Economia e Organizzazione Aziendale PDF
Document Details
Uploaded by Deleted User
Tags
Related
- Lezione 1_Significato di organizzazione e progettazione organizzativa PDF
- Organizzazione del Lavoro e Modelli Organizzativi Tradizionali PDF
- Geografia dell'Economia Mondiale 2 PDF
- Riassunti Libro Prima Parte PDF
- Sistemi Informativi avanzati per il business PDF
- L'imprenditore e i caratteri dell'attività imprenditoriale PDF
Summary
Il documento descrive i concetti di bisogni, attività economica e istituti in ambito economico. Vengono presentati diversi tipi di istituti e le relative aziende e processi economici, con una particolare analisi sulle famiglie, le imprese, lo Stato e gli istituti non-profit. Il testo approfondisce le differenze tra istituti e aziende, delineando le finalità e i portatori di interessi economici.
Full Transcript
LE PERSONE, L'ATTIVITÀ ECONOMICA, L'ECONOMIA AZIENDALE Le persone perseguono molteplici fini e il perseguimento dei fini suscita dei bisogni. Per soddisfare i bisogni occorrono beni economici. Un bisogno è un’esigenza di un bene necessario agli scopi della vita, dunque il bisogno consiste in un sens...
LE PERSONE, L'ATTIVITÀ ECONOMICA, L'ECONOMIA AZIENDALE Le persone perseguono molteplici fini e il perseguimento dei fini suscita dei bisogni. Per soddisfare i bisogni occorrono beni economici. Un bisogno è un’esigenza di un bene necessario agli scopi della vita, dunque il bisogno consiste in un senso di mancanza. Ogni teoria economica si fonda su una teoria dei bisogni. In tal senso va considerato che esistono bisogni di diverso tipo come ad esempio bisogni naturali, bisogni sociali, etici, estetici e religiosi. E poi possibile suddividere i bisogni in essenziali o primari e in voluttuari o secondari. I beni economici sono merci (tangibili) e servizi (intangibili, oggi si parla di società dei servizi) utili per il soddisfacimento dei bisogni e scarsi rispetto alle esigenze delle persone. Essi si distinguono dai beni non economici o non liberi, i quali non sono scarsi, infatti sono liberamente disponibili in quantità e qualità sufficienti per tutti. È possibile classificare in più modi i beni economici: primari o voluttuari, complementari o fungibili, differenziabili o non differenziabili (commodity), di consumo o strumentali, a utilizzo singolo o durevoli, a consumo individuale o a consumo collettivo, privati o pubblici. Le persone svolgono l’attività economica, che consiste nello svolgimento di operazioni volte a produrre e consumare i beni economici. L’attività economica si manifesta prioritariamente nel lavoro ed è svolta dalle persone per le persone. Le persone sono membri di istituti, come le famiglie, le imprese, lo stato, gli istituti no profit. L’attività economica si svolge mediante varie classi di operazioni: Operazioni di trasformazione tecnica (fisica, spaziale, logica) delle materie prime, degli impianti, dei dati, delle conoscenze ecc. Operazioni di negoziazione di beni privati e pubblici, di lavoro, di capitali, di coperture di rischi Operazioni di configurazione e di governo degli istituti. In queste operazioni rientrano la configurazione dell’assetto istituzionale, l’organizzazione, la rilevazione e l’informazione. La produzione economica è un insieme di operazioni attraverso cui i beni sono trasformati attraverso l’impiego di energie umane e materiali in modo da renderli idonei a soddisfare i bisogni. La produzione economica può consistere in: produzione di merci, come nel caso delle imprese manifatturiere produzione di servizi, come nel caso delle imprese di trasporti, delle imprese turistiche, delle imprese di consulenza, delle imprese riguardanti la salute oppure l'istruzione svolgimento di negoziazioni di beni, come nel caso delle imprese commerciali, di capitali, come nel caso delle banche e degli altri intermediari finanziari, oppure di rischi come nel caso delle compagnie di assicurazione Il fine delle imprese è la produzione di remunerazioni. Le persone costituiscono e partecipano alle imprese per ottenere remunerazioni, in particolare remunerazioni del lavoro e remunerazioni del capitale proprio. Il mezzo attraverso cui esse ottengono remunerazioni e la produzione economica. L’attività economica si svolge attraverso l’impiego di condizioni di produzione o fattori di produzione, come ad esempio materie prime, componenti, servizi forniti da terzi, immobili, impianti, macchinari, attrezzi, lavoro, terra, beni pubblici, beni liberi. I beni pubblici sono beni non escludibili, dunque l’utilizzo da parte di un soggetto non impedisce l’uso altrui, sono i beni di proprietà dello Stato o delle sue articolazioni. I beni liberi invece sono quei beni che non hanno costo (es. aria). Il lavoro e il capitale risparmio sono due condizioni di produzione qualificabili come primarie. Va poi considerato che bisogna distinguere la persona umana e l’homo oeconomicus. L’homo oeconomicus è autonomo, egoista, motivato solo da redditi e ricchezza è in grado di valutare tutto secondo razionalità assoluta. La persona umana invece è un membro di società umane, svolge l’attività economica come mezzo e non come fine, opera secondo razionalità ma la sua razionalità è limitata, dà valore alla solidarietà, alla lealtà e al progresso. Le persone agiscono in modo da massimizzare il proprio benessere individuale, che però non consiste soltanto nel benessere materiale. Il comportamento delle persone è previdente e coerente nel tempo ed è inoltre razionale. Va poi considerato però che le scelte sono influenzate dal capitale personale (esperienze passate, consumi passati, abitudini e dipendenze personale) e dal capitale sociale (caratteristiche delle persone con cui si interagisce, inclusa la cultura). Va considerato che il comportamento delle singole persone è fortemente influenzato dall’appartenenza a gruppi sociali e a collettività umane. I membri dei gruppi sociali devono rispettare le relative regole di comportamento, cioè le norme del gruppo. Inoltre attorno ad ogni persona che occupa una certa posizione in una collettività umana si forma un sistema di attese di comportamento, cioè il ruolo, che influenza fortemente il comportamento della persona. Il garbage can model è un modello che rappresenta una modalità decisionale di gruppo nell’ambito aziendale. L’organizzazione è intesa come una “pattumiera” in cui troviamo i problemi a cui dare una soluzione, le possibili soluzioni e le persone che devono fare la scelta. I 4 elementi del contenitore che influenzano la decisione sono: i problemi, le soluzioni, i partecipanti e le opportunità di scelta. L’idea è che il processo decisionale è confuso, poiché problemi e soluzioni vengono estratti dal contenitore in maniera del tutto casuale, le preferenze individuali sono incerte, le relazioni causa-effetto non sono chiare, e la partecipazione nel prendere decisioni è fluida. Il motivo per cui le società umane esistono è la cooperazione, la quale produce la rendita organizzativa che spetta a tutti coloro che hanno cooperato. L’imperfetta conoscibilità degli input, dei comportamenti e degli output da però spazio a comportamenti opportunistici, che sono allo stesso tempo la causa e l’effetto della sfiducia negli altri. La fiducia dunque nasce da ripetuti e comportamenti leali e cooperativi. Va considerato che le persone adottano anche comportamenti altruistici, i quali producono un vantaggio per gli altri è un sacrificio per sé. I comportamenti altruistici sono funzionali alla massimizzazione del benessere personale. Si parla in tal senso di profezie autoverificanti, che sono alla base della teoria x e della teoria y elaborate da Douglas McGregor. L’economia aziendale è complementare all’economia politica ed è orientata al cambiamento e alla ricerca di modalità migliori di svolgimento dell’attività economica. Essa vuole combinare l’innovazione tecnologica con l’innovazione economica e vuole contribuire al progresso economico come strumento di progresso civile. Essa adotta il principio dell’unitarietà nello studio dei fenomeni aziendali. Il principale obiettivo dell’economia è massimizzare la disponibilità delle risorse scarse e l’innovazione economica. GLI ISTITUTI, LE AZIENDE E LA SPECIALIZZAZIONE ECONOMICA Ciascuna persona partecipa a più società umane di varia natura come ad esempio le famiglie, lo stato, gli istituti pubblici, la chiesa, l’imprese, i partiti politici, i sindacati di lavoratori, le associazioni di beneficenza ecc. Ogni società umana persegue il bene comune dei suoi membri che è il prodotto della cooperazione. Le istituzioni sono modelli e regole di comportamento adottati da vaste collettività umane. Gli istituti invece sono le società umane che assumono caratteri di istituzioni. Sono esempi di istituti le famiglie, le imprese, i partiti, lo stato ecc. Gli istituti sono duraturi, dinamici, unitari e autonomi. Essi perseguono il bene comune, in quanto appunto si tratta di società umane. In tal senso va considerato che spesso nelle scienze sociali si parla di famiglie, intese come società umane naturali, e di organizzazioni, intese come società umane progettate. Nell’ambito dell’economia aziendale si usa invece il termine istituti per riferirsi sia le famiglie sia le organizzazioni. A livello di istituto si manifestano due fenomeni economici fondamentali: La rendita organizzativa: essa è il frutto della cooperazione intelligente di più persone volte allo stesso fine. Con l’azione organizzativa è possibile infatti ottenere un vantaggio economico maggiore rispetto a quello che si potrebbe ottenere con un’azione isolata e opportunistica. Va poi considerato che la rendita organizzativa deve poi essere ripartita tra tutti coloro che hanno operato. Il risultato residuale: esso è il frutto della cooperazione e dell'incertezza ed è quanto residua ex post dopo aver remunerato tutti sulla base dei patti ex ante. Il risultato residuale può essere positivo o negativo e per scegliere a chi spetta ci sono varie soluzioni. Chiaramente la soluzione scelta influenza direttamente la struttura di governo dell’istituto. L’economia aziendale si occupa delle quattro classi istituti nei quali si svolge una rilevante attività economica: 1. le famiglie 2. le imprese 3. lo stato e gli istituti pubblici 4. gli istituti no profit In particolar modo l’economia aziendale studia le aziende, cioè l'ordine strettamente economico degli istituti: 1. L’azienda di consumo e di gestione patrimoniale familiare 2. L'azienda di produzione 3. L'azienda composta pubblica (dove composta significa che produce i consuma allo stesso tempo) 4. L’azienda no profit Nell’ambito delle varie classi di istituti è possibile distinguere alcuni caratteri essenziali. tale distinzione è utile ai fini dell’analisi economica: Le finalità dominanti: è possibile distinguere quelle di ordine economico e quelle di ordine non economico Il fine economico immediato: esso consiste nel soddisfacimento dei bisogni di alcune categorie di persone I portatori di interessi economici istituzionali, cioè degli interessi economici primari I portatori di interessi economici non istituzionali, cioè gli interessi di altri che non appartengono all’istituto I processi economici caratteristici L’istituto: la famiglia L’azienda: l’azienda familiare di consumo e di gestione patrimoniale Le finalità dominanti: sociali, etiche, religiose Il fine economico immediato: appagamento dei bisogni dei membri della famiglia I portatori di interessi economici istituzionali: tutti i componenti della famiglia I portatori di interessi economici non istituzionali: altre famiglie legate da parentela, prestatori di lavoro domestico ecc. I processi economici caratteristici: consumi, gestione patrimoniale, lavoro, studio L’istituto: l’impresa L’azienda: l’azienda di produzione Le finalità dominanti: economiche Il fine economico immediato: produzione di remunerazioni monetarie e di altra natura I portatori di interessi economici istituzionali: di regola i prestatori di lavoro e i conferenti di capitale di rischio I portatori di interessi economici non istituzionali: fornitori, clienti, conferenti di capitale di prestito, Stato I processi economici caratteristici: trasformazioni tecniche, negoziazioni di beni, di credito, di rischi. L’istituto: lo stato, gli istituti pubblici L’azienda: l’azienda composta (di produzione e di consumo) pubblica Le finalità dominanti: sociali e morali Il fine economico immediato: produzione e consumo di beni pubblici e remunerazione del lavoro I portatori di interessi economici istituzionali: tutti i componenti dell’entità politica e i prestatori di lavoro I portatori di interessi economici non istituzionali: fornitori, conferenti di capitale di prestito, altri istituti pubblici ecc. I processi economici caratteristici: produzione e consumo di beni pubblici, raccolta di tributi L’istituto: l’istituto non-profit L’azienda: l’azienda non-profit Le finalità dominanti: sociali, morali, culturali Il fine economico immediato: appagamento dei bisogni di associati, fruitori escludibili, collettività generale e remunerazioni del lavoro. I portatori di interessi economici istituzionali: varie combinazioni di associati, donatori, Stato, prestatori di lavoro I portatori di interessi economici non istituzionali: fornitori, conferenti di capitale di prestito, Stato, “clienti”. I processi economici caratteristici: produzione (o produzione e consumo) di beni L’attività economica si svolge in istituti di natura molto varia, fortemente differenziati. Essa infatti si svolge in famiglie, ed imprese grandi e piccole, in imprese pubbliche e private, in istituti pubblici di varia specie, in associazioni ecc. E’ possibile identificare 4 modelli economici principali: a) Il modello dell’autoconsumo b) Il modello atomistico di mercato c) Il modello della gerarchia totale d) Il modello della pluralità di istituti specializzati La specializzazione Molte caratteristiche dei sistemi economici moderni sono frutto della specializzazione economica. La specializzazione è un fenomeno pervasivo che si manifesta in tutte le attività umane a vari livelli: specializzazione delle macroclassi di istituti specializzazione tra gli istituti di ciascuna macroclasse specializzazione all’interno di ciascun istituto La specializzazione produce vantaggi, denominati economie di specializzazione, esprimibili in termini di riduzione dei tempi, degli sforzi e dei costi richiesti per lo svolgimento dell’attività economica e di miglioramento della qualità degli output dell’attività economica. Le economie di specializzazione hanno varie origini, denominate fonti delle economie di specializzazione. Sono esempi l’apprendimento da ripetizione (destrezza, scoperta, repertorio di soluzioni), l’impiego ottimale delle limitate e disomogenee competenze individuali, la differenziazione degli orientamenti manageriali e tecnici in relazione ad attività disomogenee, la riduzione dei costi di apprestamento e di passaggio tra le fasi, le migliori performance degli impianti specializzati, la motivazione da identificazione. La specializzazione può indurre anche svantaggi, cioè diseconomie di specializzazione, come i maggiori costi di coordinamento, la rigidità degli investimenti specifici o specializzati, la demotivazione da parcellizzazione. Quanto più grandi sono le unità produttive (stabilimenti, laboratori, punti di vendita, ecc.) tanto maggiori sono le possibilità di specializzare l’attività, il lavoro, gli impianti, ecc. Gli istituti (in particolare le imprese) tendono a crescere dimensionalmente per poter realizzare grandi economie di specializzazione, che sono un sottoinsieme delle economie di scala. Gli spazi di possibile specializzazione crescono al crescere dei mercati, perché le imprese possono diventare più grandi e specializzarsi maggiormente al proprio interno, e al crescere della ricchezza della conoscenza. Quanto maggiori sono le previste dimensioni del mercato, tanto maggiori sono gli incentivi per gli investimenti in ricerca e sviluppo. In tal modo si arricchiscono le conoscenze e si ampliano le possibilità di specializzazione. LE COMBINAZIONI ECONOMICHE DI ISTITUTO L’economia aziendale si occupa delle azioni e dei fenomeni che si manifestano nell’azienda e nel suo ambiente, dunque si occupa delle attività interne di produzione di vendita, dei comportamenti dei clienti e dei fornitori, delle variazioni della normativa economica ecc. Va considerato che le azioni e i fenomeni possono essere economici e non economici. Gli accadimenti economici sono quelli che modificano la struttura aziendale o il sistema di valori economici, mentre quelli non economici non apportano tali modifiche. Si parla di creano il cosiddetto sistema degli accadimenti. Nell’ambito del sistema degli accadimenti di ciascun istituto una posizione centrale è occupata dalle combinazioni economiche generali, le quali sono date dall’insieme complessivo delle operazioni economiche svolte dalle persone all’interno di un istituto. Per poter capire l’economia degli istituti (per capire come si formano i costi ricavi, perché è come se hanno utili o perdite, perché ci si deve indebitare oppure no ecc) è essenziale saper analizzare la struttura o articolazione delle combinazioni economiche. Per analizzare l’articolazione delle combinazioni economiche è innanzitutto opportuno ricorrere ad alcuni concetti chiave: Le coordinazioni economiche parziali, dette anche funzioni: si tratta di insiemi di processi caratterizzati da una funzione e da un insieme di competenze specialistiche volte allo svolgimento della stessa. Si tratta dunque di operazioni con lo stesso scopo e simili tra loro. Es. la coordinazione parziale “ricerca e sviluppo” è l'insieme delle attività che hanno la funzione di ideare e sviluppare nuovi prodotti e nuovi processi produttivi. Essa si svolge utilizzando particolari competenze di progettazione virgola di calcolo virgola di prova ecc. Le coordinazioni parziali di tutte le imprese sono poi riconducibili a classi e sottoclassi: o Configurazione dell’assetto istituzionale: le attività di configurazione dell’assetto istituzionale sono le operazioni che determinano la nascita, il disegno di base, le trasformazioni e la cessazione dell’istituto. La configurazione dell'assetto istituzionale va ad influenzare tutte le altre classi di operazioni, cioè la gestione, l’organizzazione e la rilevazione. o Gestione: la gestione e il vasto insieme di operazioni attraverso cui l’impresa attua direttamente la produzione economica, cioè attraverso cui progetta, acquista, trasforma e vende. La gestione e poi scomponibile in 5 insiemi di attività: - gestione caratteristica: è l’insieme delle operazioni di gestione che identificano la funzione economico tecnica tipica di ciascuna impresa. Queste operazioni sono quelle che suscitano la gran parte dei costi e dei ricavi dell’impresa. Si tratta di una gestione attiva, che quando ben condotta produce un risultato reddituale positivo, il reddito operativo della gestione caratteristica. Es. Nelle imprese manifatturiere la gestione caratteristica si articola nelle operazioni di ricerca e sviluppo, acquisto di merci e servizi destinati alla produzione, fabbricazione, commercializzazione e logistica. - gestione finanziaria: è l’insieme delle operazioni volte a coprire il fabbisogno finanziario, cioè il fabbisogno di mezzi monetari necessari per avviare l’impresa e per sostenerne lo sviluppo. Il fabbisogno finanziario nasce perché di regola nelle imprese gli incassi derivanti dalle vendite si manifestano successivamente ai pagamenti derivanti dagli acquisti. Il fabbisogno finanziario si copre ricorrendo a capitale proprio o di rischio e a capitale di prestito (es. mutui, obbligazioni). Si tratta di una gestione passiva, infatti comporta interessi passivi sul capitale di terzi e rimunerazioni del capitale proprio. - gestione patrimoniale: può capitare che per un certo periodo di tempo un'impresa disponga di mezzi monetari eccedenti rispetto a quanto richiesto dalla gestione caratteristica. In questi casi si attiva la gestione patrimoniale, che consiste nell'investimento di tali mezzi monetari allo scopo di trarne un reddito. L’investimento può consistere ad esempio nell’acquisto di titoli di Stato o di azioni di altre imprese. In linea di principio si tratta di una gestione attiva, ma talvolta può provocare delle perdite, ad esempio per quotazioni decrescenti delle azioni acquistate. - gestione assicurativa: consiste nella copertura dei rischi particolari d’impresa mediante la sottoscrizione di contratti di assicurazione (negoziazioni di rischi particolari). Sono esempi di rischi particolari i furti, gli incendi, i danni a terzi ecc. I rischi coperti possono derivare dalla gestione caratteristica e dalle gestioni patrimoniale e finanziaria. Si tratta di una gestione tipicamente passiva, che comporta il costo dei premi assicurativi ed indennizzi solo a fronte di equivalenti danni. - gestione tributaria: consiste nella liquidazione e nel pagamento della vasta gamma di tributi che le imprese devono allo stato e agli altri enti pubblici a fronte dei beni pubblici ricevuti. Gli oneri tributari sono suscitati sia dalla gestione caratteristica sia dalle gestioni patrimoniale e finanziaria. Differenti scelte di impresa determinano differenti combinazioni e livelli di tributi da corrispondere. Si tratta di una gestione tipicamente passiva, in quanto comporta solo oneri tributari. Tutte le gestioni, con i loro costi e ricavi, concorrono a determinare il risultato dell'impresa. Il peso delle varie gestioni può variare nel determinare l’utile o la perdita. Analogamente, tutte le gestioni concorrono a determinare i flussi monetari complessivi dell’impresa e la sua solvibilità. Il profilo reddittuale e il profilo monetario sono strettamente connessi, ma non coincidono. o Organizzazione: Essa si compone di due grandi classi di attività: - la progettazione dell’assetto organizzativo: ciò ricomprende la struttura organizzativa (chi fa cosa, chi dipende da chi) e i sistemi operativi (come si formulano i piani aziendali, come si gestiscono le persone, come fruiscono le informazioni). - la gestione del personale o dei prestatori di lavoro (ricerca e selezione, valutazione, retribuzione, carriera). non si può avere un’azienda che funziona se le persone sono demotivate. o Rilevazione: le operazioni di rilevazione sono attività di raccolta, elaborazione, conservazione e diffusione dei dati e delle informazioni e servono per supportare le scelte dei decisori sia interni sia esterni all’azienda. In questo ambito rientrano la contabilità generale, la contabilità analitica, i sistemi informativi direzionali ecc. Le combinazioni economiche parziali ed elementari, dette anche aree di affari nell'ambito delle imprese: una combinazione economica parziale è definita da una certa gamma di prodotti destinata a un certo mercato, dunque si parla anche di combinazione prodotto-mercato. Un’azienda può operare contemporaneamente in più aree d’affari (es. quotidiani di informazione, riviste sportive, riviste di moda, libri scolastici, libri di narrativa ecc.). Per quanto distinte, le combinazioni economiche parziali di un’impresa sono sempre strettamente connesse. Le negoziazioni: tutte le attività comportano lo svolgimento di attività interne e di attività esterne, ossia di relazioni