Capitolo 3: Il Rapporto Giuridico Amministrativo PDF

Summary

This document details the Italian concept of the administrative legal relationship. It discusses the administrative function and activities, along with the powers and procedures involved. The text explains the relationship between public power and private interests, as well as the legal framework in Italian law.

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CAPITOLO 3: Il rapporto giuridico amministrativo **Le funzioni e l'attività amministrativa** è ora possibile intraprendere l'analisi della funzione di amministrazione attiva. Essa consiste nell'esercizio, attraverso moduli procedimentali, dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge ad appara...

CAPITOLO 3: Il rapporto giuridico amministrativo **Le funzioni e l'attività amministrativa** è ora possibile intraprendere l'analisi della funzione di amministrazione attiva. Essa consiste nell'esercizio, attraverso moduli procedimentali, dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge ad apparati pubblici al fine curare, nella concretezza dei rapporti giuridici con soggetti privati, l'interesse pubblico. Può essere utile anticipare, alcune nozioni generali. Tali nozioni costituiscono la trama all'interno della quale possono essere consentono di inquadrare la relazione fondamentale tra potere e interesse legittimo: cioè il rapporto giuridico amministrativo. →**Le funzioni.** La legge quando istituisce un apparato amministrativo, ne delinea anzitutto le funzioni corrispondenti alle finalità di interesse pubblico. il termine «funzione» ha una molteplicità di significati. Per es. esso può essere riferito ai vari tipi di attività posti in essere dagli apparati pubblici, e in questo senso si distingue tra funzione di regolazione, di amministrazione attiva e di controllo. Per [funzioni amministrative] si intendono i [compiti] che la legge individua come propri di un determinato apparato amministrativo, in coerenza con la finalità ad esso affidata. L'apparato è tenuto a esercitarle [per la cura in concreto dell'interesse pubblico.] In relazione a ciò la legge conferisce agli apparati amministrativi i poteri necessari (attribuzioni) e distribuisce la titolarità dei poteri tra gli organi che compongono l'apparato (competenze). Per esempio, la legge di riordino (il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112) che ha ridefinito i rapporti tra centro (Stato) e periferia (regioni ed enti locali). Il provvedimento mira a realizzare una sorta di federalismo amministrativo riferito a una serie ampia di materie. Per ciascuna di esse viene individuato un elenco tassativo di funzioni che continuano ad essere attribuite allo Stato. Tutte le funzioni residue, vengono trasferite alle regioni e agli enti locali, secondo il principio della sussidiarietà verticale. →**L'attività amministrativa**: L'esercizio delle funzioni amministrative comporta lo svolgimento da parte dell'apparato pubblico di una varietà di attività materiali e giuridiche. L'attività amministrativa consiste [nell'insieme delle operazioni, comportamenti e] [decisioni posti in essere o assunti da una pubblica amministrazione nell'esercizio di funzioni affidate ad essa da una legge.] L'attività amministrativa è rivolta a uno [scopo o fine pubblico,] cioè alla cura di un interesse pubblico e, per questo, anch'essa è dotata del carattere della doverosità. Il mancato esercizio dell'attività può essere fonte di responsabilità. All'attività amministrativa fa riferimento l'art.1 l. N. 241/1990 secondo il quale «l'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza». La nozione di attività amministrativa va tenuta distinta da quella di atto o provvedimento amministrativo. L'atto amministrativo, che costituisce un singolo episodio o un frammento dell'attività posta in essere da un apparato, si presta a essere valutato soprattutto sotto il profilo della conformità o meno all'ordinamento (legittimità) e dell'attitudine a soddisfare nel caso concreto l'interesse pubblico. Una questione interpretativa è stabilire dove vada posta la linea di confine tra attività amministrativa e attività di diritto privato in senso proprio della pubblica amministrazione. La giurisprudenza tende a ritenere che l'amministrazione svolge attività amministrativa «non solo quando esercita pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando, nei limiti consentiti dall'ordinamento, persegue le proprie finalità istituzionali mediante un'attività disciplinata in tutto o in parte dal diritto privato». **Il potere, il provvedimento, il procedimento** L'attività amministrativa può esprimersi, oltre che in operazioni materiali, nell'adozione di atti o provvedimenti amministrativi che sono la manifestazione concreta dei poteri amministrativi attribuiti dalla legge a un apparato pubblico. In relazione a ciascuna funzione la legge individua in modo puntuale i poteri conferiti al singolo apparato. **→Il potere**: La nozione di potere può essere riferita, oltre che al potere amministrativo: -al potere legislativo, che consiste nel [dettare norme generali e astratte] che innovano l'ordinamento giuridico; -al potere giurisdizionale, che consiste nel [risolvere una controversia] con una sentenza suscettibile di passare in giudicato e -al potere negoziale, che consiste nella possibilità di [disporre autonomamente dei propri interessi.] -I poteri amministrativi conferiscono agli apparati che ne assumono la titolarità una [capacità giuridica speciale di diritto pubblico] che si esprime in [provvedimenti produttivi di effetti giuridici nella sfera dei destinatari.] Il potere amministrativo pone il suo titolare in una posizione di sovra ordinazione rispetto al soggetto nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti giuridici prodotti in seguito al suo esercizio. Va posta la distinzione tra: 1. Potere in astratto: Ove l'amministrazione agisca in mancanza di una norma attributiva del potere, si configura un difetto assoluto di attribuzione che, determina la nullità del provvedimento. 2. Potere in concreto: Ogni qual volta poi si verifica una situazione di fatto conforme alla fattispecie tipizzata nella norma di conferimento del potere, l'amministrazione è legittimata a esercitare il potere (potere in concreto) e a provvedere così alla cura dell'interesse pubblico. Oltre che legittimata, in virtù del principio di doverosità l'amministrazione è tenuta ad avviare un procedimento che si conclude con l'emanazione di un atto o provvedimento autoritativo idoneo a incidere unilateralmente sulla sfera giuridica del soggetto destinatario e a porre una disciplina del rapporto che sorge tra il privato e l'amministrazione. Emerge così un elemento dinamico del potere, che dalla dimensione statica della norma si traduce in un atto concreto produttivo di effetti giuridici. L'unilateralità del potere non è un elemento indefettibile di quest'ultimo poiché esso può essere fatto oggetto, a certe condizioni, di un accordo con il destinatario dell'atto e dunque può acquisire una connotazione consensuale e bilaterale. → **L'atto e il provvedimento.** Nell'ordinamento italiano manca una definizione legislativa di atto o provvedimento amministrativo. Nel nostro ordinamento l'atto amministrativo costituisce invece una nozione, elaborata essenzialmente dalla dottrina e dalla giurisprudenza. Alcune indicazioni si possono peraltro ricavare sia dalla Costituzione sia dà alcune leggi generali. In particolare, l'a[rt. 113 Cost]. stabilisce che «Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale»; la legge determina quali organi giurisdizionali abbiano il potere di «annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge». Queste disposizioni richiamano due aspetti del regime giuridico degli atti amministrativi: - la loro sottoposizione necessaria, costituzionalmente garantita, a un controllo giurisdizionale operato dal giudice amministrativo e dal giudice ordinario; -la loro annullabilità nei casi di accertata difformità dei medesimi rispetto alle norme giuridiche. Il giudice amministrativo si pose subito il problema di quali caratteristiche dovessero avere gli atti delle amministrazioni per poter essere sottoposti al controllo giurisdizionale e contribuì così, insieme con la dottrina, a elaborare la teoria dell'atto amministrativo. le condizioni minime per poter accedere alla tutela giurisdizionale amministrativa riguardano un atto emanato da un'autorità amministrativa, ritenuto illegittimo che fosse lesivo di una situazione giuridica soggettiva del privato (interesse legittimo). Altre disposizioni legislative rilevanti si ritrovano nella l. N. 241/1990 che pone una disciplina generale del procedimento amministrativo e dell'atto amministrativo. - Anzitutto, l'art. 1, comma 1-bis, l. N. 241/1990, stabilisce, che la pubblica amministrazione agisce di regola secondo le norme del diritto privato «nell'adozione di atti di natura non autoritativa». Questi ultimi vanno dunque distinti dagli atti aventi natura autoritativa, per i quali, invece, vale il regime pubblicistico proprio degli atti amministrativi. - Inoltre, l'art. 3 l. N. 241/1990 chiarisce che ogni [provvedimento amministrativo deve essere motivato], indicando anche qui un elemento formale tipico degli atti amministrativi che li differenzia dagli atti privati. - Ancora, l'art. 7 prevede che l'avvio del procedimento deve essere comunicato «ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti» e l'art. 21-bis specifica che «il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata». Queste disposizioni richiamano implicitamente un'altra caratteristica dei provvedimenti e cioè l'autoritarietà (o imperatività) intesa come attitudine a determinare in modo unilaterale. Come emerge dalle disposizioni costituzionali e legislative, i termini «atto» e «provvedimento amministrativo» vengono utilizzati come sinonimi. In sede dottrinale, tuttavia, si è cercato di porre una distinzione tra: **▪ Atto amministrativo**: include ogni «dichiarazione di volontà, di desiderio, di conoscenza, di giudizio, compiuta da un soggetto dell\'amministrazione pubblica nell'esercizio di una potestà amministrativa». (per esempio, le proposte, le intimazioni) **▪ Provvedimento amministrativo**: può essere definito come una manifestazione di volontà, espressa dall'amministrazione titolare del potere all'esito di un procedimento amministrativo, volta alla cura in concreto di un interesse pubblico e tesa a produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei rapporti con i soggetti destinatari del provvedimento medesimo (per esempio, un'autorizzazione, una sanzione amministrativa, ecc.). **→Il procedimento**. La l. N. 241/1990 richiama già nel titolo e poi in numerose disposizioni la nozione di procedimento amministrativo. L'esercizio del potere avviene secondo il modulo del procedimento amministrativo, cioè attraverso una [sequenza, individuata] [anch'essa alla legge, di operazioni e di atti strumentali all'emanazione di un provvedimento amministrativo produttivo degli effetti] [giuridici tipici nei rapporti esterni.] Il procedimento assolve a una pluralità di funzioni: -garantire la partecipazione dei privati all'esercizio del potere attraverso la presentazione di memorie, di documenti, e ciò a tutela dei propri interessi che sono suscettibili di essere pregiudicati dall'emanando provvedimento amministrativo; -assicurare il coordinamento tra le pubbliche amministrazioni. **Il rapporto giuridico amministrativo** È il rapporto che intercorre tra la pubblica amministrazione che esercita un potere e un soggetto privato titolare di un interesse legittimo (relazione giuridica bilaterale). I rapporti giuridici interprivati vengono ricostruiti in base a diversi rapporti: 1)diritto soggettivo - obbligo, i cui termini si imputano rispettivamente al soggetto attivo e passivo del rapporto. [Il diritto soggettivo] : consiste in un potere di agire, riconosciuto e garantito dall'ordinamento giuridico, per soddisfare un proprio interesse. In capo al soggetto passivo del rapporto giuridico, sorge a seconda dei casi: - Un dovere generico negativo di astensione, cioè di non interferire o turbare l'esercizio del diritto (diritti assoluti,i diritti reali e della personalità); - Oppure un proprio obbligo giuridico, cioè il dovere specifico e positivo di porre in essere un determinato comportamento o attività a favore del titolare del diritto (diritti relativi, come i diritti di credito). 