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Gaetano Berruto, Massimo Cerruti - La linguistica. Un corso introduttivo (2011, UTET Università) - lib.pdf

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Gaetano Berruto, Massimo Cerruti LA LINGUISTICA Un corso introduttivo - 1'g..ill.. UTET --"'!!l!;... =>= UTET www.utetuniversita.it Il p resente volume è rifacimento e ampliamento del Corso elementare di linguistica genera­ le, u...

Gaetano Berruto, Massimo Cerruti LA LINGUISTICA Un corso introduttivo - 1'g..ill.. UTET --"'!!l!;... =>= UTET www.utetuniversita.it Il p resente volume è rifacimento e ampliamento del Corso elementare di linguistica genera­ le, uscito ad opera di G. Berruto in p rima edizione nel 1997 e in edizione r i v i sta nel2006. La concezione generale del rifacimento è comune ai coautori. La riscrittura del testo dei c ap itoli l ,2, 3, 4, 5, 6 e la stesura del testo dei capitoli 7 e 8 sono opera di G. Berruto. Il rifacimento e l'ampliamento deg l i esercizi dei capitoli l, 5, 6 e l'intero apparato di esercizi dei capitoli2, 3, 4 e 7 sono opera di M. Cerruti. Sono dovuti a M. Cerruti i box e le schede dei capitoli l,2. 3, 4, 5. 6, 7 e a G. Berruto i materiali dei capitoli 7 e 8. Proprietà letteraria riservata ©20 Il De Agostini Scuola SpA- Novara l" edizione: marzo20 Il Printed in Italy Tutti i diritti riservati. Nessuna parte del materiale protetto da questo copyright potrà essere riprodotta in alcuna fanna senza l'autorizzazione scritta dell'Editore. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, comma 4, della legge22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da A IDRO- Corso di Porta Romana, 108- 20122 Milano- e-mail. [email protected]; www.aidro.org Stampa: Stampatre- Torino Ristampe: 2 4 5 6 7 8 9 Anno: 2011 2012 2013 2014 2015 Indice IX Premessa XI Elenco delle sigle e abbreviazioni 3 Capitolo l II linguaggio verbale 3 1.1 Linguistica, lingue, linguaggio, comunicazione 5 1.2 Segni, codice 7 1.3 Le proprietà della lingua 1.3.1 Biplanarità, p. 7-1.3.2 Arbitrarietà, p. 8- 1.3.3 Doppia articolazione, p. 13- 1.3. 4 Trasponibilità di mezzo, p. 14- 1.3.5 Linearità e discretezza, p. 21- 1.3.6 Onnipotenza semantica, plurifunzionalità e riflessività, p. 22- 1.3.7 Produttività e ricorsività, p. 25-1.3.8 Distanziamento e libertà da stimoli, p. 26- 1.3.9 Trasmis­ sibilità culturale, p. 27-1.3.10 Complessità sintattica, p. 28- 1.3.11 Equivocità, p. 30- 1.3.12 Lingua solo umana?, p. 30-1.3.13 Definizione di lingua, p. 33 33 1.4 Princìpi generali per l'analisi della lingua 1.4.1 Sincronia e diacronia, p. 33 -1.4.2 Langue e parole, p. 35 -1.4.3 Paradig­ matico e sintagmatico, p. 37-1.4.4 Livelli d'analisi, p. 38 40 Esercizi 44 Capitolo 2 Fonetica e fonologia 44 2.1 Fonetica 2.1.1 Apparato fonatorio e meccanismo di fonazione, p. 45 -2.1.2 Consonanti, p. 47 - 2.1.3 Vocali, p. 51-2.1.4 Semivocali, p. 52-2.1.5 Trascrizione fonetica, p. 53-2.1.6 Consonanti, p. 57-2.1.7 Vocali e semi vocali, p. 59 63 2.2 Fonologia 2.2.1 Foni, fonemi, allofoni, p. 63-2.2.2 Fonemi e tratti distintivi, p. 65-2.2.3 I fonemi dell'italiano, p. 70-2.2.4 Sillabe, p. 74 76 2.3 Fatti prosodici (o soprasegmentali) 2.3.1 Accento, p. 77-2.3.2 Tono e intonazione, p. 79-2.3.3 Lunghezza, p. 81 83 Esercizi 88 Capitolo 3 Morfologia 88 3.1 Parole e morfemi 95 3.2 Tipi di morfemi 3.2.1 Tipi funzionali di morfemi, p. 95-3.2.2 Tipi posizionali di morfemi, p. 97- 3.2.3 Altri tipi di morfemi, p. 99 104 3.3 Derivazione e formazione delle parole 117 3.4 Flessione e categorie grammaticali 126 Esercizi VI Indice 131 Capitolo 4 Sintassi 131 4.1 Analisi in costituenti 136 4.2 Sintagmi 145 4.3 Funzioni sintattiche, strutturazione delle frasi e ordine dei costituenti 4.3.1 Funzioni sintattiche, p. 145-4.3.2 Schemi valenziali, p. 146-4.3.3 Ruoli semantici, p. 151-4.3.4 Struttura pragmatico-informativa, p. 153 160 4.4 Elementi minimi di grammatica generativa 171 4.5 Oltre la frase 4.5.1 Frasi complesse, p. 171-4.5.2 Testi, p. 180 183 Esercizi 191 Capitolo 5 Semantica 191 5.l Il significato 196 5.2 Il lessico 198 5.3 Rapporti di significato fra lessemi 5.3.1 Omonimia e polisemia, p. 198-5.3.2 Rapporti di similarità, p. 199-5.3.3 Rapporti di opposizione, p. 202-5.3.4 Insiemi lessicali, p. 203 205 5.4 L'analisi del significato: semantica componenziale 209 5.5 Cenni di semantica prototipica 214 5.6 Elementi di semantica frasale 221 Esercizi 226 Capitolo 6 Le lingue del mondo 226 6. l Le lingue del mondo 238 6.2 Tipologia linguistica 6.2.1 Tipologia morfologica, p. 241-6.2.2 Tipologia sintattica,p. 249 258 Esercizi 265 Capitolo 7 Mutamento e variazione nelle lingue 265 7.1 La lingua lungo l 'asse del tempo 7. l. l Il mutamento linguistico, p. 265-7.1.2 Fenomeni del mutamento, p. 269 276 7.2 La variazione sincronica 7.2.1 Varietà di lingua e variabili sociolinguistiche, p. 276-7.2.2 Dimensioni di variazione, p. 278-7.2.3 Repertori linguistici, p. 285-7.2.4 Il contatto linguisti­ co,p. 289 292 Esercizi 296 Capitolo 8 Cenni di storia della disciplina 296 8.1 Fino ali'Ottocento 304 8.2 Dall'Ottocento ai giorni nostri 8.2.1 La linguistica ottocentesca, p. 304-8.2.2 Il Novecento, p. 306 313 Appendice 313 1. Esercizi di riepilogo 318 2. Soluzioni di una scelta di esercizi 323 Bibliografia 323 B. l Bibliografia essenziale commentata 327 B.2 Elenco delle opere citate 333 Indice analitico Indice Box, Schede e Materiali Box1.1 Sistemi di scrittura Scheda 1.1 Proprietà della lingua: un riepilogo Box2.1 Meccanismi articolatori di alcuni suoni dell'italiano Box2.2 Fonia e grafia. Suoni e grafemi dell'italiano Box2.3 Alfabeto fonetico internazionale Box2.4 IPA. Consonanti non presenti in italiano standard. Vocali non presenti in italiano standard Box2.5 Tratti distintivi e regole fonologiche Scheda 2.1 Alfabeto fonetico internazionale: alcune convenzioni di trascrizione Box3.1 Criteri per la definizione di parola Scheda 3.1 Tipi di affissi: un riepilogo Box3.2 Le parole composte in italiano Box3.3 Alcuni dei principali prefissi e suffissi dell'italiano Box3.4 Tempo e aspetto Box4.1 Alcuni criteri per il riconoscimento dei sintagmi Box4.2 La valenza verbale Box4.3 Ordini marcati dei costituenti di frase Box4.4 La teoria generativa: alcuni fondamenti Scheda 4.1 Frase semplice e frase complessa Scheda 5.1 Rapporti di significato tra lessemi: un riepilogo Box6.1 Lingue d'Europa Box6.2 Universali linguistici Materiali 7.l Dal latino all'italiano moderno. Esempi testuali Materiali 7.2 Esempi di varietà di lingua Box7.1 Un esempio di repertorio plurilingue: le lingue del Camerun Box7.2 Lingue d'Italia (di insediamento tradizionale) Materiali 8.1 Brani da momenti di storia della linguistica. Premessa Il presente volume costituisce un rifacimento integrale del Corso elementare di linguisti­ ca generale uscito in prima edizione nel1997 e in una nuova versione con modifiche e aggiornamenti nel 2006. Rispetto alla materia presentata nel Corso elementare, sono stati qui aggiunti due nuo­ vi capitoli che trattano rispettivamente nozioni elementari di linguistica storica e di socio­ linguistica (cap. 7) e cenni di storia della linguistica (cap. 8). Pur mantenendo un impian­ to complessivo di linguistica generale, in questo nuovo assetto il volume si estende quin­ di a coprire anche nozioni di base di campi non strettamente pertinenti alla linguistica ge­ nerale. Il testo è stato interamente riscritto e molti argomenti dei vari capitoli sono stati ap­ profonditi in numerosi dettagli, anche se il taglio del volume rimane quello di un'opera in­ troduttiva destinata esplicitamente a studenti principianti nella materia, e quindi il livello di approfondimento dei vari temi e problemi non è mai quello che ci si attenderebbe da una trattazione scientifica specifica dell'argomento. L'intenzione degli autori è di fornire alcune coordinate fondamentali di riferimento per cominciare a orientarsi nella disciplina e a padroneggiarne le nozioni essenziali e il modo di procedere; l'opera non è dunque un tentativo di sistemazione delle conoscenze nel settore, ma è volta in primo luogo a pre­ sentare le cose in maniera accessibile e plausibile per chi non abbia alcuna conoscenza previa della materia, cercando di conciliare esattezza dell'approccio scientifico alle que­ stioni linguistiche, e consapevolezza dei problemi che questo pone, con intuitività di ap­ proccio, semplicità di esposizione e chiarezza sugli snodi fondamentali del discorso. Que­ sto non può ovviamente significare la rinuncia agli aspetti tecnici che sono intrinseci del­ la linguistica e ne caratterizzano il modo di procedere anche dal punto di vista teorico e metodologico; quel che si è cercato di ottenere è un equilibrio ragionevole e soprattutto organico fra i contenuti anche altamente tecnicistici specifici della disciplina e le cose che chi abbia fatto un corso universitario di linguistica dovrebbe necessariamente sapere: tan­ te cose sì, ma non troppe. E possedute con chiarezza. L'abbondanza di materiali di esercitazione e la presenza di una bibliografia commen­ tata e di un indice analitico molto puntuale sono altri aspetti coi quali si vorrebbe contri­ buire a migliorare il più possibile l'utilizzabilità didattica dell'opera. Sempre a questo sco­ po, rispetto al Corso elementare sono anche state aggiunte numerose parti fuori testo che si prestano ad eventuali approfondimenti di vario genere. In particolare, sono stati allesti­ ti dei Box che trattano e illustrano in maniera più precisa e dettagliata vari temi toccati nel x Premessa testo, delle Schede di riepilogo che possono facilitare la visione di insieme nella classifi­ cazione di tipi di fenomeni e di concetti, e alcuni Materiali di esemplificazione e docu­ mentazione. L'apparato di questioni ed esercizi è