Lez 2 PDF - Storia della Moda 2 - 14/10/2019
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Summary
Questi appunti di storia della moda analizzano il rapporto tra Pop Art e moda, soffermandosi in particolare sullo stile "popedelico". L'autore esplora opere chiave dell'arte, inquadrandole nel contesto storico e culturale.
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STORIA DELLA MODA 2 LEZIONE 2 14/10/2019 Rapporto fra Pop Art e Moda. Stile ‘’Popedelico’’. 1969, foto di Richard Avedon, ‘’i membri della Factory di Andy Warhol; La ‘’Factory’’ era il punto di ritrovo pe...
STORIA DELLA MODA 2 LEZIONE 2 14/10/2019 Rapporto fra Pop Art e Moda. Stile ‘’Popedelico’’. 1969, foto di Richard Avedon, ‘’i membri della Factory di Andy Warhol; La ‘’Factory’’ era il punto di ritrovo per artisti più o meno conosciuti, era anche un luogo di rifugio per i giovani in cerca di notorietà, giovani affetti da ‘’bulimia esistenziale’’: pittori, musicisti, cantanti, aspiranti registi che rispondevano al bisogno di vita e di successo con l’autodistruzione, abusando di droghe e alcol; per Warhol era il luogo adatto per mettere a frutto idee e intuizioni. C’è un’altra parte di questa foto, uno scatto molto ampio, in cui tutti i personaggi appaiono nudi. Warhol è l’artista centrale della Pop Art. in questi anni, nel contesto della cultura neobarocca, ciò che produce Warhol è centrale, non solo per la Pop Art, ma anche per la visione del mondo che ci fornisce sia lui ma anche gli artisti che fanno parte di questo gruppo. Bisogna notare che, pensando al Pop, le prime parole chiave che vengono in mente sono: popolare, colorato,… Infatti la prima cosa che viene in mente è una cartella colori abbastanza vistosi, con colori brillanti e saturi, tutto il contrario del modo in cui appaiono i membri della Factory nella foto, perché sono vestiti tutti di nero. Affrontando il discorso del Punk e del PostPunk, ci sono sugli aspetti estetici e anche formali che legano i ‘’Velvet Underground’’, un gruppo musicale nato dalla Factory, a new york alla fine degli anni ’60, e una quantità di gruppi britannici di fine anni ’70 e primi anni ’80, Jonny Vision e John Travolta, i quali presentano una estetica che rende conto di una visione del mondo molto simile. Ci sono degli aspetti formali che abbiamo già visto nella lezione precedente che ritroviamo nella pop art. Osvaldo Romberg, ‘’Untitled (After Ingres), 1981. In questo quadro il fenomeno a livello di costruzione del testo che riconosciamo (rispetto a ciò che abbiamo detto l’altra volta), è ‘’l’Interruzione’’, nel senso che ci sono delle pennellate di colore che interrompono una superficie preesistente del testo. Siamo negli stessi anni della mostra ‘’Roma Interrotta’’, non che tutti adottassero la stessa pratica, però inevitabilmente ricadiamo su medesime funzioni ed intenzioni espressive, e quindi di introduzione di interferenze che ridefiniscono il Tesco presistente, questa immagine quindi non è più un quadro di Ingres ma diventa un’altra cosa, anche per solo dei tocchi di colore che vengono piazzati sulla superficie. A questo si aggiunge un altro elemento, un altro concetto, ‘’ritmo e ripetizione’’, in questa immagine troviamo questo concetto di sequenza ritmica e ripetizione nel tratto, con una equidistanza fra i diversi tocchi di colore che determina un carattere ritmico, e in aggiunta è presenta una parziale variazione sul tema, perché l’unico elemento differente che notiamo è la graduazione del colore, che fa da un rosa più chiaro ad un rosa che tende più al viola. Quindi ci sono delle variazioni all’interno della sequenza che nel declinare il contesto e il tema non fa altro che rafforzare la solidità della struttura e della sequenza stessa, il fatto che ci siano variazioni di colore sui tocchi di colore stessi aiuta a leggere come è forte e compatto la struttura ritmica del tutto. Questo per una questione percettiva, perché quando osserviamo un opera andiamo sempre alla ricerca di punti di ancoraggio che ci permettano di chiudere la lettura dell’opera stessa, come quando abbiamo parlato di classico e barocco abbiamo visto come il classico ci dia tutti gli strumenti che ci 1 servono per chiudere la lettura dell’opera, mentre il barocco tende ad aprire e quindi a destabilizzare lo spettatore. Peter Saville, ‘’Power, Corruption & Lies’’, album cover, New Order, 1983. Copertina di un album completamente inedito per il tempo. Non era comune vedere album di dischi senza scritto il nome o il titolo. Rappresenta una natura morta, quindi dei fiori in una cesta, e quella che sembra una tabella cromatica in alto a destra che interferisce con il testo. (album non famosissimo). Altro album. ‘900 Cerchiamo di inquadrare meglio la pop art: La ‘’Pop Art’’: nasce nella seconda metà del XX secolo ed è chiamata così poiché deriva dal termine inglese ‘’popular art’’, ovvero arte popolare. Con popolare non si intende che tutte le opere prodotte sono destinate al pubblico, bensì si fa riferimento all’oggetto che viene prodotto in serie, legato alla massa e non al singolo individuo. Warhol, per esempio, metteva in evidenza oggetti di consumo comune, che diventavano opere d’arte rappresentandoli. In italia, la pop art (1964) inizialmente viene chiamato ‘’new dada’’. Il dadaismo e la pop art hanno in comune il ‘’ready made’’, ovvero prendere un oggetto della vita di tutti i giorni e rielaborarlo. Questa arte rappresentava oggetti