Psicologia Generale - Apprendimento e Memoria - Lezione 6.1 - 22/11/2024 - PDF
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Università degli Studi di Brescia
2024
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Appunti di lezione sul tema dell'apprendimento e della memoria, in particolare sull'apprendimento complesso e sulla capacità di problem-solving. Viene descritta l'importanza della programmazione fetale e della salute psicologica dei genitori, oltre a fornire dati su esperimenti su scimpanzé condotti da Köhler.
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Sbobinatore: Giorgia Cadorin Revisore: Martina Colombi Materia: Psicologia Generale Doc...
Sbobinatore: Giorgia Cadorin Revisore: Martina Colombi Materia: Psicologia Generale Docente: Dalle Vedove Anna Data: 22/11/2024 Lezione n°: 6.1 Argomenti: apprendimento e memoria La professoressa parla del corso ADE di lunedì 25/11, che vale 0.2 crediti per 4 ore ma non chiederà la firma all’uscita. Il professore che terrà la lezione è molto divertente e molto quotato quindi consiglia di andare. L’argomento è la salute perinatale e lo screening. Lei farà una introduzione dando delle nozioni generali sull’importanza della salute psicologia dei genitori nel periodo perinatale perché ritiene molto importante per chi diventerà medico avere in mente che esiste la programmazione fetale (fetal programming): la salute fisica e mentale materna influenza non solo lo sviluppo fetale ma anche la programmazione epigenetica di predisposizione genetica a malattie in età adulte. Loro puntano a fare sensibilizzazione per dare l’idea della trasmissione del benessere generazionale: quando ci occupiamo dei genitori, ci occupiamo della salute dei loro figli di adulti. Il modo in cui il bambino viene accudito influenza il modo in cui da adulto lui costruirà la sua identità genitoriale e la capacità di prendersi cura di bambini. Inoltre, la professoressa comunica che la prova del 19 dicembre si terrà in aula B. L’APPRENDIMENTO Riprende la spiegazione dell’ultima lezione dall’apprendimento complesso. APPRENDIMENTO COMPLESSO Abbiamo lasciato per ultimo l’apprendimento più tipico dell’essere umano che non avviene semplicemente per associazioni o esposizione alle esperienze, ma comporta una vera e propria attività di elaborazione delle informazioni, per arrivare a risolvere problematiche o situazioni producendo in modo creativo delle strategie, che non sono presenti già sul piano percettivo o provengono da un apprendimento osservativo (ripetere quello che abbiamo visto fare dagli altri), facendole diventare poi parte del proprio repertorio di adattamento, quindi dei comportamenti appresi. Questo tipo di apprendimento è chiamato in molti modi: intelligente (per distinguerlo da quello per tentativi ed errori dell’apprendimento associativo); cognitivo (perchè implica un ragionamento); per insight (cioè per intuizione dall’elaborazione complessa e per comprensione intuitiva fulminea che arriva come serie di processi elaborativi). È presente anche nei primati non umani, infatti è stato molto studiato negli scimpanzé e altri animali, anche se gli studi più conosciuti sono quelli sui primati. Questo tipo di apprendimento comprende la capacità di formulare strategie e piani d’azioni per raggiungere uno scopo. L’insight è il processo per cui un improvviso atto di intelligenza permette di affrontare un problema e risolverlo, ed è la prova provata di come la mente nel modo di rapportarsi alla realtà abbia una funzione selettiva e organizzatrice delle informazioni in funzione di alcuni obiettivi ed è ciò che permette di compiere questo tipo di apprendimento. La traduzione italiana è “intuizione”, ma quando si parla di intuizione spesso siamo lontani dal processo di problem solving, mentre questo tipo di intuizione è più legata al ragionamento che avviene su diversi piani, dall'implicito all’esplicito. In questo processo di apprendimento gli elementi sono ricombinati attraverso un lavoro mentale (azione intelligente) che permette di trasformare degli elementi che, presi singolarmente, non hanno nessun significato, ma che possono diventare un mezzo per progredire (ad esempio anche la tecnologia, la scienza e la scoperta sono frutto di questo tipo di elaborazione). Pertanto, una situazione problematica viene riorganizzata, diventa trasparente e i suoi tratti essenziali sono messi in evidenza. Esperimenti di Köhler Wolfgang Köhler faceva parte della scuola della Gestalt, che quindi non si è limitata allo studio della percezione visiva ma ha studiato anche il pensiero e il funzionamento della mente nell’apprendimento. Köhler prese due