Civiltà della Moda - Riassunto Completo - PDF
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Università degli Studi di Roma "La Sapienza"
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Summary
Questo documento fornisce un riassunto completo sulla civiltà della moda, esplorando le origini, le regole suntuarie e le diverse fasi della moda, specialmente nei contesti greco e romano. Include aspetti chiave come la rappresentazione sociale, le norme e le modifiche nei costumi e negli stili.
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Civiltà della moda. Riassunto completo Costume E Moda Università degli Studi di Roma La Sapienza 26 pag. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) ...
Civiltà della moda. Riassunto completo Costume E Moda Università degli Studi di Roma La Sapienza 26 pag. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) I. Dalle leggi suntuarie alla moda 1. Alle origini del fenomeno Quando si parla di: - costume si intende il periodo in cui l’abito non era soggetto a frequenti cicli di cambiamento - moda si parla della rapida sostituzione dei modelli vestimentari diventata regola. La moda può essere definita come un sistema di regolazione in cui la sanzione determinata dalla manifestazione di espressioni di disapprovazione, ridicolizzazione, ostracismo. Questo implica che: Le fogge siano in costante cambiamento più o meno rapido Gli individui abbiano la facoltà di seguire tali avvicendamenti senza limitazioni normative. Ad Atene le norme suntuarie (dispositivi legislativi a the a disciplinare l’ostentazione del lusso per classi sociali) erano quelle contenute nel corpus promulgato da Solone nel VI secolo a.C. La ricerca del lusso sembrava essere il principio ispiratore dei ceti dominanti, vi era soprattutto una piena consapevolezza dell’importanza di rappresentare la propria condizione sociale attraverso l’ostentazione. Nel mondo greco l’abbigliamento femminile era impregnato tre capi fondamentali: 1. Il peplo, 2. Il chitone 3. L’himation. Mentre nella civiltà romana gli abiti erano: 1. La stola 2. La palla 3. La toga; in particolare i diversi colori della toga indicava il particolare condizione dire indossava nella società romana. L’abito era un preciso attributo della condizione sociale, per un romano definiva il rango, lo status, la funzione o l’autorità. Successivamente vi fu un declino del sistema vestimentario tra il III e il VI secolo quando le vesti drappeggiate furono abbandonate. Si può dire che il “fenomeno moda” nasce subito dopo l’introduzione di importanti innovazioni nelle acconciature, calzature e nelle fogge degli abiti, che avvenne nel 1340, il quale successivamente caratterizzò cicli di cambiamento del gusto di vestirsi che avrebbero coinvolto le Fiandre della Francia, l’Inghilterra e l’Italia nella seconda metà del trecento. Anche durante il periodo del XIV sec. vi fu un disciplinamento dei consumi vistosi, con la promulgazione di leggi suntuarie mirate a regolare l'abbigliamento. Il ricorso a queste 1 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) normative è spiegabile con la necessità di metabolizzare i mutamenti introdotti nel sistema dell’abbigliamento collegandoli maniera precisa alle esigenze di rappresentazione dell’ordine sociale. Quindi le regolamentazioni suntuarie dell’epoca miravano a riclassificare i segni esteriori di identificazione del rango in base ai nuovi modi di vestirsi. L’avvento della moda, quale istituzione sociale, è il processo che si disperde attraverso il tempo non secondo modo regolare con accelerazioni seguiti da periodi di stasi necessari alla società per metabolizzare cambiamenti. 2. Gerarchie sociali e gerarchie delle apparenze Fino al XVI secolo, l’abbigliamento non cessa di essere considerato un segnale di appartenenza a un ceto sociale. L’abito, non era soltanto funzione della condizione sociale di chi lo portava, ma anche delle particolari tradizioni delle diverse comunità alle quali era doveroso adeguarsi. La gerarchia delle apparenze si rifletteva su una gerarchia dei colori, che contribuirono in maniera determinante all’identificazione del rango sociale di appartenenza. Il nero è il colore dominante nell’abbigliamento, soprattutto maschile, dei ceti elevati poiché ad esso si associavano le doti umane di pietà, serietà, gravità e autorevolezza. Le leggi suntuarie, promulgate nei vari Stati europei, sono l’indicatore dello sforzo volto a regolamentare le apparenze in funzione delle gerarchie sociali esse avevano come funzioni quelle di: Contenimento delle spese che le famiglie nobili sostenevano per il “consumo vistoso” e limitare l’acquisto di generi di importazione. Salvaguardare la nobiltà inferiore dalla rovina per le eccessive spese necessarie a mantenere un tenore di vita confacente allo status. Regolare le spese pazze e vane della tavola e del vestiario. Arginare l’attenzione all’emulazione riconoscendo la necessità di distinguerci esteriormente secondo i gradi. 3. La gerarchia delle apparenza comincia ad incrinarsi Nel XVI secolo si ebbero segni di mutamento delle funzioni dell’abito, aveva cominciato a manifestarsi un atteggiamento ambivalente: Da un lato l’interesse per il cambiamento Dall’altro ancora non si riusciva a prescindere dall’osservanza della gerarchia delle apparenze. L’abito rappresentava uno strumento fondamentale di identificazione distinzione sociale, ma, se ciascuno avesse avuto la facoltà di vestirsi secondo il proprio capriccio, allora sarebbe divenuto impossibile riconoscere le persone e l’ordine sociale stesso avrebbe subito gravi conseguenze. Tra il XVI e XVII sec. i poteri politici si impegnarono in un’azione normativa allo scopo di restaurare l’ordine della gerarchia delle apparenze. 2 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Era evidente che, dietro la questione dell’abito si celavano tensioni sociali complesse e articolate. L’attacco alla gerarchia delle apparenze era stato supportato dalla crescita e dall’ampliamento della propensione al consumo di capi di vestiario, poiché a partire dal ‘500 il consumo appare in progressiva crescita. La gerarchia delle apparenze aveva cominciato ad incrinarsi a causa delle accresciute possibilità di acquistare i capi di abbigliamento. 4. Le condizioni economiche per il cambiamento Ricerche sui salari e sui prezzi, fatti per ricostruire le dinamiche dei salari reali tra la metà del XVI e la prima metà del XVII secolo, mostrano che si verificò un consistente deterioramento dei salari reali con intensità diversa a seconda delle aree geografiche. Il ‘500 è descritto come un periodo caratterizzato dalla mobilità sociale. I ceti emergenti non volevano abbattere la gerarchia delle apparenze ma solo essere inclusi in essa, e l’avvento della moda era ancora più funzionale alle esigenze di rappresentazione dell’ascesa sociale, essere alla moda sarebbe divenuto il criterio di distinzione alla portata di chi disponeva dei mezzi per potertelo permettere. Nell’Italia del Rinascimento, ad esempio, la liquidità che avrebbe alimentato il consumo vistoso derivava soprattutto della proprietà fondiaria. La caduta del potere d’acquisto dei salari erosi e la crescita del costo dei generi alimentari del XVI secolo, produsse un inasprimento delle condizioni di vita dei lavoratori; cominciarono ad aumentare i prezzi agricoli causando: un ridimensionamento dei redditi reali dei salari e una lievitazione delle entrate dei gruppi sociali facoltosi. Tra il 1500 e il 1650 la disuguaglianza tra poveri e ricchi aumentò considerevolmente: I salariati incontrano crescenti difficoltà a fronte dell’incremento dei prezzi dei beni di prima necessità I ceti abbienti quelli che ricavavano il reddito della proprietà fondiaria potevano sfruttare sia l’incremento dei prezzi agricoli sia il declino del costo dei beni e servizi del consumo vistoso. I prezzi dei tessuti si contrassero anche perché i produttori allargarono diversificarono la loro offerta, proponendo ai consumatori prodotti e soluzioni vestimentarie nuove più economiche rispetto al passato; l’industria tessile si impegnò verso la produzione di tessuti più leggeri e meno costosi di quelli tradizionali: 1. Le stoffe confezionate in lana si distinguevano in: tessuti pettinati con finiture cangianti che limitavano gli effetti della seta e stoffe tessute con l’impiego di lana di capra e di cammello. E cominciarono a diffondersi i tessuti misti fabbricati con lana e altre fibre come cotone o lino. 2. Si cominciarono a ridurre le dimensioni dei motivi decorativi, il che consentiva un più semplice e veloce riassetto del telaio nel passaggio da una lavorazione all’altra permettendo una maggiore flessibilità produttiva e una contrazione dei tempi e dei costi di produzione. 