Diritto Commerciale e dell'Economia PDF
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This document provides an introduction to commercial and economic law, examining the role of entrepreneurs and companies within the economic system. It discusses the historical development of commercial law, from medieval regulations to modern business practices, highlighting the evolution of businesses and investments, and the changing role of entrepreneurs. The text delves into the definition of an entrepreneur, their role in organizing production and managing resources, and economic considerations.
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DIRITTO COMMERCIALE e dell’ECONOMIA Gli imprenditori e le società nel sistema economico Il diritto commerciale si occupa dello studio: - Delle imprese - Dei funzionamenti dei mercati - Della tutela dei consumatori Si tratta di una disciplina autonoma, separato du...
DIRITTO COMMERCIALE e dell’ECONOMIA Gli imprenditori e le società nel sistema economico Il diritto commerciale si occupa dello studio: - Delle imprese - Dei funzionamenti dei mercati - Della tutela dei consumatori Si tratta di una disciplina autonoma, separato dunque dal diritto pubblico e privato. Cenni storici: nel Basso Medioevo, nel XII/XIII secolo, si diffusero nei comuni i primi regolamenti comunali volti a tutelare i soggetti che acquistavano prodotti dei mercanti. La tutela principale era quindi rivolta a chi acquistava le merci, ossia i clienti, che spesso non conoscevano la loro provenienza o non avevano sufficienti informazioni, dando per scontato che il commerciante non aveva bisogno di eccessive tutele, dal momento che - per quanto riguarda i rapporti di compravendita tra commercianti - aveva maggiore esperienza e conoscenza nel campo. SI sviluppa, quindi, la LEX MERCATORIA,ossia un ordinamento assestante rispetto al diritto civile che tutela soprattutto i consumatori e che diventa poi una consuetudine (anche non scritta) in tutti i commerci, non solo all’interno dei comuni. Dai commerci, questo diritto divenne il diritto delle imprese (quello che negli USA si chiama business law), a partire dal XVII con le spedizioni in America e con lo sviluppo delle compagnie (in particolare quella delle Indie): queste attività erano, infatti, più capital intensive, e, da semplice commercio, il business diventa più organizzato. Nascono in quest'ambito i primi contratti e la figura dell’imprenditore. Il diritto commerciale diventa il diritto degli “affari” poiché si sviluppa l’impresa e, soprattutto, perché si sviluppano gli investimenti dell’imprenditore. Con il passaggio dal commercio all’industria (età industriale), cambia il paradigma dell’imprenditore, il capitale diventa ancora più importante e si inizia a parlare di investimento non solo materiale, ma anche immateriale (i cosiddetti intangible). Con la riforma del Codice civile del 1942, si riunisce in un unico codice sia il diritto privato che il diritto commerciale. Introduzione Terminologia: - Piccole-medie imprese: non devono superare i 500 dipendenti, i 40 milioni di ricavi e i 20 milioni di attivo patrimoniale. In italia, vi sono in tutto circa 4 milioni di imprese, di cui: - 1.700.000 sono S.R.L, quindi sono società di capitale piccole - 35/40 mila S.p.A (fino a dieci anni fa erano 60 mila) - 1 milione circa sono imprenditori individuali - Le restanti sono società di persone - Le società quotate, invece, sono solo 400 (di cui la maggior parte sono società in mano pubblica oppure banche) 1 Si tratta, quindi, di un’economia piccola, soprattutto di tipo familiare, e soprattutto sono società sottocapitalizzate (cioè il capitale, in particolare quello sociale, è inferiore a quello che sarebbe necessario per funzionare correttamente), che quindi si affida alla banche → di conseguenza il nostro è un sistema bancocentrico. 2 PARTE I: L’IMPRENDITORE Capitolo 1: L’imprenditore Corona centrale nella disciplina giuridica delle attività economiche è rivestito dall'imprenditore, il quale si distingue dal capitalista / investitore, ossia dal mero detentore del capitale. Da un punto di vista economico, l'imprenditore è colui che si procura i fattori produttivi (ossia gli input), organizzativi e dirige il processo di trasformazione che consente di immettere sul mercato gli output, creando nuova ricchezza e contribuendo, così, al funzionamento del sistema economico nel suo complesso. Egli pertanto svolge una funzione intermediaria tra i detentori degli input e gli acquirenti degli output, oltre che una funzione organizzativa, gestendo il processo produttivo e correndo il rischio che i ricavi conseguiti non siano sufficienti a coprire i costi sostenuti (rischio d’impresa), ma beneficiando, in caso contrario, del relativo surplus (profitto), che costituisce il fine dell'attività imprenditoriale intrapresa. L’impresa, a sua volta, è intesa come un sistema aperto, che si alimenta di continui scambi con l'ambiente in cui opera, intessendo relazioni più o meno strette con una molteplicità di stakeholders, e dinamico, in quanto deve sapersi adattare ed evolvere a seguito dei mutamenti che possono intervenire a livello endogeno ed esogeno. Da un punto di vista civilistico, nel nostro ordinamento, la figura dell'imprenditore è disciplinata nel titolo II (Del lavoro dell’impresa) del libro V (Del lavoro) del Codice Civile, il quale si articola in tre capi: Il primo è dedicato all’impresa in generale Il secondo contiene le norme sull’impresa agricola Il terzo regola le imprese commerciali e le altre imprese soggette a registrazione. 1.2 La figura dell’imprenditore La definizione di imprenditore è scolpito nell'articolo 2082 del codice civile, secondo cui: “«E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi.» (art. 2082 c.c.) → da sapere a memoria In questo articolo, sono racchiusi tutti i tratti necessari e sufficienti che permettono di definire la figura dell’imprenditore; in particolare, i requisiti minimi necessari sono: ❖ L’attività → È la serie coordinata di atti, sia di tipo giuridico sia di tipo materiale, legati tra loro da una funzione unitaria, volta alla produzione di beni e servizi o al loro scambio, prescindendo dalla natura e dai destinatari dei beni e servizi prodotti. N.B: L'attività produttiva si contrappone all'attività di mero godimento, vale a dire quella in cui si limita a beneficiare dei frutti di bene preesistenti (es: non è imprenditore il soggetto che concede in locazione gli immobili di cui è proprietario, senza prestare alcun servizio aggiuntivo e percependone i relativi canoni). Tuttavia è diverso il caso in cui l'attività di godimento non sia esclusiva, ma ad un'attività produttiva di nuovi beni e servizi (es: e imprenditore proprietario di un immobile nel 3 quale gli eserciti un'attività alberghiera, in cui presta ulteriori servizi come la fornitura di biancheria e la pulizia dei locali). Questa distinzione, però, assume contorni sempre più sfumati, come nel caso delle “società immobiliari di comodo”, ossia società di mero godimento che non svolgono alcuna attività produttiva, ma si limitano a percepire i relativi canoni di locazione. ❖ L’economicità → L'attività svolta dall'imprenditore deve, inoltre, essere economica, ossia i ricavi dell’impresa devono almeno pareggiare i costi. Secondo molti (compreso il prof), tuttavia, l’esercizio dell’attività imprenditoriale deve essere tale da consentire non solo di coprire tutti i costi, ma di generare altresì un profitto, ossia un lucro (oggettivo = utili, soggettivo = dividendi suddivisi tra i membri) Esistono anche società che svolgono attività benefiche, come nel caso delle società benefit: tuttavia, tale attività benefica deve sempre essere unità allo scopo dell’economicità. ❖ Organizzazione → Il legislatore richiede espressamente che l'attività dell'imprenditore sia organizzata, ossia egli deve coordinare i fattori produttivi, riconducibili in ultima istanza al fattore lavoro e capitale. Innanzitutto egli è capo dell'impresa, dal quale dipendono genericamente i suoi collaboratori, pertanto deve disciplinare e organizzare il lavoro altrui. Detto ciò, con organizzazione si intende principalmente l'organizzazione dell'azienda, la quale è il complesso di beni (materiali e immateriali) che formano l'impresa. In particolare, la definizione di azienda si ritrova nell’art. 2055 del C.C.: “L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa” Legato al tratto dell’organizzazione, vi è l’art. 2086 C.C. che recita: “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori. L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensione dell’impresa, anche in funzione della rilevanza tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale” Allo scopo di prevenire l'emersione della crisi d'impresa, quindi, gli assetti dell'imprenditore devono permettere di rilevare gli squilibri di carattere patrimoniale, economico e finanziario, verificare la sostenibilità dei debiti e la sussistenza delle prospettive di continuità aziendale per i dodici mesi successivi, avendo a mente, da un lato, che lo stato di crisi si manifesta con adeguatezza dei flussi di cassa prospettici. In particolare, si intende per assetto: - Organizzativo, quelli che concernono la struttura dell’impresa (suddivisione del lavoro, ecc) - Amministrativo, quello riferito all’implementazione di sistemi di programmazione e di controllo delle performances dell’impresa 4 - Contabile, quello relativo ai sistemi di rilevazione dei fatti aziendali, al fine di una rappresentazione veritiera della situazione patrimoniale, economica e finanziaria. ❖ Professionalità → Professionalità si intende “ in modo abituale”, e ossia l'imprenditore deve esercitare la propria attività produttiva, economica ed organizzativa, abitualmente. In primo luogo, ciò non implica che l'imprenditore deve svolgere la propria attività in modo continuativo, senza alcuna interruzione: ad esempio, e imprenditore che gestisce uno stabilimento balneare nei soli mesi estivi, essendo in questo caso ravvisabile l'abitualità nella ciclicità che connota le attività stagionali. In secondo luogo, non presuppone neppure le esclusività, essendo imprenditori anche colui che eserciti altre attività, estranee a quelle d'impresa e a questa non correlate. Tuttavia, si esclude dalla categoria di imprenditore, chi svolge un’attività produttiva ed economica soltanto saltuariamente. ❖ Fine della produzione o dello scambio di beni e servizi → il fine dell’impresa dev’essere quello della produzione o dello scambio di beni e servizi. Vi sono, inoltre, altri requisiti non inclusi nell’articolo 2082, che tuttavia la figura dell’imprenditore deve rispettare, ossia: ❖ Lo scopo di lucro ❖ La liceità dell’attività → si deve trattare di un’attività lecita, ossia non contraria alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume. ❖ Destinazione al mercato di beni e servizi → gli output devono essere scambiati e venduti sul mercato; l’autoproduzione pura o le società di commodo non sono attività economica. 