte teorica segue una seconda parte applicativa. Tutti i capitoli sono stati aggiornati e tre sono nuovi. 10 Premessa La prima parte intende fornire al lettore gli strumenti concettuali di base per comprendere la complessità della dinamica comunicazionale e si apre con un capitolo (cfr. cap. 1) nel quale vengono illustrati gli aspetti costitutivi della comunicazione tradizionalmente identificati, a partire dalla metà del secolo scorso, nelle riflessioni teoriche e nelle ricerche empiriche. Viene delineato un primo confronto tra il sistema di comunicazione verbale e il sistema di comuni- cazione non verbale. I capitoli 2 e 3 sono dedicati alla definizione dei processi cognitivi in generale – e psicolingui- stici in particolare – che sottendono la comunicazione. L’esposizione si sviluppa secondo un percorso analitico che prende in esame le basi linguistiche e cognitive sottese alla produzione e alla comprensione dei messaggi, sottolineando il confronto tra codice visivo e codice verbale e mostrando come entrambi questi linguaggi possano essere utilizzati nella comunicazione e come possano concorrere all’organizzazione della conoscenza. Il capitolo 4 è una novità della seconda edizione e prende in considerazione i molteplici aspetti della comunicazione non verbale, mentre il capitolo 5 esplora i fattori che conferiscono forza persuasiva alla comunicazione. La parte teorica si conclude con il capitolo 6, che prende in con- siderazione alcune delle ragioni che possono provocare fallimenti comunicativi o che rendono la comunicazione poco efficace o disfunzionale. La seconda parte è contraddistinta da un taglio applicativo e consente al lettore di apprezzare, grazie alle indicazioni fornite nella prima parte del volume, le diverse sfaccettature che vanno a comporre un processo così articolato; sfaccettature che sono facilmente identificabili nel mo- mento in cui si prendono in esame contesti comunicativi anche molto diversi tra loro. Il capitolo 7 analizza le modalità attraverso le quali la comunicazione si sviluppa nei gruppi, come essa concorre a strutturarli, a far emergere la leadership, a favorire la coesione di gruppo e, infine, come può essere responsabile di deboli performance collettive. Nel capitolo 8 vengono affrontate le modalità con cui si possono fronteggiare i conflitti e sono descritti gli stili comunicativi in grado di determinare la scelta delle differenti strategie volte alla risoluzione delle questioni, evidenziando, in particolare, il ruolo della comunicazione connotata emotivamente. Nel capitolo 9 l’attenzione è rivolta al ruolo svolto dalla comunicazione di massa nel plasmare i sistemi di rappresentazione e le strutture di atteggiamento del pubblico; in questo ambito sono state affrontate due tematiche tipiche della ricerca delle comunicazioni di massa: la pubblicità e il mondo dello spettacolo. Un settore di indagine molto vicino al precedente riguarda lo studio della comunicazione pub- blica e organizzativa; nel capitolo 10 è stata discussa l’importanza che la comunicazione riveste per le imprese e le istituzioni e sono state illustrate le modalità attraverso cui possono essere implementate le campagne di comunicazione pubblica. Uno spazio nuovo, nel capitolo 11, è dedicato a delineare obiettivi, vincoli e caratteristiche della comunicazione politica. Le autrici riservano ampio spazio alla contrapposizione dicotomica tra ingroup e outgroup, utilizzata dai politici per mobilitare i sostenitori della propria parte politica contro l’avversario, e alla definizione strategica di gruppi di maggioranza, di minoranza oppure inclusivi, le cui caratteristiche vengono calibrate in funzione dei progetti politici del parlante. Il capitolo 12, che è stato interamente riscritto, è riservato ai rapporti tra comunicazione e market ing e mette in rilievo la funzione dei marchi come mezzo di comunicazione sottolineando il ruolo dei social network nel delineare il radicale processo di trasformazione in corso nel rapporto tra impresa e consumatori. Premessa 11 La comunicazione svolge un ruolo cruciale anche nella promozione della salute; il capitolo 13, dedicato a questo ambito, mette in luce come il format dei messaggi possa influenzare l’adesione al comportamento che si intende promuovere e delinea l’importante ruolo delle emozioni nella percezione e nell’interpretazione delle informazioni. Non meno rilevante, ancora, è il ruolo della comunicazione nella gestione dei rischi e dei peri- coli; nel capitolo 14 sono discusse le modalità attraverso cui vengono comunicati i rischi nelle società moderne e illustrate le cause dei fallimenti comunicazionali presso il grande pubblico, definendo, infine, il ruolo dei media nella trasmissione di informazioni relative ai grandi disastri. La parte applicativa si chiude con il capitolo 15, dedicato all’utilizzo delle nuove tecnologie a supporto della comunicazione, nel quale viene sottolineato come lo sviluppo delle interfacce e la vertiginosa espansione dei social media abbiano contribuito a modificare le modalità interattive. Nonostante la scelta dei diversi ambiti trattati sia arbitraria, lo sforzo è stato quello di indivi- duare le problematiche sulle quali l’indagine psicologica della comunicazione ha sviluppato un corpus consistente di evidenza empirica e di elaborazione teorica e che presentano un’indiscussa rilevanza sociale. Lorella Lotto e Rino Rumiati PARTE PRIMA Teoria capitolo 1 Concetti di base della comunicazione In questo capitolo verrà illustrato il modello di comunicazione proposto da Shannon e Weaver e saranno presentati i concetti di base che caratterizzano il processo di comunicazione facendo riferimento sia alle nozioni di significato, intenzionalità e contesto, sia alle regole comunicative, con particolare rimando al contributo fornito da Grice sul principio di cooperazione e sulle massime conversazionali. Una definizione di competenza comunicativa si snoderà attraverso i concetti di competenza semantica, sintattica e pragmatica. Il capitolo si chiuderà fornendo i primi cenni relativi al linguaggio verbale, cominciando dalla teoria generativo-trasformazionale formulata da Chomsky. 1. Definizione e struttura della comunicazione La comunicazione è un’attività complessa che necessariamente si sviluppa nelle relazioni interpersonali. Si può anzi affermare che l’esistenza di almeno due persone che interagiscono costituisce un aspetto fondante affinché possa svilupparsi qualsiasi processo comunicativo. In questo capitolo verranno pre- sentati gli elementi fondamentali della comunicazione: dai modelli e dalle strut- ture comunicative fino alle basi della comunicazione verbale e non verbale. La comunicazione, infatti, sembra essere il mezzo più naturale e più efficace per consentire agli individui di scambiarsi contenuti cognitivi ed emotivi, sia quando condividono luogo e tempo in cui avviene lo scambio comunicazio- nale, sia quando non li condividono. La comunicazione avviene, quindi, in un ambiente sociale, ne costituisce il naturale complemento ed è in questo senso che se ne deve sottolineare il carattere relazionale. Questo capitolo è di Lorella Lotto e Rino Rumiati. 16 Capitolo 1 La dinamica comunicazionale si sviluppa tipicamente all’interno di una relazione tra partecipanti che condividono un sistema di suoni significativi, un sistema di segni e di significati e un insieme di regole e di convenzioni che giustificano la regolarità degli scambi e dell’utilizzo dei contenuti di tali scambi. La comunicazione è stata analizzata sotto differenti aspetti e con diversi approcci. In questa sede ci limiteremo a pochi cenni, rimandando gli appro- fondimenti a testi specialistici [Anolli 2002; 2006; Paccagnella 2004; Ricci Bitti e Zani 2002; Zani, Selleri e David 1994]. Innanzi tutto, essa è stata oggetto di studio da parte della linguistica sia sotto il profilo della «costruzione» dei mezzi attraverso i quali i contenuti nella comunicazione vengono veicolati, come parole, frasi e testi, sia sotto il profilo della determinazione delle regole che governano la produzione e la comprensione di tali mezzi. Un’importanza particolare va assegnata alla semiotica, ovvero alla disciplina che si occupa delle modalità con cui viene costruito il significato e di come i soggetti della comunicazione attribuiscono un senso ai contenuti della comunicazione stessa. Altri contributi si devono riconoscere alla sociologia e alla psicologia. Alla prima va il merito di aver posto all’attenzione degli studiosi il ruolo della comunicazione nella determinazione dell’azione sociale, e di aver messo in evidenza le modalità con cui interagiscono le strutture del comportamento linguistico e le strutture sociali. Alla seconda, invece, si attribuisce la funzione di comprendere e spiegare i processi cognitivi sottostanti all’attività comu- nicazionale, e il ruolo della comunicazione come elemento fondante nelle dinamiche interpersonali e nella manifestazione del Sé. Diversi modelli sono stati prospettati per descrivere la struttura della comu- nicazione. Il modello