3 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) 3. Importante anche la “rivoluzione della maglia” ossia l’avvento e la diffusione di articoli lavorate a maglia che andarono a sostituire capiti abbigliamento tradizionalmente confezionati con il tessuto. Esempio più lampante è quello del vestiario pret-à-porter acquistato indossato senza passare attraverso il lavoro del sarto. 4. I rigattieri trattavano abitualmente articoli di seconda mano e il che ostacolava il mercante, era dannoso per il sarto e non portava beneficio a nessuno tranne che a loro stessi Abbigliamento ready to wear era già praticato tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, anche grazie la possibilità di noleggiare abiti per partecipare a particolari occasioni. E la ricerca di innovazione di prodotto era il processo che caratterizzava il settore tessile e dell’abbigliamento nel corso del cinquecento e fu contraddistinto da un obiettivo principale: allargare diversificare l’offerta con prodotti sempre meno costosi allo scopo di raggiungere una platea più ampia di consumatori. Si parla di Industrious Revolution, ma il meccanismo di cambiamento si presenta partire dal XVI secolo anche se il consolidamento avviene più tardi,quando la tradizionale della gerarchia delle apparenze entra in crisi per diverse cause: 1. La difficoltà di farsi mantra delle leggi suntuarie 2. La pressione dei ceti con l’aspirazione di ascesa sociale 3. Le nuove opportunità offerte nel mercato dell’abbigliamento 5. La civiltà della moda L’affermazione della moda come istituzione sociale avvenne nel XVI secolo, quando, situazioni che conduceva il cambiamento, crearono le condizioni per l’abito di non essere più soltanto parte di uno schema di identificazione di rango ma di entrare a far parte di un sistema più complesso e articolato. Nel corso del ‘500 vi era una crescente e diffusa conoscenza del sé e dalla quale discendeva l’esigenza di esprimere la propria personalità anche attraverso le scelte in materia di abbigliamento, comincia a realizzarsi l’identità personale attraverso nuove forme di strategie dell’apparenza. Si parla di “processo di civilizzazione” ossia la definizione di un codice di comportamento che riconfigurava il sistema delle buone maniere, per una società che stava abbandonando i canoni della tradizione cavalleresca quindi la “civiltà delle buone maniere”. La moda si configura come un processo di civilizzazione, la società occidentali potrebbe essere stata, non soltanto la culla della civiltà delle buone maniere, ma anche della civiltà della moda. 4 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) II. EPIDEMIOLOGIA DELLA MODA 1. Il contagio si diffonde Per quanto riguarda le rappresentazioni culturali si può dire che: - Alcune sono trasmesse attraverso le generazioni si chiamano tradizioni e sono paragonabili alle malattie endemiche - Altre le mode si diffondono nell’intera popolazione e sono paragonabili alle epidemie. Nella prima metà del seicento, la moda diveniva un oggetto degno di essere preso in considerazione, cominciarono ad essere sviluppati dei testi in cui si esprime la preoccupazione per gli accessi che la dipendenza della moda a portava la società del tempo, sottolineando il carattere effimero della moda, che spingeva le persone a una ricerca di cambiamento e novità. L’abbigliamento contribuiva in maniera determinante alla definizione della reputazione e del prestigio dell’individuo. Nell’epoca del Re Sole la corte di Versailles era effettivamente è il cuore del sistema della moda francese; era corte infatti che si lanciavano le novità in maniera di abbigliamento. Un ruolo importante ebbe il pubblico femminile e si parla infatti di “femminilizzazione della moda”. Il riferimento principale era quello il pubblico femminile, che veniva preso come veicolo di propagazione del contagio modaiolo, le donne infatti dovevano curare il proprio aspetto esteriore con cui attenzione di gran lunga maggiore rispetto agli uomini. In particolare cominciarono a svilupparsi le stampe in materia di moda il primo giornale di moda fu il “Mercure Galant” un periodico rivolto all’aristocrazia che trattava vari argomenti leggeri ma il cui punto di riferimento era soprattutto la vita di corte i pettegolezzi e le mode l’amore ufficiale era infatti quella in voga a corte. La moda rappresentava quindi il mezzo attraverso cui le donne assecondavano una loro pulsione naturale. In Inghilterra, questi atteggiamenti, però, mettevano a repentaglio la tradizionale sobrietà dei costumi, espressione esteriore della dittatura morale della nazione in particolare la diffusione della moda corrompeva la salvezza della virilità inglese. Il confronto tra Francia e Inghilterra si propagò tanto da essere chiamato “guerra della moda” gli inglesi che avevano scatenato e nei confronti della Francia. Con lo scopo di tutelare le virtù della nazione. In Italia, la moda rappresentava un potentissimo mezzo di comunicazione per entrare in società: la gente, se non era conosciuta altrimenti, veniva onorata in base ai vestiti e ai suoi ornamenti, si parla quindi di “inganno sociale” attraverso l’abuso dell’apparenza. Nel corso del XVII secolo la diffusione del contagio aveva raggiunto gran parte delle società europee ( Italia, Olanda,Inghilterra Francia) e la moda ne era divenuta un’istituzione sociale. I sovrani assoluti si servirono inoltre della moda come forma di rappresentazione dello splendore della corona, essa viene sapientemente impiegata anche 5 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) come strumento di potere poiché la politica della moda si rivelò un efficace controllo sociale. In Olanda in Inghilterra, i gruppi che si opponevano alla monarchia, manifestarono la loro avversione al potere assoluto, attraverso il rifiuto del modello di consumo. E si fece strada nel corso del 600 un’attitudine individuale a rapportarsi con la moda senza asserzioni politiche e sociali: i salons di alcune residenze di Parigi divennero il punto di riferimento per quella parte dell'Élite cittadina che non aveva collocazione di rilievo a Versailles ma anche per l’elaborazione di modelli di comportamento che si richiamavano al buon gusto e all’eleganza. Il sistema della moda, consentiva a molti spazi di manovra necessari per operare quelle scelte in materia di abbigliamento che potevano risultare decisive per le prospettive personali di ascesa sociale. Si trattava dello sfruttamento delle opportunità che la moda offriva per farsi apprezzare in società. Vestire alla moda ispirava rispetto e considerazione, il che induce anche a riflettere sui meccanismi che regolano la diffusione delle mode. Si parla di due modelli di diffusione: Trickle Down, sgocciolamento verso il basso, che illustra come la circolazione delle mode fosse regolata da meccanismi articolati e complessi Trickle Up, ossia di contaminazione a partire dagli strati inferiori della società che si verifica, nel corso del settecento, erano già presenti nel corso del secolo precedente. 2. Oltre la corte Tra la fine del ‘600 e i primi decenni del ‘700 la moda, all’interno della società, comincia a mutare sensibilmente. I tratti salienti di questo cambiamento possono essere sommariamente descritti come: - Il passaggio da un sistema monopolistico e unilaterale di elaborazione e di trasmissione delle mode ad un assetto più articolato in cui creazione e diffusione di nuovi stili erano il frutto dell’opera di più attori che interagiscono tra loro. - L’indebolimento della corte come sede principale di manipolazione della moda; i salons, le accademie, teatro e lavoratori delle marchande de modes, oltre che la corte, offrivano stimoli che portavano alla creazione della moda. In Inghilterra la corte, come luogo di elaborazione delle mode, dipendeva dalle vicende della monarchia e in particolare degli Stuart, ma la Gloriosa Rivoluzione del 1688 prevedeva una restaurazione della tradizionale sobrietà britannica. La moda di corte sopravviveva, ma sempre più orientata definire modelli vestimentario formalizzati che fossero adatti alle varie occasioni previste dei cerimoniali ufficiali. La moda era alimentata da un ritmo di cambiamento. L’incessante ricerca della novità era ormai divenuta il motore della moda. In Olanda l’influenza dello stile aristocratico era assai limitata, gli olandesi anche se ricchi non erano soggetti alla vanità dell’apparenza e si vestivano con sobrietà e modestia mentre nelle campagne sopravviveva una forte tradizione di costumi regionali. 