scimpanzè eccezionali e li mise in una grande gabbia ponendo in alto dei frutti, molto agognati dallo scimpanzé, e davanti a loro mise tre casse di legno. Nella situazione iniziale, gli scimpanzè vedendo il frutto cominciavano ad attivarsi per cercare goffamente di raggiungerlo, non riuscendoci perché situato troppo in alto. L’aspetto interessante è che dopo essersi sforzati per un po’ gli scimpanzè 1 abbandonavano il problema e si dedicavano ad altro quando, improvvisamente, uno di loro ebbe l’insight, come se la sua mente avesse continuato a lavorare e d’un tratto fosse arrivata una soluzione, prese le casse, le impilò riuscendo così a raggiungere il frutto. Questa, dunque, può essere considerata un’azione intelligente, cioè dovuta ad una azione della mente, perché a differenza degli altri apprendimenti è il soggetto stesso, in questo caso lo scimpanzè, che cerca il rinforzo e non il rinforzo che arriva al soggetto. Questa ricerca di una soluzione è veicolata dalla necessità o dalla voglia di ottenere qualcosa. Questi scimpanzé hanno compiuto un’azione mentale perché non si sono serviti di azioni casuali, ma sono arrivati ad una soluzione solo perché loro l’hanno pensata. Si chiama “azione intelligente” perché è il pensiero che la veicola. Infatti, nelle loro teste sono riuscite a capire che mettendo le casse l’una sopra l’altra sarebbero riusciti a colmare la distanza tra loro e il frutto. Senza l’operazione svolta nella mente non ci sarebbero riusciti perché non si sono messi a fare cose a caso, ma piuttosto hanno prima formato un pensiero e poi hanno agito. Dopodiché la strategia di creare la scala è una strategia appresa. Probabilmente l’intelligenza dell’essere umano si è evoluta così: andando a risolvere un problema dietro l’altro e quindi accumulando delle competenze che sono frutto della nostra stessa mente. Questo apprendimento prevede un’applicazione nella realtà di una cosa che è stata prima creata, sintetizzata ed elaborata dalla nostra mente. Noi siamo accomunati agli scimpanzé, che vengono considerati animali intelligenti, non solo perché condividiamo caratteristiche genetiche, ma anche perché hanno gli arti superiori liberi e quindi possono operare sulla realtà. L’essere umano ha sviluppato gran parte delle capacità dell’encefalo quando ha liberato gli arti, proprio perché così facendo ha reso il rapporto di apprendimento complesso con la realtà esponenzialmente più vario. Per esempio, i cani sono molto intelligenti ma anche volendo pensare a una scala non la può creare perché gli manca la capacità fisica. Quindi, in questo esperimento, avviene una ricombinazione degli elementi presenti, non una ripetizione meccanica o ricerca per caso, ma una vera e propria ristrutturazione cognitiva che permette di raggiungere il frutto trasformando le casse in una scala. Quando si studiano le civiltà antiche, per individuare il segno di una popolazioni di essere umani con intelligenza e capacità simili alle nostre di solito gli archeologi cercano in prima istanza l’aspetto dell’utensile (l’edificio è l’applicazione in modo elaborato dell’utilizzo degli utensili per proteggersi) perché è un pezzettino di pietra che effettivamente non serve a niente ma nella mente di un essere intelligente diventa un qualcosa che permette di evolvere nella propria capacità di adattamento. Un’altra cosa importante che cerchiamo sono dei segni di arte e pittura perché disegnando si fa qualcosa che è un prodotto della mente e per l’essere umano disegnare è spontaneo e dimostra che c’è lo sviluppo di un sistema nervoso evoluto con capacità di rappresentazione simbolica. In un altro esperimento, Köhler mise il frutto fuori dalla gabbia e distante, in modo tale che l’animale non riuscisse ad arrivarci, e sul pavimento della gabbia c’erano delle canne infilabili. Allo stesso modo, anche qui lo scimpanzé andò per tentativi ed errori e poi improvvisamente fece un atto intelligente infilando le canne le une dentro le altre per creare un bastone lungo e riuscire a recuperare il frutto. È lo stesso meccanismo dell’altro esperimento, cioè l’avvento di un’operazione mentale che permette di utilizzare degli aspetti di realtà per creare uno strumento che ci permette di raggiungere un certo fine. Questo stesso procedimento ci ha portato fino a dove siamo arrivati oggi, permettendoci di avere tutte quelle comodità portate dal progresso (es: cellulari, aerei, automobili, etc..), ed è alla base della nostra intelligenza. In un terzo esperimento (visto in classe in un video) la situazione è di nuovo analoga: il punto è sempre l’uso dell’intelligenza per creare uno strumento che permetta di risolvere un problema o raggiungere un obiettivo. Venne, infatti, attaccata alle sbarre una lunga provetta con dentro una nocciolina, bramata dallo scimpanzé, e all’interno della gabbia c’era un lavandino con un rubinetto. Lo scimpanzé allora trasportò l’acqua dal rubinetto alla provetta utilizzando la bocca e mettendola, in seguito, all’interno della provetta per far sì che la nocciolina galleggiasse. 