2)Accanto alla coppia diritto soggettivo-obbligo, il diritto privato conosce altri tipi di situazioni giuridiche e di relazioni che ci avvicinano alla dinamica del rapporto amministrativo caratterizzato invece dalla sussistenza di una relazione non paritaria tra la pubblica amministrazione che esercita il potere e il titolare dell'interesse legittimo. Per un verso, infatti, viene individuata una situazione giuridica soggettiva attiva: la potestà, che, a differenza di quanto accade per il diritto soggettivo, è attribuita al singolo soggetto per il soddisfacimento, anziché di un interesse proprio, di un interesse altrui. Si tratta cioè di un potere-dovere, nel senso che il soggetto è tenuto a esercitarla secondo criteri non già di «pieno», bensì di «prudente arbitrio», e nel farlo deve perseguire la finalità della cura dell'interesse altrui. Da qui i caratteri della [doverosità] e della [non arbitrarietà dell'esercizio del potere.] Una particolare categoria di diritti soggettivi è costituita dal [diritto potestativo], che consiste nel potere di produrre un effetto giuridico con una propria manifestazione unilaterale di volontà. I casi più tipici di diritto potestativo nei rapporti interprivati sono il diritto di prelazione il diritto recesso. L'unilateralità nella produzione degli effetti costitutivi, modificativi o estintivi di una situazione giuridica altrui costituisce una caratteristica anche dei poteri amministrativi. La produzione degli effetti giuridici segue usualmente lo schema norma-fatto-effetto giuridico. La norma individua in termini astratti gli elementi della fattispecie e l'effetto giuridico che ad essa si ricollega. Tutte le volte che nella vita economica e sociale si verifica un fatto concreto che è sussumibile nella fattispecie normativa si produce, in modo automatico, un effetto giuridico. Il diritto conosce anche un'altra tecnica di produzione degli effetti che segue lo schema norma-fatto-potere-effetto giuridico. Tra il fatto e l'effetto giuridico si interpone cioè un elemento aggiuntivo, il potere, e il titolare di quest'ultimo è pienamente libero di decidere se provocare con una propria "manifestazione di volontà l'effetto giuridico tipizzato dalla norma. È questo lo schema proprio del diritto potestativo. La dottrina processuale-civilistica distingue due tipologie di diritti potestativi: 1)[Diritti potestativi stragiudiziali]: la produzione dell'effetto giuridico tipico discende in modo diretto dalla manifestazione di volontà del titolare del potere. Si tratta dunque di un potere unilaterale e autosufficiente. (esempio è il potere del datore di lavoro di licenziare un dipendente per giusta causa). [2)Diritti potestativi a necessario esercizio giudiziale:] il prodursi dell'effetto giuridico tipico presuppone un previo accertamento giudiziale, in aggiunta alla dichiarazione di volontà del titolare del potere, che verifichi la sussistenza nella fattispecie concreta degli elementi previsti in astratto a livello di fattispecie normativa. (Esempi l'annullamento del contratto). Il potere amministrativo può essere ricondotto allo schema del diritto potestativo stragiudiziale: Infatti, [la produzione dell'effetto] [giuridico discende in modo immediato dalla dichiarazione di volontà dell'amministrazione che emana il provvedimento]. Inoltre, l'accertamento giurisdizionale può avvenire solo in via posticipata, cioè in seguito alla proposizione di un ricorso giurisdizionale innanzi al giudice amministrativo su iniziativa del soggetto privato nella cui sfera giuridica l'atto impugnato ha prodotto l'effetto. Nel caso del potere amministrativo questo schema trova giustificazione nell'esigenza di garantire [l'immediata realizzazione] [dell'interesse pubblico la cui cura è affidata all'amministrazione.] Sussistono tuttavia alcune specificità del potere amministrativo rispetto allo schema del diritto potestativo e in particolare di quello stragiudiziale. Il potere amministrativo, per un verso, trova fondamento diretto nella legge, cioè nella norma di conferimento del potere, piuttosto che nel consenso di colui nella cui sfera giuridica si produce l'effetto, e senza che sussista, di regola, un rapporto giuridico preesistente tra il soggetto privato e la pubblica amministrazione. In ogni caso, solo in senso figurato si può ritenere che la legge abbia un fondamento in ultima analisi consensuale, per il fatto cioè che, nei regimi parlamentari, essa è approvata dai rappresentanti degli elettori. Per altro verso, il potere conferito dalla legge alla pubblica amministrazione non è sempre integralmente vincolato. Anzi, di regola, all'amministrazione sono attribuiti margini più o meno ampi di apprezzamento e valutazione discrezionale che, come si vedrà, possono determinare una modulazione del contenuto e degli effetti del provvedimento emanato. **La norma attributiva del potere:** Secondo una classificazione tradizionale, le norme che si riferiscono alla pubblica amministrazione sono di 2 tipi - **Norme di azione**: disciplinano il potere amministrativo nell'interesse esclusivo della pubblica amministrazione, hanno come scopo assicurare che l'emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati e non hanno una funzione di protezione dell'interesse dei soggetti privati. - **Norme di relazione**: sono volte a regolare i rapporti intercorrenti tra l'amministrazione e i soggetti privati, a garanzia anche di questi ultimi, definendo l'assetto degli interessi e dirimendo i conflitti insorgenti tra cittadino e pubblica amministrazione. Una siffatta ricostruzione delle norme, appare troppo meccanica. Essa è legata, a una concezione dell'interesse legittimo, ormai in via di superamento. Appare dunque preferibile utilizzare la formula più generica di **norma attributiva del potere**. In attuazione del principio di legalità la norma attributiva del potere [individua gli elementi caratterizzanti il potere] attribuito a un apparato pubblico: 1)[soggetto competente]: ogni potere amministrativo deve essere attribuito in modo specifico alla titolarità di uno e un solo soggetto e, ove l'organizzazione di questo si articoli in una pluralità di organi, a uno e un solo organo. La norma deve dunque individuarlo con precisione. L'atto emanato da un soggetto o organo diverso a quello previsto è affetto da vizio di incompetenza. [2)il fine pubblico]: costituisce un elemento che è specificato dalla norma di conferimento del potere o che può essere ricavato implicitamente dalla legge che disciplina la particolare materia. Il fine pubblico è invece etero imposto dalla norma: quest'ultima orienta le scelte effettuate in concreto dall'amministrazione e condiziona in ultima analisi, la legittimità del provvedimento emanato. La violazione del vincolo del fine, cioè il perseguimento da parte del procedimento emanato di un fine diverso da quello previsto dalla norma, configura un vizio di eccesso di potere per sviamento. 3)I [presupposti e i requisiti:] la norma attributiva del potere deve individuare i presupposti e i requisiti sostanziali in presenza dei quali il potere sorge e può essere esercitato. La loro sussistenza in concreto è una delle condizioni per l'esercizio legittimo del potere. L'espressione «presupposti e requisiti di legge» è utilizzata dall'art. 19 l. n. 241/1990 ed è riferita alle autorizzazioni c.d. vincolate che, sono sostituite dalla c.d. segnalazione certificata d'inizio di attività (SCIA), cioè da una semplice comunicazione effettuata dal privato all'amministrazione contestuale all'avvio dell'attività. Analogamente l'art. 6 prevede che il responsabile del procedimento valuti a fine istruttoria «le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione ed i presupposti che siano rilevanti per l'emanazione del provvedimento». (per fare un esempio, il Testo unico in materia edilizia a proposito del permesso di costruire, indica come presupposti la conformità del progetto alle previsioni degli strumenti urbanistici dei regolamenti edilizi e in generale della disciplina urbanistico - edilizia vigente). a seconda delle espressioni linguistiche utilizzate, il potere può risultare più o meno ampiamente vincolato o, per converso, più o meno ampiamente discrezionale. Ciò lungo una linea continua delimitata da due estremi. - Al primo estremo si collocano i poteri integralmente vincolati: l'amministrazione non ha altro compito se non quello di verificare, se nella fattispecie concreta siano rinvenibili tutti gli elementi indicati dalla norma attributiva e, nel caso positivo, di emanare il provvedimento che produce gli effetti anch'essi rigidamente predeterminati dalla norma; - Al secondo estremo si pongono i poteri sostanzialmente «in bianco» (per esempio, le ordinanze di necessità e di urgenza) che rimettono al soggetto titolare del potere spazi pressoché illimitati di apprezzamento, di valutazione delle fattispecie concrete e di determinazione delle misure necessarie per tutelare un determinato interesse pubblico. In generale, gli spazi di valutazione dei fatti costitutivi del potere sono tanto più ampi quanto più la norma d'azione fa ricorso ai «concetti giuridici indeterminati». La norma definisce cioè i presupposti e i requisiti con formule linguistiche tali da non consentire di accertare in modo univoco il loro verificarsi in concreto. I concetti giuridici indeterminati possono essere di due categorie: -i concetti empirici o descrittivi che si riferiscono al modo di essere di una situazione di fatto (es. la «pericolosità» di un edificio lesionato); involgono giudizi a carattere tecnico- scientifico -concetti normativi o di valore contengono un ineliminabile elemento di soggettività (es.un film «adatto» al pubblico dei minori), che involgono giudizi di valore e coprono, un'area della discrezionalità amministrativa. In generale, si ritiene che i concetti giuridici indeterminati presentino un «nocciolo» di certezza, perché di una determinata situazione concreta vi è dubbio se essa possa essere sussunta o meno nel parametro normativo, e un «alone» di incertezza, trattandosi di situazioni limite nelle quali una siffatta opera di sussunzione è incerta e opinabile. Sorge così il problema di chi abbia il «diritto di ultima decisione» cioè se ed entro quali limiti le valutazioni compiute dall'amministrazione in sede di interpretazione e di applicazione dei concetti giuridici indeterminati possano essere sindacate dal giudice. In un mondo ideale che realizzi al massimo grado lo Stato diritto, i poteri amministrativi dovrebbero essere integralmente vincolati. Tuttavia, un siffatto ideale è irraggiungibile perché presuppone l'onniscienza del legislatore e la sua capacità di intervenire in modo tempestivo ad aggiornare le norme vigenti. 