anch'esso stato interamente rifatto, e suddiviso per i vari capitoli. Nel complesso, il volume contiene tutto ciò che c'era nel Cor­ so elementare, e quindi si presta sempre ad essere usato a un livello introduttivo minima­ le; ma in più contiene altre cose, sia in estensione che in profondità, e si presta quindi an­ che ad accompagnare un corso completo di linguistica. Un sentito ringraziamento va a tutti quelli (studenti e colleghi) che ci hanno segnalato errori e incongruenze delle prime due edizioni, e in particolare ad Alberto Mioni. Se que­ sta edizione risulterà sensibilmente migliore delle precedenti è anche merito loro. Gaetano Berruto Massimo Cerruti Elenco delle sigle e abbreviazioni AIAgg aggettivo Quant quantificatore DET determinativo Art articolo SAgg sintagma aggettivale DIM dimostrativo Aus ausiliare SAvv sintagma avverbiale DIST distale Avv avverbio SComp sintagma del comple- DL duale C consonante mentatore DUR durativo cfr. confronta SDet sintagma del determinante ERG ergativo COMP complementatore SF!ess sintagma della flessione FEMM femminile Comp complemento sing. singolare FUT futuro CONG congiunzione SN sintagma nominale GEN genitivo cons consonantico sn. sonora IMPF imperfettivo CP complementizer phrase son sonoro INANIM inanimato Det determinante spagn. spagnolo IND indicativo ecc. eccetera Spec specificatore INDEF indefinito es. esempio SPrep sintagma preposizionale INF infinito F frase sr. sorda LOC locativo fig. figura ST sintagma del tempo M ASCH maschile Fless flessione SV sintagma verbale NEG negazione l negativo frane. francese tab. tabella NOM nominativo G genitivo ted. tedesco NT neutro g.g. grammatica generativa Trans transitivo NUM numero Um. umano germ. germamco OGG oggetto V verbo l vocale ingl. inglese PART participio v. vedi IP inflection phrase PASS passato VP verb phrase it./ital. italiano PERF perfettivo vs. opposto a l. lingua PERS persona lat. latino glosse morfologiche PL plurale lett. letteralmente ABL ablativo POSS possessivo m. morfema ACC accusativo POT potenzialità masch. (Masch.) maschile AGG aggettivo PRES presente N nome ANIM animato PRO pronome NP no un phrase ART articolo PROG progressivo Num numerale ASS assolutivo RIFL riflessivo p.n. parlante nativo ASTR astratto SG singolare pers. persona C AUS causativo SOGG soggetto plur. plurale CLASS classificatore sosT sostantivo (nome) Poss possessivo eoNe concordanza, accordo TOP topic PP participio passato l prepo- CONIUG coniugazione VB verbo sitional phrase CONCR concreto voc vocatìvo PRED VERB predicato verbale DAT dativo l, 2, ecc. classi nominali Prep preposiziOne DECL declinazione l", 2", 3" persone verbali l de­ PRO pronome DEF definito clinazioni La linguistica li linguaggio verbale CAPITOLO 1 Obiettivi del capitolo L'obiettivo di questo capitolo è di collocare il linguaggio verbale all'interno del fenomeno della comunicazione, illustrando sia le caratteristiche generali che esso condivide con altri sistemi di comunicazione sia le proprietà specifiche che gli conferiscono un carattere peculiare. Dopo aver inquadrato l'oggetto del­ la linguistica (il linguaggio verbale e le lingue), e aver introdotto le nozioni ge­ nerali preliminari alla loro trattazione, vengono presentate le proprietà costitutive del linguaggio verbale, che ne fanno un sistema di comunicazione specifico della specie umana, e che consentono di arrivare a una definizione complessiva del concetto di lingua. Vengono poi spiegate tre distinzioni di fon­ do da tenere presenti nella descrizione dei fatti di lingua ai vari livelli di analisi. 1.1 Linguistica, lingue, linguaggio, comunicazione La linguistica è il ramo delle scienze umane che studia la lingua. Lo Definizione di linguistica studiò della lingua si può dividere in due sottocampi principali: la lin­ guistica generale, che si occupa di che cosa sono, come sono fatte e co­ me funzionano le lingue, e la linguistica storica, che si occupa del­ l'evoluzione delle lingue nel tempo e dei rapporti fra le lingue e fra lin­ gua e cultura. Hanno valore più o meno analogo a 'linguistica generale' altre denominazioni quali 'linguistica teorica', 'linguistica sincronica', 'linguistica descrittiva'. Nella tradizione italiana, spesso si contrappone alla 'linguistica generale' la 'glottologia', come ambito che copre la lin­ guistica storica e lo studio comparato delle lingue antiche. Oggetto della linguistica sono dunque le cosiddette lingue storico­ Le lingue naturali, vale a dire le lingue nate spontaneamente lungo il corso della storico-naturali civiltà umana e usate dagli esseri umani ora o nel passato: l'italiano, il francese, il romeno, lo svedese, il russo, il cinese, il tongano, il latino, il sanscrito, il swahili, il tigrino, il piemontese ecc. Tutte le lingue storico-naturali sono espressione di quello che viene chiamato linguaggio verbale umano. Il linguaggio verbale è una fa­ Il linguaggio verbale umano coltà innata nell'homo sapiens ed è uno (e il più raffinato, complesso e duttile) degli strumenti, dei modi e dei sistemi di comunicazione che 4 La linguistica Dialetti questi abbia a disposizione. Si noti che da questo punto di vista non c'è alcuna differenza tra lingue e dialetti, tutti i sistemi linguistici esistenti ed esistiti, ed usati da un qualche gruppo sociale, sono manifestazione specifica del linguaggio verbale umano. La distinzione fra lingue e dia­ letti è basata unicamente su considerazioni sociali e storico-culturali, in funzione della distribuzione negli usi linguistici della comunità e del prestigio dei singoli sistemi linguistici. Si apre qui il campo della so­ ciolinguistica, che studia l'interazione fra lingua e società, la variazio­ ne dei comportamenti linguistici e come le lingue si articolano in varie­ tà secondo diverse dimensioni di variazione (cfr. § 7.2). Il segno Per inquadrare il linguaggio verbale umano fra i vari tipi e modi di comunicazione può essere utile partire dalla nozione di segno. Un se­ gno, detto in maniera molto generica, è qualcosa che sta per qualco­ s'altro e serve per comunicare questo qualcos'altro (comunicare vale, etimologicamente, "mettere in comune, rendere comune"). Ora, si può avere una concezione molto larga oppure molto stretta di che cosa voglia dire 'comunicare'/' comunicazione'. Secondo una concezione molto larga (diffusa presso gli studiosi di semiotica o se­ Nozione di miologia, la scienza generale dei segni), tutto può comunicare qualco­ comunicazione sa, ogni fatto culturale- e quindi anche i fatti di natura in quanto filtra­ ti dall'esperienza umana- è suscettibile di essere interpretato da qual­ cuno e quindi di dare/veicolare qualche informazione. In senso lato, dunque, comunicazione equivale a 'passaggio di informazione'. È più utile però intendere comunicazione in un senso più ristretto. Tale sen­ so ha come ingrediente fondamentale l 'intenzionalità: si ha comunica­ zione quando c'è un comportamento prodotto da un emittente al fine di far passare dell'informazione e che viene percepito da un ricevente co­ me tale; altrimenti, si ha semplice passaggio di informazione. Le tre Con maggiore precisione, si potrebbero distinguere tre categorie al­ categorie della l' interno del fenomeno generale della comunicazione, a seconda del ca­ comunicazione rattere di chi produce il messaggio (l'emittente) e chi lo riceve o inter­ preta (il ricevente o interpretante) e dell'intenzionalità del loro com­ portamento: A. Comunicazione in senso stretto: l. emittente intenzionale; 2. ricevente intenzionale (es.: linguaggio verbale umano, gesti, tutti i sistemi artificiali di comunicazione: segnalazioni stradali, ecc.). B. Passaggio di informazione: l. emittente non intenzionale; 2. ricevente (interpretante) intenzionale (es.: parte della comunica­ zione non verbale umana: posture del corpo, paralinguistica, prossemica; orme di animali; sintomi di condizioni fisiche; ecc.). l l linguaggio verbale 5 C. Formulazione di inferenze: l. nessun emittente (ma solo: presenza di un 'oggetto culturale' che viene interpretato come volto a fornire un'informazione); 2. interpretante (es.: case dai tetti aguzzi e spioventi= "qui nevica molto"; modi di vestire; ecc.). Da A aB a C l'insieme di conoscenze di riferimento (il 'codice') che permette di interpretare correttamente l'informazione decodifican­ do il valore dei segni dìventa via via meno forte e rigoroso e più debo­ le, vago e indeterminato, e l'associazione fra un certo segnale (o, più genericamente, un certo 'fatto segnico', chiamando così ogni fatto o comportamento che abbia un qualche valore informativo, sia cioè tale da poter modificare uno stato precedente di conoscenze) e l'informa­ zione che esso veicola è più lasca, affidata all'attività dell'interpretante e passibile di fraintendimenti. Comunicazione è quindi da intendere come trasmissione intenzio­ nale di informazione. Nel quadro generale della comunicazione, la po­ sizione del linguaggio verbale umano può essere individuata come nel­ lo schema seguente: le lingue sono una specificazione della comunica­ zione umana naturale. verbale (LINGUAGGIO VERBALE UMANO) non verbale (gesti, ecc.) artificiale (segnalazioni comunicazione stradali, ecc.) (in senso stretto) animale (latrati dei babbuini, 'danze' delle api, ecc.) Fig.l.l passaggio di informazione (e altro: formulazione di inferenze, ecc.) (((( 1.2 Segni, codice La singola entità che fa da supporto alla comunicazione o al passaggio di informazione è un 'segno' in senso lato. 