più famoso, e che ha dato origine ai primi tentativi di formalizzazione del complesso processo comunicazionale, è quello proposto da Shannon e Weaver. La comunicazione può essere descritta come un sistema in cui una sorgente di informazioni invia a un destinatario un messaggio. Il messaggio viene trasformato da un apparato trasmettitore in un segnale attraverso un canale. I segnali giungono a un apparato ricevitore che li ritrasforma in messaggio prima di raggiungere il destinatario (fig. 1.1). La funzione svolta dal trasmettitore e dal ricevitore è quella, rispettivamente, di codificare e decodificare il segnale. Evidentemente, affinché la comunicazione abbia successo, i segnali devono essere trasformati in un codice comune al trasmettitore e al ricevitore. Per il successo della comunicazione, inoltre, il modello lineare introduce anche il concetto di «rumore», inteso come una forza qualsiasi che può interferire con la corretta trasmissione del segnale. I rumori possono essere di natura esterna, tali da impedire la corretta perce- zione di quanto viene detto, di natura fisiologica, come quelli che attengono al funzionamento degli apparati di trasmissione e di ricezione dei messaggi, e di natura psicologica, come quelli che interferiscono con l’abilità di esprimere o di comprendere i messaggi. Questo modello può essere facilmente utilizzato per descrivere la molteplicità e la varietà delle comunicazioni che gli individui effettuano nella vita di tutti Concetti di base della comunicazione 17 Canale Apparato Apparato SORGENTE Messaggio Segnale Messaggio DESTINATARIO trasmettitore ricevitore Rumore fig. 1.1. Rappresentazione schematica della struttura della comunicazione, secondo il modello di Shannon e Weaver. i giorni. Ad esempio, la struttura di una comunicazione telefonica, sia essa effettuata con apparati fissi o mobili, può essere ben rappresentata dal modello di Shannon e Weaver. La sorgente del messaggio corrisponde al parlante che ha effettuato la chiamata con il cellulare; il cellulare costituisce il mezzo che converte i messaggi in segnali, attraverso un canale come la banda, che li fa arrivare a un secondo apparato, e che a sua volta consente al ricevente di decodificare il messaggio. Naturalmente il canale può essere disturbato sia dal malfunzionamento dell’apparato sia dalla presenza di segnali o elementi interferenti nell’ambiente in cui si svolge la comunicazione. Si può facilmente comprendere come un modello disegnato in tal modo, seppur elegante, non tenga conto di due aspetti centrali nella comunicazione interpersonale, ovverosia l’intenzionalità associata all’espressione dei messaggi e il contesto in cui i messaggi vengono trasmessi. 2. Significato, intenzionalità e contesto Nella dinamica comunicativa vengono trasmesse delle informazioni che si assume siano dotate di significato. Il significato è una nozione centrale della comunicazione e il suo studio ha una storia antica. L’indagine moderna del significato ha sviluppato una disciplina specializzata come la semiotica, gra- zie alla quale sono stati inizialmente individuati i costituenti del significato e discusse le interrelazioni [Eco 1975; Volli 2003]. Tre sono gli elementi costitutivi del significato e la loro relazione viene rappresentata nell’ormai classico triangolo semiotico che evidenzia i nessi esistenti tra un «simbolo» (o segno), ovvero i sistemi segnici utilizzati negli «scambi» comunicativi, la «referenza», cioè l’idea corrispondente al simbolo, e infine il «referente», cioè la realtà rappresentata dal simbolo [Ogden e Richards 1923]. Il modello, schematizzato nella figura 1.2, rende conto del fatto che il signifi- cato di un simbolo (o segno) è dato dalla cooperazione di tre agenti: il simbolo (o segno), come può essere ad esempio la parola «tavolo»; il referente, ovve- rosia l’elemento reale che è rappresentato dal simbolo, ad esempio l’oggetto 18 Capitolo 1 della comunicazione «tavolo»; e infine la referenza, REFERENZA ovvero il concetto o rappresentazione mentale di ciò che viene comunicato, e cioè il concetto di «tavolo». È importante sottolineare che il simbolo non ha un rapporto diretto con l’oggetto concreto, cioè con il referente, ma solo con il concetto, cioè con la referenza. Il significato, però, non esiste di per sé, ma viene co- SIMBOLO REFERENTE struito nella relazione interpersonale, se e in quanto vi è intenzione comunicativa da parte dei partecipanti alla fig. 1.2. Rappresentazione del triangolo semiotico relazione comunicativa. L’emittente, infatti, quando dà proposto da Ogden e Richards. inizio al processo comunicazionale, manifesta l’inten- zione comunicativa al ricevente, che a sua volta inter- preta il messaggio ricevuto attribuendogli intenzione comunicativa. In questo modo la comunicazione risulta governata dal gioco di reciprocità intenzionale in cui un parlante esprime un’intenzione che viene interpretata dal ricevente [Anolli e Ciceri 1995]. Da parte di un individuo, l’intenzione comunicativa di dire qualcosa che possa avere un qualche significato per un altro individuo appare centrale nella determinazione della comunicazione e, per usare le parole di Searle , le intenzioni si manifestano laddove l’individuo mette in atto delle condotte che mirano al raggiungimento di uno scopo. L’intenzionalità può riflettersi nello scambio comunicativo a vari livelli. Grice a questo proposito ha introdotto una distinzione fondamentale tra due differenti livelli di intenzione comunicativa. Il primo livello si riferisce all’intenzione informativa, cioè al fatto che colui che emette un messaggio vuole trasmettere al destinatario un determinato contenuto consentendogli di incrementare le proprie conoscenze. Ad esem- pio, viene manifestata intenzione informativa se un parlante A comunica a B la seguente informazione: «Ho letto recentemente che attraverso eBay si possono comprare all’asta anche i treni elettrici». Il secondo livello si riferisce, invece, all’intenzione comunicativa, ovvero al fatto che colui che emette il messaggio vuole promuovere il coinvolgimento del destinatario per favorire la condivisione di ciò che il messaggio comunica. Così, ad esempio, il parlante A manifesta intenzione comunicativa se dice all’interlocutore B: «Per comprare un treno elettrico all’asta bisogna passare attraverso eBay, l’ho letto recentemente». I messaggi possono essere diversamente interpretati a seconda del contesto in cui vengono prodotti. Ciò vuol dire che i significati possono essere diffe- renti dato che differenti possono essere i contesti disponibili all’interno dei quali un individuo può aver deciso di collocare i messaggi [Sperber e Wilson 1995]. Le informazioni provenienti dal contesto alimentano nell’individuo i processi inferenziali, che gli consentono di integrare quelle informazioni con le conoscenze di cui già dispone. Così, ad esempio, se in uno scambio comu- nicativo che ha per oggetto gli esiti scolastici dei figli un individuo esprime la seguente affermazione: «Carlo anche quest’anno ce l’ha fatta!», si assume che Concetti di base della comunicazione 19 il destinatario del messaggio sia in grado di capire che il successo scolastico è stato raggiunto anche l’anno precedente. Come suggerisce Anolli , il risultato di tali processi è il miglioramento della comprensione dei processi comunicativi, ottenuto sia attraverso la ridu- zione degli elementi di ambiguità del messaggio, sia mediante l’eliminazione progressiva delle ipotesi errate e il consolidamento di quelle già verificate in passato o, ancora, attraverso la generazione di ipotesi nuove. Così, ad esempio, un’espressione come «Sono già le otto!» viene interpretata in maniera diffe- rente, e coerentemente con la situazione, grazie al contesto, pur esprimendo la stessa informazione, e cioè che l’orologio segna le ore otto. Se l’affermazione viene fatta mentre due persone stanno per entrare in stazione, chi la esprime vuole segnalare all’altro che stanno rischiando di perdere il treno, mentre se viene fatta mentre le stesse persone si trovano al bar dove hanno consumato un aperitivo, chi la esprime vuole segnalare all’altro che è giunto il momento di andare via. L’esempio dimostra come il contesto favorisca il ricorso da parte dei par- tecipanti all’implicatura conversazionale, ovvero all’impegno reciproco ad integrare il significato letterale del messaggio con conoscenze già possedute [Grice 1975]. In tal modo la comunicazione può efficacemente consentire all’interlocutore di comprendere le intenzioni di colui che ha compiuto l’affermazione. 