1.3 Imprenditori e professionisti intellettuali Dalla figura dell'imprenditore occorre distinguere quella del professionista intellettuale; come dispone l’art. 2238 c.c. al professionista intellettuale non si applicano le disposizioni del titolo secondo relativo al lavoro nell'impresa, a meno che l'esercizio di professione sia al contempo un elemento di un’altra e ulteriore attività organizzata in forma di impresa (es: il medico che oltre a svolgere la sua funzione gestisce una casa di cura). Qualora, invece, il professionista si limita a svolgere la propria attività intellettuale, egli non è imprenditore e di conseguenza a questi non si applicherà lo statuto generale dell'imprenditore. Esistono, tuttavia, le società tra professionisti, regolamentate dalla normativa europea (L.183/2011 - D.m. 3472013), che possono essere anche di capitali; i professionisti possono dunque costituire una società senza impresa. ➔ Le società di professionisti sono l’UNICO caso di società senza impresa. 5 Capitolo 2: Le categorie di imprenditori 2.1 Premessa La figura dell'imprenditore, definita in generale dall'art. 2082 c.c. può essere ulteriormente suddivisa utilizzando tre diversi criteri previsti dal codice civile, i quali - concentrandosi su punti diversi - permettono di delineare specificatamente ogni imprenditore in relazione a ciascuna aspetto aspetto e di applicarvi la conseguente disciplina. In particolare, i 3 criteri sono: ❖ In base all’oggetto dell’attività, in funzione del quale si distingue tra Imprenditore agricolo (art. 2135) Imprenditore commerciale (art. 2195) ❖ In base alle dimensioni dell’impresa, in ragione delle quali si divide tra: Piccolo imprenditore Imprenditore medio/grande ❖ In base alla natura del soggetto titolare della suddetta attività imprenditoriale, ossia se si tratta di: Impresa individuale Impresa collettiva (società di persone e società di capitali). 2.2 Distinzione in funzione dell’attività esercitata Per quanto riguarda la divisione delle categorie di imprenditore dal punto di vista dell'attività esercitata, il legislatore definisce l'imprenditore agricolo, mentre non offre una vera e propria nozione di imprenditore commerciale: si dice, infatti, che la prima noziond ha una valenza in positivo, dal momento che consente di individuare soggetti che integrano la nozione legale, mentre la seconda ha una valenza in negativo, permettendo di circoscrivere l'ambito di applicazione del più articolato statuto degli Imprenditori commerciali. a. L’imprenditore agricolo La definizione di imprenditore agricolo è fornita dall'art. 2135 c.c.: “E’ imprenditore agricolo colui che esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.” Le prime sono attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una sua fase necessaria, sia esso di tipo vegetale o animale, che possono utilizzare il fondo oppure il bosco (caso della selvicoltura) o le acque ( dolci, salmastre o marine). Le attività connesse, invece, sono quelle che di per sé avrebbero natura commerciale, ma che assumono un connotato agricolo in quanto sono esercitate da un soggetto che svolge al contempo una delle predette attività essenziali. In questa categoria, vengono comprese (comma 2 art.2135): - le attività volta alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti in prevalenza dalla coltivazione del fondo del bosco oppure dall'allevamento di animali; - attività dirette alla fornitura di beni o servizi utilizzando in prevalenza attrezzature e risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola. All’imprenditore agricolo è, inoltre, equiparato l’imprenditore ittico, ossia colui che esercita professionalmente un’attività di “pesca professionale”, e gli agriturismi. 6 Per quanto riguarda le norme applicabili all’imprenditore agricolo: Deve rispettare lo statuto generale dell’imprenditore È tenuto ad iscriversi in una sezione speciale del Registro delle Imprese, con efficacia di pubblicità dichiarativa Non ha l’obbligo di tenere le scritture contabili → di conseguenza, l’imprenditore agricolo non può fallire Ha enormi vantaggi fiscali. b. L’imprenditore commerciale Per quanto riguarda l'imprenditore commerciale, il legislatore non ha predisposto una vera e propria definizione, limitandosi a fornire un elenco delle attività da questi svolte. Nello specifico, all’art. 2195 c.c.: “Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione, nel registro delle imprese, gli imprenditori che esercitano: 1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi; 2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni; 3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria; 4) un'attività bancaria o assicurativa 5) altre attività ausiliarie delle precedenti.” Al punto 5 il legislatore ha approntato una categoria residuale, caratterizzata soltanto da un criterio generico di ausiliarietà delle precedenti, in cui si possono collocare tutti gli altri tipi di imprenditore commerciale precedentemente non nominati. ➔ Sono imprenditori commerciale tutte quelle imprese che non sono agricole 2.3 Distinzione in base all’organizzazione e alle dimensioni dell’impresa Gli imprenditori, siano essi agricoli o commerciali, possono poi essere distinti in funzione delle dimensioni della loro impresa; in particolare, ciò che accomuna le diverse disposizioni dedicate agli imprenditori di minori dimensioni è costituito da dalla semplificazione e dalla riduzione degli adempimenti rispetto agli imprenditori di medio grandi dimensioni, non credo numerose previsioni agevolative in ambito creditizio, giuslavoristico e tributario. a. Il piccolo imprenditore civilistico Secondo l’art. 2083 c.c.: “Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia”. Quest'ultima parte della norma, per la dottrina, tratteggia il requisito caratteristico che individua l'intera categoria di piccoli imprenditori ossia quello della prevalenza del lavoro personale dell'imprenditore e dei suoi familiari, tanto sul lavoro altrui quanto sull'impiego di capitale. Dal punto di vista civilistico, i piccoli imprenditori devono rispettare, oltre alle disposizioni proprie dello Statuto generale dell'imprenditore, quelle dello Statuto del piccolo imprenditore: a. Il piccolo imprenditore non è tenuto ad iscriversi nel registro delle imprese; nel caso in cui egli vi provvede ugualmente, l’atto ha solamente funzione di pubblicità notizia (= non produce gli effetti propri della pubblicità legale); 7 b. il piccolo imprenditore non è soggetto all'obbligo di tenuta delle scritture contabili; c. il piccolo imprenditore non può fallire Tuttavia, tale articolo ha creato non poche incertezze interpretative, dal momento che non stabilisce dei parametri quantitativi per distinguere il piccolo imprenditore dal medio-grande. A ciò pensa l'articolo 1 della vecchia legge fallimentare ( ad oggi sostituita dal codice della crisi di impresa), che definisce tre parametri quantitativi per definire il piccolo imprenditore. “Sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale (2), esclusi gli enti pubblici (3). (4) Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino (5) il possesso congiunto (6) dei seguenti requisiti: a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 300mila (7); b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi (8) per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro 200.000; c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro 500.000(9). Il superamento di anche uno soltanto di questi parametri dimensionali comporta la soggettabilità dell'imprenditore commerciale alla procedura di liquidazione giudiziale, mentre viceversa sarà da questa esonerato l'imprenditore che dimostri il loro congiunto mancato superamento. c. Le categorie comunitarie Per quanto riguarda la classificazione degli imprenditori in funzione del loro profilo dimensionale, bisogna inoltre considerare le indicazioni di emanazione comunitaria, che distingue tra microimprese, piccole imprese e medie imprese, fornendo dei parametri quantitativi massimi che gli Stati membri possono “in taluni casi” ridurre. Innanzitutto nell'ampia categoria delle P.M.I (piccole-medie imprese), rientrano tutte quelle imprese che: a. occupano meno di 250 persone b. realizzano un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro oppure hanno un totale attivo dello stato patrimoniale non superiore a 43 milioni di euro. Nello specifico, poi, queste si suddividono in: 1. Piccole imprese, le quali a. Occupano meno di 50 persone b. Realizzano un fatturato annuo o un totale di bilancio annuo che non superano i 10 milioni 2. Microimprese, per le quali i medesimi parametri si riducono a: a. Dieci persone occupate 8 b. 2 milioni di euro di fatturato o il totale di bilancio attivo. 2.4 Distinzione in base al soggetto titolare dell’impresa Un ultimo criterio che consente di classificare i diversi tipi di impresa è costituito dalla natura del soggetto che esercita, in funzione del quale si distingue tra: imprenditore individuale, qualora il titolare dell'impresa sia una singola persona fisica; imprenditore collettivo, nel caso in cui il titolare dell'impresa sia una società o un altro ente; impresa pubblica, se il titolare dell'impresa è un soggetto di diritto pubblico. a. L’impresa pubblica Generalmente, l’impresa pubblica è una società in mano pubblica (o in mano ad enti locali) L'intervento dello Stato nel settore economico può assumere molteplici forme, che possono essere ricondotte a tre tipologie, accomunate dallo svolgimento delle attività con modalità economiche: 1. In primo luogo, lo Stato o gli altri enti pubblici territoriali, come le regioni, possono svolgere direttamente un'attività d'impresa, per il tramite delle proprie strutture organizzative, senza che queste assumono un autonoma soggettività → si tratta delle imprese organo, per le quali l'attività d'impresa si colloca in seconda posizione rispetto ai fini istituzionali dell'ente (es: aziende municipalizzate che erogano servizi pubblici, come l’acqua o il gas): a. Non hanno l’obbligo di iscrizione al Registro delle imprese b. Sono esonerate dalle procedure concorsuali c. Devono tenere le scritture contabili e rispettare lo statuto generale dell’imprenditore 2. In secondo luogo, si possono costituire enti pubblici economici, per i quali l'attività d'impresa è principale: a questi si applica lo statuto dell'imprenditore commerciale, con l'eccezione data dall'esenzione delle procedure concorsuali. Storicamente, a partire dagli anni ‘90, Si è assistito ad una privatizzazione degli enti pubblici economici (es: Ferrovie dello Stato), per ridurre la spesa pubblica, consentendo la partecipazione del capitale di rischio dei privati e cercando di rendere maggiormente efficiente la loro gestione: - Privatizzazione formale → trasformazione degli enti in società per azioni e partecipazione statale - Privatizzazione sostanziale → cedendo le partecipazioni pubbliche di controllo soggetti privati. 3. Infine, in tempi più recenti, sia andato via via diffondendo l'esercizio dell'attività d'impresa da parte dello Stato degli enti pubblici tramite società. 