Lezione 14 (Rapporti Personali Tra Coniugi (2)) - Slide PDF
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Questi appunti trattano degli effetti del vincolo matrimoniale, in particolare della rilevanza della casa familiare. Essi coprono un'ampia gamma di temi, inclusi i doveri dei coniugi, come la coabitazione e la scelta della residenza della famiglia, nonché i loro obblighi e sanzioni in caso di violazione di questi obblighi. Vengono menzionate le sentenze di Cassazione e i riferimenti normativi.
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Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 14 Titolo: Rapporti personali tra coniugi (2) ULTERIORI EF...
Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 14 Titolo: Rapporti personali tra coniugi (2) ULTERIORI EFFETTI DEL VINCOLO La rilevanza della casa familiare I coniugi come abbiamo visto devono: coabitare art 143 cod civ, scegliere la residenza della famiglia art 144 cod civ. Il Legislatore ha ritenuto opportuno sanzionare la violazione dell’obbligo: con la sospensione dell’assistenza morale e materiale e predisponendo il sequestro conservativo sui beni del coniuge che si allontana per garantire l’adempimento del dovere di contribuzione e di mantenimento sia verso l’altro coniuge che verso i figli (art 146 cod civ). Al primo posto tra le scelte fondamentali dei coniugi vi è dunque quella del luogo in cui i due con i loro figli vivranno abitualmente e da dove nessuno dei due si potrà allontanare senza una giusta causa. Prima della riforma la donna doveva seguire il marito dove lui scegliesse di andare, ora invece l’abitazione familiare deve essere oggetto di un accordo tra i due. Ciò non esclude che il marito o anche la moglie, possano avere un diverso domicilio (art 45 cod civ), un luogo cioè dove hanno la sede prevalente dei propri affari ed interessi, a patto però che in tal modo non si riduca l’obbligo primario della convivenza. La coabitazione è requisito essenziale affinché si formi quella communio omnis vitae che è l’essenza stessa del matrimonio. Peraltro la giurisprudenza ha sottolineato la differenza tra coabitazione e convivenza precisando che la convivenza “come coniugi” deve intendersi quale elemento essenziale del “matrimonio – rapporto”, che si manifesta come consuetudine di vita coniugale comune, stabile e continua nel tempo, ed esteriormente riconoscibile attraverso corrispondenti, specifici fatti e comportamenti dei coniugi, e quale fonte di una pluralità di diritti inviolabili, di doveri inderogabili, di responsabilità anche genitoriali in presenza di figli, di aspettative legittime e di legittimi affidamenti degli stessi coniugi e dei figli, sia come singoli sia nelle reciproche relazioni familiari (Cass 16379 del 2014). Il dovere di convivere peraltro non è violato da quelle assenze di breve durata che non intacchino la sostanziale continuità di vita in comune. Si sottolinea infatti come anche sul contenuto di tale obbligo incida l’accordo dei coniugi che possono anche stabilire di vivere separati per alcuni periodi o per alcuni giorni alla settimana per motivi di lavoro o della famiglia d’origine, senza con ciò interrompere la comunione di vita, fondamento del matrimonio. Abbandono della residenza familiare L’abbandono della residenza familiare, quando non è giustificato viola l’art 143 cod civ, e pertanto può causare una pronuncia di addebito, e può anche integrare il delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare, previsto dall’art 570 cod pen secondo il quale è punibile chiunque abbandonando il domicilio domestico.... si sottrae agli obblighi di assistenza. 1 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 14 Titolo: Rapporti personali tra coniugi (2) L’abbandono del tetto coniugale inoltre, quando non sia determinato da un motivo giustificato, legittima nei confronti del coniuge che si è allontanato la sospensione dell’assistenza morale e materiale, nonché il sequestro dei beni, ordinato dal giudice, nella misura idonea a garantire l’adempimento degli obblighi di carattere patrimoniale previsti dalla legge. A tal proposito la giurisprudenza ha precisato che il coniuge che si allontana dalla residenza familiare perde il diritto al mantenimento ai sensi dell’art 146 cod civ , soltanto quando l’allontanamento sia ingiustificato e persista con un rifiuto a tornare, nonostante il richiamo dell’altro coniuge, atteso che, ove quest’ultimo si adegui, omettendo di richiamare il coniuge allontanato, si realizza una situazione di separazione di fatto, nella quale restano in vigore gli obblighi di cui agli art 143 cod civ. È infatti necessario, perché non si abbia un’ipotesi di separazione di fatto, durante la quale non sono sospesi gli obblighi di mantenimento, che il coniuge provi di aver seriamente richiamato l’altro chiedendogli di