3. Regole della comunicazione L’interazione comunicativa si alimenta non in maniera casuale, ma in base ad alcune regole che consentono la gestione efficiente degli scambi comunicativi tra i partecipanti, al fine di garantirne il successo. Uno dei contributi più interessanti allo studio delle regole su cui si basa l’inte- razione comunicativa è stato fornito da Grice. Egli propone l’idea che negli scambi verbali sia sempre possibile individuare uno scopo comune e che i partecipanti all’interazione comunicativa agiscano rispettando un principio di cooperazione. Tale principio riassume un accordo di fondo fra i partecipanti e può essere definito come la necessità da parte di ciascun partecipante di dare il proprio contributo al momento opportuno, coerentemente con le richieste della situazione in cui si svolge la comunicazione. Il principio di cooperazione si articola in quattro regole, o massime con- versazionali, che consentono ai partecipanti all’interazione di interpretare correttamente i contenuti e gli obiettivi degli scambi comunicazionali. La prima è la massima della quantità e suggerisce che i partecipanti all’in- terazione comunicativa debbano fornire soltanto le informazioni necessarie per comprendere il messaggio. Tali informazioni, quindi, da un lato devono essere esaurienti, e dall’altro non devono essere ridondanti né superflue. La seconda è la massima della qualità e assume che i partecipanti facciano affermazioni vere, o affermazioni che possono essere sostenute da prove 20 Capitolo 1 adeguate. La terza massima è quella della relazione, con la quale si assume che i partecipanti forniscano informazioni pertinenti con l’interazione co- municazionale. Infine, la quarta massima è quella di modo e si riferisce al fatto che gli interlocutori debbano considerare il modo in cui il contenuto della comunicazione deve essere espresso, cercando di essere chiari ed evitando le ambiguità. Il principio di cooperazione è alla base di un modello inferenziale applicato a una particolare forma di comunicazione come la conversazione [Sperber e Wilson 1995]. Nella conversazione, infatti, si possono sviluppare delle infe- renze che consentono ai partecipanti di comprendere correttamente quanto si dice se vengono rispettate le regole griciane. Supponiamo, ad esempio, che due studenti abbiano appena consumato un abbondante pasto dopo aver studiato nell’appartamento che condividono. Mentre uno dei due si appresta a preparare il caffè, l’altro accende la televisione. Dopo qualche minuto l’amico che ha preparato il caffè si rivolge all’altro dicendo: «La televisione fa venir sonno». Questa espressione potrebbe essere interpretata dal destinatario in due modi: a) dopo aver mangiato, guardare la televisione concilia il sonno; b) i programmi televisivi, in genere, conciliano il sonno. Evidentemente la comprensione corretta del messaggio dipende dal fatto che l’ascoltatore assuma che il parlante stia seguendo il principio di cooperazione e che perciò la situazione particolare di aver consumato un pasto abbondante aiuti a comprendere che l’obiettivo è quello di non accendere la televisione se si vuol continuare a studiare. L’interazione comunicativa, come la conversazione, inoltre, deve rispettare anche le regole che permettono la gestione dell’avvicendamento dei turni (turn taking). Le strategie sottostanti all’avvicendamento dei turni si rendono necessarie a) per garantire uno sviluppo virtuoso della conversazione e b) per superare i limiti cognitivi che rendono problematico l’ascoltare e contempo- raneamente il parlare. Delle strategie sull’avvicendamento dei turni se ne occupò tra i primi Duncan. Le analisi condotte sulle registrazioni di conversazioni consentirono a Duncan di individuare una serie di indizi verbali e paralinguistici che segnalano la volontà del parlante di cedere il turno, in altre circostanze di richiederlo e in altre ancora di mantenerlo. Nel primo caso, ad esempio, il parlante può ricorrere all’intonazione oppure alla pronuncia strascicata della sillaba finale della parola che conclude una proposizione. Quando il partecipante alla conversazione vuole richiedere il turno, invece, può ricorrere a brevi parole senza contenuto che possono precedere o seguire una frase come «ma» o «beh» e, spesso, si può osservare una sovrapposizione tra i messaggi espressi dai due interlocutori. Infine, i partecipanti possono manifestare la volontà di mantenere il turno. In questo caso i segnali che vengono utilizzati sono per lo più costituiti da cambi di intonazione e da pause piene, come alcune forme di vocalizzazione, ma anche da pause vuote, in cui cioè non viene emesso alcun suono, accompagnate in questo caso dallo spostamento dello sguardo verso una direzione diversa dall’interlocutore. Concetti di base della comunicazione 21 4. comunicazione come azione Il processo di comunicazione può anche essere visto come una sequenza di azioni nella quale dire qualcosa equivale a fare qualcosa. Questo è l’elemento centrale della teoria proposta da Austin , in cui si sostiene che l’uso del linguaggio equivale a mettere in atto un’azione. È in questa prospettiva che Austin parla di atti linguistici, specificando che possono essere distinti in tre categorie: atti locutori, atti illocutori e atti perlocutori. Gli atti locutori consistono in ciò che un parlante dice. Ad esempio, se arrivando in ritardo a un appuntamento un vostro amico vi dicesse: «Scusami, ma ho trovato un incidente per strada», tale affermazione costituisce un atto locutorio. Gli atti illocutori coincidono con le intenzioni comunicative del parlante; ritornando all’esempio, il fatto di dichiarare che la causa del ritardo è costituita dall’essersi imbattuti in un incidente lungo la strada. Gli atti perlocutori, infine, si riferiscono agli effetti che il parlante produce sull’interlocutore. Da parte del vostro amico, convincervi che sarebbe stato puntuale se non avesse trovato l’incidente e, di conse- guenza, a indurvi a perdonare il suo ritardo. La teoria degli atti linguistici mette in evidenza, dunque, l’aspetto intenzionale degli scambi comunicativi e sottolinea che ciò che viene trasmesso attraverso un enunciato è qualcosa di più del mero significato letterale. Gli atti linguistici possono inoltre essere distinti in base alla «forza» degli atti stessi. A livello locutorio, ad esempio, il tono della voce può imprimere maggiore o minore forza all’enunciato, mentre a livello illocutorio la forza può essere espressa, ad esempio, attraverso la scelta delle parole, come è il caso dei verbi modali («Dovresti fare questo» al posto di «Devi fare questo»). A livello perlocutorio la diversa forza dipende dai diversi effetti che gli atti perlocutori producono sull’interlocutore (e ciò è funzione del sistema di credenze dell’interlocutore e delle attribuzioni fatte in relazione all’evento). 5. Competenza comunicativa Non è improbabile che alcuni vostri amici e conoscenti siano più abili a comunicare rispetto ad altri, e che voi stessi vi siate percepiti più abili in certe circostanze rispetto ad altre. Ma che cosa vuol dire essere competenti dal punto di vista comunicativo? Se per competenza, in generale, si intende la capacità di agire con esperienza in una certa materia, allora potremmo facilmente intuire che cosa si intenda per competenza comunicativa. Ma le cose non sono affatto così semplici, e tale difficoltà riflette la complessità del concetto di comunicazione. 22 Capitolo 1 Secondo Parks , la competenza comunicativa rappresenta il grado con cui gli individui soddisfano e percepiscono di aver soddisfatto i loro scopi in una data situazione sociale, senza mettere a repentaglio la loro abilità o l’opportunità di perseguire altri obiettivi ritenuti più importanti [ibidem, 595]. In questa definizione i concetti di intenzionalità e di consapevolezza assumono un ruolo centrale e si intrecciano con quello di efficacia. Se pensiamo che il trattato di retorica di Aristotele è stato scritto nel IV secolo avanti Cristo possiamo forse affermare che questo aspetto del processo di comunicazione sia tra i più studiati. Per semplificare le cose, e porre l’accento sui diversi aspetti che possono rendere più o meno efficace una comunicazione, possiamo assumere che la competenza comunicativa si articoli in tre dimensioni principali: la competenza sintattica, che si riferisce all’aspetto formale del messaggio, la competenza se- mantica, che si riferisce agli aspetti di contenuto, e la competenza pragmatica, che riguarda il contesto comunicativo. La competenza sintattica consiste nella capacità di produrre frasi formalmente corrette e di comprenderle come tali in base alle regole grammaticali. Ripar- leremo della sintassi nel capitolo 2; in questa sede ci limiteremo a ricordare che tale competenza (anche se implicita) permette di stabilire la categoria grammaticale di una parola (se si tratta di un nome, di un aggettivo, di un verbo, e così via) e fornisce informazioni di tipo morfologico (ad esempio, se si tratta di un nome singolare o plurale). Una frase può infatti essere considerata una sequenza di categorie sintattiche e, data una frase grammaticalmente corretta come «Il bambino biondo giocava con il trenino verde», qualsiasi parola può essere sostituita con una parola della stessa categoria sintattica e produrre una frase ancora corretta, almeno dal punto di vista grammaticale, come «Il labirinto irriverente giocava con il quadro imprevedibile». Oltre a stabilire il ruolo che le parole hanno nella struttura della frase, la competenza