Lezione di Oncologia Medica 2024 - PDF
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2024
Aurora Fiorini
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Lezione di oncologia medica del 01/10/2024, con il professor Mandala'. Gli argomenti trattati includono l'evoluzione della terapia medica, la storia della chemioterapia, i diversi tipi di chemioterapici e i fattori che influenzano la risposta alla terapia, come la frazione di crescita, la dose intensity e la chemioresistenza. Sono menzionate anche le diverse fasi per l'approvazione di farmaci.
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LEZIONE DI ONCOLOGIA MEDICA (prof MANDALA’) SBOBINATORE: AURORA FIORINI 01\10\2024, 1° ORA (ore 9\10) REVISORE: GINEVRA BADINI Il prof inizia la lezione dando informazioni sulle lezioni, sugli esami e su...
LEZIONE DI ONCOLOGIA MEDICA (prof MANDALA’) SBOBINATORE: AURORA FIORINI 01\10\2024, 1° ORA (ore 9\10) REVISORE: GINEVRA BADINI Il prof inizia la lezione dando informazioni sulle lezioni, sugli esami e sulla tesi: - Oltre alle lezioni in presenza, ci saranno delle lezioni su Teams (14h). Ci invierà per mail un calendario con il giorno e l’orario delle lezioni online. - Il primo esame utile per il nostro anno sarà a dicembre e sarà scritto con risposte multiple (30 domande in 35 minuti, senza togliere punti per le risposte sbagliate). Ci sarà un eventuale orale per chi vorrà alzare il voto dello scritto. - Per chi volesse richiedere la tesi, è sperimentale ed è da richiedere almeno un anno prima. PRINCIPI DI TERAPIA MEDICA ONCOLOGICA: EVOLUZIONE DELLA TERAPIA MEDICA: Per capire la evoluzione della terapia medica, vediamo un parallelismo tra l’evoluzione della biologia dei tumori e l’avanzamento del trattamento dei tumori. → Nell’era pre-genomica (prima che avvenisse la valutazione dell’esoma) lo studio dei tumori avveniva analizzando la cinetica di crescita ed il ciclo cellulare degli stessi. In questa era si sviluppa la chemioterapia. → Nell’era genomica (a seguito della scoperta del DNA), tramite l’analisi genetica dei tumori, vennero scoperti i geni (mutazioni) drivers, ovvero geni che impattano nella crescita del tumore. Si distinguono dalle mutazioni passengers in cui la mutazione è presente ma non è determinante per la crescita del tumore. In questa era si sviluppa la medicina di precisione (terapia target). → Per ultimo, si è scoperto che non è importante solo la cellula tumorale ma anche il microambiente tumorale in cui la cellula tumorale cresce (vasi, linfociti, macrofagi, fibroblasti ecc). In questa era si sviluppa l’immunoterapia (anche le cellule facenti parte il microambiente tumorale sono targettabili). STORIA DELLA CHEMIOTERAPIA: il professore pone l’attenzione sull’anno 1900, periodo di Marie e Pierre Curie, e sul 1940, anno di introduzione della chemioterapia. Durante la seconda guerra mondiale (1943), una nave statunitense (John Harvey) venne bombardata dai tedeschi nel porto di Bari. La nave conteneva un carico segreto di bombe contenenti iprite (gas velenoso utilizzato nella battaglia di Ypres). Il contenuto della nave in parte andò nell’atmosfera creando una nube tossica ed in parte nell’acqua. Quindi, chi si trovava a Bari venne esposto alla nube tossica e all’acqua contaminata. Gli stessi, nei giorni successivi, si presentarono in pronto soccorso con mucosite e aplasia midollare. Si comprese che il componente chimico del gas era una mostarda azotata (agente alchilante che trasferisce un gruppo alchile a livello dell’azoto di purine e pirimidine); questa danneggia il DNA soprattutto di tessuti ad alta proliferazione, come quelli delle cellule midollari e delle mucose (turnover ogni 3 giorni). Da qui si è pensato di poter indirizzare questa tossicità ad un altro tipo di tessuti a rapida proliferazione, ovvero i tumori. I primi ad essere studiati furono quelli ematologici. Il termine chemioterapia deriva da un altro contesto: venne coniato da Paul Erlich e si riferiva a sostanze che bloccavano la crescita batterica. MODELLO DI SKIPPER-SCHABEL-WILCOX: Nel caso dei tumori ematologici, se poniamo delle cellule in coltura, avremo una crescita costante ed esponenziale. Nel grafico (ascisse: tempo, ordinate: cellule presenti nel tumore) vediamo questa crescita tempo dipendente. Nel caso dei tumori solidi, per le necessità di neoangiogenesi e di superamento della barriera del microambiente tumorale prima della crescita, vediamo 3 fasi: fase lag: fase di stallo iniziale dopo aver messo le cellule in coltura; fase exp: fase di crescita esponenziale; fase di plateau. Per azzerare la crescita cellulare, c’è la necessità di una esposizione costante, cadenzata, ciclica a chemioterapici. Da qui nasce il concetto dei cicli di chemioterapia che devono essere eseguiti ad intervalli di tempo costante per avere efficacia. Tuttavia, la popolazione tumorale è eterogenea, ovvero le cellule tumorali hanno caratteristiche diverse tra loro: ciò può portare a resistenza farmacologica a chemioterapici. Per questo è necessario utilizzare più farmaci non cross resistenti = polichemioterapia, per ridurre l’insorgenza di resistenza. Nella maggior parte dei casi è necessaria una sequenza terapeutica, ovvero un uso non concomitante di questi farmaci, con lo scopo di ridurre la tossicità del farmaco. Quindi nella maggior parte dei casi per azzerare la crescita tumorale ho bisogno di più farmaci, cosa che mi permetterà anche di non avere resistenza farmacologica e per evitare una sovrapposizione in termini di tossicità e rendere il trattamento fattibile, dovrò utilizzare un trattamento sequenziale. In un tumore di 1g (quindi piccolo), troviamo un miliardo di cellule diverse tra loro e con potenziale metastatico potenzialmente alto, questo per dire che ciò che è clinicamente precoce non è detto che sia biologicamente precoce. Per questo i tumori difficilmente si curano solo con la chirurgia. FATTORI CHE INFLUENZANO LA RISPOSTA ALLA CHEMIOTERAPIA: frazione di crescita: maggiore è la frazione di crescita, più le cellule vanno incontro a mitosi e maggiore è la risposta alla chemioterapia; dose intensity: quantità di farmaco somministrato nell’unità di tempo. Per esempio, posso somministrare adriamicina a una dose di 50 mg\m2 una volta ogni 4 settimane o posso somministrarla alla stessa dose ogni 2 settimane, in questo ultimo caso ho maggiore dose intensity. Più io riesco ad accorciare l’intervallo di tempo tra una dose e l’altra nei tumori sensibili, maggiore sarà la possibilità di uccidere le cellule tumorali resistenti. chemioresistenza: può essere intrinseca (il tumore fin dall’inizio è resistente a chemioterapici) o acquisita (il tumore diventa gradualmente resistente). Uno dei meccanismi di chemioresistenza più frequenti è la MDR (multi drug resistance): proteine transmembrana ATP dipendenti espellono il farmaco verso la parte extracellulare del microambiente tumorale. Quindi è necessario usare farmaci che singolarmente siano attivi nei confronti della patologia e che abbiano diverso profilo di tossicità per evitare la tossicità cumulativa; inoltre, è necessario somministrare il farmaco in tempo e dosi corrette e ad intervalli più brevi possibili. CLASSIFICAZIONE DI CHEMIOTERAPICI: il prof legge la slide e dice che non gli interessa molto. Aggiunge solo che la bleomicina viene utilizzata nel trattamento dei tumori del testicolo (schema PEB: Platino Etoposide Bleomicina) e che le epipodofillotossine, i taxani e gli alcaloidi della vinca agiscono sul fuso mitotico. Nel ciclo cellulare abbiamo una fase G0, S (replicazione del DNA), G1, G2 e M (in cui la cellula entra in mitosi con le varie fasi: profase, metafase, anafase e telofase). La maggior parte dei chemioterapici agisce su cellule ciclanti\proliferanti. Le cellule tumorali, tuttavia, possono essere anche “cellule resting” in G0. Se voglio eliminare il tumore devo agire anche su queste cellule. Esistono farmaci ciclo specifici e non ciclo specifici per uccidere sia le cellule ciclanti che non ciclanti. TOSSICITA’ La tossicità farmaco relata è valutabile tramite una scala oggettiva NCICTC (National Cancer Institute Common Toxicity Criteria). Questo perché quando un paziente mi riferisce di aver avuto ad esempio diarrea, non mi posso basare su un dato soggettivo riferito dal paziente stesso ma devo quantificarlo in maniera oggettiva. Con tossicità intendiamo per esempio, caduta dei capelli, tossicità midollare, tossicità neurologica… La tossicità dipende dalla proliferazione tissutale, può essere reversibile o irreversibile (esempio: neurotossicità\neuropatia post trattamento con cisplatino in tumore del testicolo, per accumulo del farmaco nei gangli sensitivi), acuta o cronica (a seconda della distanza tra la insorgenza e infusione del farmaco) e dose correlata o non dose correlata. TERAPIA IN MALATTIA LOCALIZZATA E AVANZATA Nella malattia localizzata si effettua la: terapia adiuvante: dopo l’intervento chirurgico radicale R0 (intervento con margini microscopici di resezione negativi) , per ridurre la possibilità di recidiva; terapia neoadiuvante: prima della chirurgia, per ridurre la malattia ed eliminare le cellule che si sono diffuse nel corpo; Nella malattia avanzata si effettua: terapia di induzione metastatica; salvataggio metastatico: dopo il fallimento della prima o seconda linea di terapia. RISPOSTA ALLA CHEMIOTERAPIA Per valutare in maniera oggettiva la risposta al trattamento o anche per capire nell’ambito di uno studio qual è l’attività di un farmaco e se questo possa sostituire il farmaco standard usato per la terapia, si utilizzano i criteri RECIST (Response Evaluation Criteria in Solid Tumor): valutano le dimensioni dei noduli e le lesioni metastatiche. Il limite di questi criteri è che non permettono di valutare la necrosi all’interno della massa: alcune terapie target per tumori GIST (tumori gastrointestinali stromali con mutazione di KIT o PDGFRalfa – presente anche nel dermatofibrosarcoma protuberans dei tessuti molli) spengono il segnale di proliferazione, comportando necrosi cellulare e non riduzione della dimensione della massa. È necessario uno studio metabolico con PET o TC con mdc per apprezzare la necrosi. FASI DI APPROVAZIONE DEGLI STUDI DI UN FARMACO 1. Fase 1: il farmaco viene somministrato per la prima volta e l’end point sarà