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APPUNTI-DI-DIRITTO-PRIVATO_Galgano.pdf

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Tratto in internet da: www.polodicutro.it/wp-content/uploads/2013/09/APPUNTI-DI-DIRITTO-PRIVATO.pdf DIRITTO PRIVATO Appunti liberamente tratti dal testo di Diritto Privato di Francesco Galgano I: Il diritto privato -I...

Tratto in internet da: www.polodicutro.it/wp-content/uploads/2013/09/APPUNTI-DI-DIRITTO-PRIVATO.pdf DIRITTO PRIVATO Appunti liberamente tratti dal testo di Diritto Privato di Francesco Galgano I: Il diritto privato -Il diritto- Il termine diritto identifica un sistema di regole finalizzato alla composizione dei conflitti di interesse che sorgono tra soggetti; queste regole sono correlate fra loro poiché concorrono insieme ad assolvere una funzione complessiva e perciò non operano mai in maniera isolata. Il sistema di regole del diritto non è l’unico esistente, ma anzi convive con altri, come quello che si basa sulla morale, sul buon costume o sulla religione; non sempre però, le regole di uno coincidono con le regole dell’altro. Nella società in cui viviamo, bisogna distinguere fra i soggetti investiti del potere di creare il diritto e quelli investiti del potere di applicare il diritto; il primo è affidato allo Stato (parlamento e governo), alla Comunità economica europea (consiglio), alle Regioni ed Enti locali (consigli regionali, provinciali e comunali), mentre il secondo è affidato ad organi separati, quali l’Autorità giudiziaria e la Corte di giustizia. In altre società, troviamo invece forme diverse di organizzazione, come ad es. il sistema di common law, dove l’Autorità giudiziaria crea e applica il diritto. Il diritto presenta la caratteristica della relatività, in quanto i sistemi di regole mutano nel corso del tempo e si diversificano nello spazio, e quella della coercibilità, poiché oltre a prescrivere e proibire comportamenti, il diritto impone l’osservanza delle proprie regole (sanzioni corrispondenti alle violazioni di regole e norme). Per quanto riguarda la legittimazione del diritto, da un punto di vista formale, si può dire legittimato dalle autorità che lo creano e lo applicano, mentre da un punto di vista sostanziale, è legittimato dal consenso della maggioranza di coloro che vi sono sottoposti, in quanto il diritto è espressione della società in cui vige. -La norma giuridica- L’unità elementare del sistema del diritto è la norma giuridica; l’insieme delle norme prende il nome di ordinamento giuridico, mentre si suole parlare di istituto per indicare più norme coordinate per assolvere ad una funzione unitaria. Ciascuna norma, consiste in una proposizione precettiva: anche qualora le norme appaiano descrittive (es. art. 3.1 Cost.), è necessario intenderle in senso precettivo, così come quelle norme che contengono definizioni (es. art. 1321 c.c.) poiché hanno la funzione di delimitare l’ambito di applicazione di altre norme. Si parla di generalità e astrattezza delle norme poiché queste sono riferite a più soggetti per una serie ipotetica di fatti; le norme costituiscono infatti delle regole precostituite, ossia antecedenti al conflitto, permettendo di assicurare uniformità di soluzioni e certezza del diritto: i singoli devono sapere in anticipo 1 quali sono i comportamenti leciti e quali quelli illeciti. Il grado di generalità e astrattezza può essere di grado più o meno elevato: quelle con maggior grado sono le norme che si rivolgono a chiunque o a qualunque fatto, ossia le norme di diritto comune (o diritto generale); quelle che invece hanno grado limitato di generalità e astrattezza sono le norme che delimitano la serie di soggetti o dei fatti cui si riferiscono, ossia le norme di diritto speciale. Al modello del diritto generale ed astratto, si contrappone poi quello del diritto creato dal giudice, in relazione ad un conflitto già insorto; in questi casi il giudice può decidere secondo equità (nel nostro ordinamento questi casi sono pochi, mentre nei paesi di common law, il diritto creato dal giudice è la principale fonte del diritto). -Il diritto e lo Stato- Lo Stato è la fondamentale forma di organizzazione politica della convivenza umana; esso esercita la propria sovranità, ossia il potere originario di governare un determinato territorio. Di Stato si può parlare in almeno tre significati: - Stato – comunità: in riferimento ad una collettività di persone stanziata su un territorio e sottoposta ad un medesimo potere sovrano - Stato – ordinamento: in riferimento al sistema di norme giuridiche, poste dal potere sovrano, che regola la collettività - Stato – apparato: in riferimento agli apparati che compongono l’organizzazione dello Stato e mediante i quali è esercitata la sovranità; si tratta degli apparati incaricati delle funzioni normative, giudiziarie ed esecutive Per quanto riguarda il rapporto fra lo Stato e il diritto, è necessario considerare due aspetti: - principio della statualità del diritto: si è affermato con la formazione degli Stati, quali espressione di massima concentrazione del potere sovrano - principio dello Stato di diritto: è il principio secondo cui lo Stato è, esso stesso, sottoposto al diritto e vincolato al rispetto delle proprie leggi -Diritto privato e diritto pubblico- Tutto il diritto si scompone in due grandi sistemi di norme: - diritto privato: si tratta del diritto comune, applicabile tanto ai rapporti fra privati quanto a quelli nei quali interviene lo Stato (o altro ente pubblico); esso, attiene alla protezione di interessi particolari - diritto pubblico: si tratta del sistema di norme che regola i presupposti, le forme e i modi di esercizio della sovranità (organizzazione dello Stato e rapporti autoritativi), ed è applicabile ai soli rapporti nei quali partecipa lo Stato quale ente dotato di sovranità; esso, attiene alla protezione dell’interesse generale della collettività. Esso, a sua volta, si suddivide in sottosistemi: diritto costituzionale: attiene alle regole fondamentali di organizzazione dello Stato – comunità (libertà e doveri fondamentali dei cittadini) e dello Stato – apparato (a quali organi e secondo quali regole spetta l’esercizio delle funzioni sovrane) diritto amministrativo: riguarda i compiti e l’attività degli apparati dell’esecutivo e degli enti pubblici diritto penale: regola la potestà punitiva dello Stato, ossia determina i reati e le pene applicabili a chi li commette diritto processuale: attiene all’esercizio della giurisdizione, e si distingue in diritto processuale civile, penale e amministrativo In Italia, vige il modello del c.d. Stato di diritto amministrativo, poiché l’attività degli apparati dell’esecutivo e degli enti pubblici si svolge prevalentemente per atti autoritativi; in ogni caso, la P.A. non può fare uso di poteri autoritativi senza l’autorizzazione della legge. -Diritto oggettivo e diritti soggettivi- La parola diritto assume due significati: - diritto oggettivo: si intende la norma generale ed astratta che, disponendo in ordine ad un possibile conflitto di interessi, regola i rapporti fra gli uomini imponendo loro doveri; in particolare si determinano obblighi o divieti per impedire la realizzazione degli interessi non ritenuti degni di tutela e consentire la realizzazione di quelli che invece lo sono. Il rapporto regolato è detto rapporto giuridico e coinvolge due soggetti: soggetto passivo: è il soggetto al quale la norma impone un dovere soggetto attivo: è il soggetto nell’interesse del quale è imposto quel dovere; egli è quindi abilitato a 2 pretendere dall’altro soggetto l’osservanza del dovere La correlazione fra imposizione del dovere e pretesa al rispetto dello stesso costituisce la struttura fondamentale del rapporto giuridico - diritto soggettivo: è l’interesse protetto dal diritto oggettivo, ossia la pretesa di un soggetto (attivo) ad esigere da un altro soggetto (passivo) l’osservanza di un dovere che una norma gli impone; i precetti possono essere formulati: imponendo il dovere, cui si va a ricollegare il diritto altrui alla pretesa dell’osservanza dello stesso (es. art. 2043 c.c.: dovere di risarcire i danni cagionati) riconoscendo il diritto, cui si va a ricollegare il dovere altrui a tenere un determinato comportamento (es. art. 832 c.c.: diritto di godere e disporre in modo esclusivo delle cose proprie) Tuttavia, vi sono alcune norme di diritto oggettivo che prescrivono doveri, non traducibili in norme che riconoscono diritti soggettivi, in quando proteggono interessi solo generali: in esse, al dovere del soggetto passivo, si contrappone un potere sovrano del soggetto attivo (Stato o altro ente pubblico) di esigerne l’osservanza; ancora, vi sono norme poste a tutela di interessi generali, che proteggono contemporaneamente interessi particolari dei singoli: in questi casi vi è il concorso fra potere sovrano e diritto soggettivo del singolo. Entro la categoria dei diritti soggettivi si distinguono due sottocategorie: diritti assoluti: sono quei diritti riconosciuti ad un soggetto nei confronti di tutti (es. diritto di proprietà); all’interno di questi abbiamo i diritti reali, ossia i diritti assoluti sulle cose, e i diritti della personalità, ossia i diritti assoluti riconosciuti a tutela della persona umana diritti relativi: sono quei diritti riconosciuti ad un soggetto nei confronti di una o più persone determinate o determinabili (es. diritto al risarcimento danni); all’interno di questi abbiamo i diritti di credito, ossia i diritti ad una prestazione avente valore economico, e i diritti di famiglia, ossia i diritti reciproci fra i componenti di una famiglia. Il dovere collegato al diritto di credito è detto obbligazione/debito, mentre quello collegato al diritto di famiglia è chiamato obbligo. Non sempre le norme giuridiche impongono doveri (obblighi o divieti): esiste infatti un’altra situazione chiamata soggezione, che ricorre quando una norma espone un soggetto a subire passivamente le conseguenze di un atto altrui; il soggetto attivo è quindi dotato di un potere, che sarà potere sovrano se riconosciuto dal diritto pubblico (es. potere di espropriare i beni dei privati nei casi previsti), ovvero potere potestativo se riconosciuto dal diritto privato (es. diritto dell’imprenditore di licenziare il dipendente o diritto del dipendente di dimettersi). Diverso ancora, sia dal dovere che dalla soggezione, è l’onere, ossia il comportamento che il soggetto è libero di osservare o meno, ma che deve osservare se vuole realizzare un dato risultato (es. onere della prova). Come si è detto, il diritto soggettivo è l’interesse che viene protetto dal diritto oggettivo, perciò il soggetto portatore di tale interesse coincide con il soggetto titolare del diritto; tuttavia questa coincidenza viene a mancare quando si parla di potestà, situazione in cui il diritto oggettivo attribuisce al soggetto una pretesa a protezione di un interesse altrui (es. potestà dei genitori sui figli minori) -Fatti giuridici e atti giuridici- È necessario distinguere fra fatto e atto giuridico: - fatto giuridico: è definito come ogni accadimento, naturale o umano, al verificarsi del quale l’ordinamento ricollega un qualsiasi effetto giuridico, costitutivo/modificativo/estintivo di rapporti giuridici. Per fatto naturale si intende un accadimento del tutto indipendente dall’opera umana (es. modificazione dei fondi rivieraschi), mentre con fatto umano si vuole indicare un consapevole e volontario comportamento dell’uomo (es. acquisto della proprietà delle cose di nessuno); tra i fatti umani abbiamo poi la distinzione fra fatti leciti e fatti illeciti, a seconda che siano conformi o meno al diritto, e quella fra comportamenti discrezionali e comportamenti dovuti, a seconda che il soggetto sia libero o obbligato a compierli. I fatti giuridici producono effetti nei confronti del soggetto che li ha posti in essere sul solo presupposto che questi goda della capacità naturale di intendere e volere - atto giuridico: costituisce una sottocategoria del fatto giuridico, essendo l’atto destinato a produrre effetti giuridici (art. 2 c.c.); perché questo possa produrre effetti, non è sufficiente la capacità naturale di intendere e volere, occorre la legale capacità di agire. 