sintattica ci permette di stabilire le relazioni che intercorrono fra le parole. La comprensione di tali relazioni è fondamentale: nonostante siano presenti le stesse voci lessicali, il significato che cogliamo nella frase «Il leone attacca il coccodrillo» è diverso da quello veicolato dalla frase «Il coccodrillo attacca il leone», perché nella prima frase il leone è il soggetto dell’enunciato, mentre nella seconda diventa l’oggetto, ed è quello che subisce l’attacco. La competenza semantica consiste nella capacità di associare le parole (si- gnificanti) agli oggetti, eventi o situazioni (significati) cui corrispondono. Il tema della referenza assume particolare rilevanza quando si parla di comuni- cazione efficace, perché è importante che gli interlocutori assegnino lo stesso significato alle parole utilizzate. «Fiera» può riferirsi sia all’animale feroce sia al grande mercato, ma tralasciando casi come questo, che suonano come eccezioni, si potrebbe pensare che in genere le parole non presentino grosse ambiguità. Ma è proprio così? Se vi fosse mostrato il disegno di una grande imbarcazione non esitereste a dire che si tratta di una nave. Ma la nave con cui si può andare a fare una crociera è ben diversa dalla nave che i bambini fanno Concetti di base della comunicazione 23 galleggiare nella vasca da bagno. Allo stesso modo, amare il Roquefort con la frutta non è la stessa cosa che amare l’uomo o la donna della propria vita. Il seguente passo di Friedhelm Moser esprime molto bene quanto stiamo dicendo: La parola «libero» contiene un caleidoscopio di significati. Si può essere un libero cittadino, andare a un concerto con ingresso libero o sedersi in un posto libero nello scompartimento di un treno. Qual è il contrario di libero? Oppres- so? A pagamento? Occupato? [Moser 2000; trad. it. 2002, 103]. In tutti questi casi è il contesto che contribuisce in modo determinante ad assegnare il corretto significato a una parola. Tuttavia, come vedremo nel prossimo capitolo, anche unità linguistiche più ampie come le frasi possono presentare varie forme di ambiguità. La competenza pragmatica, infine, consiste nella capacità di comunicare te- nendo conto del contesto in cui avviene la comunicazione. Da questo punto di vista significa riflettere non solo su quanto si va dicendo, ma anche considerare il modo in cui una certa cosa viene detta, e valutare le diverse argomentazioni che possono portare nuovi e diversi contributi alla comunicazione. Riparle- remo della competenza pragmatica nel capitolo 6, quando analizzeremo le principali cause che portano ai fallimenti nella comunicazione. Come è intuibile, ciascuno di noi può affinare sia la competenza sintattica che la competenza semantica; va da sé, però, che è la dimensione pragmatica ad acquistare peso se si vuole comunicare in modo efficace. 6. Comunicazione verbale Sappiamo da tempo che varie specie appartenenti al regno animale possiedono differenti modalità di comunicazione, ma alcune osservazioni di Franks e Richardson sul comportamento delle formiche aggiungono qualcosa in più a una semplice trasmissione di informazioni a senso unico. I due bio- logi di Bristol parlano di un vero e proprio processo di insegnamento e di apprendimento, che definiscono «corsa in tandem». La formica esploratrice, che ha scoperto una fonte di cibo, sceglie una compagna cui insegnare la strada e quindi, insieme, la ripercorrono. Durante il percorso che porta al cibo l’allieva si ferma per fissare dei punti di riferimento e quando è pronta a ripartire picchietta con le antenne sulle zampe o sull’addome della maestra per invitarla a proseguire. Questo esempio sottolinea l’importanza che riveste, all’interno di una comunità, una trasmissione di informazioni efficiente. E, se la trasmissione delle conoscenze è uno dei segreti del successo evolutivo della specie umana, non vi è dubbio che il linguaggio verbale vi abbia contribuito in modo rilevante. Il linguaggio verbale utilizza parole per riferirsi a oggetti, eventi, sentimenti, situazioni e così via. Tuttavia, le singole parole non bastano, e i concetti che 24 Capitolo 1 F Regole di riscrittura: X Y riscrivi X come Y F SN + SV riscrivi Frase come Sintagma Nominale + Sintagma Verbale SN SV SN Art + N riscrivi Sintagma Nominale come Articolo + Nome SV V + SN riscrivi Sintagma Verbale come Verbo + Sintagma Nominale V SN Art N Art N N bambino, mela,... V mangia,... il bambino mangia la mela Art il, la,... fig. 1.3. Diagramma ad albero che rappresenta la generazione di una frase secondo le regole di riscrittura. esprimiamo sono collegati tra loro attraverso vari tipi di relazioni, che de- finiscono la sintassi di una lingua. In una semplice frase come «Il bambino mangia la mela» troviamo un verbo che indica l’azione che viene eseguita e due nomi che fungono da attori, ciascuno con un diverso ruolo. Nell’esempio, il bambino è colui che fa qualcosa, la mela è l’oggetto sul quale viene eseguita l’azione e mangia è l’azione in sé. La psicolinguistica è la disciplina che si occupa dei meccanismi sottesi alla comprensione e alla produzione del linguaggio, e prende le mosse dal lavoro pionieristico di Noam Chomsky [1957; 1965] che, per spiegare come in così breve tempo i bambini siano in grado di padroneggiare uno strumento com- plesso quale l’uso della lingua, ipotizzò l’esistenza di un meccanismo innato, chiamato Lad (Language Acquisition Device), in grado di attivarsi sotto lo stimolo di una qualunque lingua parlata. La teoria formulata da Chomsky, chiamata generativo-trasformazionale, contiene le regole di riscrittura e le regole trasformazionali. Le regole di riscrittura, che mettono in luce la descrizione strutturale di una frase, consistono nella riscrittura di alcuni simboli in altri simboli, e vengono applicate fino a che non si ottiene una stringa di elementi che non è scomponibile ulteriormente. Il diagramma ad albero presentato nella figura 1.3 mostra come la frase «Il bambino mangia la mela» possa essere scomposta in una struttura gerarchica in cui, a mano a mano che si scende verso il basso, si trovano unità sempre più piccole. La frase passiva «La mela è mangiata dal bambino» è ottenuta tramite una regola trasformazionale. Una trasformazione è un’operazione che agisce sulla struttura superficiale della frase e che, aggiungendo F diversi elementi informativi – come in questo caso l’inversione dei sintagmi nominali, l’aggiunta SN SV dell’ausiliare essere e la preposizione dal – produce V SN una stringa diversa dall’originale. La struttura frasale proposta da Chomsky mette Art N Aus V Prep N in risalto la distinzione fra struttura profonda la mela è mangiata dal bambino e struttura superficiale di una frase. Nel nostro esempio, le due frasi (attiva e passiva) condividono fig. 1.4. Descrizione strutturale della frase passiva. la stessa struttura profonda, cioè veicolano lo stesso Concetti di base della comunicazione 25 significato, ma presentano strutture superficiali diverse, come risulta evidente confrontando la figura 1.3 con la figura 1.4. Curiose sono le frasi che presentano il quadro opposto, come «La vecchia legge la regola». In questo caso, infatti, a un’identica struttura superficiale corrispondono due strutture profonde, a seconda del ruolo sintattico asse- gnato ai diversi elementi che compongono la frase. Se a vecchia si attribuisce il ruolo di nome e a legge quello di verbo si pensa a un’anziana signora che legge una norma, mentre se vecchia assume la funzione di aggettivo e legge assume il ruolo di nome si pensa a una norma legislativa datata nel tempo che disciplina una certa situazione. Secondo Chomsky, la frase dichiarativa attiva è la frase più semplice, e ogni trasformazione richiede del lavoro cognitivo. Una logica conseguenza di questa assunzione prevede che tante più sono le trasformazioni compiute sulla frase, tanto maggiore sarà il tempo necessario per l’elaborazione (pensate, ad esem- pio, alla passiva negativa «La mela non è stata mangiata dal bambino»). Le prime ricerche effettuate per verificare tale assunzione sembrarono dimostrare che le frasi attive erano le più semplici da elaborare; seguivano, in ordine di difficoltà, le passive, le negative e le passive negative. Slobin , tuttavia, ebbe il merito di dimostrare l’importanza del significato. Ai partecipanti alla ricerca veniva mostrato un disegno che descriveva il significato di una frase e il compito era quello di giudicare, il più velocemente possibile premendo un tasto (vero) oppure un altro (falso), se la frase corrispondeva al disegno. Il disegno sperimentale prevedeva due condizioni. Ad esempio, una condizione mostrava il disegno di un cane che insegue un gatto: la frase attiva corrispon- deva a «Il cane insegue il gatto», mentre la frase passiva corrispondeva a «Il gatto è inseguito dal cane» (cfr. fig. 1.5). Una seconda condizione mostrava invece il disegno di una ragazza che innaffia i fiori: la frase attiva corrispondeva a «La ragazza innaffia i fiori», mentre la frase passiva corrispondeva a «I fiori sono innaffiati dalla ragazza» (cfr. fig. 1.6). I risultati hanno dimostrato che nella prima condizione la frase passiva impiegava più tempo per essere elaborata rispetto alla frase attiva (i tempi di risposta a «Il gatto è inseguito dal cane» erano più lunghi rispetto ai tempi fig. 1.6. La frase passiva «I fiori sono innaffiati dalla ragazza» e la frase fig. 1.5. La frase passiva «Il gatto è inseguito dal cane» impiega attiva «La ragazza innaffia i fiori» più tempo per essere compresa rispetto alla frase attiva «Il cane impiegano lo stesso tempo per essere insegue il gatto». comprese. 