2 Con questa operazione, una volta che i soggetti hanno avuto l’insight, esso diventa uno strumento che fa parte della loro conoscenza e per questo si chiama “apprendimento”. Esperimento del piccolo Albert In questo esperimento Watson, che è stato uno dei più importanti comportamentisti, condizionò un bambino piccolo ad avere paura degli animali (questo tipo di esperimento ai giorni nostri sarebbe vietato). Praticamente utilizzò il paradigma dell’associazione: inizialmente il bambino giocava con gli animali e non aveva assolutamente paura di loro; ma ad un certo punto, nel mezzo del gioco, il bambino sente un suono fortissimo che lo spaventa e da quel momento si creò il famoso condizionamento avversivo per cui la sensazione di panico che il bambino ha avvertito a seguito del rumore spaventoso è stata associata per condizionamento classico all’animale. Perciò il bambino, da quel momento in poi, piangeva quando gli si avvicinavano gli animali (generalizzazione: non avveniva solo per l’animale che era presente ma per tutti gli animali di piccola taglia). L’esperimento fu molto criticato. LA MEMORIA Esistono due tipi di memoria, breve e lungo termine, perché le informazioni che vengono incamerate nel cervello possono rimanere per un tempo limitato o esteso. La memoria a breve termine è la memoria che permette di trattenere l’informazione finché è necessaria o in stato transitorio, mentre la memoria a lungo termine è quel funzionamento della memoria che permette di conservare le informazioni. I due giochi che sono stati fatti in classe riguardano la memoria a breve termine e mostrano quante informazioni possono stare dentro di essa senza che vengano fatti troppi errori. La sensazione è che nella memoria a breve termine lo spazio sia poco, perché, cercando di memorizzare qualcosa, se arrivano tante altre informazioni si rischia di perdere pezzi o incorrere in errori. Quindi l’idea è che l’uomo abbia imparato ad aggirare i limiti della memoria a breve termine. La memoria a breve termine, o memoria di lavoro, ha due ambiti di applicazione: SPAN fonologico, sotto forma di digit SPAN (memoria a breve termine di numeri) o di word SPAN (memoria a breve termine di parole), è la memoria a breve termine che utilizziamo per trattenere delle parole e ripeterle. Il secondo ambito è la memoria a breve termine visuo spaziale, quella che viene utilizzata quando è necessario ricordare solo delle immagini. Per capire meglio come funziona la memoria a breve termine, e in particolare la digit SPAN, sono stati fatti due giochi in classe. GIOCO 1 La professoressa legge ad alta voce delle serie di numeri che a mano a mano aumentano e chiede alla classe di ripeterli in ordine, attuando un richiamo di tipo seriale, ovvero una ripetizione degli stimoli nell’ordine esatto in cui sono stati percepiti. La classe ha cominciato a sbagliare la sequenza alla settima serie: nei libri di psicologia, neurologia e neuropsicologia si parla di “magico numero 7”. È comune e non dipende dal contesto né da altri fattori esterni, è una costante: la mente umana ha nel proprio ambito di memoria a breve termine, ovvero di lavoro consapevole dell’informazione presente, dei limiti. Il limite è proprio quello del numero degli elementi, infatti, la popolazione presenta una media di 7 elementi memorizzati prima di sbagliare, con una variazione standard di +2 o -2. Se il digit SPAN di un adulto andasse sotto il 5, bisognerebbe preoccuparsi. Poi è stato fatto anche lo SPAN all’indietro, durante il quale la classe ha sbagliato alla quinta serie, perché richiede uno sforzo maggiore. Ci sono diversi compiti attraverso i quali i neuropsicologi hanno studiato la memoria, i più conosciuti sono: il richiamo seriale, che è il più complicato perché non bisogna solo ricordare gli stimoli ma anche la posizione (quel tipo di richiamo che si utilizza per ricordare una formula o una poesia); poi c’è il richiamo libero, in cui non è necessario ricordare la posizione (quel tipo di richiamo che si utilizza durante un esame orale per rispondere ad una domanda). GIOCO 2 La professoressa legge una serie di parole a due sillabe e chiede alla classe di trascrivere, una volta finita la lista, più parole possibile nell’ordine che viene loro naturale, cioè