4)[Le modalità di esercizio del potere e i requisiti di forma:] La norma di conferimento del potere può disciplinare anche l'elemento temporale dell'esercizio del potere. Può: -in primo luogo individuare un termine per l'avvio dei procedimenti d'ufficio. -In secondo luogo può specificare il termine massimo entro il quale, una volta avviato il procedimento, l'amministrazione deve emanare il provvedimento conclusivo. L'art. 21 l. n. 241/1990 pone un sistema di regole articolato volto a individuare per tutti i tipi di procedimenti il termine in questione, attuando così il principio di certezza del tempo dell'agire della p.a. -In terzo luogo, le leggi amministrative scandiscono talora anche i tempi per l'adozione degli atti endoprocedimentali. Così, in particolare, la l. N. 241/1990 prevede che gli organi consultivi dell'amministrazione debbano rendere i pareri richiesti entro un termine generale di 20 giorni (art. 16) che gli organi tecnici debbano esprimere le valutazioni richieste entro 90 giorni (art. 17). [5)gli effetti giuridici] :la norma attributiva del potere individua in termini astratti gli effetti che l'atto amministrativo può produrre una volta emanato all'esito del procedimento. Più in generale, i provvedimenti amministrativi hanno l'attitudine a produrre effetti costitutivi, cioè possono costituire, modificare o estinguere situazioni giuridiche di cui sono titolari i destinatari dei provvedimenti. Sono esempi di provvedimenti con effetti costitutivi in senso stretto le concessioni amministrative per l'uso esclusivo di un bene demaniale che attribuiscono in capo a un soggetto privato un diritto soggettivo a svolgere una certa attività (per esempio per l'installazione e la gestione di uno stabilimento balneare). Sono esempi di provvedimenti con effetti modificativi la sanzione disciplinare di sospensione dall'iscrizione a un albo professionale che impedisce per un tempo determinato lo svolgimento dell'attività. L'esempio di provvedimento con effetti estintivi è il decreto di espropriazione che fa venir meno in capo al proprietario del bene immobile il diritto di proprietà la cui titolarità viene trasferita alla pubblica amministrazione o ad altro soggetto in favore del quale il procedimento di espropriazione è stato attivato. → **Discrezionalità**: connota l'essenza stessa dell'amministrare, cioè della cura in concreto degli interessi pubblici. Tale attività presuppone che l'apparato titolare del potere abbia la possibilità di scegliere la soluzione migliore nel caso concreto. Emerge qui una tensione quasi insanabile con il principio di legalità inteso in senso sostanziale, che porterebbe ad attribuire all'amministrazione soltanto poteri vincolati. Ma ciò, oltre ad essere impossibile sarebbe inopportuno. Infatti, le situazioni concrete nelle quali l'amministrazione de[ve intervenire hanno un grado ineliminabile di contingenza e di impre](https://www.studocu.com/de-at?utm_campaign=shared-document&utm_source=studocu-document&utm_medium=social_sharing&utm_content=riassunto-manuale-clarich)vedibilità tale da richiedere nel decisore un qualche spazio di [adattabilità della misura da disporre.](https://www.studocu.com/de-at?utm_campaign=shared-document&utm_source=studocu-document&utm_medium=social_sharing&utm_content=riassunto-manuale-clarich) Infatti, allorché il potere è integralmente vincolato, a rigore, i soggetti privati sono in grado di valutare da soli se una certa attività o un certo comportamento sono ad essi consentiti. Si spiega così perché, l'art. 19 l. N. 241/1990 abbia introdotto per molte autorizzazioni vincolate un regime di liberalizzazione: il privato autovaluta se ha titolo per svolgere una certa attività, la intraprende sulla base di una semplice comunicazione all'amministrazione, mentre il controllo da parte di quest'ultima sulla conformità dell'attività alla legge può avvenire soltanto a posteriori. Se dunque, i veri poteri sono quelli discrezionali, sorge il problema teorico e pratico di come conciliare due esigenze: -attribuire all'amministrazione quel tanto di discrezionalità che consente la flessibilità necessaria per gestire i problemi della collettività; -evitare che la discrezionalità si traduca in arbitrio. Su questo punto emerge una differenza rispetto al diritto privato nel quale l'autonomia negoziale è espressione della libertà dei privati di provvedere alla cura dei propri interessi. Ove si mantengano nei limiti del lecito, le scelte dei privati non sono sottoposte a regole particolari volti a guidare la formazione della volontà. Basta cioè che il soggetto privato sia pienamente capace e che la sua volontà non sia affetta da vizi. L'amministrazione titolare di un potere invece ha un ambito di libertà più ristretto, in quanto la scelta tra una pluralità di soluzioni può avvenire, non solo nel rispetto dei limiti per così dire esterni posti dalla norma di conferimento del potere e dei principi generali dell'azione amministrativa, ma anche nel rispetto di un vincolo per così dire interno consistente nel dovere di perseguire il fine pubblico. Queste regole sono ora enunciate nell'art. 1 l. N. 241/1990, secondo il quale, come si è visto, l'attività [amministrativa] [«persegue i fini determinati dalla legge»] ed è retta da criteri «di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza». Volendo porre una definizione di discrezionalità amministrativa, essa consiste nel [margine di scelta che la norma rimette] [all'amministrazione affinché essa possa individuare, tra quelle consentite, la soluzione migliore per curare nel caso concreto] [l'interesse pubblico.] La scelta avviene attraverso una valutazione comparativa (ponderazione) degli interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie, acquisiti nel corso dell'istruttoria procedimentale. Fra di essi vi è anzitutto il c.d. [interesse pubblico primario] individuato dalla norma di conferimento del potere e affidato alla cura dell'amministrazione titolare del potere. Compito di quest'ultima è massimizzare la realizzazione dell'interesse primario. Tuttavia, l'interesse primario deve essere messo a confronto e valutato alla luce di interessi secondari rilevanti. In alcuni casi essi sono individuati direttamente dalle norme che disciplinano il particolare tipo di procedimento, Altri emergono nel corso dell'istruttoria. Tra gli interessi secondari si annoverano non soltanto gli altri interessi pubblici incisi dal provvedimento, ma anche gli interessi dei privati, i quali possono partecipare al procedimento proprio allo scopo di rappresentare il proprio punto di vista con la presentazione di memorie e di documenti che l'amministrazione ha l'obbligo di valutare (art. 10 l. N. 241/1990). Così, per esempio, per elaborare e approvare il progetto di un'autostrada o di una tratta ferroviaria, l'amministrazione deve tener conto, oltre che dell'interesse primario alla viabilità, anche di quello relativo alla tutela dell'ambiente. In definitiva, la scelta operata dall'amministrazione deve [contemperare l'esigenza di massimizzare l'interesse pubblico primario con] [quella di causare il minor sacrificio possibile degli interessi secondari incisi dal provvedimento]. L'amministrazione deve dar conto dell'attività di ponderazione degli interessi nella [motivazione del provvedimento], e ciò al fine di garantire la [trasparenza] nel processo decisionale. La discrezionalità amministrativa incide su quattro elementi logicamente distinti: 1. Sull'an, cioè sul [se esercitare] il potere in una determinata situazione concreta ed emanare il provvedimento. 2. Sul quid, cioè sul [contenuto] del provvedimento che, all'esito della valutazione degli interessi, pone la regola per il caso singolo. 3. Sul quomodo, cioè [sulle modalità] da seguire per l'adozione del provvedimento. 4. Sul quando, cioè sul [momento] più opportuno per esercitare un potere d'ufficio avviando il procedimento e, una volta aperto quest'ultimo, per emanare il provvedimento, pur tenendo conto dei termini massimi per la conclusione del procedimento (stabiliti in base all'art. 2 l. n. 241/1990). Nel corso del procedimento la discrezionalità può cioè ridursi via via fino ad annullarsi del tutto. In questo caso si parla di vincolatezza in concreto, da contrapporre alla vincolatezza in astratto che si verifica allorché la norma predefinisce in modo puntuale tutti gli elementi che caratterizzano il potere. Una riduzione dell'ambito della discrezionalità può avvenire anche per un'altra via, ovvero attraverso l'auto vincolo alla discrezionalità. Di frequente tra la norma di conferimento del potere che concede all'amministrazione spazi di discrezionalità più o meno ampi e provvedimento concreto assunto all'esito della valutazione si interpone la predeterminazione da parte della stessa amministrazione di criteri e parametri che vincolano l'esercizio della discrezionalità. Ciò accade di regola, per esempio, nei giudizi valutativi espressi da commissioni di concorso le quali sono tenute a specificare, prima di esprimere le proprie valutazioni sui singoli candidati, i parametri di giudizio già previsti nella normativa di riferimento e nel bando. Ciò accresce l'oggettività, la trasparenza e la sindacabilità delle decisioni, perché i criteri così stabiliti vincolano l'attività dell'amministrazione e la violazione dei medesimi è sindacabile da parte del giudice amministrativo in modo non dissimile dalla violazione di norme giuridiche in senso proprio. **→Il merito amministrativo**: Il merito ha una dimensione essenzialmente negativa residuale: esso si riferisce all'eventuale [ambito] [di scelta spettante all'amministrazione]. Se il potere è integralmente vincolato lo spazio del merito risulta nullo. Il merito connota l'attività dell'amministrazione da considerare essenzialmente libera. **→Le valutazioni tecniche**: La discrezionalità amministrativa va tenuta distinta dalle valutazioni tecniche. Esse si riferiscono ai casi in cui la norma attributiva del potere, nel ricorrere alla tecnica dei concetti giuridici indeterminati di tipo empirico, rinvia a nozioni tecniche o scientifiche che in sede di applicazione alla fattispecie concreta presentano margini di opinabilità. Spesso le valutazioni tecniche sono espresse da organi appositi chiamati a rendere il loro giudizio nell'ambito del procedimento. L'art. 17 l. N. 241/1990 regola le modalità attraverso le quali il responsabile del procedimento procede ad acquisirle. Tra le valutazioni tecniche rientrano, per citare qualche esempio, in aggiunta a quelli fatti a proposito dei concetti giuridici indeterminati, i giudizi medici aventi per oggetto l'idoneità ad essere arruolati nelle forze militari o di polizia. In caso di valutazioni tecniche che presentano un oggettivo margine di opinabilità, il giudice può soltanto sindacare che il provvedimento non abbia esorbitato da essi. Nel sindacare le valutazioni tecniche il giudice amministrativo è ormai agevolato dal fatto di poter ricorrere allo strumento della consulenza tecnica d'ufficio nominando un esperto il quale, in contraddittorio con i consulenti delle parti, fornisce una risposta a quesiti su questioni tecniche posti dal giudice. Le valutazioni tecniche vanno distinte anche dai meri accertamenti tecnici. Questi ultimi si riferiscono a fatti la cui esistenza o inesistenza è verificabile in modo univoco, sia pure con l'impiego di strumenti tecnici. A differenza delle valutazioni tecniche, i meri accertamenti tecnici possono essere sindacati in modo pieno dal giudice amministrativo nell'ambito del giudizio di legittimità. **L'interesse legittimo** È possibile passare a considerare il termine passivo del rapporto giuridico amministrativo, cioè l'interesse legittimo. l'interesse legittimo trova un riconoscimento costituzionale nelle disposizioni dedicate alla tutela giurisdizionale (artt. 24, 103, 113). La rilevanza della distinzione tra l\'interesse legittimo e diritto soggettivo è duplice: - E' elevata a criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, il primo investito della giurisdizione sui diritti soggettivi, il secondo della giurisdizione sugli interessi legittimi; - in precedenza escludeva la responsabilità civile della pubblica amministrazione per il danno derivante da una lesione di interessi legittimi. Questo secondo aspetto è stato superato ad opera della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 500/1999 che ha aperto la strada alla risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo. Per dar conto della nascita dell'interesse legittimo occorre partire dalla legge 2248/1865 che attribuì al giudice civile la giurisdizione in tutte le controversie tra il privato e la pubblica amministrazione nelle quali si facesse questione di un «diritto civile o politico» ossia di un diritto soggettivo, quando la controversia fosse correlata all'emanazione di un provvedimento amministrativo. Nella prassi interpretativa il giudice civile dimostrò timidezza nel sindacare l'operato dell'amministrazione nell'esercizio dei propri poteri discrezionali. Ciò creò un vero e proprio vuoto di tutela di fronte a numerosi casi di illegittimità e abusi da parte dell'amministrazione. Da qui l'origine della legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, che mirava a integrare la legge del 1865 introducendo un nuovo rimedio per tutelare tutte le situazioni non qualificabili come diritto soggettivo. La IV Sezione venne dunque investita del potere di [decidere sui ricorsi contro gli atti o provvedimenti amministrativi illegittimi] aventi per oggetto «un interesse d'individui o di