26 Capitolo 1 b) a) fig. 1.7. La frase «I fiori innaffiano la ragazza» viene elaborata velocemente come falsa. di risposta a «Il cane insegue il gatto»). Nella seconda condizione, invece, la frase passiva impiegava lo stesso tempo per essere elaborata rispetto alla frase attiva (i tempi di risposta a «La ragazza innaffia i fiori» erano analoghi a quelli della frase «I fiori sono innaffiati dalla ragazza»). Le informazioni semantiche provenienti dalle parole contenute nella frase costituiscono perciò degli indici rilevanti per l’elaborazione della frase. In effetti, è possibile vedere un gatto che insegue un cane (cfr. fig. 1.7a), ma è certamente implausibile assistere alla scena rappresentata nella figura 1.7b. Generalmente si assume che il significato veicolato dalle frasi attive e passive (vere) sia lo stesso, tanto che vengono considerate parafrasi. Nel caso di una frase negativa, invece, il significato cambia radicalmente: dicendo che «Il bambino non mangia la mela», neghiamo che tale fatto sia avvenuto. Ne consegue che ciascuna delle seguenti frasi: «Il bambino mangia la mela», «La mela è mangiata dal bambino», «Il bambino non mangia la mela», «La mela non è mangiata dal bambino», dovrebbe trasmettere un significato preciso ed essere priva di ambiguità. Ma le cose sono davvero così semplici? Un’interessante ricerca di Wegner e colleghi ha studiato gli effetti delle insinuazioni indotte dai mezzi di comunicazione di massa. Ai partecipanti veniva chiesto di esprimere il proprio giudizio relativamente ad alcuni candi- dati che si erano presentati alle elezioni comunali. I nomi dei candidati, così come il giornale da cui erano tratti i titoli che riportavano le notizie relative ai candidati, erano nomi di fantasia. I titoli potevano appartenere a quattro diverse categorie, e cioè essere espressi in forma affermativa («Bob Talbert linked with Mafia»), interrogativa («Is Bob Talbert linked with Mafia?»), negativa («Bob Talbert not linked with Mafia») e neutra («Bob Talbert celebrates birthday»). Naturalmente, il disegno sperimentale prevedeva che gli enunciati relativi allo stesso candidato fossero distribuiti a quattro gruppi diversi di partecipanti. Per ciascuno dei candidati politici sono state ricavate le medie provenienti dai giudizi espressi dai partecipanti attraverso una serie di scale a 7 punti – il cui significato variava da un valore positivo (1) a un valore negativo (7) – come, ad esempio: intelligente-stupido; buono- cattivo; onesto-disonesto. Come era prevedibile, i risultati mostrarono che Concetti di base della comunicazione 27 i titoli formulati in forma affermativa producevano i giudizi più negativi (4,25), e che i titoli neutri generavano i giudizi meno negativi (3,00). Più sorprendenti si sono rivelati i giudizi emersi dalla formulazione interrogativa (4,33) e negativa (3,73), perché questi risultati hanno messo in evidenza che i candidati politici oggetto di insinuazione (l’istigazione è fornita dalla forma interrogativa) erano percepiti tanto negativamente quanto lo erano coloro che erano oggetto di un’accusa certa. Una delle ipotesi che cerca di spiegare il giudizio negativo generato dall’insinuazione (innuendo effect) si rifà ai prin- cipi di cooperazione della teoria sulla comunicazione. Secondo tale ipotesi le persone che ricevono un messaggio assumono che le informazioni in esso contenute siano ragionevoli e plausibili. Da questo punto di vista l’effetto negativo delle insinuazioni può derivare dalla tendenza ad accettare come vera un’asserzione per il semplice fatto che essa è stata fatta. Se qualcosa viene detto, forse un fondo di verità c’è. Perché un giornale dovrebbe diffondere una notizia falsa? Nel terzo esperimento gli autori dimostrarono che l’effetto negativo indotto dalle insinuazioni si riduce di poco se le persone vengono in seguito a sapere che la notizia era stata data con fini sensazionalistici. Non dimentichiamo, inoltre, che un giudizio negativo era stato formulato anche in relazione alla frase negativa, in cui si affermava che il candidato politico non era legato alla mafia. Questo risultato, per molti versi sorprendente, verrà discusso nel capitolo 3. Non possiamo chiudere il paragrafo senza fare cenno a un altro concetto chiave della teoria chomskiana, che si rifà alla distinzione tra la nozione di competenza linguistica (competence), riconducibile alla conoscenza implicita nelle regole che governano la lingua, e il concetto di esecuzione (performance), che si riferisce ai comportamenti linguistici realmente osservati. La distinzione tra competenza ed esecuzione ha permesso ai linguisti di spiegare il motivo per cui il prodotto della fase di esecuzione non sempre corrisponde a quello previsto dal livello di competenza, ad esempio quando si riscontrano errori in fase di produzione o difficoltà di comprensione. La prospettiva della ricerca psicolinguistica attuale è invece quella di fornire dei modelli funzionalmente adeguati in grado di descrivere i meccanismi sottostanti ai processi di comprensione e produzione del linguaggio. Da un lato, tali modelli devono essere compatibili con le limitazioni dovute alle ri- sorse attentive o a quelle previste dal sistema di memoria. Ad esempio, le frasi contenenti doppie negazioni, come «Non è vero che non è possibile entrare dopo le nove», richiedono un carico cognitivo maggiore rispetto a quelle più semplici. Così come sono più difficili da elaborare le frasi che contengono frasi subordinate: «Il cavallo che aveva scavalcato il recinto che era stato dipinto di nuovo, costruito da zio Tony, che è il fratello di zio Piero, che non è proprio tagliato per i lavori manuali, si procurò una brutta frattura proprio il giorno prima della gara». Dall’altro, un modello adeguato deve tenere conto della molteplicità dei fattori (e delle loro interazioni) che modulano la comprensione e la produzione del linguaggio: aspetti fonologici, sintattici, semantici e pragmatici. capitolo 2 Comprensione e produzione di messaggi Il capitolo è dedicato al linguaggio verbale. Inizieremo la trattazione focalizzando l’attenzione del lettore sulle numerose (e spesso celate) ambiguità presenti nei messaggi. Nelle pagine seguenti verranno analizzate le principali unità linguistiche, da quelle più semplici, i fonemi, a quelle più complesse, le frasi, passando attraverso i morfemi e le parole. Un confronto tra i modelli interattivi e i modelli seriali consentirà di illustrare le diverse elaborazioni necessarie per comprendere una frase, e permetterà di porre l’accento sulle differenti strategie di analisi sintattica proposte in letteratura. Il capitolo si chiuderà con la descrizione del modello di produzione di frasi formulato da Garrett. 1. Le ambiguità del linguaggio Immaginate di sfogliare le pagine di un quotidiano e di leggere questo titolo: La scelta della Commissione Etica è stata difficile. Che cosa comprendete? Capite che la Commissione si è trovata di fronte a una scelta difficile? Op- pure ritenete che è stato difficile decidere di istituire la Commissione Etica? O, ancora, che la scelta dei componenti è stata difficile? La formulazione linguistica è ambigua e, in effetti, dà adito a più di un’interpretazione, tanto che solo la lettura dell’articolo vi farà comprendere quale soluzione era quella intesa dallo scrivente. Ma cogliereste davvero tutte le possibili soluzioni? Oppure l’equivoco vi passerebbe accanto senza accorgervene? E se fosse solo un’interpretazione ad emergere, quale sarebbe? Esempi come questo ci permettono di evidenziare le ambiguità insite nel linguaggio e di notare, come vedremo nel corso delle pagine che verranno, che i potenziali equivoci sono molti, solo che, spesso, non ce ne rendiamo Questo capitolo è di Lorella Lotto. 30 Capitolo 2 nemmeno conto. L’analisi di tali ambiguità ci consentirà di soffermarci sui diversi meccanismi coinvolti nei processi di comprensione e produzione dei messaggi linguistici. 