9 b. L’impresa societaria La forma associativa prevalente è quella societaria, tra le quali meritano una menzione speciale le imprese innovative, ossia le start-up e le P.M.I, le quali devono essere scritte in una sezione speciale del registro delle imprese sono soggette a una peculiare disciplina di favore. c. Gli enti del Terzo settore e le imprese sociali Gli enti del terzo settore sono le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali - comprese le cooperative sociali -, le reti associative, le società di mutuo soccorso e le associazioni. Tali enti sono stati costituiti per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva principale, di uno più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, oggi mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, senza scopo di lucro. Esse sono iscritte nel “registro unico nazionale del Terzo settore”, mentre qualora esercitino la propria attività in via esclusiva o principale in forma di impresa commerciale, sono tenute ad iscriversi altresì al Registro delle Imprese, a tenere le scritture contabili ed a disporre il bilancio d’esercizio. Un caso speciale sono le imprese sociali, regolamentate autonomamente dal d.lgs.112 del 3 luglio 2017.Si tratta di imprese che esercitano, in via stabile e principale, un'attività d'impresa di interesse generale, senza scopo di lucro e per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale. Esercitando, tuttavia, un'attività d'impresa, essi devono rispettare il requisito dell'economicità ma, qualora generassero utili o avanzi di gestione, questi non potranno essere distribuiti, ma dovranno essere destinati allo svolgimento dell'attività statutaria o ad un incremento del patrimonio. Infine, tra gli enti che perseguono anche scopi ulteriori a quello di lucro, vi sono le società benefit, volte a realizzare anche finalità di beneficio sociale a favore di un’ampia categoria di soggetti, verso cui si assumono specifici impegni in termini di responsabilità e di trasparenza, ricercando sempre tuttavia l’economicità. 10 Capitolo 3: L’acquisto della qualità di imprenditore 3.1 L’imputazione dell’attività d’impresa L'attività d'impresa è di norma riferita al soggetto che materialmente la pone in essere. Come spesso però accade, le circostanze pratiche non sempre rendono agevole un esatto inquadramento della situazione e, pertanto, la dottrina ha sviluppato nel tempo due criteri: il primo, di natura formale, si basa sul principio giuridico della spendita del nome, per cui è imprenditore colui che svolge l'attività in nome proprio; il secondo, di natura sostanziale, privilegia il dato sostanziale dell'interesse perseguito e, dunque, considera imprenditore il soggetto nel cui interesse l’impresa è svolta, indipendentemente dal fatto che egli si mostri o meno all'esterno come titolare. Ovviamente, quando il dato formale e dato sostanziale coincidono, ossia quando l'imprenditore che svolge l'attività spende il proprio nome al fine di concludere i contratti, non servirà a far ricorso ad alcun criterio interpretativo. Quando ciò non avviene, invece, il criterio formale della spendita del nome prevale su quello sostanziale della titolarità dell’interesse. Il criterio formale trova il suo fondamento giuridico nelle norme sul mandato, ossia su quel contratto con il quale una parte (il mandatario) si obbliga a compiere atti giuridici per conto dell'altra (mandante). La legge prevede, infatti, che gli effetti dell'atto debbano ricadere sul soggetto di cui si spende il nome: - il mandatario potrà agire nell'interesse del mandante e porre in essere relativi atti giuridici sia spendendo il proprio nome ( mandato senza rappresentanza), sia spendendo il nome del mandante ( mandato con rappresentanza) - nel primo caso il mandatario acquisterà i diritti e assumerà gli obblighi derivanti degli atti compiuti con i terzi, mentre nell'altro caso tutti gli effetti degli atti posti in essere dal mandatario in nome del mandante si produrranno direttamente nella sfera giuridica di quest'ultimo. L’imprenditore occulto e l’impresa fiancheggiatrice Ci sono delle situazioni in cui si realizza un abuso dalla dissociazione fra esercizio dell'impresa e la sua imputazione: è il caso dell'impresa formalmente riconducibile ad un imprenditore “ prestanome", di norma nullatenente, che non le esercita nel proprio l'interesse, ma in quello di un altro soggetto, il cui nome non viene speso nei rapporti coi terzi. I rischi collegati a questa situazione sono evidenti, poiché il rischio d’impresa graverebbe solo sul patrimonio (spesso inesistente) del prestanome; infatti, per il criterio formale della spendita del nome, i creditori non potrebbero rivolgersi ad altri che a lui. Per tale ragione, è stato elaborato il criterio sostanziale dell'interesse perseguito, così da colpire comunque anche l'imprenditore, nel cui interesse l'attività è svolta, indipendentemente dal fatto che egli si mostri o meno all’esterno come titolare dell’impresa. 1. Teoria dell’imprenditore occulto → secondo questa, se dopo il fallimento ( oggi liquidazione giudiziale) di una società risulta l'esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, a questi si estende la procedura fallimentare. Questa soluzione però non è stata approvata dalla giurisprudenza. 11 2. Teoria dell’impresa fiancheggiatrice → nel tentativo di sanzionare questo abuso, la giurisprudenza ha affermato questa seconda tesi, secondo la quale gli atti compiuti dall'imprenditore occulto nell'interesse dell'impresa principale darebbero vita a un'impresa parallela, la cui attività consiste proprio nel finanziamento nella direzione di quella principale; in questo modo, anche l'imprenditore occulto potrebbe essere dichiarato fallito in caso di insolvenza dell'impresa fiancheggiatrice. Incapacità ed incompatibilità La dissociazione obbligatoria dell'impresa avviene in presenza di soggetti ritenuti incapaci di concludere validamente atti giuridici, ossia i minori, gli interdetti e gli inabilitati, per cui il Codice Civile prevede la nomina di un legale rappresentante che si sostituisca ad essi e il compimento di tali atti o, per lo meno, di un soggetto che possa previamente consentirvi. L'incompatibilità, invece, riguarda soggetti che non potrebbero intraprendere l'attività d'impresa in ragione di determinati uffici che ricoprono o professioni che svolgono (es: impiegati dello Stato, avvocati o notai); la violazione di tali divieti, tuttavia, espone solo alla sanzioni amministrative e ad un aggravamento delle sanzioni penali per bancarotta in caso di liquidazione giudiziale. 3.2 Inizio e fine dell’impresa Una volta stabilito a chi l'attività d'impresa debba essere attribuita, è necessario comprendere quale sia il momento in cui tale attività inizia e, specularmente, quello in cui si possa considerare terminata. Anche in questo caso, l'esatta individuazione del momento in cui tali circostanze si possono ritenere verificate non è sempre agevole e, pertanto, la dottrina ci fornisce due criteri utili a guidare gli interpreti: ❖ Principio di effettività → Il momento d'inizio e di fine dell'impresa non è legato ad alcun requisito di tipo formale, ma si riduce a quelle in cui effettivamente è compiuto il primo atto o quello in cui l'attività cessa; ❖ Principio a dati formali → Inizio la fine dell'impresa è riconducibile a dati formali oggettivi e conoscibili, quali l'iscrizione e la cancellazione del registro delle imprese. Tra i due, si predilige il criterio sostanziale su quello formale, poiché è quello che ne hai fatti risponde di più alla realtà e permette una migliore applicazione del regime normativo dell'imprenditore; anche le società che non si scrivono non vengono escluse dall'applicazione delle regole sull'impresa, ma operano semplicemente come società irregolari. Vi sono poi delle regole dedicate in particolare al momento della fine dell'impresa, che sono dettate in relazione alle procedure concorsuali, la cui apertura non è ostacolata dalla cessazione delle attività: per il codice della crisi d’impresa, infatti, “ la liquidazione giudiziale può essere aperta entro un anno dalla cessazione dell'attività del debitore, se l'insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo”. La ratio di questa norma risiede nella volontà di impedire al titolare dell'impresa di sfuggire alla soluzione concorsuale attraverso la cessazione repentina della sua attività e fornisce maggiore tutela ai creditori. 12 Capitolo 4: Lo statuto dell’imprenditore “non solo commerciale” 4.1 Lo statuto generale dell’imprenditore Esistono due tipi di statuti per l’imprenditore: ❖ Il primo, di carattere generale, si riferisce a tutti gli imprenditori → statuto generale dell’imprenditore ❖ Il secondo, invece, riguarda specificatamente l’imprenditore commerciale → statuto dell’imprenditore commerciale. Nello Statuto generale dell'imprenditore rientrano: 1. la disciplina dell'azienda (artt. 2555-2562) 2. le norme dei segni distintivi (artt. 2363-2574) 3. le regole relative alla concorrenza (artt. 2595-2620) 4. I consorzi tra imprenditori (artt. 2062) Lo Statuto dell'imprenditore commerciale non piccolo, invece, include le regole che riguardano: a. L'iscrizione al registro delle imprese la pubblicità commerciale b. l'obbligo di tenuta delle scritture contabili c. La disciplina della rappresentanza commerciale e la disciplina degli ausiliari dell'imprenditore d. le procedure concorsuali. Questo insieme di norme riguarda, da un lato, le relazioni con i terzi, mentre dall'altro riguarda l'organizzazione delle attività d'impresa. Vi sono, inoltre, alcune ulteriori regole di carattere speciale o settoriale per alcune tipologie di impresa, che vanno ad aggiungersi alla disciplina generale dello Statuto dell'imprenditore (es: imprese bancarie). 4.2 L’iscrizione al Registro delle Imprese I traffici commerciali per essere certi e spediti si devono basare su informazioni veritiere e non contestabili; infatti, gli imprenditori ed i consumatori hanno la necessità di avere a disposizione alcuni dati di carattere organizzativo delle imprese con cui vengono in contatto. Per questo motivo, il legislatore ha introdotto il regime della pubblicità legale, ovvero l'obbligo di rendere di dominio pubblico, tramite l'iscrizione presso il Registro delle Imprese, alcuni atti o fatti della vita dell'impresa; queste informazioni saranno quindi conoscibili dai terzi che ne abbiano interesse. a. Il Registro delle Imprese Il Registro delle imprese è un registro pubblico informatico contenente i dati ufficiali delle Camere di Commercio locali riguardanti gli imprenditori. Fino al 1993, tale registro era avvenuto presso la cancelleria del Tribunale del luogo dove aveva sede la società (sistema ottocentesco), mentre dal 1993, venne istituito l’Ufficio del 13 registro delle imprese, presso ciascuna Camera di Commercio (o presso quella del capoluogo, es: Milano, Monza e Brianza). Il Registro delle Imprese è un ufficio presieduto da un conservatore (dipendente pubblico della CAMCOM) posto a capo di una struttura amministrativa formata da dipendenti che gestiscono tre tipi di archivi: ★ Il Protocollo → è il registro dove sono annotate in modo univoco e cronologico tutte le pratiche che pervengono o in via telematica o allo sportello (ogni pratica ha un suo protocollo); ★ Il REA → Il Repertorio Economico Amministrativo è un registro su base locale che contiene una scheda per ogni impresa con informazioni di natura statistica e aziendale (es. numero