con altri istituti. Tra le attività esterne sono importanti le negoziazioni, che servono per acquisire le condizioni di produzione e per cedere i prodotti e le condizioni di produzione. Le grandi classi di negoziazioni svolte dalle imprese sono le negoziazioni di beni privati, di beni pubblici, di lavoro, di capitale di rischio, di capitale di prestito, di rischi particolari. Le negoziazioni reali non si svolgono mai in condizioni di perfetta trasparenza, conoscenza, lealtà ed equilibrio di potere tra le parti. In tal senso va infatti tenuto conto dei costi di transazione, delle asimmetrie informative, degli investimenti specifici e della forza contrattuale. GLI ASSETTI ISTITUZIONALI Secondo uno schema di analisi generale ogni istituto è visto come un insieme di soggetti, che offrono contributi e che per tale motivo ricevono ricompense o traggono benefici. Nel loro insieme tali soggetti configurano i portatori di interessi (stakeholders). L’analisi dell’assetto istituzionale è importante per valutare la capacità di un istituto di perdurare nel tempo. Per la vita duratura di un istituto è essenziale che si abbia un governo unitario, dunque i contributi di tutti i soggetti devono essere combinati secondo un disegno unitario e la responsabilità delle decisioni ultime dev’essere attribuita a uno e un solo organo, secondo un principio di unità di comando. Per realizzare un efficace governo di un istituto, occorre operare tre insiemi di scelte fondamentali: 1. definire il soggetto d’istituto: decidere a quali insiemi di soggetti assegnare il diritto e il dovere di governare, direttamente o tramite propri rappresentanti 2. definire i fini istituzionali: esplicitare a quali finalità e obiettivi debba ispirarsi l’azione del soggetto d’istituto 3. definire la struttura di governo: configurare gli organi e i meccanismi di governo che consentano un’efficace azione dei soggetti deputati a governare Esempio: Istituto = università statale degli studi di milano Soggetto d’istituto = i docenti, il personale amministrativo e gli studenti Fine istituzionale = diffondere cultura, preparare i migliori laureati, dare servizi di qualità alla collettività, Struttura di governo = es. eleggere il rettore dal basso o dall’alto attraverso un consiglio di amministrazione Il soggetto d’istituto L’assetto istituzionale è la configurazione dei portatori di interessi nei confronti dell’istituto, dei contributi che tali soggetti forniscono all’azienda, delle ricompense e dei benefici che ne ottengono, del soggetto d’istituto, dei fini istituzionali e delle strutture di governo che regolano in equilibrio dinamico di lungo periodo le relazioni tra i portatori di interessi, i contributi e le ricompense. Attorno a ciascun istituto si configura sempre una vasta gamma di interessi di varia natura: interessi economici, sociali, morali. È chiaro che in ogni istituto ci sono degli interessi prevalenti, ad esempio in un’impresa prevalgono gli interessi economici, in una famiglia quelli morali e nello stato e negli istituti no-profit quelli sociali. I vari insiemi di interessi sono parzialmente in competizione tra loro, ad esempio sono in contrasto gli interessi dei conferenti di capitali di rischio con quelli dei lavoratori, gli interessi dei maggiori azionisti con quelli dei minori azionisti, gli interesi dei fornitori con quelli dei clienti. I contributi provenienti dai vari soggetti sono complementari, ma si possono manifestare anche parziali fungibilità (es. per un conferente di capitale di prestito può essere indifferente al ricevere capitale da una banca o da un’altra). Inoltre le condizioni di scambio, cioè le relazioni tra contributi e ricompense, non sono sempre simmetriche, dunque in alcuni casi si ha una strutturale asimmetria tra ciò che il soggetto dà e ciò che il soggetto riceve, ad esempio nel caso delle donazioni o del lavoro di volontariato. Le varie relazioni sono caratterizzate dai rapporti di forza contrattuale che dipendono dal grado di concentrazione della domanda e dell’offerta, dagli investimenti specifici eventualmente in atto, dall’asimmetria informativa tra le parti. Molte delle attese dei soggetti in gioco sono implicite e non dichiarate, ma sottintese ai valori e alle consuetudini in essere (es. quando l’impresa ha dimensioni tali da influenzare l’economia dell’area locale la comunità locale ha attese non esplicitate verso l’impresa in termini di occupazione, sviluppo e attrattività). L’integrazione tra i diversi portatori di interessi è condizione necessaria per garantire agli istituti una vita economica duratura. L’integrazione dinamica dei contributi dei vari soggetti (cooperazione e coordinamento) consente di ridurre i costi di transazione con i soggetti esterni e di conseguenza di ridurre anche i prezzi-costo degli input. Questo perché l’integrazione dei contributi riduce il numero e la complessità delle transazioni, che per loro natura implicano dei costi. L’integrazione tra soggetti da anche luogo a relazioni di fiducia, il che determina un impegno elevato e la soddisfazione dei bisogni di socialità e processi di apprendimento collettivo. L’integrazione tra i soggetti presenta ostacoli (es. obiettivi differenti in merito alla combinazione ottimale di risorse, diverse propensioni al rischio, competizione tra soggetti per ottenere le rimunerazioni) e leve (es. la definizione degli organi massimi di governo, la definizione dei soggetti cui attribuire i risultati residuali, la progettazione attenta dell’assetto organizzativo). In linea di principio, tutti i portatori di interessi dovrebbero partecipare al governo dell’istituto. Tuttavia ciò determinerebbe elevati costi di governo e complessità organizzativa, qualità e tempi delle decisioni inadeguati alla vita dell’istituto, mancato riconoscimento della maggiore criticità di alcuni contributi. Per tale motivo, una o poche categorie di portatori di interessi partecipano direttamente al governo dell’istituto (il soggetto d’istituto), mentre le altre categorie partecipano attraverso meccanismi indiretti di rappresentanza/controllo. Al soggetto d’istituto fanno capo due insiemi fondamentali di diritti-doveri: il diritto-dovere di governare, ossia di guidare l’istituto e di prendere le decisioni ultime il diritto di godere dei risultati residuali positivi e di farsi carico degli eventuali risultati residuali negativi Nelle imprese solitamente rientrano nel soggetto d’istituto i conferenti dei capitali di richio e i prestatori di lavoro, ma bisogna tener conto anche del contesto. Ad esempio per la grande l’impresa quotata in Borsa ci sono l’azionista di riferimento e tutti i piccoli risparmiatori che hanno acquistato azioni dell’impresa, i prestatori di lavoro nell’impresa, spesso anche i sindacati. per la piccola e media impresa familiare non quotata ci sono l’imprenditore di riferimento e la sua famiglia, i prestatori di lavoro, talvolta anche un istituto di credito. Per l’impresa operante in un settore regolamentato, oltre a quanto detto in precedenza, ci sono anche le authority di regolamentazione del settore (es. Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) I fini istituzionali I fini istituzionali o interessi istituzionali coincidono con le attese primarie delle persone che compongono il soggetto d’istituto. Gli interessi degli altri soggetti sono interessi non istituzionali. In tutti gli istituti convergono interessi sia economici sia non economici. In tal senso si configurano quattro classi di interessi convergenti negli istituti: interessi istituzionali economici, interessi istituzionali non economici, interessi non istituzionali economici, interessi non istituzionali non economici. L’insieme dei portatori di interessi istituzionali economici e non forma il soggetto d’istituto. L’insieme dei portatori di interessi istituzionali economici forma il soggetto economico. Il soggetto economico, che di regola coincide con il soggetto d’istituto, esercita le prerogative di governo economico. Le prerogative di governo economico consistono nel diritto-dovere di: fissare gli obiettivi, le strategie e le politiche dell’istituto scegliere i soggetti che contribuiranno alla vita economica dell’istituto (e stipulare con questi patti e contratti) progettare e mettere in atto le strutture di governo e di controllo sorvegliare il funzionamento dell’istituto Esempio: Istituto: università statale degli studi di Milano Interessi istituzionali economici = interesse dei docenti e del personale amministrativo ad una remunerazione adeguata, l’attesa degli studenti di redditi futuri ecc Interessi istituzionali non economici = interesse degli studenti ad una preparazione adeguata e ad un ambiente stimolante, interesse dei docenti a lavorare in un’istituzione libera e aperta al confronto Interessi non istituzionali economici = interessi dell’azienda che gestisce mensa, bar e negozi intorno all’università Interessi non istituzionali non economici = attese della collettività verso un’istituzione universitaria Il governo economico Il governo economico deve ispirarsi ad alcuni principi generali: economicità (o vita duratura economica), ossia la capacità dell’istituto di svolgersi in autonomia economica, senza il ricorso sistematico a coperture di perdite da parte di altre economie contemperamento degli interessi, ossia l’adozione di strutture e processi, e soprattutto atteggiamenti e comportamenti, ispirati alla logica della partecipazione e del confronto. Quando il soggetto di istituto e il soggetto economico sono formati da molte persone, si rende necessario configurare strutture e meccanismi che rappresentino adeguatamente tutti gli interessi, e diano luogo a processi decisionali efficienti. Nell’ipotesi che il soggetto economico coincida con una sola categoria di portatori di interessi si avrà una struttura di governo economico basata essenzialmente su 3 organi: 1. l’assemblea dei membri del soggetto economico quale organo supremo di indirizzo generale e di nomina dei membri dell’organo decisionale di governo economico e dell’organo di controllo. 2. l’organo decisionale di governo economico, composto da una o poche persone con specifiche competenze tecniche e manageriali, che configura e indirizza l’attività della struttura organizzativa. 