2. Facoltà linguistica Il linguaggio è una delle facoltà cognitive, insieme alla percezione, all’atten- zione, alla memoria e al pensiero, di cui è dotato il sistema cognitivo umano. Quello che è sorprendente, per quanto riguarda il linguaggio, è la velocità con cui i bambini, nel giro di qualche anno, raggiungono la padronanza di uno strumento così complesso. Riescono a pronunciare correttamente le parole, a comprenderne il significato e, successivamente, a leggerle e a scriverle. Non solo. In breve tempo sono anche in grado di produrre frasi grammaticalmente corrette, creandone di nuove, mai sentite prima. La possibilità di creare un numero infinito di frasi, a partire da un numero finito di parole, viene definita dagli studiosi che si occupano di linguaggio produttività linguistica. Si tratta di una capacità straordinaria mostrata dai bambini (e dagli adulti), soprattutto se si tiene conto che gli adulti, gene- ralmente, correggono i bambini rispetto ai contenuti, ma non li correggono quando compiono errori grammaticali. Gli esempi che seguono sono estratti da una ricerca di Brown e Hanlon : 2-year-old: Mamma isn’t boy, he a girl. Mother: That’s right. 2-year-old: And Walt Disney comes on Tuesday. Mother: No, he does not. Con ironia, gli autori sottolineano che una situazione di questo tipo risulta cu- riosa e paradossale, soprattutto se ci si sofferma a riflettere sul fatto che gli adulti si mostrano perfettamente in grado di utilizzare frasi grammaticalmente corrette e di dire cose non vere. Insomma, ai bambini non vengono esplicitamente insegnate le regole grammaticali, né vengono corretti quando producono frasi scorrette, eppure il risultato finale è quello che conosciamo. È proprio questo straordinario aspetto a caratterizzare il linguaggio verbale e a distinguerlo dai sistemi di comunicazione di altre specie: la possibilità di combinare i simboli di cui è dotato (le parole) per produrre significati complessi (come frasi e discorsi). Se vi dicono che «Andrea ama Anna» voi comprendete molto facilmente quali sono i sentimenti di Andrea, ma non sapete nulla sui sentimenti di Anna. Può essere che anche Anna ami Andrea, ma sapete bene che ciò non è assolutamente scontato. Tale comprensione proviene dalla conoscenza delle regole sintattiche, cioè delle regole che governano la relazione tra le parole. Come già detto, tale conoscenza sintattica è una conoscenza implicita: i bam- bini sono in grado di formare frasi sintatticamente corrette prima di essere Comprensione e produzione di messaggi 31 scolarizzati e lo stesso vale per gli adulti non alfabetizzati. E sebbene a scuola ci insegnino la grammatica della nostra lingua madre, non sempre siamo in grado di esplicitare le regole che governano la formazione delle frasi. Le regole della sintassi rendono unico il linguaggio dell’uomo come strumento di comunicazione: questa è la tesi di uno dei più grandi linguisti e filosofi, Noam Chomsky, che inaugurò la cosiddetta linguistica generativo-trasfor- mazionale nella seconda metà del Novecento, sostenendo che le differenze tra le lingue sono, di fatto, differenze di tipo superficiale [cfr. Moro 2006]. Certamente le lingue sono molto diverse l’una dall’altra, e ce ne accorgiamo facilmente quando ci troviamo a visitare un paese dove si parla una lingua diversa dalla nostra lingua madre. Nella leggenda biblica della torre di Babele, che simboleggia la nascita della varietà delle lingue, si racconta che in origine gli uomini parlassero un’unica lingua, comune a tutti, e che il Signore, quando si accorse che stavano costruendo una torre per raggiungere il Paradiso, li punì per la loro insolenza imponendo loro lingue diverse, affinché non potessero più comunicare e costruire un’altra torre che raggiungesse il Cielo. Se la leggenda attribuisce all’arroganza degli uomini il disordine e la confusione derivanti dalla varietà delle lingue, non manca di metterne in risalto la matrice comune. Di fatto, nonostante le inequivocabili diversità, tutte le lingue conosciute, che alcuni studiosi calcolano essere più di 7.000, si basano su un numero molto ristretto di elementi, comuni a tutte e chiamati, per l’appunto, universali linguistici. Potremmo pensare a una lingua come a una struttura gerarchica di tipo pira- midale, alla cui sommità si trovano unità linguistiche ampie come il discorso, mentre, scendendo verso la base, si incontrano unità più semplici come le frasi, le parole, i morfemi e i fonemi. In queste pagine prenderemo in esame i livelli di questa piramide partendo da quello che troviamo alla base. 3. Fonemi Tutte le lingue possiedono un sistema fonologico, cioè un insieme di fonemi come /s/, /t/, /a/, che sono le parti più piccole di cui sono composte le parole di una lingua (parlata). È necessario sottolineare, in primo luogo, che i fonemi non corrispondono alle lettere, e che la corrispondenza tra fonemi e grafemi varia da lingua a lingua. Una buona corrispondenza si riscontra, ad esempio, in lingue come l’italiano e lo spagnolo, che vengono classificate come lingue trasparenti dal punto di vista fonologico, mentre altre lingue, come l’inglese e il francese, sono definite lingue opache, perché la realtà fonologica è spesso lontana dalla grafia. Ad esempio, in inglese [Serianni 1989, 8] uno stesso fonema può essere rappresentato da grafemi diversi, come nel caso della i lunga: green (verde), field (campo), people (gente); mentre lo stesso grafema (gh) può assumere valori fonetici diversi, come in enough (/f/) e ghost (/g/). In una lingua due suoni sono considerati fonemi diversi se sostituendoli l’uno con l’altro danno luogo a parole diverse: in italiano, ad esempio, i suoni /s/ e /t/ sono fonemi diversi perché danno luogo a parole diverse, come sale e tale. 32 Capitolo 2 La maggior parte degli studiosi concorda nel ritenere che l’italiano possieda 30 fonemi [ibidem, 24]. Questa somma deriva dal numero di lettere contenute nell’alfabeto e anche (ma non solo) dai suoni provenienti dalla combinazione di lettere, come nel caso di sogno, figlio, scuola, scelta. Nessuna lingua ha in sé l’intero repertorio di fonemi: l’abkhaz, una lingua parlata nel Caucaso, ne possiede 70, l’inglese 45, l’hawaiano solo 13. Il suono che in tedesco si trova in Loch non si trova in inglese, così come il sistema fonologico italiano non possiede il fonema utilizzato nell’articolo inglese the, e l’inglese non possiede il fonema contenuto in sogno. Allofoni dello stesso fonema /n/ sono la n velare e la n dentale, distinte a seconda che la n segua una consonante velare, come in tengo, oppure una consonante dentale, come in tendo [ibidem, 6]. Mentre in italiano e nella maggior parte delle lingue occidentali /l/ e /r/ sono fonemi diversi (tanto che danno origine a parole con significato diverso, come lima e rima), in molte lingue orientali i fonemi /l/ e /r/ sono allofoni e, per questo motivo, vengono interpretati come due realizzazioni di un unico fonema. Molte ricerche hanno dimostrato che alla nascita un neonato è in grado di produrre qualsiasi tipo di suono, ma che tale capacità decresce e viene persa poco prima dell’anno di vita. In altre parole, se non siamo sottoposti sin dalla nascita a certi tipi di suoni, perdiamo in poco tempo la capacità di discriminare tra essi. Insieme ad altri fattori questo è uno dei motivi per cui è così difficile apprendere una lingua straniera, tanto più se questa possiede un repertorio di fonemi diverso da quello della lingua madre. Se dovesse capitarvi di visitare il centro di Amsterdam e cercare una piazza chiamata Spui, chiedete tale indica- zione mostrando la parola scritta, altrimenti siate certi che gli olandesi, con tutta la più buona volontà, non saranno in grado di indicarvela e, allo stesso modo, vi trovereste davvero in difficoltà nel pronunciare correttamente questa parola. Anche se la diamo per scontata, la capacità di discriminare tra fonemi diversi è perciò una capacità rilevante per riuscire a comprendere le parole di una lingua, compresa la nostra lingua madre. 4. Morfemi e parole Combinazioni di fonemi danno vita alle parole di una lingua ma, a questo punto, è importante precisare che non tutte le combinazioni sono consentite. In italiano, ad esempio, carta è una parola del nostro dizionario, mentre darta non esiste (è una pseudoparola, o non-parola). Il fatto che la parola darta non esista è del tutto accidentale: è facilmente pronunciabile, perché segue le regole fonotattiche della nostra lingua e «suona» come possibile, tanto che viene definita dagli psicolinguisti una non-parola «regolare». Altre combina- zioni, invece, non sono sistematicamente possibili: un parlante italiano sente intuitivamente che la sequenza di lettere in datza, nonostante possa essere pronunciata, «suona» come non italiana, perché la combinazione tz non si incontra mai, in nessuna parola della nostra lingua (si tratta di una non-parola Comprensione e produzione di messaggi 33 «irregolare»). Infine, alcune combinazioni non sono pronunciabili sulla base delle possibilità fonotattiche di una lingua, come per l’italiano la sequenza di lettere dstrz (definita una non-parola «illegale»). Come dicevamo, i fonemi costituiscono i mattoni con cui è costruita la strut- tura piramidale che rappresenta il linguaggio. Proseguendo con la metafora, dobbiamo specificare che sequenze di fonemi formano i morfemi, che sono le unità più piccole dotate di significato. Ad esempio, gatt- è la radice di parole di significato simile come gatto, gatti, gattone, gattino, e così via. Mentre alcune parole sono costituite da singoli