'Segno' è quindi l'unità fon­ damentale della comunicazione. Esistono diversi tipi di segni. Per av­ Classificazione dei segni viarci a capire la natura dei segni linguistici, possiamo rifarci ad una qualche tassonomia (classificazione) di tipi di segni. Una possibile tas­ sonomia dei segni in senso lato, tra altre più semplici o più complesse, 6 La linguistica basata sui due criteri fondamentali dell'intenzionalità e della motiva­ zione relativa, cioè del grado di rapporto naturale esistente tra le due facce del segno (il 'qualcosa' e il 'qualcos'altro' per cui il primo sta) potrebbe essere la seguente: l. INDICI (sintomi): motivati naturalmente/non intenzionali (basati sul rapporto causa o condizione scatenante > effetto. Es.: starnuto ="avere il raffreddore"; nuvole scure ="sta per piovere"; una certa traccia sulla neve = "è passata/-o una lince/una volpe/un cinghiale/un gatto/un camoscio/un orso", ecc.). 2. SEGNALI: motivati naturalmente/usati intenzionalmente (es.: sbadiglio volontario ="sono annoiato"; lucina accesa di notte su una montagna ="segnalo la mia presenza"; canti di uccelli per segnalare il proprio territorio; latrati di allarme di scimmie; ecc.). 3. ICONE [dal gr. eikrJn "immagine"]: motivati analogicamente/inten­ zionali (basati sulla similarità di forma o struttura, riproducono proprietà dell'oggetto designato. Es.: carte geografiche e mappe, fotografie, disegni, registrazioni su nastro, diagrammi e istogrammi, simbolo­ gie impiegate in orari dei treni e guide turistiche, onomatopee, ecc.). 4. SIMBOLI: motivati culturalmente/intenzionali (es.: colore nero/bianco="lutto"; rosso del semaforo= "fermarsi"; colomba con ramoscello d'ulivo="pace"; bandiere; alzarsi [in Eu­ ropa]/sedersi [in Giappone] davanti a un superiore ="rispetto"; ecc.). 5. SEGNI (in senso stretto) [spesso, in ingl., symbols, da cui in italiano a volte 'simboli' sia per il caso 4 che per il caso 5]: non motivati (ar­ bitrari, totalmente immotivati, basati su mera convenzione)/inten­ zionali (es.: messaggi linguistici; suono al telefono di una linea occupata; molti segnali stradali [altri sono icone; altri, simboli]; comunicazio­ ne gestuale, come la 'lingua dei segni' (il linguaggio dei gesti dei non udenti; ecc.). Motivazione Dalla categoria ( l ) alla categoria (5) la motivazione che lega, nei segni in senso lato, il 'qualcosa' al 'qualcos'altro' che viene comunica­ to diventa via via sempre più convenzionale, o, se vogliamo, immoti­ vata, meno diretta. Da (l) a (5) aumenta quindi anche in maniera deci­ siva la specificità culturale dei segni in senso lato: mentre gli indici, in quanto fatti di natura, sono per definizione di valore universale, uguali per tutte le culture in ogni tempo, i simboli e ancor più i segni in senso stretto sono dipendenti da ogni singola tradizione culturale. Va tenuto presente che per molti aspetti non vi sarebbero ragioni forti per distin- l l linguaggio verbale 7 guere il tipo (4) dal tipo (5): sia i simboli che i segni in senso stretto, in quanto motivabili solo culturalmente e convenzionalmente, apparten­ gono in fondo, semplicemente, alla categoria dei simboli. Tale distin­ zione consente tuttavia di identificare meglio la specificità dei segni lin­ guistici. In conclusione, comunque, i segni linguistici, per esempio la paro­ la gatto o la frase ho mangiato una mela, ecc., sono segni in senso stret­ to, prodotti intenzionalmente per comunicare, essenzialmente arbitrari. Nella comunicazione in senso stretto, c'è dunque un emittente che emette, produce intenzionalmente un segno per un ricevente. Che cos'è che mette il ricevente in grado di interpretare il segno? Il fatto che esso si riconduce a un codice di cui fa parte, cioè a un insieme di conoscen­ ze che permette di attribuire un significato a ciò che succede. Per 'co­ Definizione di codice dice' si intende più precisamente l'insieme di corrispondenze, fissatesi per convenzione, fra qualcosa ('insieme manifestante') e qualcos'altro ('insieme manifestato') che fornisce le regole di interpretazione dei se­ gni. Tutti i sistemi di comunicazione sono dei codici. Da questo punto di vista, i segni linguistici costituiscono il codice lingua. 1.3 Le proprietà della lingua Possiamo ora chiederci quali proprietà rilevanti presenti il codice lin­ gua-o, in termini più generali, il linguaggio verbale umano (quale fa­ coltà della specie Homo sapiens sapiens); ovvero ancora, in termini più semplici e concreti, la lingua (ogni lingua storico-naturale)-, quali di esse condivida con altri codici, e quali invece sembri avere come carat­ terizzanti. 1.3.1 Biplanarità Una prima proprietà ovvia, tautologica in quanto costitutiva di tutti i se­ gni e quindi anche di quelli linguistici, è la biplanarità, il fatto che ci Biplanarità dei segni siano in un segno due facce, o, appunto, due piani, compresenti (il 'qualcosa' e il 'qualcos'altro' che dicevamo prima). Vanno qui intro­ dotte le importanti nozioni di significante e di significato. Il 'signifi­ Il significante cante' -chiamato anche 'espressione' e, con maggiori rischi di equi­ voci, 'forma'-è la parte o faccia o piano fisicamente percepibile del segno, quello che cade sotto i nostri sensi (il 'qualcosa' che sta per qual­ cos'altro: per esempio, la parola gatto pronunciata o scritta); il 'signifi­ Il significato cato' -chiamato anche 'contenuto'-è la parte o faccia o piano non materialmente percepibile, l'informazione veicolata dalla faccia perce­ pibile (il 'qualcos'altro': nell'esempio, il concetto o idea di "gatto"). In altre parole, il significante o espressione è ogni modificazione fisica a 8 La linguistica cui sia associabile un significato, un certo stato concettuale o mentale: quest'ultimo è il contenuto. Tutti i segni sono indissolubilmente costi­ tuiti dal piano del significante unito al piano del significato. Un codice si può allora definire come un insieme di corrispondenze fra significati e significanti, e un segno come l'associazione di un significante e un si­ gnificato (d'ora in poi, indicheremo i significanti col corsivo e i signifi­ cati tra "virgolette doppie"). 1.3.2 Arbitrarietà L'arbitrarietà Un'altra proprietà importante dei segni in senso stretto, e quindi dei se­ dei segni gni linguistici, a cui abbiamo già fatto riferimento, è l'arbitrarietà. Nella sua versione vulgata, essa consiste nel fatto che non c'è alcun le­ game naturalmente motivato, connesso alla natura o all'essenza delle cose, derivabile per osservazione empirica o per via di ragionamento logico, fra il significante e il significato di un segno. Il significante gat­ to non ha di per sé, intrinsecamente, nulla a che vedere con l'animale "gatto"; nella natura di una cosa non c'è nulla che rimandi al suo nome, che faccia sì che quella cosa si debba (o si possa) chiamare così. Questo ovviamente non vuol dire che tra il significante e il significato di un se­ gno non esistano legami né rapporti: bensì vuol dire che i legami, i rap­ porti che ci sono- e che costituiscono il codice- non sono dati natural­ mente, ma posti per convenzione: in questo senso, quindi, arbitrari. Se i segni linguistici non fossero fondamentalmente arbitrari, le pa­ role delle diverse lingue dovrebbero essere tutte molto simili: le cose, cioè, dovrebbero chiamarsi più o meno allo stesso modo in tutte le lin­ gue. Il fatto che ovviamente non sia così implica che tra la natura (la forma, la funzione, in genere i caratteri esterni, sensibili) di una cosa e la parola che la designa non c'è alcun rapporto che non sia quello posto dalla convenzione del sistema linguistico. "Gatto" è gatto in italiano, kissa in finlandese, mace in albanese, kedi in turco, paka in swahili, bil­ l! in hindi, pusa in tagalog, mèo in thailandese, mdo in cinese, kucing in malese-indonesiano, ecc.; e il fatto che si dica gato in spagnolo non si­ gnifica ovviamente che i gatti spagnoli siano più simili ai gatti italiani che non i gatti albanesi o turchi o africani, ecc., ma dipende dalla pa­ rentela genealogica fra le due lingue, italiano e spagnolo, entrambe de­ rivate dal latino; il termine latino tardo alla base di quelli italiano e spa­ gnolo è cattu(m). La forte somiglianza fra le parole per "gatto" del ci­ nese e del thailandese sarà da attribuire al fatto che la forma ha presu­ mibilmente origine onomatopeica (v. sotto), costituendo un'imitazione del verso dell'animale. Allo stesso modo, se i segni linguistici non fossero arbitrari, parole simili nelle diverse lingue dovrebbero designare cose o concetti simili: anche questo è palesemente falso. Bello vuol dire ovviamente "bello" in l l linguaggio verbale 9 ital., ma in inglese beli vuol dire "campana" e belly vuol dire "pancia", bellum in latino vuol dire "guerra" (e bello "alla guerra", "con la guer­ ra", è il caso dativo e ablativo della stessa parola; cfr.§ 3.4), belli in tur­ co vuol dire "evidente", ecc.; e che per es. bel sia "pancia" anche in tok pisin (una delle lingue pidgin: cfr.