6 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) In Francia nel corso del settecento la corte aveva preso perso l’esclusiva e la moda non era più uno strumento di politica era divenuta autonoma e la società cortigiana stessa doveva accettare il dominio. Appare evidente che la novità sia la chiave per comprendere il fenomeno della moda questo è chiaro anche rispetto alle attività economiche legate al settore tessile. Nacque una figura molto importante e quella della specialista del gusto la marchande de mode, il lavoro della quale consisteva nel conferire originalità al look e creatività, per manipolare acconciature decorazioni accessori. Anche in Inghilterra artigiani commercianti attivi nell’abbigliamento avevano assunto un ruolo di primo piano nella creazione delle mode, a Londra non vi era una sola figura professionale nella quale si riconosceva il potere di controllare la dinamica di cambiamento. Era il sarto l’artefice dell’immagine della distinzione maschile, mentre la figura della marchande de mode parigina si trovava presso la bottega della modista. Un’altra figura importante è quella del merciaio che trattava tessuti preziosi, E altre sciocchezze costose per adornare il gentil sesso. Nel corso del XVIII secolo nella e nella seconda metà i giornali dedicati alla moda, indirizzati prevalentemente al pubblico femminile, si moltiplicarono in Francia e in Inghilterra ma anche in Italia e in Germania. Essere alla moda era un mezzo di distinzione la reputazione che si poteva tenere per questa via non dipendeva più dallo status ma poteva essere acquisita investendo nell’accumulazione di patrimonio materiale di buon gusto. Nel corso del XVIII secolo solo il consumo di articoli per l’abbigliamento intimo in crescita sia in Francia che in Inghilterra; chi indossava gli abiti di biancheria, lasciandola intravedere, dimostrava sensibilità per la cura dell’igiene e per il proprio corpo nonché rispetto per gli altri ed erano perciò ritenuti meritevoli della più alta considerazione sociale. La legittimazione della moda veniva da: Consapevolezza dell’importanza che aveva assunto come settore produttivo. La mutevolezza della moda che governava il flusso degli affari in modo che a causa di essa diversi gruppi di persone fallissero e si arricchissero. La moda avrebbe incentivato la domanda di quegli articoli di abbigliamento il cui consumo era ancora limitato se paragonato con altre realtà europee. 3. La competizione tra stili La “guerra della moda” tra Francia e Inghilterra era scoppiata nella seconda metà del‘600. Per quanto riguarda la Francia: il Re Sole fece della moda uno strumento della sua strategia di potere. Il gusto francese era diventato quello dominante in Europa, soprattutto in Olanda, in Germania e in Italia. Per quanto riguarda l’Inghilterra: Carlo II Stuart cercò di arginare l’imperialismo vestimentario francese, egli voleva: 7 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Creare una moda per l’abbigliamento che non cambierà mai, lo stile inglese si componeva, quindi, di: una casacca lunga fino al polpaccio, vest, che poteva essere con o senza maniche e arrivava al ginocchio e infine i calzoni. Proporsi come il primo difensore della manifattura nazionale, anche perché vest significava indumento di lana. Erigere una barriera che ostacolasse l’influenza del gusto francese. E nel corso del ‘700 la sobrietà e la modestia presero definitivamente il posto del lusso e dell’ostentazione come indicatori di buon gusto ed elementi distintivi del gentiluomo. L’abbigliamento maschile inglese era modesto soltanto in apparenza poiché si trattava di capi e accessori cuciti con materiali di prima qualità e confezionati da mani abilissime nel taglio e nella finitura, mentre quello francese cambiava frequentemente e perciò gli abiti costavano la metà di quelli inglesi. La moda inglese del secondo settecento sembrerebbe caratterizzato da una sorta di processo di democratizzazione delle apparenze in cui: 1. Da un lato i ceti elevati adottavano uno stile apparentemente sobrio e modesto 2. Dall’altro le classi medie e popolari partecipavano con coinvolgimento crescente al gioco della moda. 4. Dinamica della domanda è opportunità dell’offerta Si parla in questo caso di “rivoluzione dei consumi”, poiché vediamo l’immagine di una società sempre più interessata all’acquisto del possesso di un’ampia gamma di beni di consumo. Il paese in cui la trasformazione dello stile di vita appare particolarmente evidente fu probabilmente l’Inghilterra ma anche la Francia, Paesi Bassi, Germania, Italia e Spagna. Quello dell’abbigliamento fu l’ambito in cui l’emergente cultura del consumo si manifesta con particolare forza pervasiva sostenuta dal motore della moda. Nel corso del XVIII secolo la passione per lo shopping abbatté ogni misura di distinzione di ceto; gli addetti al servizio domestico potevano trarre ispirazione dai guardaroba dei padroni, e fu proprio la servitù, attiva da mediatore culturale a disseminare l’ansia dell’acquisto. E fu la classe media a introdurre il nuovo modello di comportamento e a contagiare società nel suo complesso. Si parla quindi di Industrious Revolution, con tale termine si identifica il progressivo e crescente orientamento delle famiglie al mercato, sia in termini di produzione, per ricavarne moneta, sia come consumatori, per soddisfare il desiderio di possedere beni di consumo. La “dinamica dei consumi” è dovuta al maggiore sfruttamento e autosfruttamento del lavoro di tutti membri dell’aggregato domestico, con l’obiettivo di: Accedere a quella liquidità che consentiva di rendere più confortevole l’abitazione. L’offerta, ossia dalla grande varietà per prezzo e qualità delle soluzioni proposte alla sempre più vasta platea delle vittime della moda. Un elemento da prendere in considerazione è dato dal prezzo dei tessuti offerti alla clientela a costi sempre più contenuti e questo diede vita a una forte spinta all’innovazione del 8 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) prodotto, cioè una costante ricerca, da parte dei produttori, di soluzioni che consentissero di diversificare la produzione al fine di intercettare un numero sempre più ampio di consumatori. È importante in questo caso ricordare il cotone. L’importazione di tessuti di cotone dall’India per la fabbricazione di tessuti misti, erano le compagnie olandesi e inglesi a detenere il monopolio del commercio con l’India. Il cotone era un tessuto leggero, gradevole al tatto, lavabile, disponibile bianco o decorato con vivaci colori che non stingevano. Tra gli anni 60 del ‘600 e l’inizio del ‘700 le tele di cotone importate dall’oriente conobbero una popolarità straordinaria, l’offerta era talmente articolata da soddisfare qualsiasi tipo di consumatore. La compagnia inglese delle Indie orientali mise in atto strategie commerciali, volte ad assicurare un’offerta di tessuti che fosse talmente diversificata nel prezzo da intercettare i vari segmenti della domanda. La competizione innescata dalle compagnia indiane suscita la reazione dei produttori continentali che chiesero e ottennero provvedimenti governativi che ne proibissero le importazione e limitassero il consumo. Le misure adottate per proteggere le attività esistenti, non ebbero altro esito se non quello di stimolare la crescita dei cotonifici nazionali. La via delle importazioni dall’oriente mise a dura prova le manifatture tessili. I Lionesi della Gand Fabrique, della seta furono quelli a reagire con maggiore prontezza grande fra Bic che detenevano la leadership europea nel settore. Essi erano maggiormente penalizzati dalla concorrenza e adottarono l’unica strategia possibile per difendere la loro posizione: Da un lato l’attenzione e l’impegno alla costante ricerca dell’innovazione estetica non veniva meno. Dall’altro si consolidava la tendenza ad alleggerire tessuti rendendoli più fragile meno durevoli ma anche più economici. In questo contesto viene inventato il telaio da calze da William Lee che rese disponibile per i consumatori tessuti a maglia, non soltanto in quantità crescente ma anche in tipologie sempre più diversificate, al fine di offrire una vasta gamma di soluzioni vestimentarie alternative a quelle confezionate con il tessuto. Cominciano ad essere prodotte le calze di seta. Nel corso del XVII secolo la vendita di indumenti pronti era già consolidata, in molti importanti centri urbani europei l’abito confezionato era quello standardizzato per equipaggiare l’esercito, esso si basava sul sistema di definizione delle taglie sia per scarpe che per indumenti, il che costituiva un requisito fondamentale per poter disporre grandi quantità di capi di abbigliamento. La vendita di abbigliamento pronto si confondeva con il commercio di abiti usati di cui si occupavano prevalentemente rigattieri. In questo contesto la vetrina divenne la via maestra per accendere il desiderio dei consumatori cominciarono ad essere fatte sperimentazione innovative sulle tecniche di vendita come: L’uso delle bambole vestite alla moda per diffondere le ultime novità, Giornali di moda, quotidiani e periodici e 9 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Pubblicità come le cosiddette tradecards fogli stampati per inviare fatture o cataloghi di prodotti. Vi erano quindi diverse soluzioni per i consumatori meno abbienti, come abiti pronti, vestiti di seconda mano o il ricorso al banco dei pegni. Non si può, quindi, escludere che potesse esistere una moda popolare regolata, almeno in parte, da criteri peculiari il panorama dell’offerta veniva profondamente trasformato sul piano produttivo e su quello distributivo. 