appartenenti al mondo del commercio: coca-cola, lattine, riviste e altro. La pop art era divisa in tanti stili diversi: foto, rielaborazione di immagini pubblicitarie, fumetti, performances e improvvisazioni. Ci sono due aspetti interessanti: Da un lato il ready made, quindi l’oggetto d’uso quotidiano, e quindi l’oggetto di consumo più basso e comune che viene messo in evidenza. Dall’altro lato il 1964, semplicemente come punto d’arcoraggio temporale. In quegli anni, tra il 1963 e il 1967, all’incirca, assistiamo ad una profonda rielaborazione non soltanto all’interno della cultura artistica, ma anche all’interno della cultura filosofica della filosofia 2 Giulio Paolini, ‘’Giovane che guarda Lorenzo Lotto’’, 1967. Paolini non appartiene alla Pop Art, ma fa parte dell’arte povera. Con quest’opera Paolini prende un quadro di Lorenzo Lotto ‘’ritratto di giovane’’, (Lotto è un pittore attivo fra la metà del ‘500), lo ristampa in bianco e nero, lo mette in cornice e lo intitola ‘’giovane che guarda Lorenzo Lotto’’, perché lo intitola così? Chi sta guardando chi? Potremmo dire per metonimia che nel momento in cui guardo un quadro di Lorenzo Lotto è come se stessi guardando Lorenzo Lotto, in termini retorici. In realtà non c’è una risponda univoca, perché è un giovane che è stato ritratto, ma chi sta guardando? Guarda Lorenzo Lotto nell’atto di ritrarlo nel ‘500, o guarda noi che ci poniamo nella stessa posizione di lorenzo lotto. Quindi non c’è una vera e propria risposta, e va bene così perché l’obiettivo e il fine dell’opera è quello di lasciar sollevare dei punti interrogativi. Quest’opera è interessante e funzionale per rendere conto di un pezzo di discorso fondamentale per capire anche le ragioni che stanno dietro l’affermarsi della pop art e l’appropriazione della pop art da parte del design e della moda, già a partire dalla fine degli anni ’60. È importante perché ci racconta di una redifinizione del rapporto fra autore, opera e pubblico. Ovvero: all’epoca di Lotto ci sono opere d’arte che ci costringono ad adottare un unico punto di vista: in cima c’è l’autore, sotto l’opera e sotto ancora il pubblico; un processo lineare e logico, un po come significante e significato. Senza l’autore non si crea l’opera. Il ritratto di giovane è un significante perché riconosciamo che è un giovane, un oggetto del mondo che fisicamente adesso non c’è più. Nel momento in cui riidifiniamo lo sguardo, cambia tutto. Non c’è più l’autore in cima, perché Paolini di fatto non ha fatto nulla, ha riprodotto un’opera già esistente, è di fatto una ristampa di un quadro, e quindi il pubblico non c’è più nella stessa maniera in cui c’era prima, perché il titolo, che è il mezzo principale per definire la lettura del quadro, non ce ne da solo una ma molte. Quindi assistiamo ad una totale rottura del sistema. Questo è un fenomeno che avveniva alla fine degli anni ’60. Nella cultura italiana, della seconda metà degli anni ’60, ci troviamo all’interno di un dibattito, che si sostanzia anche di pubblicazioni importanti, come la raccolta di saggi di Walter Benjamin, chiamata ‘’le opere d’arte nell’epoca di riproducibilità tecnica’’, per la prima volta si sofferma sugli anni ’30 e su un fatto del ‘900, l’esistenza della fotografia e la possibilità di riprodurre le opere d’arte e stamparle sui libri, su cataloghi ed enciclopedie, e questo cambia radicalmente in una materie rivoluzionaria rispetto a qualsiasi secolo precedente, ls percezione dell’arte stessa, secondo Benjamin quello che succede è che l’opera d’arte perde la sua aurea, e quella consistenza sacrale che possedeva fin tanto che ne esisteva una sola versione, (le coppie di quadri esistevano anche prima), però se potessimo spostarci alla Parigi del 700 ci troveremmo ad una situazione completamente diversa, ci troveremmo davanti degli impatti a volte scioccanti. Nei primi anni ’60, viene pubblicato questo saggio in italiano, nel 1967 esce tradotto dal francese un saggio contemporaneo che si intitola ‘’le parole e le cose’’, un testo di Michelle Foucault, un filosofo francese vissuto nella seconda metà del ‘900, un testo cruciale ed importante per capire3 su che discorso ci muoviamo. Foucault con questo saggio si sofferma sulla evoluzione del sapere3 e della conoscenza nell’epoca moderna e contemporanea, e procede come fa in altre opere, adottando un approccio storico, quindi anche da testi di studiosi, individuando una serie di epoche. In ‘’le parole e le cose’’ ragiona sul rapporto esistente fra le parole, quindi il linguaggio, e il mondo rappresentato, quindi lo strumento di rappresentazione, la parola o comunque la forma (‘’il significante’’) e l’oggetto effettivo che viene rappresentato. Nella sua descrizione l’evoluzione storica del rapporto fra parole e cosa, raccontata in una maniera ipersemplificata, vede fino al ‘500 circa un’epoca caratterizzata da una totale compenetrazione fra parole e cose, ovvero da una corrispondenza piena e reale fra il linguaggio e il mondo fisico e reale, che prende atto del dire. Siamo in un mondo pre cartesiano, che precede tutto un pensiero razionalistico, che è invaso ancora dalla presenza di Dio, e che tende a trovare un continuo sistema di corrispondenze logiche sulla base dei progetti della filosofia di Aristotele, fra il mondo divino e il mondo umano, 3 Indaga e si interroga sulla nostra concezione della realtà ad esempio un campo di fiore può corrispondere alle stelle