3. un organo di controllo che verifica l’operato dell’organo decisionale. Nella realtà accade spesso che l’insieme delle persone che dovrebbero esercitare il governo economico (il soggetto economico) non coincide con l’insieme di persone che di fatto esercitano il governo economico. I casi più frequenti nelle imprese sono quello in cui il governo è esercitato da insiemi di persone che non rappresentano l’intero soggetto economico, ma solo una parte di esso (es. azionisti di controllo trascurando quelli di minoranza) e quello in cui il governo è esercitato da insiemi di persone che non fanno parte del soggetto economico (es. esponenti politici che vogliono interferire nelle strategie di un’impresa). Si parla di soggetto economico improprio. Si tratta di una situazione potenzialmente pericolosa per l’impresa e certamente iniqua. L’ECONOMICITA’ Si ha equilibrio istituzionale quando tutti i membri del soggetto di istituto condividono i valori e gli obiettivi che ispirano la vita dell’istituto, le sue strutture e modalità di governo, le logiche organizzative e quando ricevono ricompense e benefici equi rispetto ai contributi forniti. L’equilibrio istituzionale è di lungo periodo ed è caratterizzato da: Durabilità: le persone che partecipano alla vita degli istituti si aspettano che l’istituto perduri nel tempo. Gli istituti nel tempo accumulano patrimoni di relazioni e di competenze che sono relativamente indipendenti dalle persone. L’azienda, ordine economico di istituto, deve svolgersi secondo condizioni di vita e di funzionamento tali da consentire di durare nel tempo in un ambiente mutevole. La continuità e lo sviluppo di un istituto hanno un valore per i suoi membri attuali, per i suoi membri futuri e per la collettività in generale. Autonomia: la libertà di scegliere i propri fini e le proprie modalità di governo. L’autonomia si verifica quando un’azienda non ricorre sistematicamente a interventi di sostegno o di copertura delle perdite da parte di altri istituti. Le coperture di perdite e gli interventi di sostegno realizzati anche per via indiretta, (esenzione fiscale, manovre di debito pubblico) sono infatti tutte soluzioni precarie. Si ha equilibrio economico, ossia economicità, quando l’istituto nel suo insieme è in grado di attrarre risorse sufficienti per remunerare tutte le condizioni di produzione e di consumo utilizzate per svolgere le proprie combinazioni economiche. Solo se l’istituto è in grado di farlo allora può perdurare nel tempo. Se non è in grado allora dovrà ricorrere a sussidi e coperture di perdite da parte di altre aziende, il che inciderà sull’autonomia dell’azienda. Se la mancanza di economicità si protrae per lunghi periodi di tempo, allora l’istituto cesserà di vivere o verrà acquisito da un altro o si cambierà il soggetto di istituto. Equilibrio istituzionale ed equilibrio economico sono interconnessi, ma non sincroni. In quanto condizione di vita degli istituti, l’economicità è contemporaneamente un principio e un obiettivo fondamentale di buon governo degli istituti. Economicità non significa massimizzare il reddito, ma la capacità di produrre una redditività buona, cioè di lungo periodo. Si traduce nel rispetto simultaneo delle condizioni favorevoli al mantenimento e allo sviluppo dell’azienda, intesa come mezzo per conseguire i complessi fini dell’istituto. Il principio di economicità si declina in due forme complementari: 1) perseguimento di fini economici istituzionali imprese: rimunerazioni monetarie e di altra specie per i prestatori di lavoro e per i conferenti di capitale di rischio; famiglie: appagamento dei bisogni delle persone che le compongono; stato: appagamento dei bisogni di beni pubblici dei cittadini e remunerazione dei prestatori di lavoro; istituti no-profit: appagamento dei bisogni di varie categorie di associati e fruitori e remunerazione dei prestatori di lavoro. 2) rispetto simultaneo di un insieme di condizioni di svolgimento dell’attività economica. Nelle imprese tale principio si declina in quattro condizioni fondamentali da rispettare: o equilibrio reddituale: è l’equilibrio tra componenti positivi e negativi di reddito. Esso deve essere valutato in funzione del tempo di riferimento (di breve o di lungo periodo) e dell’oggetto di riferimento. Esso deve essere conseguito nel lungo periodo, non necessariamente nel breve (Ad esempio le net economy necessitano di tempi molto lunghi, es. Fastweb). L’equilibrio reddituale si può avere anche senza rispettare le condizioni di efficienza/flessibilità e di congruità delle remunerazioni, ma va considerato che in questa situazione l’equilibrio è molto precario e facilmente si possono creare dei problemi. Si può avere avere equilibrio reddituale senza efficienza nei seguenti due casi: - in presenza di condizioni esterne favorevoli, che però sono normalmente temporanee. Es. nei settori nuovi o comunque caratterizzati da una domanda in forte crescita c’è spazio anche per le imprese meno efficienti, in quanto la domanda cresce a tassi elevati e i consumatori sono disposti a pagare prezzi relativamente elevati perché non ancora esperti. Si tratta però di una condizione temporanea, dunque poi la maturità della domanda comporterà inevitabilmente una selezione delle imprese. - in caso di monopolio: il monopolista ha la possibilità di vendere i propri prodotti a prezzi elevati, senza risentire di alcuna pressione competitiva. Ciò comporta spesso il conseguimento di utili elevati pur senza essere efficienti e, nel contempo, costituisce un disincentivo a investire per migliorare il livello di efficienza. Es. il monopolio dell’ENEL nella produzione e vendita di energia elettrica in Italia prima del decreto Marzano. Ora producono e vendono energia elettrica anche ASM, Endesa, Aem, Edison ecc anche se con quote di mercato relativamente piccole. L’equilibrio reddituale possa essere conseguito anche grazie alla inadeguata remunerazione di una o più condizioni di produzione nei seguenti casi: - evasione fiscale: consiste nel non remunerare adeguatamente la condizione di produzione servizi pubblici, il che è un comportamento contro la legge e contro l’etica, che espone l’azienda che lo pratica a rischi di pesanti sanzioni e che distorce la concorrenza, perché che la pratica ha a disposizione più risorse da investire rispetto ai concorrenti che pagano le imposte dovute. - piccole imprese a proprietà familiare nelle quali gli stessi proprietari operano come prestatori di lavoro: se si rapporta il compenso che essi ricevono per il lavoro prestato al numero di ore effettivamente lavorate non di rado si ottengono compensi orari inferiori a quelli conseguiti dai loro dipendenti che svolgono mansioni con responsabilità analoghe o inferiori. - multinazionali (famoso il caso, negli anni Novanta, della Nike) accusate di sottopagare i lavoratori (diretti o indiretti, cioè dipendenti dei subcontractors) sfruttando la legislazione locale meno garantista nei confronti dei lavoratori stessi. Al di là della questione etica, il problema è quanto a lungo potranno mantenersi certi differenziali di costo del lavoro fra Paesi diversi e quanto a lungo i governi locali potranno resistere alle pressioni internazionali volte a far innalzare gli standard di vita dei lavoratori nei paesi in via di sviluppo. Le imprese posso essere in equilibrio reddituale ma essere in squilibrio monetario. o efficienza e flessibilità: in generale, per efficienza s’intende la relazione che intercorre tra risultati conseguiti e mezzi impiegati e viene riferito a sfere operative diverse. Non si ha economicità senza il mantenimento di un livello accettabile di efficienza, espressa in termini di rendimento fisico- tecnico dei processi produttivi (si consegue mediante l’innovazione dei processi). Solo in condizioni particolari e temporanee, le inefficienze possono essere trasferite all’esterno, senza danneggiare l’equilibrio reddituale dell’azienda (es. monopolio), ma penalizzando altre aziende. Affianco all’efficienza deve esserci la flessibilità. L’azienda in economicità è quella che ricerca anche flessibilità, ossia la predisposizione di strutture e di combinazioni produttive efficienti in grado di adeguarsi prontamente all’ambiente. o congruità delle remunerazioni: non si ha economicità senza congruità dei prezzi-costi sostenuti e dei prezzi-ricavi conseguiti e, in particolare, congruità delle rimunerazioni del capitale-risparmio e del lavoro. Il giudizio di adeguatezza o di congruità dei prezzi-costo e dei prezzi-ricavo comporta un esame delle condizioni di ambiente che caratterizzano i diversi mercati in cui le imprese operano. o equilibrio monetario: è la capacità di far fronte agli impegni di pagamento. La diversa manifestazione temporale di costi e ricavi e dei relativi flussi monetari si traduce in fabbisogno finanziario. Compito della gestione finanziaria è ricercare la copertura di tale fabbisogno. La gestione finanziaria gioca così da cuscinetto tra la dinamica reddituale e la dinamica monetaria, compensando i periodi in cui si determinano squilibri monetari con quelli in cui si manifestano eccedenze di cassa. LA STRUTTURA DELL’AZIENDA La struttura dell’azienda consiste negli elementi e nei componenti che caratterizzano ogni azienda. In un’azienda è possibile identificare due tipologie di decisioni: le decisioni strategiche e le decisioni operative, le quali si alimentano a vicenda. L’azienda può essere osservata come un sistema decisionale (quali decisioni vengono prese, da chi, quali tempi e sequenze, quali logiche e procedure). L’esigenza di decidere è dettata dal continuo dinamismo interno ed esterno all’impresa. Chiaramente le decisioni sono prese in condizioni di incertezza e rischio. Le decisioni in campo economico: sono soggette al vincolo di scarsità delle risorse impongono attente e rigorose analisi di convenienza economica comparata, che possono essere svolte ricorrendo a modelli di analisi economica per le decisioni sono adottate in condizioni di incertezza e, dunque, comportano rischi sono intenzionalmente razionali, ma soggette a limiti di razionalità (condizioni di razionalità limitata) e di rischi di ritualizzazione producono conseguenze più o meno ampie e stabili sulle condizioni di futuro svolgimento dell’impresa Il sistema di governo strategico delle imprese è articolato in grandi classi di scelte in merito alla configurazione del sistema prodotto, al dimensionamento della capacità produttiva, all’estensione interfunzionale ed estensione verticale, all’estensione orizzontale, alle gestioni patrimoniale, finanziaria e tributaria, alla formazione e sviluppo del patrimonio, all’assetto organizzativo, all’organismo personale, all’assetto istituzionale. L’esercizio del governo strategico dell’impresa consente da una parte di influire sui componenti del reddito d’esercizio, cioè sulla performance corrente dell’azienda, e dall’altra di configurare la struttura dell’azienda, cioè la base delle performance future. Il modello di struttura aziendale è composto da 5 mega variabili: 1. la configurazione delle combinazioni economiche: rientrano le scelte in merito alla configurazione del sistema prodotto, al dimensionamento della capacità produttiva, all’estensione interfunzionale ed estensione verticale, all’estensione orizzontale 2. il patrimonio: bisogna qui considerare le competenze distintive, il patrimonio commerciale, l’assetto tecnico e la localizzazione territoriale 3. l’assetto organizzativo: la struttura organizzativa e la distribuzione del potere, i sistemi operativi e i sistemi di rilevazione e di informazione 4. l’organismo personale: bisogna scegliere le dimensioni e l’articolazione. Bisogna tenere conto delle variabili individuali (valori, bisogni, conoscenze, capacità) e delle variabili sociali (cultura, identificazione, clima, organizzativo). 