5. Moda, costume e identità I coloni americani, si adeguavano rapidamente alle mode britanniche anche perché stimolati dal costante afflusso delle mercanzie proveniente dall’Inghilterra. La rivoluzione dei consumi inglese che si verificò nelle colonie americane raggiunse i livelli più elevati nei trent’anni centrali del secolo, la crescente disponibilità di prodotti provenienti dalla madrepatria stimolò la passione per la moda. Il contrasto tra politica economica imperiale britannica e le aspirazioni dei coloni, prima ancora che con la guerra, iniziò con una guerra economica incentrata sul boicottaggio delle merci inglesi, che riguardava anche gli articoli di moda. Comincia così a prendere forma il progetto di un’America autarchica, in cui anche l’abbigliamento era frutto della loro laboriosità nazionale e l’esperienza americana rappresenta tuttavia un progresso data dalla consapevolezza con cui la politica della moda viene impiegata nella costruzione dell’identità dei cittadini del giovane Stato. La questione della valenza politica dell’abito comincia emergere in tutta la sua rilevanza al momento dell’insediamento degli Stati generali, durante la Rivoluzione Francese. Essi stabilivano che, rappresentanti dei tre Stati indossassero costumi diversi, come segno inequivocabile di distinzione e identificazione, così l’assemblea si apriva con la gerarchia delle apparenze: - I membri del clero si sarebbero presentati ciascuno con l’abito corrispondente al proprio ruolo nella gerarchia ecclesiastica. - Il Terzo Stato doveva indossare un completo nero con un cappello a tricorno. Nell’ottobre del 1789 la gerarchia delle apparenze degli Stati generali venne abolita e l’anno successivo venne bandito ogni genere di segno esteriore che conferisse distinzioni in base al rango di nascita. Vi erano però ancora dei simboli importanti: La coccarda tricolore fu il più significativo è il più diffuso dei segni distintivi dei rivoluzionari; essa divenne simbolo della nazione stessa e fu infatti approvata una legge che imponeva tutti cittadini di portare il dischetto di stoffa. (divenne simbolo della Nazione) Inoltre simbolo esteriore della rivoluzione e segno distintivo di appartenenza politica più che di identità nazionale era il berretto frigio o cappello della libertà. (divenne simbolo dell’identità giacobina) 10 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) In questo contesto la moda aveva saputo adattarsi al nuovo corso rivoluzionario traendone fonte di ispirazione, rafforzò la tendenza alla semplificazione degli stili vestimentari: L’abito femminile, aveva adottato linee semplici ed essenziali, erano scomparse le armature che sostenevano le gonne, i tessuti lisci e le tinte unite. La moda maschile accolse la contaminazione con le fogge di abbigliamento da lavoro, che significava innanzitutto una progressiva adozione dei pantaloni lunghi, invece di quelli al ginocchio. Il simbolo del tricolore venne incorporato nell’abbigliamento con varie combinazioni di bianco rosso e blu, che esprimevano l’adesione alla nuova tendenza e la lealtà alla Rivoluzione. 6. Cultura della moda La metafora dell’epidemia, per illustrare la diffusione della moda tra ‘600 e ‘700 esprimeva un contagio che si propagava tra i paesi dell’Europa occidentale all’America. Trattandosi di un’istituzione sociale, la moda fu soggetta a un’evoluzione che si adattava ai mutamenti intervenuti nella società. Si realizza quindi una progressiva riabilitazione della moda in virtù della quale il fulcro della riflessione non era più: la critica alla moda come eccesso, ma la critica agli eccessi della moda. I ceti popolari e avevano accesso a una serie di opportunità per apparire alla moda e questo influenzò i modelli vestimentari che si affermarono in Inghilterra con la tendenza alla semplificazione dell’abito maschile. III. ARTISTI DELLA CREAZIONE E INDUSTRIALI DELLA CONFEZIONE 1. È gradito l’abito scuro: dal gusto inglese al modello di eleganza maschile Il modello inglese di eleganza maschile combinava la struttura vestimentaria standardizzata nella forma della vita in tre pezzi, dall’apparenza modesta ottenuta con soffi sobrie e colori austeri. Durante il XIX secolo a rinnovare il primato inglese della moda maschile fu il fenomeno del dandismo che sorse in Inghilterra per poi diffondersi nel resto del continente ma soprattutto in Francia. Con il termine dandy si identificava un indossatore uomo il cui lavoro funzione desistenza consistevano nell’indossare i vestiti con sapienza ed eleganza in modo che se gli arti si vestivano per vivere lui viveva per vestirsi. Uno degli esponenti di questo movimento fu George Brummell un modello di eleganza sobria e raffinata, il gentiluomo elegante che si distingueva soprattutto per l’assenza di qualsiasi forma di ostentazione: I colori erano banditi benché, in origine, il nero fosse di rigore solo per la sera, anche per l’abbigliamento da giorno erano da evitare le tonalità vistose. 11 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) La biancheria era considerata il miglior indicatore di igiene personale del gentiluomo, oltre ad essere di eccellente qualità essa doveva essere cambiata con frequenza e lavata in acqua corrente Esso si riforniva da una rete di abili artigiani e di negozi con i quali interagiva Il terreno di coltura del dandismo fu il West End, era un elegante zona residenziale per i ceti abbienti, la zona in cui si concentravano i migliori negozi e i più belli atelier e lo scenario ideale per l’esibizione, il confronto, la competizione e l’emulazione. Il profilo del perfetto gentiluomo e non discendeva più meccanicamente da requisiti di natura descrittiva, come la nobiltà di natali, ma poteva essere acquisito con merito, vestirsi come un gentiluomo significava adottare il completo nero. Il modo di presentarsi e di rappresentarsi in società permetteva alla persona di riuscire ad accreditarsi come gentiluomo soprattutto per l’eleganza. In Francia la seconda ondata di anglomania vestimentaria approdò oltremanica dopo il 1815, disseminata da intellettuali che rientravano dall’esilio in Inghilterra e dai numerosi viaggiatori inglesi che tornarono ad affollare Parigi contaminando la società della capitale francese con il morbo del dandismo. La semplicità assoluta si identificava innanzitutto con il colore nero, uniforme del gentiluomo, sinonimo di distinzione ma anche di manifestazione esteriore di professione di quei principi etici che consentivano un successo economico e una rispettabilità sociale che si trattasse dell’aristocratico borghese. In Italia il gusto inglese raccolse proseliti entusiasti, l’abbigliamento maschile italiano ripreso dall’inghilterra comincia negli anni veramente successivi alla Restaurazione per consolidarsi dopo la metà del secolo, L’abbigliamento era composto da: Redingote, che diventerà poi la giacca Gilet, unico capo per il quale fossero consentite declinazioni cromatiche più azzardate La cravatta, segno distintivo di eleganza più raffinata, più precisamente il modo in cui si annodava 2. Parigi capitale dell'alta moda femminile Nel corso dell’ottocento si erano quindi affermati due modelli: L’uomo vestito in maniera sempre più uniforme e anonima La donna in cui abiti diventavano sempre più complessi e voluminosi oltre che lussuosi Tale divergenza, venne interpretata come un modo per distinguere ruoli e funzioni in base al genere nell’emergere della società dei consumi. Ciò che concorreva a formare la silhouettes femminili, era l’ampiezza della gonna e la lunghezza, l’altezza e la compressione del girovita, la profondità della scollatura e la forma delle maniche. 