di dipendenti, etc.) ★ Il Registro delle Imprese → è il registro dove sono iscritte tutte le informazioni relative ad una impresa e che per legge devono essere rese pubbliche. L’attività dell’Ufficio è svolta sotto la vigilanza di un Giudice delegato dal Presidente del Tribucaponale del capoluogo di provincia, il quale fa dei controlli. A dell'Ufficio, invece, vi è il Conservatore nominato dalla giunta nella persona del segretario generale, ovvero di un dirigente della Camera di Commercio, il quale è sottoposto nello svolgimento delle sue funzioni alle decisioni assunte dal giudice del registro. Il conservatore, quando riceve un protocollo relativo a un imprenditore, deve provvedere all'iscrizione solamente qualora non rilevi delle irregolarità, ossia compie un controllo di legalità formale (controlla che l'atto che sia tra quelli per i quali la legge prevede l'iscrizione, la sua esistenza e veridicità e di requisiti di forma, ma non il relativo contenuto). Il Registro, ove ne sussistano i presupposti, procederà l'iscrizione, che deve essere eseguita senza ritardo, ovvero metterà un provvedimento motivato di rifiuto. Il Registro delle imprese competente è quello dove ha sede l'impresa ed essa deve anche essere obbligatoriamente indicata negli atti e nella corrispondenza dell'imprenditore. Cosa va iscritto? Dipende dal tipo di impresa: - gli elementi di individuazione dell’imprenditore e dell’impresa (dati anagrafici, ditta, oggetto, sede, inizio e fine, ecc.); - la struttura e l’organizzazione dell’impresa, se in forma societaria (atto costitutivo, nomina e revoca di amministratori e sindaci, ecc.); - tutte le modificazioni degli elementi sopra detti. Sempre, per quanto riguarda il Registro delle imprese, esso contiene una scheda per ogni impresa ed è diviso in diverse sezioni: a. una sezione ordinaria b. diverse sezioni speciali 14 b. La pubblicità commerciale L'iscrizione di un atto o di un fatto nel registro delle imprese può avere vari effetti: ❖ Per quanto riguarda la sezione ordinaria: Pubblicità notizia: ha funzione di certificazione anagrafica Pubblicità legale: 1. Pubblicità dichiarativa → ha come effetto che le informazioni scritte sia opponibile terzi in positivo ed in negativo, decorsi quindici giorni dall'iscrizione. 2. Pubblicità costitutiva ( totale o parziale) → il primo è il caso delle società di capitali che iniziano ad esistere solo con l'iscrizione al registro, con l’acquisto della personalità giuridica, mentre, se l'iscrizione è condizione affinché l'atto produca effetti solamente verso terzi, siamo nel secondo caso 3. Pubblicità normativa → l'iscrizione è necessaria per la piena applicazione di un regime normativo ❖ Per quanto riguarda, invece, la sezione speciale, vi è solo la pubblicità notizia, che ha come effetto quello di semplice certificazione anagrafica (serve la prova dell’effettiva conoscenza da parte dei terzi). Eccezione: per le società semplici e l'impresa agricola, anche se sono iscritte nell'apposita sezione speciale, tale iscrizione ha efficacia anche come pubblicità dichiarativa. Infine, esiste la pubblicità con efficacia sanante; in questo caso, una volta effettuata l'iscrizione, eventuali vizi dell'atto non possono più essere fatti valere se non per ottenere il risarcimento di eventuali danni e non per far venire meno alla sua efficacia. c. Le scritture contabili L’art 2214 del Codice Civile impone agli imprenditori commerciali di tenere e conservare le scritture contabili: la ratio della norma è quella di permettere una continua e costante informazione e controllo sulle attività dell'impresa, non solo da parte dell'imprenditore, ma eventualmente anche da parte dei terzi. Infatti, come già sottolineato dall'art. 2086 c.c. “l'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi di impresa e della perdita della continuità aziendale.” ➔ Le scritture contabili sono, quindi, quei documenti dell’imprenditore che contengono la rappresentazione in termini monetari e quantitativi degli atti che l’impresa ha compiuto nel tempo, dei movimenti economici-finanziari e quindi della situazione patrimoniale dell’impresa e del risultato economico raggiunto, che viene verificato e constatato formalmente un volta all’anno. In particolare, secondo l'art. 2214 c.c., “l'imprenditore che esercita un’attività commerciale deve tenere il libro giornale e il libro degli inventari. Deve altresì tenere le altre scritture contabili che siano richieste dalla natura e dalle dimensioni dell'impresa. (...) Le disposizioni di questo paragrafo non si applicano ai piccoli imprenditori.” Il legislatore non indica quindi specificatamente tutte le possibili scritture contabili, ma ne disciplina solamente due, ossia: 15 ❖ il libro giornale → è un registro cronologico-analitico; ciò significa che devono essere indicate giorno per giorno le operazioni relative all'esercizio dell'impresa ed è necessario che le attività siano inserite nell'ordine temporale con cui sono poste in essere. Le operazioni simili possono anche essere accorpate nel libro giornale purché però siano omogenee e compiute nello stesso giorno ❖ il libro degli inventari → È un registro di carattere periodico-sistematico; viene redatto una volta all'anno e fornisce un quadro statico della situazione patrimoniale dell'impresa alla data a cui è riferito. ❖ dovranno essere tenute anche tutte le ulteriori scritture contabili richieste dalla natura e delle dimensioni dell’impresa (es: libro mastro, libro di cassa, libro magazzino…) Questo obbligo grava su tutti gli imprenditori commerciali non piccoli, in qualsiasi forma essi svolgano la loro attività. In particolare, i soggetti obbligati a tenere le scritture contabili sono: a. Imprenditori commerciali non piccoli (art. 2214 c.c.) b. Società “in forma commerciale” (s.n.c., s.a.s., s.p.a, s.r.l., s.a.p.a - artt. 2302, 2421, 2490, c.c.), anche se non esercitano attività commerciale (es. imprese sociali) c. Società cooperative (artt. 2516, 2421, 2423, 2214, 2220 c.c.) d. Consorzi con attività esterna, esercenti imprese commerciali (art. 2625-bis c.c.) e. GEIE (art. 7 D.Lgs. 23/7/ 1991 n. 240) f. Enti pubblici aventi per oggetto (anche non esclusivo o principale) l’esercizio di un'attività commerciale. g. Associazioni e fondazioni, esercenti attività commerciale in via secondaria. h. Grandi imprese familiari commerciali. Oltre, quindi, ad avere l’obbligo di predisporre le scritture contabili (libro giornale, libro degli inventari + altri), gli imprenditori hanno anche l’obbligo di conservare per 10 anni i libri così redatti, ossia della corrispondenza con riferimento a ciascun affare (originali delle lettere, dei telegrammi e delle fatture ricevute; copie delle lettere, dei telegrammi e delle fatture spedite). L'utilizzo a fini probatori delle scritture contabili varia a seconda che le stesse siano impiegate dai terzi o dall'imprenditore stesso; in particolare, il codice stabilisce che sul piano processuale le scritture possono sempre essere presentate come prova contro l'imprenditore, siano esse regolarmente tenute o meno. Qualora, invece, fosse l’imprenditore a servirsi delle scritture come mezzo di prova contro i terzi, le regole sono più rigorose inserire parte libro Efficacia probatoria: 16 d. La rappresentanza commerciale e gli ausiliari dell’imprenditore A capo della struttura gerarchica dell'impresa vi è l'imprenditore, ossia colui che la dirige e la organizza; di fianco ad esso, vi sono delle figure che lo assistono, ovvero i collaboratori, che possono essere legati all'impresa a vari titoli ( ausiliari interni o subordinati / ausiliari esterni o autonomi). Tra gli ausiliari interni, troviamo le figure dell’istintore, del procuratore e del commesso; questi soggetti hanno il potere di agire e rappresentanza dell'imprenditore, ossia hanno la rappresentanza commerciale, la quale viene automaticamente attribuita ex lege a tali ausiliari, in base alla posizione rivestita nell'organizzazione aziendale. Il potere di rappresentanza degli ausiliari dell’imprenditore prescinde dall'esistenza di una procura, ma è un effetto regale che deriva dall'inquadramento nell'impresa dell'ausiliario ad opera dell'imprenditore e dalla predisposizione di questo soggetto a determinate funzioni. L’atto formale della procura, con il quale vengono conferiti ed eventualmente limitati i poteri degli ausiliari, è ammissibile ma non necessario. I. L’istintore L'istintore è colui che è preposto dal titolare all'esercizio dell'impresa o di una sede secondaria o di un ramo della stessa. Egli è il soggetto più vicino all'imprenditore e, per questo motivo, è dotato di un potere generale di rappresentanza sia sostanziale (avente ad oggetto tutti gli atti pertinenti l’esercizio dell’impresa) sia processuale (attiva e passiva per le obbligazioni dipendenti da atti compiuti nell’esercizio dell’impresa cui egli è preposto). Solitamente l’istintore corrisponde al direttore generale dell’impresa. Per quanto riguarda gli obblighi che gravano su questo soggetto, come l'imprenditore, egli ha un potere di gestione generale dell'impresa o delle sede o del ramo cui è proposto e pertanto: 1. Obblighi di iscrizione presso il Registro delle Imprese 2. Tenuta delle scritture contabili 3. Eventuali sanzioni penali in caso di fallimento Per quanto riguarda la responsabilità, invece, l'istintore deve rendere palese al terzo con cui contrae la sua veste di rappresentante, spendendo il nome del rappresentato; l'ausiliario sarà personalmente responsabile qualora ometti la spendita del nome dell'imprenditore, ovvero quando non specifica che egli tratta per il proponente. A tutela dei terzi, inoltre, sia imprenditore sia istintore risponderanno in via solidale verso il terzo, qualora gli atti compiuti dall’istintore siano pertinenti all’esercizio dell’impresa. In breve: 17 II. Il procuratore Il procuratore è colui che, in base a un rapporto continuativo con l'imprenditore, ha il potere di compiere per l'imprenditore gli atti pertinenti all'esercizio dell'impresa, pur non essendo preposto ad esso, a differenza dell’istintore. Il procuratore è dotato di un potere di rappresentanza generale dell'imprenditore, limitato a quella procura, ossia limitata al settore di attività a cui è dedicato, mentre è esclusa la rappresentanza processuale. Dal momento che il procuratore non è preposto all'esercizio dell'impresa, egli non è soggetto né agli obblighi di iscrizione presso il Registro delle imprese né alla tenuta delle scritture contabili. Per quanto riguarda la responsabilità, invece, il procuratore dovrà espressamente indicare al terzo che agisce il nome per conto dell'imprenditore, anche se non vi sarà la responsabilità solidale dell'ausiliario e dell'imprenditore in assenza della spendita del nome di quest'ultimo da parte del rappresentante ( in questa circostanza, il procuratore resterà al solo obbligato). In breve: III. Il commesso Il commesso è un ausiliario subordinato dell'imprenditore a cui sono affidate mansioni esecutive o materiali che lo pongono in contatto con i terzi. Proprio in virtù dei contatti che commessi hanno nei confronti dei terzi, il Codice Civile prevede che questa tipologia di ausiliari sia dotata del potere di rappresentanza dell'imprenditore a prescindere da uno specifico atto di conferimento dei poteri. Tuttavia, i poteri del commesso sono più limitati rispetto a quelli dell'istintore e del procuratore; in particolare, i commessi possono compiere tutti (e solo) gli atti che ordinariamente comporta la specie di operazioni cui sono incaricati. Essi potranno ricevere pagamenti e vendere merci o servizi, emettere documenti contabili come le fatture, mentre, invece, non potranno esigere pezzi per merci non consegnate, praticare sconti, esigere prezzo fuori dai locali dell'impresa ed esigere prezzo all'interno se c'è una cassa. Come per gli altri ausiliari, l'imprenditore può modificare o limitare i poteri del commesso tramite una procura, ma in tal caso non è previsto un sistema di pubblicità: le limitazioni e poteri saranno opponibili solo se portata a conoscenza dei terzi e con mezzi idonei o qualora se ne provi l'effettiva conoscenza. 