§ 6.1) dipende dal fatto che il tok pi­ sin ha preso molto materiale dall'inglese. In realtà, la questione dell'arbitrarietà dei segni linguistici, o più in Il triangolo generale del linguaggio verbale umano, è cosa più complessa di quanto semiotico appaia da questa prima approssimazione. Occorrerebbe infatti distin­ guere quattro tipi o livelli diversi di arbitrarietà. Per affrontare il problema, è utile introdurre a questo punto la considerazione che in re­ altà nel funzionamento dei segni linguistici sono tre, e non due, le enti­ tà effettivamente in gioco. La cosa viene spesso presentata sotto la for­ ma grafica del cosiddetto triangolo semiotico (fig. 1.2). Si tratta di un triangolo molto noto negli studi di semiologia e di se­ mantica, ma la cui reale interpretazione rimane ancora in parte contro­ versa: non tutti identificano allo stesso modo le entità che stanno ai tre vertici del triangolo; quella che forniamo qui è la lettura che pare più ragionevole e convincente. Ai tre vertici abbiamo le tre entità in gioco: un significante, attraverso la mediazione di un significato con cui è as­ sociato e che esso veicola (e assieme al quale forma il segno), si riferi­ sce a un elemento della realtà esterna, extralinguistica, un referente. La parola sedia, formata dalle due facce del significante, s-e-d-i-a, e del si­ gnificato, "sedia", si riferisce all'oggetto reale sedia, e lo identifica. La linea di base del triangolo è tratteggiata, al contrario dei due lati, perché il rapporto fra significante e referente non è diretto, ma è mediato dal si­ gnificato. Tenendo presente questo schema, possiamo allora definire come se­ I quattro tipi di arbitrarietà gue i quattro tipi di arbitrarietà della lingua. della lingua a. A un primo livello, è arbitrario ( = non motivato naturalmente né lo­ l. Rapporto tra segno gicamente; totalmente convenzionale) il rapporto o legame tra se­ e referente gno nel suo complesso e referente (o designatum): non c'è alcun le- significato (''felino domestico, ecc.") Fig.1.2 Triangolo semiotico (((( significante (gatto) referente [=realtà esterna] 10 La linguistica game naturale e concreto, di derivazione dell'uno dall'altro, fra un elemento della realtà esterna e il segno a cui questo è eventualmen­ te associato, per esempio fra l'oggetto sedia e il segno sedia (il cor­ sivo può dunque indicare anche il segno globalmente; a voler esse­ re più precisi nella notazione, dovremmo dire: il segno sedia "se­ dia") o tra una persona e il suo nome. 2. Rapporto fra h. A un secondo livello, è arbitrario il rapporto fra significante e signi­ significante ficato: il significante sedia, come sequenza di lettere o suoni, non ha e significato in sé, al di fuori della convenzione posta dalla lingua, nulla a che ve­ dere con il significato "oggetto d'arredamento che serve per sedersi, ecc." a cui è associato nella lingua italiana. 3. Rapporto c. A un terzo e più profondo livello, è arbitrario il rapporto tra forma­ tra forma = struttura, organizzazione interna - e sostanza - = materia, mero e sostanza del significato insieme di fatti concettualizzabili, significabili - del significato: ogni lingua ritaglia in un modo che le è proprio (ed eventualmente, anzi spesso, diverso da quello delle altre lingue) un certo spazio di significato (e dà quindi una data 'forma' ad una data 'sostanza' se­ mantica) distinguendo e rendendo pertinenti una o più entità. Un esempio classico è quello di ital. bosco/legno/legna a cui corrispon­ de in francese hois "bosco/legno/legna" e in tedesco Wald "bosco"/Holz "legno/legna": l'ital. qui riconosce e designa diversa­ mente tre entità (il bosco non è il legno, e il legno non è esattamen­ te la legna) laddove il francese riconosce una sola entità e il tedesco due (tab. l. l ). Un altro esempio di diversa organizzazione o forma della stessa so­ stanza di significato: all'ital. andare, verbo di movimento con valo­ re generico, non corrisponde in tedesco un verbo unico con lo stes­ so valore generale, ma la stessa sostanza semantica è ripartita codi­ ficandola con verbi diversi in relazione al mezzo: gehen "andare (a piedi)"/fahren "andare con un mezzo", eccetera. 4. Rapporto d. Infine, ad un quarto livello, è altrettanto arbitrario il rapporto fra for­ tra forma ma e sostanza del significante: ogni lingua organizza secondo propri e sostanza del significante criteri la scelta dei suoni pertinenti, distinguendo in una certa manie­ ra, eventualmente diversa da altre lingue, le entità rilevanti della ma­ teria fonica. Si noti sin d'ora, a questo proposito, che il significante dei segni linguistici è primariamente di carattere fonico-acustico, co- Tabella 1.1- Forme diverse della stessa sostanza di significato italfaOO bosco legno legna rranc ase bois esco Wald Holz l l linguaggio verbale 11 stituito cioè da onde sonore che viaggiano nell'aria (cfr. oltre, § 2.1 ): queste rappresentano la sostanza su cui ogni lingua effettua le sue pertinentizzazioni. Un esempio di identica sostanza fonica organiz­ zata in maniera diversa in diverse lingue può essere dato dalla quan­ tità o durata delle vocali. Laddove l'italiano ha per esempio una so­ la a, senza distinzione di lunghezza (per cui casa pronunciato con una a breve o media e caasa pronunciato con una a lunga non sono che due realizzazioni della stessa parola, casa, in cui il suono a è pronunciato con due durate diverse), il tedesco o il latino distinguo­ no due suoni diversi con carattere distintivo; cosicché per esempio in ted. Stadt "città", con la a breve, e Staat "stato", con la a lunga, sono due parole diverse; e così dicasi in latino, per esempio, per dnus "vecchia", con la a breve, e dnus "anello", con la a lunga, o per puel­ lii, con la a breve, "(la) ragazza", caso nominativo (sui casi, cfr. § 3.4), e puelld, con la a lunga, "(con la) ragazza", caso ablativo. Al principio dell'arbitrarietà radicale dei segni linguistici esistono alcune eccezioni. Vi sono dei segni linguistici che appaiono almeno parzialmente motivati. È il caso ad esempio delle onomatopee, che ri­ Le onomatopee producono o richiamano nel loro significante caratteri fisici di ciò che viene designato. Parole e voci onomatopeiche come per esempio tintin­ nio, sussurrare, rimbombare, o din don dan, o chicchirichì (verso del gallo) imitano nella loro sostanza di significante il suono o rumore che designano, e presentano quindi un aspetto più o meno nettamente ico­ nico: sarebbero pertanto più icone che simboli o segni in senso stretto (si veda sopra, § 1.2). Va tuttavia notato che anche le onomatopee e le voci imitative possiedono un certo grado di integrazione nella conven­ zionalità arbitraria del singolo sistema linguistico, e una loro specifici­ tà che le rende almeno in parte diverse da lingua a lingua, nonostante il referente rimanga identico. Tintinnio, per es., unisce ad una parte chia­ ramente onomatopeica, motivata, tintin, il suffisso nominale del tutto 'arbitrario' -ìo. Ed è risaputo che al chicchirichì italiano corrisponde in francese cocorico, in inglese cock-a-doodle-doo, in tedesco Kikeriki, in neerlandese (olandese) kukeluku, eccetera. Più strettamente iconici sembrano invece i cosiddetti 'ideòfoni', Gli ideòfoni cioè espressioni imitative o interiezioni descrittive che designano feno­ meni naturali o azioni, frequentemente usate nei fumetti, come per esempio boom/bum "grande fragore", zac "taglio netto", gluglu "tran­ gugiare acqua", ecc.; che gli ideofoni abbiano lo statuto di effettive pa­ role, appartenenti al lessico della lingua italiana, è però dubbio. Sulla presenza tutt'altro che marginale di caratteri iconici nel lin­ Caratteri iconici nel linguaggio guaggio verbale umano hanno comunque posto l'accento recenti con­ verbale umano cezioni che tendono a ridurre l'importanza cruciale dell'arbitrarietà co- 12 La linguistica me carattere costitutivo totale dei segni linguistici, notando come an­ che nella grammatica delle lingue esistano meccanismi chiaramente iconici, e dunque in qualche misura motivati. È stato per esempio no­ tato che la formazione del plurale attraverso l'aggiunta di materiale lin­ guistico alla forma del singolare è un dispositivo molto diffuso nelle lingue. Si è quindi sostenuto che questo fatto obbedirebbe appunto ad un principio di iconismo: l'idea di pluralità, che implica più cose, più materiale, nella realtà, sarebbe evocata o suggerita o riprodotta nella lingua dal fatto che la forma plurale contiene più materiale fonico, lin­ guistico, che non la forma del singolare. La lingua riprodurrebbe quin­ di in un certo senso coi suoi mezzi propri la realtà. Si veda per es. per "bambino", sing./"bambini", plur.: ingl. child l children, frane. (scritto) enfant l enfants, romeno hdiat l hdie[i, ted. Kind l Kinder, turco kiiçiik l kiiçiikler, arabo Tifl l aTfal, swahili mtoto l watoto, malese-indonesia­ no anak l anak-anak (con reduplicazione), eccetera. Ma, si noti, non è ovviamente così in italiano, che ha un plurale formato con alternanza di desinenza: bambino l bambini (e in dialetti lombardi si hanno addirit­ tura casi di plurali formati mediante sottrazione di materiale, invece che mediante aggiunzione, come nei casi sopra visti, o mediante alter­ nanza come in italiano: così in nomi femminili come dòna "don­ na"ldon "donne"). Un'altra prospettiva che tende a vedere nei segni linguistici più motivazione di quanto solitamente si creda è quella che sostiene l'im­ Il fonosimbolismo portanza del 'fonosimbolismo', affermando che certi suoni avrebbero per la loro stessa natura associati a sé certi significati (denotativi o con­ notativi: cfr. § 5.1). Il suono i, per es., vocale chiusa (si veda oltre, § 2.1.3) e fonicamente 'piccola' (prodotta con un'apertura minima della bocca), sarebbe connesso con 'cose' piccole, e quindi le parole che contengono i designerebbero di preferenza la proprietà di essere picco­ lo o oggetti piccoli, come si vedrebbe per esempio in ital. piccino, mi­ nimo, ingl. little, o in suffissi diminutivi come ital. -ino, ingl. -y, ted. meridionale -i, eccetera. Affermazioni del genere incorrono tuttavia in controesempi così evidenti e numerosi (sia nel senso che esistono pa­ role contenenti i o aventi i come vocale tonica che indicano grandezza, come per es. ital. massiccio, ingl. big; sia nel senso ancora più ovvio che esistono parole che indicano piccolezza e non contengono i, come per esempio ital. scarso, corto, poco, ingl. small) da non poter essere seriamente prese come argomenti contro il principio dell'arbitrarietà dei segni linguistici. In conclusione, nonostante esistano eccezioni, per lo meno parziali, al principio dell'arbitrarietà totale della lingua, esse non sono così cruciali da mettere veramente in crisi lo statuto dell'ar­ bitrarietà come una delle proprietà più importanti del linguaggio ver­ bale umano. l l