5. l’assetto istituzionale: in questo ambito sono comprese la configurazione generale delle relazioni con le varie classi di portatori di interessi, la distribuzione dei diritti di proprietà, la forma giuridica, gli aggregati interaziendali, le strutture di governo aziendali e interaziendali. Queste 5 macrovariabili che compongono il modello sono tra loro collegate da relazioni di interdipendenza e complementarietà (coerenza interna). Ogni configurazione complessiva ha una propria coerenza interna. La variazione di una macrovariabile produce effetti sulle altre componenti del modello. Ogni intervento di riprogettazione di una macrovariabile può richiedere adattamenti nelle altre componenti per assicurare nuova coerenza. Le cinque macrovariabili sono fortemente influenzate dall’ambiente nel quale l’azienda opera e devono essere coerenti con esso (coerenza esterna). Ogni istituto è una realtà unitaria e unitario deve essere il suo governo economico (principio della unitarietà del governo economico). L’unitarietà del governo economico è realizzata con la formulazione e la realizzazione di una strategia aziendale. La strategia aziendale si compone di due elementi fondamentali: l’orientamento strategico di fondo (OSF): è l’insieme di idee-guida, di valori e di atteggiamenti che definiscono l’identità, effettiva o ricercata, dell’impresa. gli indirizzi strategici in cui l’OSF si concretizza: sono rappresentati da scelte strategiche che definiscono in quali arene competitive l’azienda intende operare e in che modo intende affrontare la concorrenza, come intende gestire gli attori istituzionali, quali decisioni strategiche prenderà a livello finanziario, tecnologico, di marketing ecc. I caratteri di unitarietà delle combinazioni economiche sono: complementarietà: si manifesta tra fattori produttivi (es. il lavoro è complementare all’impiego di impianti nella attività di trasformazione fisico tecnica) e tra insiemi di operazioni (es. le attività di vendita sono complementari a quelle di trasformazione per lo svolgimento delle combinazioni economiche). fungibilità: si manifesta tra fattori produttivi (es. nell’ambito di uno stesso processo di trasformazione fisico tecnica, lavoro e impianti possono essere tra loro fungibili) e tra classi di operazioni (es. l’investimento nella qualità può ridurre l’incidenza di attività di assistenza post-vendita). comunanza: uno stesso fattore di produzione o un insieme di operazioni concorrono a ottenere più risultati (es. un impianto di produzione può essere comune a più linee produttive) congiunzione: da uno stesso processo produttivo escono contemporaneamente e necessariamente più risultati, detti risultati congiunti (es. processo di distillazione del petrolio) uniformità dei fattori di produzione, dei processi produttivi e dei prodotti, che si manifesta nei fenomeni di: o standardizzazione: l’azienda produce prodotti standardizzati, cioè tutti uguali o uniformazione: la standardizzazione non riguarda più una singola azienda, ma tutte le aziende che adottano standard comuni per svolgere certe attività o modularità: progettazione di componenti (moduli) che possono concorre alla produzione di differenti prodotti complessi interdipendenza tra le unità che compongono l’azienda (organi e persone): l’interdipendenza analizza in termini organizzativi i precedenti caratteri di unitarietà delle combinazioni economiche. Tanto più forti sono questi caratteri, tanto più elevata sarà l’interdipendenza tra unità (es. l’esistenza di un impianto comune a più processi di fabbricazione richiederà una forte interdipendenza tra le unità delle diverse linee produttive, ma anche con quelle che si occupano della vendita dei singoli prodotti) L’AMBIENTE ECONOMICO L’ambiente di un istituto è l’insieme di condizioni e di fenomeni esterni allo stesso che ne influenzano la struttura e la dinamica. È possibile distinguere: L’ambiente economico: i mercati (insiemi omogenei di negoziazioni di beni privati, di rischi particolari e di credito di prestito), le strutture di domanda e di offerta di lavoro, di capitale proprio, di beni pubblici, i settori (insiemi di aziende con combinazioni economiche simili e operanti negli stessi mercati e nelle stesse strutture di domanda e di offerta), le politiche economiche, monetarie, finanziarie L’ambiente non economico: i sistemi dei valori e cultura caratterizzanti la collettività sociale di riferimento, la normativa giuridica nazionale e internazionale, lo stato e la dinamica delle scienze, tecnologie e tecniche, le infrastrutture, la configurazione fisica e climatica del territorio Per l’individuazione dei confini tra ambiente e istituto si possono impiegare due criteri: Il criterio della struttura giuridica formale: i confini dell’azienda sono stabiliti dalla normativa vigente laddove si definisce il campo di azione degli organi di governo economico Il criterio dell’influenza: i confini dell’azienda si estendono fin dove gli organi di governo economico esercitano una influenza nei processi decisionali La definizione di ambiente può essere riguardare non solo la singola azienda, ma anche per insiemi di aziende come gruppi economici o aggregati interaziendali. L’ambiente aziendale può essere scomposto in sottoambienti rilevanti. I confini dell’azienda sono modificabili e la loro estensione è oggetto delle scelte di governo economico. I mercati L’esistenza di un mercato dipende dalla simultanea verifica di alcune condizioni: presenza di un complesso dinamico di negoziazioni presenza di uno stesso bene tali condizioni devono manifestarsi con continuità ed elevata frequenza Laddove queste condizioni non sono simultaneamente verificate si è in presenza di negoziazioni fuori mercato. (Es. Se due persone si incontrano e decidono di fare un affare importando dalla Cina un container di articoli di abbigliamento che poi rivendono in Italia, questo non è un mercato, ma una negoziazione fuori mercato perché manca dei caratteri della continuità ed elevata frequenza di negoziazione. Se invece le due persone costituiscono una azienda di importazione dalla Cina che svolge con continuità e frequenza negoziazioni, allora queste sono negoziazioni di mercato). Uno stesso bene può essere negoziato in mercati distinti, ad esempio in mercati localizzati in diverse aree geografiche. I mercati sono complessi dinamici ovvero variano nel tempo i loro caratteri distintivi e i loro confini. In ogni mercato è possibile identificare domanda e offerta che sono funzioni di insiemi articolati di variabili. I settori Un settore è inteso come un insieme omogeneo di aziende legate da relazioni interdipendenza (di concorrenza o di altro tipo). Esistono diverse prospettive di analisi dei settori: dell’economia politica e della politica economica: analizzano le interdipendenze settoriali in termini di flussi di condizioni di produzione e di consumo e di mezzi monetari dell’economia industriale: 1. analisi del grado di concentrazione (si ha un’alta concentrazione quando ci sono poche imprese che possiedono la maggior parte delle quote di mercato) e degli effetti per la collettività 2. studio del contesto competitivo delle aziende di produzione e del relativo comportamento competitivo: nell’ambito degli studi del contesto competitivo, particolare importanza ha il modello struttura- comportamento-risultati (esempi di struttura: concorrenza perfetta, oligopolio non differenziato, oligopolio differenziato). In economia aziendale il settore è una categoria di osservazione dell’ambiente delle aziende. Ne consegue pertanto che l’analisi si compie con riferimento a ogni ordine di azienda (azienda di consumo, azienda composta pubblica), non solo quella di produzione. Va poi considerato che i settori non sono configurati da sole relazioni di concorrenza, bensì da relazione complesse, dinamiche e intense come le relazioni di cooperazione. Ciascuna azienda partecipa a tanti settori quanti sono i mercati in cui essa opera. Ne consegue che a ciascun mercato corrispondono uno o più settori di aziende in posizione di offerta o di domanda. Le persone che operano nelle aziende mostrano una varietà di modalità di interpretazione delle interazioni dinamiche tra l’azienda e l’ambiente (varietà delle visioni dell’ambiente). Le visioni dell’ambiente sono dunque modelli cognitivi che spiegano differenti comportamenti concreti delle aziende e rappresentazioni schematiche dei valori, degli atteggiamenti e dei comportamenti che caratterizzano contesti economici, politici e sociali differenti nello spazio e nel tempo. Le tre principali visioni possono essere distinte: visione dell’efficienza economica relativa visione della pressione economica reciproca visione dell’interazione multicentrica IL SISTEMA COMPETITIVO Il sistema competitivo è parte dell’ambiente economico ed è rappresentabile in termini di aziende e relazioni interaziendali (di scambio, di cooperazione e di competizione). Esso è lo spazio economico popolato di clienti, dai fornitori e dai concorrenti e nel quale l’impresa si presenta con i sistemi prodotto risultato della sua attività caratteristica. La scelta del sistema competitivo nel quale operare è una scelta di governo economico. Ogni impresa dunque sceglie in quale sistema competitivo operare, estremizzando essa può essere talmente innovativa da plasmare nuovi sistemi competitivi. Ad esempio Apple, con l’invenzione di Ipod, ha creato un nuovo spazio economico, cioè il sistema competitivo dei produttori di musical digital player. Oggi in questo sistema sono entrati numerosi nuovi concorrenti, che in origine erano nella posizione di potenziali entranti (es. Sony). Il modello della concorrenza allargata Per l’analisi del sistema competitivo si può utilizzare il modello della concorrenza allargata. In questo modello il termine settore (settore in senso stretto) indica le sole imprese in diretta concorrenza, mentre concorrenza allargata tutti gli altri attori che lo compongono. La teoria alla base di questo modello prevede che in ogni settore la concorrenza non coinvolge solo le imprese appartenenti allo stesso settore (i concorrenti), ma è allargata ad altre quattro classi di soggetti, cioè clienti, fornitori, potenziali entranti e produttori di beni sostitutivi. Il termine concorrenza ha un significato ampio, infatti identifica le forze esercitate sulle imprese di un settore da ciascuna delle cinque classi di attori, cioè la rivalità tra i concorrenti, il potere contrattuale dei fornitori e dei clienti, le minacce di ingresso e di sostituzione. La configurazione delle cinque forze determina la redditività media di un settore ossia il suo livello di attrattività. Ad esempio il settore farmaceutico è uno dei settori a maggiore redditività operativa media poiché le barriere all’ingresso sono elevate, la rivalità tra i concorrenti è modesta per effetto della forte concentrazione dell’offerta, il potere contrattuale degli acquirenti finali è modesto, la minaccia dei sostituti è bassa e il potere contrattuale dei canali di vendita è scarso. Sono rilevanti le relazioni di cooperazione tra fornitori e concorrenti, ad esempio BMW ha stretto accordi di fornitura di lungo periodo con i propri fornitori chiave finalizzati a garantirsi sicurezza e convenienza negli approvvigionamenti, nonché a favorire iniziative di ricerca e sviluppo comuni. Sono rilevanti anche le relazioni di cooperazione tra concorrenti, ad esempio Ford e Fiat tempo fa fecero una partnership industriale per la produzione della nuova Cinquecento e della Ka negli stabilimenti in Polonia della Fiat, al fine di ridurre i costi di produzione di entrambe le macchine in un segmento di mercato molto competitivo. Ogni settore può essere segmentato per raggruppamenti strategici, ovvero insiemi di imprese concorrenti caratterizzate da strategie simili. I principali cambiamenti che possono intervenire nel tempo in un sistema competitivo (prospettiva di analisi dinamica) sono: Dinamiche congiunturali: mutamenti generalmente reversibili nel breve periodo. Es. tassi di cambio. Dinamiche strutturali interne a un sistema competitivo: mutamenti di natura permanente quali: o il ciclo di vita del settore: esso è collegato al ciclo di vita del prodotto. Ad esempio nel settore dei motori di ricerca online, dopo una prima fase di effervescenza imprenditoriale e di modesti tassi di crescita delle vendite, si è oggi in una fase di sviluppo nella quale le vendite (principalmente di pubblicità) stanno crescendo a tassi molto elevati, mentre alcuni attori, come Google, hanno acquisito una posizione di leadership. o il grado di concentrazione e di frammentazione: ad esempio negli ultimi dieci anni, in Italia, nel settore bancario si è assisto ad una progressiva concentrazione dell’offerta per effetto di operazioni di acquisizione o fusione o il grado di internalizzazione e di esternalizzazione: ad esempio nel settore della produzione delle birre in