morfemi (morfemi liberi) come sì, infatti, spesso, radio, la maggior parte dei morfemi viene unita ad altri morfemi per formare le parole (morfemi legati), come nel caso del morfema gatt- (radice), che unito al morfema legato [o] forma la parola gatto. Così come abbiamo visto essere rilevante la capacità di segmentazione fo- nologica, altrettanto importante è la capacità di segmentare, all’interno di una frase, le parole che la compongono. Anche in questo caso tale capacità è particolarmente evidente quando ascoltiamo una persona che parla una lingua che non conosciamo. Per rendervene conto, anche se naturalmente non è la stessa cosa, leggete la frase seguente: «nonsarebbepiùsemplicesequestafrasef ossescrittautilizzandoglispazidoveservono?». La struttura con cui si dispongono le parole all’interno di una frase è definita «catena sintattica» e il sintagma è l’unità minima di tale catena. Nel sintagma si definisce «testa» la parola fondamentale, mentre gli altri elementi del sin- tagma sono detti «modificatori». In funzione della categoria grammaticale cui appartiene la parola che ha il ruolo di testa, si distinguono sintagmi nominali (come il mio gatto, perché è il nome gatto a fungere da testa), sintagmi ver- bali (come gioca volentieri, perché la testa in questo esempio è costituita da un verbo, gioca) e sintagmi preposizionali (come con la lana, perché è una preposizione ad avere il ruolo di testa). Il sintagma è l’elemento principale e minimo della frase. La maggior parte delle frasi è composta da un sintagma nominale e da un sintagma verbale. 5. Frasi e regole sintattiche Come accennavamo all’inizio del capitolo, quando abbiamo ricordato la leg- genda biblica della torre di Babele, le lingue, nonostante presentino evidenti differenze, possiedono delle caratteristiche in comune definite universali linguistici. In sostanza, parlando di fonemi, morfemi e parole, abbiamo già delineato i principi universali su cui si basa la costruzione di una lingua. Vediamoli in sintesi: il primo universale linguistico afferma che ciascuna lin- gua ha un numero finito di fonemi. Il secondo universale sostiene che da un numero finito di fonemi è possibile costruire un numero infinito di parole. Il terzo universale specifica che la relazione tra ciascuna parola e il proprio significato è arbitraria, tanto che lo stesso significato può essere espresso nelle diverse lingue attraverso diverse etichette linguistiche: cane, dog, chien, 34 Capitolo 2 hond si riferiscono allo stesso concetto (rispettivamente in italiano, inglese, francese, olandese). Infine, il quarto universale assume che in qualsiasi lingua sia possibile produrre un numero infinito di frasi. Nella produzione di una frase le combinazioni di parole seguono precise regole, tanto che tutti noi comprendiamo facilmente che «gatto con la vo- lentieri mio il gioca lana» non è un’espressione corretta. Come dicevamo all’inizio di questo capitolo, le regole della sintassi governano il modo in cui le parole sono disposte all’interno di una frase. Naturalmente, le regole possono variare da una lingua all’altra. In italiano, ad esempio, le frasi sono costruite secondo la sequenza soggetto-verbo-oggetto, mentre in giappo- nese la sequenza risponde a un ordine diverso, soggetto-oggetto-verbo. Un altro esempio è costituito dalla relazione tra nome e aggettivo: in italiano generalmente l’aggettivo segue il nome («Un gatto nero mi ha attraversato la strada»), mentre in inglese lo precede («A black cat crossed the street in front of me»). Ad ogni modo, a parte queste differenze tra le lingue, per comprendere un enunciato è necessario attribuire un determinato ruolo grammaticale a ciascuno degli elementi presenti nella frase e, come abbiamo già notato, dire che «Andrea ama Anna» non equivale a dire che «Anna ama Andrea». Nella prima frase Andrea è il soggetto, colui che ama, e Anna è l’oggetto, colei che viene amata. Va da sé che per comprendere una frase, oltre a conoscere le regole sintattiche, è necessario recuperare il significato delle parole che la compongono. Solo poche parole (chiamate onomatopeiche), in cui il suono imita ciò che vuole significare (come din-don), possiedono una relazione non arbitraria tra voce lessicale e concetto. Per le restanti, la maggioranza, si tratta di una semplice stringa di lettere, e non vi è alcuna relazione intrinseca tra l’etichetta linguistica e il concetto cui si riferisce. L’astro che ci fornisce luce e calore è chiamato sole in italiano, sun in inglese e, a complicare le cose, sole in inglese può significare sia la pianta del piede che la suola delle scarpe, oltre che indicare l’aggettivo corrispondente alla traduzione italiana di «unico; solo». Il modo in cui la sintassi e la semantica interagiscono nel processo di com- prensione è ancora oggi oggetto di dibattito tra gli studiosi di psicolinguistica; nel paragrafo che segue presenteremo due classi di modelli che hanno cercato di analizzare il diverso ruolo di queste due componenti. 6. Come interagiscono sintassi e semantica nella comprensione di una frase Comprendere una frase vuole dire essere in grado di formarsi una rappresen- tazione mentale di ciò che il parlante o lo scrivente intendeva comunicare. Probabilmente, nella maggior parte dei casi, ci sembra che ciò si realizzi in assenza di uno sforzo mentale rilevante e che avvenga con una discreta velo- cità. Ciononostante, la comprensione di una frase è il risultato di un processo complesso, che può essere scomposto in diversi livelli di analisi. Si assume Comprensione e produzione di messaggi 35 che siano effettuati tre tipi di elaborazione: a) una elaborazione fonologica/ ortografica (a seconda che la frase sia ascoltata o letta), in cui vengono iden- tificati e riconosciuti i singoli fonemi (o le singole lettere) che compongono gli elementi della frase; b) una elaborazione sintattica, nel corso della quale a ciascun elemento della frase viene assegnato uno specifico ruolo sintattico; c) una elaborazione di tipo semantico, in cui per ciascuna parola viene recuperato il corrispondente significato. Le elaborazioni che sono realizzate in ciascuno di questi livelli vengono integrate dal sistema linguistico e si concretizzano nel risultato finale, cioè nell’interpretazione della frase. Il dibattito, ancora acceso tra gli studiosi che si occupano di linguaggio, riguarda il modo in cui i risultati relativi ai diversi tipi di elaborazione interagiscono tra loro. Nel panorama scientifico attuale possiamo individuare due classi di modelli, i modelli seriali e i modelli interattivi. Queste due classi di modelli condividono alcune assunzioni teoriche: ad esempio, assegnano entrambe un ruolo fonda- mentale sia all’elaborazione sintattica che a quella semantica, e assumono che ciascuna di queste analisi venga effettuata in componenti separate del sistema linguistico. Le divergenze teoriche consistono principalmente nel precisare le relazioni che intercorrono tra le due componenti. 7. Modelli interattivi e modelli seriali I modelli interattivi [Marslen-Wilson 1975; MacDonald, Pearlmutter e Sei- denberg 1994] propongono l’interdipendenza tra le componenti coinvolte nella comprensione di una frase. Secondo questi modelli, a parte un iniziale privilegio goduto dalla componente che elabora le informazioni di tipo fono- logico/ortografico, i risultati delle elaborazioni provenienti dalla componente sintattica e dalla componente semantica interagiscono tra loro in ogni mo- mento del processo di analisi della frase (man mano che sono disponibili al sistema), concorrendo insieme alla produzione finale del significato della frase. I modelli seriali [Forster 1979; Frazier e Rayner 1982] stabiliscono invece l’autonomia e l’indipendenza tra i diversi livelli di elaborazione. Secondo tale concezione il sistema linguistico non passa all’elaborazione di una compo- nente se prima non ha completato l’elaborazione della componente in corso di analisi. In altre parole, mentre i modelli interattivi prevedono che l’elaborazione sintattica e quella semantica procedano in parallelo, i modelli seriali suggeri- scono che le due analisi avvengano sequenzialmente, e che l’analisi sintattica preceda quella semantica, almeno per quanto riguarda l’elaborazione delle singole parole contenute nella frase, anche se possono operare in parallelo rispetto a diverse parti della frase stessa. Al momento attuale, le evidenze empiriche non permettono di sostenere con certezza l’una o l’altra delle due posizioni teoriche, probabilmente perché le metodologie a disposizione non sono in grado di catturare i meccanismi 36 Capitolo 2 sottostanti un processo che si risolve così velocemente. D’altra parte, i risultati sperimentali a favore di un approccio rispetto a un altro esulano dagli scopi della presente trattazione. Forse per il lettore può essere più interessante considerare un altro aspetto, e riflettere sulle diverse ambiguità presenti nel linguaggio. A questo proposito, come sottolinea Tabossi , se ne possono rilevare di diversi tipi, che vanno dal livello