nel cielo. Dopo cartesio, si inizia a vedere una separazione fra soggetto e oggetto, quindi si inizia a definire una definizione razionale del mondo che è quella che ci è familiare adesso, che abbiamo anche descritto parlato di rapporto fra significante significato e oggetto. La distinzione fra soggetto e oggetto si viene a creare nel momento in cui noi registriamo delle informazioni che vengono dall’esterno, le rielaboriamo e le esprimiamo dando un nome alle cose. Foucault inizia a parlare di un momento storico che problematizza questa definizione. Un elemento che emerge, e che mette già in evidenza dalla riflessione cartesiana, e quindi quel sistema di pensiero di rappresentazione del mondo basato sull’articolazione significato, significante e oggetto, che in realtà noi non possiamo fare altro che tentare di arrivare all’oggetto, ma nel momento in cui noi diamo un nome ad una cosa in realtà lo stiamo dando ad una immagine, quindi le nostre non sono altro che rappresentazioni di rappresentazioni. Gran parte del pensiero sia 800esco che 900esco si articola su questo problema. La sensazione, che è già la proiezione di qualcosa nella mente, è già di per se una rappresentazione; la mente fotografa delle cose, la fotografia è la rappresentazione delle cose e non è un oggetto di per se reale. Quindi il nome che io do alla cosa è in realtà un nome che do alla rappresentazione di qualcosa, alla percezione di qualcosa, è quindi la rappresentazione di una rappresentazione, in realtà non si sa neanche se esista. Questa scoperta, a partire da Schopenhauer, che è il primo filosofo che mette in evidenza il fatto che in resta l’uomo non è il centro del mondo ma è una povera misera creatura gettata nell’universo che spera disperatamente di appropriarsi di se stesso ma non ci riesce, non fa altro che porre le basi di un tipo di ragionamento delle basi di buona parte del pensiero occidentale e di buona parte del relativismo che fa parte del pensiero 900esco. Arrivati agli anni ’60 del ‘900, pubblicazioni come quella di Foucault, non fanno altro che mettere a punto in qualche modo questi processi, e riconoscere che nell’epoca attuale ci si trovava di fronte ad un’ordine di cose e di rapporti fra soggetto e mondo, sempre che esistesse ancora un soggetto pensante ed un oggetto pensato in qualche modo completamente ridefinito e privato di quella gerarchia che è la stessa che ritroviamo nella descrizione di questa opera. Il pensiero strutturalista, che è la corrente alla quale foucault appartiene, non fa altro che riconoscere l’esistenza e la resistenza rispetto l’individuo di una struttura, rispetto alla quale l’individuo stesso non è altro che un atomo. Da questo momento in poi, a partire dagli anni ’60, con il lavoro di altri filosofi soprattutto in ambito francese, noi ci troviamo di fronte ad un ancora più estremizzato relativismo, si parla, nella seconda metà del 900, di decontrazione, di pensiero debole, non esiste più nessun punto di vista forte sul mondo, ma non possiamo afre altro che vederci di fronte all’assenza di senso perché esisterono vari significati diversi che hanno tutti lo stesso peso. Parlare di relativismo significa parlare di individuo che non sta al centro del mondo e che quindi è relativo a tante altre cose che hanno lo stesso peso, quindi tutto ciò che conosciamo, che ci sembra univoco e centrale, non è altro che una parziale visione del mondo, questo non fa altro che comunicarci il nostro essere significante rispetto al mondo stesso, il nostro essere soltanto dei pezzettini del mondo. Questo è un pensiero che emerge già nell’800 che troviamo però messo appunto dal saggio ‘’le parole e le cose’’, l’assenza di un rapporto univoco e razionale fra parola e cosa, secondo il processo logico di significante e significato e oggetto, si aggancia a fenomeni e modalità di produzione artistica come questa, al fatto che ci possiamo trovare, nello stesso periodo, di fronte ad opere d’arte che relativizzano tutto, e che quindi mettono da parte sia l’autore, sia l’opera, sia il pubblico, non ci sono più in un lavoro come questo. Il pensiero debole è una conseguenza di questo, c’è tutta una filosofia nella seconda metà del 900 che si dichiara debole perché non assume nessun punto di vista sistematizzante su un diverso, quindi rinuncia a qualsiasi pretesa di definizione dal punto di vista antologico (?) dell’universo. Nel saggio in italiano pubblicato nel 1967, il pensiero che emerge, in “Le parole e le cose” è l’assenza di un rapporto tra parola e cosa —> secondo il processo logico di significante - significato - oggetto. 4 Giulio Paolini, ‘’L’ultimo quadro di Velasquez’’, 1968. Riproduzione fotografica di una rappresentazione già esistente de ‘’las meninas di velasquez’’, dove al centro c’è uno specchio dove si vede riflessa l’immagine dei sovrani che sono ritratti nel quadro iniziale, con un gioco di sguardi e direzioni della vista di lettura. Joel Peter Witkin, ‘’Las Meninas’’. New Mexico, 1987. Mentre questo è sempre una rappresentazione de ‘’las meninas’’, ma un po più avanti temporalmente, ci troviamo a qualcosa formalmente di molto diverso, ma in realtà c’è la stessa procedura, cioè di interferenze, di interruzioni, l’utilizzo di una tecnica che non ha nulla di sacro, ma una rappresentazione fotografica, per dissacrare un’opera già esistente. Per chiudere questa sequenza: Giuseppe Penone, ‘’Rovesciare i propri occhi’’, 1970. Opera che