12 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Ciò che segna in maniera profonda evoluzione della moda femminile nell’ottocento fu l’avvento di un’istituzione, che sarebbe divenuta il centro propulsore delle dinamiche della moda nei decenni a venire: la Haute Couture di Parigi. E quando la marchandes de modes, mercier e modistes, in quanto arbitri dell’eleganza parigina, dettavano le tendenze di moda a tutta Europa, nella prima metà del XIX secolo, Parigi non cessava di essere uno dei più vivaci e vitali centri di creazione del gusto vestimentario in campo femminile. Fu Charles Frederick Worth a porre le basi della nascita di Parigi come capitale mondiale della moda femminile. Nato in Inghilterra nel 1826 e nel 1838 si era trasferito a Londra per lavorare come apprendista presso negozi di stoffe, si trasferì poi a Parigi, dove trovò lavoro nella bottega del sarto Gagelin, ebbe successo con delle prime creazioni che presentò nella bottega, ciò spinse Worth a chiedere al tuo titolare di aprire un laboratorio di sartoria per sfruttare le opportunità che la domanda di abbigliamento femminile facevano intravedere. Worth divenne quindi socio di Gagelin. Successivamente la moglie di Worth presentò un album di schizzi del marito, alla principessa di Metternich, che ne fu talmente colpita da ordinare immediatamente due abiti uno dei quali fu indossato in occasione della presentazione del corpo diplomatico a corte e suscitando il vivo interesse dell’imperatrice Eugenia che convocò a Worth per il giorno seguente. Con Worth inizia una nuova fase della storia della moda, quella in cui il governo del sistema venne assunto delle maisons parigine guidate dei grandi nomi dell’alta moda sartoriale femminile. Worth pose le basi di questa nuova forma di organizzativa introducendo una serie di innovazioni: Il rovesciamento tra rapporto e del sarto-cliente; il successo di Worth fu il successo del sarto, la moda femminile era divenuta un affare in mano i sarti maschi E la riqualificazione della funzione del sarto, a riconosciuto couturier artigiano che metteva il proprio genio creativo al servizio dell’eleganza femminile inventando soluzioni e composizioni uniche. Combatté e sconfisse la crinolina. Un altro artista fu Paul Poiret con il quale l’Haute Couture parigina faceva il salto di qualità, grazie l’introduzione di innovazioni che portassero nuove possibilità di sviluppo. Lui fu innanzitutto l’artefice della definitiva consacrazione del couturier-artista, si convinse che la creazione di abiti rientrasse nell’ambito di quella che lui stesso chiamava “industria del lusso”. Aprì una boutique chiamata “Boutique Martine” e che fu il primo a couturier ad allargare l’attività di una casa di moda dalla sartoria ai prodotti cosmetici accomunandoli agli abili con il medesimo marchio: nel 1911 fu lanciato il primo profumo Rosine. Paul Poiret aveva messo al bando l’elemento strutturale della silhouettes femminile cioè il busto. 13 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) 3. L’abito confezionato Le prime esperienze di confezione standardizzata su vasta scala con il tentativo di abbozzare un sistema di taglie, fu l’equipaggiamento dei soldati e marinai. In Francia l’offerta sul larga scala di abiti confezionati nuovi a prezzi modici cominciò ad essere disponibile all’inizio degli anni 30 dell’ottocento. Un esempio fu Pierre Parissot, che apri un negozio di tessuti “Le belle Jardiniere”. Che offriva soprattutto abbigliamento da lavoro dalla vestibilità approssimativa, per passare successivamente ad articoli più rifiniti, a costi contenuti. Egli utilizzava lo Sweeting System. Questa organizzazione di abiti pronti, costituendo una rete di laboratori familiari specializzati per tipologia di cavo o per funzione, si trattava di un sistema basato su un esercito di sarti che lavoravano manualmente secondo tecniche tradizionali viene definito Sweeting System. L’industria della confezione, non aveva quindi nulla di industriale in senso stretto, salvo lo sfruttamento di migliaia di operai e operaie che lavoravano a domicilio con un salario. La diffusione dell’abito confezionato nella seconda metà dell’ottocento si ebbe con i grandi magazzini che rilanciarono pratiche innovative come: L’indicazione del prezzo Il prezzo fisso L’entrata libera L’esposizione delle merci Spazi ampi e illuminati a gas L’uso massiccio delle tecniche di marketing moderno, come il lancio di eventi per la promozione stagionale di particolari articoli, i saldi. L’abito confezionato era ormai un veicolo di promozione sociale dei ceti popolari, simbolo di emancipazione civile della classe operaia, che poteva permettersi l’abito nero. In Inghilterra l’abito pronto maschile si comincia diffondersi negli anni 30 dell’ottocento. Coloro che si lanciarono nell’impresa dell’abbigliamento confezionato erano: - Commercianti di vestiario usato - Appaltatori di forniture militari o civili su vasta scala - Mercanti di tessuti - Negozianti di articoli accessori dell’abbigliamento Hyam Hyam fu il titolare di un banco dei pegni, venditore di vestiario confezionato egli si riforniva di abbigliamento pronto che usciva dalle mani di operaie dei lavoratori a domicilio. 14 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) La svolta del sistema produttivo dello Sweeting System si ebbe con la macchina da cucire, il sistema produttivo esistente ebbe modo di metabolizzare una nuova tecnologia che finì per rendere più efficiente il sistema. Le prime macchine da cucire si rivelarono efficienti per eseguire cuciture in linea retta e quindi trovarono applicazione soltanto nella confezione di pantaloni ordinari mentre giacche cappotti continuarono ad essere cuciti a mano Il centro di queste nove e innovazioni fu Leeds, città dell’Inghilterra settentrionale che tra ‘800-‘900 contese a Londra il primato nazionale dell’industria della confezione. John Barran introdusse nel processo produttivo un innovativo marchingegno che permetteva di tagliare diversi strati vissuto sovrapposti. Alla rapida diffusione sia in termini di offerta che ti domanda dell’abito pronto maschile non corrispondeva un analogo fenomeno dell’abito femminile. Fu Morris Cohen, ebreo emigrato a Londra, il primo imprenditore della confezione femminile che comincia con il taglio una confezione di giacche per signore su commissione di importanti sartorie e nel giro di qualche anno fu in grado di aprire il proprio laboratorio. Indumenti impermeabili, cioè l’invenzione di un tessuto impermeabilizzato con la gomma che si deve al chimico scozzese Charles Macintosh tra i gli anni 80 dell’ottocento cominciarono a comparire indumenti impermeabili anche per signora. Con il telaio inventato da William Lee gli articoli ready-made riguardarono anche la maglieria, esempio erano le calze di seta, indispensabile accessorio soprattutto per l’uomo elegante che indossando i calzoni culotte era tenuto a esibire i polpacci avvolti in un tessuto di maglia aderente sottile, lucente e magari ricamato. Il miglioramento delle condizioni economiche delle classi popolari e la conseguente lievitazione della propensione al consumo, la flessione del prezzo dei tessili, combinato con l’organizzazione del lavoro, di cui consistenti erano ridotti al minimo furono le condizioni che resero il resistibile la diffusione dell’abbigliamento confezionato. Nell’Europa del XIX secolo fu prima di tutto a Parigi e Londra che si sperimentò l’assetto basato sull’integrazione della produzione di massa e distribuzione su ampia scala coordinato nei grandi magazzini che fu una delle chiavi del successo dell’abbigliamento confezionato. L’altra arma vincente dell’abito pronto fu la costante tensione al miglioramento qualitativo in termini di taglio, vestibilità e finiture, determinando l'evoluzione e l’adozione di sistema di misura standardizzato; con l’invenzione anche del metro da sarto diviene possibile suddividere le varie sezioni che componevano il cap0 di vestiario in figure geometriche dalle quali si ricavano modelli da seguire nell’effettuazione della delicata operazione di taglio. 5. Democrazia vestimentaria americana La prima manifattura americana dell’abito confezionato era quella militare. Aveva assunto sia i sarti che si occupavano del taglio concentrato in un unico edificio, sia le cucitrici per l’assemblaggio dei pezzi le quali lavoravano invece a domicilio. Il centro di questo assetto fu New York in cui la disponibilità di tessuti era basso costo. 