enti giuridici. La giurisprudenza e la dottrina si dovettero confrontare subito con il problema di riempire di contenuto la formula generica di «interesse», posta dal legislatore. Dell'interesse legittimo sono state offerte nel tempo una pluralità di ricostruzioni, ormai in gran parte superate: **1)Il diritto fatto valere come interesse**: Inizialmente vi fu chi ritenne che la situazione giuridica soggettiva fosse un normale diritto «fatto valere come interesse». Era così rimessa alla libera scelta del privato, in funzione del tipo di tutela che intendeva ottenere, la via giurisdizionale da perseguire. Ma questa concezione fu subito disattesa dalla giurisprudenza. **2)L'interesse legittimo come interesse di mero fatto:** Per lungo tempo, un filone dottrinale negò all'interesse legittimo la consistenza di vera e propria situazione giuridica soggettiva avente natura sostanziale, attribuendo ad essa soltanto un significato processuale. L'interesse legittimo fu cioè considerato come un interesse di mero fatto, tale però da far sorgere in capo al privato un interesse processuale ad attivare la tutela innanzi al giudice amministrativo nel momento in cui l'amministrazione emana un atto amministrativo illegittimo che determina una lesione a tale interesse di mero fatto. **3)Il diritto alla legittimità degli atti**: Secondo un'altra visione, l'interesse legittimo doveva essere qualificato come un «diritto alla legittimità degli atti della funzione governativa» cioè un diritto soggettivo avente per oggetto esclusivamente la pretesa formale a che l'azione amministrativa sia conforme alle norme che regolano il potere esercitato. **4) Il diritto affievolito:** un'altra interpretazione, consiste nella cosiddetta teoria della «degradazione» o dell'«affievolimento». Essa considera l'interesse legittimo come un «diritto affievolito», cioè come la risultante dell'atto di esercizio del potere amministrativo. Il provvedimento autoritativo ancorché illegittimo, è idoneo a travolgere il diritto soggettivo trasformandolo in semplice interesse legittimo. Tipico esempio di diritto affievolito è il diritto di proprietà inciso dal potere espropriativo. La categoria dei diritti soggettivi affievoliti fa coppia con quella simmetrica dei cosiddetti diritti soggettivi «in attesa di espansione». Si tratta di diritti, già attribuiti in astratto alla titolarità di un soggetto privato, il cui esercizio è però condizionato all'esercizio di un potere dell'amministrazione, nei confronti del quale il titolare del diritto può vantare un semplice interesse legittimo. Tipico esempio è quello dell'autorizzazione ad aprire un esercizio commerciale. **5)L'interesse occasionalmente protetto**: Questa impostazione emerge in un'altra definizione dell'interesse legittimo come interesse occasionalmente (indirettamente) protetto da una norma (la norma d'azione) volta a tutelare in modo diretto e immediato l'interesse pubblico. Secondo questa visione, le norme che disciplinano il potere hanno come scopo primario la tutela dell'interesse pubblico e il soggetto privato può trovare in esse una protezione solo in via indiretta. La norma attributiva del potere offre in definitiva al titolare dell'interesse legittimo una tutela strumentale, mediata attraverso l'esercizio del potere, anziché finale, come accade invece per il diritto soggettivo, nel quale la norma attribuisce al suo titolare in modo diretto un certo bene della vita o utilità. Ove il potere sia stato esercitato in modo non conforme alla norma attributiva del potere, il titolare dell'interesse legittimo può proporre ricorso al giudice amministrativo al fine di ottenere l'annullamento del provvedimento lesivo, cioè la rimozione con efficacia ex tunc degli effetti da esso prodotti. **→Le ricostruzioni più recenti dell'interesse legittimo**: Le definizioni tradizionali dell'interesse legittimo sin qui esaminate sono state variamente criticate dalla dottrina. L'impianto delineato è entrato in crisi in seguito all'emergere di una nuova sensibilità, più in linea con i valori espressi dalla Costituzione, dall'ordinamento europeo e dalla l. N. 241/1990. Essa muove, dall'esigenza di offrire una protezione più completa delle situazioni giuridiche soggettive. Si è sottolineato che la Costituzione attribuisce ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi una pari dignità e che pertanto a entrambi l'ordinamento deve assicurare una tutela piena ed effettiva. La svolta è avvenuta con la [sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 500/1999]. La Corte ha affermato la risarcibilità per un interesse legittimo qualora sia rilevabile una lesione a un bene della vita già ascrivibile in qualche modo alla sfera giuridica del soggetto privato titolare dell'interesse legittimo. Se dalla ricostruzione della fattispecie, emerge invece che il titolare dell'interesse legittimo, soprattutto in presenza di poteri discrezionali, non ha una ragionevole aspettativa a poter acquisire o a conservare un bene della vita, non vi è spazio per una tutela risarcitoria. La giurisprudenza ha inquadrato la tutela risarcitoria dell'interesse legittimo devoluta ora alla giurisdizione del giudice amministrativo. (Il Consiglio di Stato ha definito l'interesse legittimo come «la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita interessato dall'esercizio del potere pubblicistico, che si compendia nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa dell'interesse al bene», e ha sottolineato che «l'interesse effettivo che l'ordinamento intende proteggere è quindi sempre l'interesse ad un bene della vita»). All'esito dell'evoluzione ora tratteggiata si può dunque affermare che la norma di conferimento del potere abbia la doppia ed equiordinata funzione di tutelare l'interesse pubblico e di tutelare l'interesse del privato. Nella [dinamica del rapporto giuridico amministrativo:] -da un lato, l'amministrazione titolare del potere cura in via primaria l'interesse pubblico (pur dovendo tener conto anche degli altri interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie); -dall'altro, il titolare dell'interesse legittimo mira esclusivamente al proprio interesse individuale, con libertà di scegliere le forme di tutela da attivare nel processo e prima ancora nell'ambito del procedimento amministrativo. In definitiva, volendo proporre una [definizione sintetica]: **l'interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva, correlata al potere della pubblica amministrazione e tutelata in modo diretto dalla norma di conferimento del potere, che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà volti a influire sull'esercizio del potere medesimo allo scopo di conservare o acquisire un bene della vita.** I poteri e le facoltà del soggetto si esplicano principalmente, all'interno del procedimento attraverso l'istituto della [partecipazione] (artt. 7 ss. l. N. 241/1990). Essa consente al privato di [rappresentare il proprio punto di vista presentando memorie e documenti] e, prima ancora, mediante l'accesso agli atti del procedimento. Il privato può così cercare di orientare valutazioni discrezionali dell'amministrazione in senso a sé favorevole. Il privato può persino sottoporre all'amministrazione proposte che possono sfociare, ove accolte, in un accordo avente per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento (art. 11 l. N. 241/1990). Siffatti poteri e facoltà tendono a riequilibrare in parte la posizione di soggezione nei confronti del titolare del potere. In capo [all'amministrazione] sorgono una serie di [doveri comportamentali nella fase procedimentale] e nella fase decisionale (imparzialità, ragionevolezza), che sono finalizzati anche alla tutela dell'interesse del soggetto privato. La «prestazione» che viene così richiesta all'amministrazione ha natura infungibile (insostituibile), in quanto il titolare dell'interesse legittimo può acquisire o conservare una certa utilità esclusivamente tramite l'esercizio o il mancato esercizio del potere da parte dell'unica autorità competente in base alla norma d'azione. In conclusione, l'interesse legittimo ingloba in sé: -sia una dimensione passiva (situazione di soggezione, rispetto alla produzione degli effetti), -sia una dimensione attiva (pretesa a un esercizio legittimo del potere e possibilità di esercitare una serie di poteri e facoltà nei confronti dell'amministrazione da far valere nel procedimento o anche in sede giurisdizionale). **Gli interessi legittimi oppositivi, pretensivi** [Sotto il profilo funzionale] gli interessi legittimi possono essere suddivisi in due categorie: 1. **Gli interessi legittimi oppositivi:** sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide negativamente e che restringe la sfera giuridica del destinatario. Si pensi, per esempio, al potere di espropriazione. 2. **Gli interessi legittimi pretensivi**: sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide positivamente e che amplia la sfera giuridica del destinatario, dando soddisfazione all'interesse di quest'ultimo. Si pensi, per esempio, al potere di rilasciare una concessione per l'uso di un bene demaniale. -Negli interessi legittimi oppositivi il rapporto procedimentale assume una [dinamica di contrapposizione]: nel senso che il titolare dell'interesse legittimo oppositivo cercherà di intraprendere tutte le iniziative volte a contrastare l'esercizio del potere che sacrifica un suo bene della vita. Il suo interesse a evitare che si determini una compressione della propria sfera giuridica è soddisfatto nel caso in cui l'amministrazione, all'esito del procedimento, si astenga dall'emanare il provvedimento che produce l'effetto negativo. Non rileva, peraltro, dal punto di vista del soggetto privato se l'omessa emanazione del provvedimento sia legittima o illegittima. Al titolare dell'interesse legittimo oppositivo, infatti, interessa soltanto non veder sacrificata o compressa la propria sfera giuridica, cioè a conservare il bene della vita. Nel caso degli interessi legittimi oppositivi il procedimento si apre usualmente d'ufficio e la comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo. -Negli interessi legittimi pretensivi il rapporto procedimentale assume una [dinamica più collaborativa]: nel senso che il titolare dell'interesse legittimo pretensivo cercherà di porre in essere tutte le attività volte a stimolare l'esercizio del potere e a orientare la scelta dell'amministrazione in modo tale da poter conseguire il bene della vita. Il suo interesse a far sì che si determini un ampliamento della propria sfera giuridica è soddisfatto nel caso in cui l'amministrazione, all'esito del procedimento, emani il provvedimento che produce l'effetto positivo. Anche qui non rileva, dal punto di vista del privato se l'emanazione del provvedimento sia legittima o illegittima. Il procedimento si apre in seguito alla presentazione di un'istanza o domanda di parte che fa sorgere l'obbligo di procedere e di provvedere in capo all'amministrazione titolare del potere (art. 2 l. n. 241/1990) e che instaura il rapporto giuridico amm. Anche il processo amministrativo e la tipologia di azioni esperibili presentano caratteri propri in funzione del diverso bisogno di tutela: -Nel caso degli interessi legittimi oppositivi: L'annullamento dell'atto impugnato con efficacia ex tunc (retroattiva) soddisfa in modo specifico il bisogno di tutela della conservazione del bene della vita compromesso del ricorrente che viene reintegrato nella situazione in cui esso si trovava prima dell'emanazione del provvedimento. -Nel caso degli interessi legittimi pretensivi il bisogno di tutela è correlato invece all'interesse all'acquisizione del bene della vita per mezzo dell'emanazione del provvedimento. Rispetto a tale bisogno l'annullamento del provvedimento di diniego o l'accertamento dell'inadempimento dell'obbligo di concludere il procedimento nel termine stabilito si rivelano insufficienti. Infatti non determinano in via immediata l'acquisizione del bene della vita in capo al titolare dell'interesse legittimo che richiede invece l'adozione da parte dell'amministrazione del provvedimento. (L'azione che consente questo risultato è la azione di adempimento, cioè l'azione di condanna a un facere specifico (ammessa