appartiene ad una serie fotografica, che si può vedere al museo del ‘900 a Milano, che presenta un titolo significativo ‘’rovesciare i propri occhi’’. Le opere che abbiamo osservato finora rendono conto di questo, della necessità di ridefinire lo sguardo rispetto all’opera, la direzione e la modalità di lettura. Provocatoriamente Penone, con quest’opera, una serie di autoritratti fotografici, lui indossa queste lenti specchiate spiegando, forse in una maniera un pò più semplice e diretta il tema. Queste lenti non fanno altro che accecare l’autore, cercare di guardarsi dentro non vedendo più niente fuori, e allo stesso tempo chi guarda fuori si specchia negli occhi dell’autore stesso, che è come se fossero due piccoli specchi. Le opere finora hanno la necessità di ridefinire lo sguardo, la direzione e la modalità di lettura. Le opere di Paolini e Penone fanno parte dell’arte povera 5 > Assenza opera e autore —> mancato rapporto tra AUTORE e OPERA Parlando di ‘’Pop Art’’, c’è una nuova concezione e visione del mondo, ci sono una serie di riflessioni che arrivano a maturazione negli anni ’60 che preparano il terreno per opere d’arte come questa, per una legittimazione della pop art, che non è altro che una delle tante manifestazioni di una assenza di opera e di autore, perché il titolo di tecnica applicata e il tipo di lettura richiesta sotto molti aspetti risulta tangente e si avvicina al discorso che abbiamo fatto sull’arte povera, parlando di Paolini, di penone, quindi quella mancata gerarchetizzazione del rapporto fra autore ed opera. Ci sono altri testi di carattere più sociologico e semiotico che risultano altrettanto significativi per capire quale è il clima culturale che produceva la pop art. Umberto Eco, che è stato un importante semiologia oltre che romanziere, nel 1964, pubblica un testo chiamato ‘’pocalittici e integrati’’, che è una riflessione su due diverse angolazioni di lettura dell’universo culturale contemporaneo. Parlando di ready made e dell’oggetto commerciale che viene messo in primo piano, negli anni ’60 ci si ritrova di fronte ad una riflessione sul rapporto fra cultura alta e cultura bassa, la definizione di cultura bassa e cultura alta in quegli anni si lega strettamente ad una concezione della struttura sociale basata sulla classe di appartenenza, queste sono linee di guida che oggi utilizziamo in maniera più limitata, però negli anni ’60 si parlava di cultura operaia, di alta borghesia e tendenzialmente di associavano a questi diversi strati della società diversi gusti e diverse pratiche di consumo che costituivano non soltanto l’espressione di una diversa educazione istruzione, ma anche di istintivi che stavano a significare un’appartenenza ad una classe. Nel momento in cui noi decidiamo di vestirci in un certo modo, ascoltare un certo tipo di musica o guardare un film, di fare determinati consumi culturali, esprimiamo qualcosa di noi stessi e di un’immagine che vogliamo plasmare di noi stessi. Gli studenti di moda sono consapevoli di questi, perché fanno un lavoro sull’estetica, sull’immagine e sulla costruzione identitaria propria che non è trascurabile camuffare, non soltanto con gli abiti. Per gli anni ’60, la distinzione (titolo di un altro saggio) sta nell’essere un operaio e quindi tendenzialmente praticare consumi culturali più bassi, ad esempio negli anni ’60 un operaio e andava al cinema non guardava un film abbastanza culturale ma una commedia americana o qualcosa del genere, nelle case borghesi, per esempio, era diffuso avere libri di filosofia anche se non li leggevano e andare a vedere film al cinema abbastanza acculturati, mentre l’operaio legge i fumetti e ascolta musica Pop. L’operaio e il borghese arredano la casa in maniera diversa, l’operaio mette in camera una stampa di un quadro di monet e pensa di averla arredata con buon gusto, mentre il borghese va a ricercare il quadro originale di monet o comunque cose più eleganti anche in ceramica e la espone in casa come se fosse in un museo. Eco mette in evidenza la necessità di letture alternative, rispetto a questa distinzione. Mettendo in evidenza l’esistenza da un lato della schiera del partito degli apocalittici, ovvero colore che per via del diffondersi della cultura americana, della televisione che veicolava una serie di contenuti reputati bassi, temevano un abbassamento culturale generalizzato e quindi che le generazioni futuri sarebbero stati una massa di ignoranti in grado soltanto di ascoltare e di non saper gustare più nessun opera d’arte che richiedesse un minimo di cultura in più, ecc. gli integrati, ai quali apparteneva lo stesso Eco, sono coloro che ritengono che tende dalla modalità di lettura, dall’angolazione, dalla prospettiva di lettura che adottiamo rispetto all’opera e che quindi possiamo leggere in maniera colta e informata anche un oggetto normalmente reputato basso, si può guardare un programma televisivo qualsiasi degli anni ’60, un film western o leggere un fumetto, e con la stessa cultura e livello di informazione che ci viene richiesta da opere più alte, si può leggere sia un fumetto che l’orlando furioso in maniera ugualmente colta. 