valutarne la tossicità e identificare la massima dose tollerabile; 2. Fase 2: valuta la attività di un farmaco, ovvero la capacità di dare risposte obiettive secondo i criteri RECIST; 3. Fase 3: di solito vengono confrontati due trattamenti e si valuta l’efficacia, ovvero la capacità di un trattamento di prolungare la sopravvivenza (effetto a lungo termine); 4. Fase 4 dopo la immissione in commercio: valuta la safety\efficacia nella popolazione generale non selezionata. Importante è la differenza tra attività ed efficacia, non è detto che la riduzione della malattia (attività) si traduca poi in un aumento della sopravvivenza (non è detto che sia efficace). La riduzione della malattia deve mantenersi nel tempo, se dura poco non avrà effetto sulla sopravvivenza. L’ERA GENOMICA E LA TERAPIA TARGET A seguito della scoperta del DNA, venne introdotta da Mullis la PCR (per l’amplificazione delle sequenze di DNA); Sanger introdusse il sequenziamento genico che portò poi al progetto Genoma e alla individuazione delle mutazioni genetiche nei tumori. I tumori sono delle patologie genetiche, in cui dunque ci sono dei geni mutati. Nel 2005 uscì un lavoro riguardo al melanoma: esistono melanomi con mutazione di BRAF (che attiva la cascata della MAPK), altri con mutazione RAS, altri con mutazione NF1 e altri triplo negativi (non hanno nessuna di queste mutazioni). Questa classificazione è importante perché sono state identificate terapie target (1980) che in maniera selettiva colpiscono un bersaglio molecolare, per esempio BRAF mutato: in questo modo inibiscono la cascata delle MAPK (che comprende RAS, BRAF, MEK, ERK) e controllano a lungo termine la malattia spengendo il segnale di BRAF mutato. Vediamo dei grafici con sulle ascisse la dimensione del campione dello studio clinico, sulle ordinate il tasso di sopravvivenza ad 1 anno (sul grafico a sinistra) e il tasso di sopravvivenza libera da progressione a 6 mesi (sul grafico a destra). A 1 anno, con le chemioterapie tradizionali (quindi in era pre terapia target), solo il 25% (su 100) dei pazienti sopravviveva. A 6 mesi, la percentuale di pazienti che erano liberi senza progressione era del 15%. Oggi, nella malattia metastatica, con il trattamento target abbiamo circa il 40% di sopravvivenza a 5 anni (rispetto al 4% della chemioterapia tradizionale). TERAPIA TARGET La terapia target ci ha permesso di considerare il tumore in maniera diversa. Oggi esiste una classificazione anatomica e molecolare del tumore: posso avere tumori in sedi diversi (cute, colon, polmone, cervello) ma con stessa mutazione driver (BRAF). Questi tumori a diversa localizzazione possono essere trattati con la stessa strategia terapeutica. Parliamo dunque di anatomia molecolare e non di anatomia d’organo. Il prof riporta l’esempio di un suo paziente con tumore della tiroide (mutazione BRAF non convenzionale K601E): consultando il database, la mutazione è risultata “di sensibilità” quindi sarà possibile iniziare la terapia target. Questo è importante perché: possiamo trattare i pazienti indipendentemente dalla prima sede di malattia (istotipo); possiamo fare studi basket (arruolo pazienti con tumori che originano da sedi diverse ma accumunati dalla stessa mutazione), accelerando lo sviluppo farmacologico. Per esempio, ci sono studi che hanno portato alla registrazione di farmaci che colpiscono l’oncogene RET contro il tumore del polmone e della tiroide. posso avere approvazione in tempi rapidi. Le tossicità provocate dalla terapia target sono in genere reversibili. La somministrazione della terapia deve essere cronica e non può essere interrotta. Se ho delle tossicità anche lievi ma croniche, ho una qualità di vita ridotta. L’ULTIMA ERA DELLA IMMUNOTERAPIA Il sistema immunitario fa parte dei caratteri distintivi del cancro (hallmarks of cancer). L’immunoterapia, rispetto alla chemioterapia e alla terapia target, agisce in maniera indiretta, non colpendo la cellula tumorale ma attivando il sistema immunitario (che era stato inattivato dal tumore). Quest’ultimo, in seguito, colpirà il tumore. Ciò ha rivoluzionato completamente la terapia del tumore. Per quanto riguarda il melanoma metastatico, a 10 anni, più del 50% dei pazienti sopravvive (considerando che i pazienti che non sono andati in progressione a 3 anni dal trattamento sono considerati guariti; alcuni di questi possono anche interrompere il trattamento e possono vivere senza trattamento e guariti da una malattia metastatica). Quando trattiamo il paziente iperteso, lo rendiamo normoteso ma con necessità di assunzione della pasticca ogni giorno. È necessaria dunque la “chimica”. Nella immunoterapia invece il farmaco non è quello che somministriamo ma il sistema immunitario del paziente; quindi, ad un certo punto, resettato il sistema immunitario possiamo smettere di somministrare il farmaco. Capiamo quindi che la qualità della vita del paziente può migliorare enormemente. Sulle cellule del sistema immunitario sono stati identificati i checkpoint inibitori, ovvero dei “punti di controllo” tollerogenici che evitano l’autoimmunità. Questi, fisiologicamente, a seguito del superamento della infezione, bloccano il nostro sistema immune che altrimenti reagirebbe anche contro tessuti sani. I tumori stimolano i checkpoint inibitori in modo tale da inibire il sistema immune, che altrimenti reagirebbe nei confronti del tumore. L’immunoterapico invece blocca l’attivazione del checkpoint inibitorio provocato dal tumore, sia nella fase priming (di presentazione e riconoscimento dell’antigene) che nella fase effettrice (di azione da parte del sistema immunitario). Tra le molecole (bersagli della immunoterapia) che vengono esposte nella fase priming (dai linfociti T) troviamo CTLA4; tra le molecole che vengono esposte (dai linfociti T) nella fase effettrice troviamo PD1. Ad oggi quasi tutti i tumori possono essere trattati con le tecniche immunologiche, da sole o in combinazione. La immunoterapia può causare tuttavia tossicità autoimmunitaria: una spiegazione probabile è la presenza di cloni preesistenti autoimmunitari che vengono riattivati tramite la terapia. Si pensa inoltre che i tumori possano avere una cross reattività antigenica con i tessuti sani; quindi, che i farmaci possano agire sia contro l’antigene del tessuto tumorale che del tessuto sano, essendo questi simili. Avrò diversa tossicità a seconda dell’organo che è coinvolto. Nel caso in cui insorga tossicità da farmaco, ho necessità di utilizzare farmaci immunosoppressivi (steroidi, anti TNFalfa, ciclosporina, tacrolimus). Il prof racconta di due suoi pazienti che hanno presentato tossicità da farmaco, in particolare miastenia gravis e miocardite gravissima, nonostante non avessero più il tumore. Questa è stata trattata con agonisti del CTLA4 (Avarasept) che hanno bloccato la risposta immunitaria. L’immunoterapia è trasversale nei tumori e indipendente da alterazioni oncogeniche a differenza delle terapie target. MATERIA: ONCOLOGIA SBOBINATORE: GINEVRA BADINI PROF: Mario Mandalà REVISORE: ISABELLA FELICETTI DATA: 01/10/2024 ORA: 10:00 -11:00 PREVENZIONE E SCREENING Ad oggi si stima che circa il 50% dei tumori sia evitabile, ci sono dei tumori infatti che sono legati ad alcune abitudini e fattori di rischio specifici, tra cui ricordiamo: Fumo di sigaretta Obesità Consumo di alcol Dieta squilibrata Infezioni Inattività fisica Per quanto riguarda il fumo di sigaretta è bene ricordare che oltre ai tumori del polmone ce ne sono anche altri, in molti altri distretti, ad esso associati: Rene Ovaio e cervice Vescica Distretto testa collo Esofago, stomaco e fegato Tumori ematologici Un altro punto molto importante oltre al fumo di sigaretta è l’obesità: L’obesità, oltre alla questione del peso o dell’estetica, è una patologia infiammatoria cronica che crea un microambiente favorevole all’insorgenza del cancro. Si è calcolato un aumento del 35% delle morti a causa dell’obesità e soprattutto l’obesità infantile si associa ad una mortalità precoce in generale e un aumentato rischio di sviluppo di cancro. Uno dei modi per valutare l’obesità fornito dall’OMS è quello di misurare l’indice di massa corporea (BMI), che si calcola come il rapporto tra peso (in kg) e il quadrato dell’altezza (in 𝑚2). Sarà molto importante da medici visitare sempre i pazienti, valutando sempre il peso e l’altezza, ed invitare il paziente che ne necessita a modificare le sue abitudini per cercare di rientrare in un range di peso che permetta di prevenire queste patologie. Se più persone svilupperanno malattie croniche più facilmente svilupperanno il cancro e di conseguenza più persone avranno bisogno di farmaci e di assistenza, ma se da medici riusciamo a fare una buona prevenzione (concetto molto importante su cui il prof ha insistito) sui nostri pazienti avremo un importantissimo impatto sulla società, partendo da una cosa banale come misurare peso e altezza. La medicina non è solo dare farmaci ma anche e soprattutto fare prevenzione. Esistono dei tumori associati in maniera indissolubile con l’obesità come per esempio: Cancro della tiroide Cancro ovarico Come anche esistono tumori associati ad un ridotta attività fisica, ad esempio Cancro della vescica Cancro dei polmoni E infine ci sono tumori connessi sia a ridotta attività fisica che all’obesità, ad esempio Cancro dello stomaco Cancro del colon-retto Il prof fa un appunto sul consumo delle bevande zuccherate→ sono veleni!! Passiamo ora all’esercizio fisico Linee guida per l’attività fisica divisa per le varie fasce d’età È sempre importante quando possibile andare a piedi piuttosto che prendere mezzi pubblici o la propria auto. Da medici sarà sempre importante invitare i pazienti a fare attività fisica (es passeggiate di 40-50 minuti ogni giorno), ovviamente sulla base della fascia d’età e sul loro stato fisico. Consumo di alcol L’alcol è cancerogeno a qualsiasi dose. Ovviamente non si parla del consumo sporadico di vino/birra ma del consumo eccessivo e frequente soprattutto di superalcolici. Con il tempo il rischio di cancro aumenta molto. Va sempre chiesto al paziente se beve alcol, compreso il bicchiere di vino dopo pranzo (da molti pazienti non considerato come consumo di alcol) e invitare sempre i pazienti a consumarne il minimo possibile e se non bevono a non