da molti decenni dall'ordinamento processuale tedesco). L'accoglimento di quest'ultima da parte del giudice presuppone che nell'ambito del processo sia possibile accertare in modo pieno e completo la fondatezza della pretesa sostanziale e non residuino in capo all'amministrazione spazi di discrezionalità. In quest'ultimo caso, la sentenza del giudice amministrativo non può andare al di là dell'accertamento dei profili vincolati del potere e della condanna a provvedere sull'istanza. Altrimenti il giudice amministrativo sconfinerebbe dall'ambito della giurisdizione di legittimità sovrapponendo il proprio ruolo a quello dell'amministrazione titolare del potere alla quale sono riservate le valutazioni propriamente discrezionali). Anche la tutela risarcitoria, che è necessaria per soddisfare i bisogni di tutela non coperti dalla tutela specifica si atteggia diversamente: \- Con riferimento agli interessi oppositivi: essa riguarda i danni derivanti dalla privazione o limitazione nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecuzione. Per esempio, se dopo l'emanazione di un decreto di esproprio si è avuta l'esecuzione con l'apprensione materiale del terreno, una volta annullato il provvedimento, il proprietario deve essere risarcito del danno conseguente il mancato godimento del bene nel periodo intercorrente tra l'esecuzione del provvedimento espropriativo e la restituzione del bene medesimo. La lesione del bene della vita e il diritto al risarcimento conseguono immediatamente e automaticamente all'annullamento del provvedimento -Con riferimento agli interessi legittimi pretensivi: la tutela risarcitoria riguarda i danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di diniego o l'amministrazione sia rimasta inerte (per esempio, il mancato o ritardato avvio di un'attività commerciale sottoposta a un regime di autorizzazione). La lesione del bene della vita e il diritto al risarcimento, non conseguono immediatamente e automaticamente all'annullamento del provvedimento di diniego e all'accoglimento dell'azione di adempimento. Infatti, secondo i principi posti dalla sentenza della Corte di cassazione n. 500/1999 l giudice può accogliere l'azione di risarcimento solo se ritenga che in base alla normativa applicabile e di tutte le circostanze di fatto l'amministrazione sia tenuta a rilasciare il provvedimento richiesto. La distinzione tra i due tipi di interessi legittimi consente di inquadrare i c.d. provvedimenti «a doppio effetto» che producono cioè ad un tempo un effetto ampliativo e un effetto restrittivo nella sfera giuridica di due soggetti distinti e che danno origine a un rapporto giuridico trilaterale. Si pensi per esempio al rilascio di un permesso a costruire un edificio che impedirebbe una vista panoramica al proprietario del terreno confinante. In questi casi, la dinamica dei rapporti tra l'amministrazione e i soggetti privati titolari di un interesse legittimo pretensivo e oppositivo diventa più articolata, sia nell'ambito del procedimento, sia nell'ambito del processo, proprio perché si instaura anche una dialettica che vede contrapposti due interessi privati. Nella fase procedimentale le parti private tenderanno, infatti, a sottoporre all'amministrazione gli elementi istruttori e valutativi che inducano quest'ultima a provvedere in senso conforme al proprio interesse e contrario all'interesse dell'altra parte privata. Nella fase processuale successiva all'emanazione del provvedimento che determina contestualmente un effetto ampliativo nei confronti di un soggetto e uno restrittivo nei confronti di un altro, invece, accanto alla parte ricorrente che impugna il provvedimento chiedendone l'annullamento e all'amministrazione resistente, interviene come parte processuale necessaria il contro interessato. Quest'ultimo, è appunto la parte che ha tratto un'utilità dall'emanazione del provvedimento e che affianca l'amministrazione nella difesa della legittimità del provvedimento emanato. **I criteri di distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi:** La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato alcuni criteri distintivi: 1\. Il primo criterio si incentra sulla struttura della [norma attributiva del potere.] Ricorre ancora nella giurisprudenza la distinzione tradizionale: \- *Norma di relazione*: volta a regolare il rapporto giuridico tra pubblica amministrazione e cittadino delimitando le rispettive sfere giuridiche e alla quale è correlato il diritto soggettivo. La produzione dell'effetto giuridico avviene, in modo automatico sulla base dello schema norma-fatto-effetto. L'eventuale atto dell'amministrazione che accerta il prodursi dell'effetto giuridico e dei diritti e degli obblighi posti in capo alle parti ha un carattere meramente ricognitivo. Il comportamento assunto in violazione della norma di relazione va qualificato come illecito e lesivo del diritto soggettivo. L'accertamento dell'illiceità spetta, di regola, al giudice ordinario. - *Norma d'azione:* volta a disciplinare l'attività dell'amministrazione ai fini di tutela dell'interesse pubblico e alla quale è correlato l'interesse legittimo. Nella norma di azione la produzione dell'effetto giuridico avviene secondo lo schema norma-fatto-potereeffetto. Il provvedimento emanato dall'amministrazione nell'esercizio del potere disciplinato dalla norma d'azione ha un carattere costitutivo dell'effetto giuridico nella sfera giuridica del destinatario. Il provvedimento assunto in violazione della norma di azione va qualificato, come illegittimo e lesivo di un interesse legittimo. L'annullamento del provvedimento illegittimo spetta di regola al giudice amministrativo. 2\. Un secondo criterio consiste nella [distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale]. -In presenza di un potere discrezionale: la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è sempre ed esclusivamente l'interesse legittimo. Ciò perché la conservazione o l'acquisizione del bene vita in capo al soggetto privato, è rimessa alla valutazione dell'amministrazione titolare del potere. -nel caso in cui il potere sia vincolato in tutti i suoi elementi dalla norma giuridica: il soggetto privato, valutando autonomamente la situazione concreta in cui egli si trova, è in grado di prevedere con certezza ex ante se l'amministrazione, ove agisca in modo conforme alle norme applicabili, riconoscerà o meno il vantaggio o il bene della vita. La situazione in cui versa il privato è in questo senso assimilabile a quella in cui si trova il titolare di un diritto soggettivo. La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ammette -l'esistenza di un diritto soggettivo: soltanto nel caso in cui i vincoli ricavabili dalla norma che disciplina il potere abbiano una funzione di garanzia e di tutela diretta del soggetto privato. -Ove invece essi siano finalizzati principalmente alla tutela dell'interesse pubblico, deve essere riconosciuta, l'esistenza di un interesse legittimo. 3\. Un terzo criterio tradizionale si fonda sulla [diversa natura del vizio dedotto dal soggetto privato nei confronti dell'atto emanato.] Ove venga contestata la carenza di potere, cioè l'assenza di un fondamento legislativo del potere (carenza di potere in estratto) o una deviazione abnorme dallo schema normativo (straripamento di potere), l'atto emanato dall'amministrazione è in realtà una parvenza di provvedimento, privo dell'idoneità a produrre l'effetto tipico nella sfera giuridica del destinatario. La situazione giuridica soggettiva del titolare resiste non subisce alcun «affievolimento» tramutandosi in un interesse legittimo. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha individuato alcuni diritti soggettivi, che ricevono una tutela rafforzata nella Costituzione, che di regola non possono essere incisi dal potere amministrativo e la cui tutela è rimessa di conseguenza in via esclusiva al giudice ordinano. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha incluso nella carenza di potere anche la carenza di potere in concreto, ipotesi che si verifica nei casi in cui la norma in astratto attribuisce il potere all'amministrazione, ma manca nella fattispecie concreta un presupposto essenziale per poterlo esercitare. I tre criteri seguiti dalla giurisprudenza per distinguere i diritti soggettivi dagli interessi legittimi non risolvono nella pratica tutti i problemi qualificazione. **Il diritto di accesso ai documenti amministrativi** Un caso paradigmatico di incertezza in ordine alla qualificazione della situazione giuridica soggettiva è il diritto di accesso ai documenti amministrativi. L'accesso ai documenti amministrativi consiste nel «[diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti] [amministrativi»] (art. 22 L. N. 241/1990). Esso rientra dunque nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. È inoltre definito come principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l'imparzialità e la trasparenza. In conformità a questa duplice finalità, il diritto in questione rileva in due ambiti: - In primo luogo, rientra, tra i diritti attribuiti ai soggetti che possono partecipare a un determinato procedimento amministrativo in modo da consentire ad essi di tutelare meglio le loro ragioni avendo cognizione di tutti gli atti e documenti acquisiti al procedimento che li riguardano: cd. accesso procedimentale. - In secondo luogo, costituisce un diritto autonomo che può essere esercitato anche al di fuori dal procedimento da chi ha interesse a esaminare documenti detenuti stabilmente da una pubblica amministrazione. La l. N. 241/1990 sembra costruire il diritto di accesso in termini di protezione diretta dì un bene della vita, cioè secondo lo schema del diritto soggettivo. In particolare con riguardo all'accesso non procedimentale, esso sorge quando il soggetto che richiede l'accesso dimostri «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso. L'accesso non è dunque attribuito a chiunque: è necessario invece che la richiesta di accesso abbia alla base un interesse in qualche modo differenziato e la titolarità di una posizione giuridicamente rilevante. Si tratta peraltro di un criterio che presenta margini di opinabilità. -Un'altra eccezione più recente è il c.d. accesso civico in base al quale chiunque può richiedere l'accesso alle informazioni e ai dati che le amministrazioni avrebbero comunque l'obbligo di pubblicare sui propri siti o con altre modalità tutte le volte in cui esse hanno omesso questo adempimento. La richiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva dell'istante, non deve essere motivata, e gratuita e va presentata al responsabile della trasparenza dell'amministrazione obbligata alla pubblicazione. Sotto il profilo oggettivo, l'accesso è escluso in una serie tassativa di casi, e cioè in relazione ai documenti coperti dal segreto di Stato, a quelli relativi a procedimenti tributari o a procedimenti per l'adozione di atti amministrativi generali, ai documenti contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale di terzi. Altri casi di esclusione possono essere individuati tramite regolamento di delegificazione là dove sussista il rischio di una lesione di interessi pubblici quali, per esempio, la sicurezza e difesa nazionale, la politica monetaria) l'elenco completo è previsto dall'art. 24, comma 6, l. N. 241/1990). Allorché siano presenti esigenze di tutela della riservatezza l'amministrazione deve dunque compiere una duplice operazione. Deve anzitutto comparare l'interesse all'accesso e il contrapposto interesse alla riservatezza di terzi. Deve inoltre valutare se l'accesso ha carattere della necessarietà poiché la l. N. 241/1990 prescrive che deve essere comunque garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti «la cui conoscenza sia necessaria per curare e difendere i propri interessi giuridici» (art. 24, comma 7, l. 241/1990). Il criterio della necessarietà è reso ancora più stringente nel caso in cui i documenti contengano dati definiti come sensibili dal Codice dei dati personali e a quelli giudiziari Inoltre, la l. N. 241/1990 attribuisce all'amministrazione, quello che viene definito come un «potere di differimento» (art. 24, comma 4), che consiste nella posticipazione del momento in cui l'accesso