tornare al domicilio coniugale. Costituisce comunque giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare la proposizione di una domanda di separazione, annullamento o di divorzio: ovviamente anche in questo caso non viene meno l’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia. Inoltre il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi, e l’onere incombe su chi ha posto in essere l’abbandono, che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata ed in conseguenza di tale fatto (Cass 12241 del 2020) Altre disposizioni a tutela della casa familiare: art 614 cod pen che punisce la violazione di domicilio. È stato infatti più volte condannato il terzo che si è introdotto nella casa coniugale col consenso di un coniuge e contro la volontà dell’altro. In particolare la giurisprudenza della Cassazione ha affermato che “quando il domicilio è comune a più persone alla inviolabiltà del domicilio hanno diritto tutti i conviventi; perciò il dissenso espresso o tacito, di uno di essi è sufficiente ad integrare la volontà contraria all’introduzione e quindi il divieto la cui inosservanza da parte di altri costituisce il delitto di violazione di domicilio”. La Corte ha inoltre affermato che “per effetto del... principio della parità tra i coniugi la titolarità del domicilio e dello ius prohibendi appartiene indivisibilmente ad entrambi i coniugi e, conseguentemente, perché tale diritto sia legittimamente esercitato, occorre il consenso di entrambi. E poiché il bene giuridico tutelato è la domus, e non la famiglia nei suoi singoli componenti commette reato di violazione di domicilio colui che si introduce nella casa coniugale altrui, durante l’assenza del marito al fine di avere rapporti carnali con la moglie, dovendosi ritenere che l’introduzione sia avvenuta contro la volontà del marito stesso”. Art 540 cod civ secondo cui, in caso di decesso di uno dei coniugi, all’altro, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.. Per casa si intende quella abitata in maniera prevalente e duratura dalla famiglia. Restano, pertanto, escluse le seconde case. La norma non si applica al coniuge separato, in quanto in tal caso 2 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 14 Titolo: Rapporti personali tra coniugi (2) difetta il requisito della coabitazione. La ratio della disposizione è quella di riservare al coniuge, oltre alla quota di legittima, anche il diritto di abitazione e di uso rispettivamente sulla residenza familiare e sui mobili, al fine di preservare la sfera degli affetti del coniuge superstite, consentendo a questo di continuare a vivere nella casa familiare. Art 337 sexies cod civ secondo cui il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. La norma prevede la possibilità per il giudice in caso di crisi genitoriale di assegnare al coniuge che convive con i figli, nell’interesse degli stessi la casa familiare (si veda lezione le conseguenze della crisi genitoriale sui figli). 3 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 14 Titolo: Rapporti personali tra coniugi (2) Cognome della moglie Ai sensi dell’art 143 bis cod civ “La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze.” Tradizionalmente il cognome dell’uomo è quello che da sempre identifica tutta la famiglia. Anche in relazione a quest’aspetto comunque gli usi sono cambiati in quanto è oramai comune da tempo che negli ambienti lavorativi la donna, seppur coniugata, venga chiamata e conosciuta col suo cognome; si consideri inoltre che ai sensi dell’art 143-bis cod civ la moglie aggiunge il proprio cognome a quello del marito e non lo sostituisce come invece avveniva prima della riforma del 1975. La donna inoltre conserva il cognome del marito anche durante lo stato vedovile, fino al momento in cui contrae un nuovo matrimonio. In caso di separazione poi il giudice può vietare alla donna l’uso del cognome del marito se ciò sia a lui pregiudizievole e al contrario può autorizzarla a non usarlo quando invece il pregiudizio ricada su di lei (art 156-bis cod civ). Per effetto della sentenza di divorzio la donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio (art 5 Legge 898 del 1970). Tuttavia, quando sussista un interesse, della stessa o dei figli, meritevole di tutela, il tribunale, con la sentenza con cui pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, può autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio: ciò può essere giustificato dal fatto che la moglie sia oramai nota e conosciuta in campo professionale con quel cognome e non con il proprio. Numerose sono le questioni sorte in materia. La giurisprudenza ha in proposito sottolineato che dopo la cessazione del matrimonio, per conservare il cognome non basta la notorietà dell’ex coniuge ma serve un interesse meritevole di tutela. Si è in particolare evidenziato che: la