iniziare. Radiazioni ultraviolette Tra i comportamenti a rischio rientra anche l’utilizzo di lampade abbronzanti/solarium. Sono classificati come cancerogeni (oltre a determinare un invecchiamento precoce della pelle) e aumentano il rischio di carcinoma spinocellulare, basocellulare e di melanoma. Molto importante è la protezione all’esposizione ai raggi UV, soprattutto nei bambini! Utilizzare una protezione solare che non scenda sotto 30! Limitare l’esposizione alla mattina presto e al tardo pomeriggio Proteggere se stessi e i bambini con magliette, cappellini e occhiali. Le scottature nell’età infantile sono quelle che creeranno più problemi. Infezioni Esistono dei microrganismi (batterici o virali) che aumentano il rischio di cancro e microrganismi che lo determinano: Helicobacter Pylori (se c’è un paziente con gastrite cronica/sintomatologia gastrica richiedere sempre una valutazione per HP o con il breath test o con biopsia gastrica). HBV→ ad oggi esiste la vaccinazione per HBV. HIV HPV→ aumenta il rischio non solo per la cervice ma anche per ano, distretto testa e collo (per sesso orale non protetto), cavo orale, laringe, orofaringe, pene, vagina e vulva MCV→aumenta il rischio del carcinoma a cellule di Merkel (tumore non melanoma della pelle) HHV-8→sarcoma di Kaposi È sempre molto importante fare la sierologia per HCV perché ad oggi ci sono terapie molto efficaci per l’epatite C. Invitare sempre i ragazzi (sia maschi che femmine) prima degli 11-12 anni alla vaccinazione contro HPV, in modo che all’inizio dell’attività sessuale siano vaccinati. Ad oggi il vaccino più somministrato è il Gardasil 9 che protegge contro i ceppi più pericolosi e devono essere completate 3 dosi, somministrate a 6 mesi di distanza l’una dall’altra. Questo è molto importante perché possiamo prevenire l’infezione ma una volta contratto il virus non c’è terapia. Qui sotto viene riportato il codice europeo contro il cancro IMPORTANTE: sempre sollecitare i pazienti vaccinarsi e ad aderire ai programmi di screening per il cancro PREVENZIONE E DIAGNOSI PRECOCE In Italia solo il 30% della popolazione aderisce ai programmi di screening. Purtroppo nonostante sia dimostrato che gli screening salvano la vita, troppa poca gente aderisce e questo dipende anche da medici poco sensibili sull’argomento che non sollecitano i pazienti a parteciparvi (le persone devono essere convinte e da medici bisogna insistere sul fatto che lo screening salva la vita che riduce la possibilità di poter morire di una patologia). Tornando alla prevenzione, ne esistono 3 tipi Prevenzione primaria→ adozione di interventi o comportamenti volti a prevenire la patologia, quindi riduzione dei fattori di rischio o vaccinazioni Prevenzione secondaria→ in questo caso dobbiamo fare la distinzione tra diagnosi precoce e screening di massa. Con diagnosi precoce si intende quando il medico chiede degli accertamenti perché il paziente presenta dei sintomi (es. stitichezza, tosse continua o raucedine, sangue nelle feci, ematuria o perdita di peso). Lo screening invece si rivolge a pazienti asintomatici considerati a rischio di sviluppo del tumore (domanda d’esame!!). Quindi lo screening prende in considerazione i pazienti a rischio e non la popolazione generale. Con lo screening la malattia non viene evitata (come invece nella prevenzione) ma viene ridotta la mortalità attraverso un aumento dei casi guaribili. Criteri affinché una patologia (sia oncologica che non) possa andare incontro a screening: Malattia grave o socialmente rilevante (per una malattia rara non espongo la popolazione ad uno screening di massa perché non avrebbe senso dal punto di vista del rapporto costo/efficacia) Deve essere disponibile un trattamento efficace Se la malattia è rara è necessario che l’efficacia del trattamento abbia un impatto importante sulla patologia Requisiti del test di screening Di facile esecuzione, rapido ed economico Sicuro e non invasivo Affidabile e valido Il punto centrale è che nello screening non è più l’individuo che spinto da consapevolezza, da ansia e da una maggiore disponibilità economica che gli consente di comprare il suo check-up ma è il SSN che richiama la popolazione sana ed asintomatica ad un controllo specifico. Ad esempio, un medico che prescrive un dosaggio del PSA al paziente non è screening, è personalizzazione della diagnosi e diagnosi precoce. Invece, per esempio, per lo screening del sangue occulto nelle feci, dai 50 anni arriva a casa una lettera di richiamo con le provette da usare per raccogliere il campione. Purtroppo nel 70% dei casi queste provette finiscono nel cestino e molto spesso questo dipende dal medico che non informa abbastanza il paziente sull’importanza dello screening. L’end point primario dello screening non è fare diagnosi precoce ma ridurre la mortalità (o aumentare la sopravvivenza) e migliorare la qualità della vita→ concetto importantissimo che il prof chiede all’esame!! Effetti positivi dello screening: Miglioramento della prognosi Trattamenti meno radicali Rassicurazione per i soggetti con test negativi Risparmio di risorse in casi di trattamenti meno radicali Effetti negativi dello screening: Conseguenze economiche per i falsi positivi e necessità di ulteriori test anche invasivi Conseguenze psicologiche per i falsi positivi Potenziale sovrastima della diagnosi 1. Screening per il tumore della cervice La mortalità per tumore della cervice uterina è diminuita di oltre il 40% negli ultimi 40 anni. Lo screening permette di identificare anche lesioni preneoplastiche, per cui è possibile ridurre anche l’incidenza della neoplasia invasiva. A chi è rivolto? Alle donne d’età compresa tra 25 e 64 anni. Come si fa? Con un pap test ogni 3 anni dai 25 ai 30 anni e poi con un HPV test fino a 64 anni, in presenza di negatività. Questo riduce il rischio di tumore alla cervice e salva la vita alle pazienti. 2. Screening per il tumore alla mammella A chi è rivolto? Alle donne d’età compresa tra 50 e 69 anni. Come si fa? Con la mammografia da eseguire ogni due anni. L’autopalpazione e l’ecografia non sono considerati esami di screening e non riducono la mortalità. I risultati delle ricerche cliniche forniscono una chiara evidenza a favore dello screening con una riduzione della mortalità del 25-30%, meno certa è l’utilità nella fascia di età compresa fra i 40 e 49 anni. 3. Screening per i tumori del colon (attenzione a non dire che si fa con la colonscopia!!) Le metodiche di screening che hanno dimostrato di aumentare la sopravvivenza sono due: Ricerca del sangue occulto nelle feci→ a chi è rivolto? A uomini e donne d’età compresa tra 50 e 69 anni, ogni due anni. Rettosigmoidoscopia (RSS)→ si fa soprattutto nei paesi anglosassoni. Questo perché retto e sigma sono le localizzazioni più frequenti di questi tumori e soprattutto è raro avere delle manifestazioni più distali senza che siano presenti anche in queste due sedi. A chi è rivolto? A uomini e donne d’età compresa tra 55 e 64 anni da eseguire una sola volta nella vita. Anche a livello di costo/efficacia è molto più conveniente e semplice formare operatori per eseguire una RSS piuttosto che una colonscopia. Queste sono le uniche due metodiche per lo screening del cancro del colon retto, colonscopia e colonscopia virtuale non sostituiscono i test di screening. Se poi parliamo di pazienti con determinate patologie come la retto-colite ulcerosa oppure il morbo di Crohn, pazienti con sindrome di Lynch o con la FAP allora questi hanno bisogno di iniziare le metodiche di screening prima della popolazione generale. Parliamo però di una popolazione speciale. Le famiglie ad altissimo rischio, individuabili attraverso specifici esami genetici, devono essere sottoposte a controlli colonscopici ravvicinati. Precisazione sulla colonscopia: la richiediamo quando un paziente ha sangue nelle feci, però per il discorso di prima un paziente di questo tipo è un paziente con sintomi quindi non rientra nella popolazione sana e asintomatica a cui è indirizzato lo screening, quindi parliamo più di diagnosi precoce che di screening. Sanguinament i gastro-intestinali 1. Rettorragia→sangue rosso vivo nelle feci 2. Ematochezia→il sangue non è presente nelle feci ma solo sulla carta igienica 3. Melena→sangue digerito nelle feci che saranno maleodoranti e nere 4. Ematemesi→vomito di sangue rosso vivo Prevenzione terziaria→ consiste nell’evitare le complicanze della patologia. Rientrano in questa categoria le riabilitazioni post-intervento, come nel caso di una laringectomia totale dove il paziente dovrà fare una riabilitazione fonatoria; oppure la riabilitazione pelvica per l’incontinenza dopo un intervento di resezione anteriore del retto; oppure le terapie adiuvanti o una riabilitazione fisioterapica nel caso di uno svuotamento latero-cervicale per tumore della mammella. NB: il prof ha insistito molto sui tre screening che ha riportato, specificando che vanno saputi alla lettera e senza tentennamenti. ONCOLOGIA MEDICA SBOBINATORE: ISABELLA FELICETTI PROF: MARIO MANDALÀ REVISORE: AURORA FIORINI 01.10.2024 (TERZA ORA) EPATOCARCINOMA Il professore specifica che ci tiene al fatto che all’esame gli si risponda alle domande specifiche senza divagare. L’epatocarcinoma è il tumore primitivo del fegato che insorge dagli epatociti. Differisce dal tumore primitivo che origina dalle cellule di rivestimento delle vie biliari che è il colangiocarcinoma. EPIDEMIOLOGIA E FATTORI DI RISCHIO L’epatocarcinoma è una patologia socialmente rilevante, infatti nel mondo tra uomini e donne abbiamo circa 800.000 nuovi casi/anno. Ha anche un impatto importante sulle morti, infatti è una patologia correlata ad altissima mortalità; questo aspetto oggi è un po’ cambiato, grazie ad elementi che affronteremo [Il prof ci riporta i dati del 2015 proprio per farci notare le differenze rispetto ad oggi]. Incidenza dell’epatocarcinoma è diversa nelle diverse aree del mondo [nella slide osserviamo il rate d’incidenza standardizzato per età per 100.000 abitanti], infatti le aree a più alta incidenza sono l’est ed il sud est asiatico, l’Africa sahariana e subsahariana. Esistono poi delle zone ad incidenza più bassa come il nord Europa. Situazione europea: il sud Europa ha incidenza maggiore rispetto al nord Europa. L’incidenza è tendenzialmente maggiore negli