l’ordine con cui sono riusciti a ricordarsele, attuando un richiamo libero. Una studentessa ne ha ricordate poche e la sua strategia è stata poco organizzata: ha provato a concentrarsi sulle prime due, poi sulle ultime e alla fine ha abbandonato lasciando che le parole si depositassero passivamente. La confusione è stata data 3 dalla sovrapposizione di più strategie. Tuttavia, le due diverse strategie non sono così casuali: esiste un fenomeno che si chiama “forma di posizione seriale” che dice che in un elenco è più facile e naturale ricordare i primi e gli ultimi elementi. Due studentesse, invece, ne hanno ricordate molte e hanno attuato due strategie differenti: una ha fissato le ultime e poi ha cominciato a pensare a parole di 4 lettere per vedere quali scaturissero un ricordo; l’altra ha sempre fissato le ultime e per le altre si è creata delle reti di associazioni per ricordarsele meglio. Entrambe hanno utilizzato sia strategie passive (fissare bene le ultime) sia strategie attive (trovare parole simili e creare associazioni). Ci sono persone che hanno scritto parole che non erano in elenco. In ogni caso, la media della classe è stata sulle 12/13 parole. Il discrimine tra chi ha ricordato più parole e chi ne ha ricordate meno è l’utilizzo di strategie precise applicate in modo deciso. Questo dimostra che, quando c’è tempo sufficiente per organizzare le informazioni, la memoria dipende dalle strategie che vengono messe in pratica. Perciò la memoria non è un pezzettino del cervello ma un insieme di strategie attive che si scoprono durante le esperienze di apprendimento. La conoscenza di sé stessi come memorizzatori e delle proprie strategie si chiama “metamemoria”. Le parole di Platone dimostrano che già gli antichi si interrogavano sulle capacità degli esseri umani di imprimere nella propria memoria l’esperienza e le informazioni. Si parla della “cera da imprimere”, ma quello che sappiamo oggi è che il nostro sistema di memoria è molto più attivo della semplice cera. Oggi noi sappiamo che nella creazione dell’informazione noi maneggiamo continuamente ciò che è depositato. Il ricordo può essere definito come il risultato della costruzione di un nuovo profilo di eccitazione neuronale, visto nella complessità della nostra mente dove i cambiamenti di contatti tra neuroni costruiscono dei profili di eccitazione neuronale. Il ricordo presenta delle caratteristiche dello stimolo neuronale, chiamato “dramma”, che contemporaneamente viene messo a confronto e integrato con le proprie conoscenze precedenti. LeDoux ha scritto un libro, “Il sé sinaptico”, in cui analizza come nelle basi del proprio sé possano essere rintracciate delle modificazioni di percorsi neurali che si stabilizzano come memorie della vita e delle esperienze e, per di più, afferma che l’aver vissuto delle esperienze crea dei legami associativi tra neuroni e li rende particolarmente attivi, in modo tale che il presentarsi di stimoli simili comporti l'attivazione dell’associazione rispetto all’evento già vissuto. L’assioma di Hebb sul potenziamento sinaptico, poi, dice che due cellule che vengono stimolate assieme ripetutamente tenderanno a diventare associate cosicché, successivamente, quando una di queste cellule si attiva si diramerà l’attivazione a tutte quelle cellule che sono state presenti al momento dell’apprendimento. Ad esempio, quando accade il fenomeno “sulla punta della lingua”, in cui si vuole dire una parola che sfugge, si cerca di trovare quelle informazioni da attivare che permettano di compiere il percorso per arrivare a ricordare la determinata parola. La memoria, perciò, è un insieme di strategie attive che ci permettono di codificare, immagazzinare, elaborare e recuperare le informazioni. Essa, però, non è solo la capacità di fermare l’esperienza e poterla recuperare a bisogno, ma è anche la base del proprio sé. La propria identità è il ricordo di sé stessi, ognuno si ricorda di se stesso perché ha una memoria stabilizzata di se stesso, cioè un’immagine che deriva dallo stabilizzarsi di tutte le esperienze e il vissuto della persona. La memoria ha anche la funzione di permettere di sentirsi sé stessi. Chi ha un incidente grave che comporta una lesione della memoria, si sente senza identità e deve cominciare a imparare tutto nuovamente. La memoria è ciò che permette un’identità culturale, sociale e personale. 