di segmentazione fonologica al livello semantico e sintattico. Considerando che quando si ascolta una frase si è in presenza di un flusso con- tinuo di suoni, alcuni enunciati possono risultare (almeno temporaneamente) ambigui nel corso del processo di segmentazione delle parole. Un esempio, adattato da Tabossi, ci può venire in aiuto. Immaginate di vedere alla televi- sione, o di sentire alla radio, una trasmissione cui è stata invitata una famosa attrice. Il conduttore che la sta intervistando chiede: «Lei è una donna bella, ricca e famosa, di/amanti famosi ne ha avuti molti?». Come immaginate di segmentare il flusso di suoni che arriva al vostro apparato uditivo? Pensereste ai diamanti o agli amanti che ha avuto questa donna? Se una frase di questo tipo rimane solo temporaneamente ambigua, l’enun- ciato con cui abbiamo aperto il capitolo può essere chiarito solo all’interno di un contesto più ampio. Possiamo, inoltre, pensare ad altre ambiguità di tipo semantico, come nel caso di frasi che contengono parole polisemiche. Ad esempio, la frase «Bello quel merlo!» è ambigua all’infuori di un contesto più ampio, perché non è chiaro se ci si riferisca ai merli di un castello oppure agli uccelli neri che tutti conosciamo. Infine, ambiguità di tipo strutturale sono presenti in frasi come «Il poliziotto insegue il ladro con la pistola», in cui non è chiaro se ad avere la pistola sia il poliziotto oppure il ladro. Il modo in cui sono risolte queste contraddizioni, e la preferenza per l’una o l’altra delle interpretazioni, è tuttora oggetto di dibattito tra gli studiosi, nel tentativo di dare risposta alla questione relativa alle elaborazioni che hanno luogo nel corso del processo di comprensione delle frasi. Se consideriamo la frase «Le hanno assegnato un incarico che svolgerà con grande entusiasmo ieri» è plausibile che la maggior parte delle persone cerchi inizialmente di interpretare «che svolgerà con grande entusiasmo ieri» come un unico elemento grammaticale, salvo poi tornare sui propri passi quando arriva all’ultima parola. L’avverbio (ieri), infatti, non essendo compatibile con il verbo coniugato al futuro (svolgerà), costringe a rivedere l’interpretazione iniziale, facendo comprendere che è stata l’assegnazione dell’incarico ad aver avuto luogo il giorno prima. Esempi come questo fanno ipotizzare che nel processo di comprensione di una frase si possano rintracciare alcune regolarità nel modo in cui viene ope- rata l’elaborazione sintattica. In altre parole, se nel comprendere una frase si propende per una delle possibili interpretazioni con sistematicità, significa che è stata utilizzata una ben determinata costruzione grammaticale. Vedremo nel prossimo paragrafo alcune delle principali strategie proposte. Comprensione e produzione di messaggi 37 8. Strategie di analisi sintattica La strategia dell’attaccamento minimale, proposta da Frazier , assume che l’elaboratore sintattico funzioni in modo da costruire strutture sintattiche il più possibile semplici. Ad esempio, la frase «L’avvocato decise le argomenta- zioni più convincenti preparò l’arringa finale» appare, in un primo momento, sgrammaticata, perché non corrisponde a una struttura semplice. Può essere percepita come corretta dal punto di vista grammaticale solo nel momento in cui viene costruita una struttura più complessa, nella quale il verbo decise viene letto come participio passato della frase subordinata: l’avvocato, una volta decise le argomentazioni più convincenti, preparò l’arringa finale. Al contrario, la frase «L’avvocato decise le argomentazioni più convincenti e le propose ai colleghi» è costituita da due frasi con struttura semplice (soggetto- verbo-oggetto) in cui il verbo decise è il verbo della prima frase «l’avvocato decise le argomentazioni più convincenti» e propose è il verbo della seconda frase «l’avvocato propose le argomentazioni ai colleghi» (entrambi i verbi al passato remoto). L’elaborazione sintattica, dunque, procede costruendo strutture semplici: nel primo esempio, quando si arriva a preparò, viene rile- vata un’incongruenza che è risolta ri-analizzando la frase, cioè assegnando un ruolo diverso al verbo decise. Vediamo un altro esempio, e consideriamo la frase «Il poliziotto guardava il ladro con il binocolo». La strategia dell’attaccamento minimale prevede che il sintagma preposizionale (con il binocolo) venga interpretato come argomento del verbo guardare, dato che questa è la struttura grammaticale più semplice che possa essere costruita. Vi sono, tuttavia, delle eccezioni, come nel caso di una frase che appare a prima vista molto simile alla precedente ma che è in realtà sintatticamente più complessa. È il caso della frase «Il poliziotto guardava il ladro con la pistola». In questo caso il sintagma preposizionale non può essere considerato, come nel caso precedente, un argomento del verbo guardare, e l’applicazione della strategia dell’attaccamento minimale produce come risultato una frase priva di significato (si può guardare con il binocolo, non con la pistola). Rayner, Carlson e Frazier hanno infatti dimostrato che la frase «Il poliziotto guardava il ladro con la pistola» viene letta con tempi di reazione più lunghi rispetto alla frase «Il poliziotto guardava il ladro con il binocolo» e hanno rilevato, attraverso la registrazione dei movimenti oculari, che il sintagma con la pistola riceve un maggior numero di fissazioni, come se il lettore dovesse tornare sui propri passi e ri-analizzare l’elemento che provoca l’ambiguità. Questi risultati sono stati perciò interpretati a sostegno della strategia dell’attaccamento minimale: la prima struttura sintattica che viene costruita è una struttura semplice; quando il risultato di tale elaborazione produce un’interpretazione non plausibile, il sistema linguistico ri-analizza la frase in modo da ottenere una rappresentazione plausibile (il ladro ha una pistola, e il poliziotto lo guarda). Cosa accade in presenza di frasi che danno adito a due possibili interpre- tazioni, ma sono ugualmente complesse dal punto di vista sintattico? È il 38 Capitolo 2 caso di una frase come «Sono passato a prendere l’amico del ragazzo che è arrivato ieri». In casi come questo la strategia della chiusura differita [Frazier e Fodor 1978] prevede che, se possibile dal punto di vista grammaticale, gli elementi della frase che vengono man mano elaborati vengano attaccati ai nodi in corso di elaborazione. L’applicazione di tale strategia prevede perciò di attaccare l’avverbio ieri all’ultimo elemento che è stato analiz- zato, e l’interpretazione più frequente è quindi quella che assume che sia il ragazzo ad essere arrivato ieri. In questo tipo di frasi evidenze sperimentali dimostrano che, in effetti, l’elaborazione sintattica iniziale risponde alla strategia della chiusura differita. Una frase come «Prima che il re cavalchi il suo meraviglioso cavallo bianco viene sempre strigliato» viene letta più lentamente rispetto alla frase «Prima che il re cavalchi il suo meraviglioso cavallo bianco questo viene sempre strigliato». Nel primo caso, infatti, l’applicazione della strategia della chiusura differita porta a un fallimento dell’interpretazione («il suo meraviglioso cavallo bianco» viene attaccato a «cavalchi»), tanto che la registrazione dei movimenti oculari mette in luce un maggior numero di fissazioni nella porzione di frase che segue la regione in cui è presente l’ambiguità. La seconda frase è invece costruita secondo le regole della strategia della chiusura differita (il fatto di attaccare «il suo meraviglioso cavallo bianco» a «cavalchi» produce una struttura coerente con il seguito della frase) e viene infatti letta più velocemente [Frazier e Rayner 1982]. Si ipotizza che le elaborazioni che sottostanno ad entrambe le strategie, dell’attaccamento minimale e della chiusura differita, rispondano a un principio cognitivo che prevede il minor carico di lavoro possibile in memoria. La strategia della catena minima, proposta da De Vincenzi , prevede che il sistema funzioni in modo da evitare di costruire nodi non necessari nelle catene sintattiche. Tale strategia è stata proposta dall’autrice1 per ren- dere conto dell’interpretazione di frasi come «Chi ha chiamato Andrea?», in cui Chi può assumere sia il ruolo di soggetto (colui che chiama Andrea) sia il ruolo di oggetto (colui che viene chiamato da Andrea). In accordo con tale strategia, che assume la costruzione di dipendenze sintattiche il più possibile semplici, i risultati mostrano che l’elaboratore assegna all’elemento Chi la prima posizione strutturale disponibile, viene cioè interpretato come soggetto della frase. Il ruolo privilegiato di tale posizione nella costruzione sintattica è stato dimostrato sperimentalmente confrontando i tempi di lettura e di esplorazione visiva in frasi come «Chi ha chiamato i poliziotti?» e «Chi hanno chiamato i poliziotti?». I risultati hanno dimostrato che si impiega meno tempo a leggere la prima frase, nella quale è corretto attribu- ire il ruolo di soggetto grammaticale al