6 Oggi siamo in un’epoca che tende a portarci più tutti sulla sfera integrata, molte cose che aveva previsto Eco si sono avverate, di fatto oggi il fumetto non viene più considerato cultura bassa, ma alta letteratura, allo stesso livello di tutto il resto. Umberto Eco era una persona comunque abbastanza colta da essere in grado di poter leggere tutto, era capace di scrivere. Ma queste sue discussioni ha preparato il terreno per l’affermarsi di una cultura integrata sulla cultura, ed è in questo contesto di integrazione che noi possiamo giustificare il Pop, non soltanto l’arte Pop ma l’accettazione di essa da parte delle masse e l’appropriazione del Pop del Design della Moda affermata in brevissimo tempo, alla fine degli anni ’60. Perché c’è già, in quegli anni, un contesto di totale apertura quasi totale verso tutto ciò che soltanto pochi anni prima sarebbe stato considerato ‘’spazzatura’’.. Robert Venturi, Denise Scott-Brown, ‘’Learning From Las Vegas’’, 1972. Prima dell’affermarsi della Pop Art, non sarebbe stata possibile un’operazione come quella di Robert Venturi, di cui abbiamo già parlato, con questo libro fotografico osserviamo ottenere un primo riconoscimento del loro lavoro e della loro prospettiva e lettura del mondo Pop. Con questo libro essi definiscono e introducono la loro concezione di Las Vegas come città post-moderna per eccellenza, noi potremmo dire neo.-barocca. La maggior parte degli scatti che si realizzano in questo libro sono fatti da una prospettiva da un’automobile, tipica prospettiva di un americano, e quello che emerge sono le insegne, infatti venturi e scott-brown, con questo libro, sostengono unatesi, ovvero che Las Vegas è la città più post moderna possibile, perché è una città la cui skyline non è fatta né di tetti di edifici né di alberi, ma di insegne, come se gli edifici non ci fossero più, quasi una versione reale di ‘’strada novissima’’ che era soltanto un allestimento di Paolo Portoghesi. Gli edifici è come se non esistessero perché non si vedono più le facciate, non sappiamo di quanti piani si compongono, non c’è nessuna informazione. Questa riflessione dovrebbe riportarci a cose che abbiamo già detto nella scorsa lezione, oltre all’ ‘’interruzione’’ ci sono altri espetti a livello semiotico e formale che ritroviamo qui puntualmente: Il puro significante. Ci ritroviamo di fronte ad un ammasso di puti significanti che non significano altro se non se stessi, ci ritroviamo di fronte alla rappresentazione della rappresentazione che qui viene portata ll’estremo, non c’è nulla da dire, nessun contengono, ma soltanto degli involucri ammassati l’uno sull’altro. C’è anche una riflessione che potremmo fare dal punto di vista del discorso del ‘’Barocco/ Neobarocco’’. La tipica facciata di una chiesa barocca presenta spesso della pareti concave e convesse, rispetto al resto dell’edificio è molto più decorata e spesso più alta rispetto alle pareti dell’edificio stesso, coprendolo e quindi come se il resto della chiesta non esistesse quasi, ciò che conta è l’impatto scenografico della facciata. Nel momento in cui pensiamo a Las Vegas. Ritroviamo le stesse caratteristiche, ci sono semplici facciate che sovrastano l’edificio, che lo sostituiscono addirittura, perché in realtà a parte l’ammasso decorativo delle insegne, il resto degli edifici, di questi casinò e di altri palazzi che stanno dietro le vie di Las Vegas, sono probabilmente dei cumuli di cemento armato, e quindi l’esperienza di Las Vegas è propriamente ‘’Neo-Barocca’’ dal punto di vista architettonico, perché gli stessi principi che applichiamo alla costruzione della chiesa barocca, li applichiamo alla costruzione degli edifici di Las Vegas. In più in Las Vegas abbiamo, oltre all’ammasso, una quantità cromatica di colori densi e forti che ci riporta alla definizione di base del Pop. 7 Per quanto riguarda la moda, si appropria del pop molto presto, la prima esperienza, cronologicamente, è in realtà la meno pop di tutte, ‘’collezione di Yves Saint Laurent’’, collezione del 1966, appartiene alla fase della carriera di YSL durante la quale egli cominciò a prendere ispirazione dal mondo dell’arte, l’anno prima aveva realizzato la collezione mondrian che gli aveva dato visibilità, guardando la sua cariera, negli anni precedenti ha realizzato collezioni bellissime ma poco appariscenti, nel 1964 è messo totalmente in ombra da Courrage, che si coquista tutte le copertine e i riflettori, che appartiene allo ‘’Space Age’’, conquista tutti grazie anche ad una modalità di presentare la collezione inedita, la prima presentazione fu statica in una saletta bianca con dei suonatori di tamburo, quindi aveva un effetto più suggestivo, YSL allora inizia ad appropriarsi di lavori di artisti un po anche per questo, perché non lo stavano più notando, quindi dopo Mondrian ci prova anche con l’arte contemporanea, con un artista ‘’Tom Wesselmann’’, con queste opere di profili e nudi, con rosa carico che egli riproduce su questi modelli. Questa collezione è importante perché ci serve per capire cosa significa fare ‘'moda pop’’, perché non è semplicemente fare delle stampe. Parlare di moda Pop, non significa semplicemente parlare di moda con delle stampe ispirate all’arte Pop, altrimenti ci ritroveremmo con esempi come questo (vedi destra) che era più un costume di scena. Madonna, 1984. Amica di un artista americano, i cui lavori rappresentano anche l’estremizzazione di questo discorso, in quanto si erano già prestati alla realizzazione di pattern, ma con Madonna questo outfit era semplicemente un costume di scena indossato per una serata a new york, (forse la festa di compleanno dello stesso artista). BOUTIQUE LONDINESE Parlare di pop art, nel linguaggio del