3 Esistono due specie di atto giuridico: dichiarazioni di volontà: a differenza del fatto umano in genere, perché l’effetto si produca non è sufficiente la sola volontà in ordine al comportamento, ma è necessaria anche quella in ordine alla produzione dell’effetto (es. contratto diretto a costituire/modificare/estinguere un rapporto giuridico patrimoniale) dichiarazioni (atti) di scienza: con questi, il soggetto dichiara di avere conoscenza di un fatto giuridico (es. dichiarazione di ricezione del credito da parte del creditore); l’effetto di tali dichiarazioni è quindi quello di provare l’esistenza di fatti giuridici, che sono di per sé costitutivi/ modificativi/estintivi di rapporti Il corrente linguaggio dei giuristi, spesso, non rispetta questa classificazione, considerando come fatti giuridici i fatti naturali, come atti giuridici i fatti umani; per indicare invece gli atti di volontà, che sono per il c.c. degli atti giuridici, si utilizza il concetto di negozio giuridico. II: Le fonti del diritto privato -Il sistema delle fonti del diritto- Le fonti del diritto possono essere intese in due sensi: - fonti di produzione: si tratta dei modi di formazione delle norme giuridiche - fonti di cognizione: si tratta dei testi che contengono le norme giuridiche già formate  ciò significa che la principale fonte del diritto è la legge Nel nostro paese, le fonti di diritto nazionale, basate sulla sovranità dello Stato italiano, sono affiancate dalle fonti di diritto sovranazionale, basate invece sui poteri della Comunità europea. L’art. 1 delle preleggi indica le fonti del diritto, limitandosi però a richiamare leggi, regolamenti ed usi; in realtà, il sistema completo delle fonti è il seguente: - Trattato istitutivo della Comunità europea e regolamenti comunitari: il diritto sovranazionale risulta essere in posizione sovraordinata rispetto al diritto nazionale, in quanto l’adesione degli Stati alla Comunità, ha comportato una limitazione della loro sovranità; l’art. 177.1 Cost. afferma infatti che il legislatore è tenuto al rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario - Costituzione e leggi costituzionali: la Costituzione è la legge fondamentale della Repubblica e si trova in posizione sovraordinata, rispetto alle altre norme, in quanto ha una natura rigida: per modificarla, infatti, occorre un procedimento particolare detto revisione costituzionale (art. 138 e seg. Cost.). Lo stesso procedimento di revisione è previsto per le leggi costituzionali, in quanto disciplinano materie coperte da riserva di legge costituzionale, se regolabili dalle sole leggi costituzionali, oppure da riserva di legge ordinaria, se viene vietata la regolazione della materia a fonti di grado inferiore alla legge; in quest’ultimo caso, la riserva può essere assoluta o relativa a seconda che sia possibile o meno il rinvio a fonti di grado inferiore. Una norma di legge contrastante con la Costituzione può essere giudicata dalla Corte costituzionale come costituzionalmente illegittima: in questo caso la norma cessa di avere efficacia, e viene eliminata dall’ordinamento, dal giorno successivo alla pubblicazione della sentenza; al giudizio della Corte si perviene solo qualora, nel corso di un processo, una delle parti o il giudice sollevi la questione di legittimità - leggi ordinarie dello Stato: intese come fonti di produzione, sono quel procedimento di formazione di norme giuridiche regolato dagli art. 70 e seg. Cost.; tuttavia, molte delle leggi oggi vigenti (così come i codici) sono state formulate in un’epoca anteriore alla Costituzione, e costituiscono perciò delle fonti di cognizione del diritto italiano. Alle leggi ordinarie sono equiparati degli atti del governo aventi forza di legge: decreti legge (art. 77.2 Cost.): possono essere emanati solo in casi straordinari di necessità e urgenza; essi perdono efficacia se il parlamento non li converte in legge entro 60 giorni decreti legislativi o leggi delegate (art. 76 Cost.): sono emanate dal governo, per delega del parlamento, sulla base di una legge di delegazione che fissa i principi e i criteri cui attenersi, così come l’oggetto dell’attività e il tempo utile per eseguirla - leggi regionali: sono il frutto dell’autonomia che viene riconosciuta alle regioni dalla Costituzione o dalle leggi costituzionali; questa autonomia comporta una limitazione della sovranità dello Stato, il quale, nelle materie di competenza legislativa regionale (art. 117 Cost.), può soltanto dettare i principi fondamentali, lasciando alle regioni la legislazione analitica. Le leggi regionali non possono essere in contrasto con i principi dettati dallo Stato, così come lo Stato 4 non può invadere la competenza regionale; in caso ciò accadesse, sarà la Corte costituzionale a giudicare la legittimità della legge statale - regolamenti: sono atti emanati dal governo o da altre autorità come le regioni, le province, la Banca d’Italia o la Consob; essendo fonti normative subordinate alla legge, non possono trovarsi in contrasto con essa, e qualora così fosse, verrebbero giudicate dal giudice ordinario. Tradizionalmente si distingue fra: regolamenti governativi di esecuzione: vengono emanati per regolare, nei particolari, materie già regolate dalla legge regolamenti governativi indipendenti: vengono emanati per regolare materie non regolate da alcuna legge Il fenomeno della “delegificazione”, nato per alleggerire le funzioni del parlamento e rendere più agevole l’attività di normazione, ha consentito al governo di emanare regolamenti con efficacia equivalente alla legge; ciò a condizione che la materia regolata non sia coperta da riserva assoluta di legge e a patto che una legge autorizzi il governo a disciplinare una data materia attraverso un regolamento, fissando comunque le regole generali cui attenersi - usi o consuetudini: si tratta di fonti di produzione non scritte e non statuali, consistenti in comportamenti ripetuti nel tempo con la convinzione che siano giuridicamente obbligatori; essi, sono pienamente efficaci solo nelle materie non regolate da leggi o regolamenti, ovvero nelle materie in cui vengono da questi richiamati (qualora una norma di legge o regolamento, intervenga a regolare la materia, la consuetudine cesserà automaticamente di avere efficacia)  il divieto delle norme di grado inferiore di contrastare con quelle di grado superiore, pena la loro illegittimità, deriva dal fatto che vi è una vera e propria gerarchia fra le fonti -La codificazione e il principio di uguaglianza- I codici sono leggi ordinarie poste, nella gerarchia delle fonti, al pari di ogni altra legge ordinaria; essi, si distinguono per il fatto di essere fonti di diritto generale, in antitesi con il diritto contenuto nelle altre leggi, che sono invece fonti di diritto speciale. Alla base di questa idea di codice, vi è un principio fondamentale, ossia il principio di uguaglianza: in base ad esso, i cittadini debbono essere assoggettati tutti alla medesima legge, in modo da essere uguali fra loro; la legge, per essere uguale per tutti, deve essere formulata nei termini più generali ed astratti possibile, in modo da potersi riferire a chiunque ed a qualsiasi fatto. I codici sono le grandi realizzazioni legislative dell’ ‘800 e della prima metà del ‘900: alcuni di essi, sono tuttora vigenti, seppur con molte modificazioni ed integrazioni; la legiferazione si è attenuata nel XX secolo, con la proliferazione delle leggi speciali. Ciò che comunque continua ad essere l’idea guida dell’ordinamento è il principio della legge uguale per tutti, ribadito anche all’art. 3 Cost.: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”; secondo l’orientamento consolidato, ciò starebbe a significare che la legge ordinaria non può dare un diverso trattamento ai cittadini per una medesima situazione senza una ragionevole motivazione. -I modelli di codificazione: da codice civile e codice di commercio separati al codice civile unificato- Il nostro codice civile del 1942, è andato ad unificare i prima distinti codice civile e codice di commercio: non si è trattato soltanto dell’unificazione dei testi legislativi (livello formale), ma della vera e propria unificazione del sistema del diritto privato (livello sostanziale), in quanto i due sistemi erano caratterizzati da principi differenti; già alla fine del secolo scorso, infatti, si era disegnata l’idea di una equilibrata società civile, nella quale gli interessi della classe mercantile fossero coordinati con quelli dei proprietari, dei consumatori e dei lavoratori. L’unificazione ha portato il codice civile a contare, inizialmente, 2969 articoli distribuiti in 6 libri, secondo una tripartizione (persone e famiglia/proprietà/modi di acquisto della proprietà) che tuttavia oggi risulta rispettata soltanto nel primo libro; infatti il c.c. è così suddiviso: - I libro: persone e famiglia - II libro: successioni a causa di morte - III libro: proprietà - IV libro: obbligazioni e contratti  è stato ampliato con l’unificazione, poiché sono state inserite materie da codice di commercio - V libro: imprese e società  è stato aggiunto con l’unificazione - VI libro: tutela dei diritti Il codice risulta inoltre preceduto dalle preleggi e seguito dalle disposizioni transitorie e di attuazione; queste 5 ultime integrano il codice con più minuziose disposizioni e talvolta enunciano principi sfuggiti ai compilatori. L’unificazione, non ha tuttavia impedito la distinzione fra diritto civile e diritto commerciale; ora, tuttavia, è solo il portato della specializzazione dei giuristi nello studio del diritto privato (diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto agrario etc.). Alcune norme di diritto privato sono presenti anche nella Costituzione e simboleggiano la svolta nella storia delle costituzioni moderne. -L’uniformità internazionale del diritto privato- La nazionalità del diritto privato, se da una parte ha soddisfatto le esigenze di concentrazione della sovranità, dall’altro ha contraddetto il carattere internazionale dei mercati, divenendo un ostacolo per i rapporti economici fra cittadini di Stati diversi; per questo motivo, dalla fine dell’ ‘800, si punta alla formazione di un diritto privato uniforme attraverso l’uso di convenzioni fra Stati. Dopo la seconda guerra mondiale, in Europa viene stipulato il Trattato di Roma, il quale istituisce la Comunità europea e spinge verso l’idea di un mercato comune; prendono così forma le norme di diritto privato sovranazionale, direttamente applicabili all’interno della Comunità ma limitatamente al commercio fra Stati membri. Per evitare quest’ultima limitazione, è possibile avvalersi del ravvicinamento delle legislazioni nazionali, attuato dal consiglio della Comunità attraverso direttive cui gli Stati membri sono tenuti ad adeguarsi con propria legge interna. III: L’applicazione del diritto privato -Efficacia della legge nel tempo- Le leggi e i regolamenti entrano in vigore, e divengono perciò obbligatori, solo 15 giorni dopo la loro pubblicazione nella Gazzetta ufficiale: tale adempimento è diretto a renderli astrattamente conoscibili da parte di chi deve osservarli; ciò significa che vi è una virtuale possibilità di conoscerli e quindi, una volta divenuti obbligatori, vige il principio