uomini rispetto alle donne. In Italia ci sono circa 13/14.000 nuovi casi all’anno, ed esiste un gradiente sud-nord probabilmente legato al fattore vaccinazioni. VIRUS EPATOTROPI: L’epatocarcinoma è associato al virus dell’epatite C (HCV) ed al virus dell’epatite B (HBV). Vediamo però che la distribuzione di questi virus è diversa nei diversi paesi del mondo, e ciò è importante perché possiamo trovarci di fronte a persone immigrate da altre zone del mondo. L’epatite C è associata all’epatocarcinoma soprattutto in Europa, Giappone e Nord America; mentre in Africa e nel sud-est asiatico, nella maggior parte dei casi è associato ad epatite B. Normalmente il paziente tipico con epatocarcinoma ha età > 50 anni perché spesso l’infezione viene contratta in età più avanzata, invece nelle zone del nord Africa la trasmissione dell’HBV avviene spesso dalla madre al neonato durante il parto, e quindi troveremo pazienti con epatocarcinoma intorno ai 30 anni. SOGGETTI A RISCHIO ELEVATO: Tutti i fattori predisponenti alla cirrosi sono fattori di rischio per l’epatocarcinoma: - HBV; - HCV; - Emocromatosi geneticamente determinata; - Cirrosi biliare primitiva; - Steatoepatite non alcolica (NASH); - Deficit di α1-antitripsina; - Epatite autoimmune. Da notare che anche i pazienti che sono portatori di epatite B senza cirrosi sono da attenzionare come soggetti ad alto rischio per una motivazione precisa che vedremo dopo. Questo studio svolto a Taiwan dimostra come a lungo andare l’HBV causi epatocarcinoma. Vediamo nelle ascisse le popolazioni: 6-9 anni, 10-14 anni, 15-19 anni e 20- 26 anni. L’istogramma bianco indica i soggetti non vaccinati, mentre quello nero i vaccinati. Ciò significa che tra i non vaccinati tra i 6 e 9 anni (infezione neonatale) il 50% sviluppa epatocarcinoma, e la stessa cosa succede tra 10-14 e 15-19 anni. C’è poi un aumento importante nella popolazione adulta. Per cui qui si dimostra, tramite dati di popolazione, che utilizzando la vaccinazione (prevenendo quindi insorgenza dell’epatite B) si riduceva drasticamente l’insorgenza dell’epatocarcinoma. SIEROLOGIA (HBV) Il prof fa una parentesi sulla sierologia e sottolinea che ci tiene molto che la conosciamo bene all’esame. Cosa posso richiedere? HBsAg (antigene di superficie), HBcAb (anticorpi anti-core), anti HBs (anticorpi anti-antigene di superficie o HBsAb). EPATITE CRONICA: l’epatite cronica B si definisce come la presenza dell’HBsAg per più di 6 mesi. Poi per capire se l’epatite cronica è replicante o meno si ricerca l’HBV DNA. PRECEDENTE ESPOSIZIONE E RISOLUZIONE: nel caso in cui il paziente contrae l’infezione e la supera sarà - HBsAg negativo; - HBcAb positivo; - HBsAb positivo. Quindi questo soggetto avrà “clearato” l’antigene di superficie perché ha gli anticorpi, ed avrà anche gli anticorpi anti-core che indicano una precedente esposizione. SOGGETTO VACCINATO: - HBsAg negativo; - HBcAb (anticorpi anti-core) negativo [perché non ha avuto infezione]; - HBsAb positivo. CASI DI CRONICIZZAZIONE: 5% CASI DI RISOLUZIONE: 95% CANCEROGENESI VIRALE HBV E HCV La differenza tra HBV e HCV nella genesi dell’epatocarcinoma è importante per la sua implicazione clinica. HCV: l’HCV (virus a RNA) causa HCC per meccanismo solo indiretto [mediato da cirrosi], cioè cronicizza, causa cirrosi e dalla cirrosi insorge l’HCC. Questo virus lasciato a sé (senza terapia antivirale) cronicizza nel 70% dei casi. HBV: esso (virus a DNA) causa HCC tramite 2 meccanismi: indiretto e diretto. Il meccanismo indiretto è uguale a quello di HCV cioè è mediato da cirrosi; invece il meccanismo diretto è un meccanismo inserzionale dato dall’inserimento del virus nel genoma degli epatociti, che può causare mutazioni genetiche che saranno alla base dell’HCC. L’implicazione pratica è la necessità di attenzionare con ecografia ogni 6 mesi sia i pazienti con cirrosi sia i pazienti con epatite cronica B senza cirrosi. ALTRI FATTORI DI RISCHIO In realtà, in Europa ed in generale nelle zone benestanti del mondo si fa vaccinazione per HBV e si usano i farmaci antivirali per HCV (importante fare lo screening dei pazienti per valutare la positività HCV), quindi in questi casi la causa più importante di cirrosi è la steatoepatite non alcolica (NASH), che è un altro meccanismo cirrogeno. Il paziente con NASH si presenta con incremento delle transaminasi (AST e ALT) ed indici di colestasi elevati (bilirubina); a questo punto si procede con lo screening dei virus epatotropi (HBV, HCV, delta, citomegalovirus, EBV) che risulteranno tutti negativi, e con la valutazione dell’epatite autoimmune che risulterà anch’essa negativa. Inoltre il paziente, oltre ad incremento transaminasi, avrà sindrome metabolica d’accompagnamento (diabete, obesità). A questo punto si può fare la diagnosi di NASH, che ovviamente è una diagnosi di esclusione. SCREENING Lo screening per l’epatocarcinoma si fa nei soggetti a rischio: soggetto con cirrosi e soggetto con epatite B cronica non cirrotica. In cosa consiste? ECOGRAFIA EPATICA OGNI 6 MESI. ANATOMIA PATOLOGICA La cosa importante da sapere è che esiste un’istologia non correlata alla cirrosi: HCC FIBROLAMELLARE. Esso insorge solitamente in una popolazione più giovanile (20-30 anni). In questo caso l’asportazione del tumore è di prima scelta, perché non avendo un fondo di alterazioni cancerogene legate alla cirrosi l’intervento permette la guarigione nella maggior parte dei casi. DIAGNOSI Abbiamo un paziente cirrotico o con epatite B cronica non cirrotica, quindi facciamo l’ecografia ogni 6 mesi. Nel caso in cui riscontriamo un nodulo o massa epatica all’eco, possiamo avere 2 casi: ✓ Nodulo > 1cm: procedo con TC o RM con mdc (tecnica trifasica con fase arteriosa, venosa e tardiva). A questo punto posso riscontrare un aspetto contrastografico tipico che se presente è già diagnostico senza biopsia. Se invece ho un aspetto contrastografico non tipico allora si fa la biopsia. ✓ Nodulo < 1cm: si procede con follow up trimestrale; se resta stabile si continua fino a che dopo una stabilità di 24 mesi si può tornare al follow up semestrale. Se invece durante il follow up le dimensioni dovessero diventare > 1cm si passa all’approccio con imaging TC o RM. Il paziente con epatocarcinoma è in realtà un paziente con due patologie: HCC e cirrosi. Quindi prognosi e possibilità di trattamento dipendono sia dall’estensione della malattia (HCC) sia dal grado di cirrosi e di compenso. La prima cosa da fare dopo la diagnosi di HCC, quindi, è inviare il paziente dall’epatologo per classificare la cirrosi. La classificazione della cirrosi si fa con lo score di Child-Pugh, che include: presenza o meno di encefalopatia e di ascite, i valori di albuminemia, il tempo di protrombina (INR), la bilirubina. A seconda di questi parametri otterrò uno score e definirò le classi A, B e C. STADIAZIONE Normalmente per la classificazione dei tumori si usano i criteri TNM [dove T riguarda l’estensione del tumore primitivo, N i linfonodi locoregionali, M le metastasi a distanza]. Il prof sottolinea l’importanza di conoscere il drenaggio linfatico dei vari distretti e che ci tiene molto all’esame. Fa diversi esempi su vari distretti: - Inguine: se un paziente si presenta con linfonodi palpabili all’inguine dobbiamo pensare alle sedi anatomiche che drenano lì, cioè ano, pene e scroto, vulva e vagina, arto inferiore, e la parte dell’addome. Oppure possiamo pensare ad una patologia primitiva come un linfoma. LA VESCICA NON DRENA AI LINFONODI INGUINALI, ma drena nei linfonodi iliaci e otturatori. - Zona ascellare: se il paziente si presenta con una linfoadenopatia ascellare allora possiamo pensare a patologia della mammella, a patologia linfoproliferativa oppure tumore a partenza dall’arto superiore o dalla parte superiore del tronco. - Rinofaringe: i linfonodi del rinofaringe sono i linfonodi nucali che stanno dietro allo sternocleidomastoideo Nell’epatocarcinoma dobbiamo tenere conto sia del tumore sia della cirrosi, quindi il TNM classico non è utile ed utilizziamo un sistema diverso. Il sistema utilizzato è il BCLC (Barcellona Clinic Liver Cancer). Esso, per quanto riguarda il tumore, prende in considerazione: - Numero di noduli di HCC; - Dimensione dei noduli di HCC; - La diffusione nel fegato di HCC; - Presenza o assenza di invasione vascolare (trombosi portale); - Presenza o assenza di malattia extraepatica. Per quanto riguarda la cirrosi, valuta il compenso: cirrosi compensata o cirrosi scompensata. Infatti la situazione della cirrosi influenza estremamente la prognosi del paziente, ad esempio se ho un paziente con cirrosi scompensata terminale con varici esofagee ed un nodulo di HCC di solo 1 cm, la sua prognosi sarà comunque dettata dalla cirrosi sottostante al HCC. Pazienti con cirrosi scompensata sono destinati al trapianto o alle cure palliative perché la situazione di scompenso epatico non mi permette di fare altro. Considerando sia il tumore sia la cirrosi, posso distinguere 4 stadi di malattia: 1. Malattia precoce: distinguibile in molto precoce (nodulo < 2cm, funzione epatica preservata, ECOG 0) e precoce (fino a 3 noduli < 3cm, funzione epatica preservata, ECOG 0). Questi pazienti hanno prognosi eccellente con sopravvivenza > 5 anni, e si può utilizzare un trattamento locoregionale; 2. Stadio intermedio: è una forma multinodulare, con noduli presenti in entrambi i lobi epatici. Non si può fare un trattamento locale; 3. Malattia avanzata: definita dall’invasione portale (trombosi portale) o dalla malattia extraepatica; 4. Stadio terminale: caratterizzato da scompenso epatico, che influenza la prognosi. Alla diagnosi i pazienti si presentano nel 30-40% dei casi in stadio iniziale e nel 20% dei casi in stadio intermedio, mentre il 40% dei pazienti si presenta in stadio avanzato ed il 10% in stadio terminale, cosa che si potrebbe evitare con una maggiore attenzione allo screening. TRATTAMENTO Il paziente va inviato dove esiste un gruppo multidisciplinare formato da: chirurgo, radiologo interventista, radiologo, gastroenterologo (epatologo), e oncologo. MALATTIA MOLTO PRECOCE E PRECOCE: In questo caso abbiamo diverse possibilità terapeutiche, tra cui: 1. Trapianto: risolve sia la cirrosi sia il tumore. Per l’accesso al trapianto ci sono dei criteri [Criteri di Milano] di pertinenza specialistica, ma il problema è il drop-out (che arriva al 40-50% dei pz); infatti se abbiamo 14.000 nuovi casi all’anno di HCC ed in Italia si fanno 1000 trapianti di fegato all’anno, vuol dire che il trapianto non può essere una risposta per tutti i pazienti. Quindi anche se il paziente ha i criteri e viene inserito in lista trapianti, considerando che il fegato da trapiantare potrebbe non arrivare mai, bisogna iniziare a trattare il paziente con un trattamento che fa da ponte. 