possibilità prevista dall’articolo 5, comma 3, della legge n 898 del 1970 di consentire alla moglie divorziata, con effetti di carattere giuridico-formali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, è da considerare un’ipotesi straordinaria, affidata alla decisione discrezionale del giudice di merito, secondo criteri di valutazione propri di una clausola generale ma che non possono coincidere con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica. Né può escludersi che il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda ricreare un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile come legame familiare attuale (Cass 3454 del 2020). l’aggiunta del cognome maritale è un effetto del matrimonio circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio. L’eccezionale deroga alla perdita del cognome maritale è discrezionale e richiede la ricorrenza del presupposto dell’interesse meritevole di tutela dell’ex coniuge. L’interesse meritevole di tutela inoltre non può identificarsi con quello derivante dalla notorietà dell’ex coniuge (Cass 654 del 2022). In altre parole si è escluso che l’interesse “meritevole di tutela” possa esaurirsi nella irrinunciabilità ad un cognome famoso e noto che facilita di per sé la frequentazione di ambienti mondani, di rango sociale e censo elevati, assicurando notorietà e agevolazioni confacenti a quelle di una famiglia molto conosciuta nel ramo imprenditoriale. 4 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 14 Titolo: Rapporti personali tra coniugi (2) Ciò posto, gli Ermellini (Cass 654 del 2022), si spingono anche a precisare che questo interesse alla conservazione del cognome dell’ex coniuge, al fine di essere giudicato meritevole di tutela, deve: risultare più intenso di un mero desiderio di mantenere un tratto identitario riferito ad una relazione ormai finita; essere bilanciato con l’eventuale pregiudizio che il perdurante uso del cognome possa arrecare all’ex marito che non vi acconsenta e che voglia creare un nuovo nucleo familiare riconoscibile come tale nei rapporti sociali. La giurisprudenza ha altresì sottolineato come il perdurante uso del cognome maritale da parte dell’ex coniuge possa costituire un pregiudizio per l’ex marito che non vi acconsenta, specialmente nel caso in cui egli sia passato a nuove nozze e, per tanto, si creino confusione ed equivoci “anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente” (Cass 3454 del 2020). Di conseguenza, il marito può, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio, agire a tutela del proprio diritto al nome ex art 7 cod civ qualora la ex moglie ne faccia un uso indebito - e chiedere il risarcimento dell’eventuale danno. Va precisato, in proposito, che il danno risarcibile sarà solo quello patrimoniale perché il diritto al nome non rientra fra i diritti a copertura costituzionale la cui violazione comporta il risarcimento anche del danno morale (Cass Su 26972 del 2008). La questione del cognome familiare è in evoluzione e forti sono le spinte verso un cambiamento. In proposito si evidenzia anche la posizione della Corte europea dei diritti umani secondo cui: viola la Convenzione europea il diritto svizzero, che richiede ai coniugi che vogliano assumere il cognome della moglie, di presentare alle autorità nazionali una istanza comune, in assenza della quale viene loro assegnato esclusivamente il cognome del marito (CEDU, 9 novembre 2010, n 664 del 2006) viola la convenzione la legge turca che impone ad una donna coniugata di portare il cognome del marito o di far precedere il cognome del marito al proprio (CEDU 16 novembre 2004, n 29865 del 1996). In queste decisioni, la Corte Edu ha concluso per la violazione degli articoli 8 e 14 della Convenzione, valorizzando l'eguaglianza dei sessi e la necessità di eliminare ogni discriminazione di natura sessuale nella scelta del cognome, posto che la tradizione di dichiarare l'unità della famiglia attraverso l'attribuzione a tutti i suoi membri del solo cognome del marito non giustifica una discriminazione nei confronti delle donne. In questo contesto si evidenzia la sentenza della Corte Costituzionale 31 maggio 2022 n 131 con la quale la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di varie disposizioni nella parte in cui prevedono che il figlio assume il cognome del padre, anziché prevedere che il figlio assume i cognomi dei genitori, nell’ordine dai medesimi concordato, fatto salvo l’accordo, per attribuire il cognome di uno di loro soltanto (si veda lezione sul cognome del figlio). 