Italia, molti dei principali attori hanno acquisito aziende specializzate nelle attività di distribuzione al canale Hotel, Restaurant e Catering (Horeca). La scelta ha permesso di controllare meglio le relazioni con i punti vendita e beneficiare dei vantaggi economici indotti da una maggiore integrazione verticale. o il grado di internazionalizzazione: ad esempio nel settore dell’energia, a seguito della deregolamentazione, si è assistito ad un progressivo aumento del livello di internazionalizzazione dell’offerta con l’ingresso nei diversi mercati nazionali di operatori esteri (es. gruppo francese EDF) o il ciclo di sostituzione: ad esempio i concorrenti che operano nel settore del broadcasting televisivo tradizionale (Mediast, Rai, La Sette) hanno subito la minaccia degli operatori con la tecnologia sostitutiva del broadcasting satellitare (Sky TV). Per non veder ridotto il loro spazio economico, questi operatori hanno di recente introdotto la tecnologia di trasmissione digitale terrestre che permette di offrire servizi più competitivi. Dinamiche di ricomposizione di più sistemi competitivi: mutamenti che producono modifiche radicali ai confini dei sistemi competitivi e la nascita di nuovi. Ad esempio il settore dei prodotti multimediali è frutto del ricomporsi dei confini dei settori dell’editoria, dell’IT e dei media. LE SCELTE DI CONFIGURAZIONE DEL SISTEMA DI PRODOTTO E DELLA FORMULA COMPETITIVA Il sistema di prodotto Ciascuna impresa si propone ai propri clienti e sfida i concorrenti con uno o più sistemi di prodotto (SP). Il SP è un insieme unitario di beni e di condizioni di scambio interdipendenti. La progettazione del SP è un insieme articolato di scelte, che richiede una visione ampia. Da un lato il sistema di prodotto è il complesso oggetto con il quale l’impresa ricerca il consenso dei clienti, dall’altro lato è l’arma utilizzata per sfidare la concorrenza. La progettazione del sistema di prodotto è un passaggio cruciale per l’economicità dell’impresa perché da essa dipendono in larga misura i componenti positivi e negativi di reddito. Dunque il SP impatta direttamente sulla redditività aziendale. Il SP si compone di 4 elementi: a) le caratteristiche materiali e la gamma dei beni offerti: le caratteristiche materiali a loro volta si distinguono in: o attributi fisici: sono immediatamente percepibili e solitamente oggettivamente misurabili (es. peso, colore, dimensioni, forma ecc). Influenzano quelli tecnico-dinamici. o attributi tecnico-funzionali: sono le proprietà tecnologiche e di lavorazione che consentono al SP di svolgere determinate funzioni d’uso da un punto di vista dinamico. Sono oggettivamente misurabili. Influenzano quelli fisici. o attributi estetici: possono qualificare variamente gli attributi fisici (Es. gamma di colori, di stili, di design, di confezione ecc). Sono solo soggettivamente misurabili. In casi rari il SP riguarda un unico bene e in generale gli SP sono composti da più beni, ovvero spesso le aziende approntano una gamma. Una gamma è un determinato assortimento di beni tra cui il cliente sceglie a seconda delle sue esigenze specifiche. La gamma offerta può essere predeterminata oppure e possibile comporre beni personalizzati scegliendo tra diverse opzioni. Una gamma variegata di beni può essere considerata un unico sistema di prodotto oppure si può parlare di prodotto multiplo, cioè formato da più sotto-sistemi (es. collezioni di abbigliamento che coprono diverse fasce d’età). b) i servizi collegati ai beni offerti: è possibile distinguere i servizi di prevendita (informazioni di supporto alla scelta, consulenza diretta in fase di selezione, possibilità di richieste personalizzate, reperibilità) e postvendita (consegna, installazione, addestramento all’uso, assistenza per guasti, manutenzione). Tali servizi sono differenziati considerando i vari tipi di clienti, intermedi e finali. Nel corso del tempo tali servizi hanno acquisito sempre più importanza in tutti i settori di attività economiche. c) le caratteristiche immateriali come immagine, reputazione, marca d) il prezzo e le altre condizioni contrattuali (sconti, modalità e tempi di pagamento, modalità e tempi di consegna, assicurazioni, garanzie, penali ecc): anche in questo caso le aziende definiscono talvolta condizioni diverse per i diversi tipi di clienti, diretti e finali. Il modello della formula competitiva pone in correlazione tre macrovariabili: 1. il sistema di prodotto 2. il sistema competitivo: lo spazio abitato dai clienti e dai concorrenti con i quali la nostra impresa si confronta giorno per giorno 3. la struttura e le risorse aziendali: l’insieme di condizioni fisiche, patrimoniali, personali, relazionali e organizzative di cui l’impresa dispone per rispondere alle attese dei clienti e per fronteggiare le mosse dei concorrenti. Il modello afferma che il successo di una strategia competitiva dipende dalla consonanza tra le tre macrovariabili: 1) i fattori critici di successo: il sistema competitivo comprende in primo luogo i clienti attuali e potenziali e le loro attese, e ciò rappresenta il punto di partenza per la progettazione del SP. L’analisi e la descrizione esplicita delle attese dei clienti non è mai un esercizio semplice. Innanzitutto bisogna costruire un inventario il più possibile completo e chiaro delle attese dei clienti attuali e potenziali e poi bisogna individuare le attese più critiche, cioè i fattori critici di successo (FCS). I potenziali fattori critici di successo sono diversi per le varie classi di prodotti e per i differenti insiemi di clienti (dunque a seconda dei settori, ma soprattutto dei mercati), dunque questo significa che si devono compiere analisi specifiche per i vari segmenti di mercato. Vi sono infatti aziende che offrono SP multipli o diversi, per i quali i FCS cambiano le priorità (es. nel settore della moda molte griffe offrono linee contraddistinte di marchi, stili, prezzi, qualità, dunque i FCS non sono omogenei). I FCS evolvono nel tempo, al mutare dei bisogni, del contesto sociale e delle strategie competitive poste in essere dalle aziende. A questo proposito, innovazioni introdotte da aziende pioniere si possono trasformare in requisiti che, ad un certo punto, nessun cliente mette in discussione (es. anni fa nel settore automobilistico solo poche aziende puntavano sulla sicurezza come elemento caratterizzante del SP, mentre oggi la sicurezza è diventata un elemento che accomuna molte case automobilistiche). Alcuni esempi di FSC sono: la funzionalità tecnica continua e duratura dei prodotti, l’economicità del prezzo di acquisto iniziale e dei successivi costi d’uso, la flessibilità d’uso (poter usare il prodotto per più funzioni), l’integrabilità e la compatibilità con altri beni complementari, le possibilità di personalizzazione, il soddisfacimento di bisogni di prestigio, di status, di ostentazione, di identificazione, l’appagamento di bisogni estetici, l’appagamento dei bisogni di solidarietà e di salvaguardia dell’ambiente, l’affidabilità del fornitore, l’accessibilità, comparabilità e sperimentabilità in fase di acquisto Va infine considerato che la relazione tra vantaggio competitivo e fcs non è scontata. Ad esempio ci può essere un sovradimensionamento di un vantaggio competitivo, che risulta quindi eccessivo rispetto alle effettive necessità del cliente. Inoltre l’attenzione per un fattore critico di successo può portare a trascurare attese che hanno una loro importanza (es. quando si applica un prezzo particolarmente basso non bisogna trascurare totalmente la qualità, es. il vantaggio di differenziazione può venir meno se non correttamente sfruttato rispetto ad una attesa di esclusività). 2) i vantaggi competitivi: è l’insieme degli elementi che distinguono l’SP di una determinata azienda da quello dei concorrenti. Esistono due tipi fondamentali di vantaggio competitivo: o il vantaggio di differenziazione, ovvero l’offerta di un SP diverso o migliore, rispetto a quello della concorrenza, in uno o più aspetti. Alcuni esempi di differenziazione sono l’eccellenza intrinseca dei materiali e delle lavorazioni, l’efficienza nei consumi (volumi e prezzi) degli input, l’alta meccanizzazione e automazione, la robustezza, capacità di autodiagnosi, disponibilità di ricambi, la modularità, versatilità, adattabilità, l’ampia gamma di beni fungibili e complementari offerti, la ricchezza di documentazione e informazioni, la reperibilità e facilità di prova, i servizi pre e post vendita, marche, marchi, insegne, griffe, l’elevato contenuto moda, l’alto livello stilistico e artistico, il contenuto etico, ecologico, salutistico, l’esclusività (attuata mediante volumi limitati e vendita attraverso canali specializzati e selezionati) o il vantaggio di costo, quando l’SP si caratterizza (grazie a costi di produzione e distribuzione particolarmente bassi) per un prezzo inferiore a quello dei prodotti concorrenti. Si è in presenza di un vantaggio di costo quando, grazie ad un livello inferiore dei costi di produzione e di distribuzione, l’SP di un’azienda è ottenuto con costi unitari particolarmente bassi e che consentono di offrirlo ai clienti ad un prezzo significativamente più basso di quelli dei concorrenti (es. compagnie aeree low cost). In un certo senso, anche il minor costo (e quindi il minor prezzo) potrebbe essere considerato un elemento di differenziazione, in realtà è corretto considerarlo separatamente poiché sono diversi i presupposti su cui si basa. Infatti, la differenziazione aggiunge qualcosa all’SP, per cui l’azienda può richiedere un premio di prezzo rispetto ai prodotti dei concorrenti, in quanto deve anche sostenere costi più alti. Il vantaggio di costo, invece, presuppone l’esistenza di strutture produttive molto efficienti e grande attenzione alla riduzione dei costi. 3) le competenze distintive: combinando il tipo di vantaggio competitivo e l’ampiezza del mercato di sbocco (sistema competitivo) si ottengono 4 strategie di base: ▪ leadership di costo: vantaggio di costo e mercato ampio, es. H&M ▪ differenziazione con SP singolo o multiplo: vantaggio di differenziazione e mercato ampio, es. BMW (singolo), Algida (multiplo) ▪ focalizzazione orientata ai bassi costi: vantaggio di costo e mercato di nicchia, es. acque minerali locali ▪ focalizzazione orientata alla differenziazione: vantaggio di differenziazione e mercato di nicchia, es. produttori di beni di lusso Le competenze distintive sono risorse peculiari di un’azienda, non facilmente imitabili e utili per configurare SP particolarmente apprezzati dai clienti. Ne sono esempi speciali capacità di progettazione dei prodotti, strutture produttive particolarmente efficienti, elevata capacità di accumulo e di diffusione delle conoscenze, rapporti di fiducia e cooperazione con i clienti, con le reti distributive, con esperti di varie discipline, patrimonio di immagine e di reputazione, marche e marchi, estese strutture e archivi di documentazione, diffuse strutture logistiche per la distribuzione e la presentazione dei prodotti, qualificate competenze di istruzione dei clienti, affidabili strutture per l’assistenza pre-post vendita, relazioni di fiducia e cooperazione con “subcontractor” e connesse capacità di project management. Nelle aziende o nelle combinazioni parziali di successo, la formula competitiva presenta le seguenti caratteristiche: un SP dotato di un vantaggio concorrenziale di costo o di differenziazione un mercato, di cui sono stati compresi a fondo i fattori critici di successo una struttura dotata di competenze distintive una relazione di coerenza sistemica tra vantaggio competitivo, fattori critici di successo e competenze