2. Resezione chirurgica: questa, anche quando il nodulo è da solo, non è risolutiva su tutti i pazienti perché il paziente ha un fondo di cancerogenicità legato alla cirrosi, e quindi la probabilità di recidiva (per la presenza di noduli non ancora evidenziabili che emergeranno) è molto alta. La resezione chirurgica è la soluzione solo per l’HCC fibrolamellare, mentre non lo è quasi mai per il paziente cirrotico. 3. Terapia adiuvante: [terapia post intervento chirurgico R0] nessuno studio ha rilevato attività per la terapia adiuvante. 4. Radiofrequenza del nodulo epatico: si usa una sonda ecografica ed una sonda con il probe per la radiofrequenza che si inserisce nel nodulo e fa ablazione. La radiofrequenza, soprattutto nei casi di tumori < 3cm, dà dei risultati a lungo termine come quelli chirurgici; essa è la tecnica più utilizzata perché è meno invasiva. MALATTIA IN STADIO INTERMEDIO In questo caso possiamo fare: - Chemioembolizzazione: Consideriamo che il fegato normale ha una vascolarizzazione per 70-80% dalla vena porta e per il 20% dall’arteria epatica; invece nel fegato con HCC questo rapporto è invertito per cui l’80% della vascolarizzazione è dato dall’arteria epatica. Per la chemioembolizzazione bisogna arrivare all’arteria epatica (si cateterizza l’a. femorale si risale per l’iliaca esterna, poi l’iliaca comune, poi aorta arrivando al tronco celiaco), iniettare del mdc ed identificare i rami che irrorano il nodulo di HCC. A questo punto si fa embolizzazione di questi rami, che può essere fatta: o embolizzando solo i rami arteriosi oppure iniettando, oltre che l’embolizzante, anche un chemioterapico. - Radioembolizzazione, che sfrutta particelle marcate con l’ittrio 90; in questo modo, oltre ad embolizzare, si fa radioterapia della zona interessata. MALATTIA AVANZATA Nella malattia avanzata fino a poco tempo fa non esisteva un trattamento standard, ma quelli che si fanno oggi come prima linea sono una serie di trattamenti, tra cui: - Atezolizumab (immunoterapico anti PD-L1) + Bevacizumab (antiangiogenetico) come trattamento in prima linea. Infatti lo studio “IMbrave 150” ha dimostrato che i pazienti che fanno questo trattamento rispondono meglio rispetto alla terapia tradizionale (terapia con Sorafenib, che è un inibitore multichinasico), ed anche con una buona tollerabilità. Il prof sottolinea che non chiederà in maniera specifica questi farmaci. Esiste anche la possibilità di utilizzare 2 checkpoint inibitori insieme. Quindi: checkpoint inibitore + antiangiogenico oppure 2 checkpoint inibitori. Nei pazienti con performance status più basso o molto anziani, che non potrebbero sopportare la terapia con checkpoint inibitori o antiangiogenetici, si può usare un TKI inibitore come il Sorafenib o il Lenvatinib. Nei pazienti che possono sopportare la terapia, invece, possiamo fare un agente immunoterapico + anti-VGFR (che migliorano la sopravvivenza globale rispetto al farmaco tradizionale che siamo costretti ad usare nell’altro gruppo di pazienti). Ci sono anche nuove terapie in fase di sviluppo. Esistono poi delle seconde linee con farmaci che hanno attività sicuramente inferiore rispetto alla prima linea. La complessità del trattamento spiega ulteriormente la necessità dell’approccio multidisciplinare, al quale dobbiamo indirizzare il paziente in cui si presenta un sospetto di HCC allo screening ecografico. MATERIA: Oncologia medica SBOBINATORE: Rebecca Frezzato PROF: Claudia Caserta REVISORE: Sara Coronati DATA: 3 ottobre 2024 1° ora TUMORI UROGENITALI L’importanza della patologia urologica è anche legata alla frequenza di queste patologie, infatti credo che nella vostra carriera qualsiasi cosa facciate avrete la possibilità di interfacciarvi con pazienti che hanno una patologia al rene, alla prostata o alla vescica in particolare perché sono tra i tumori con un’incidenza più alta. L’idea che avevo era di partire dal carcinoma renale, parlare poi della patologia uroteliale poi testicolo e prostata. CARCINOMA RENALE Cenni di anatomia Andrò molto rapida riguardo all’anatomia ma vi ricordo che esistono diversi tipi di carcinoma del rene. In particolare quello più comune è il carcinoma renale a cellule chiare che origina dalla corticale del rene in particolare dalle cellule del tubulo convoluto prossimale. Ci sono poi altre strutture del rene da cui originano altri tipi di tumori: in particolare quello che fa parte della componente urinaria ossia calici renali, pelvi e uretere che sono rivestiti da un epitelio di tipo uroteliale da cui originano i carcinomi uroteliali dell’alta via escretrice che è un altro ambito perché dal punto di vista terapeutico questi hanno un trattamento simili ai carcinomi uroteliali della vescica mentre quando parlo di carcinoma renale intendo prevalentemente i carcinomi a cellule chiare del rene quindi una patologia che origina dalla corticale del rene. Epidemiologia Parlando di incidenza questi sono i dati che si riferiscono all’ultima analisi pubblicata a cui partecipa anche la società di oncologia italiana che è l’AIOM, insieme a tutti i registri tumori, alla società di anatomia patologica in cui vengono registrati i casi e ogni anno vengono pubblicati, in genere a Pag. 1 di 44 dicembre, il numero di casi di tutti i tipi di tumori registrati nel nostro paese. E’ una pubblicazione interessante dal punto di vista epidemiologico perché ci dà un’idea di quali siano le patologie più frequenti e anche la prevalenza di questi tumori che si associa anche alla possibilità di guarire da questa patologia o di avere una lungo-sopravvivenza anche nelle fasi di malattia avanzata. Come vedete in Italia ci aspettiamo circa 12.000 nuovi casi di carcinoma renale ogni anno e circa il 70% affette da carcinoma renale è vivo a 5 anni dalla diagnosi – questo può significare che abbiamo una quota importante di pazienti in cui il rumore viene diagnosticato in una fase inziale in cui siamo in grado di guarire queste malattie. Circa il 25% dei pazienti che viene operato per una malattia localizzata avrà nel corso della vita una recidiva di questa malattia e per recidiva si intende una recidiva di tipo metastatico. Poi abbiamo 25-30% di pazienti in cui al momento della diagnosi sono già presenti metastasi. Questi dati vanno tenuti in mente perché ci dà anche un’idea di quanti poi possono essere i pazienti che noi trattiamo per una malattia metastatica e quanti sono quelli in cui invece facciamo un trattamento con intento curativo per una malattia localizzata. Fattori di rischio Tra i fattori di rischio per il carcinoma renale a cellule chiare in realtà non ci sono dei fattori di rischio così chiari, quello che sappiamo è che: I fumatori hanno rischio maggiore rispetto ai non fumatori di ammalarsi. L’obesità: rappresenta un fattore di rischio ma sapete che l’obesità è un po’ un fattore di rischio per molti altri tumori – anche per i tumori del polmone e della mammella esiste una più alta incidenza nelle persone sovrappeso. L’ipertensione arteriosa è stata identificata come un fattore di rischio La malattia cistica renale: è una condizione tipica dei pazienti dializzati per molti anni quindi che hanno un’insufficienza renale terminale – questi pazienti hanno un maggior rischio di sviluppare un carcinoma renale a cellule chiare. L’esposizione precedente a radiazioni ionizzanti: per esempio ragazzi che in età giovanile sono stati sottoposti a radioterapia curativa per es. un linfoma hanno una maggiore probabilità di sviluppare carcinomi del rene. Poi c’è tutto l’aspetto che riguarda la familiarità e in particolare delle rare sindromi genetiche che possono predisporre allo sviluppo di carcinoma renale. Tra le sindromi genetiche vi nomino la sindrome di Von Hippel Lindau che è una sindrome in generale rara dal punto di vista della popolazione ma è una sindrome in cui esiste un chiaro aumento della frequenza dei tumori del rene in particolare dell’istologia a cellule chiare. Pag. 2 di 44 Istologia Tra le istologie più comuni: Carcinoma renale a cellule chiare che fa un po’ da padrone perché circa il 75% di tutti i nuovi casi di tumore del rene sono carcinomi a cellule chiare Nell’ultima classificazione del WHO che risale al 2022 è stata un po’ modificata la classificazione dei carcinomi renali e in particolare è stata unificata una categoria: il carcinoma papillare di tipo 1 e tipo 2 visto che in realtà da un punto di vista prognostico non ci sono differenze vengono identificati sotto il nome di carcinomi renali a cellule papillari che rappresenta circa il 15% di tutti i casi di carcinoma renale. Sull’esame istologico il patologo dovrà sempre specificare qual è l’istologia del tumore se a cellule chiare o papillare. Poi ci sono delle forme molto più rare tra cui: Carcinoma cromofobo che è circa il 5% di tutti i tumori del rene ed è una variante a prognosi decisamente più favorevole rispetto alle altre varianti istologiche per cui avere un carcinoma cromofobo anche di grandi dimensioni, che potrebbe farci paura perché magari abbiamo delle masse di 7cm a livello renale ma con una diagnosi di carcinoma cromofobo è più tranquillizzante rispetto una diagnosi di cellule chiare in cui abbiamo un rischio di recidiva/comparsa di metastasi maggiore. Oncocitoma: considerato oggi un tumore benigno che somiglia dal punto di vista anatomo- patologico molto ad un cromofobo e viene considerato insieme a questo una variante a prognosi favorevole. Nella diapositiva precedente è stato un po’ semplificato la storia e l’istologia del carcinoma renale perché se guardate l’ultima classificazione della WHO sono state aggiunte tutta una serie di sottotipi di tumori del rene che però sono veramente molto rari basandosi soprattutto sulle caratteristiche molecolari: al di là di quello che il patologo vede al microscopio si possono fare della analisi genetiche sulle cellule