secondo cui l’ignoranza non scusa. Le leggi, cessano di avere efficacia con: - abrogazione espressa: si ha per espressa disposizione di una legge successiva, per referendum popolare ovvero per illegittimità costituzionale - abrogazione tacita: si ha per incompatibilità con una nuova disposizione di legge Altro importante principio è quello secondo cui la legge non ha effetto retroattivo, poiché dispone soltanto per l’avvenire; per ciò che concerne le leggi penali, è proprio la Costituzione ad affermare, all’art. 25.2, che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Rispetto al diritto privato, invece, l’irretroattività della legge risulta sancita solo da una legge ordinaria, derogabile quindi da altre leggi ordinarie (in ogni caso deve essere sempre esplicitata la retroattività); tuttavia, questa possibilità di deroga è legittima solo in presenza di un ragionevole motivo che la giustifichi. -Il diritto internazionale privato- La statualità e la nazionalità del diritto, non comportano necessariamente che su uno Stato si debba applicare sempre e solo quel diritto; ciascuno Stato, infatti, può stabilire che a certi rapporti si applichi il diritto prodotto da altri Stati, in forza di una norma di diritto statuale che rinvia alla legge straniera. Vi sono una serie di norme, dette norme di diritto internazionale privato (L. 218/1995), che stabiliscono quando il giudice italiano deve applicare il diritto italiano e quando, invece, il diritto di altri Stati; ciò accade in tutti i paesi, ma poiché nessuno tiene conto delle norme formulate altrove, vi è la possibilità di conflitti (es. entrambi gli Stati rinviano al diritto straniero un determinato rapporto). Per superare tali possibili problematiche, vengono stipulate delle convenzioni internazionali, con le quali gli Stati si impegnano ad adottare norme omogenee di diritto internazionale privato (solo in alcune materie, nelle altre il rischio di conflitti permane); ciascuno Stato, quindi, risolve il conflitto facendo valere sia la propria sia la altrui norma di diritto internazionale privato. Le nostre norme adottano due criteri alternativi: - legge nazionale: rapporti fra stranieri: si applica il diritto straniero rapporti fra cittadini: si applica il diritto italiano rapporti misti: generalmente si applica ad ogni parte la propria legge nazionale, tuttavia nei rapporti personali fra coniugi, compresi separazione e divorzio, si applica la legge dello Stato in cui la vita 6 matrimoniale è prevalentemente localizzata, mentre per le successioni a causa di morte, si applica la legge dello Stato del defunto - legge del luogo: possesso, proprietà e altri diritti reali sulle cose: vale la legge del luogo nel quale le cose si trovano obbligazioni da contratto: si applica la legge del paese nel quale risiede la parte che deve eseguire la prestazione caratteristica, fatta salva la diversa volontà delle parti; queste, infatti, possono scegliere se sottoporre il contratto alla legge di una parte, dell’altra ovvero alla legge di un terzo paese, e possono anche sottoporlo in parte ad una legge e in parte ad un’altra (shopping del diritto) obbligazioni da fatto illecito: vale la legge del luogo dove si è verificato l’evento, salvo che il danneggiato non chieda l’applicazione della legge dello Stato in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno A fianco alle norme che adottano tali criteri, vi sono altre due norme contenenti affermazioni di principio: - trattamento dello straniero: viene posto un limite all’applicazione del diritto italiano allo straniero, in quanto egli è sempre sottoposto agli obblighi mentre può fruire dei diritti solo a condizione di reciprocità (art. 16, preleggi), ossia se la sua legge nazionale ha norme di diritto internazionale privato che consentono allo straniero di fruire dei diritti civili riconosciuti ai cittadini (es. lo straniero può avere una proprietà protetta in Italia se lo Stato a cui appartiene permette all’italiano di avere proprietà sul suo territorio); tale limitazione non vale per ciò che concerne i diritti inviolabili dell’uomo, poiché la nostra Costituzione li protegge indipendentemente dalla ricorrenza della condizione di reciprocità (art. 2). La L. 40/1998, inoltre, ha di molto limitato l’ambito di applicazione dell’art. 16 delle preleggi, stabilendo che lo straniero regolarmente soggiornante in Italia gode dei diritti in materia civile che spettano al cittadino; così facendo, la condizione di reciprocità rimane valida soltanto per gli stranieri non soggiornanti o per quelli che lo fanno in modo non regolare - ordine pubblico internazionale: viene posto un limite all’applicazione del diritto straniero nel territorio italiano; esso, infatti, risulta non applicabile se presenta effetti contrari all’ordine pubblico internazionale, che consiste in quei principi fondamentali di civiltà giuridica che sono posti a salvaguardia di essenziali valori umani o sociali (≠ ordine pubblico interno). Il giudice, può essere tenuto, secondo le norme di diritto privato internazionale, ad applicare il diritto straniero; egli perciò deve conoscerlo, in quanto il principio secondo cui “il giudice conosce il diritto” non vale solo per il suo diritto nazionale. -L’interpretazione della legge- Applicare la legge significa tradurre una norma generale e astratta in un comando particolare e concreto: per farlo occorre individuare, tra le tante, la norma da tradurre, e attribuirgli il giusto significato; tale operazione è detta interpretazione, e viene condotta secondo i criteri fissati dalla legge (art. 12 preleggi): - interpretazione letterale: è il senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la loro connessione - interpretazione teleologica: è il senso fatto palese dall’intenzione del legislatore; essa, da luogo a: interpretazione estensiva: con essa, si attribuisce alle parole della legge un significato più ampio rispetto a quello letterale (es. anche se l’art. 3, Cost. parla di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, si deve leggere “uguaglianza degli uomini”) interpretazione restrittiva: con essa, si attribuisce alle parole della legge un significato più ristretto di quello comune, ossia più aderente all’intenzione del legislatore L’ordinamento giuridico, rivendicando la completezza del diritto, non può presentare lacune, e deve perciò colmare quelle che si creano; per farlo, si ricorre all’applicazione analogica del diritto: per risolvere le controversie, qualora non sia possibile utilizzare una precisa disposizione, si ricorre alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe. Il giudice, perciò, può fare di ogni norma una duplice applicazione: - applicazione diretta, quando applica una norma ad un caso da essa previsto - applicazione analogica, quando applica una norma ad un caso analogo a quello da essa previsto L’analogia, tuttavia, non è applicabile alle norme penali e alle norme eccezionali rispetto alle regole generali (è invece possibile l’interpretazione estensiva). Può accadere che il giudice non solo non trovi una norma che preveda il caso simile, ma non trovi neppure norme relative a casi simili; in tali casi, egli si rifarà ai principi generali dell’ordinamento, ossia a principi non scritti che si ricavano da una pluralità di norme e che costituiscono le direttive fondamentali cui appare essersi ispirato il legislatore. Le decisioni del giudice, circa il significato delle norme, gli estremi dell’analogia etc., sono dotate della stessa autorità delle sentenze, e valgono quindi solo per il caso concreto per cui vengono espletate: può perciò succedere che più giudici pervengano a conclusioni differenti riguardo al medesimo caso; tuttavia, una 7 certa autorevolezza viene data ai c.d. precedenti di giurisprudenza, ossia alle soluzioni date da più giudici (o dalla Corte di Cassazione) ad una stessa questione interpretativa. Diversa dall’interpretazione del giudice è l’interpretazione dei giuristi, detta interpretazione dottrinale: si tratta di un’attività basata sullo studio sistematico del diritto che porta alla formazione di progetti o modelli di interpretazione della legge; questo tipo di interpretazione, non è vincolante e si impone solo per la forza di convinzione esercitata dal giurista. -La protezione giurisdizionale del diritto soggettivo- L’applicazione del diritto in senso oggettivo concerne il sistema di norme che il giudice interpreta per decidere controversie; l’applicazione del diritto in senso soggettivo, invece, consiste nella protezione giurisdizionale dei diritti soggettivi, poiché chi lamenta la lesione di un proprio diritto deve necessariamente rivolgersi all’autorità giudiziaria.  il giudice interviene perché sollecitato, ossia su domanda dell’interessato; in casi particolari previsti dalla legge può intervenire su domanda del pubblico ufficiale, mentre in casi del tutto eccezionali interviene di propria iniziativa, ossia d’ufficio Il processo, detto anche procedimento o giudizio, consta di due parti: attore e convenuto; il primo è colui che si rivolge al giudice lamentando la lesione di un diritto, il secondo è colui contro il quale si agisce. La controversia fra le parti è detta causa (o lite) e forma l’oggetto del processo; esso, a sua volta, può essere definito come l’insieme degli atti che si compiono nello svolgimento della funzione giurisdizionale, ossia dal momento in cui l’attore si rivolge al giudice fino all’emissione della sentenza. Durante la lite: - l’attore vanta una pretesa, detta azione - il convenuto si difende opponendo una o più eccezioni; queste gli permettono di contestare la pretesa ovvero addurre l’esistenza di fatti o diritti che la rendono inefficace. Il convenuto può anche contrattaccare avanzando una domanda riconvenzionale, basata o sullo stesso titolo su cui si basa la pretesa, o sul titolo su cui si fonda la sua eccezione La protezione dei diritti soggettivi spetta all’autorità giudiziaria ordinaria, formata da preture, tribunali, corti d’appello e Corte di Cassazione; l’attività di protezione di ogni diritto soggettivo è detta giurisdizione civile (≠ giurisdizione penale: attività di accertamento dei reati e di applicazione delle pene).  i diritti soggettivi sono quegli interessi dei singoli che la legge protegge direttamente in quanto interessi privati di per sé meritevoli di protezione (diritti della personalità, diritto di proprietà e altri diritti reali, diritti di obbligazione etc.) La protezione degli interessi legittimi del cittadino, lesi da un atto illegittimo della P.A., spetta invece alla giurisdizione amministrativa; essa è formata da organi giurisdizionali speciali, quali i T.A.R. e il Consiglio di Stato.  gli interessi legittimi sono quegli interessi dei singoli che la legge protegge indirettamente in quanto coincidenti con l’interesse pubblico Bisogna specificare che un interesse può assumere le sembianze di diritto soggettivo ovvero interesse legittimo a seconda che il privato entri in rapporto con altri privati oppure con la P.A.; si può dire che quando la legge riconosce alla P.A. il potere discrezionale di decidere se compiere o meno un atto, la posizione di interesse del privato, che da quell’atto viene toccato, perde la natura di diritto soggettivo e diviene mero interesse legittimo (es. il diritto di proprietà di un privato può divenire mero interesse legittimo se la P.A. ha il diritto di espropriare il suo bene per pubblica utilità). Da quanto detto emergono due principi che concorrono a fondare lo Stato di diritto: - principio di legalità: la pubblica autorità deve rispettare la legge nell’esercizio delle sue funzioni - possibilità di impugnare gli atti: qualora un atto della pubblica autorità vada a ledere un interesse legittimo ovvero un diritto soggettivo di un privato, può essere impugnato dinnanzi alla giurisdizione amministrativa ovvero ordinaria IV: I soggetti di diritto -Condizione giuridica della persona- Per il diritto, l’uomo è una persona o, come viene definito dalla dottrina, un soggetto di diritto; al momento della nascita, l’uomo acquista la capacità giuridica, ossia l’attitudine ad essere titolare di diritti e doveri (art. 1.1 c.c.) e la mantiene sino alla morte, momento in cui cessano tutte le funzioni cerebrali. Poiché il soggetto concepito non è ancora nato, non detiene la capacità giuridica né i diritti che sono subordinati/riservati alla nascita; se il soggetto nasce, e muore subito dopo, ha per pochi secondi acquisito la capacità giuridica e tutti i diritti che sono riservati ai nati (questi passeranno al suo erede). 