18 Capitolo 5: L’azienda 5.1 L’azienda: nozione e rapporto con l’impresa L'articolo 2555 del C.C. definisce l'azienda come “il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. A sua volta, l'imprenditore è il soggetto che “esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi”. Mettendo insieme queste due nozioni, si nota che l'azienda rappresenta il risultato dell'attività di organizzazione dell'imprenditore, il quale, imprimendo una destinazione funzionale ai beni di cui si avvale per l'esercizio dell'impresa, crea un vincolo di complementarietà e di interdipendenza fra di essi. In altre parole, i beni non nascono “aziendali”, ma diventano tali dopo un processo di organizzazione da parte degli imprenditori, che li impiega unitariamente con un fine produttivo. Quando si può dire che un bene sia un elemento dell’azienda? Il collegamento funzionale tra l'azienda e l'impresa ha diverse implicazioni: sul piano giuridico, esso comporta che nel perimetro dei beni aziendali ricadono tutti quelli funzionalmente destinati allo svolgimento dell'attività d'impresa, a prescindere dal titolo giuridico in virtù del quale l'imprenditore se ne avvale sul piano economico, invece, ne deriva che il complesso aziendale subisce il dinamismo delle attività di impresa, che varia qualitativamente e quantitativamente, in ragione dell'andamento delle esigenze delle attività al servizio del quale è posto. Esso è, inoltre, immediatamente idonee all'esercizio di un'attività d'impresa produttiva di una nuova ricchezza e pertanto, normalmente, il suo valore è superiore alla somma del valore dei singoli beni che lo compongono. Tale surplus prende il nome di avviamento ed emerge nella fase di cessione dell'azienda ; in particolare, l’avviamento oggettivo - ossia quello riconducibile a fattori endogeni, quali coordinamento e qualità dei beni, nonché efficienza e collocamento sul mercato dell’azienda - rappresenta una qualità intrinseca dell'azienda e, al pari della ditta, non può circolare separatamente da essa. 19 Il valore dell'avviamento dipende dall’attitudine dell'azienda a produrre utili e, nel caso di redditività negativa, può avere un segno negativo. In ogni caso, l'avviamento ( positivo o negativo) è destinato ad incidere sul prezzo di gestione dell'azienda, che può essere stabilito in denaro, se il trasferimento si realizza attraverso una vendita, oppure in azioni o quote quando, invece, si effettua un conferimento in una società. 5.2 Il trasferimento dell’azienda (presupposti applicativi) Dopo aver fornito la nozione di azienda, il legislatore disciplina la vicenda del suo trasferimento in proprietà e in godimento mediante usufrutto oppure affitto. Si tratta di un sistema di regole teso, da un lato, a regolare l'avvicendamento di due soggetti nella titolarità di un'azienda e, dall'altro, favorire la sua conservazione dal punto di vista funzionale. Per tali ragioni, la cessione d'azienda è sottoposta a un regime normativo che, sotto più profili, deroga quello di diritto comune previsto per il trasferimento di singoli beni o complessi di beni non configurabili come “ aziendali”. La disciplina della circolazione dell'azienda si compone di tre blocchi normativi: 1. Forma e pubblicità del negozio 2. Effetti 3. Usufrutto ed affitto Secondo l'ordinamento prevalente, nella nozione di azienda rientrano unicamente i beni in senso stretto, ossia quell'insieme di beni potenzialmente idoneo all'esercizio di un'attività d'impresa. Inoltre, per avere cessione d'azienda non è essenziale che il complesso dei beni venga trasferito interamente, ma può trattarsi anche di una cessione parziale, ossia di un mero ramo d'azienda. 5.3 La forma e la pubblicità del trasferimento d’azienda L'operazione di trasferimento dell'azienda non gode di una disciplina unitaria ed uniforme per quel che riguarda la forma e la pubblicità del relativo atto. L’art. 2556 detta i criteri per individuare, caso per caso le regole applicabili e gli effetti conseguibili: “Per le imprese soggette a registrazione i contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà o il godimento dell’azienda devono essere provati per iscritto, salva l’osservanza delle forme stabilite per il trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda o per la particolare natura del contratto. I contratti di cui al primo comma, in forma pubblica o per scrittura privata autenticata, devono essere depositati per iscrizioni nel registro delle imprese, nel termine di 30 giorni, a cura del notaio rogante o autenticante”. Da questa disposizione, emerge che, in linea generale, la forma dell'atto ai fini della sua validità è libera, salva l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che compongono l'azienda o per la particolare natura del contratto: ➔ Ne deriva che se l'azienda si compone di beni per il cui trasferimento richiesta la forma scritta, l'intero contratto di azienda dovrà avere tale forma 20 ➔ se poi la cessione si verifica, ad esempio, attraverso una donazione oppure un conferimento in una società di capitali occorrerà, invece, l’atto pubblico. In tali casi, la forma scritta, libera o solenne è richiesta a pena di nullità. Ai soli fini probatori, se l'impresa è soggetta a registrazione con effetti di pubblicità dichiarativa, è necessario l'atto scritto; in mancanza, il trasferimento è comunque valido ed efficace, tuttavia in un eventuale processo esso non potrà essere provato per testimoni, ma occorrerà ricorrere ad altri mezzi di prova. Le imprese soggette a registrazione con effetti di pubblicità dichiarativa, inoltre, ai fini dell'opponibilità ai terzi dell'avvenuto trasferimento, sono tenute a darvi pubblicità mediante iscrizione del contratto di cessione di azienda presso il Registro delle Imprese. Tuttavia, per ottenere tale iscrizione, occorre che l'atto sia predisposto da un notaio per iscritto, nella forma della scrittura privata autenticata oppure dell'atto pubblico. 5.4 Il divieto di concorrenza “Chi aliena un’azienda commerciale deve astenersi, per un massimo di cinque anni, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze possa sviare la clientela dall’azienda ceduta” (art. 2557) Nel caso si tratti di un'azienda agricola, tali divieto opera limitatamente alle attività connesse quando rispetto ad esso sia possibile uno sviamento della clientela. Questo divieto ha carattere relativo in riferimento sia all'oggetto sia alla durata: ❖ Per quanto riguarda l'oggetto, la legge precisa che all’alienante non è vietata qualsiasi attività imprenditoriale, ma soltanto quella che per il tipo di attività esercitata, l'ubicazione o altre circostanze e idonea a sviare la clientela dell'azienda ceduta; ❖ Per quanto riguarda la durata, il divieto non è illimitato, ma può operare per un periodo massimo di 5 anni. Il divieto di concorrenza è relativo anche sotto un ulteriore aspetto; esso è, infatti, derogabile dalle parti, ma sempre in coerenza con i suoi principi fondanti. I casi controversi riguardano: a. divisione ereditaria b. scioglimento di società con assegnazione dell’azienda a un socio c. vendita della partecipazione sociale di controllo 5.5 La successione nei contratti (classica domanda d’esame) A norma dell'art. 2558 c.c., se le parti non dispongono diversamente, il contratto di cessione dell'azienda produce - come effetto naturale - il subentro automatico dell'acquirente nei contratti stipulati dal cedente per l’esercizio dell’azienda stessa, che non abbiano carattere personale. Si tratta, ad esempio, di contratti di locazione, di leasing, di approvvigionamento di materie prime o semilavorati, di lavoro, ecc. Con riferimento ai contratti pendenti, il legislatore, partendo dall'ipotesi che l'acquirente dell'azienda si è interessato subentrarvi per mantenere la funzionalità del complesso 21 produttivo, prevede come regola generale che che essi, con la sola esclusione di quelli personali, proseguano in capo all’acquirente. Al subentro automatico dell’acquirente nella posizione dell’alienante, sono previsti due limiti: 1. Il primo consiste nell’esclusione dei contratti a carattere personale 2. Il secondo riguarda il diritto di recesso, che viene accordato al contraente ceduto allo scopo di tutelarlo dal rischio che le capacità personali e/o patrimoniali del cessionario di eseguire correttamente il contratto in cui è subentrato non siano adeguate. In particolare, il terzo contraente può recedere: a. solo per giusta causa; b. comunque entro 3 mesi dalla notizia del trasferimento; c. resta ferma la responsabilità dell’alienante. 5.6 La sorte dei crediti e dei debiti In caso di contratti aziendali in cui una delle due parti ha già eseguito la propria prestazione, si originano, a seconda dei casi, crediti o debiti; in particolare, il cedente dell'azienda vanta un credito se ha già compiuto le obbligazione a suo carico, viceversa, ha un debito se è il terzo ad aver già eseguito la propria prestazione. Per i crediti ed i debiti aziendali, le norme si limitano ad introdurre alcune deroghe rispetto alla disciplina generale, con riferimento alla sorte degli stessi nei rapporti esterni, senza tuttavia indicare il meccanismo in base al quale la loro cessione si realizza nei rapporti interni. In altre parole, il legislatore non specifica se il trasferimento dei crediti e dei debiti dall'alienante all'acquirente rappresenta un effetto naturale della cessione d'azienda oppure se esso presupponga l'inserimento di una clausola ad hoc nel relativo contratto. Tuttavia, prevale la tesi che i crediti ed i debiti non passano automaticamente ma solo in seguito ad un’espressa pattuizione. In mancanza di tale patto l’acquirente riceve il pagamento dei crediti anteriori al pagamento come semplice legittimato, e paga i debiti quale garante ex lege dell’alienante, avente però diritto di rivalsa nei confronti dell’acquirente Stabilito quindi che, nei rapporti interni, la cessione dei crediti e dei debiti necessita di un apposito accordo fra le parti, passiamo ad esaminare le regole fissate dal legislatore per regolare i rapporti esterni. ❖ Crediti (art.2559)→ la notifica al debitore ceduto o l’accettazione di questo, previste per la cessione di credito nel diritto comune (artt. 1265 e 2914, n. 2), sono “sostituite” dall’iscrizione del trasferimento dell’azienda nel registro delle imprese (art. 2559). Il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all’alienante. La cessione dei crediti relativi all'azienda ceduta 2160], anche in mancanza di notifica al debitore o di sua accettazione , ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell'iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese. Tuttavia il debitore ceduto è liberato se paga in buona fede all'alienante [1189,1265]. ❖ Debiti (art.2260)→ l’alienante è liberato dei debiti anteriori al trasferimento solo se i creditori vi consentono. Nel trasferimento di aziende commerciali dei debiti risponde in ogni caso anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori. 22 L'alienante non è liberato dai debiti, inerenti all'esercizio dell'azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito(1). Nel trasferimento di un'azienda commerciale risponde dei debiti suddetti anche l'acquirente dell'azienda [1546, 2160], se essi risultano dai libri contabili obbligatori. 