tumorali per capire se ci sono delle alterazioni di uno o più geni e soprattutto sono stati identificati dei piccoli gruppi di tumori che però hanno un’incidenza dell’1% se considerate tutte queste istologie sulle quali ad oggi non ci sono molti dati su quello che è il comportamento/storia naturale in quanto sono stati classificati molto recentemente. Questo era solo per farvi capire quanto è complessa la caratterizzazione anatomo-patologica e la diagnosi di questi tumori che richiede sicuramente un patologo dedicato alla patologia urologica perché diventa abbastanza complesso riuscire ad identificare anche queste forme rare. Fino a qualche anno fa molti tumori del rene venivano dati come carcinomi non classificabili perché non si riusciva a capire bene che tipo di tipologia di tumori fossero. Pag. 3 di 44 Tra i fattori che l’anatomo-patologo ci deve sempre descrivere in un esame istologico c’è anche il grading che è un elemento importante perché correla con la prognosi – quanto più il grado nucleolare è alto peggiore è il comportamento della malattia ossia maggiore è il rischio che quella malattia sia diagnosticata in una fase avanzata oppure che nel corso degli anni possano comparire metastasi. Il grado nucleolare in realtà viene descritto solo sui tumori a cellule chiare e sul papillare, per tutte le altre istologie non è obbligatorio definire il grado perché ad oggi non c’è una chiara correlazione tra il grado e la prognosi nelle forme diverse rispetto al carcinoma a cellule chiare e al papillare. Nel carcinoma a cellule chiare il grado è un elemento essenziale per definire il rischio che la malattia si ripresenti e va da 1 (migliore) a 4 (peggiore): - Grado 1: tumori ben differenziati - Grado 4: tumori più indifferenziati in cui in alcuni casi è presente una differenziazione sarcomatoide che rappresenta l’elemento peggiore di sdifferenziazione di un tumore epiteliale: il termine sarcomatoide vuol dire che le cellule epiteliali, che originano quindi da un epitelio, diventano simili alle cellule di un sarcoma – quindi acquisiscono delle caratteristiche morfologiche a cellule fusate che sono facilmente identificabili su un vetrino/su un esame istologico banale ma sono delle caratteristiche che sono associate ad una aggressività biologica maggiore quindi una peggiore prognosi. Sono abbastanza rare perché la componente sarcomatoide è presente in meno del 10% dei tumori del rene a cellule chiare ma può essere presente anche nella componente papillare. Sappiamo oggi che la componente sarcomatoide è un elemento importante nella scelta della terapia per la malattia metastatica perché i pazienti con una compente sarcomatoide hanno una maggiore probabilità di risposta all’immunoterapia. ➔ Quindi è un fattore prognostico sfavorevole perché questi tumori sono molto più aggressivi/avanzati però può essere un elemento da considerare nelle scelte dell’oncologo. Caratterizzazione molecolare del carcinoma a cellule chiare Dal punto di vista della caratterizzazione molecolare del carcinoma renale ci sono alcuni aspetti da tenere in mente. Il più importante su cui mi piacerebbe attirare la vostra attenzione è l’inattivazione del gene di Von Hipple Lindau (VHL) – questo gene è inattivato in quasi la totalità dei carcinomi renali. Pag. 4 di 44 Questo è uno studio che è stato pubblicato nel 2014 su Nature ed è molto importante perché fa parte dello studio del cancer genoma atlas che è un enorme progetto in cui sono stati studiati praticamente tutti i tipi di tumori e per ogni tipo di tumore sono stati presi di campioni tumorali, in questo caso si trattatava del carcinoma renale a cellule chiare, sono state studiate le cellule ed estratto il DNA delle cellule tumorali per analizzare quali erano le mutazioni. Quindi è stato fatto un sequenziamento dei geni di questi tumori per capire quali erano le mutazioni più frequenti per ciascuna malattia. Noi sappiamo che questa malattia può avere alcune mutazioni che sono comuni a più tumori ma altre sono specifiche per un singolo tumore. In particolare nel carcinoma renale a cellule chiare la quasi totalità dei tumori aveva questa alterazione del gene di Von Hipple Lindau che è un gene localizzato sul braccio corto del cromosoma 3 ed è un gene che è responsabile di tutta una serie di situazioni che in particolare portano a questa condizione che è essenziale ed ha un risvolto terapeutico molto importante che è la neoangiogenesi tumorale. Quando il gene è mutato e la mutazione di VHL in realtà non è l’unico fattore che porta all’inattivazione del gene infatti ci possono essere anche dei fenomeni di perdita del gene stesso, inattivazioni legati a metilazioni – qualsiasi fattore che altera la funzione di questo gene fa si che si accumuli all’interno della cellula tumorale un eccesso di un fattore di crescita che è HIF1-α (ipoxia factor 1) che è un fattore di crescita che stimola poi a livello del DNA della cellula tumorale l’espressione di tutta una serie di geni che portano alla produzione di alcune proteine/elementi che hanno a che fare con la neoangionesi tumorale Pag. 5 di 44 in particolare il fattore di crescita per le cellule endoteliali (VEGF) che è uno dei fattori più importanti che viene iper-espresso nelle cellule del carcinoma renale che perdono la funzione del gene di VHL. Precisazione del professore VHL e HIF1-α funzionano normalmente quindi ogni volta che c’è ipossia noi abbiamo bisogno di avere neo-angiogenesi cioè fare arrivare in una zona ipossica i vasi per poter far arrivare ossigeno e metaboliti, quindi è necessario avere dei mediatori e la dottoressa Caserta vi ha fatto vedere che la pathway di VHL comprende il fatto che c’è HIF1-α e che questo comporta la trascrizione di una serie di molecole che sono importanti per la neoangiogenesi in condizioni di ipossia. Quindi questo è un qualcosa che normalmente è presente nell’organismo. La persona che ha descritto questo meccanismo ha vinto il premio Nobel perché ha descritto per la prima volta un fenomeno fisiologico che non è soltanto un fenomeno fisiologico generale ma VHL funziona anche da gene che è responsabile della trasformazione tumorale e di un eccesso di neoangiogenesi tumorale che nel caso del carcinoma renale è un elemento precoce della cancerogenesi. Poi vedremo come questo ha un risvolto anche dal punto di vista terapeutico. ➔ Quindi VHL funziona normalmente, HIF1-α funziona normalmente – quello che qui succede è che c’è un’attivazione costitutiva legata alla mutazione che non dipende più dall’ipossia per cui la neoangiogenesi è costitutiva non più indotta dall’ipossia. Già a pochi mm3 di tumore hanno bisogno di tanto sangue altrimenti il tumore non riesce a crescere. Il professore fa riferimento alla LAG nelle curve compersiane della scorsa lezione: vi dicevo che a differenza dei tumori ematologici in cui c’è una retta di crescita lineare, la prima parte della fase LAG, prima della fase esponenziale è legata al fatto che è necessario affinchè il tumore possa crescere di un periodo di latenza legata anche alla neoangiogenesi cioè alla costituzione di nidi tumorali con dei vasi propri. Quindi i tumori alla fine utilizzano delle pathway già presenti costitutivamente cosi come, vi ho fatto vedere la scorsa volta per l’immunità, PD-1 e CTLA-4 che normalmente sono presenti in infezioni virali/batteriche/parassitarie soltanto che nel caso dei tumori questo viene fatto in maniera costitutiva ossia c’è un’attivazione continua senza dei feedback inibitori che controllano questo tipo di attivazione. La neoangiogenesi chiaramente è un elemento sia per la crescita del tumore ma anche per la capacità del tumore di metastatizzare: è chiaro che più vasi ci sono maggiore è la possibilità che le cellule tumorali vadano in giro attraverso il sangue. ➔ Quindi il fatto che un tumore abbia una neoangiogenesi molto attiva è un elemento che è comune a molti tipi di tumori e nel caso del carcinoma è particolarmente evidente: infatti i chirurghi vi diranno che le masse renali tendono a sanguinare perché il carcinoma renale è molto vascolarizzato come lo sa anche il radiologo che vede una massa con tante aree che prendono contrasto in maniera molto attiva proprio perché c’è tanto sangue/tanti vasi quindi la massa si riempie di mezzo di contrasto. Infatti tra i tanti geni che vengono trascritti c’è l’eritropoietina (EPO): 1. C’è ipossia 2. Viene mandato un segnale Pag. 6 di 44 3. VHL attiva HIF1-α e cosa succede: - Da una parte si formano nuovi vasi - Dall’altra parte c’è eritropoietina per far arrivare globuli rossi e quindi ossigeno lì dove c’è un sito ipossico Solo che tutto questo avviene in maniera costitutiva. Questo stesso gene è quello responsabile delle forme sporadiche di carcinoma renale ma anche di quelle ereditarie solo che: - Nelle forme ereditarie ho ereditato un allele con l’alterazione del gene di VHL e ne acquisisco poi un altro - Nelle forme sporadiche sono alterazioni/mutazioni che vengono acquisite nel corso della vita Precisazione del professore su oncogeni/oncosoppressori Il primo modello di geni oncosoppressori è stato descritto sulla patologia del Retinoblastoma (Rb) da un pediatra quindi: nel modello di cancerogenesi quando è implicato il gene oncosoppressore un allele mutato viene acquisito e poi successivamente c’è l’inattivazione dell’altro gene oncosoppressore (allele). Essendo che ci sono due alleli uno viene ereditato mutato e l’altro poi viene inattivato successivamente. Quindi c’è una genetica di tipo recessivo perché è necessario che entrambi vengano inattivati mentre nel caso degli oncogeni l’attivazione è di tipo dominante perché basta un solo gene mutato per poter avere la patologia. Riassunto: Oncosoppressore: ereditato un solo allele – recessivo Oncogene: non ereditato – dominante Nella sindrome di Von Hipple Linadau, la sindrome ereditaria, oltre ad un aumento del rischio di tumori del rene ci sono anche altre patologie spesso associato ad una neoangiogenesi molto attiva, per esempio l’emangioblastoma o altre anomalie vascolari che fanno parte del quadro della sindrome di VHL. L’aumento del rischio vale un po’ per tutte le sindromi ereditarie genetiche oncologiche (onco- genetiche): l’incidenza di questi tumori è in genere più precoce rispetto all’incidenza dei tumori sporadici. Stadiazione