5 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 14 Titolo: Rapporti personali tra coniugi (2) IL CASO Abbandono del tetto coniugale e addebito della separazione LA MASSIMA Corte di Cassazione, sez VI Civile - 1, ordinanza 23 giugno 2020, n 12241 L’abbandono della casa familiare costituisce di per sé violazione di un obbligo matrimoniale, non essendo decisiva la prova della asserita esistenza di una relazione extraconiugale in costanza di matrimonio. Ne consegue che il volontario abbandono del domicilio coniugale è causa di per sé sufficiente di addebito della separazione, in quanto porta all’impossibilità della convivenza, salvo che si provi – e l’onere incombe a chi ha posto in essere l’abbandono – che esso è stato determinato dal comportamento dell’altro coniuge, ovvero quando il suddetto abbandono sia intervenuto nel momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto. La vicenda La vicenda concerne una separazione tra due coniugi dalla cui unione non erano nati figli. In primo grado il Tribunale, respinta la richiesta avanzata dal marito di addebito alla donna, lo condannava a versarle un assegno di mantenimento di 1.500 euro. La Corte d’appello riformava parzialmente la decisione riducendo l’assegno a 800 euro mensili in considerazione della situazione economica dell’uomo, imprenditore nel settore immobiliare e titolare di quote sociali, nonché di quella della moglie che, pur non avendo adeguati redditi propri che le consentissero di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio poteva comunque disporre di “consistenti risorse finanziarie”. Entrambi i coniugi proponevano ricorso in cassazione avverso la suddetta sentenza. La Corte con l’ordinanza in esame respinge le istanze. La questione Ai sensi dell’art 143 cod civ tra gli obblighi che sorgono per i coniugi in conseguenza del matrimonio vi è quello di coabitazione, definito come convivenza durevole presso la stessa residenza. La coabitazione in particolare è espressione della comunione di vita materiale, spirituale e sessuale requisito indispensabile per un rapporto matrimoniale. Tale obbligo è considerato particolarmente rilevante, al punto che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che la situazione giuridica di convivenza tra marito e moglie costituisce elemento essenziale del matrimonio-rapporto, caratterizzandolo in maniera determinante (Cass 18695 del 2015). In questo contesto il comportamento di un coniuge che abbandona il tetto coniugale, ossia vi si allontana senza il consenso dell’altro costituisce violazione dei doveri coniugali e può portare a una dichiarazione di addebito della separazione, con tutte le conseguenze patrimoniali che questa comporta (Cass 25663 del 2014). L’allontanamento peraltro può essere considerato legittimo in presenza di una “giusta causa”, vale a dire di una situazione di fatto di per sé incompatibile con la protrazione di quella convivenza, oppure quando si è già verificata l’intollerabilità della vita matrimoniale. Nella prassi tuttavia il confine tra le due situazioni è spesso labile e compete all’interprete valutare quando 1 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 14 Titolo: Rapporti personali tra coniugi (2) l’allontanamento sia giustificato e quando invece causi la frattura dell’unione coniugale e quindi la separazione. Le soluzioni giuridiche La Cassazione nel provvedimento in esame specifica innanzitutto che non è ammissibile, in sede di legittimità un nuovo riesame dei fatti, come richiesto dal ricorrente, dal momento che nell'ambito del giudizio di legittimità, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione fatta dal giudice di merito (Cass 29404 del 2017). Nella specie, si specifica inoltre, non vi è stata alcuna omissione da parte della Corte d'appello che ha valutato tutte le risultanze istruttorie, relative agli aspetti patrimoniali e personali della coppia. Passando al merito della questione gli Ermellini, richiamando il consolidato indirizzo della giurisprudenza in materia evidenziano come l’addebito della separazione presupponga l’accertamento della riconducibilità della crisi coniugale alla condotta di uno o di entrambi i coniugi, consapevolmente e volontariamente contraria ai doveri coniugali. Si è a tal proposito sottolineato in dottrina che ciò che rileva, perché possa affermarsi che la separazione è addebitabile a uno dei coniugi, che ha tenuto un comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio, non è, tanto, la violazione, da parte di questi dei doveri in questione, quanto la dimostrazione che la convivenza, tra le parti, è divenuta intollerabile a causa della condotta dell'altro”. Non è pertanto sufficiente, ha affermato più volte la giurisprudenza, la sola violazione dei doveri che l’art 143 cod civ, pone a carico dei coniugi, essendo, invece, necessario accertare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale (Cass 7469 del 2017; Cass 11488 del 2017). Il volontario abbandono del tetto familiare da parte di uno dei coniugi, infatti costituendo violazione del dovere di convivenza, è di per sé sufficiente a giustificare l'addebito