distintive, che consente il raggiungimento di buoni e duraturi risultati reddituali e competitivi. La coerenza deve essere valutata anche in chiave prospettica, considerando l’evoluzione del mercato, le manovre dei concorrenti, i cambiamenti che possono riguardare la struttura dell’azienda stessa. Tutto ciò evidenzia come il modello della formula competitiva possa essere impiegato a fini sia di analisi-diagnosi, sia di elaborazione di strategie di rinnovamento della formula esistente, ma anche di formulazione di una strategia per una nuova impresa o una nuova combinazione parziale. LA TEORIA DELLA DOMANDA E LA FORMAZIONE DEL PREZZO Il prezzo è un elemento cruciale del sistema di prodotto e delle condizioni di scambio. Il prezzo influenza fortemente i volumi e i ricavi di vendita, i quali sono determinati anche da altri fattori quali i redditi dei consumatori, i prezzi dei beni fungibili e complementari e gli investimenti in pubblicità. Le variazioni di prezzo provocano spostamenti lungo la curva di domanda. Le variazioni nel reddito, nei prezzi dei beni fungibili e complementari e negli investimenti in pubblicità provocano spostamenti della curva di domanda. L’elasticità della domanda al prezzo è la sensibilità della quantità domandata alle variazioni di prezzo, calcolata relativamente a un prezzo di partenza. Si indica con ε e si misura rapportando la variazione % della quantità domandata in corrispondenza di una variazione % di prezzo, dunque ε = ΔQ % / ΔP % in valore assoluto. Di regola l’elasticità varia lungo la curva di domanda. Se l’elasticità è inferiore a 1, si dice che la domanda è anelastica (tratto inferiore). Se è superiore a 1, la domanda è elastica (tratto superiore). Esempio: un’impresa editoriale sta lanciando una nuova rivista e deve decidere il prezzo di vendita assumendo come obiettivo la massimizzazione del Reddito Operativo. I passaggi saranno: Si formulano ipotesi circa la relazione tra prezzo e quantità domandata Si calcolano i ricavi totali corrispondenti alle varie combinazioni di prezzo x quantità Si formulano ipotesi circa gli impianti necessari per la produzione e i relativi costi fissi e variabili Si calcolano i costi totali (fissi + variabili) corrispondenti alle varie quantità prodotte (= quantità vendute) Si confrontano i ricavi totali con i costi totali ai vari livelli di quantità (quantità che dipendono dai prezzi) Si sceglie la quantità (ossia il prezzo che determina tale quantità) che massimizza il Reddito Operativo (ricavi totali – costi totali). LE SCELTE DI STANDARDIZZAZIONE E DI DIMENSIONE La standardizzazione è uno dei pilastri dell’efficienza delle economie moderne. I caratteri dell’impresa moderna sono: La meccanizzazione dei processi La parcellizzazione del lavoro La standardizzazione dei processi, dei componenti e dei prodotti Le produzioni in grandissimi volumi La standardizzazione rende possibili e convenienti le produzioni di massa ed è la base per la realizzazione di: economie di scala economie di saturazione della capacità produttiva economie di apprendimento La standardizzazione riguarda prodotti, processi e componenti. Quando i componenti assumono un elevato livello di complessità si chiamano moduli, compatibili e integrabili fra di loro. La progettazione dei moduli può essere compito della singola azienda o di un ente sovraordinato, responsabile dell’attività di uniformazione (le viti, i fogli e le buste, le prese elettriche ecc). In molti casi i fenomeni di standardizzazione sono rilevanti non solo per la singola azienda che riduce i propri costi, ma anche per la generalità degli utenti, che traggono vantaggio dal fatto che sul mercato siano presenti prodotti standardizzati e tra loro compatibili. Una manifestazione di questi vantaggi collettivi è data dalle esternalità di rete che derivano, ad esempio, dal fatto che numerosi utenti utilizzano gli stessi strumenti di comunicazione (telefono, internet, fax, …). L’utilità per ciascuna persona cresce al crescere del numero di utenti collegati alla stessa rete. In presenza di forti esternalità di rete, le imprese competono per l’affermazione del proprio standard. Lo standard che diventa dominante costringe tutti gli utenti e i concorrenti ad adeguarsi allo stesso. Alcuni settori si caratterizzano per la presenza di imprese di grandi dimensioni (chimico, farmaceutico, aerospaziale ecc), mentre in altri convivono imprese di grandi e piccole dimensioni (turismo, abbigliamento…). Diventa quindi importante capire quando e perché le grandi dimensioni sono necessarie per essere efficienti e competitivi. La dimensione aziendale può essere misurata in termini di capacità produttiva installata. La capacità produttiva (CP) è il volume massimo di output ottenibile nell’unità di tempo considerato. Si fa riferimento alla CP per tutte le attività d’azienda (ricerca e sviluppo, vendita, distribuzione ecc) e non solo per la produzione. Le scelte di organizzazione determinano diverse CP. È possibile distinguere: CP nominale: valore massimo atteso dell’output, senza interruzioni e soste. CP teorica o raggiungibile: valore massimo dell’output ragionevolmente ottenibile = CP La produzione effettiva è molto spesso inferiore alla CP perché, ad esempio, il mercato non è in grado di assorbire tutta la produzione realizzabile dall’azienda. Grado di utilizzo della CP: produzione effettiva / CP A seconda dell’attività svolta dall’unità aziendale, la CP si misura in modo diverso. La misura della CP e dei suoi incrementi richiede quindi la definizione dell’unità di misura dell’output. Ad esempio nelle aziende di produzione di beni si tiene conto del numero di pezzi, nelle società di consulenza delle ore-uomo a disposizione, nel trasporto aereo dei passeggeri per miglia. Non basta strutturare la CP di una sola coordinazione economica parziale, ma è necessario bilanciare le CP di tutte le funzioni (ricerca, vendita, trasporti) per evitare che si formino colli di bottiglia (elementi che riducono la capacità di produrre). Ad esempio nella produzione di biscotti si potrebbe avere un’impastatrice che riesce a gestire 1000 kg di impasto allora e un forno che è in grado di cuocerne sono 800, dunque l'efficienza dell'impastatrice è vincolata dalla capacità del forno, di cui bisogna chiaramente tenere conto. Le economie di scala (o di dimensione) Le economie di scala (EDS) sono le riduzioni dei costi medi unitari che si ottengono installando e utilizzando capacità produttive maggiori. Quasi sempre le dimensioni maggiori consentono costi unitari più bassi. Talvolta le EDS sono decisive per poter stare sul mercato, altre volte sono poco rilevanti. Le EDS si misurano confrontando i costi medi unitari di due diverse CP, ipotizzando per entrambe lo stesso grado di utilizzo. Il costo medio unitario si calcola dividendo i costi totali di produzione per la produzione effettiva. In presenza di economie di scala dunque all’aumentare delle dimensioni diminuisce il costo medio unitario, ma chiaramente i costi totali aumentano. Le fonti delle economie di scala sono: L’indivisibilità di alcuni componenti La maggiore produttività degli input per effetto della specializzazione Le proprietà geometriche dei contenitori (es. se si raddoppia il lato di un cubo si quadruplica la superficie e si aumenta di 8 volte il volume) La maggior efficienza dei motori e degli impianti di maggiori dimensioni: All’aumentare della potenza di un impianto le prestazioni crescono in misura più che proporzionale, mentre i costi crescono in misura meno che proporzionale I minori costi unitari di acquisto derivanti da una maggiore forza contrattuale: va considerato che solitamente a maggiori quantitativi acquistati corrisponde una riduzione del prezzo unitario Va considerato però che le grandi dimensioni non producono solo effetti positivi, dunque lo sfruttamento delle economie di scala è limitato dal mercato, dalla richiesta del mercato di prodotti differenziati in volumi relativamente piccoli, dalla necessità di essere vicini al cliente con negozi o centri di assistenza locali piccoli e dalla necessità di flessibilità (infatti impianti particolarmente grandi possono frenare i cambiamenti). È errato affermare che le economie di scala sono le riduzioni di costo derivanti da maggiori volumi di produzione. Occorre infatti distinguere tra riduzioni di costi derivanti da impianti più grandi, che avviene nelle economie di scala, e maggiori volumi dato un certo impianto, che avviene nelle economie di saturazione. Le economie di saturazione della capacità produttiva o economie di assorbimento dei costi fissi I costi dell’azienda si dividono in fissi (non variano al variare dei volumi di produzione per un dato intervallo di produzione) e variabili (variano al variare dei volumi di produzione). All’aumentare del grado di sfruttamento della capacità produttiva, il costo fisso è ripartito su un numero maggiore di output e questo determina una riduzione del costo medio unitario. Le economie di assorbimento dei costi fissi sono le riduzioni di costo medio unitario derivanti dall’aumento dello sfruttamento della capacità produttiva, tenendo costante la CP. Le economie di assorbimento di costi fissi sono tanto maggiori quanto maggiore è l’incidenza dei costi fissi. Le economie di apprendimento o di esperienza Le economie di apprendimento o di esperienza sono le riduzioni di costo unitario dell’output prodotto, che conseguono all’incremento dei volumi di produzione cumulata. Con esperienza si intende il numero cumulato di output prodotti fino alla data considerata (quante volte l’output è stato realizzato). Queste economie si basano sul fatto che nel momento in cui un prodotto è nuovo si possono presentare problemi di costruzione e di assemblaggio, ma man mano che si progredisce nell’esperienza, cioè man mano che si ripetono le operazioni produttive, la manodopera diventa più veloce e si apportano anche miglioramenti che facilitano la produzione e il montaggio. L’effetto esperienza dunque si verifica man mano che aumenta il volume cumulato. Si è stati in grado di registrare una riduzione costante del costo unitario ad ogni raddoppio dell’esperienza. Le economie di apprendimento si calcolano dunque valutando la riduzione % dei costi a ogni raddoppio della produzione cumulata. Perché si possa misurare il solo effetto esperienza, occorre che nell’intervallo considerato le altre condizioni produttive restino invariate. L’inclinazione della curva dipende dalla capacità di imparare, denominata velocità di apprendimento, che si ottiene rapportando i costi relativi a due produzioni che rappresentano un rapporto di esperienza 2 a 1. L’ottenimento di riduzioni nei costi e il mantenimento della velocità di apprendimento richiedono uno sforzo mirato. In valori assoluti, i grandi risparmi per effetto dell’esperienza si ottengono sui primi lotti di produzione. Le fonti delle economie di apprendimento sono: La crescente abilità nello svolgimento delle attività: la fonte primaria di esperienza è proprio l’apprendimento sviluppato dalle persone. La migliore selezione delle risorse produttive Il coordinamento più efficiente fra le unità produttive: con l’esperienza gli individui imparano a conoscersi e a lavorare in gruppo, a interagire con altri gruppi di lavoro e a coordinare le attività di impianti differenti La più elevata programmabilità dell’attività: l’esperienza infatti accresce la prevedibilità degli accadimenti e dunque aumenta la capacità di reazione Le semplificazioni dei prodotti e dei processi Le economie di esperienza non solo permettono di ridurre i costi, ma anche di sfruttare al meglio le risorse a disposizione (dunque la capacità produttiva) e di