design della moda, significa invece parlare di qualcosa di un po più articolato e nel contesto della moda, il primo esempio reale di questo rapporto lo troviamo, nel 1969, con l’apertura a linda di una boutique, ‘’Mr Freedom’’, aperta in una sua prima versione da Tommy Roberts, che era un designer inglese. Mr Freedom si inserisce pienamente all’interno di un discorso ben preciso, parlando degli anni ’60 si parla delle boutique londinesi come quella di ‘’Mary Quant’’, una moda giovanile e Londra diventa una delle capitali della moda occidentale attraverso canali di produzione e distribuzione della moda totalmente diversi poiché Londra non aveva niente a che fare con l’Haute Couture, o meglio con l’alta sartoria ci si trovava in un contesto di atelier che servivano alla famiglia reale, all’aristocrazia, poiché un conto era come si vestiva la regina e un conto era come si vestivano i giovani. Mr Freedom è interessante, nonostante la sua breve vita perché chiude nel 1972, perché come molte altre boutique londinesi, si propone come un negozio che mette insieme arredi e oggetti che stanno all’interno della stessa cornice e della stessa direzione tematica cui appartengono gli abiti, quindi si propone come un’esperienza, non soltanto come un negozio dove si va per provare e comprare gli abiti. Questa era una cosa che già apparteneva all’esperienza londinese, le boutique destinate ai giovani erano negoziati che non necessariamente vendevano solo abiti, ma anche accessori, oggetti, dischi, tutto ciò che faceva parte dell’esperienza dei giovani, tutti oggetti di basso costo e bassa qualità, realizzati in modo dozzinale, ma soddisfacenti per le esigenze di quel tipo di pubblico. 8 Mr Freedom, nel proporre un’esperienze totalmente ‘’Pop’’, si aggancia non soltanto alla moda ma anche al design. Il design della fine degli anni ’60 si era appropriato del pop. Simboli politici e provocatori ‘’fotografia dell’interno del negozio Mr freedom’’; All’interno del negozio vi erano i capi esposti, sia sui mobili che sulle grucce, e c’era questo letto con una bambola gonfiabile con una serie di simboli annullati, ridotti a vera superficie (simboli anche politici), due cuscini: uno con la bandiera americana e uno con una faccia e un martello. La bambola era posizionata li provocatoriamente. In questo letto i consumatori potevano anche utilizzare per sedersi o coricarsi. Il negozio, di per se, presentava un decoro pieno di elementi iconici proposti in una versione ridotta. Un appendi abiti a forma di gruccia gigante; Che era stato progettato, come il resto degli arredi del negozio, da un designer inglese ‘’Jon Wealleans’’, che è anche l’autore di questi puff a forma di puzzle. Jon era uno dei designer più giovani della fine degli anni ’60, e lo possiamo far rientrare all’interno del discorso del designer che prendere eventi informali della pop art. Parlare di designer pop, osservando questi oggetti, anche di altri artisti, non fanno altro che rendere conto di un altro aspetto, ovvero cercano una versione umana, più giocosa. Ettore Sottsass (Poltronova), Ultrafragola mirror, 1970, milano. In questo caso vediamo il lavoro di u italiano. Si colloca nello stesso contesto, una camera da letto molto più aggressiva, dove spicca uno specchio con questa cornice illuminata ondulata, e sembra proporre un qualcosa di più umano e fisico. Allen Jones, 1969. Tutt’altro che astratta è la proposta di Allen Jones, che in maniera super ironica gioca con la cultura pornografica. Proponendo oggetti di questo genere, poltrone e tavoli. Ovviamente il femminismo non c’entra nulla. 1978. Altra versione più semplificata e commerciale. 9 STILE POPEDELICO Sta a significare l’unione di ‘’POP’’ e ‘’PSICHEDELICO’’. Questo stile è di fine anni ’60, un’epoca di psichedelia, la cultura giovanile, anche quella legata alle tendenze dominanti, si è appropriata del gusto psichedelico che proveniva da alcune nicchie della cultura giovanile stessa, soprattutto dal mondo Hippies. A fine anni ’60, ci ritroviamo a soluzioni pubblicitarie a livello di moda e non, che sembrano proporre quell’esperienza psichedelica in unaversion più decorata. Lavori di alcuni artisti grafici degli anni ’60, che sintetizzano quest’esperienza. ‘’Peter Max’’ ‘’Milton Glaser’’, 1967. Che acquisì fama con questo poster di Bob Dylan. Confronto fra il poster di Milton Glaser e la copertina del disco di Milva. Copertina del disco di Milva ‘’Tango Milva’’, 1968. Milva, è stata una cantante italiana attiva dagli anni ’60, famosa per la sua attività teatrale. La copertina del disco, nonostante il pubblico sia completamente diverso, sembra riprendere le stesse soluzioni formale adottate da Glaser nel suo poster ‘’popedelico’’. Altra foto dell’interno di Mr freedom. Prima di chiudere, in quegli anni crebbe, aprì anche un ristorante, che proponeva sulle pareti delle versioni ridotte di sculture e giocava con la cultura cinematografica americana degli anni 30 e 40 rivisitata in chiave pop. C’erano alcune icone del cinema della prima metà del ‘900 che venivano riprese da Mr Freedom e diventano centrali rispetto alla decorazione del negozio. Fra queste c’era Mae West, un’attrice famosa negli anni ’30, nei suoi film interpretava spesso il ruolo della femme fatale, spesso registrava battute a sfondo sessuale per l’epoca abbastanza piccanti, la sua fama si è costruita quasi pienamente su questa silhouette imponente a clessidra. Che anche dopo