può essere esercitato e che costituisce un'alternativa che va preferita, là dove possibile, al diniego di accesso. Sotto il profilo processuale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, è incluso tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. **Interessi di fatto, diffusi e collettivi:** Le norme che disciplinano l'organizzazione e l'attività della pubblica amministrazione possono imporre all'amministrazione doveri di comportamento, finalizzati alla tutela di interessi pubblici senza che ad essi corrisponda alcuna situazione giuridica o altro tipo di pretesa giuridicamente tutelata in capo a soggetti esterni amministrazione. Ciò si verifica non soltanto nel caso delle norme interne, ma anche nel caso di norme poste da fonti normative primarie o secondarie. La violazione di questi doveri rileva soltanto all'interno dell'organizzazione degli apparati pubblici e può dar origine, a seconda dei casi, a interventi di tipo propulsivo o sostitutivo da parte di organi dotati di poteri di vigilanza, a sanzioni che colpiscono i dirigenti e i funzionari responsabili della violazione o ad altre forme di penalizzazione. I soggetti privati che possono trarre un beneficio o un pregiudizio indiretto da siffatte attività vantano, di regola, un interesse di mero fatto a tutela del quale non è attivabile alcun rimedio di tipo giurisdizionale. Emerge così la necessità di distinguere gli interessi di fatto dagli interessi legittimi. I criteri sono essenzialmente due: 1)il criterio della differenziazione e 2)il criterio della qualificazione. -Quanto al primo criterio, perché possa configurarsi l'esistenza di un interesse giuridicamente protetto, occorre anzitutto che la posizione in cui si trova il soggetto privato rispetto all'amministrazione gravata da un dovere di agire sia in qualche modo differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti dell'ordinamento. Una volta appurato il carattere differenziato di un interesse rispetto a quello della generalità dei soggetti, occorre valutare se tale interesse rientri nel perimetro della tutela offerta dalle norme e, in particolare, da quelle che attribuiscono il potere e se, pertanto, il suo titolare possa vantare una posizione qualificabile come interesse legittimo. -Nella casistica giurisprudenziale i due criteri appaiono strettamente collegati nel senso che quanto più differenziato in base a criteri materiali risulta un interesse, tanto è più probabile che esso venga ritenuto anche oggetto di una tutela giuridica da parte dell'ordinamento, e ciò anche senza che sia richiesta l'individuazione di una specifica disposizione normativa espressamente finalizzata a proteggere l'interesse del soggetto privato. -È emersa in dottrina e in giurisprudenza la nozione di interesse diffuso. Gli **interessi diffusi** sono stati definiti variamente come interessi non personalizzati senza struttura, riferibili in modo indistinto alla generalità della collettività o a categorie più o meno ampie di soggetti (consumatori, utenti\...). Il carattere diffuso dell'interesse deriva dalla caratteristica del bene materiale o immateriale ad esso correlato che non è suscettibile di appropriazione e di godimento esclusivi. Con il linguaggio degli economisti, si tratta in genere di beni pubblici 1)non rivali»: perché il loro consumo o utilizzo da parte di uno non ne impedisce la fruizione da parte di un altro; 2)non escludibili, perché, una volta fornito il bene, nessuno può esserne escluso dalla fruizione. Gli interessi diffusi costituiscono una categoria dai confini incerti. Essi finiscono dunque per sovrapporsi almeno in parte alla nozione di interesse pubblico. Essi oscillano nelle varie ricostruzioni dottrinali proposte, tra l'irrilevanza giuridica (e sono dunque qualificati come interessi di mero fatto) e la riconducibilità a una situazione giuridica soggettiva tipizzata. L'ordinamento giuridico ha iniziato a prendere in considerazione gli interessi diffusi attribuendo ad essi una certa rilevanza sia in sede procedimentale, sia in sede processuale. Sotto il primo profilo l'art. 9 l. N. 241/1990 attribuisce la facoltà di intervenire nel procedimento a qualsiasi soggetto portatore di interessi pubblici o privati nonché ai «portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati» ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento. Più complessa è la questione della tutela giurisdizionale degli interessi diffusi che ha avuto oscillazioni in dottrina e in giurisprudenza. I principali criteri elaborati per aprire la strada alla tutela giurisdizionale sono essenzialmente tre: 1. La prima strada proposta in dottrina, è stata quella di individuare nella partecipazione al procedimento amministrativo ai sensi della l. n. 241/1990 un elemento di differenziazione e qualificazione tale da consentire l'impugnazione innanzi al giudice amministrativo del provvedimento conclusivo del procedimento. Tuttavia, a ben considerare, diritto di partecipazione al procedimento e legittimazione processuale hanno funzioni diverse. La partecipazione al procedimento assolve non soltanto alla funzione di tutela preventiva degli interessi dei soggetti suscettibili di essere incisi dal provvedimento, ma anche a quella di fornire all'amministrazione una gamma più ampia di informazioni utili per esercitare meglio il potere. 2. L'elaborazione della nozione di interesse collettivo, quale specie particolare di interesse legittimo: È stata posta in proposito la distinzione tra interessi propriamente diffusi e interessi collettivi, cioè interessi riferibili a specifiche categorie o gruppi organizzati. A questi organismi rappresentativi della categoria o del gruppo è stata riconosciuta in giurisprudenza una legittimazione processuale [autonoma, collegata a una situazione di interesse legittimo, allo scop](https://www.studocu.com/de-at?utm_campaign=shared-document&utm_source=studocu-document&utm_medium=social_sharing&utm_content=riassunto-manuale-clarich)o di tutelare gli interessi non già dei singoli appartenenti alla [categoria, bensì della categoria in quanto tale.](https://www.studocu.com/de-at?utm_campaign=shared-document&utm_source=studocu-document&utm_medium=social_sharing&utm_content=riassunto-manuale-clarich) 3. La legittimazione ex lege: In settori particolari il legislatore ha attribuito a determinati soggetti istituiti per la cura di interessi diffusi una speciale legittimazione a ricorrere (legittimazione ex lege). Così, per esempio, in materia ambientale le associazioni che abbiano ottenuto un riconoscimento dal ministero dell'Ambiente in base a certe caratteristiche minime possano ricorrere al giudice amministrativo a tutela degli interessi ambientali. Queste e altre analoghe previsioni legislative, lungi dal trasformare gli interessi diffusi in situazioni giuridiche soggettive di interesse legittimo o dì diritto soggettivo in senso proprio, hanno una rilevanza prettamente processuale finalizzata a individuare casi di legittimazione ad agire straordinaria, cioè non collegata alla titolarità di una situazione giuridica oggettiva. Occorre da ultimo dedicare un cenno agli interessi individuali omogenei» o «isomorfi». Essi mantengono una natura individuale e acquistano una dimensione collettiva solo per il fatto di essere comuni a una pluralità o molteplicità di soggetti. Si pensi, per esempio, al caso degli utenti del servizio elettrico di una città nella quale si verifica una situazione di interruzione della fornitura di energia elettrica protratta nel tempo. La tutela di questo tipo di interessi individuali non è diversa, da quella prevista per ciascun diritto soggettivo o interesse legittimo di cui sono titolari i soggetti coinvolti, i quali possono agire in giudizio autonomamente per il ristoro del loro specifico danno. Per questi interessi l'ordinamento prevede forme di tutela non giurisdizionale semplificate, meno formalizzate e costose, innanzi a organismi dì mediazione o conciliazione, oppure innanzi alle stesse autorità amministrative di regolazione (cosiddette ADR) che includono vari tipi di reclami, ricorsi, ormai disciplinate da numerose disposizioni legislative settoriali. La rilevanza della distinzione tra l\'interesse legittimo e diritto soggettivo è duplice: - E' elevata a criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, il primo investito della giurisdizione sui diritti soggettivi, il secondo della giurisdizione sugli interessi legittimi; - in precedenza escludeva la responsabilità civile della pubblica amministrazione per il danno derivante da una lesione di interessi legittimi. Questo secondo aspetto è stato superato ad opera della sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 500/1999 che ha aperto la strada alla risarcibilità del danno da lesione di interesse legittimo. Per dar conto della nascita dell'interesse legittimo occorre partire dalla legge 2248/1865 che attribuì al giudice civile la giurisdizione in tutte le controversie tra il privato e la pubblica amministrazione nelle quali si facesse questione di un «diritto civile o politico» ossia di un diritto soggettivo, quando la controversia fosse correlata all'emanazione di un provvedimento amministrativo. Nella prassi interpretativa il giudice civile dimostrò timidezza nel sindacare l'operato dell'amministrazione nell'esercizio dei propri poteri discrezionali. Ciò creò un vero e proprio vuoto di tutela di fronte a numerosi casi di illegittimità e abusi da parte dell'amministrazione. Da qui l'origine della legge del 1889 istitutiva della IV Sezione del Consiglio di Stato, che mirava a integrare la legge del 1865 introducendo un nuovo rimedio per tutelare tutte le situazioni non qualificabili come diritto soggettivo. La IV Sezione venne dunque investita del potere di [decidere sui ricorsi contro gli atti o provvedimenti amministrativi illegittimi] aventi per oggetto «un interesse d'individui o di enti giuridici. La giurisprudenza e la dottrina si dovettero confrontare subito con il problema di riempire di contenuto la formula generica di «interesse», posta dal legislatore. Dell'interesse legittimo sono state offerte nel tempo una pluralità di ricostruzioni, ormai in gran parte superate: **1)Il diritto fatto valere come interesse**: Inizialmente vi fu chi ritenne che la situazione giuridica soggettiva fosse un normale diritto «fatto valere come interesse». Era così rimessa alla libera scelta del privato, in funzione del tipo di tutela che intendeva ottenere, la via giurisdizionale da perseguire. Ma questa concezione fu subito disattesa dalla giurisprudenza. **2)L'interesse legittimo come interesse di mero fatto:** Per lungo tempo, un filone dottrinale negò all'interesse legittimo la consistenza di vera e propria situazione giuridica soggettiva avente natura sostanziale, attribuendo ad essa soltanto un significato processuale. L'interesse legittimo fu cioè considerato come un interesse di mero fatto, tale però da far sorgere in capo al privato un interesse processuale ad attivare la tutela innanzi al giudice amministrativo nel momento in cui l'amministrazione emana un atto amministrativo illegittimo che determina una lesione a tale interesse di mero fatto. **3)Il diritto alla legittimità degli atti**: Secondo un'altra visione, l'interesse legittimo doveva essere qualificato come un «diritto alla legittimità degli atti della funzione governativa» cioè un diritto soggettivo avente per oggetto esclusivamente la pretesa formale a che l'azione amministrativa sia conforme alle norme che regolano il potere esercitato. **4) Il diritto affievolito:** un'altra interpretazione, consiste nella cosiddetta teoria della «degradazione» o dell'«affievolimento». Essa considera l'interesse legittimo come un «diritto affievolito», cioè come la risultante dell'atto di esercizio del potere amministrativo. Il provvedimento autoritativo ancorché illegittimo, è idoneo a travolgere il diritto soggettivo trasformandolo in semplice interesse legittimo. Tipico esempio di diritto affievolito è il diritto di proprietà inciso dal potere espropriativo. La categoria dei diritti soggettivi affievoliti fa coppia con quella simmetrica dei cosiddetti diritti soggettivi «in attesa di espansione». Si tratta di diritti, già attribuiti in astratto alla