8 La dichiarazione di nascita è espletata da uno dei genitori, da un loro procuratore speciale ovvero da coloro che hanno assistito al parto (medico, ostetrica etc.); essa viene poi resa dalla madre all’ufficiale dello stato civile del comune in cui è avvenuta la nascita (entro 10 giorni), oppure alla direzione sanitaria dell’ospedale in cui è avvenuto il parto (entro 3 giorni). La dichiarazione dà luogo alla formazione dell’atto di nascita, che viene iscritto dall’ufficiale di stato civile nei registri dello stato civile, assieme a tutti gli atti che influiscono sullo stato civile della persona, compreso, alla morte di questa, l’atto di morte; tali atti hanno forza probatoria in quanto, fino a prova contraria, fanno fede della veridicità delle dichiarazioni. Ogni persona è identificata con un nome, composto da: - prenome: è deciso da chi ne dichiara la nascita all’ufficiale di stato civile; esso deve corrispondere al sesso della persona e non può essere lo stesso del padre o del fratello/sorella vivente - cognome: se il figlio è legittimo coincide con quello del padre, altrimenti il neonato è iscritto come “figlio di ignoti” e il cognome viene scelto dall’ufficiale di stato civile Raggiunta la maggiore età, ogni persona può ottenere la modifica sia del prenome che del cognome, oppure l’inserimento di un altro cognome al proprio. Per ciò che concerne i luoghi in cui la persona svolge la propria vita/attività, bisogna distinguere: - domicilio generale: luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari o interessi (es. sede dell’impresa o studio del professionista) - residenza: luogo della dimora abituale della persona  (art. 43 c.c.) generalmente domicilio e dimora coincidono, ma non necessariamente - domicilio speciale: luogo che la persona può eleggere, tramite atto scritto, per determinati atti o affari - dimora: luogo in cui la persona attualmente soggiorna, anche se non abitualmente (es. camera in locazione per il periodo degli studi, seconda casa per il week end) - soggiorno: luogo in cui si prende alloggio occasionalmente o momentaneamente (es. hotel per la vacanza) Se una persona scompare dal luogo del suo ultimo domicilio/residenza e non se ne hanno più notizie, sorge il problema della conservazione del suo patrimonio: - assenza della persona: può essere dichiarata dal tribunale dopo 2 anni dal giorno cui risale l’ultima notizia della persona; i beni dell’assente vengono temporaneamente immessi nel possesso degli eredi, i quali ne hanno l’amministrazione e fanno proprie le rendite prodotte  se l’assente ricompare, gli dovranno essere restituiti i beni ma non le rendite percepite - morte presunta: può essere dichiarata dal tribunale con sentenza dopo 10 anni dall’ultima notizia dell’assente; da questo momento, come per la morte naturale, si apre la successione ereditaria: il possesso temporaneo degli eredi diviene piena disponibilità e il coniuge può contrarre nuovo matrimonio  se il presunto morto ricompare, gli dovranno essere restituiti i beni nello stato in cui si trovano e il nuovo matrimonio contratto dal coniuge diviene inefficace -La capacità di agire- Diversa dalla capacità giuridica, la capacità di agire è l’attitudine del soggetto a compiere atti giuridici mediante i quali si acquistano diritti o si assumono doveri; tale capacità, poiché presuppone la capacità dell’essere umano di provvedere ai propri interessi, si consegue alla maggiore età, fissata nei 18 anni.  al minore 16enne, possono però essere autorizzati il matrimonio e il riconoscimento del figlio naturale Il minore, acquista diritti e assume doveri per mezzo dei suoi legali rappresentanti: - potestà dei genitori: i genitori amministrano i beni del minore e compiono in suo nome gli atti giuridici necessari per acquistare diritti o assumere doveri; possono inoltre compiere atti di straordinaria amministrazione (es. dare in pegno beni del minore, rinunciare ad eredità etc.), ma soltanto per necessità/utilità evidente del minore e previa autorizzazione del giudice tutelare - cura del tutore: si ha in caso di mancanza di genitori viventi per nomina del giudice tutelare; sul tutore ricadono maggiori limiti rispetto ai genitori, in quanto questi non può comperare beni in nome del minore senza autorizzazione del giudice tutelare e non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza autorizzazione del tribunale La sostituzione del legale rappresentante al minore, vale solo per gli atti che non abbiano carattere personale; questi infatti (es. matrimonio, riconoscimento del figlio naturale, iscrizione ad un partito etc.) non possono essere compiuti dal minore ma nemmeno da chi ne esercita la legale rappresentanza, in quanto richiedono scelte assolutamente personali. Tuttavia, il 16enne può essere autorizzato dal tribunale a contrarre matrimonio: in questo caso si assiste all’emancipazione del minore, che comporta l’acquisto della piena capacità di agire limitatamente agli atti di ordinaria amministrazione; per quelli di straordinaria amministrazione è invece necessaria 9 l’autorizzazione del giudice tutelare e l’assistenza da parte di un curatore (coniuge maggiorenne ovvero una persona scelta dal giudice tutelare, preferibilmente fra i genitori). Al maggiorenne può essere tolta la capacità di agire, così come al minore può essere conferita; è il caso di: - interdizione giudiziale: si ha nel caso di abituale infermità mentale che renda la persona incapace di provvedere ai propri interessi; il tribunale dichiara con sentenza l’interdizione e il giudice tutelare nomina un tutore dell’interdetto, il quale detiene gli stessi poteri di rappresentanza del tutore del minore  impossibilità totale data da abituale infermità - inabilitazione: può essere richiesta (o conferita direttamente dal tribunale) qualora lo stato di infermità non sia grave al punto da privare totalmente la persona della capacità di agire; in questo caso viene nominato un curatore dell’inabilitato, e questo assume la stessa posizione del minore emancipato  impossibilità parziale data da infermità non grave - amministrazione di sostegno: è stata introdotta con la L. 6/2004 per i casi di infermità o menomazione fisica che comportano un’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi. Il giudice tutelare nomina con decreto un amministratore di sostegno: nel decreto sono indicati gli atti che l’amministratore può compiere in nome e per conto del beneficiario e quelli in cui lo assiste; per il resto, il beneficiario conserva la capacità di agire  impossibilità, anche parziale o temporanea, data da una qualsiasi infermità - interdizione legale: si ha nel caso di condanna penale (ergastolo/reclusione non inferiore ai 5 anni) ed è proprio il codice penale a prevederla all’art. 32  impossibilità totale stabilita come pena accessoria ad una condanna penale -La persona fisica e la persona giuridica- Con l’attributo persona non si indica, in diritto, soltanto l’uomo; il codice civile, infatti, racchiude dentro il genere “persona”, due diverse specie: la persona fisica, ossia l’uomo, e la persona giuridica. È persona giuridica ogni soggetto di diritto diverso dalla persona fisica: ogni centro di imputazione di rapporti giuridici che il diritto fa corrispondere ad una organizzazione collettiva di uomini (es. enti pubblici, associazioni, fondazioni, consorzi etc.); tale entità è dotata di una propria capacità giuridica, che le permette di essere titolare di propri diritti e propri doveri, di avere la proprietà di propri beni ed essere responsabile di propri debiti. L’organizzazione agisce per mezzo di uomini, perciò possiamo dire che la persona giuridica ha anche una propria capacità gi agire: infatti compie atti giuridici per mezzo delle persone fisiche che agiscono come suoi organi.  ai diritti e ai doveri del singolo individuo si contrappongono i diritti e doveri che il singolo ha come membro dell’organizzazione collettiva (i beni, e debiti etc. sono di un’altra persona, perciò: il singolo non può utilizzare per uso personale un bene dell’organizzazione, i debiti della società non sono debiti dei soci e ne risponde soltanto la società con il suo patrimonio) -I diritti della personalità- Alcuni diritti soggettivi sono creati dal diritto oggettivo, altri invece, sono trovati dal diritto oggettivo: si tratta dei diritti dell’uomo o della personalità, esistenti indipendentemente da ogni diritto oggettivo e da ogni sistema polito o sociale presente sul territorio; essi, spettano all’uomo in quanto tale e lo Stato ha il dovere di riconoscerli e garantirli. Tali diritti sono identificati nelle carte costituzionali, e sono essenzialmente: diritto alla vita, all’integrità fisica, alla salute, al nome, all’onore, alla libertà personale, all’espressione del pensiero, alla riservatezza etc.; il nostro ordinamento li richiama all’art. 2, Cost., affermando che: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”. Carattere fondamentale dei diritti della personalità è l’inviolabilità, sia da parte della pubblica autorità, sia da parte degli altri uomini; la protezione avviene su due fronti: - protezione penale: si manifesta nel codice penale nelle norme che puniscono i delitti contro la persona (es. omicidio, lesioni personali, ingiuria, diffamazione, sequestro) - protezione civile: si manifesta sia nel codice civile che in altre leggi; abbiamo norme che riguardano il diritto all’integrità fisica (art. 5), il diritto al nome (art. 7 – 9), il diritto sulla propria immagine (art. 10), il diritto morale d’autore e di inventore (art. 2577 – 2578) etc. Più in generale questo tipo di protezione deriva dalle norme che riconoscono il diritto al risarcimento per danno ingiusto e alla reintegrazione in forma specifica (art. 2058) Il collegamento fra la protezione penale e quella civile risiede nel fatto che alla commissione di un reato corrisponde, per la vittima, il diritto al risarcimento del danno anche non patrimoniale; si può inoltre ottenere 10 la pubblicazione della sentenza in uno o più giornali quando ciò permette di riparare il danno non patrimoniale. I diritti della personalità possono classificarsi come: - assoluti, ossia diritti protetti nei confronti di tutti - indisponibili, ossia senza possibilità per il titolare di rinunciarvi o alienarli; in particolare, rispetto al diritto alla vita e all’integrità, tale carattere emerge dall’art. 5 c.c., il quale afferma che: “gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionano una diminuzione dell’integrità fisica”. Essendo l’esercizio dei diritti della personalità strettamente personale, nessuno può essere forzato (per il minore/incapace non può decidere nemmeno il genitore/legale rappresentante); a ciò si collega la richiesta di consenso ai trattamenti sanitari, anche se necessari per salvare la vita - imprescrittibili, ossia diritti che non si estinguono/prescrivono per un non uso prolungato Passiamo in rassegna qualcuno fra i diritti della