15 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Fra i primi a offrire abbigliamento pronto ci fu Samuel Whitmarsh in un negozio lungo Broadway. E Daniel Devlin che, a New York, nel 1849 si insediò in un grande stabile di cinque piani in cui trovavano collocazione: il commercio all’ingrosso e al dettaglio ma anche alcune fasi della lavorazione, il magazzino dei tessuti. L’arma vincente del nuovo magazzino era la sterminata gamma di articoli di abbigliamento pronto offerti con grande varietà di combinazioni modelli e taglie e costo. Coloro che operavano nel settore dell’abbigliamento pronto avevano compreso che le prospettive di successo dell’abito pronto dipendevano dalla loro abilità nel trasformarlo, da prodotto economico destinato l’abbigliamento dei ceti popolari, in un articolo dal costo modulabile a seconda del livello qualitativo. La strategia da seguire era quindi di diversificare la produzione per poter offrire una vasta gamma di soluzioni vestimentarie per soddisfare la clientela dal punto di vista sia del gusto sia del costo. Sviluppare il settore dell, Haute de gamme, al fine di trattare gli acquirenti interessati solo all’abbigliamento di qualità. Soprattutto con l’avvento delle nuove tecniche rivoluzionarono le pratiche sartoriali. I colletti bianchi, simbolo della raffinata eleganza dei ceti superiori, in quanto unica discreta prova visibile della biancheria, con l’introduzione del colletto staccabile era alla portata di tutti. L’abito scuro era l’uniforme da lavoro I palazzi di marmo dei grandi magazzini diventavano sempre più numerosi e sempre meglio illuminati La macchina da cucire venne perfezionata e rafforzò la produttività dello sweeting system Taglierino a lama circolare, mosso con l’elettricità che tagliava 24 Stati di stoffa in una volta Introduzione di presse da stiratura specializzate per le varie tipologie di articoli di vestiario da stirare La guerra civile rappresenta un punto di svolta nello sviluppo dell’industria dell’abbigliamento, i confezionisti furono chiamati a soddisfare le ingenti commesse militari per la fornitura di uniformi per l’esercito. Negli anni successivi alla guerra l’industria confezionista tornò a crescere trainata soltanto dalla domanda civile, l’espansione dell’industria dell’abbigliamento nella seconda metà del secolo si avvalse finalmente di innovazioni tecnologiche che avevano trasformato gran parte dell’economia. All’inizio del ‘900 anche il vestiario femminile era finalmente entrato nel circuito produttivo della confezione con mantelli e corsetti confezionati reperibili sul mercato. L’abbigliamento pronto rispondeva perfettamente alle necessità della donna moderna che viaggiava lavorava e studiava. 16 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) 5. Per un abbigliamento confortevole Un elemento di novità che emerse nel XIX secolo fu l’idea che l’eleganza non dovesse essere necessariamente un’alternativa al comfort. La rinnovata sensibilità emerse nel corso dell’Ottocento, ed era il prodotto di cambiamenti culturali alimentati da movimenti di carattere e aspirazione variegati. Dibattito sul corsetto che denunciava le armature che fasciavano così strettamente il corpo femminile creando gravi problemi fisici. Critica alla crinolina, un articolo di lusso che richiedeva grandi quantità di tessuto prezioso e che ostacolava a tal punto i movimenti della donna da metterne a repentaglio incolumità. Amelia Bloomer, lanciò una nuova tipologia di abito femminile chiamato appunto bloomer, una tunica che arrivava all’altezza delle ginocchia, serrata in vita da una fascia e un paio di morbidi pantaloni stretti alla caviglia di ispirazione orientale. Nel 1881, in Inghilterra, nasceva la Rational Dress Society, con l’obiettivo di promuovere un tipo di e abbigliamento che combinasse la salvaguardia della salute, comodità e bellezza. Tutto ciò fu alimentato dallo svago mediante attività sportive, per le quali erano richiesti capi di abbigliamento pratici e che non ostacolassero il movimento dell’esercizio fisico: - L’ equitazione per le signore per le quali erano state predisposte idonee tenute - Ciclismo l’unico caso in cui l’uso di pantaloni boomer da parte delle donne si diffuse con precocità. - Abiti tweed per l’abbigliamento femminile che divennero, non solo il riferimento per la pratica di attività all’aria aperta, ma anche simbolo di emancipazione femminile, decisamente meglio accetto dei pantaloni. 6. Alta moda e confezione Comincia quindi a nasse a nascere un design industriale. In Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti il ritmo di cambiamento era più sostenuto che altrove e cominciava l’epoca delle mode per tutti. IV. LE MODE PER TUTTI 1. La Haute Couture cambia pelle: da Chanel a Dior Gabrielle Chanel, definita “lo spirito stesso del XX secolo”, è l’inventrice dell’abbigliamento per la donna moderna, che lavorava, viaggiava, praticava sport e frequentava locali. Lanciò una linea di abiti semplici diritti. In questo caso si trattava di una diversa forma di espressione, l’eleganza tipica dell’alta moda parigina diventava più sobria e adatta a soddisfare le esigenze della donna moderna. Si parla appunto di “povertà di lusso” 17 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Chanel sdoganava la legittimava della maglieria, fino ad allora considerato un tessuto ordinario non degno di entrare nel novero delle stoffe pregiate negli atelier di moda. L’estensione del proprio campo d’azione, dall’abbigliamento femminile ai prodotti di bellezza per le donne, fu una caratteristica dei couturier del XX secolo i quali lanciarono nell’impresa della profumeria. Un esempio fu Chanel, con il famoso chanel n 5. La profumeria rappresentò un importante banco di prova che permise alle maison di verificare la propria capacità di aggredire il mercato, anche con articoli diversi da tradizionali capi d’alta moda Chanel era tratta anche dalla bigiotteria Il periodo tra le due guerre vide, le maison parigine, combinare le emergenti istanze di maggiore praticità degli abiti, con l’influenza del gusto estetico elaborato dai movimenti artistici dell’epoca Madeleine Vionnet, utilizzò pezzi di tessuto di forma geometrica, una tecnica di costruzione dell’indumento che conferiva ai modelli la morbidezza e la visibilità dell’ abito drappeggiato. Le innovazioni entrarono anche nelle strategie di comunicazione infatti Madeleine Vionnet, ideò lo stile della comunicazione aziendale, mediante la realizzazione di un progetto grafico che andasse, dal logo della maison, all’intestazione delle fatture. Jean Patou si concentrò sulla creazione dell’abito sportivo aprendo una maison con il nome con “Coin des Sports”, dove si potevano trovare articoli per ogni tipo di pratica sportiva. Scelse degli sportivi professionisti come testimonial delle maison L’italiana Elsa Schiaparelli arrivò negli anni ‘20 a Parigi e si lanciò sulla produzione di capi sportivi, articoli di maglieria confezionati con fibre innovative e fantasie che riprendevano motivi lanciati dei movimenti artistici dell’epoca. Diventò famosa, infatti, con un maglione fatto a mano dalle donne armene profughe a Parigi. Le relazioni tra l’Haute Couture e le avanguardie artistiche dell’epoca erano divenute sempre più intense. I primi esperimenti di pret-à-porter, ossia di capi di lusso confezionati con griffe di una maison di alta moda si verificò nel periodo tra le due guerre. Lelong lanciò una linea pret-à-porter con l’etichetta “Lelong Edition” con l’obiettivo di creare le condizioni perché “la donna possa vestirsi alle condizioni di prezzo della nostra epoca”. Il suo pret-à-porter entrava nell’ambito dell’alta moda. In questo contesto: 18 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) - Parigi continuava essere la capitale mondiale del gusto e gli americani non cessavano di guardare all’Haute Couture come un punto di riferimento per l’eleganza femminile. - Gli Stati Uniti rappresentavano per le maison parigine un mercato diverso da quello europeo che attraeva per le opportunità che la grande scala lasciava intravedere, ma al tempo stesso suscitava diffidenza per i compromessi con la tradizione dell’alta moda che richiedeva. Lo scoppio delle ostilità e l’occupazione nazista della Francia, inaugurare un periodo buio per l’alta moda parigina che dovete lottare per difendere la posizione conquistata. Con la fine del conflitto si creavano le condizioni per ricostruire l’alta moda parigina, che si trovava innanzitutto a fare i conti con la scarsità dei tessuti e inoltre era necessario rilanciare l’immagine dell’Haute Couture e far sapere al mondo che le maison francesi erano pronte a riprendere la leadership. Il successo lo ebbe Dior che aveva: Proposto un’interpretazione la moda femminile che da un lato rappresentava un decisivo cambiamento rispetto al gusto degli anni della guerra e dall’altro rievocava il fascino antico dell’Haute Couture come creatrice di capi di lusso. Egli preferiva, alla praticità e al comfort, dare corpo a una riedizione aggiornata dei lussuosi e costruiti abiti del secondo ottocento. Dior divenne presto, un fenomeno mediatico che riempiva le pagine dei giornali e aveva risollevato le sorti dopo la guerra. Nel contempo Dior sperimentava le potenzialità di sfruttamento commerciale del brand avvalendosi del contratto di licenza, i primi contratti di licenza testarono un nuovo modo di gestire il marchio della maison e i riscontri economici fecero sì che ne seguissero poi molti altri. Si appunto un contratto-tipo, ci si impegnava nel controllo dell’operato delle molte società che operavano nelle varie parti del mondo con il marchio Dior, in settori che andavano dalla confezione di lusso all’alta pellicceria, dai profumi alla valigeria. La maison doveva anche cautelarsi nei confronti dei potenziali plagi depositando il proprio marchio e assicurarsi il controllo sulla qualità degli articoli che le aziende producevano al fine di scongiurare il pericolo di un’immagine negativa. Quando Dior morì, nel 1957 in Italia, furono i proventi derivanti dei contratti di licenza a salvare una maison. Le difficoltà che l’alta moda parigina incontrava erano: 1. Confrontarsi, da un lato, con un mercato che si andava via via restringendo 2. Confrontarsi, dall’altro, con le dinamiche di consumo nuove. Cominciava quindi l’epoca del pret-à-porter. 