5.7 L’usufrutto e l’affitto dell’azienda L'azienda oltre che in proprietà può essere trasferita in godimento, mediante usufrutto o affitto. Nel caso nell'usufrutto, l'azienda è oggetto di un diritto reale di godimento pertanto la disciplina dettata dalla legislatore, coerentemente con l'istituto, prevede essenzialmente il diritto di usare ed usufruire di cose altrui, con il vincolo di non alterarne la natura e la consistenza. ➔ L'usufruttuario dell'azienda deve esercitare l'attività d'impresa utilizzando la ditta che la contraddistingue e può gestire liberamente l'attività d'impresa servendosi del complesso aziendale su cui ha l'usufrutto, senza tuttavia modificarne la destinazione e badando a conservare l'efficienza dell'organizzazione degli impianti e le normali dotazioni di scorte. ➔ Se l'usufruttuario viola questi obblighi oppure se cessa arbitrariamente dalla gestione dell'azienda, il nudo proprietario può chiedere la cessazione anticipata dell’usufrutto. ➔ Infine, dato che normalmente al termine dell'usufrutto il complesso aziendale risulta composto in tutto o in parte da beni diversi da quelli originali, il legislatore stabilisce che la differenza tra le consistenze d'inventario all'inizio e al termine dell'usufrutto è regolata in danaro sulla base dei valori correnti al termine dell'usufrutto. Si applica la stessa disciplina anche per l’affitto dell’azienda. 23 Capitolo 6: I segni distintivi: ditta, insegna e marchio I segni distintivi hanno la funzione di consentire una migliore identificazione dell'impresa sul mercato e possono essere di due tipi: Segni distintivi tipici → sono quelli previsti dal Codice Civile e sono la ditta, il marchio e l’insegna Segni distintivi atipici → essi non sono sempre regolamentati in modo preciso e, comunque, mai dal Codice Civile; tra questi vi sono gli slogan pubblicitari, il dominio internet, i jingle e le particolare divise dei dipendenti. In particolare, i segni distintivi (tipici e atipici) svolgono diverse funzioni: 1. Funzione distintiva e di non confondibilità (consentono una migliore identificazione dell’impresa); 2. Sono collettori di clientela (consentono ai consumatori di agire e di scegliere consapevolmente i prodotti ed i servizi proposti dalle diverse imprese); 3. Consentono all’imprenditore di essere individuato sul mercato e di distinguerlo dagli altri imprenditori concorrenti. Tutti i segni distintivi, data la loro funzione, condividono gli stessi principi: ❖ Principio di esclusività → Il titolare del segno distintivo ha il diritto di utilizzarlo in modo esclusivo (si tutela l'interesse degli imprenditori di precludere ai concorrenti l'uso di segni simili che possono sviare la propria clientela) ❖ Principio di relatività → generalmente l'uso esclusivo del segno distintivo è limitato al settore in cui l'impresa svolge la propria attività, in particolare prestando attenzione al territorio in cui la stessa opera è al tipo di attività svolta (eccezione: marchi rinomati) ❖ Principio di libertà di scelta → ogni imprenditore può scegliere liberamente i propri segni distintivi nel rispetto dei requisiti di verità, novità e capacità distintiva ❖ Principio della trasferibilità → l'imprenditore può trasferire liberamente i segni distintivi, sebbene rispettando il vincolo di non entrare in inganno il consumatore. Essi tutelano, quindi, una molteplicità di interessi, in particolare: Interesse degli imprenditori di precludere ai concorrenti l’uso di segni similari idonei a sviare la propria clientela Interesse degli imprenditori a poter liberamente cedere ad altri i propri segni distintivi e monetizzare il loro valore Interesse degli altri operatori del mercato a non essere tratti in confusione o in inganno Interesse generale affinché la competizione concorrenziale avvenga in modo corretto e leale. 6.1 La ditta La ditta è il segno distintivo che individua l'impresa: ai sensi dell’art. 2563 C.C., infatti, “la ditta, comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell'imprenditore”. A differenza degli altri due segni distintivi tipici, la ditta è un segno distintivo necessario; nel caso in cui manchi, la ditta coincide col nome civile dell'imprenditore. “L'imprenditore può scegliere liberamente la propria ditta ( principio di libertà di scelta), purché nel rispetto dei principi di verità e dei principi di novità e capacità distintiva”. 24 La scelta della ditta è quindi libera, ma con due limiti dati dal rispetto dei principi di: ★ Verità (art. 2563) ○ ditta originaria: deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore (ditta patronimica) X iscrizione R.I. ○ ditta derivata: formata da un dato imprenditore e trasferita – unitamente all’azienda – ad altro imprenditore (verità storica). Inoltre, proprio perché la ditta identifica l’impresa e non l’imprenditore, nell’ipotesi di trasferimento, l’imprenditore acquirente sarà esonerato dall’inserire nella stessa il suo cognome o la sua sigla. ★ Novità (art. 2564) → la ditta non deve essere uguale o simile a quella usata da altro imprenditore (concorrente) se è suscettibile di creare confusione per l’oggetto dell’impresa o per il luogo in cui questa è esercitata (relatività del diritto di esclusiva). Il diritto all'uso esclusivo si acquista con l'uso della ditta. Inoltre, la ditta può essere trasferita solo unitamente all’azienda,cioè non può mai essere trasferita separatamente dall’azienda; il trasferimento, inoltre, può avvenire sia tra vivi (serve il consenso dell’alienante), sia mortis causa (art. 2565). Per le imprese commerciali, il diritto alla ditta si acquista con la registrazione della stessa nel Registro delle imprese. 6.2 L’insegna L'insegna è il segno distintivo (non necessario) che identifica il locale nel quale si esercita una determinata attività imprenditoriale. Essa può corrispondere alla ditta o avere un contenuto diverso; generalmente, però, l'insegna è formata da nomi e/o segni grafici e il diritto si acquista solo con l'adozione e l'utilizzo. L'insegna non è registrabile; tuttavia, le insegne più importanti sono registrate come marchi e, ad esse, viene quindi applicata la disciplina prevista per questi ultimi. L’insegna può essere formata liberamente, ma non può essere uguale a quella già utilizzata da altri imprenditori concorrenti; in questi casi, quando si genera confusione, si applicano le stesse norme previste per la tutela della ditta, dovendo modificare con indicazioni idonee a differenziarla. Nel caso invece l’insegna sia generica, non avendo capacità distintiva potrà essere usata liberamente nessun intervento di modifica potrà essere richiesto. L’insegna deve, quindi, essere: a. Nuova: non può essere uguale o simile a quella utilizzata da altro imprenditore concorrente b. Vera: non deve contenere indicazioni idonee a trarre in inganno il pubblico circa l’attività svolta e i prodotti o servizi forniti c. Lecita: non deve essere contraria a norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume d. Originale: deve avere sufficiente capacità distintiva. Nulla è disposto circa la trasferibilità dell’insegna, ma è pacifico che il diritto sull’insegna possa essere trasferito autonomamente; essa, inoltre, può essere trasferita in modo 25 non esclusivo, con il conseguente possibile utilizzo da parte di più imprenditori congiuntamente. È quindi possibile il “couso”, ossia la licenza non esclusiva (franchising). Il diritto all'insegna si estingue - come per la ditta - con la perdita del ricordo del segno distintivo da parte del pubblico, dopo la cessazione del suo uso. 6.3 Il marchio a. Introduzione e caratteristiche generali Il marchio è il segno distintivo tipico che differenzia i prodotti o i servizi di un imprenditore da quelli (dello stesso genere) di un altro imprenditore, collegandoli a caratteristiche che sono loro proprie. Esso è disciplinato: a. Codice civile: artt. 2569 – 2574 b. Codice della Proprietà Industriale (C.P.I): artt. 7-28 aspetti sostanziali; artt. 117-143 aspetti sanzionatori e processuali; artt. 147-149 e 159-173 procedimento di registrazione; artt. 156-159, 174-184 registrazione del marchio c. Direttiva 2008/95/CE (Direttiva marchi) d. Regolamento sul marchio comunitario (Reg. 207/2009) Il marchio, pur non essendo un segno distintivo essenziale, è certamente il più importante tra i segni distintivi per la sua funzione economica e nella formazione e mantenimento della clientela. Esso, infatti, non ha solamente una funzione distintiva, considerato che con l'utilizzo può avere pure la funzione di garanzia di un prodotto/ servizio e di attrazione di nuovi clienti ( funzione pubblicitaria). Oltre ad essere un segno distintivo, il marchio è anche un’immobilizzazione immateriale dell’impresa e, pertanto, deve essere rilevato contabilmente dalle società nell’attivo dello Stato patrimoniale; la valutazione può avere anche un valore elevatissimo. Il principio alla base della valutazione del marchio è il seguente: si valuta prima il prodotto senza marchio e poi si studiano i cambiamenti delle vendite quando a quel determinato prodotto si aggiunge il marchio. L'impresa ha il diritto di uso esclusivo del marchio: quando questa condizione è tutelata, infatti, l'impresa è incentivata ad offrire beni di elevata qualità nel tempo non volendo perdere parte di quella reputazione associata al suo marchio. Inoltre, un marchio è considerato celebre laddove abbia acquisito una particolare notorietà sul mercato, venendo conseguentemente utilizzato per contraddistinguere anche prodotti di generi diversi rispetto a quello inizialmente identificato. Oggi, i primi cinque marchi al mondo per valore e notorietà sono quelli delle Big Tech statunitensi, ossia: 1. Amazon (ca 680 miliardi di dollari) 2. Apple 3. Microsoft 4. Google 5. Facebook. I primi 5 italiani, invece sono: Gucci (quasi 17 miliardi), TIM, Enel, Kinder e Ferrari. 