linguaggio verbale 13 1.3.3 Doppia articolazione Una proprietà molto importante del linguaggio verbale umano, che nel­ La doppia la sua forma più piena e totale sembra posseduta, fra i sistemi naturali di articolazione o dualità di comunicazione, solo dalle lingue e che quindi ha un forte potere carat­ strutturazione terizzante in quanto specifica di queste, è quella che viene chiamata 'doppia articolazione'. (Si noti che i linguisti anglosassoni usano piut­ tosto il termine dualità di strutturazione). La doppia articolazione, che non va confusa con la biplanarità (si veda§ 1.3.1) consiste nel fatto che il significante di un segno linguisti­ co è articolato a due livelli nettamente diversi. A un primo livello, il significante di un segno linguistico è organiz­ La prima articolazione zato e scomponibile in unità (elementi, parti, pezzi, 'mattoni') che sono ancora portatrici di significato e che vengono riutilizzate (con lo stesso significato) per formare altri segni (prima articolazione): la parola gatto è scomponibile in due 'pezzi' più piccoli, gatt- e -o, che recano ciascuno un proprio significato (rispettivamente "felino domestico" e "uno solo", singolare) e che sono suscettibili di comparire col medesi­ mo significato in altre parole: gatt-i, gatt-e, gatt-ino, s-gatt-are, ecc.; lo stesso, per es., per top-o, libr-o, cucchiai-o, bell-o, eccetera. Tali pezzi o elementi costituiscono le unità minime di prima articolazione, e non sono ulteriormente articolati (scomponibili) in elementi più piccoli che rechino ancora un proprio significato. Non è possibile assegnare per esempio in gatt- né a g- né ad -a- né aga- né ad -att- né a -tt- un signi­ ficato proprio e specifico. Ogni segno linguistico, di qualunque estensione e in qualunque lin­ gua, è in linea di principio analizzabile, scomponibile in unità minime di prima articolazione. Ad esempio: la nonna sforna la torta> l-a nonn-a s-forn-a l-a tort-a. Le unità minime di prima articolazione, che chiameremo 'morfe­ Imorfemi mi' (si veda§ 3.1), poiché sono associazioni di un significante e un si­ gnificato, sono ancora segni, i segni più piccoli. A un secondo livello (seconda articolazione), esse sono a loro volta scomponibili in unità La seconda articolazione più piccole che non sono più portatrici di significato autonomo (sono cioè meri pezzi di significante), e che combinandosi insieme in succes­ sione dànno luogo alle entità di prima articolazione: il morfema gatt- è scomponibile nei suoni (rappresentati nella scrittura da lettere) g, a, t, t. Tali elementi, che non sono più segni in quanto non hanno un significa­ to e che chiameremo 'fonemi' (si veda § 2.2.1), costituiscono le unità l fonemi minime di seconda articolazione. Ogni segno linguistico è analizzabile, scomponibile in unità minime di seconda articolazione: l-a n-o-n-n-a s f-o-r-n-a l-a t-o-r-t-a. La frase di esempio risulta così composta (con­ tando le ripetizioni della stessa unità) da undici morfemi, unità minime di prima articolazione, e da venti fonemi, unità minime di seconda arti- 14 La linguistica colazione. Si noti che unità minime di prima e di seconda articolazione possono coincidere nella loro forma, com'è il caso di s- in sforna o di -a in nonna nella nostra frase, che sono contemporaneamente unità mi­ nime di prima articolazione, se le consideriamo col loro significato, e di seconda articolazione, se le consideriamo unicamente come suoni: s­ "togliere" e -a "singolare", e rispettivamente se a. La doppia articolazione dei segni linguistici (si badi, per la preci­ sione, che a rigore la doppia articolazione è una proprietà del signifi­ cante dei segni linguistici) costituisce una vera proprietà cardine del lin­ guaggio verbale umano, secondo cui, come vedremo, si sviluppa la struttura generale del sistema linguistico; non esistono altri codici di co­ municazione naturali che possiedano una doppia articolazione piena e Economicità totale come la lingua. Essa consente alla lingua una grande economici­ del sistema tà di funzionamento: con un numero limitato (in genere, nelle varie lin­ linguistico gue, poche decine) di unità di seconda articolazione, 'mattoni' elemen­ tari di costruzione privi di significato, si può costruire un numero gran­ dissimo (teoricamente illimitato) di unità dotate di significato. Basti provare ad immaginare quali insormontabili complicazioni succedereb­ bero se ad ogni significato dovesse corrispondere un singolo suono (o lettera) diverso inanalizzabile! È di conseguenza anche molto importante nella strutturazione della Combinatorietà lingua il principio della combinato rietà: la lingua funziona, fonda­ mentalmente, combinando unità minori, possedute in un inventario li­ mitato, prive di significato proprio, per formare un numero indefinito di unità maggiori (segni). È tale principio, il cui fondamento sta appun­ to nella proprietà della doppia articolazione o dualità di strutturazione, che permette alla lingua la produttività illimitata (si veda oltre,§ 1.3.7). 1.3.4 Trasponibilità di mezzo La trasponibilità Il significante dei segni linguistici, oltre ad essere doppiamente artico­ di mezzo: lato, possiede un'altra proprietà molto importante, caratterizzante della parlato e scritto lingua: può essere trasmesso o realizzato (sostanziato, attuato, manife­ stato) sia attraverso il mezzo aria, il canale fonico-acustico- sotto for­ ma di sequenza di suoni e rumori prodotti dall'apparato fonatorio uma­ no (bocca e altri organi interessati alla produzione del parlare) che si propagano come onde sonore e vengono ricevuti dali'apparato uditivo -, sia attraverso il mezzo luce, il canale visivo-grafico - sotto forma di segni ('disegnini', lettere nei nostri alfabeti occidentali), tracciati sulla carta o su altro supporto solido e ricevuti tramite l'apparato visivo. A tale proprietà si dà il nome di trasponibilità di mezzo (anche: 'trasfe­ ribilità di mezzo' o 'intercambiabilità del mezzo'). Anche se i segni linguistici possono essere trasmessi o oralmente o graficamente, e in linea di principio ogni messaggio detto, parlato, è tra- l l linguaggio verbale 15 ducibile, trasponibile in un equivalente messaggio scritto, e viceversa, il carattere orale è tuttavia prioritario rispetto a quello visivo: il canale fonico-acustico (o vocale-uditivo) appare per varie ragioni il canale pri­ Priorità del parlato mario, talché spesso si dice anche che una delle proprietà del linguag­ gio verbale umano è la fonicità. Occorre a questo punto aprire un ex­ cursus su lingua parlata e lingua scritta. Il parlato ( = realizzazione del linguaggio verbale umano attraverso il mezzo fonico) è anzitutto prioritario antropologicamente rispetto al­ Priorità lo scritto (= realizzazione del linguaggio verbale umano attraverso il antropologica mezzo grafico). Tutte le lingue che hanno una forma e un uso scritti so­ no (o sono state) anche parlate, mentre non tutte le lingue parlate hanno anche una forma e un uso scritti: migliaia di lingue, soprattutto in Afri­ ca o in Oceania, non hanno una scrittura, non possiedono una conven­ zione di notazione grafica che permetta di usarle per la comunicazione scritta. Ovviamente questo dato di fatto non contraddice la proprietà ge­ nerale della trasponibilità di mezzo: sono fattori contingenti, storico­ sociali, a far sì che una lingua non venga scritta e non abbia sviluppato un suo codice grafico; ed è sempre possibile, in qualunque momento, se ne sorge l'esigenza, dotare qualunque lingua di un suo sistema di scrit­ tura che ne permetta l'impiego scritto. Inoltre, l'importanza che risulta avere oggi per noi la scrittura è di data piuttosto recente, nello sviluppo storico dell'umanità. Ancora, il parlato ha anche nelle nostre culture moderne una netta prevalenza statistica: nella vita quotidiana normal­ mente noi parliamo molto di più di quanto scriviamo, e attraverso il ca­ nale orale facciamo molte più cose che non attraverso il canale scritto. La lingua parlata è impiegata in una gamma più ampia e differenziata di usi e funzioni che non la lingua scritta. C'è una priorità ontogenetica (relativa al singolo individuo) del Priorità ontogenetica parlato: ogni individuo umano impara prima, al momento della socia­ lizzazione primaria, e per via naturale, spontanea (senza bisogno di ad­ destramento specifico), a parlare, e solo in un secondo tempo, e attra­ verso addestramento guidato specifico, a scrivere. E da quanto notato poco sopra si ricava inoltre che non tutti imparano (o sanno) anche (a) scnvere. C'è poi una priorità filogenetica (relativa alla specie umana) del Priorità filogenetica parlato: nella storia della nostra specie, la scrittura si è sviluppata certa­ mente molto tempo dopo il parlare. Le prime attestazioni giunteci di una forma scritta di lingua risalgono a non più di cinque millenni prima di Cristo (scritture pittografiche), e quelle di un sistema di scrittura ve­ ro e proprio, la scrittura cosiddetta cuneiforme presso i Sumeri, a circa il 3500 a.C.; si tratta di tavolette d'argilla contenenti in una grafia con segni a forma di cunei (di qui, il nome della scrittura) presumibilmente la registrazione di transazioni commerciali, ritrovate a Uruk nella bassa 16 La linguistica Mesopotamia (oggi Iraq). La scrittura alfabetica, quella che darà luogo al nostro alfabeto attuale, nasce probabilmente (la storia della scrittura in questo periodo è complicata e ancora in parte oscura) sotto forma di scrittura consonantica che non registra le vocali (cfr.