2. Dal pret-à-porter allo stilismo Negli Stati Uniti che l’abbigliamento confezionato per signora cominciò a qualificarsi come soluzione non marginale, già nel periodo tra le due guerre mondiali alcuni Department 19 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Stores proponevano articoli ispirati a modelli presentati nelle collezioni delle maison parigine. In Francia i confezionisti si avviarono lungo la strada del pret-à-porter di qualità L’industria francese della confezione mantenne lo stretto legame con le imprese della grande distribuzione. Tuttavia l’industria confezionista non disponeva ancora delle competenze e delle esperienze necessarie per soddisfare le esigenze dei consumatori francesi, si fece perciò strada l’idea che fosse obbligatorio affidarsi a consulenti del gusto (professionisti in grado di leggere e interpretare di tendenze emergenti per tradurle nella dinamica produttiva e commerciale della confezione). Verso la fine degli anni 50 quella del pret-à-porter cominciava a prefiggersi come una scelta obbligatoria, mentre l’Haute Couture incontrava difficoltà economiche sempre maggiori e si trovava a fare i conti con una clientela sempre più esigua. Era l’epoca in cui i paesi occidentali cominciavano a confrontarsi con le prime manifestazioni dei movimenti giovanili: Teddy boys Mods Hippies Accomunati dalla critica e del rifiuto degli stereotipi gusti e consolidati modelli di comportamento che imbalsamavano la società. La ripresa economica del decennio post bellico aveva alimentato nella società inglese un diffuso benessere in cui la cultura giovanile si dispose rapidamente. Un esempio fu Mary Quant, che offriva capi lineari confezionati con materiali semplici, dai variegati effetti tattili e brillanti, la minigonna fu infatti una sua invenzione. Nella sua boutique venne anche allestito uno spazio con immagini e colori che parlavano linguaggio della PopArt. Rappresentava il punto di svolta nella storia sociale della moda, non soltanto per aver proposto soluzioni innovative dell’abbigliamento ma per aver interpretato, in maniera nuova, la figura del creatore di moda. Anche l’abbigliamento maschile subì una svolta epocale l’uomo tornava ad occuparsi del proprio abbigliamento con scelte autonome e originali, lasciando il tradizionale abito scuro. Terminava la “grande rinuncia maschile”. L’uomo pavone protagonista della “peacock male Revolution” d egli anni ‘60 costituì l’avanguardia di una reale inversione di tendenza nella moda maschile. In questo contesto la moda londinese aveva guadagnato la scena internazionale suscitando l’interesse dei giovani consumatori delle società occidentali la metropoli britannica si costituiva con me la nuova capitale della moda coniando il termine storico “Swinging London” Carnaby Street era divenuta è una meta per i giovani turisti stranieri nella quale potevano trovare nuove tendenze. André Courrèges fu il portatore di un approccio innovativo: 20 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Dal punto di vista organizzativo, da grande sostenitore della convivenza tra Haute Couture e pret-à-porter Da quello stilistico con le sue creazioni decisamente ispirate alla modernità Era la prima volta che un couturier presentava una collezione in cui convivevano i due mondi dell’alta moda della confezione. Yves Saint-Laurent manifestò l’abilità di metabolizzare la tensione al cambiamento che emergeva dei movimenti giovanili tale tendenza dell’arte e delle trasformazioni del costume, per elaborarla in uno stile che riusciva sapientemente a contemperare la moderna ansia per il nuovo e un gusto che sembrava resistere al passare del tempo. Lo stile divenne la parola d’ordine con cui la moda comincia a fare i conti negli anni centrali del 1960, quando fu chiaro che vi era ancora spazio per iniziative innovative, il pret-à-porter del couturier restava comunque un articolo di alta gamma. Cominciò a nascere la figura dello stilista, che possedeva abilità di trasformare in collezione abiti e accessori. Era terminata l’epoca dell’Haute Couture e con essa si era chiusa anche l’epoca della centralità di Parigi, si apriva quella segnata dalla multipolarità della creazione: non solo Londra ma anche Firenze, Milano, New York, e Tokio si candidavano alla successione. 3. Il Made in Italy Nel secondo dopoguerra, in Italia, il mercato dell’abbigliamento era suddiviso in: Alta moda: modello francese, pubblico elitario, atelier. Confezione in serie: all’interno di aziende industriali: prodotto standardizzato. In questo contesto il settore della moda non operava come un “sistema” ma erano piuttosto i singoli produttori che individualmente delineavano lo sviluppo della propria attività economica. Nel 1947 Salvatore Ferragamo aveva ricevuto una sorta di oscar della moda da uno dei più importanti Department Stores americani. Nello stesso anno gli abiti di Simonetta e i modelli di Gucci conquistavano le pagine di “Harper’s Bazaar”. Gli esperti americani stavano cominciando a scoprire la moda italiana. Nel 1949 con il matrimonio di Tyrone Power con Linda Christian (indossante un vestito italiano) la moda italiana si fece strada negli Stati Uniti. Giovanni Battista Giorgini (1899-1971) Nel 1949 aveva proposto una sfilata di modelli italiani al Brooklyn Museum Organizzò una sfilata a Firenze e riuscì a chiamare i più grandi department stores americani Organizzò nella sua residenza fiorentina (Villa Torrigiani) una sfilata collettiva di creazioni sartoriali italiane Con una sfilata successiva il 22 luglio 1952 raggiunse la notorietà nella stampa USA, con anche “Vogue” Il merito di Giorgini fu quello di mettere per la prima volta di fronte ai più importanti acquirenti di lusso un’immagine nuova della moda italiana, e di aver avviato un processo di 21 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) “organizzazione istituzionale” dell’industria della moda italiana, attraverso la collaborazione tra i protagonisti del settore. La creazione di alta moda trasmetteva l’immagine più creativa e qualitativa delle proposte italiane, ma il successo commerciale delle sfilate si concentrava prevalentemente sulle collezioni di pret-à-porter e accessori. La nascita della moda italiana non corrisponde con la nascita del “sistema moda” inteso come: Insieme dei settori che producono beni destinati a “vestire la persona” in senso lato. Quindi fanno parte della classificazione delle attività economiche anche; tintorie, filature, concerie, industrie di produzione di accessori. Il consumo interno italiano era organizzato con: Crescita dei magazzini durante gli anni ‘30, che aveva dato un impulso allo sviluppo della confezione in serie. Abbigliamento pronto maschile che negli anni ‘40 era avviato presso sartorie e mercerie (quello femminile sarebbe arrivato negli anni ‘50). Sartorie e mercerie vennero soppiantate da negozi di abbigliamento, dal commercio al dettaglio di articoli pronti da indossare. Differenza con USA dove le donne acquistavano abiti per pochi dollari (in Italia erano ancora diffuse le sartine) In Italia l’abbigliamento pronto femminile comprendeva: impermeabili, mantelli e cappotti. Gli aiuti americani si rivelarono proficui. Gli USA vararono nel 1947 l’European Recovery Program (ERP), o piano Marshall, che prevedeva un trasferimento gratuito dei beni dagli USA all’Europa sulla base di un piano di sviluppo formulato dai paesi beneficiari. L’industria tessile beneficiò di questi aiuti. In particolare il comparto cotoniero, che non avendo subito danni gravi durante il conflitto riuscì ad approfittarne. L’industria dell’abbigliamento non ne beneficiò più di tanto ma ne risentì indirettamente solo più tardi. Per quanto riguarda la moda pronta essa veniva prodotta su scala ridotta, per il mercato locale. I primi prodotti erano un pò rigidi e prodotti con stoffe poco ricercate: Il Gruppo di Lavoro Industrie tessili (1953, che studiava i problemi dell’industria tessile italiana) sottolineò la presenza di numerose ditte artigianali che svolgevano funzioni di produzione e vendita in modo indipendente. Maggiore tendenza ad acquistare abiti pronti al nord, soprattutto dalla popolazione meno abbiente, soprattutto di capi di biancheria, maglieria o camicie. Strozzatura dei consumi, l’IMI propose di uscirne attraverso la verticalizzazione delle industrie tessili con quelle dell’abbigliamento, in modo che l’offerta potesse influenzare la domanda, facendo leva sulla moda. 22 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Era necessario che l’offerta di abbigliamento fosse diretta alla qualità e non solo alla funzionalità, per stimolare