personalità: - diritto all’onore (dignità e decoro): tale diritto, che fa riferimento sia alla persona fisica che quella giuridica, emerge dalle norme del codice penale che puniscono l’ingiuria e la diffamazione; non è prevista una specifica protezione civile, tuttavia i principi comuni prevedono il risarcimento del danno patrimoniale e non, e la pubblicazione della sentenza penale sui giornali - diritto al nome: tale diritto è protetto dall’ art. 7 c.c. in quanto mezzo di identificazione della persona; si parla di: uso del proprio nome (identificare se stessi ed essere identificati dagli altri con il proprio nome): è protetto dall’azione di reclamo, che spetta contro chi contesti/impedisca alla persona l’uso del proprio nome o contro chi la identifichi con un nome diverso uso esclusivo del proprio nome: è protetto dall’azione di usurpazione, che spetta contro chi usi il nome altrui per identificare se stessi/una cosa o contro chi ne faccia un uso indebito - diritto all’immagine: tale diritto è protetto dall’art. 10 c.c., che vieta l’esposizione o la pubblicazione dell’immagine altrui senza il consenso della persona ritratta (salvo persone notorie) - diritto all’identità personale: rientra fra i “nuovi diritti della personalità” ed è il diritto a che non sia travisata la propria immagine politica, etica o sociale con l’attribuzione di azioni/convinzioni non compiute/professate  diversamente dal diritto all’onore, qui vi è lesione anche se l’azione attribuita non è si per sé disonorevole o lesiva della reputazione - diritto alla riservatezza: rientra fra i “nuovi diritti della personalità” ed è il diritto a che non siano divulgati (con qualsiasi mezzo) fatti attinenti alla vita privata della persona, anche se veri e non lesivi della sua dignità; il Codice in materia di protezione dei dati personali è intervenuto a garantire che il trattamento dei dati personali sia svolto nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone  è dato personale “qualsiasi informazione relativa a persone, fisiche o giuridiche, identificate o identificabili”; per trattamento, si intende l’attività consistente nella raccolta e conservazione, elaborazione, comunicazione o diffusione, blocco, cancellazione o distruzione dei dati Una precisazione va fatta per i dati sensibili (relativi ad origine/convinzioni/opinioni politiche etc.), i quali possono essere trattati solo con il consenso dell’interessato e del Garante per la protezione dei dati personali. L’interessato ha diritto di conoscere l’esistenza di dati che lo riguardano e di ottenere la cancellazione dei dati trattati in violazione della legge, ha diritto all’aggiornamento/rettifica dei dati ed ha il diritto di opporsi al trattamento dei dati raccolti per fini commerciali  l’interessato che subisca danno per l’altrui trattamento dei suoi dati personali ha diritto al risarcimento; il danneggiante può liberarsi se dimostra di aver adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno V: I beni e la proprietà -I beni- Le cose, o beni, sono il mezzo attraverso il quale l’uomo soddisfa i suoi bisogni; sono beni le risorse della natura, le cose che l’uomo produce, le cose che soddisfano i beni dell’uomo direttamente, ossia i beni di consumo, ma anche quelle che li soddisfano indirettamente, ossia i beni produttivi. In diritto, sono beni solo le cose che possono formare oggetto di diritti (art. 810 c.c.), ossia le cose che l’uomo aspira a fare proprie, escludendo gli altri dalla loro utilizzazione; ciò significa che sono beni, 11 giuridicamente, solo le cose che la natura offre in quantità limitata (es. suolo, minerali del sottosuolo etc.), e non le cose comuni di tutti, poiché essendo prodotte dalla natura in quantità anche superiore al bisogno umano, non generano l’interesse a creare un rapporto di appartenenza (es. luce del sole, acqua del mare etc.). Per ciò che concerne le energie naturali, possiamo dire che possono essere definite beni solo quando esistono in quantità limitata ed hanno un valore economico (costituiscono oggetto di scambio: il produttore le cede al consumatore in cambio di un prezzo).  in generale, quindi, sono beni in senso giuridico solo le cose suscettibili di valutazione economica Anche se il diritto cambia di paese in paese, ogni sistema giuridico: - riconosce il diritto di proprietà, ossia il diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo (art. 832 c.c.) - determina i modi di acquisto della proprietà, escludendo perciò tutte le forme di appropriazione mediante l’uso della forza (art. 922 c.c.) - fonda la categoria dei beni pubblici, ossia quei beni che, essendo di utilità generale, vengono sottratti ad ogni possibilità di appropriazione e vengono qualificati come beni appartenenti allo Stato o ad altri enti pubblici; questi ultimi hanno il compito di: consentirne il disciplinato uso da parte di tutti (beni del demanio pubblico) utilizzarli in modo da volgerli a vantaggio di tutti (beni del patrimonio disponibile dello Stato) - pone limiti e obblighi alla proprietà e al proprietario -I diritti sulle cose: la proprietà e gli altri diritti reali- I diritti sulle cose prendono il nome di diritti reali (da ius in re: diritto sulla cosa); nel nostro sistema giuridico disciplina: - diritto di proprietà: è il principale nonché quello che consente la più ampia sfera di facoltà che un soggetto possa esercitare su una cosa - diritti reali minori: sono 6 e sono detti minori in quanto caratterizzati da un contenuto più limitato; essi, a differenza del diritto di proprietà, sono diritti su cosa altrui (il contenuto della proprietà altrui si riduce per permettere ad altri diritti reali di coesistere sulla cosa). I diritti reali minori sono: diritto di superficie diritto di enfiteusi diritto di usufrutto diritto di uso diritto di abitazione diritto si servitù Per ciò che concerne il diritto di proprietà, esso è definito dall’art. 832 c.c. come il “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”; analizziamo i vari punti: - facoltà di godere delle cose: è la disposizione materiale delle cose (facoltà di utilizzo/non utilizzo/ trasformazione/distruzione); qualora si tratti di cose fruttifere, tale facoltà include anche il diritto di fare propri i frutti, siano essi civili o naturali. Sono naturali i frutti che provengono direttamente dalla cosa (es. prodotti agricoli): essi, sono parte della cosa madre finché non avviene la separazione (es. se vendo il fondo, vendo anche i frutti pendenti); una volta avvenuta, i frutti divengono cose a sé e vanno ad appartenere al proprietario della cosa madre. Sono civili i frutti dati dal denaro che il proprietario ricava dalla cessione ad altri del godimento (es. canone per la locazione); essi, si acquistano giorno per giorno finché esiste il diritto a percepirli - facoltà di disporre delle cose: è la disposizione giuridica delle cose (facoltà di venderla/non venderla/ donarla/farne oggetto di diritti minori a favore di altri); essa include anche la facoltà del proprietario di costituire sulle cose le garanzie reali (es. pegno, ipoteca) per garantire l’adempimento di un debito proprio o altrui - pienezza della proprietà: in mancanza di una norma che gli imponga di fare/non fare qualcosa, il proprietario gode di facoltà illimitate, potendo fare della cosa tutto ciò che non sia espressamente vietato. Quando però sulla cosa vengono costituiti diritti reali minori che limitano fortemente la sua facoltà di godimento, non si parla più di proprietà piena ma di nuda proprietà; tuttavia, poiché la proprietà è caratterizzata da elasticità, nel momento in cui il diritto reale minore si estingue, il contenuto del diritto di proprietà si espande e riacquista la sua pienezza - esclusività della proprietà: il proprietario può escludere chiunque altro dal godimento e dalla disposizione del bene; tale pretesa, qualora violata, viene protetta dall’autorità giudiziaria tramite le norme del codice penale (contro furto, appropriazione indebita etc.) e dalla possibilità per il proprietario 12 di esperire azioni civili (petitorie, possessorie, di nunciazione) - limiti alla facoltà di godere e disporre: nascono, insieme agli obblighi, dalla necessità di trovare un punto di equilibrio fra l’interesse del proprietario a godere e disporre delle cose a proprio piacimento e l’interesse della collettività ad un impiego della ricchezza che vada a vantaggio generale. Un tradizionale limite è stabilito dall’art. 833 c.c. nel divieto di atti di emulazione: il proprietario, infatti, non può giovarsi della cosa al solo scopo di nuocere o recare molestia ad altri (es. innalzare un muro privo di utilità per privare il vicino della vista del panorama). Per ciò che invece concerne la proprietà dei suoli, il principale limite risiede nella destinazione del terreno: il proprietario, infatti, non può scegliere a proprio piacimento se destinare un terreno all’agricoltura, all’industria o all’edilizia abitativa; spetta ai comuni determinare l’assetto del territorio mediante appostiti piani regolatori. A ciò si ricollegano altri due limiti: il primo attiene alla facoltà di edificare, poiché il proprietario di un suolo destinato a “verde agricolo” non può edificare così come il proprietario di un suolo destinato ad insediamenti industriali può costruire solo stabilimenti industriali; il secondo, attiene invece ai permessi a costruire, in quanto per ogni costruzione è necessario un permesso dal comune, senza il quale si può incappare nella confisca del terreno e della costruzione abusiva e addirittura nell’obbligo a demolirla - obblighi del proprietario: un tradizionale obbligo del proprietario del suolo è quello di consentire l’accesso al fondo al vicino che debba entrarvi per eseguire opere sul proprio fondo, ovvero a chi voglia riprendere la cosa propria accidentalmente trovatasi sul fondo etc.; il proprietario di terreni destinati all’agricoltura ha l’obbligo di provvedere alla coltivazione degli stessi: la L. 440/1978 stabilisce infatti che le terre incolte possono essere assegnate per la coltivazione a chi ne faccia richiesta (sorta di affitto forzato in quanto lo sfruttamento della terra corrisponde all’interesse generale). Ancora, al proprietario che ottiene una licenza di costruzione sono imposti oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, consistenti in somme di denaro mediante le quali egli contribuisce alle spese che il comune sostiene per allacciare la nuova costruzione alle strade, agli acquedotti etc. e a quelle che si rendono necessarie per dotare le aree di nuova edificazione di adeguati servizi sociali -Le cose oggetto di diritti: la classificazione dei beni- È bene fare due precisazioni: innanzitutto, il codice civile, pur impiegando indifferentemente i concetti di cosa e bene, regola soltanto i beni in senso giuridico; inoltre, poiché sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti, vengono richiamate non solo le cose appartenenti a qualcuno, ossia i beni in patrimonio, ma anche quelle non appartenenti a nessuno, ossia i beni di nessuno. Fondamentale distinzione dei beni è quella intercorrente fra: - beni immobili: sono dati dal suolo e da tutto ciò che vi appartiene, naturalmente o artificialmente (es. corsi d’acqua, alberi, costruzioni); al suolo viene dato il nome di fondo: esso può essere rustico, se destinato all’agricoltura, o urbano, se destinato all’edificazione industriale, commerciale o abitativa. La circolazione di tali beni avviene in maniera lenta e attraverso forme complesse, poiché trova maggiore protezione l’interesse individuale del proprietario a conservare la proprietà piuttosto che l’interesse generale alla circolazione della ricchezza - beni mobili: sono tutti gli altri beni, comprese le energie naturali e il denaro, che è il bene mobile per eccellenza (es. prodotti del suolo/sottosuolo, strumenti da lavoro, prodotti); tale categoria si ricava perciò per esclusione: sono mobili tutti i beni non considerati dalla legge come immobili. La circolazione di tali beni avviene rapidamente e attraverso forme semplici, in modo da favorire al massimo la circolazione della ricchezza; per farlo, spesso viene sacrificato l’interesse individuale del singolo a favore dell’interesse generale In una condizione intermedia si trovano i beni mobili registrati, ossia i beni iscritti nei pubblici registri (es. autoveicoli, navi, aeromobili); essi presentano analogie con i beni immobili per ciò che concerne la circolazione, mentre per il resto sono sottoposti alle norme proprie dei beni mobili. Costituisce una universalità di cose quell’insieme di cose mobili appartenenti al medesimo proprietario e indirizzate verso una destinazione unitaria (es. collezione di quadri, gregge, biblioteca); l’universalità tende ad essere assimilata ai beni immobili. Si dicono pertinenze le cose, mobili o immobili, destinate durevolmente al servizio o ad ornamento di un’altra cosa, mobile o immobile (es. garage di una casa, scialuppe della nave); se non escluse, esse circolano insieme alla cosa principale cui sono collegate.  