tanti anni gli restò, infatti nonostante l’età con il trucco e le ciglia finte, reggeva ancora la scena, cercando di rinnovare il suo pubblico, e si trasformo in una di quelle icone pop. Nel ristorante venivano stampate le foto di Mae West sui tovaglioli di carta, ma anche su altri oggetti. Mae West è per altro, per tenersi in contatto e aggiornata con il pubblico giovane dell’epoca, era stata protagonista di un film, disastroso dal punto di vista commerciale ma inserito all’interno di temi e canoni della cultura giovanile dell’epoca. Negli stessi anni, a cavallo fra gli anni ’60 e ’70, aveva fatto un disco di canzoni dei Beatles, quindi aveva gli agganci con i giovani nonostante la sua età. 10 La vera fonte d’ispirazione cinematografica però, per il negozio Mr Freedom, era un film ‘’Mister Freedom’’ appunto. Il film realizzato, nel 1969, era una satira della politica americana, diretto da William Klein, e interpretato da un’attrice ‘’Delphine Seyrig’’. William Klein aveva diretto, prima di questo, un film sulla moda, intitolato ‘’qui etes-vous polly maggoo’’, dove all’inizio vi è una sequenza di abiti metallici. Il regista nel ’66 aveva già realizzato un film abbastanza ironico sul mondo della moda, estremizzando gli abiti con un riferimento a Paco Rabanne, con questi abiti metallici bellissimi ma non indossabili. William Klein prosegue la sua carriera continuando a realizzare film satirici e strani, e nel 1969 fa uscire la pellicola del film ‘’Mister Freedom’’. Delphine Seyrig era un’attrice di ricca e di film d’autore, che è apparsa in un altro film dove indossa abiti Chanel per tutta la pellicola, mentre in questo film evidentemente no, è vestita in una maniera molto più simile al tipo di abiti proposti dalla boutique Mr freedom, se osserviamo infatti i look di questa pellicola con questa parrucca arancione, abiti con colori pop, e iniziamo a guardare anche scatti del genere ci accorgiamo che siamo in questi anni e osserviamo esattamente la stessa cosa, non tanto la moda ispirata al pop, ma il pop diventato moda. Al di la del carattere più o meno provocatorio, dei nudi o delle pose e del richiamo al film, quello che contano sono i capi di per se, ed è quello su cui ci soffermiamo adesso per aggiungere una riflessione sul tipo di prodotto che veniva venduto da Mr Freedom o da altre boutique che lavoravano sullo stesso stile e quindi sul Pop. Al di la delle stampe ispirate a Mickey Mouse, ci troviamo di fronte ad abiti e a look che si propongono meno come soluzione per la vita quotidiana, e un po di più come costumi e corrispettivi di oggetti e arredi che abbiamo visto prima. Le modelle si propongono come delle bambine, comunicando una finta innocenza ma in realtà ammiccano tanto, scoprendosi il più possibile e indossando capi che di per sé non hanno alcun valore, non valore economico, ma valore dal punto di vista progettuale. I capi di Mr Freedom, o di altre boutique dello stesso genere, sono lontani anni luce dalle collezioni YSL del 1966. Ritornando ad un discorso di rapporto fra significante significato e oggetto, lo rivediamo qui dal punto di vista del prodotto. 11 La differenza fra i capi di MrF e di YSL. YSL: da un lato c’è la prima linea con l’Haute Couture, e nel 1967 arriva la seconda linea dove propone capi della prima linea in una versione semplificata, un po più di largo consumo, quindi capi realizzati con lo stesso cartamodello pero con tessuti diversi e altri dettagli. La ‘’Couture’’, rispetto al discorso che stiamo facendo di Significante, Significato e oggetto: Il valore, e quindi il ‘’Significato, del capo di Couture sta nella confezione, osservando un abito di alta moda si capisce che è nato da un’esperienze artigianale di altissimo livello, nasce da un determinato materiale, tessuto e uno studio del capo e della confezione, tutta la cultura del saper fare che sta dietro al singolo capo di Couture rende conto della sua sostanza e del suo contenuto che si addensa dentro il capo stesso. Quindi nella collezione di YSL, il messaggio autentico resta sempre l’alta moda nel suo processo creativo, anche con l’aggiunta della decorazione ‘’Tom Wesselamann’’. MR FREEDOM: questi capi, invece, non ha nulla dello studio che sta dietro l’haute couture, sono elementi come bomber, pantaloni, top, giacche, cinture, che potrebbero provenire da qualsiasi altra collezione, sono realizzati in materiali più o meno scadenti, di livello più basso, e c’è un ragionamento sul capo che è chiaramente diverso. Il capo di per se, non vale niente se non l’elemento differenziale che è rappresentato dalla decorazione. Mentre i capi di YSL valgono di per se, anche se la stampa di Tom Wesselmann è l’elemento caratterizzante di quella collezione, ma l’essenza della collezione stessa passa attraverso il discorso couture, il capo si MF non esisterebbe senza la sua superficie. È per anche per questo motivo che i capi sono fotografati in questo modo, e che i capi di YSL sono fotografati a figura intera. In MF notiamo soprattutto i dettagli e non ci soffermiamo sul capo in generale, ad esempio la decorazione a forma di missile sul bomber, la cintura a forma di cuore con un fulmine, sulla cravatta c’è una signorina svestita indossata da una signorina altrettanto svestita. In realtà non conto neanche il look e la composizione all’outfit, diventa tutto intercambiabile e trasformabile. Il dettaglio quindi prende il sopravvento e la sequenza ritmica. Nova, May, 