i consumatori a cambiare, o accrescere, il loro guardaroba più rapidamente. L’industria dell’abbigliamento aveva bisogno di arricchire il mercato pronto. La Camera Nazionale della Moda: La Camera Nazionale della Moda (CNM) raggruppava le principali case di moda e avviava la gestione delle sfilate e degli eventi comunicativi istituzionali. La Camera Nazionale della Moda italiana (CNMI) supportò le principali aziende italiane del settore delle fibre e dei tessuti. Nel 1969 venne sancito un accordo con CNMI e Snia-Viscosa: il tessuto non era più progettato e realizzato da un’azienda tessile per poi essere messo a disposizione con le case di moda, bensì la collaborazione del creatore di moda veniva richiesta fin dalla fase di studio del tessuto. Stabili che si definissero in anticipo le tendenze di moda e le cartelle di colore, scelte che stanno alla base del lungo sistema di innovazione e pianificazione della filiera tessile-abbigliamento. L’incontro tra i consumi femminili e l’abito pronto si realizzarono nel 1956-66, quando mutò la mentalità femminile e migliorò il livello qualitativo della produzione, in termini di eleganza e vestibilità. Si trattava di abiti semplici in rayon o nylon o cotone che le donne italiane avevano avuto modo di conoscere finita la guerra (Betty Barclay). Nel 1950 la Rinascente fonda l’APEM (Abbigliamento Produzione Esportazione Milano), che fabbricava abbigliamenti femminili. Max Mara (Achille Maramotti; 1951) scelse una linea di abbigliamento dalla vestibilità comoda e poco aderente, come cappotti o completi, per iniziare con l’abbigliamento pronto. Puntava sul fatto che il cliente avesse comprato i suoi indumenti rispetto ad altri non perché gli si adattassero meglio ma perché contenessero articoli di moda. Vendeva i suoi articoli a sartorie di alta classe, e ad ogni negozio egli garantiva l’esclusiva per la città. La Marzotto incominciò a produrre confezioni maschili e femminili nel 1951, ma il successo arrivò solo verso la fine degli anni ‘50. La Marzotto costruì nuovi impianti. Anche la Miroglio, nel corso degli anni ‘50, si avventurò nella confezione dell’abbigliamento in serie. Produceva un rayon che costava poco e aveva un bel disegno con il quale furono confezionate vestaglie per signora e vendute a mille lire. Si puntava infatti ad un esiguo profitto unitario moltiplicato per grandi volumi di vendita. Per il decollo della produzione si dovettero aspettare gli anni ‘60, quando all’interno della Miroglio iniziò la produzione di poliestere, una fibra sintetica di difficile lavorazione che aveva il vantaggio di produrre sensibilmente i costi. A partire dalla seconda metà degli anni ‘50: Iniziò la rivoluzione del modo di vestire degli italiani. Gli anni del “consumo della novità”, anni in cui la società italiana subì l’impatto con il consumismo americano. 23 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) Cresce l’attenzione dei consumatori verso i beni voluttuari, verso i prodotti nuovi La moda a cavallo del periodo 1956-65 era caratterizzata da: Una crescente necessità di distinzione sociale Nuove esigenze di comodità e di praticità Un bisogno d’identificazione più ampio. In campo maschile e femminile i nuovi abiti avevano lo scopo di testimoniare il superamento della penuria bellica e postbellica e l’appartenenza alla società urbano-industriale Sensibile crescita urbana Incremento dei redditi e inurbamento che accelerò i modelli di consumo Nuovi consumi si erano affermati dalla città alla campagna: - frigoriferi e lavatrici - Radio, televisori e telefoni - “Cucine americane” - Abiti e cibi confezionati Il Gruppo Finanziario Tessile (GFT) fu una società nata nel 1930, che accanto al commercio dei tessuti aveva affiancato una propria attività produttiva, creando un prototipo di abito confezionato. Trasformò le tecniche di distribuzione attraverso la moltiplicazione di punti vendita MARUS (magazzini abbigliamento ragazzo uomo signora) e la commercializzazione del prodotto, a prezzi predeterminati Il marchio Facis (per abiti maschili) cominciò a produrre abiti pronti nel corso degli anni ‘30, consegnati ai negozi in tre misure: piccola, media e larga. Il GFT, succeduto alla Facis, istituì il sistema delle 120 taglie, basate sulle misure fornite dai negozianti nel corso degli anni. Nel 1958 iniziò a produrre abbigliamento femminile pronto con il marchio CORI (per abiti femminili). Attraverso la “rivoluzione delle taglie”, la confezione in serie cominciò a rappresentare un’alternativa reale alla confezione sartoriale. Per le industrie tessili la produzione in serie rappresentò non solo un canale di assorbimento della manodopera in esubero, ma anche un laboratorio di ricerca e progettazione e sperimentazione di nuove strategie distributive. Si diffuse come mai l’uso del marchio. A seguito dei cambiamenti della fine degli anni ‘60 il mercato dell’alta moda entra in crisi: Negli anni ‘70 l’alta moda perde il ruolo che aveva, cioè quello di indirizzare la moda (Trickle down) L’alta moda aveva bisogno di riprendersi aggiungendo all’attività principale della creazione di modelli quella del pret-à-porter, in modo da operare a tutti i livelli, con un ciclo produttivo più vasto. L’industria tessile-abbigliamento attraversava un profondo processo di ristrutturazione 24 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) La produzione della confezione in serie non riusciva più a soddisfare le nuove esigenze di mercato, ne nella fascia medio alta né in quella di massa. Questo comportò un’inversione di tendenza, la diffusione delle piccole e medie imprese e lo smantellamento delle grandi strutture aziendali. Gli anni ‘70 costituirono il decennio della ristrutturazione e del decentramento produttivo del sistema moda italiano che era passato dalla produzione artigianale a quella industriale. Nacquero i “distretti industriali” La produzione italiana raggiunse il 3° posto a livello europeo (dopo Germania, Francia e Regno Unito) Questa situazione crea le condizioni per un rapporto più organico fra il creatore di moda e l’industrializzazione del prodotto. Con la fine dei grandi artisti nascono gli stilisti. La “griffe”, il nome dello stilista trasformato in etichetta di prodotto in serie, diventa protagonista. Ora il disegno del modello è solo una minima parte del processo che porta alla produzione dell’abito. Lo stilista ora progetta, mantiene il controllo su disegni fatti da altri e controlla l’intero processo. Il punto importante della produzione diventa il controllo della realizzabilità del modello che, per essere riprodotto in serie, dovrà rispondere a determinate caratteristiche di compatibilità con macchinari, con la capacità della manodopera e con l’organizzazione del processo produttivo. Milano costituisce il terreno ideale per la nuova fase dell’industria della moda - Nella primavera del 1969 a Palazzo Pitti lo stilista Albini aveva sfilato con la collezione Misterfox che esulava dallo schema classico dell’alta moda. Per la prima volta i prodotti portano il nome sia dello stilista che della casa produttrice. - Nell’aprile del 1972, Cadette e Ken Scott presentano per la prima volta a Milano le collezioni di pret-à-porter, rompendo con la tradizione delle manifestazioni fiorentine. Milano diviene la capitale del pret-à-porter scavalcando Parigi e lasciando a Roma le sfilate di alta moda, sempre più lontane dalle esigenze di mercato. Il pubblico femminile e quello delle boutique, trovano nel pret-à-porter la risposta alle nuove esigenze che né alta moda né il capo confezionato potevano dare. Anche la grande industria entrò nel nuovo business: Gianni Versace in Genny Giorgio Armani e Valentino Garavani nel GFT (che porta all’interno della grande azienda competenze e sensibilità; per contro gli stilisti possono contare su una più agevole diffusione di prodotti sui mercati nazionali e internazionali) Inizia quindi la vera e propria collaborazione tra artisti e grande impresa, dal quale nasce un impulso alla domanda. Si assiste ad un ritorno in grande stile di capi spalla formali e degli abiti eleganti. 25 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected]) L’abbigliamento informale diventa “casual” e “sportswear”, non più contrapposizione col formale ma integrazione. Il sistema della subfornitura: Le unità produttive si spostano nel Centro e nel Sud nel decennio 1971-1981. Con la crescita della domanda e l’avvento del prodotto di marca (griffe o marca industriale), a metà degli anni ‘70 la distribuzione si avvia verso un processo di evoluzione. La crescente caratterizzazione del prodotto spinge molti dettaglianti, fra ‘70 e ‘80 a specializzarsi in particolari tipologie di prodotti e cliente. Nascono le prime forme di franchising: Benetton, Max Mara, Pop 84. 26 Document shared on www.docsity.com Downloaded by: americo-candeloro ([email protected])