il rapporto pertinenziale collega più cose che però rimangono una pluralità di cose; esso, può essere costituito solo dal proprietario della cosa principale, che tuttavia può non essere proprietario delle pertinenze Sono invece cose composte le cose che vengono unite in modo da formare una cosa unica (es. automobile: composta da ruote, motore, carrozzeria etc.); le singole cose non possono essere separate senza che la cosa 13 risultante perda la propria identità.  il rapporto di connessione collega più cose che vanno a formare un’unica cosa Altra importante distinzione si ha fra: - cose fungibili: sono dette anche beni di genere, in quanto le cose appartengono ad un genere all’interno del quale sono indifferentemente sostituibili (es. denaro); esse vengono prese in considerazione in rapporto a peso, numero e misura - cose infungibili: sono dette anche beni di specie, in quanto si tratta di cose esistenti in un unico esemplare ovvero dotate di caratteri distintivi (es. opera d’arte, determinato lotto di terra); esse vengono prese in considerazione in rapporto alla loro identità Ancora, i beni possono essere distinti in: - cose consumabili: sono quelle cose che si estinguono per l’uso (es. alimenti, carburante) - cose inconsumabili: sono quelle cose che consentono un uso ripetuto nel tempo, anche se tale uso può deteriorarle (es. autovetture, indumenti) -Proprietà pubblica e proprietà privata- Il nostro sistema costituzionale è un sistema ad economia mista, in quanto, come affermato dall’art. 42, Cost.: “la proprietà è pubblica o privata ed i beni economici (beni produttivi) appartengono allo Stato, ad enti o a privati”; si parla perciò di proprietà privata quando i beni appartengono a privati, persone fisiche o enti privati, e di proprietà pubblica quando i beni appartengono allo Stato o ad altri enti pubblici. Non tutti i beni possono però essere oggetto dell’una o dell’altra proprietà; infatti, secondo il codice civile, vi sono due serie di beni che debbono necessariamente essere pubblici (di Stato, regioni, province e comuni), in quanto servono a tutti, vanno salvaguardati ovvero servono allo Stato per assolvere le sue funzioni: - beni demaniali: si distinguono in demanio naturale (es. spiagge, fiumi, porti) e demanio artificiale (es. strade, aeroporti, acquedotti); tali beni sono inalienabili, salvo che con apposite procedure non vengano declassati in beni del patrimonio pubblico - beni patrimoniali indisponibili: (es. foreste, miniere, cose mobili di valore storico); tali beni non possono essere sottratti dalla loro destinazione se non con i modi previsti dalla legge  sia gli uni che gli altri possono formare oggetto di diritti da parte dei privati; sempre ad entrambi, viene data la qualificazione di cose fuori commercio, in quanto il loro possesso è senza effetto (non comporta l’acquisto della proprietà). L’appartenenza allo Stato e agli altri enti pubblici non è una vera e propria proprietà, in quanto essi non esercitano le facoltà di godimento e disposizione I restanti beni di proprietà pubblica, ossia quelli che non lo sono necessariamente, si dicono beni del patrimonio disponibile dello Stato e degli altri enti pubblici (territoriali e non); di essi lo Stato o gli altri enti sono proprietari allo stesso modo di qualsiasi privato: il loro diritto è regolato dalle norme del c.c. e l’acquisto della proprietà avviene nei modi di diritto comune (come chiunque altro). Ovviamente, lo Stato dispone anche di strumenti autoritativi per conseguire la proprietà; si tratta dell’espropriazione per pubblica utilità, disciplinata dall’art. 42.3, Cost. (e 834 c.c.): “la proprietà privata può, nei casi previsti dalla legge e salvo indennizzo, essere espropriata per motivi d’interesse generale”. Tale strumento è retto da due principi: il principio di legalità, in base al quale i pubblici poteri possono espropriare beni di privati nei casi previsti, e il principio dell’indennizzo, secondo il quale lo Stato deve corrispondere una somma di denaro all’espropriato in modo da compensare la perdita subita.  accanto a tale norma ve ne è un’altra, all’art. 43, Cost., in base alla quale “la legge può riservare originariamente o trasferire allo Stato (o a comunità di lavoratori/utenti) mediante espropriazione e salvo indennizzo, determinate imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. Da tale norma si può anche ricavare una terza forma di proprietà, ossia quella sociale: infatti, potendo attribuire determinate imprese a comunità di lavoratori, si concede a questi il diritto di godere e disporre dei mezzi di produzione Diversa dall’espropriazione è la requisizione, poiché a differenza della prima sottrae temporaneamente al proprietario il godimento della cosa, che tuttavia rimane di sua proprietà; anch’essa, tuttavia, prevede la corresponsione di una giusta indennità. La proprietà privata è garantita costituzionalmente dall’art. 42, Cost.; tale garanzia ha una duplice portata, in quanto implica: - libero accesso dei privati alla proprietà dei beni: ovviamente deve trattarsi di quei beni non riservati dalla legge alla proprietà pubblica - garanzia dei privati contro l’arbitrio dei pubblici poteri: lo Stato infatti, se non nei casi e nei modi previsti dalla legge, non può spogliare i privati dei loro beni 14 Lo stesso articolo richiama poi la funzione sociale della proprietà; infatti, se si guarda non tanto alla proprietà come diritto sulle cose, ma alle cose come oggetto della proprietà, si può scorgere l’esigenza di dare una destinazione sociale alle risorse e alle ricchezze, anche se queste sono in mani private.  è per questa necessità che la legge pone limiti al proprietario e da poteri allo Stato -La proprietà fondiaria- Il fondo, sia esso rustico vero urbano, è delimitato sia orizzontalmente che verticalmente: - delimitazione orizzontale: è di carattere geometrico, in quanto il fondo ha dei confini che segnano il limite del diritto del proprietario - delimitazione verticale: è di carattere economico, in quanto la proprietà si estende fin dove il proprietario può dimostrare di avere un interesse ad esercitare il suo diritto esclusivo; ciò significa che oltre questo limite, il sottosuolo e lo spazio aereo sono da considerarsi cose comuni di tutti  l’attività di godimento di ogni proprietario deve essere contenuta entro i propri confini (es. stillicidio: il tetto deve essere fatto in modo che l’acqua scoli sul terreno del proprietario e non del vicino) Alcuni limiti vengono imposti ai diversi proprietari in modo da non creare interferenze di godimento: - sono innanzitutto richieste distanze minime nel: costruire edifici: è richiesta, fra le costruzioni, una distanza minima di 3 Mt; in base al principio della prevenzione temporale, il primo che costruisce può farlo sul confine o a meno di 1.5 Mt da questo, costringendo il vicino a rispettare la distanza minima, ovvero a costruire in appoggio o in aderenza, pagando il valore del suolo altrui occupato. Se la distanza legale viene violata, il primo che ha costruito può richiedere la demolizione della parte di costruzione eccedente, la c.d. riduzione in pristino; qualora però i regolamenti comunali impongano una distanza dal confine e non fra costruzioni, anche il primo potrebbe incappare nella riduzione in pristino. Possono essere stabiliti anche limiti massimi di altezza/volume, al fine di apportare un equilibrato e razionale utilizzo del territorio; in caso di violazione di tali prescrizioni, il vicino avrà diritto all’azione per il risarcimento del danno che provi di aver subito scavare pozzi o fossi, inserire cisterne o tubi: è richiesta, una distanza dal confine di almeno 2 Mt; per i fossi, invece, è richiesta una distanza pari alla loro profondità sviluppare piantagioni: per gli alberi ad alto fusto è richiesta una distanza dal confine di almeno 3 Mt (salvo diverse disposizioni comunali), mentre per i restanti alberi la distanza è di 1.5 Mt; per viti e siepi, invece, la distanza minima dal confine è di 0.5 Mt. Il vicino può comunque chiedere al proprietario di tagliare eventuali rami che superino il confine - vi sono regole per l’apertura di finestre: luci: sono le aperture nel muro che non consentono di affacciarsi sul fondo del vicino, ed è richiesto che siano munite di inferriate e collocate ad una altezza prescritta dalla legge; il vicino che abbia diritto a costruire in aderenza ovvero che sia comproprietario del muro, può accecare le luci vedute: sono le aperture nel muro che consentono di affacciarsi sul fondo del vicino, ed è richiesto che siano aperte ad una distanza di almeno 1.5 Mt dal confine; il vicino che abbia diritto a costruire in aderenza ovvero che sia comproprietario del muro, non può comunque accecare le vedute, ed è perciò costretto a costruire a distanza legale - è previsto un criterio legale anche per le immissioni, ossia la propagazione di sostanze inquinanti (fumo, rumore etc.) da un fondo all’altro; ci si basa in questo caso sulla normale tollerabilità: il proprietario di un fondo non potrà impedire le immissioni qualora queste non siano superiori alla capacità di sopportazione dell’uomo medio. Tale criterio favorisce le attività produttive, le quali tuttavia devono essere rapportate con le ragioni della proprietà; altri criteri sono le condizioni dei luoghi e la priorità di un dato uso, entrambi riferiti alla destinazione del fondo. - tutte le acque sono considerate bene pubblico, perciò sarebbe necessaria la concessione amministrativa per permettere ai privati di utilizzarle; tuttavia, la L. 36/1994 rende libera l’utilizzazione delle acque sotterranee per usi domestici e la raccolta delle acque piovane. I flussi d’acqua sono considerati invece oggetto di diritto di utilizzazione, in quanto l’art. 812.1 c.c. colloca fra i beni immobili le sorgenti e i corsi d’acqua; il proprietario del fondo ha diritto ad utilizzare le acque, ma deve permettere a queste di defluire nei fondi altrui in quanto anche gli altri proprietari detengono il suo stesso diritto -Le azioni a difesa della proprietà- A difesa del diritto di proprietà sono previste dal codice civile le c.d. azioni petitorie: 15 - azione di rivendicazione: è disciplinata dall’art. 948 e mira all’accertamento del diritto di proprietà; essa spetta a chi si dichiara proprietario di un bene che si trova nel possesso o nella detenzione di altri: il giudice, condannerà la controparte alla restituzione del bene. Qualora il convenuto perda il