§ 2.1.3) presso i Fenici attorno al 1300 a.C., come sviluppo della cosiddetta scrittura ugaritica, ancora di tipo cuneiforme, attestata dal XIV secolo a.C. a Ugarit, nell'odierna Siria. Dalla scrittura fenicia derivano nel corso del primo millennio a.C. l'alfabeto ebraico, l'alfabeto aramaico, base prin­ cipale della futura scrittura araba, e l'alfabeto greco, da cui evolveran­ no l'alfabeto cirillico e quello latino, usato dalle lingue europee occi­ dentali (v. Box l. l). Box 1.1 - Sistemi di scrittura Per una classificazione dei sistemi di scrittura, occorre distinguere innanzitutto sistemi sema­ siografici e sistemi glottografici. La principale differenza tra i due sistemi è che i primi non fan­ no uso di simboli linguistici, i secondi sì. Sono esempi di sistemi semasiografici le pittografie, che adottano convenzionalmente come elementi di scrittura dei disegni motivati analogica­ mente, specie di oggetti; e le ideografie, che assumono come elementi di scrittura dei simboli grafici che rappresentano iconicamente concetti o idee. I sistemi glottografici, dei quali soli si dà conto in questo Box, si suddividono ulteriormente in sistemi non foneticj, o logografici, e sistemi fonografici, o fonetici. I primi non hanno, se non parzialmente, basi fonetiche; fanno riferimento a unità non di significante ma di significato, e più specificamente, in genere, a unità minime di prima articolazione, i morfemi: nella maggio­ ranza dei sistemi logografici moderni, più che di 'scrittura di parole' (logografia) si tratta infat­ ti di 'scrittura di morfemi' (monografia). I secondi rappresentano invece i suoni del linguag­ gio; fanno quindi riferimento a unità di seconda articolazione; più in particolare, e specie in cer­ ti casi, si richiamano all'inventario fonematico di una certa lingua. Ci sono così sistemi fono­ grafici basati su sillabe, altri su consonanti o consonanti e vocali, altri ancora su tratti articola­ tori (v. sotto). Qualunque sistema, di tipo logografico o di tipo fonografico, potrà poi fornire una rappresenta­ zione più o meno completa, o più e meno coerente, di tutte le unità rilevanti per la propria lin­ gua di riferimento. Data una certa lingua, un sistema logografico molto difficilmente potrà rap­ presentarne con completezza e/o coerenza l'intero inventario dei morfemi; e così un sistema fo­ nografico potrà non rappresentare integralmente e/o coerentemente l'inventario fonematico del­ la lingua cui si riferisce (per l'alfabeto italiano v. Box 2.2). Va detto ancora che qualunque si­ stema di scrittura non sarà mai puramente logografico o puramente fonografico; ciò è ben di­ mostrabile nel caso di sistemi logografici, ma vale ugualmente per quelli fonografici (in alfabeti derivati da quello latino, ad es., che pure sono tipicamente fonografici, non mancano segni lo­ gografici: &, f, $, ecc.). Si riporta nello schema seguente una classificazione dei sistemi di scrittura glotto grafici. ll linguaggio verbale 17 Sistemi di scrittura con simboli linguistici (sistemi glottografici) sistemi Jogografici sistemi fonografici (fonetici) l Jogografia o sillabografia abjad abugida alfabeto grafia di tratti morfografia (scrittura di (scrittura (scrittura di consonanti) alfabetico­ consonanti sillabica) e vocali) Logografia o morfografia Ogni carattere sta per un morfema. Sono sistemi di scrittura con componenti logografiche, ad es., il cinese, il cuneiforme sumerico, l'egiziano geroglifico. Vediamo il caso del cinese, che è per certi versi particolare. In cinese, che conta parecchie mi­ gliaia di caratteri (i dizionari più completi ne annoverano ben 40.000; una persona colta ne co­ nosce 6-7000; 2000 sono ritenuti la soglia dell'alfabetizzazione), più del 90% dei caratteri com­ bina la rappresentazione di significati e di suoni; combina, in altre parole, componenti logogra­ fiche e componenti (parzialmente) fonografiche. Ogni carattere denota infatti un morfema e una sillaba. Ogni carattere, cioè, è composto da un elemento di scrittura che indica l'area concet­ tuale, lo spazio semantico, a cui appartiene la parola, e un elemento che ne indica molto ap­ prossimativamente il suono. Si veda ad es. qui di seguito il carattere per "zucchero", dato dalla combinazione del classificatore (cfr. § 3.4) per "cereale" e dell'elemento che sta per la sillaba tang: "cereale" tdng "zucchero" Sillabografia Ogni carattere sta per una sillaba. Ogni carattere rappresenta una combinazione di fonemi di­ versa, quindi una sillaba diversa, senza che ci sia la possibilità di distinguere quali elementi gra­ fici rappresentino certi fonemi e quali altri. Sono sistemi di scrittura con componenti sillaba­ grafiche, ad es., il giapponese, il miceneo lineare B, il sillabario cipriota. Il giapponese, in particolare, usa un sistema di scrittura misto, che comprende Jogogrammi ci­ nesi e sillabogrammi (oltre che, in misura minore, caratteri dell'alfabeto latino). Si vedano ad es. qui sotto i sillabogrammi per sa, si (shi), su, se, so del sillabario katakana, uno dei due silla­ bari in uso nel giapponese moderno; si può osservare come per ciascuna delle cinque combina­ zioni di fonemi non sia possibile isolare elementi grafici rappresentativi di singoli fonemi: sa se si (shi) so su Abjad [ab'd.3ad] Ogni carattere sta per una consonante. È un sistema di scrittura che tendenzialmente non segna le vocali, anche se molti sistemi di questo tipo si sono dotati nel corso del tempo di segni di vo­ calizzazione (elementi diacritici, posti al di sopra o al di sotto dei caratteri consonantici), che ri­ mangono comunque per Io più opzionali. Il primo sistema di scrittura a base fonetica della sto- 18 La linguistica ria, il fenicio, era un abjad. Sono di questo tipo i sistemi di scrittura semitici: arabo, ebraico, si­ riaco, eccetera. In arabo le parole sono costituite generalmente da un morfema lessicale triconsonantico di­ scontinuo e da un morfema grammaticale formato da uno schema vocalico anch'esso disconti­ nuo, intercalato nella radice triconsonantica; es. [ki'ta:b] "libro", con radice k-t-b "scrivere/scrittura" e schema vocalico -i-a:- "nome di oggetto/singolare" (cfr. § 3.2.2.). Il siste­ ma di scrittura dell'arabo, come la maggior parte dei sistemi semitici, nota di norma le sole con­ sonanti (in forme diverse a seconda della loro posizione all'interno della parola: isolata, inizia­ le, mediana o finale) e procede da destra a sinistra. Le vocali dell'arabo, in tutto tre (a, u, i), possono essere sia brevi ([a], [i], [u]) sia lunghe ([a:], [i:], [u:]); nella scrittura, le vocali brevi sono considerate implicite, mentre le vocali lunghe sono segnalate dalla presenza di una conso­ nante di prolungamento. Si veda qui di seguito come è resa la parola [ki'ta:b] "libro", con no­ tazione della sola radice triconsonantica k-t-b e della consonante di prolungamento (che segna­ la la presenza di una vocale lunga: [a:]): L -.. bfinale C di prolungamento t mediana k iniziale per [a:] ul..S" [ki'ta:b] "libro" Abugida [abugi'da] Ogni carattere sta per una combinazione sillabica di consonante e vocale. A differenza della sil­ labografia, gli elementi grafici che rappresentano le consonanti e le vocali della combinazione sono ancora distinguibili tra di loro. Si ha in genere un carattere di base, che denota una conso­ nante accompagnata da una vocale non marcata (a, nelle grafie dell'India), a cui si aggiunge qualche elemento grafico per denotare altre vocali o l'assenza di vocali. Sono sistemi di scrit­ tura di questo tipo il devaniigari, usato ad es. per sanscrito e hindi, e l'etiopico, usato ad es. per amarico e tigrino. Si vedano alcune combinazioni con [k] in devaniigari: [k(a)] k(a) [k] k 'P CfiT [ka:] ka fcp [ki] ki 'P [ku:] ku [ko:] ko [ke:] ke cp [kai] kai Alfabeto Ogni carattere (o grafema) sta o per una consonante o per una vocale. Sono notate obbligato­ riamente sia le consonanti sia le vocali. Il primo alfabeto della storia è stato quello greco, da cui discendono, tra gli altri, quello cirillico e quello latino. Alcuni esempi di traslitterazione dal russo: A =a, A =d, E, =e, r g, n =l, M =m, H =n, n =p, p =r, c =S, B =v = ll linguaggio verbale 19 Alcuni esempi dal greco: Aa = Aa, 11ò = Dd EE, = Ee, ry = Gg, A'A. = Ll, M -t = Mm, Nv =Nn, II:n: = Pp, Pp = Rr, aç = Ss, B = Vv Grafia di tratti Ogni carattere rappresenta, e riproduce in parte anche nella forma, una certa conformazione ar­ ticolatoria (v. § 2.1.2), e sta per il fono o i foni prodotti da tale conformazione. Un sistema di grafia di tratti è il coreano hangul. Si vedano qui di seguito i caratteri hangul per [n), [t]/[çl] e [k]/[Q): L [n] c [t ]/[çl] 1 [k]/[Q) Si può osservare come la forma di ciascuno di questi caratteri tenda a riprodurre analogicamente una particolare conformazione articolatoria: L ([n]) rappresenta l'innalzamento della parte an­ teriore della lingua verso i denti superiori (propria dei suoni dentali, v.§ 2.1.2.); l'aggiunta di un tratto orizzontale in C ([t]/[çl]) indica la chiusura totale del canale (propria dei suoni occlusivi, v.