26 b. Classificazione dei marchi I marchi possono essere classificati in base a diversi criteri: ❖ In relazione alla natura delle attività svolte dall'impresa, possiamo distinguere: Il marchio di fabbrica (apposto sul bene dal fabbricante, ossia da chi produce il bene) e il marchio di commercio (applicato sul prodotto dal venditore, es: brand del supermercato) Il marchio di servizio (utilizzato da imprese che producono servizi, solitamente per pubblicizzare quanto proposto sul mercato, es: Intesa, Generali) Il marchio generale (apposto da un venditore su tutti i suoi prodotti, es:Ferrero) e il marchio speciale (identifica un prodotto specifico, es: Kinder-Ferrero) Il marchio individuale (usato da un solo imprenditore) e il marchio collettivo (destinato ad essere utilizzato da più imprenditori che si impegnano a rispettare determinate richieste qualitative; esso ha la funzione di garantire l'origine, la natura o la qualità di particolari prodotti, es: vino barolo indica la provenienza geografica e la qualità di quel prodotto) ❖ a seconda degli elementi che compongono il marchio, invece, vi sono: Marchio verbale (costituito solo da parole senza alcuna componente grafica) Il marchio di forma o marchio tridimensionale ( proteggi una forma tridimensionale, che rende il prodotto riconoscibile senza l’apposizione di un altro segno, es. bottiglie di coca cola) ❖ meno diffusi, vi sono: il marchio sonoro ( costituito esclusivamente da un suono da una combinazione di suoni, es: ruggito del leone della “Metro Goldwin Mayer”) il marchio di colore (es: verde Tiffany) il marchio di movimento il marchio multimediale il marchio a motivi ripetuti il marchio di posizione il marchio olografico. Possono, quindi, costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati graficamente: a. Parole, compresi i nomi di persone (nome altrui/nomi notori) b. Disegni, con esclusione di stemmi ed altri segni utilizzati nelle convenzioni internazionali oppure stemmi ed emblemi che rivestano un interesse pubblico a meno che l’Autorità competente non ne abbia autorizzato la registrazione. c. Lettere, Cifre, Suoni d. La forma del prodotto o la confezione di esso, sempre che non si tratti di una forma imposta dalla natura stessa del prodotto oppure una forma necessaria per ottenere un risultato tecnico oppure infine una forma che dà valore sostanziale al prodotto (rischi di monopolizzazione disciplina dei modelli industriali) e. Combinazioni e tonalità cromatiche. 27 c. I requisiti di validità del marchio Per poter costituire oggetto di tutela e per poter essere registrato, il marchio deve rispettare alcuni requisiti di validità, in mancanza dei quali lo stesso è da intendersi nullo. Essi sono: 1. Liceità → Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa i segni contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume (es: caso A-Style). Inoltre il marchio non deve contenere stemmi, bandiere o altri segni protetti da convenzioni internazionali che rivestono l'interesse pubblico e il nome o lo pseudonimo di persona che ha acquistato notorietà, senza il suo consenso. 2. Verità → Il marchio non deve trarre in inganno il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica (quando il luogo di produzione di un determinato prodotto influenzi la qualità del prodotto medesimo), la natura e la qualità dei prodotti e servizi. 3. Originalità → Il marchio deve essere composto in modo da consentire l’individuazione dei prodotti contrassegnati fra tutti i prodotti dello stesso genere immessi sul mercato. In particolare, non possono essere utilizzati come marchi: a. Le denominazioni generiche e, in alcune ipotesi, anche le denominazioni geografiche b. Le indicazioni descrittive generiche del prodotto c. Segni divenuti di uso comune (es. Babbo Natale) d. Parole divenuti di uso comune (super, lusso, extra..) e. Parole straniere note al consumatore 4. Novità → Non possono essere registrati i marchi simili o identici ad altri già registrati (o usati, senza registrazione, in ambito locale) in una categoria di beni uguale o affine. Nel caso in cui il marchio sia celebre, è vietata la registrazione di un marchio identico simile a quello celebre a prescindere dall'affinità merceologica. Qualora il marchio difetti di uno dei requisiti di validità richiesti dalla legge, esso è considerato nullo. Tuttavia, vi sono due eccezioni: ➔ Convalida del marchio: il marchio non nuovo non può essere più dichiarato nullo se chi ne ha chiesto la registrazione era in buona fede ed il titolare del marchio anteriore ne ha tollerato l’uso protratto per 5 anni ➔ Secondary meaning: il marchio non originale non può più essere dichiarato nullo se, a seguito dell’uso che ne è stato fatto, ha acquistato forte capacità distintiva (es: il Giornale). Il fenomeno opposto al secondary meaning è la volgarizzazione del marchio (o del brevetto): essa viene quando il segno distintivo perde la sua capacità distintiva e la sua funzione di collegamento concettuale tra il prodotto/servizio e l'impresa che lo ha registrato, diventando praticamente una nuova parola comune (es: caso del brand “Scotch” che ormai è diventato sinonimo di nastro adesivo). d. La registrazione del marchio La tutela del marchio italiano dipende dalla sua registrazione ( nel caso del marchio registrato) o dal suo utilizzo ( nel caso del marchio di fatto). 28 Innanzitutto, “ può ottenere una registrazione per marchio di impresa chi lo utilizzi o si proponga di utilizzarlo, nella fabbricazione commercio di prodotti o nella prestazione di servizi della propria impresa o di imprese di cui abbia il controllo o che ne faccio lo uso con il suo consenso” → uso imprenditoriale del marchio. La registrazione avviene presso l'Ufficio italiano Brevetti e Marchi, istituito presso l’Agenzia per la proprietà industriale, e consente “la tutela del marchio in tutto il territorio nazionale per un periodo di 10 anni, rinnovabile alla scadenza per un numero illimitato di volte con efficacia decennale”; il marchio ha quindi potenzialmente durata perpetua, dal momento che può essere rinnovato ogni 10 anni alla scadenza naturale. Il soggetto che registra il marchio ( che può essere una persona fisica o un ente, non necessariamente un'impresa) ha anche il diritto di vietare ai terzi, salvo il proprio consenso, di utilizzare nell'attività economica un marchio identico simile al proprio, per la stessa classe di prodotti o servizi o per prodotti e servizi affini. Bisogna, inoltre, distinguere tra: - marchio celebre → diritto di esclusività pieno - marchio non celebre → diritto di esclusività limitato a prodotti simili ed affini Nel caso del marchio di fatto, il soggetto che ha l'uso di fatto del marchio non registrato ha diritti analoghi e, in particolare, “ chi ha fatto uso di un marchio non registrato ha la facoltà di continuare ad usarne, nonostante la registrazione da altri ottenuta, nei limiti in cui anteriormente se ne è valso”. Tuttavia, bisogna distinguere il caso in cui il marchio non registrato ha rinomanza a livello nazionale o meno: nel primo caso, il titolare del marchio di fatto potrà chiedere che il marchio successivo confondibile e da altri registrato sia dichiarato nullo per mancanza del requisito della novità ( questa azione potrà essere esercitato nei cinque anni successivi alla registrazione); nel secondo caso, invece, chi ne aveva il pre uso non potrà opporsi a una successiva registrazione, ma potrà solo continuare ad usare il suo marchio non registrato nel territorio entro il quale il preuso avveniva. Vi sono poi diversi tipi di registrazione del marchio: 1. Registrazione nazionale (vedi sopra) 2. Registrazione del marchio comunitario → l'Unione Europea ha istituito il marchio UE ( rinominando il vecchio marchio comunitario), che ha validità in tutti i paesi dell'Unione Europea e si estende automaticamente ai nuovi ingressi, senza la possibilità di limitarne la sua tutela solo ad alcuni Stati membri. La registrazione del marchio comunitario è indipendente da quella nazionale ed è effettuata presso l’Ufficio per l’armonizzazione del Mercato interno (UAMI) di Alicante (Spagna) 3. Registrazione internazionale del marchio → Il marchio è inoltre tutelato a livello internazionale. Tuttavia, per poter essere esteso ad altri Paesi, il marchio deve prima essere registrato a livello nazionale; solo così, potrà poi essere registrato presso l’Organizzazione mondiale per la Proprietà industriale di Ginevra. e. Tutela del marchio, trasferimento e decadenza La registrazione assicura una tutela pressoché illimitata salvo che intervenga una causa di nullità o di decadenza: 29 ❖ la nullità del marchio è dichiarata per difetto originario di uno dei requisiti essenziali (art. 25 c.p.i.) ❖ la decadenza interviene (art. 26 c.p.i): a. per volgarizzazione, ossia quando l'uso comune del termine ha come effetto quello di far perdere la capacità distintiva del prodotto originale; b. per mancato utilizzo protratto per cinque anni (onere),fatta eccezione per i marchi “protettivi” c. in caso di sopravvenuta illiceità o ingannevolezza, ossia quando il segno distintivo registrato non rispetta, dopo la registrazione, il requisito di liceità o se possa trarre in inganno il consumatore. In questi casi, la competenza spetta al giudice ordinario per i marchi nazionali e all'autorità amministrativa per i marchi comunitari. Per quanto riguarda la difesa del marchio, il soggetto che registra il marchio ha il diritto di vietare a terzi l'uso dello stesso da parte di altri soggetti che svolgono la medesima attività economica, per la stessa classe di prodotti o servizi o per prodotti o servizi affini, qualora si possa determinare un rischio di confusione. In caso di contraffazione del marchio, sono previste numerose tutele a protezione del soggetto avente il diritto di esclusività del marchio, tra cui: 1) l'azione di rivendicazione, in base alla quale il rivendicante - in caso di una nuova registrazione da parte di terzi del marchio - può assumere a proprio nome la domanda o chiedere il rigetto della domanda; 2) l'azione di contraffazione, che consente al titolare di inibire la fabbricazione e il commercio di merci in violazione del diritto di esclusiva o, addirittura, di richiederne la distruzione. Essa è volta ad ottenere: a) l’inibitoria alla continuazione degli effetti lesivi b) la rimozione degli effetti, attraverso la distruzione delle cose materiali per mezzo delle quali è stata attuata la contraffazione c) eventuale pubblicazione della sentenza 3) l'azione di concorrenza sleale, che può essere richiesta anche nell'ipotesi in cui i consumatori siano indotti a credere, tramite pubblicità o l'utilizzo di altri segni distintivi, che esiste un legame commerciale fra imprenditori, quando invece questo manca 4) l'azione di risarcimento del danno e di riversione dei profitti → Il titolare del marchio può, oltre al risarcimento, chiedere che gli vengano dati profitti ottenuti tramite l'utilizzo improprio di quel marchio. Il marchio può anche essere trasferito dal titolare, sia a titolo definitivo (il trasferimento può essere parte di un alienazione anche di altri elementi aziendali o può avvenire autonomamente e può essere ceduto anche a titolo parziale, cioè solo per alcuni prodotti e servizi), sia a titolo temporaneo (licenza di marchio: la licenza potrà essere trasferita anche a più soggetti ed, eventualmente, solo con riferimento ad alcune zone del territorio nazionale). Il marchio può quindi essere trasferito indipendentemente dall'azienda, anche se il suo trasferimento incontra un unico limite: da esso, infatti, non deve derivare un inganno nei caratteri dei prodotti che sono essenziali per il loro apprezzamento da parte del consumatore. 