titolarità di un soggetto privato, il cui esercizio è però condizionato all'esercizio di un potere dell'amministrazione, nei confronti del quale il titolare del diritto può vantare un semplice interesse legittimo. Tipico esempio è quello dell'autorizzazione ad aprire un esercizio commerciale. **5)L'interesse occasionalmente protetto**: Questa impostazione emerge in un'altra definizione dell'interesse legittimo come interesse occasionalmente (indirettamente) protetto da una norma (la norma d'azione) volta a tutelare in modo diretto e immediato l'interesse pubblico. Secondo questa visione, le norme che disciplinano il potere hanno come scopo primario la tutela dell'interesse pubblico e il soggetto privato può trovare in esse una protezione solo in via indiretta. La norma attributiva del potere offre in definitiva al titolare dell'interesse legittimo una tutela strumentale, mediata attraverso l'esercizio del potere, anziché finale, come accade invece per il diritto soggettivo, nel quale la norma attribuisce al suo titolare in modo diretto un certo bene della vita o utilità. Ove il potere sia stato esercitato in modo non conforme alla norma attributiva del potere, il titolare dell'interesse legittimo può proporre ricorso al giudice amministrativo al fine di ottenere l'annullamento del provvedimento lesivo, cioè la rimozione con efficacia ex tunc degli effetti da esso prodotti. **→Le ricostruzioni più recenti dell'interesse legittimo**: Le definizioni tradizionali dell'interesse legittimo sin qui esaminate sono state variamente criticate dalla dottrina. L'impianto delineato è entrato in crisi in seguito all'emergere di una nuova sensibilità, più in linea con i valori espressi dalla Costituzione, dall'ordinamento europeo e dalla l. N. 241/1990. Essa muove, dall'esigenza di offrire una protezione più completa delle situazioni giuridiche soggettive. Si è sottolineato che la Costituzione attribuisce ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi una pari dignità e che pertanto a entrambi l'ordinamento deve assicurare una tutela piena ed effettiva. La svolta è avvenuta con la [sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 500/1999]. La Corte ha affermato la risarcibilità per un interesse legittimo qualora sia rilevabile una lesione a un bene della vita già ascrivibile in qualche modo alla sfera giuridica del soggetto privato titolare dell'interesse legittimo. Se dalla ricostruzione della fattispecie, emerge invece che il titolare dell'interesse legittimo, soprattutto in presenza di poteri discrezionali, non ha una ragionevole aspettativa a poter acquisire o a conservare un bene della vita, non vi è spazio per una tutela risarcitoria. La giurisprudenza ha inquadrato la tutela risarcitoria dell'interesse legittimo devoluta ora alla giurisdizione del giudice amministrativo. (Il Consiglio di Stato ha definito l'interesse legittimo come «la posizione di vantaggio riservata ad un soggetto in relazione ad un bene della vita interessato dall'esercizio del potere pubblicistico, che si compendia nell'attribuzione a tale soggetto di poteri idonei ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione o la difesa dell'interesse al bene», e ha sottolineato che «l'interesse effettivo che l'ordinamento intende proteggere è quindi sempre l'interesse ad un bene della vita»). All'esito dell'evoluzione ora tratteggiata si può dunque affermare che la norma di conferimento del potere abbia la doppia ed equiordinata funzione di tutelare l'interesse pubblico e di tutelare l'interesse del privato. Nella [dinamica del rapporto giuridico amministrativo:] -da un lato, l'amministrazione titolare del potere cura in via primaria l'interesse pubblico (pur dovendo tener conto anche degli altri interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie); -dall'altro, il titolare dell'interesse legittimo mira esclusivamente al proprio interesse individuale, con libertà di scegliere le forme di tutela da attivare nel processo e prima ancora nell'ambito del procedimento amministrativo. In definitiva, volendo proporre una [definizione sintetica]: **l'interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva, correlata al potere della pubblica amministrazione e tutelata in modo diretto dalla norma di conferimento del potere, che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà volti a influire sull'esercizio del potere medesimo allo scopo di conservare o acquisire un bene della vita.** I poteri e le facoltà del soggetto si esplicano principalmente, all'interno del procedimento attraverso l'istituto della [partecipazione] (artt. 7 ss. l. N. 241/1990). Essa consente al privato di [rappresentare il proprio punto di vista presentando memorie e documenti] e, prima ancora, mediante l'accesso agli atti del procedimento. Il privato può così cercare di orientare valutazioni discrezionali dell'amministrazione in senso a sé favorevole. Il privato può persino sottoporre all'amministrazione proposte che possono sfociare, ove accolte, in un accordo avente per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento (art. 11 l. N. 241/1990). Siffatti poteri e facoltà tendono a riequilibrare in parte la posizione di soggezione nei confronti del titolare del potere. In capo [all'amministrazione] sorgono una serie di [doveri comportamentali nella fase procedimentale] e nella fase decisionale (imparzialità, ragionevolezza), che sono finalizzati anche alla tutela dell'interesse del soggetto privato. La «prestazione» che viene così richiesta all'amministrazione ha natura infungibile (insostituibile), in quanto il titolare dell'interesse legittimo può acquisire o conservare una certa utilità esclusivamente tramite l'esercizio o il mancato esercizio del potere da parte dell'unica autorità competente in base alla norma d'azione. In conclusione, l'interesse legittimo ingloba in sé: -sia una dimensione passiva (situazione di soggezione, rispetto alla produzione degli effetti), -sia una dimensione attiva (pretesa a un esercizio legittimo del potere e possibilità di esercitare una serie di poteri e facoltà nei confronti dell'amministrazione da far valere nel procedimento o anche in sede giurisdizionale). **Gli interessi legittimi oppositivi, pretensivi** [Sotto il profilo funzionale] gli interessi legittimi possono essere suddivisi in due categorie: 1. **Gli interessi legittimi oppositivi:** sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide negativamente e che restringe la sfera giuridica del destinatario. Si pensi, per esempio, al potere di espropriazione. 2. **Gli interessi legittimi pretensivi**: sono correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide positivamente e che amplia la sfera giuridica del destinatario, dando soddisfazione all'interesse di quest'ultimo. Si pensi, per esempio, al potere di rilasciare una concessione per l'uso di un bene demaniale. -Negli interessi legittimi opposit[ivi il rapporto procedimentale assume una [dinamica di contrapposizio]](https://www.studocu.com/de-at?utm_campaign=shared-document&utm_source=studocu-document&utm_medium=social_sharing&utm_content=riassunto-manuale-clarich)[ne]: nel senso che il titolare dell'interesse legittimo oppositi[vo cercherà di intraprendere tutte le iniziative volte a contrastare l'ese](https://www.studocu.com/de-at?utm_campaign=shared-document&utm_source=studocu-document&utm_medium=social_sharing&utm_content=riassunto-manuale-clarich)rcizio del potere che sacrifica un suo bene della vita. Il suo interesse a evitare che si determini una compressione della propria sfera giuridica è soddisfatto nel caso in cui l'amministrazione, all'esito del procedimento, si astenga dall'emanare il provvedimento che produce l'effetto negativo. Non rileva, peraltro, dal punto di vista del soggetto privato se l'omessa emanazione del provvedimento sia legittima o illegittima. Al titolare dell'interesse legittimo oppositivo, infatti, interessa soltanto non veder sacrificata o compressa la propria sfera giuridica, cioè a conservare il bene della vita. Nel caso degli interessi legittimi oppositivi il procedimento si apre usualmente d'ufficio e la comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo. -Negli interessi legittimi pretensivi il rapporto procedimentale assume una [dinamica più collaborativa]: nel senso che il titolare dell'interesse legittimo pretensivo cercherà di porre in essere tutte le attività volte a stimolare l'esercizio del potere e a orientare la scelta dell'amministrazione in modo tale da poter conseguire il bene della vita. Il suo interesse a far sì che si determini un ampliamento della propria sfera giuridica è soddisfatto nel caso in cui l'amministrazione, all'esito del procedimento, emani il provvedimento che produce l'effetto positivo. Anche qui non rileva, dal punto di vista del privato se l'emanazione del provvedimento sia legittima o illegittima. Il procedimento si apre in seguito alla presentazione di un'istanza o domanda di parte che fa sorgere l'obbligo di procedere e di provvedere in capo all'amministrazione titolare del potere (art. 2 l. n. 241/1990) e che instaura il rapporto giuridico amm. Anche il processo amministrativo e la tipologia di azioni esperibili presentano caratteri propri in funzione del diverso bisogno di tutela: -Nel caso degli interessi legittimi oppositivi: L'annullamento dell'atto impugnato con efficacia ex tunc (retroattiva) soddisfa in modo specifico il bisogno di tutela della conservazione del bene della vita compromesso del ricorrente che viene reintegrato nella situazione in cui esso si trovava prima dell'emanazione del provvedimento. -Nel caso degli interessi legittimi pretensivi il bisogno di tutela è correlato invece all'interesse all'acquisizione del bene della vita per mezzo dell'emanazione del provvedimento. Rispetto a tale bisogno l'annullamento del provvedimento di diniego o l'accertamento dell'inadempimento dell'obbligo di concludere il procedimento nel termine stabilito si rivelano insufficienti. Infatti non determinano in via immediata l'acquisizione del bene della vita in capo al titolare dell'interesse legittimo che richiede invece l'adozione da parte dell'amministrazione del provvedimento. (L'azione che consente questo risultato è la azione di adempimento, cioè l'azione di condanna a un facere specifico (ammessa da molti decenni dall'ordinamento processuale tedesco). L'accoglimento di quest'ultima da parte del giudice presuppone che nell'ambito del processo sia possibile accertare in modo pieno e completo la fondatezza della pretesa sostanziale e non residuino in capo all'amministrazione spazi di discrezionalità. In quest'ultimo caso, la sentenza del giudice amministrativo non può andare al di là dell'accertamento dei profili vincolati del potere e della condanna a provvedere sull'istanza. Altrimenti il giudice amministrativo sconfinerebbe dall'ambito della giurisdizione di legittimità sovrapponendo il proprio ruolo a quello dell'amministrazione titolare del potere alla quale sono riservate le valutazioni propriamente discrezionali). Anche la tutela risarcitoria, che è necessaria per soddisfare i bisogni di tutela non coperti dalla tutela specifica si atteggia diversamente: \- Con riferimento agli interessi oppositivi: essa riguarda i danni derivanti dalla privazione o limitazione nel godimento del bene della vita nel caso in cui il provvedimento illegittimo abbia trovato esecuzione. Per esempio, se dopo l'emanazione di un decreto di esproprio si è avuta l'esecuzione con l'apprensione materiale del terreno, una volta annullato il provvedimento, il proprietario deve essere risarcito del danno conseguente il mancato godimento del bene nel periodo intercorrente tra l'esecuzione del provvedimento espropriativo e la restituzione del bene medesimo. La lesione del bene della vita e il diritto al risarcimento conseguono immediatamente e automaticamente all'annullamento del provvedimento -Con riferimento agli interessi legittimi pretensivi: la tutela risarcitoria riguarda i danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di diniego o l'amministrazione sia rimasta inerte (per esempio, il mancato o ritardato avvio di un'attività commerciale sottoposta a un regime di autorizzazione). La lesione del bene della vita e il diritto al