§ 2.1.2.); 7 ([k]/[g]) mostra l'innalzamento del dorso della lingua verso la zona posteriore del palato (propria dei suoni velari, v. § 2.1.2.). Invece le origini del linguaggio sono certamente molto più anti­ Le origini del linguaggio che. A prescindere dalle diverse ipotesi avanzate circa il modo in cui il linguaggio è sorto (la questione è molto complessa, e qui non vi accen­ niamo nemmeno), tutto porta in paleontologia a far risalire molto in­ dietro lungo l'albero genealogico degli ominidi l'origine del linguag­ gio verbale, sotto forma evidentemente parlata. È ipotizzabile infatti che qualche forma embrionale di comunicazione orale con segni lin­ guistici fosse già presente nell'Homo habilis e poi nell'Homo erectus (e quindi a partire da circa tre milioni di anni fa). Sicuramente il lin­ guaggio verbale era presente nell'Homo neanderthalensis (100-50.000 anni fa) e a fortiori nell'Homo sapiens sapiens, come schematizzato nella figura 1.3. Sembra infatti che nel processo evolutivo della specie umana già presso i nostri lontanissimi progenitori di molte centinaia di migliaia di anni fa esistessero almeno in nuce i prerequisiti biologici (anatomici, neurologici e cognitivi: cfr. § 1.3.12) necessari per il linguaggio verbale. Il canale fonico -acustico e l'uso parlato della lingua presentano Vantaggi d'altra parte tutta una serie di vantaggi biologici e funzionali rispetto al dell'oralità nel linguaggio canale visivo e all'uso scritto: a. purché vi sia presenza di aria (condizione che si dà sempre sul no­ stro pianeta), possono essere utilizzati in qualunque circostanza am- 20 La linguistica Fig.1.3 Linguaggio verbale >>>> Homo habilis =3.000.000 a. l Homo erectus =1.000.000 a. l Homo sapiens =500.000 a. Homo Homo neanderthalensis sapiens sapiens =100.000-30.000 a. bientale, e consentono la trasmissione anche in presenza di ostacoli fra emittente e ricevente e a (relativa) distanza (gli sviluppi nell'ul­ timo se. colo delle tecniche di riproduzione e trasmissione della voce consentono ai messaggi di viaggiare a qualunque distanza, e anche in assenza di aria); b. non ostacolano altre attività, possono essere utilizzati in concomi­ tanza con molte altre prestazioni fisiche e intellettive (mentre il ca­ nale grafico, almeno nella produzione, impegna totalmente l'attivi­ tà dell'individuo); sono quindi particolarmente adatti all'impiego del linguaggio per accompagnare e guidare le azioni; c. permettono la localizzazione della fonte di emittenza del messaggio; d. la ricezione è contemporanea alla produzione del messaggio, avvie­ ne in diretta; e. l'esecuzione parlata è più rapida di quella scritta;.f il messaggio può essere trasmesso simultaneamente a un gruppo di destinatari diversi e può essere colto da ogni direzione; g. il messaggio è evanescente, ha rapida dissolvenza, non permane a ingombrare il canale ma lascia subito libero il passaggio ad altri messaggi. Si noti però che questo vantaggio può essere in certi casi uno svantaggio: non per nulla un noto detto latino recita scripta ma­ nent, verba volant (''ciò che è scritto rimane, ciò che è detto vola via"). Da questo punto di vista, l'unico vantaggio evidente del cana­ le visivo sta appunto nella permanenza del messaggio nel tempo e nello spazio: il parlato è transeunte, lo scritto rimane, è stabile. h. l'energia specifica richiesta è molto ridotta, il parlare è concomitan­ te con la respirazione e ne può essere considerato entro certi termini un sottoprodotto specializzato. Dal punto di vista meramente fisio­ logico, infatti, appare evidente che il linguaggio verbale umano è dotato di 'specializzazione': il parlare, pur avvenendo in concomi­ tanza con particolari funzioni fisiologiche, non assolve alcun altro compito fisio-biologico che quello della comunicazione - non con­ tribuisce per esempio in nulla alla respirazione o all'alimentazione, che usufruiscono in parte degli stessi organi-, ed è quindi un'attivi­ tà altamente specializzata. ll linguaggio verbale 21 Nelle società moderne, tuttavia, lo scritto ha una priorità sociale: Priorità sociale dello scritto avere una forma scritta è un requisito indispensabile per una lingua evo­ luta, a pieno titolo; lo scritto ha maggiore importanza, prestigio e utili­ tà sociale e culturale; è lo strumento di fissazione e trasmissione del corpo legale, della tradizione culturale e letteraria e del sapere scienti­ fico; è il veicolo fondamentale dell'istruzione scolastica (l'importanza dell'alfabetismo è un cardine elementare indiscusso di ogni società ci­ vile); ha validità giuridica (si badi per esempio all'importanza della fir­ ma scritta della persona per ogni atto che abbia valore formale e legale), eccetera. Occorre ancora dire che d'altra parte la realizzazione parlata e quel­ la scritta dei segni linguistici non sono puramente diretta rappresenta­ zione l'una dell'altra. Lo scritto è nato come fissazione, trascrizione, raffigurazione 'solida', stabile, del parlato; ma si è poi sviluppato con aspetti e caratteri in parte propri: non tutto ciò che fa parte del parlato (per esempio, il tono di voce, la modulazione del discorso, in genere i tratti cosiddetti paralinguistici che accompagnano la comunicazione orale, ecc.) può essere reso e avere un corrispondente nello scritto; né tutto ciò che fa parte dello scritto (per esempio, uso delle maiuscole, di­ sposizione del testo sul foglio, ecc.) può essere reso e avere un corri­ spondente nel parlato. Insomma, parlato e scritto non sono semplice­ mente la traduzione l'uno dell'altro su supporti fisici diversi: la diversi­ tà del mezzo crea in parte dei caratteri strutturali diversi e irriducibili, che conferiscono sia all'uno che all'altro una certa quota di peculiarità. Del resto, anche il modo, le forme e le caratteristiche strutturali con cui una lingua si manifesta nel parlato sono in parte diversi rispetto al mo­ do, alle forme e alle caratteristiche strutturali con cui una lingua si ma­ nifesta nello scritto: ma su questo non possiamo soffermarci qui (cfr. § 7.2.2, variazione diamesica). 1.3.5 Linearità e discretezza Un'ulteriore proprietà dei segni linguistici, che è più propriamente an­ La Iinearità del segno ch'essa una caratteristica del significante, è la linearità. Per 'linearità linguistico del segno' si intende che il significante viene prodotto, si realizza e si sviluppa in successione nel tempo e/o nello spazio. Successione linea­ re tale che non possiamo decodificare il segno, capire completamente il messaggio se non dopo che siano stati attualizzati l'uno dopo l'altro tut­ ti gli elementi che lo costituiscono. Molti altri tipi di segni sono invece ·globali', vengono percepiti come un tutto simultaneamente. Es.: molti segnali stradali; il colore del semaforo; i gesti; eccetera. L'ordine in cui si susseguono le parti del segno è inoltre pertinente in modo fondamen­ tale per il significato del segno medesimo: Gianni chiama Maria e Ma­ ria chiama Gianni designano due stati di cose ben diversi (cfr. § 22 La linguistica La discretezza 1.3.10). La linearità implica anche monodimensionalità del segno, giac­ del segno ché il significante si sviluppa in una sola direzione; ed è una proprietà linguistico strutturale strettamente connessa con la doppia articolazione, nel senso che è una delle precondizioni che la rendono possibile. Sempre relativa in primo luogo al significante è la proprietà dei se­ gni linguistici di essere discreti. Per discretezza dei segni si intende il fatto che la differenza fra gli elementi, le unità della lingua, è assoluta, non quantitativa o relativa: in altre parole, le unità della lingua non co­ stituiscono una materia continua, senza limiti netti al proprio interno, ma c'è un confine preciso fra un elemento e un altro, che sono distinti e ben separabili l'uno dall'altro. In particolare, le classi di suoni sono ben separate le une dalle altre: pollo con la p e bollo con la b sono per esem­ pio due parole distinte che non hanno nulla in comune dal punto di vi­ sta del significato; un'eventuale pronuncia intermedia viene ricondotta a una delle due forme, o a pollo o a bollo, non è un'altra parola che vo­ glia dire qualcosa a metà fra pollo e bollo. Usando termini noti nella teoria della comunicazione, si può dire che i segni del linguaggio ver­ bale sono digitali, e non analogici. Una conseguenza interessante della discretezza (combinata con l'arbitrarietà radicale) è che nella lingua non possiamo intensificare il significante per intensificare corrispondentemente il significato allo stesso modo in cui lo facciamo per esempio con grida o interiezioni: mentre un ahi! detto piano a voce bassa indica un dolore minore che un AHI! gridato ad alta voce (e si può ritenere in linea di principio che più forte sia l'ahi! più forte sia il dolore, essendo questo un segno- non lin­ guistico- dotato di variazione continua), un GAATJOO detto a voce al­ ta e forte non è più "gatto" di gatto detto piano a voce bassa (l'intensi­ ficazione trasmette semmai valori emotivi, ma non tocca l'identifica­ zione del referente designato). Nella lingua, insomma, il significato non varia in proporzione al variare del significante, né viceversa. L' onnipotenza 1.3.6 Onnipotenza semantica, p/urifunzionalità e riflessività semantica Tocchiamo ora una proprietà generale del linguaggio verbale umano che lo contrassegna profondamente. Si tratta di quella che viene spesso chiamata onnipotenza semantica (anche: 'onniformatività', 'illimita­ tezza del campo d'azione'), che consisterebbe nel fatto che con la lin­ gua è possibile dare un'espressione a qualsiasi contenuto, per lo meno nel senso che un messaggio formulato in qualunque altro codice o si­ stema di segni sarebbe sempre traduci bile in lingua, ma non (ovvia­ mente) viceversa. Plurifunzionalità L' onnipotenza semantica si riferisce dunque, detto più semplice­ della lingua mente, al fatto che con la lingua si può parlare di tutto. Poiché però ri­ sulta a rigore difficilmente provabile che con la lingua si possa vera- ll linguaggio verbale 23 mente dire tutto e che davvero ogni messaggio in un qualunque altro modo di comunicazione possa essere tradotto compiutamente in un messaggio linguistico (si pensi per esempio a certe espressioni artisti­ che o musicali), è se non altro più prudente parlare piuttosto di pluri­ funzionalità, come proprietà tipica e spiccata della lingua. Per plurifunzionalità (o anche, se vogliamo, 'pluripotenza') si in­ tende che la lingua permette di adempiere a una lista molto ampia ( teo­ ricamente illimitata) di funzioni diverse. In linea di principio, le fun­ Funzioni zioni a cui serve la lingua formano una lista aperta. Fra le più evidenti della lingua e rilevanti, si possono comunque menzionare: a. l'esprimere il