possesso del bene, il proprietario è legittimato sia ad agire contro il nuovo possessore, sia a proseguire l’azione contro il possessore originario, il quale sarà costretto a recuperare il bene ovvero a versarne il risarcimento Oltre che con l’azione di rivendicazione, la cosa può essere recuperata con le azioni possessorie ovvero con la prova di un contratto dal quale deriva l’obbligazione di restituzione  l’attore deve dare la prova del proprio diritto di proprietà; l’azione di rivendicazione presuppone che il proprietario non abbia altro titolo per ottenere la restituzione della cosa se non il proprio diritto - azione negatoria: è disciplinata dall’art. 949 e mira all’accertamento dell’inesistenza di diritti reali minori sulla cosa; essa spetta al proprietario del bene nei confronti di chi pretende diritti su di esso: il giudice, condannerà la controparte a cessare le molestie della proprietà. Oltre che con l’azione negatoria, la cessazione delle molestie può essere ottenuta con l’azione di manutenzione  l’attore si limita a dare prova del proprio diritto, mentre incombe sul convenuto l’onere di provare l’esistenza del diritto preteso - azione di regolamento di confini: è disciplinata dall’art. 950 e mira alla determinazione del confine; essa spetta ai proprietari confinanti quando è incerto il confine che separa i due fondi  per l’accertamento è ammesso qualsiasi mezzo di prova Il diritto di proprietà è imprescrittibile, in quanto non si estingue/prescrive per un non uso prolungato; ciò accade solo qualora al non uso del proprietario corrisponda un possesso prolungato da parte di altri, ossia se opera l’usucapione (infatti, secondo il c.c., “l’azione di rivendicazione non si prescrive salvi gli effetti dell’acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione”). VI: Il possesso -Concetto di possesso- Situazione giuridica diversa dalla proprietà è il possesso: se la prima infatti è una situazione di diritto ed un diritto su una cosa (art. 832 c.c.: “diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”), la seconda è una situazione di fatto ed un potere su una cosa (art. 1140 c.c.: “potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio del diritto di proprietà”), e presenta una protezione giuridica autonoma.  differenza fra titolarità ed esercizio del diritto, ossia fra essere proprietario e comportarsi come proprietario di una cosa Di regola il proprietario è anche possessore della cosa, tuttavia vi sono casi in cui il possessore è persona diversa dal proprietario (es. furto, vendita nulla di cosa già consegnata); il possesso si dice pieno quando è corrispondente al diritto di proprietà, e si dice minore quando è corrispondente a diritti reali minori (es. possedere l’usufrutto o comportarsi da usufruttuario). Altra situazione diversa dal possesso è la semplice detenzione, che consiste nell’avere la cosa nella propria materiale disponibilità (es. abitare in un appartamento, usare un veicolo); infatti ciò che caratterizza il possesso, e che trasforma la mera detenzione in possesso, è l’animo o intenzione di possedere, ossia l’intenzione di comportarsi come proprietari della cosa (es. abito in un appartamento e non riconosco l’altrui proprietà, o perché sono io il proprietario, o perché il vero proprietario non esercita il suo diritto). Ancora si può avere la mera detenzione, ossia la detenzione della cosa per un titolo che implica il riconoscimento dell’altruità della stessa (es. locazione, noleggio, affitto); si può detenere la cosa nel proprio interesse, ovvero nell’interesse altrui, ma in ogni caso il proprietario continua ad essere possessore della cosa (esercita il suo diritto riscuotendo canoni, impartendo direttive etc.). Riassumendo, si può possedere in due modi: - possesso diretto: si detiene la cosa con l’animo di considerarla propria - possesso indiretto: si possiede la cosa per mezzo altri che ne hanno la detenzione Riguardo alla prova del possesso, vige una presunzione: chi esercita il potere di fatto sulla cosa, ossia ne è materiale detentore, si presume possessore, salvo che non si provi che la detenzione è basata su di un titolo che implica il riconoscimento dell’altrui possesso. All’art. 1141.2 c.c., sono previsti due casi di interversione del possesso, ossia di mutamento della detenzione in possesso: - quando il titolo, per il quale si ha la materiale disponibilità, muta per cause provenienti da terzi (es. detengo una cosa a titolo di locazione ma un terzo, sia esso proprietario o meno, me la vende o me 16 la lascia in eredità) - quando il detentore fa opposizione contro il possessore (si vanta proprietario) e dichiara di voler tenere la cosa come propria (es. smetto di pagare il canone di affitto al proprietario del fondo e dichiaro espressamente, o faccio capire tacitamente, che il fondo è mio e intendo tenerlo)  fuori da questi casi, il possesso è escluso: il detentore che si appropria della cosa detenuta, non è giuridicamente possessore, così come non lo è colui che compie atti di godimento sulla cosa con la tolleranza del proprietario (ad esempio per amicizia) Il possesso si può acquistare: - in modo originario, come nell’interversione del possesso - in modo derivativo, per trasmissione del possesso dal precedente al nuovo possessore; ciò avviene con: traditio: consegna materiale del bene; tale modo è valido solo per i beni mobili traditio ficta: consegna simbolica; tale modo è valido per i beni immobili traditio brevi manu: senza consegna poiché la cosa è già nella detenzione del nuovo possessore costituto possessorio: il proprietario vende la cosa ad un soggetto che contestualmente gliela dà in locazione (il precedente possessore diviene ora detentore) Il possessore si dice di buona fede quando possiede la cosa ignorando di ledere l’altrui diritto, mentre si dice di mala fede quando sa di possedere la cosa altrui; in entrambi i casi vi è protezione giuridica, tuttavia essa è maggiore nel caso di buona fede: infatti il possessore si presume di buona fede salvo prova contraria (è inoltre sufficiente la sola buona fede originaria).  lo stato di buona fede è escluso nel caso di colpa grave, perciò si considera in mala fede chi, pur ignorando l’altruità della cosa, poteva pervenirvi utilizzando un minimo di diligenza Altre due presunzioni si fanno a proposito della durata del possesso: infatti chi prova di essere possessore attuale e di aver posseduto anche in passato, si presume aver posseduto anche nel tempo intermedio, e chi prova il possesso attuale e il titolo dello stesso, si presume essere possessore dalla data del titolo. Nel possesso vale il principio della successione: il possesso dell’erede continua quello del defunto con la medesima qualificazione (se era di buona fede, rimane di buona fede); non vi è invece continuazione automatica nel caso di successione a titolo particolare, ma soltanto una facoltà di accessione al possesso attribuita al successore. -Diritti del successore nella restituzione al proprietario- Il proprietario della cosa, qualora non sia anche possessore, può esercitare contro di questi l’azione di rivendicazione per ottenere la restituzione del bene; esso nel frattempo avrà prodotto frutti la cui destinazione è disciplinata dall’art. 1148 c.c.: - possessore di buona fede: fa propri i frutti ed ha il diritto di ritenzione, ossia la facoltà di non restituire la cosa fino alla corresponsione delle indennità dovutegli per le eventuali riparazioni straordinarie o per le migliorie apportate - possessore di mala fede: deve restituire i frutti ma ha diritto al rimborso delle spese incontrate per la produzione e il raccolto e per le riparazioni straordinarie -Le azioni possessorie- Il possesso trova protezione giurisdizionale in quanto tale: ciò significa che non importa che il possessore sia anche proprietario (è protetto anche il possessore di beni demaniali). Se a difesa della proprietà abbiamo le azioni petitorie, a difesa del possesso abbiamo le azioni possessorie: - azione di reintegrazione o di spoglio: è disciplinata dall’art. 1168 e mira alla reintegrazione del possesso; essa spetta al possessore che sia stato violentemente (con forza/minacce) od occultamente (clandestinamente/di nascosto) spossessato della cosa mobile o immobile, e può essere esercitata entro 1 anno dallo spoglio, dopodiché il possesso si consolida nelle mani dell’autore dello spoglio e la cosa può essere recuperata con l’azione di rivendicazione solo da chi si dimostra proprietario.  essendo basata sull’altrui fatto violento od occulto, l’azione di reintegrazione è data a qualsiasi possessore, indipendentemente dalla durata del possesso o dal modo in cui egli se lo era procurato (anche se si tratta di possesso “illegittimo e abusivo”). Essa, però, spetta anche al detentore che detiene nel proprio interesse e sulla base di un rapporto stabile (es. inquilino dell’appartamento) - azione di manutenzione: è disciplinata dall’art. 1170 e ha un duplice campo di applicazione: spetta al possessore che sia stato molestato (impedito/ostacolato) nel godimento della cosa o che abbia subito turbative del possesso; in questo caso mira alla cessazione delle molestie spetta al possessore che abbia subito uno spoglio non violento o clandestino; in questo caso mira alla 17 restituzione della cosa Tale azione riguarda solo i beni immobili o le universalità di beni mobili e può essere esercitata entro 1 anno dalle turbative o dallo spoglio  l’azione di manutenzione è data solo se il possesso durava da oltre un anno, senza interruzioni, e se non era stato conseguito in modo violento o clandestino (ovvero in tal modo ma da almeno un anno dalla cessazione della violenza/clandestinità). Essa, a differenza dell’azione precedente, non spetta al detentore, che dovrà quindi rivolgersi al possessore affinché eserciti l’azione (eccezion fatta per il conduttore contro terzi) Le azioni possessorie spettano tanto al possessore quanto al proprietario, il quale agirà in veste di possessore spogliato/molestato; questo perché tali azioni offrono una protezione più rapida rispetto a quella data dalle azioni petitorie che richiedono la prova della proprietà. Va inoltre precisato che il possessore può esercitare tali azioni anche nei confronti del proprietario; ciò si desume dall’art. 705 c.proc.civ., che afferma che il convenuto non può difendersi in giudizio eccependo di essere il proprietario del bene. Tale divieto deriva dal fatto che il proprietario, per riprendersi il bene, deve esercitare l’azione di rivendicazione e non farsi giustizia da solo (solo allo Stato è consentito di farsi giustizia da sé); ciò significa che una volta terminato il giudizio possessorio, il proprietario potrà agire a sua volta contro il possessore aprendo un giudizio petitorio.  