1970. Questa rivista, fra la metà degli anni 60 e 70, è alternativa rispetto al linguaggio e al pubblico della moda stessa, nel senso che si indirizzava ai giovani, cercava di lavorare sulla provocazione, toccando temi di attualità e di innovazione mettendoli in copertina, spesso presentando una ragazza liberata nel suo corpo e sessualmente che emergono dalle pagine della rivista. Dal punto di vista formale, nel momento in cui la rivista è dedicata a capi di Mr Freedom, la scelta di impaginazione dei capi stessi, passa attraverso la focalizzazione dei dettagli, e quindi attraverso la frammentazione del corpo, che vediamo in parte articolata dalla doppia pagina (foto sopra a destra) e che è portata all’estremo nella pagina seguente (in alto a sinistra), dove vediamo una maglia, dove l’unico elemento di interesse è la stella stampata al centro, che diventa l’unico elemento più degno di lettura cache appunto viene inserito in una sequenza ritmica che assume una sua consistenza strutturale in virtù di variazioni del tema, dove nell’ultimo quadretto della foto si vede la modella in un’altra posizione e anche i colori sono diversi. 12 DETTAGLIO e FRAMMENTO: sono due parole chiave. Differenza FRAMMENTO: è un pezzo qualsiasi di un oggetto rotto. (es. un pezzettino di carta è un frammento di un foglio di carta) quindi il frammento ha perso il suo legame con l’oggetto preesistente. DETTAGLIO: è un pezzo specifico di un oggetto ancora integro. (es. un bottone di una camicia è un dettaglio della camicia stessa). Il frammento si noterà di più parlando di Punk, mentre adesso notiamo principalmente dettagli. Il servizio fotografico di Nova ci mostra dei dettagli che vengono messi in evidenza per giustificare la loro presenza, altrimenti non ci sarebbe motivo di fotografarli, se non per l’elemento differenziale che è la decorazione, il colore, la forma, che attribuiscono un carattere giocoso e divertente all’oggetto rappresentato. ROTTURA CODICI PRECEDENTI 19 magazine, 1973. Punto di svolta nel modo di fotografare la moda, di comporre i look; Questo è uno scatto di una rivista britannica giovanile. Per noi, oggi, non propone nulla di strano, è abbastanza contemporaneo, tuttavia il tipo di scatto che osserviamo, paragonandolo allo scatto degli abiti di YSL, rende conto di un cambiamento, di un balzo in avanti, che abbiamo già notato in parte sulle pagine di Nova, qui lo vediamo portato ancora più all’estremo, come conseguenza di quello di cui abbiamo parlato, cioè dell’importanza del dettaglio e dell’annullamento del senso del capo di per se. Questi look, di fatto, non appaiono come total look perfettamente coordinati, se proviamo a prendere ciascun capo di questo look e li mettiamo in sequenza l’uno accanto all’altro, notiamo che semanticamente non appartengono alla stessa area semantica, almeno non da soli. Per noi tutto questo è normalissimo, non tutti oggi si preoccupano di ‘’coordinare’’, in quegli anni invece, quando si realizzavano servizi fotografici di questo genere si usciva dagli schemi. Un filosofo e semiologia francese importante che ha scritto di moda è ‘’Ronald Barthes’’, che pubblicò un’analisi semiotica degli articoli delle riviste di moda, ‘’il blu è di moda quest’anno’’, dove c braccava di spiegare come strutturalmente la composizione del testo si agganciasse ad un insieme di norme di composizione del look dell’abito o della c collezione stessa. Il mondo a cui faceva riferimento era quello che stava scomparendo in quegli anni, che era quella della tradizione della couture e della boutique italiana, ovvero alla signora che si cambiava 4/5 volte al giorno. Mentre in questa rivista non si capisce che siano abiti da giorno, da mattina o da sera, non sono coordinati, ma rendono conto di quel processo che in questi anni rompe ogni legame con i codici precedenti. Non sono neanche le classiche modelle bionde delle collezioni che abbiamo visto precedentemente, della couture tradizionale, ma sono ragazze normalissime che chiacchierano, e che si sono vestite apparentemente ‘’a caso’’. Look di questo tipo, sembrano alludere all’epoca degli anni ’40/’50, in maniera molto libera, disinvolta, pop, superficiale, appare soltanto come una tendenza del manifestarsi del pop alla fine degli anni ’60. 13 Jim O’Connor, Parla Motown, 1972. Designer che assieme a Tommy Roberts lavoravano da Mr Freedom. FINE ‘70 Altro nome che emerge dalla moda pop è ‘’Elio Fiorucci’’, ci spostiamo quindi da Londra a Milano. [video: servizio della televisione americana, degli anni ’70] Fiorucci, non fa altro che estremizzare l’idea della Boutique come un’esperienza, all’interno della quale si vendevano varie cose oltre ai vestiti. Con Fiorucci, a fine anni ’70, siamo di fronte ad un’evoluzione del linguaggio del pop che inizia a sostanziarsi di alcuni elementi in più. A differenza di Mr Freedom, Fiorucci è un fenomeno internazione, una rete che si espande da Milano e va a toccare Londra e New York. La Boutique di Milano era tutta rosa, c’era odore di vaniglia, la musica, questo non è niente di strano per noi oggi. Non si vedono altri vestiti se non quelli indossati dai modelli che ballavano per tutto il negozio e in vetrina. La Boutique di New York era anche chiamata ‘’lo studio 54’’, come la più famosa discoteca di New York di fine anni ’70, e la boutique Fiorucci, rappresentava il suo corrispettivo diurno, dove si ballava, ma c’era una selezione specifica di clienti. 14