risarcimento, non conseguono immediatamente e automaticamente all'annullamento del provvedimento di diniego e all'accoglimento dell'azione di adempimento. Infatti, secondo i principi posti dalla sentenza della Corte di cassazione n. 500/1999 l giudice può accogliere l'azione di risarcimento solo se ritenga che in base alla normativa applicabile e di tutte le circostanze di fatto l'amministrazione sia tenuta a rilasciare il provvedimento richiesto. La distinzione tra i due tipi di interessi legittimi consente di inquadrare i c.d. provvedimenti «a doppio effetto» che producono cioè ad un tempo un effetto ampliativo e un effetto restrittivo nella sfera giuridica di due soggetti distinti e che danno origine a un rapporto giuridico trilaterale. Si pensi per esempio al rilascio di un permesso a costruire un edificio che impedirebbe una vista panoramica al proprietario del terreno confinante. In questi casi, la dinamica dei rapporti tra l'amministrazione e i soggetti privati titolari di un interesse legittimo pretensivo e oppositivo diventa più articolata, sia nell'ambito del procedimento, sia nell'ambito del processo, proprio perché si instaura anche una dialettica che vede contrapposti due interessi privati. Nella fase procedimentale le parti private tenderanno, infatti, a sottoporre all'amministrazione gli elementi istruttori e valutativi che inducano quest'ultima a provvedere in senso conforme al proprio interesse e contrario all'interesse dell'altra parte privata. Nella fase processuale successiva all'emanazione del provvedimento che determina contestualmente un effetto ampliativo nei confronti di un soggetto e uno restrittivo nei confronti di un altro, invece, accanto alla parte ricorrente che impugna il provvedimento chiedendone l'annullamento e all'amministrazione resistente, interviene come parte processuale necessaria il contro interessato. Quest'ultimo, è appunto la parte che ha tratto un'utilità dall'emanazione del provvedimento e che affianca l'amministrazione nella difesa della legittimità del provvedimento emanato. **I criteri di distinzione tra diritti soggettivi e interessi legittimi:** La dottrina e la giurisprudenza hanno individuato alcuni criteri distintivi: 1\. Il primo criterio si incentra sulla struttura della [norma attributiva del potere.] Ricorre ancora nella giurisprudenza la distinzione tradizionale: \- *Norma di relazione*: volta a regolare il rapporto giuridico tra pubblica amministrazione e cittadino delimitando le rispettive sfere giuridiche e alla quale è correlato il diritto soggettivo. La produzione dell'effetto giuridico avviene, in modo automatico sulla base dello schema norma-fatto-effetto. L'eventuale atto dell'amministrazione che accerta il prodursi dell'effetto giuridico e dei diritti e degli obblighi posti in capo alle parti ha un carattere meramente ricognitivo. Il comportamento assunto in violazione della norma di relazione va qualificato come illecito e lesivo del diritto soggettivo. L'accertamento dell'illiceità spetta, di regola, al giudice ordinario. - *Norma d'azione:* volta a disciplinare l'attività dell'amministrazione ai fini di tutela dell'interesse pubblico e alla quale è correlato l'interesse legittimo. Nella norma di azione la produzione dell'effetto giuridico avviene secondo lo schema norma-fatto-potereeffetto. Il provvedimento emanato dall'amministrazione nell'esercizio del potere disciplinato dalla norma d'azione ha un carattere costitutivo dell'effetto giuridico nella sfera giuridica del destinatario. Il provvedimento assunto in violazione della norma di azione va qualificato, come illegittimo e lesivo di un interesse legittimo. L'annullamento del provvedimento illegittimo spetta di regola al giudice amministrativo. 2\. Un secondo criterio consiste nella [distinzione tra potere vincolato e potere discrezionale]. -In presenza di un potere discrezionale: la situazione giuridica di cui è titolare il soggetto privato è sempre ed esclusivamente l'interesse legittimo. Ciò perché la conservazione o l'acquisizione del bene vita in capo al soggetto privato, è rimessa alla valutazione dell'amministrazione titolare del potere. -nel caso in cui il potere sia vincolato in tutti i suoi elementi dalla norma giuridica: il soggetto privato, valutando autonomamente la situazione concreta in cui egli si trova, è in grado di prevedere con certezza ex ante se l'amministrazione, ove agisca in modo conforme alle norme applicabili, riconoscerà o meno il vantaggio o il bene della vita. La situazione in cui versa il privato è in questo senso assimilabile a quella in cui si trova il titolare di un diritto soggettivo. La giurisprudenza amministrativa, inoltre, ammette -l'esistenza di un diritto soggettivo: soltanto nel caso in cui i vincoli ricavabili dalla norma che disciplina il potere abbiano una funzione di garanzia e di tutela diretta del soggetto privato. -Ove invece essi siano finalizzati principalmente alla tutela dell'interesse pubblico, deve essere riconosciuta, l'esistenza di un interesse legittimo. 3\. Un terzo criterio tradizionale si fonda sulla [diversa natura del vizio dedotto dal soggetto privato nei confronti dell'atto emanato.] Ove venga contestata la carenza di potere, cioè l'assenza di un fondamento legislativo del potere (carenza di potere in estratto) o una deviazione abnorme dallo schema normativo (straripamento di potere), l'atto emanato dall'amministrazione è in realtà una parvenza di provvedimento, privo dell'idoneità a produrre l'effetto tipico nella sfera giuridica del destinatario. La situazione giuridica soggettiva del titolare resiste non subisce alcun «affievolimento» tramutandosi in un interesse legittimo. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha individuato alcuni diritti soggettivi, che ricevono una tutela rafforzata nella Costituzione, che di regola non possono essere incisi dal potere amministrativo e la cui tutela è rimessa di conseguenza in via esclusiva al giudice ordinano. La giurisprudenza della Corte di cassazione ha incluso nella carenza di potere anche la carenza di potere in concreto, ipotesi che si verifica nei casi in cui la norma in astratto attribuisce il potere all'amministrazione, ma manca nella fattispecie concreta un presupposto essenziale per poterlo esercitare. I tre criteri seguiti dalla giurisprudenza per distinguere i diritti soggettivi dagli interessi legittimi non risolvono nella pratica tutti i problemi qualificazione. L'accesso ai documenti amministrativi consiste nel «[diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti] [amministrativi»] (art. 22 L. N. 241/1990). Esso rientra dunque nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. È inoltre definito come principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l'imparzialità e la trasparenza. In conformità a questa duplice finalità, il diritto in questione rileva in due ambiti: - In primo luogo, rientra, tra i diritti attribuiti ai soggetti che possono partecipare a un determinato procedimento amministrativo in modo da consentire ad essi di tutelare meglio le loro ragioni avendo cognizione di tutti gli atti e documenti acquisiti al procedimento che li riguardano: cd. accesso procedimentale. - In secondo luogo, costituisce un diritto autonomo che può essere esercitato anche al di fuori dal procedimento da chi ha interesse a esaminare documenti detenuti stabilmente da una pubblica amministrazione. La l. N. 241/1990 sembra costruire il diritto di accesso in termini di protezione diretta dì un bene della vita, cioè secondo lo schema del diritto soggettivo. In particolare con riguardo all'accesso non procedimentale, esso sorge quando il soggetto che richiede l'accesso dimostri «un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso. L'accesso non è dunque attribuito a chiunque: è necessario invece che la richiesta di accesso abbia alla base un interesse in qualche modo differenziato e la titolarità di una posizione giuridicamente rilevante. Si tratta peraltro di un criterio che presenta margini di opinabilità. -Un'altra eccezione più recente è il c.d. accesso civico in base al quale chiunque può richiedere l'accesso alle informazioni e ai dati che le amministrazioni avrebbero comunque l'obbligo di pubblicare sui propri siti o con altre modalità tutte le volte in cui esse hanno omesso questo adempimento. La richiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva dell'istante, non deve essere motivata, e gratuita e va presentata al responsabile della trasparenza dell'amministrazione obbligata [alla pubblicazione.](https://www.studocu.com/de-at?utm_campaign=shared-document&utm_source=studocu-document&utm_medium=social_sharing&utm_content=riassunto-manuale-clarich) Sotto il profilo oggettivo, l'accesso è escluso in una serie tassativa di casi, e cioè in relazione ai documenti coperti dal segreto di Stato, a quelli relativi a procedimenti tributari o a procedimenti per l'adozione di atti amministrativi generali, ai documenti contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale di terzi. Altri casi di esclusione possono essere individuati tramite regolamento di delegificazione là dove sussista il rischio di una lesione di interessi pubblici quali, per esempio, la sicurezza e difesa nazionale, la politica monetaria) l'elenco completo è previsto dall'art. 24, comma 6, l. N. 241/1990). Allorché siano presenti esigenze di tutela della riservatezza l'amministrazione deve dunque compiere una duplice operazione. Deve anzitutto comparare l'interesse all'accesso e il contrapposto interesse alla riservatezza di terzi. Deve inoltre valutare se l'accesso ha carattere della necessarietà poiché la l. N. 241/1990 prescrive che deve essere comunque garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti «la cui conoscenza sia necessaria per curare e difendere i propri interessi giuridici» (art. 24, comma 7, l. 241/1990). Il criterio della necessarietà è reso ancora più stringente nel caso in cui i documenti contengano dati definiti come sensibili dal Codice dei dati personali e a quelli giudiziari Inoltre, la l. N. 241/1990 attribuisce all'amministrazione, quello che viene definito come un «potere di differimento» (art. 24, comma 4), che consiste nella posticipazione del momento in cui l'accesso può essere esercitato e che costituisce un'alternativa che va preferita, là dove possibile, al diniego di accesso. Sotto il profilo processuale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi, è incluso tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. **Interessi di fatto, diffusi e collettivi:** le norme che disciplinano l'organizzazione e l'attività della pubblica amministrazione possono imporre all'amministrazione doveri di comportamento, finalizzati alla tutela di interessi pubblici senza che ad essi corrisponda alcuna situazione giuridica o altro tipo di pretesa giuridicamente tutelata in capo a soggetti esterni amministrazione. Ciò si verifica non soltanto nel caso delle norme interne, ma anche nel caso di norme poste da fonti normative primarie o secondarie. La violazione di questi doveri rileva soltanto all'interno dell'organizzazione degli apparati pubblici e può dar origine, a seconda dei casi, a interventi di tipo propulsivo o sostitutivo da parte di organi dotati di poteri di vigilanza, a sanzioni che colpiscono i dirigenti e i funzionari responsabili della violazione o ad altre forme di penalizzazione. I soggetti privati che possono trarre un beneficio o un pregiudizio indiretto da siffatte attività vantano, di regola, un interesse di mero fatto a tutela del quale non è attivabile alcun rimedio di tipo giurisdizionale. Emerge così la necessità di distinguere gli interessi di fatto dagli interessi legittimi. I criteri sono essenzialmente due: 1)il criterio della differenziazione e 2)il criterio della qualificazione. -Quanto al primo criterio, perché possa configurarsi l'esistenza di un interesse giuridicamente protetto, occorre anzitutto che la posizione in cui si trova il soggetto privato rispetto all'amministrazione gravata da un dovere di agire sia in qualche modo differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti dell'ordinamento. Una volta appurato il carattere differe

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