tuttavia, qualora dal giudizio possessorio possa derivare per il proprietario un pregiudizio irreparabile (es. il possessore vince il giudizio e fa sparire il bene), può essere richiesto il sequestro giudiziario del bene -Le azioni di nunciazione- Le azioni di nunciazione, sono azioni che spettano sia al possessore, sia al proprietario e che mirano a prevenire un danno che minaccia la cosa; esse sono: - denuncia di nuova opera: si esperisce allorché si tema che una nuova opera, da altri intrapresa, possa recare danno alla cosa di cui si è possessori/proprietari/titolari di altro diritto reale (es. il vicino ha iniziato a costruire ad una distanza inferiore a quella richiesta dalla legge); essa può essere esercitata fino a quando l’opera non è terminata, salvo che non sia trascorso un anno dal suo inizio - denuncia di danno temuto: si esperisce allorché si teme che dall’edificio o da altra cosa altrui, possa derivare un danno grave e imminente alla cosa di cui si è possessori/proprietari/titolari di altro diritto reale (es. l’edificio del vicino minaccia di crollare, travolgendo il proprio) Da tali azioni scaturisce un giudizio suddiviso in due fasi: nella prima viene emesso un provvedimento provvisorio e urgente con cui si vieta la continuazione dell’opera o se ne subordina la continuazione a particolari cautele, mentre nella seconda, che consta nel giudizio di merito, si arriva alla decisione circa l’effettiva esistenza del pericolo di danno e l’illiceità del comportamento del denunciato. VII: I modi di acquisto della proprietà -Acquisto a titolo originario e derivativo- Il codice civile, all’art. 922, prevede 9 modi di acquisto della proprietà (oltre agli “altri modi previsti dalla legge”); essi possono essere: - a titolo derivativo: quando si acquista sulla cosa il diritto di proprietà già spettante ad un precedente proprietario. Ricorre quando la cosa è trasferita dal precedente proprietario al nuovo, in forza di un contratto idoneo a trasferire la proprietà (es. vendita) ovvero a seguito di una successione (es. l’erede acquista la proprietà dei beni del defunto). L’avente causa acquista la proprietà della cosa solo se e solo come il dante causa ne era proprietario; vale il principio secondo cui nessuno può trasferire diritti maggiori di quelli che possiede - a titolo originario: quando il diritto di proprietà che si acquista sulla cosa è indipendente dal diritto di un precedente proprietario. Ricorre quando non c’è un precedente proprietario della cosa o quando il precedente proprietario l’ha abbandonata (si parla in questo caso di res nullius), o ancora quando il diritto del precedente proprietario soccombe di fronte al diritto di chi acquista a titolo originario; in particolare, abbiamo: occupazione, invenzione, accessione, specificazione, unione, commistione, usucapione. La proprietà si acquista libera da ogni diritto altrui che avesse gravato il precedente proprietario; vi è piena proprietà, vengono meno tutti i diritti sulla cosa così come tutte le garanzie reali -Occupazione e invenzione- 18 Gli art. 923-933 definiscono l’occupazione e l’invenzione. L’occupazione è il modo di acquisto delle cose mobili non appartenenti a nessuno, ossia delle res nullius; tale metodo richiede l’impossessamento della cosa e l’intenzione di farla propria e concerne le sole cose mobili in quanto quelle immobili, se non hanno un proprietario, appartengono allo Stato o alle regioni a statuto speciale. Per l’art. 923, sono cose suscettibili di occupazione le cose abbandonate, ossia quelle di cui il precedente proprietario si è liberato con l’intenzione di rinunciare alla loro proprietà, e gli animali che formano oggetto di pesca (prima rientravano anche quelli oggetto di caccia ma l’esigenza di protezione li ha resi parte del patrimonio indisponibile dello Stato); al di fuori del codice troviamo una terza ipotesi, concernente le cose mobili altrui occupate con il consenso del proprietario, sia esso espresso o tacito (es. raccolta di fiori o funghi o caccia nei limiti della legge).  le cose smarrite sono quelle di cui il vecchio proprietario ha perduto il possesso senza però rinunciare alla proprietà; per questo motivo non possono formare oggetto di occupazione L’invenzione è invece il modo di acquisto delle cose ritrovate, ossia delle cose smarrite e ritrovate da altri; il ritrovatore acquista la proprietà dopo 1 anno dalla pubblicazione del ritrovamento (in quanto le cose devono essere consegnate al sindaco della città), qualora lo smarritore non si sia presentato per far valere il suo diritto di proprietà (art. 929). Ancora, per invenzione si può acquistare la proprietà di un tesoro, definito dall’art. 932 come ogni cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare di essere proprietario (sono escluse le cose di interesse storico/archeologico che per legge appartengono allo Stato); se il ritrovamento è fatto dal proprietario del fondo, il tesoro è suo, mentre se è fatto da altri, spetta per metà al proprietario del fondo e per metà al ritrovatore. -Accessione, unione e commistione, specificazione- Gli art. 934-947 definiscono l’accessione, l’unione, la commistione e la specificazione. Secondo un antico principio la proprietà della cosa principale fa acquistare la proprietà anche delle cose ad essa accessorie; ed è proprio su questo principio che si basa il modo di acquisto della proprietà per accessione, del quale conosciamo 3 forme: - accessione di cosa mobile a cosa immobile: secondo l’art. 934, qualunque bene unito ad un bene immobile, accede a questo divenendo di proprietà del proprietario del bene immobile (es. costruisco una casa sul mio fondo). Può però capitare che qualcuno costruisca su suolo altrui, con propri materiali, all’insaputa del proprietario del fondo (il quale avrà diritto a ritenere la costruzione); nel caso in cui vi sia buona fede, al costruttore sarà dovuta una somma pari al costo dell’opera o al maggior valore conseguito dal suolo, mentre nel caso di mala fede, il costruttore può essere costretto a demolire la costruzione (art. 936). Ancora può capitare che, costruendo sul proprio fondo, il proprietario sconfini in buona fede sul fondo contiguo; in tal caso il giudice può attribuirgli la proprietà della parte di fondo occupata, obbligandolo però a pagare il doppio del suo valore (art. 938) - accessione di cosa immobile a cosa immobile: è il caso dell’alluvione (art. 941) o dell’avulsione (art. 944), fenomeni riscontrabili quando un fiume o un torrente, scorrendo, modifica l’estensione dei fondi toccati (nel secondo caso in modo sensibile); qui, il proprietario del fondo a valle, acquista la proprietà della maggiore estensione che il suo fondo ha ricevuto (nel secondo caso dovrà un’indennità al proprietario del fondo a monte che è stato sensibilmente ristretto). Diverse sono invece le conseguenze nel caso di alveo abbandonato, fenomeno che si ha quando un fiume si sposta abbandono il suo letto; in questo caso, la parte di terreno abbandonato, diventa di demanio pubblico (così anche per isole e unioni di terre) - accessione di cosa mobile a cosa mobile: si ha quando cose mobili appartenenti a diversi proprietari vengono unite o mescolate formando un tutt’uno inseparabile (art. 939): nel primo caso di ha unione (es. vernice usata per verniciare l’auto), nel secondo commistione (es. fusione di ferro e carbone); il proprietario della cosa principale, diviene proprietario del tutto, pagando all’altro il valore della sua cosa. Qualora non sia possibile determinare la cosa principale, si distingue: se le cose possono essere divise senza ulteriore deterioramento, ogni proprietario mantiene la propria cosa; se le cose non possono essere divise, vi sarà comproprietà La specificazione, è invece il modo di acquisto della proprietà della materia altrui da parte di chi la adopera per formare una nuova cosa (es. marmo altrui per costruire una statua); tuttavia, se il valore della materia supera notevolmente quello della mano d’opera, la proprietà spetta al proprietario della materia, che dovrà all’utilizzatore il prezzo della mano d’opera. -Il possesso di buona fede dei beni mobili e l’usucapione- 19 Anche il possesso permette l’acquisto a titolo originario della proprietà; in particolare: - beni mobili suscettibili di proprietà privata: nel momento stesso in cui lo si consegue, il possesso determina l’acquisto istantaneo della proprietà  ciò rende rapida e sicura la circolazione dei beni mobili Tradizionalmente si suol dire che il possesso vale titolo, e così è in due ipotesi: acquisto di cosa mobile da non proprietario (art. 1153 c.c.): colui al quale è alienata una cosa mobile da chi non ne è proprietario, ne acquista la proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al trasferimento della proprietà (es. acquisto un bene da chi non ne è proprietario, credendolo invece tale; qui la proprietà non passa a titolo derivativo, perché non si può trasferire un bene non proprio, ma passa a titolo originario, poiché vi è buona fede e sussiste un titolo idoneo, quale è la vendita) alienazione della stessa cosa mobile a più persone (art. 1155 c.c.): se qualcuno aliena la stessa cosa a diverse persone e con successivi contratti, ne acquista la proprietà quella tra esse che per prima ha, con buona fede, conseguito il possesso, anche se il suo contratto è successivo a quello dell’altra (es. il secondo acquirente acquista la cosa, che tuttavia non è più di chi gliel’ha venduta, in quanto vi è stato un precedente contratto; se l’acquirente è in buona fede, acquista comunque la proprietà della cosa tramite il possesso) Questo modo di acquisto della proprietà, permette al compratore di acquistare senza il rischio di dover restituire la cosa ad un terzo che se ne dimostri proprietario e garantisce al venditore una più facile vendita; perciò, resta sacrificato l’interesse del terzo proprietario a favore dell’interesse collettivo (es. il ladro ruba un bene, lo passa al ricettatore che lo passa ad un acquirente di buona fede; se la polizia risale alla cosa, essa rimane comunque nelle mani del possessore di buona fede). Tale modo non produce effetti (non rende proprietario il possessore) nei casi di: beni fuori commercio, in quanto qualificabili come beni patrimoniali indisponibili dello Stato (es. cose di valore storico, artistico o archeologico, ritrovate nel sottosuolo) e perciò non suscettibili di proprietà privata universalità di mobili, in quanto non destinate alla circolazione e perciò prive di esigenza di sicura e rapida circolazione mobili iscritti in pubblici registri, in quanto sottoposti ad una forma di pubblicità che li equipara ai beni immobili Oltre la proprietà, tale modo permette l’acquisto anche di altri diritti reali su cose mobili (usufrutto, uso) e del pegno - beni immobili: il possesso protratto nel tempo comporta l’acquisto della proprietà e la conseguente perdita di diritto del proprietario non possessore (situazione di fatto consolidata); tale modo è detto usucapione o prescrizione acquisitiva (art.1158)  il fondamento risiede nell’esigenza di assicurare la certezza dei diritti sulle cose, in quanto viceversa si finirebbe per frenare la circolazione dei beni e più in generale lo sviluppo economico Requisito essenziale dell’usucapione è un possesso goduto alla luce del sole, mentre risulta irrilevante la buona o mala fede del possessore; tale ultima circostanza infatti, rileva solo ai fini della durata, in quanto se il possesso è conseguito in modo violento o clandestino, il tempo utile per l’usucapione inizia a decorrere quando la violenza o la clandestinità cessa (es. per il ladro inizia a decorrere nel momento in cui la refurtiva non viene più tenuta nascosta). Tale modo di acquisto, semplifica la prova in giudizio del diritto di proprietà, in quanto sarebbe pressoché impossibile provare l’acquisto a titolo originario, soprattutto per ciò che concerne gli immobili; in questo modo, diviene sufficiente la sola prova del possesso per il tempo necessario ad usucapire (ovvero se il tempo è minore, si può sommare il proprio possesso a quello del dante causa, o ancora dimostrare che questi ha posseduto per il tempo sufficiente). Per ciò che concerne le tempistiche, avremo: 20 anni per: immobili (art. 1158) e universalità di beni mobili (art. 1160) 10 anni per: beni mobili registrati (art. 1162) e immobili acquistati in buona fede dal non proprietario in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà e debitamente trascritto (art. 1159) 3 anni per: beni mobili registrati acquistati in buona fede dal non proprietario in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà e debitamente trascritto (art. 1162) Anche i beni

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