della separazione personale, a meno che non risulti provato che esso è stato determinato dal comportamento dell'altro o sia intervenuto in un momento in cui la prosecuzione della convivenza era già divenuta intollerabile ed in conseguenza di tale fatto (Cass 15 gennaio 2020 n 648). Non si concreta, dunque violazione dei doveri coniugali quando l’allontanamento risulti legittimato da una “giusta causa”, vale a dire dalla presenza di situazioni di fatto di per sé incompatibili con la protrazione di quella convivenza ossia tali da non rendere esigibile la pretesa di coabitare (Cass 12 aprile 2016, n 7163). In questo contesto la Cassazione ha individuato la giusta causa dell’allontanamento nella stessa proposizione della domanda di separazione, di per sé indicativa di pregresse tensioni tra i coniugi e, quindi, dell'intollerabilità della convivenza (Cass 19328 del 2015), ma anche nella “mancanza di una appagante e serena intesa sessuale” (Cass 8773 del 2012) nei soprusi, fisici e psicologici cui era sottoposta la moglie , e addirittura nei frequenti litigi domestici della donna con la suocera convivente (Cass 4540 del 2011). Anche una semplice lettera di addio del coniuge all’altro è stata considerata sufficiente al fine di provare la giusta causa dell’allontanamento definitivo dalla casa coniugale (Cass 34562 del 2012). Costituisce inoltre una valida deroga all'obbligo di coabitazione l'accordo tra coniugi di vivere, per ragioni di lavoro, in città diverse, incontrandosi durante i fine settimana (Cass 4558 del 2000). Nel caso in esame, sottolinea la Corte, l’allontanamento della moglie era avvenuto in un momento in cui l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza si era già verificata ed in conseguenza del 2 Corso di Laurea: Servizi giuridici Insegnamento: Diritto di famiglia Numero lezione: 14 Titolo: Rapporti personali tra coniugi (2) comportamento di entrambi i coniugi, rivelatisi inidonei a costruire persino un progetto di vita matrimoniale. La stessa Corte d’Appello aveva infatti evidenziato che tra i due era da subito emerso, nella breve esperienza matrimoniale, una mancata costruzione, di un "rapporto fatto di affezione, progettualità di coppia e condivisione". La causa del fallimento della convivenza non era, nella specie, pertanto, conclude la Cassazione, imputabile solamente all’allontanamento della donna. Per tale motivo giustamente la Corte d’Appello aveva respinto la richiesta d’addebito. Osservazioni Con la riforma del diritto di famiglia l'istituto della separazione personale dei coniugi è passato dall’essere separazione per colpa all’essere un rimedio di fronte a una situazione familiare ormai pregiudicata, pur indipendentemente dalla volontà di marito e moglie. In questo contesto la violazione del regime primario matrimoniale e quindi dei doveri di solidarietà e di reciproca assistenza anche materiale ha comunque come conseguenza, la possibilità di addebito della separazione. L’istituto, che rappresenta un compromesso tra chi al momento della riforma voleva eliminare completamente la “colpa“ dalla separazione e chi invece, più conservatore, voleva mantenere la rilevanza della responsabilità del coniuge colpevole è tuttora al centro di opposte istanze. Da una parte si ha infatti un’evoluzione tendente all'eliminazione dell'addebito considerato un retaggio della separazione per colpa, che non fa altro che alimentare il conflitto coniugale, con conseguenze assai dannose ai fini della tutela della bigenitorialità, come testimoniato anche da recenti disegni di legge (art 19 del disegno di legge Pillon). Già anni fa la dottrina in proposito sosteneva la maturità dei tempi “perché il Legislatore, rompendo con un ingombrante passato”, ponesse fine a un istituto “assolutamente arcaico e privo di qualsiasi rilevanza pratica”. D’altra parte peraltro la giurisprudenza ritenendo non sufficiente l’addebito come conseguenza della violazione dei doveri nascenti dal rapporto matrimoniale, ha iniziato da tempo a considerare applicabili ai rapporti tra coniugi i principi della responsabilità civile. A partire da una ben nota sentenza del 2005 (Cass 9801 del 2005) si sostiene infatti che la violazione di obblighi nascenti dal matrimonio che, da un lato è causa di intollerabilità della convivenza, giustificando la pronuncia di addebito, con gravi conseguenze, anche di natura patrimoniale, dall’altro, dà luogo ad un comportamento (doloso o colposo), che, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, integra gli estremi dell’illecito civile e da luogo ad un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art 2059 cod civ (Cass 8862 del 2012). Caso tratto da : Giuffré – Ilfamiliarista.it – 21 ottobre 2020 – giurisprudenza commentata Autore: Galluzzo Sabina Anna Rita Abbandono del tetto coniugale e addebito della separazione 3