L’altro elemento essenziale per la prognosi del paziente è lo stadio in cui viene diagnosticata la malattia. La stadiazione si basa sul sistema TNM dove: - T: tumore - N: linfonodi - M: metastasi Quando noi abbiamo un paziente con una malattia oncologica, quasi in tutte le patologie utilizziamo questo sistema TNM, nel carcinoma del rene andiamo a valutare il T principalmente in base alle dimensioni del tumore o all’invasione di alcune strutture vicine quali: il superamento della capsula, l’interessamento del tessuto adiposo che sta intorno al rene o l’interessamento della ghiandola surrenalica che sta sopra al rene. In base alle dimensioni e l’interessamento degli organi vicini stabiliamo il T. Pag. 7 di 44 Ogni volta che abbiamo un T, ad ogni stadio del T si correla una prognosi differente: i tumori con uno stadio T1 hanno una prognosi migliore rispetto a quelli che hanno un T3 o T4. Vale lo stesso discorso per l’N e M. E’ ovvio che i tumori con malattia metastatica, che noi definiamo stadi quarto possono avere una prognosi peggiore rispetto a quello dei tumori in uno stadio più iniziale. Il tumore inizialmente cresce a livello del rene poi può dare metastasi a distanza e le sedi più frequenti sono: Polmoni Ossa Fegato Linfonodi: in realtà nel tumore del rene, soprattutto i linfonodi loco-regionali cioè ileo-renale e para-aortici non è particolarmente frequente che siano interessati dal tumore. Nella maggior parte degli stadi iniziali circa il 5% dei casi ha metastasi linfonodali al momento della diagnosi per cui la linfoadenectomia nel carcinoma del rene non è obbligatoria ai fini della stadiazione del tumore. Presentazione clinica Oggi come oggi, la stragrande maggioranza dei pazienti che arrivano ad una diagnosi di carcinoma renale in realtà ci arrivano in maniera accidentale. Si tratta spesso di persone che fanno un’ecografia per altre ragioni, per esempio perché sono caduti e vanno in PS e viene fatta un’ecografia addominale oppure fanno un’ecografia di controllo per l’insorgenza di un diabete o di un’ipertensione arteriosa o altre ragioni. Pag. 8 di 44 Quindi in molti casi ci troviamo difronte a tumori in fase molto iniziale scoperti casualmente con l’ecografia. Non vi aspettate la presenza di sintomi: è difficilissimo vedere dei pazienti che arrivano con la classica triade – ematuria, dolore, massa palpabile. E’ veramente molto raro che questo accada, qualche volta accade in pazienti che in pazienti con malattie avanzate: può succede che un paziente che arrivi con una serie di sintomi (dolore osseo, dolore lombare, massa che si avverte) ha quasi sicuramente anche delle metastasi quindi in genere la presenza di sintomi o segni evidenti della malattia si associa ad uno stadio più avanzato della malattia. In alcuni casi, e questa è una cosa abbastanza caratteristica del tumore del rene, sono presenti sintomi sistemici che noi chiamiamo sindromi paraneoplastiche perché si tratta di una serie di altri elementi che possono essere associati al tumore del rene. Questa è una cosa di cui vi dovete ricordare perché anche nell’esperienza del medico di medicina generale può succedere che dagli esami del paziente venga fuori una VES alta, un’ipercalcemia, la presenza di anemia. Questi sono pazienti in cui un’ecografia addominale a volte porta anche alla diagnosi di un tumore del rene. L’altro elemento che può verificarsi è la poliglobulia cioè la presenza ad esempio di una piastrinosi associata anche ad un ematocrito elevato che può essere un altro dei segni sistemici di un tumore del rene. Non ci sono dei markers tumorali validati: non viene fatto il CEA (antigene carcino-embrionario) perché non ha nessun senso dosare dei markers in un tumore renale perché non ci sono dei fattori utili ai fini della diagnosi né utili ai fini dei controlli successivi che noi andiamo a fare. Diagnosi La diagnosi si basa sulle metodiche radiologiche. In moltissimi casi viene fatta un’ecografia perché è quello l’elemento da cui si parte di solito nella diagnostica. Pag. 9 di 44 All’ecografia bisogna sempre far seguire una TAC – gold standard nella diagnosi dei tumori del rene e deve essere una TAC torace e addome perché se io vedo una lesione del rene che penso sia un tumore è comunque importante fare anche la stadiazione quindi con un unico esame io posso indagare anche il torace che è una delle sedi più frequenti di metastatizzazione in un carcinoma renale. Analisi della TAC Questo tumore sposta le anse intestinali che ci sono davanti, ci sono anche delle zone interne ipo- vascolarizzate necrotiche e sposta anche i vasi. Analisi RM Questa è una piccola lesione renale alla risonanza. La risonanza non è l’esame che in prima battuta dobbiamo fare ad un paziente in cui sospettiamo un tumore del rene però in alcuni casi in cui magari abbiamo un dubbio diagnostico alla TAC può essere utile approfondire anche con una risonanza. Questo per quanto riguarda i tumori piccoli in genere sotto i 3cm. Una cosa importante è che quando vedete una massa così voi in realtà non è che sapete che cos’è perché potrebbe essere in questo caso sia un tumore del rene, sia un tumore dell’urotelio dal punto di vista teorico. Quindi se c’è un paziente che ha una massa così e voi avete il dubbio bisogna poi fare un’analisi istologica per poter differenziare perché come vi diceva la dottoressa Caserta il trattamento è poi completamente diverso perché un conto è la corticale renale, un conto è il bacinetto e l’uretere che presentano cellule transizionali tipo vescica. Quindi se c’è il dubbio è necessario un accertamento bioptico. E’ ovvio che in questo caso dubbi non ce ne sono perché questo è un nodulo capsulato che ha partenza dalla corteccia e il bacinetto non è assolutamente interessato – questo è un T1 che può essere “scucchiaiato”, asportato. Pag. 10 di 44 Biopsia renale Fino a pochi anni fa si diceva “non si toccano le lesioni renali, non si deve fare la biopsia” perché si aveva paura del rischio sia di complicanze che in effetti esiste perché fare la biopsia su una massa renale può determinare un rischio di sanguinamento ma soprattutto perché si temeva l’insemenzamento cioè la diffusione/disseminazione delle cellule tumorali lungo l’ago dell’ago-biopsia. Questo non è un evento che vi dovete aspettare perché accade nello 0,00% dei casi quindi la biopsia renale è una procedura assolutamente sicura e che va fatta nel caso in cui abbiamo un dubbio oppure in tutte le volte in cui non operiamo il paziente: - sicuramente nella malattia metastatica in cui abbiamo bisogno di una conferma istologica e allora andiamo a fare una biopsia della metastasi o della massa renale - ma anche in tutti quei casi in cui il tumore non si opera ma vengono fatti dei trattamenti locali che esistono e si possono fare sul carcinoma renale ma è sempre giusto e corretto fare una diagnosi istologica prima di fare il trattamento perché esistono anche delle lesioni benigne che somigliano molto anche alle forme tumorali soprattutto quando si tratta di lesioni molto piccole e quindi è sempre corretto in quel caso andare a fare la biopsia. Terapia della malattia localizzata In generale se io non ho dubbi che devo operare la lesione come per esempio il tumore che abbiamo visto sull’immagine della risonanza di 3 cm posso tranquillamente non fare la biopsia e fare direttamente l’intervento chirurgico. Questo è uno standard accettato se il radiologo è sicuro che questa sia una lesione solida, con caratteristiche che sembrano quelle di un carcinoma. La chirurgia può essere di due tipi: conservativa: non tolgo tutto il rene – in un tumore piccolo non deve essere asportato tutto il rene perché questo può comportare un rischio di insufficienza renale cronica che poi è un fattore di rischio per altre patologie e quindi per un aumento della mortalità dovuto non al tumore ma ad una patologia cardiovascolare che magari il paziente sviluppa nel corso della sua vita. Se possibile si può togliere il tumore in maniera conservativa ed è possibile farlo nella stragrande maggioranza dei casi anche fino a lesioni di 7cm – chiaramente dovrà essere l’urologo insieme al radiologo a decidere se quel paziente è suscettibile ad un intervento conservativo perché se il tumore infiltra l’ilo renale, il bacinetto, la pelvi renale è più difficile fare un trattamento conservativo ma se come spesso accade è tutta una lesione corticale esterna, esofitica al rene è possibile anche asportare in maniera conservativa lesioni molto grandi. - La dimensione non è più un criterio determinante ma è più la sede e l’infiltrazione (quanto e che strutture) che porta a decidere se fare una conservativa oppure no - Un altro elemento è se il paziente è mono-rene: si cerca di evitare di fare un trattamento chirurgico radicale anche per lesioni molto grandi. Pag. 11 di 44 - Altro fattore in cui si tende a fare una conservativa sono le i pazienti con le sindromi ereditarie perché purtroppo questi pazienti tendono ad avere nel corso della vita più tumori del rene: in una persona che presenta la sindrome di VHL possibilmente il trattamento deve essere più conservativo possibile perché c’è il rischio che dopo alcuni anni debba essere rioperato per un’altra lesione. radicale: può essere in alcuni casi necessario perché a volte la lesione è grande, infiltra magari il surrene, interessa l’ilo renale o c’è una trombosi dell’arteria renale e allora dobbiamo per forza operare in maniera radicale e fare una nefrectomia. Oggi la nefrectomia deve possibilmente essere fatta in laparoscopia: dal punto di vista oncologico i risultati sono identici rispetto ai trattamenti open. E dal punto di vista oncologico il trattamento parziale ha lo stesso risultato: il numero di persone che guarisce è uguale rispetto a fare una nefrectomia radicale – elemento importante per noi perché al di là di conservare la funzione renale vogliamo guarire questi pazienti quindi dobbiamo essere sicuri che quel trattamento sia efficace dal punto di vista oncologico e quindi della possibilità di guarigione. Il surrene va tolto? SI se è interessato e quindi se la TAC pre-operatoria mi dice che il surrene ha un’alterazione per cui io penso che lì ci sia una metastasi oppure quella grossa massa renale magari infiltra il surrene – in questo caso devo fare una nefrectomia e