pensiero (dando una forma esterna a contenuti menta­ li). La concezione della lingua fondamentalmente come riflessione del pensiero, ben presente nel pensiero filosofico fin dalla classicità, contrassegna in modo deciso alcune fra le più importanti correnti teoriche della linguistica contemporanea, per esempio la linguistica generativa (cfr. §§ 4.4 e 8.2.2); altre correnti della linguistica mo­ derna e contemporanea privilegiano invece come fondamentale la funzione della lingua come strumento di comunicazione (e quindi b e c sotto); h. il trasmettere informazioni; c. l'instaurare, mantenere, regolare, ecc. attività cooperative e rappor­ ti sociali; d. il manifestare, esternare i propri sentimenti e stati d'animo; e. il risolvere problemi (si pensi all'impiego scientifico della lingua; ma non solo); f il creare mondi possibili (si pensi all'impiego letterario; ma non so­ lo); eccetera. Occorre a questo punto, a proposito di funzioni della lingua, fare un Lo schema cenno a un modello di classificazione molto noto. Si tratta dello schema diJakobson proposto da R. Jakobson (cfr. § 8.2.2), che identifica sei (classi di) fun­ zioni, sulla base di un modello generale dell'evento comunicativo. L'in­ staurarsi della comunicazione implica a ben vedere la presenza di al­ meno sei fattori, e a ciascuno di essi può essere collegata una funzione (o classe di funzioni), come risulta dallo schema della figura 1.4. Ogni funzione sarebbe incentrata su uno dei sei fattori, che costi­ tuisce anche il criterio di riconoscimento della funzione: un messaggio linguistico volto specificamente ad esprimere sensazioni del parlante avrebbe prevalente funzione emotiva o 'espressiva' (es.: che bella sor­ Funzione presa!); uno volto a specificare aspetti del codice o a calibrare il mes­ emotiva saggio sul codice avrebbe prevalente funzione metalinguistica (Gian­ Funzione ni è il soggetto della frase Gianni corre; ho detto pollo, con due elle, e metalinguistica 24 La linguistica Fig.1.4 canale (o contatto) >>>> (F. FÀTICA) emittente messaggio ricevente (F. EMOTIVA, O ESPRESSIVA) (F. POETICA) (F. CONATIVA) codice (F. METALINGUISTICA) non polo!; gatto è una parola di cinque lettere); uno volto a fornire in­ Funzione formazioni sulla realtà esterna avrebbe prevalente funzione referenzia­ referenziale le o 'denotativa' (l' intercity per Milano Centrale delle quindici e venti è in partenza dal binario due; esistono piante carnivore); uno volto a far agire in qualche modo il ricevente, ottenendo da lui un certo com­ Funzione portamento, avrebbe prevalente funzione conativa (dal verbo latino co­ conativa nor, inf. conari, "sforzarsi, darsi da fare") (chiudi la porta!); uno volto a verificare e sottolineare il canale di comunicazione e/o il contatto fi­ Funzione fàtica sico o psicologico fra i parlanti avrebbe prevalente funzione fàtica (dal verbo latino far, inf.fari, "parlare": quindi, funzione relativa al parlare in sé) (pronto?; ciao, Gianni!); uno volto ad esplicitare, mettere in ri­ lievo e sfruttare le potenzialità insite nel messaggio e i caratteri interni Funzione del significante e del significato avrebbe prevalente funzione poetica poetica (la gloria di Colui che tutto move l per l'universo penetra e risplende l in una parte più e meno altrove, Dante, Paradiso, I, 1-3; ambarabbà cicd coccò, tre civette sul comò). Si noti che per precisione occorre di­ re sempre 'funzione prevalente', giacché, essendo i sei fattori succitati in genere sempre presenti in ogni atto di comunicazione linguistica, ogni messaggio realizza in linea di principio tutte e sei le funzioni con­ temporaneamente; una delle funzioni (o anche più di una funzione) è però di norma chiaramente predominante, ed è quella che qualifica fun­ zionalmente il messaggio come realizzazione specifica di una delle sei funzioni. Rifacendoci alla funzione metalinguistica nel modello di Jakobson, possiamo osservare un importante corollario dell'onnipotenza o pluri­ funzionalità della lingua: con la lingua si può parlare della lingua stes­ Metalingua sa (es.: gatto è un sostantivo singolare), o, come si usa dire con termi­ e proprietà nologia più tecnica, la lingua si può usare come metalingua (o 'meta­ riflessiva del linguaggio linguaggio'); la lingua di cui parla la metalingua viene in tal caso chia- l l linguaggio verbale 25 mata 'lingua-oggetto'(nell'esempio sopra gatto è un termine della lin­ gua-oggetto che diventa nella metalingua segno di sé stesso). A tale proprietà viene spesso dato il nome di riflessività. La riflessività è veramente unica e caratterizzante del linguaggio verbale umano: non sembra che esistano altri codici di comunicazione che consentano di formulare messaggi su sé stessi, che abbiano come oggetto il codice di comunicazione medesimo. Varrà anche la pena di notare che la capacità metalinguistica si sviluppa tardi nel bambino che apprende la lingua: a sei anni, per esempio, risulta ancora del tutto nor­ male che alla richiesta "dimmi una parola lunga" un bambino risponda treno, confondendo parole e cose. 1.3. 7 Produttività e ricorsività Un'altra proprietà della lingua a cui si fa spesso riferimento, e che è connessa da un lato con la doppia articolazione e dall'altro con l'anni­ potenza semantica, è la produttività(anche: 'apertura', 'non finitezza', La produttività della lingua 'creatività', e 'produttività illimitata'). Con questo termine si allude al fatto che con la lingua è sempre possibile creare nuovi messaggi, mai prodotti prima, e parlare di cose nuove e nuove esperienze, mai speri­ mentate prima, o anche di cose inesistenti(la lingua non è limitata a co­ dificare il mondo esistente, né un campo di esperienza stabilito a prio­ ri). Più precisamente, con la lingua da un lato è possibile produrre mes­ saggi sempre nuovi, in quanto combinano in una nuova maniera signi­ ficanti e significati, e dali'altro è possibile associare messaggi già usati a situazioni nuove, non prodottesi prima. La produttività è resa possibile in prima istanza dalla doppia artico­ lazione, che, come abbiamo visto(§ 1.3.3) permette una combinatorie­ tà illimitata di unità più piccole, formanti un sistema chiuso, in unità via via più grandi e in numero teoricamente infinito, come riassunto dallo schema della figura 1.5. La produttività o apertura del sistema linguistico prende più preci­ samente la forma di quella che è stata chiamata creatività regolare (o La creatività regolare 'creatività retta da regole'), vale a dire una produttività infinita basata su un numero limitato di princìpi e regole in genere dalla forma(molto) semplice applicabili ricorsivamente. La ricorsività è posseduta in ma­ La ricorsività niera evidente dalla lingua ed è una proprietà formale molto importan­ te della lingua; e significa che uno stesso procedimento è riapplicabile un numero teoricamente illimitato di volte, se sono date le condizioni in cui questo si applica; un'istruzione di procedura per ottenere un certo prodotto è riapplicabile al proprio prodotto o risultato. Un esempio: da una parola posso ricavarne un'altra mediante l'aggiunta di un suffisso (si veda oltre, § 3.2), e questa regola di suffissazione è ricorsiva(dalla parola ottenuta mediante aggiunta di un suffisso posso ottenere un'altra 26 La linguistica Fig.l.S unità minime unità minime di 2" artic. di 1" artic. parole frasi )) )) L si combinano in JL si combinano in _jl si combinano in J poche tante tantissime In numero Illimitato (inventario chiuso; sistema -------_... (inventario aperto) chiuso) parola, più complessa, attraverso lo stesso procedimento di aggiunta di un suffisso, e così via): da atto, per esempio, si ha attuale, da attuale si ha attualizzare, da attualizzare si ha attualizzabile, da attualizzabile si ha attualizzabilità. Un altro esempio: Gianni corre; Mario vede che Gianni corre; Luisa dice che Mario vede che Gianni corre; ecc.: co­ struisco una frase compiuta con un nome e un verbo, e da questa posso ottenere frasi via via più complesse inserendo la frase di partenza e le frasi che successivamente ottengo in un'altra frase più ampia che le contiene. L'applicazione della ricorsività è, come si è detto, in teoria il­ limitata: il limite, che fa sì che di fatto non si costruiscano parole o fra­ si al di là di un certo grado di lunghezza e complessità- cioè, che con­ tengano più di un certo numero di riapplicazioni dello stesso procedi­ mento -, sta nell'utente, e non nel sistema linguistico. Oltre un certo grado di lunghezza e complessità, il segno non sarebbe più economica­ mente maneggiabile, provocherebbe grossi problemi nella memorizza­ zione, elaborazione e processazione del messaggio. In questo senso, noi parlanti siamo utenti finiti di un sistema infinito. 1.3.8 Distanziamento e libertà da stimoli Un'altra proprietà del linguaggio verbale umano, che a ben vedere non è altro che un ulteriore corollario dell'onnipotenza semantica, è stata Il distanziamento chiamata distanziamento. Si tratta di una proprietà che riguarda il mo­ do di significazione della lingua e che ha una notevole importanza, so­ prattutto per quanto concerne la differenza fra il linguaggio umano e i sistemi di comunicazione animali. Infatti per distanziamento si intende la possibilità, insita inerentemente nella lingua, di poter formulare mes­ saggi relativi a cose lontane, distanti nel tempo, nello spazio o in en­ trambi dal momento e dal luogo in cui si svolge l'interazione comuni­ cativa o viene prodotto il messaggio. Anzi, mentre ad esempio il mio gatto può comunicarmi miagolando che ha fame e vuole mangiare, ma non può comunicarmi con nessun miagolìo (in nessun modo) che ieri aveva fame, con la lingua noi di solito parliamo appunto di cose non pr

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