migliorare la qualità dei prodotti a parità di costi. Le strategie di replicazione puntano a sfruttare competenze e routine, presenti nel patrimonio aziendale, applicandole a più combinazioni parziali uniformi. Sfruttano economie di apprendimento ed economie di scala. Sono esempi in tal senso i franchising di fast food, le catene alberghiere, le banche, le catene di sale cinematografiche ecc. Le scelte di struttura dei costi Il risultato economico è influenzato da molteplici fattori, tra cui la struttura dei costi, ossia il peso relativo dei costi fissi e dei costi variabili. La struttura dei costi è pesante quando ci sono tanti costi fissi, mentre è leggera quando ci sono tanti costi variabili. I costi di produzione si dividono in quelli di gestione caratteristica e in quelli di gestione finanziaria e fiscale. Nell’ambito della gestione caratteristica ci sono: costi fissi: rientrano: o le quote di ammortamento: derivanti dalle immobilizzazioni, cioè dalle condizioni di produzione di gestione caratteristica a impiego ripetuto o i costi fissi di struttura e di sviluppo: derivanti dalle condizioni di produzione di gestione caratteristica a impiego unico ma non strettamente proporzionali ai volumi costi variabili: derivanti dalle condizioni di produzione di gestione caratteristica a impiego unico strettamente proporzionali ai volumi Nell’ambito della gestione finanziaria e fiscale rientrano i costi finanziari e fiscali. Il punto di pareggio Il punto di pareggio (BEP, Break-Even Point) è il volume di vendita per il quale i ricavi coprono esattamente i costi, dunque non si hanno né perdite né profitti. Calcolando il rapporto tra costi fissi e margine di contribuzione unitario, si ottiene la quantità di produzione e vendita che consente di assorbire tutti i costi fissi. Da quel punto non solo si coprono i costi fissi, ma si generano anche profitti. R = CT R = ricavi CT = costi totali R = CF + CV CF = costi fissi CV = costi variabili Ru x qP = (CVu x qP) + CF qP = quantità di pareggio u = unità qP = CF / (Ru – CVu) (Ru – CVu) = margine di contribuzione unitario Il punto di pareggio in fatturato La formula in volumi è molto semplice e chiara ma, purtroppo, per molte imprese (es. supermercato) è impossibile identificare un prodotto o servizio tipo sul quale basare i calcoli. In questi casi, non è possibile calcolare quante unità di prodotto o servizio bisogna vendere per andare a pareggio. Si può però calcolare quale fatturato bisogna realizzare per andare a pareggio. Si può dunque utilizzare la formula del punto di pareggio in fatturato. Al fine di ottenere il fatturato di pareggio invece che il volume di pareggio basta moltiplicare entrambi i membri dell’equazione per il prezzo di vendita: Q X P = [CF / (Ru – CVu)] x P Fatturato = CF / [(Ru – Cvu) / P] In molti casi, tuttavia, non si dispone dei valori unitari ma dei valori totali. In questi casi si ricorre al margine di contribuzione percentuale, che può essere ottenuto rapportando il margine di contribuzione totale ai ricavi totali. Per definizione, essendo il margine di contribuzione percentuale un valore relativo, si ottiene lo stesso valore sia lavorando sui valori unitari sia lavorando sui valori totali. Fatturato = CF / Margine di contribuzione % Il rischio operativo Il rischio operativo è espresso dalla probabilità più o meno elevata di realizzare risultati reddituali particolarmente negativi o particolarmente positivi in relazione alla fluttuazione dei volumi di produzione e vendita. Il rischio operativo è legato al livello del punto di pareggio e al grado di elasticità operativa. Una misura della elasticità operativa è rappresentata dal rapporto fra costi variabili totali e costi fissi al punto di pareggio Eo = CVT / CFP Il reddito operativo serve a coprire interessi, tasse e utile netto. L’utile netto deve essere proporzionato agli investimenti, al rendimento degli investimenti senza rischio e al livello di rischio. Fatturato di equilibrio reddituale = (CF + reddito operativo desiderato) / margine di contribuzione % LE SCELTE DI AGGREGAZIONE INTERAZIENDALE Molti istituti includono nei propri confini combinazioni economiche che potrebbero essere svolte in altri istituti, o viceversa. Molte relazioni tra istituti non sono solo relazioni di scambio condotte secondo le regole di mercato. Sono anche relazioni nelle quali si condividono scelte di governo economico e risultati economici. Due o più istituti (M, N, ecc) possono giudicare vantaggiosa un’integrazione. A seconda delle circostanze, sceglieranno una delle seguenti opzioni: 1. M e N rimangono due unità giuridicamente indipendenti e interagiscono secondo le regole di mercato (non si attua l’integrazione) 2. M e N formano un aggregato: a) formano un aggregato monoaziendale fondendosi in una sola unità giuridica b) formano un aggregato interaziendale dove M e N rimangono unità giuridicamente distinte In questo caso possono scegliere di seguire tre vie: ▪ M e N si uniscono mediante relazioni di capitale di rischio (formazione di un gruppo, scambio di partecipazioni, joint ventures ecc) ▪ M e N si uniscono mediante contratti e strutture comuni che hanno impatto sui diritti di proprietà (consorzi, reti in franchising, alleanze strategiche ecc) ▪ M e N non compiono mosse formali, ma adottano taciti comportamenti di forte integrazione che si sovrappongono ai meccanismi di mercato Le varie forme di aggregati aziendali si presentano secondo differenti combinazioni di caratteri distintivi: l’unicità o pluralità di aziende giuridicamente distinte formanti l’aggregato l’unitarietà o meno del soggetto economico il grado di esplicitazione e di formalizzazione della struttura delle relazioni di connessione tra le varie combinazioni economiche Gli aggregati aziendali, monoaziendali e interaziendali, possono essere spiegati come frutto dell’agire di: Le forze aggreganti: forze che spingono le aziende ad aggregarsi. Le forze aggreganti si dividono in: o Forze aggreganti di tipo economico-tecnico: le economie di scala, le economie di raggio di azione, l’integrazione delle competenze distintive, le economie di transazione, la condivisione dei rischi, le rendite monopolistiche o Forze aggreganti di altra natura: le reti di relazioni sociali, l’orientamento delle persone al dominio, le relazioni di solidarietà e di affinità politica Le forze disaggreganti: forze che ostacolano l’aggregazione o che spingono gli aggregati a disaggregarsi Le forze disaggreganti si dividono in: o Forze disaggreganti di natura economico-tecnica: l’ultracomplessità organizzativa, il fabbisogno di differenziazione degli orientamenti manageriali, il rischio di erosione delle conoscenze e delle competenze distintive, la separazione dei rischi o Forze disaggreganti di altra natura: l’orientamento delle persone all’indipendenza e alla competizione, le divergenze di valori e di interessi Le forze ambientali: condizioni di contesto che possono fungere da facilitatori o da ostacoli all’aggregazione. Sono esempi i sistemi di comunicazione e di trasporto, i mercati dei capitali, la normativa economica (in particolare la normativa antitrust e la normativa fiscale), la cultura economica e politica prevalenti (più o meno favorevoli alle grandi imprese e ai grandi gruppi). È possibile distinguere: gli aggregati interaziendali: o i gruppi economici: gruppi privati e pubblici di aziende di produzione, joint ventures, gruppi di gestioni patrimoniali familiari. Si ha un gruppo economico quando più combinazioni di produzione sono istituite e rette da un unico soggetto economico che ha la potestà di governo economico. Le relazioni sono di carattere patrimoniale. o le associazioni formali di aziende (composte da unità giuridicamente autonome e alto livello di formalizzazione): consorzi, cartelli, franchising, licenze, concessioni, accordi quadro, associazioni di categoria, associazioni di aziende di consumo. o le associazioni informali di aziende (aggregati di aziende che si formano per ragioni ed operano secondo modalità analoghe a quelle dei gruppi e delle associazioni formali, ma non sono configurati in strutture esplicite sul piano giuridico formale): reti di subfornitura, costellazioni, distretti, intese informali varie gli aggregati intra-aziendali: sono pluralità di combinazioni economiche, aggregate in una stessa entità giuridica, dunque le unità non sono giuridicamente autonome. Le fattispecie ricorrenti sono: o aziende multiunità: aziende che inglobano più unità di trasformazione tecnica (stabilimenti, ad esempio) o di commercializzazione (filiali) relativamente autonome. Sono le aziende che cercano di sfruttare al massimo le economie di scala o aziende integrate verticalmente: aziende con combinazioni economiche parziali connesse in sequenza per cercare di sfruttare le economi di transazione o aziende diversificate: aziende con combinazioni economiche parziali identificate da prodotti destinati a mercati distinti in quanto soddisfano differenti classi di bisogni. Spesso tali aggregati sono destinati a sfruttare importanti economie di raggio di azione Gli aggregati intra-aziendali sono in relazione di fungibilità parziale rispetto a talune forme di aggregati interaziendali. Ad esempio le aziende multiunità rispetto ai consorzi o alle associazioni in franchising; le aziende integrate verticalmente rispetto alle reti di subfornitura o alle costellazioni; le aziende diversificate rispetto ai gruppi economici. Nella dinamica dell’azienda spesso si registrano passaggi da aggregati interaziendali ad aggregati intra- aziendali e viceversa. REDDITO DI ESERCIZIO E CAPITALE DI FUNZIONAMENTO I soggetti coinvolti nella vita dell’azienda hanno il diritto e il dovere di conoscere le condizioni del suo svolgimento, in termini di risultati conseguiti e di prospettive di economicità, anche al fine di assumere decisioni. Ha esigenza di conoscenze sia chi fornisce contributi (prestatori di lavoro, conferenti di capitale, fornitori, clienti, stato ecc) sia chi esercita il governo economico (amministratori, direttore generale, direttore commerciale, direttore di produzione, direttore amministrativo ecc) I sistemi informativi sono strutture e procedure che raccolgono, conservano, elaborano e distribuiscono i dati e le informazioni aziendali. Tali sistemi forniscono i dati e le informazioni utili per valutare l’economicità dell’impresa. L’economicità può essere rappresentata ricorrendo a più modelli: il modello dell’equilibrio reddituale, il modello dell’equilibrio monetario, il modello dell’equilibrio istituzionale, il modello della competitività, il modello delle competenze e delle risorse, il modello del valore del patrimonio e il modello del bilancio di esercizio. Il bilancio aiuta a valutare l’equilibrio reddituale. La legge impone alle imprese l’obbligo di redigere il bilancio almeno una volta l’anno. Nel codice civile è possibile trovare molte norme riguardo il bilancio: sui principi generali (art. 2423, 2423-bis, 2423-ter), sullo stato patrimoniale (art. 2424, 2424-bis), sul conto economico (art. 2425, 2425-bis), sui criteri di valutazione (art. 2426), sulla nota integrativa (art. 2427) e sulla relazione sulla gestione (art. 2428). Il modello del bilancio di esercizio Il modello del bilancio di esercizio fornisce risposta a due esigenze conoscitive fondamentali: Se l’attività economica svolta dall’impresa sta producendo gli utili attesi. In tal caso si fa riferimento al reddito di esercizio o conto economico. Il reddito di esercizio è l’insieme dei valori dei componenti positivi (CPR) e negativi (CNR) del reddito di esercizio. I componenti positivi del reddito corrispondono agli output prodotti, mentre quelli ne