surrenectomia omolaterale. Se il surrene è radiologicamente normale non serve togliere il surrene. Per i linfonodi si usa lo stesso ragionamento, nel caso del tumore a cellule chiare (? dice renale ma non ha molto senso) non serve fare una linfoadenectomia durante l’intervento ai fini della stadiazione. Terapia adiuvante Ad oggi noi non abbiamo in Italia una terapia adiuvante anche se ci sono studi che dimostrano in realtà l’efficacia di un trattamento adiuvante. Adiuvante = terapia che viene fatta dopo l’intervento chirurgico R0 Il trattamento adiuvante generalmente viene fatto quando c’è un rischio che questa malattia si possa ripresentare perché ci sono alcune situazioni in cui io opero e so che quella malattia nel 40% dei casi si ripresenterà a distanza di x tempo – in quel caso il trattamento adiuvante è un aiuto che diamo al chirurgo per cercare di guarire quella malattia. Chiaramente non è detto che tutti abbiano bisogno di un trattamento adiuvante: ci sono delle situazioni in cui il tumore era molto piccolo T1/G1 ossia un tumore che ha una probabilità di guarigione una volta operato intorno al 95% dei casi – questi pazienti sono già guariti con il solo intervento chirurgico. ! Questo però non è vero per tutte le patologie oncologiche quindi c’è un’enorme differenza tra un’istologia e un’altra, tra una sede tumorale ed un’altra però nel carcinoma renale in generale il rischio che il tumore si ripresenti che quindi quella persona possa morire per colpa di quel carcinoma renale si realizza a partire dal T2/G3 in su. Pag. 12 di 44 Quindi i tumori T1 oppure un tumore operato T2/G2 sono tumori in cui il rischio di recidiva è talmente basso che non viene giustificato ad oggi un trattamento di prevenzione. Laddove ho un rischio più alto allora inizio a ragionare sulla possibilità di fare delle terapie adiuvanti per migliorare la prognosi di quei pazienti. Nel corso degli anni sono stati fatti tantissimi studi sul carcinoma renale, una volta si utilizzava la vecchia immunoterapia che erano l’interferon e IL-2. Nell’arco di 10 anni è cambiato tutto perché siamo passati all’impiego di anti-angiogenici cioè i farmaci anti VEGF che si sono dimostrati efficaci nella malattia metastatica e quindi li abbiamo studiati anche nella fase adiuvante. Sono stati fatti molti studi su diverse migliaia di pazienti che sono tutti negativi tranne uno che dimostrava un piccolo vantaggio dall’uso del Sunitinib adiuvante ma in realtà sono tutti studi negativi. Questi studi non hanno portato all’approvazione di nessun farmaco nella pratica clinica, per cui per moltissimi anni dopo tutte queste sperimentazioni abbiamo capito che non serviva fare una terapia di prevenzione utilizzando sunitinib o pazopanib o everolimus o tutti i vari farmaci anti-angiogenici che avevamo a disposizione. Negli ultimi anni è cambiata la strategia di trattamento della malattia metastatica. Quando una terapia si dimostra efficace nella malattia metastatica di solito si cerca di spostarla nella fase adiuvante perché se sul metastatico la terapia ha funzionato probabilmente funziona anche nel setting adiuvante. Nell’adiuvante io ragiono pensando che se qualche cellula tumorale è rimasta da qualche parte la stessa terapia efficace su una malattia metastatica lo dovrebbe essere anche su una malattia micrometastatica. In realtà non c’è una chiara dimostrazione di questa cosa nel carcinoma del rene. L’unico studio positivo è questo che è stato pubblicato recentemente sul New England Journal of Medicine che come sapete è la rivista più importante di medicina al mondo che ha dimostrato l’efficacia del Pembrolixumab come terapia adiuvante nei pazienti a partire dallo stadio T2/G3. Pag. 13 di 44 Tutti quelli che erano sotto il T2/G3 erano esclusi dallo studio quelli che erano sopra venivano arruolati. Venne arruolato anche il 5% di tutta l’intera popolazione: erano pazienti che avevano una malattia M1 NED cioè metastatici operati R0 → quindi persone metastasi polmonare/linfonodale che veniva asportata in maniera completa potevano accedere a questo trattamento adiuvante. Il trattamento prevedeva Pembrolixumab per un anno rispetto a quello che era lo standard ossia fare solo i controlli e c’è un aumento della sopravvivenza dei pazienti che hanno ricevuto Pembrolixumab. In tutto il mondo occidentale è già utilizzato come terapia adiuvante, negli Stati Uniti già da 1 anno, nel resto d’Europa è già disponibile mentre in Italia ancora no. Probabilmente all’inizio del prossimo anno lo avremo a disposizione e sarà una terapia di cui discutere con i pazienti: un paziente con T3/G3 è un paziente a cui possiamo proporre una terapia adiuvante per un anno con Pembrolixumab. Ci sono altri studi con l’immunoterapia che usa farmaci o anti-PD1 o anti-PDL1 che riescono a riattivare il sistema immunitario in particolare i linfociti a riconoscere le cellule tumorali come estranee perché altrimenti queste cellule in qualche modo inibiscono il linfocita e riescono ad evitare il riconoscimento. Questi farmaci hanno cambiato la storia di molti tipi di tumori ma nel carcinoma renale solo il pembrolixumab in fase preventiva ha dimostrato un vantaggio. Follow-up Ad oggi quello che viene fatto nei pazienti operati è un follow-up ossia controlli periodici giustificati dal fatto che c’è una quota comunque importante intorno al 30 % di pazienti operati che complessivamente nel corso della propria vita avrà una recidiva del tumore del rene. La recidiva può essere: - locale: a livello del tumore del rene se rimasto o a livello della loggia renale se il paziente ha fatto una nefrectomia - sistemica Pag. 14 di 44 Il follow-up viene deciso in base al rischio che ha questo paziente e vengono utilizzate le linee guida dell’AIOM (associazione italiana di oncologia medica) che ci dicono come classificare il paziente: Basso rischio Rischio intermedio Alto rischio In base al rischio di ripresa di malattia si decide ogni quanto fare i controlli e con che cosa: la TAC è l’esame che viene più utilizzato nella pratica clinica perché è l’esame che ci permette con un’unica indagine di pochi minuti di studiare tutti gli organi che ci interessano ossia dove sono più frequenti le recidive quindi polmone, addome e in parte anche le ossa. Classificazione prognostica della malattia metastatica Sulla malattia metastatica gli ultimi 20 anni hanno fatto la differenza, ci sono state moltissime innovazioni terapeutiche partendo da questa classificazione che è la classificazione del rischio. Questa è uno score che viene utilizzato nella pratica clinica per dire se un paziente con tumore metastatico ha una certa probabilità non di guarigione – non si parla di guarigione perché un paziente metastatico in generale è un paziente che non possiamo guarire – ma di vivere con la sua malattia: possiamo andare da una buona prognosi di 43 m a una prognosi peggiore di 8 m in base ai fattori di rischio. Questa differenza è stata identificata su una grossissima casistica oltre 15.000 pazienti con carcinoma renale in cui sono stati analizzati una serie di fattori basali che i pazienti avevano e poi da lì si è visto quali erano i fattori che correlavano in maniera migliore con la sopravvivenza e sono stati identificati questi 6 fattori che sono: Performance status: condizioni generali del paziente Tempo intercorso tra la diagnosi di malattia limitata e la comparsa di metastasi: paziente operato 5 anni fa rischio 0 mentre un paziente operato 6 m indicava una malattia più aggressiva quindi un rischio maggiore Fattori umorali: calcio, Hb, valori delle piastrine e dei neutrofili che si conoscono e sono dei fattori di rischio perché indicano una peggiore prognosi dei pazienti Terapia della malattia metastatica Questa classificazione è utile per le scelte terapeutiche perché alcuni pazienti ad esempio: Quelli a buona prognosi sono pazienti in cui io mi posso aspettare una lunga sopravvivenza e posso prendere delle decisioni “meno aggressive” dal punto di vista oncologico, posso permettermi l’attesa, di andare ad operare la singola metastasi che si presenta dopo 5 anni da una chirurgia iniziale. Pag. 15 di 44 Ci sono pazienti in cui l’unica terapia possibile è rappresentata da una terapia farmacologica quindi quelli con peggiore prognosi sono pazienti in cui devo essere io più efficace nel mio trattamento per poter ottenere un miglioramento della sopravvivenza. Farmaci anti-angiogenici L’evoluzione della malattia metastatica è stato lodevole negli anni e ad un certo punto abbiamo vissuto la rivoluzione dei farmaci anti- angiogenici perché si è capito che l’angiogenesi era un meccanismo sul quale noi potevamo agire e l’azione avviene sul meccanismo del VEGF che è un fattore di crescita per le cellule endoteliali. Vi ho detto prima che quando c’è la disgregolazione del gene di VHL il VEGF viene iper-espresso e quindi se io ho un iper-produzione di VEGF questo esce dalla cellula tumorale va nella zona intorno dove ci sono le cellule endoteliali che lo ricevono in quanto hanno il recettore che si chiama VEGFR (vascular endotelial growth factor receptor) – l’interazione tra il VEGF e il recettore stimola la proliferazione della cellula endoteliale che provoca l’aumento dei vasi e quindi la neo- angiogenesi tumorale. Capito questo meccanismo si è cercato di bloccare il recettore del VEGF e sono stati sviluppati una serie di farmaci qua elencati che sono delle molecole orali, terapie in compresse, Pag. 16 di 44 che i pazienti prendono a casa e che assumono in maniera continuativa. Sono farmaci che sono in grado di inibire l’angiogenesi perché bloccano l’attività del recettore de VEGF → una volta bloccata l’attività del recettore la cellula endoteliale non riesce a proliferare quindi muore, questo crea una minore vivacità della neo-angiogenesi che se è meno attiva il tumore riceve meno ossigeno/nutrimenti e quindi va in necrosi, regredisce. L’efficacia di questi trattamenti è stata dimostrata ampiamente nella pratica clinica perché queste terapie si sono utilizzate e si utilizzano adesso con dei risultati decisamente migliori rispetto a quello che avevamo 20 anni fa. Immunoterapia L’altro ambito di farmaci che utilizziamo nel carcinoma renale metastatico è l’immunoterapia quindi gli anti-PD1, anti-PDL1 e anti- CTLA4 in particolare il Nivolumab. Questi