30 Capitolo 7: Le opere di ingegno ed i brevetti La proprietà industriale serve per: - godere di un diritto di sfruttamento esclusivo (tutela verso terzi); - disporre un ulteriore strumento di guadagno in quanto trasferibile; - finalità di valorizzazione. Le principali tipologie di proprietà industriale sono: ❖ Brevetto di invenzione: ha durata 20 anni e tasse annuali dal 5° anno ❖ Modelli di utilità: hanno durata 10 anni e tasse ogni 5 anni ❖ Disegni e modelli (Design): hanno durata 25 anni e tasse ogni 5 anni ❖ Marchio: ha durata 10 anni ed è rinnovabile all’infinito. Il nostro ordinamento tutela le creazioni intellettuali attraverso: a. la disciplina del diritto d’autore per le opere di ingegno b. la disciplina del brevetto per le invenzioni industriali. 7.1 Il brevetto Il brevetto è un documento tecnico-legale pubblico che conferisce al titolare l’esclusiva di produrre, commercializzare ed utilizzare l’invenzione oggetto del brevetto. L'invenzione industriale è una soluzione concreta, nel campo della produzione economica, di un problema tecnico, per effetto di una creazione della mente umana, eccedente le normali conoscenze, in applicazione della tecnica contemporanea. Si può quindi affermare che un bene ottenibile da un'invenzione è il risultato della combinazione di elementi materiali e di un'idea innovativa. Per il codice della proprietà industriale, l'invenzione è ciò che costituisce l'oggetto del brevetto; infatti, “possono costituire oggetto di brevetto per invenzione le invenzioni, di ogni settore della tecnica, che sono nuove è che implicano un'attività inventiva e sono alta ad avere un'applicazione industriale”. Come i marchi, anche le invenzioni sono beni immateriali, ma a differenza di questi ultimi, i brevetti hanno una durata di 20 anni a partire dalla data di deposito della domanda e, scaduto quest’arco di tempo, non possono essere rinnovati; dunque, dopo 20 anni i brevetti scadono e le invenzioni diventano di dominio pubblico. I diritti di brevetto per invenzione industriale riconoscono all’inventore la facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel territorio dello Stato (art.2584 c.c.) entro i limiti ed alle condizioni previsti da questo codice. La facoltà esclusiva attribuita al brevetto non si estende, quale che sia l’oggetto dell’invenzione, agli atti compiuti in ambito privato ed a fini non commerciali, ovvero in via sperimentale, ancorché diretti all’ottenimento, anche in paesi esteri, dell'autorizzazione all’immissione in commercio di un farmaco ed ai conseguenti adempimenti pratici ivi compresi la preparazione e l’utilizzazione delle materie prime farmacologicamente attive a ciò strettamente necessarie. In termini economici, il brevetto consente all'inventore di avere il monopolio su un prodotto o di un procedimento: l'ordinamento riconosce pertanto il diritto all'esclusiva, a fronte del fatto che alla scadenza, il brevetto potrà essere utilizzato liberamente da chiunque, diventando di dominio pubblico. Si tratta di una sorta di sinallagma tra inventore e Stato: 31 da un lato, l'inventore dovrà descrivere precisamente l’invenzione e condividerla allo scadere del brevetto; dall’altro lato, lo Stato consente, per un determinato periodo, il monopolio all’inventore L'obiettivo è quello di favorire la ricerca e tutelare chi la effettua, nella consapevolezza che senza l'esclusiva derivante dal brevetto la nostra società tecnologica si svilupperebbe più lentamente → così facendo, quindi, stimola la funzione di Ricerca e Sviluppo. 7.2 Oggetto del brevetto e requisiti di validità Sull’invenzione industriale, intesa come bene immateriale, sono riconosciuti al suo autore i seguenti diritti: 1. Il diritto di paternità, ossia il diritto ad essere riconosciuto come autore dell'invenzione 2. il diritto al brevetto, ossia il diritto di pretendere dall'autorità amministrativa competente il rilascio del brevetto 3. il diritto di brevetto, ossia il diritto di attuare l’invenzione e di trarne profitto nel territorio dello Stato, per il principio di territorialità. Possono essere oggetto del brevetto sia le invenzioni di prodotto ( e si riferiscono ad un prodotto materiale come una macchina o un composto chimico) sia le invenzioni di procedimento ( che riguardano tecniche e modalità di produzione), sia le invenzioni di uso (uso di un certo dispositivo; uso di un certo composto; nuovo uso di una sostanza o di una composizione di sostanze; ecc. ) L'autore dell'invenzione brevettata ha, inoltre, il diritto di vietare ai terzi, salvo il consenso del titolare, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione o (nel caso delle invenzioni di procedimento) del prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione. In aggiunta, vi sono le invenzioni derivate, ossia quelle che traggono origine da una precedente invenzione o che comunque si presentano come derivazione della medesima. L'invenzione deve quindi essere atta a permettere di risolvere un problema ancora non risolto dalla tecnica e, nello stesso tempo, deve consentire di realizzare un prodotto industriale che attua e replica il principio innovativo. L’art. 45 del Codice della proprietà industriale evidenzia ciò che può e che non può essere oggetto di invenzione: “1. Possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni nuove che implicano un’attività inventiva e sono atte ad avere un'applicazione industriale. 2. Non sono considerate invenzioni …..: a) Le scoperte scientifiche e i metodi matematici; b) I piani, i principi e i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciali e i programmi di elaboratori; c) Le presentazioni di informazioni 3. Le disposizioni del comma precedente escludono la brevettazione di ciò che in esse è nominato solo nella misura in cui la domanda di brevetto o il brevetto concerne scoperte, teorie, piani, principi, metodi e programmi considerati in quanto tali. 32 4. Non sono considerate come invenzioni ai sensi del primo comma, i metodi per il trattamento chirurgico o terapeutico del corpo umano o animale e i metodi di diagnosi applicati al corpo umano o animale. Questa disposizione non si applica ai prodotti, in particolare alle sostanze o alle miscele di sostanze, per l’attuazione di uno dei metodi nominati. 5. Non possono costituire oggetto di brevetto le razze animali ed i procedimenti essenzialmente biologici per l’ottenimento delle stesse. Questa disposizione non si applica ai procedimenti microbiologici ed ai prodotti ottenuti mediante questi procedimenti.” Ogni invenzione deve, inoltre, rispettare alcuni requisiti di validità per poter essere brevettata, che sono: ★ Liceità → non possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni la cui attuazione contraria all'ordine pubblico o al buon costume; ★ Novità → un'invenzione è considerata nuova se non è compresa nello stato della tecnica*, ossia tra tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico nel territorio dello Stato o all'estero prima della data del deposito della domanda di brevetto, mediante una descrizione scritta e orale; ★ Inventiva → un'invenzione è considerata come impiegante un'attività inventiva se esso non risulta in modo evidente dallo stato della tecnica, ossia l’invenzione deve essere espressione di un'attività creativa e comportare un progresso tecnico; ★ Idoneità ad avere un’applicazione industriale → L'invenzione deve essere suscettibile di applicazione industriale, ossia deve essere producibile, utile e in grado di generare effetti pratici. *Esempi di divulgazioni che costituiscono lo stato della tecnica - Brevetti depositati prima della data di deposito della domanda, (data certa); - pubblicazioni su riviste, opuscoli pubblicitari, pubblicazioni tecnico scientifiche (data certa); - Interventi a congressi; - esposizione in fiera (il contenuto tecnico deve essere accessibile); - vendita di prodotti (anche una singola vendita costituisce divulgazione, la prove della divulgazione e della data di divulgazione tramite fatture devono essere spesso accompagnate da prove testimoniali) ; Il brevetto è concesso dall'Ufficio italiano Brevetti e Marchi a seguito di una domanda nella quale è presente la descrizione dell'invenzione in modo sufficientemente chiaro e completa, affinché ogni persona esperta del ramo posso attuarla, dovendo, tra l'altro, essere contraddistinto da un titolo corrispondente al suo oggetto. Il brevetto può anche essere concesso a seguito di una licenza obbligatoria; se il brevetto non è attuato dal titolare entro tre anni dalla data di concessione, allora è possibile la concessione di una licenza obbligatoria ad un altro soggetto. In questo modo, la norma 33 intende tutelare gli interessi dello Stato che le industrie si sviluppi, evitando così di bloccare o limitare alcuni settori economici per i 20 anni di durata del brevetto non attuato. Analogamente a quanto avviene per il marchio, il brevetto è liberamente trasferibile, inter vivos e mortis causa, a prescindere dal trasferimento dell'azienda, e può essere concesso in licenza d’uso a terzi, con o senza esclusività. Inoltre, il brevetto è nullo: a. In mancanza dei requisiti di invalidità b. nel caso in cui l'invenzione non sia descritta in modo sufficientemente chiaro e completo da consentire a una persona esperta di attuarla c. l'oggetto del brevetto si estende oltre al contenuto della domanda iniziale d. il titolare del brevetto non aveva diritto di ottenerlo e l’avente il diritto non ne ha chiesto la rivendicazione. Inoltre, quando il brevetto è concesso, al titolare spettano tutele di carattere civile e penale: ❖ Azione di contraffazione condanna del contraffattore cessazione attività illecita risarcimento danni ❖ Azione di nullità → annullamento del brevetto altrui In termini penali, invece, si potrà richiedere la condanna dell’autore della violazione. 7.3 Struttura del brevetto 1. Dati bibliografici: titolare, inventore, data deposito, pubblicazione, concessione 2. Titolo e Riassunto 3. Descrizione: stato dell’arte, problema tecnico, descrizione di almeno un esempio di attuazione 4. Rivendicazioni: definiscono l’ambito di tutela legale 5. Disegni. 7.4 Ottenimento del brevetto Come già detto, il brevetto può essere ottenuto, in Italia, con il suo rilascio da parte dell’Ufficio Brevetti e Marchi, a seguito di una domanda nella quale è presente la descrizione dell'invenzione in modo sufficientemente chiaro e completa, affinché ogni persona esperta del ramo posso attuarla, dovendo, tra l'altro, essere contraddistinto da un titolo corrispondente al suo oggetto. Oltre alle vie nazionali, però, è possibile ottenere il brevetto anche in altri Stati che aderiscono ai trattati internazionali a cui ha preso parte l’Italia, come la Convenzione di Unione di Parigi. Il diritto di priorità, per esempio, è sancito dalla Convenzione d’Unione di 34 Parigi (Art.4) ed è valido tra gli Stati aderenti all’Unione. (es: seguito di un deposito in Italia di una domanda di brevetto o di modello di utilità (primo deposito), il titolare entro dodici mesi può depositare