4 La memoria è prospettica, perché c’è una funzione di memoria di cosa si vuole fare nel futuro, e retrospettiva, che è la capacità di scandagliare quello che è stato fatto nel passato. All’interno della memoria è possibile andare a cercare i pezzi che effettivamente sono necessari e importanti nell’istante in cui li cerco. La memoria è stata studiata attraverso l’osservazione di soggetti sani (come l’attività fatta in classe) e attraverso l’osservazione di soggetti che hanno avuto una lesione o delle patologie, per vedere come si degrada la funzione di memoria che si vede negli adulti sani e che può cambiare in seguito all’età che avanza o ad incidenti. Infine, al giorno d’oggi, c’è anche la capacità di osservare attraverso le tecniche di neuroimaging quali aree del cervello, sia dei soggetti sani che dei lesionati, si attivano con i diversi richiami, seriale e libero, e si può immaginare che ci siano aree comuni e aree diverse. Il compito più facile che viene utilizzato per studiare e indagare la memoria è quello del riconoscimento, che comporta il riconoscimento di diversi stimoli (esempio: esami a scelta multipla). La curva dell’oblio è stata individuata da Ebbinghaus nei primi del Novecento quando si era posto di imparare delle liste di sillabe perché voleva vedere, nel momento in cui non è possibile creare delle analogie o associazione, la capacità meccanica della memoria. Così facendo scoprì che se non vengono fatti sforzi particolari per ricordare tre sillabe senza senso, il soggetto le ricorda senza problemi; dopo venti minuti viene già perso il 50% degli elementi che si potevano ricordare; e dopo 9 ore e oltre si stabilizza e quello che rimane nella memoria, senza sforzi particolari, è circa il 20%. La curva è attuale ancora oggi. La memoria compie tre operazioni importanti: la codifica, che permette di etichettare le informazioni che arrivano; l’immagazzinamento, cioè l’insieme di processi che permettono di mantenere le informazioni e trasferirle alla memoria a lungo termine; il recupero, cioè la capacità di ricordare quello che ci serve nel momento in cui ci serve, che è il presupposto della nostra memoria; e, infine, c’è l’oblio. Ci sono vari motivi per cui può avvenire una dimenticanza: l’informazione non è più rilevante per il soggetto difesa della psiche per allontanare delle emozioni molto dolorose (amnesia funzionale) economia cognitiva e spazio fattori di disturbo e interferenze nel momento in cui cerchiamo di memorizzare fattori fisiologici, come patologie, che vanno ad interessare la memoria Quello che si percepisce maggiormente è l’aspetto dello spazio e ciò potrebbe far pensare che l’informazione che si vuole eliminare venga definitivamente persa o che venga conservata in un altro spazio. Possiamo immaginare la memoria come un percorso di eccitazione e di attivazione di sinapsi che si creano tra i neuroni; se tale eccitazione permane sufficientemente e viene in qualche modo sostenuta, da ricordo tenuto attivo si passa ad una rappresentazione che diventa un percorso neurale nella memoria a lungo termine. Le informazioni non vengono perse: quando non è usata attivamente, la traccia decade e viene conservata in un formato che è più difficile da attivare. È da qui che deriva la fatica a ricordare alcune informazioni e la necessità di trovare le giuste associazioni per riportarle allo stato attivo. MODELLI di MEMORIA Il primo che è stato creato è il modello di Atkinson e Shiffrin, che parla di una memoria tripartita e identificata per i diversi tipi di operazioni che la memoria svolge, ma anche per la quantità di tempo in cui l’informazione permane nel tipo di memoria. Ci sono le informazioni che colpiscono prima di tutto i sensi: continuamente vengono create memorie sensoriali di cui non si è consapevoli perché le informazioni sono troppo fugaci. Paradossalmente la memoria sensoriale pare che abbia una capacità maggiore della memoria a breve termine, perché è inconsapevole e nella memoria i limiti sono legati alle informazioni consapevoli. Perciò quando si lavora consapevolmente con la propria mente si hanno dei limiti temporali e quantitativi, ma il sistema cognitivo lavora anche sotto la soglia del consapevole dove ha una capacità e un’ampiezza che sfugge al sapere del soggetto. 5 Quindi le informazioni hanno delle memorie sensoriali, tra cui la memoria iconica (sistema visivo) e la memoria ecoica (sistema auditivo), però tipicamente tali informazioni vengono perse e, se non avviene una selezione attenta, ne si diventa inconsapevoli. Selezionando attentamente, invece, ecco che queste entrano nella memoria a breve termine e stanno lì finchè sono funzionali agli obiettivi, sennò vengono fatte decadere. Per trattenere le informazioni necessarie, la prima cosa che viene messa in atto è la reiterazione ripetitiva, ma limitandosi a ripetere meccanicamente sarebbe troppo facile perderle, perciò si comincia a lavorare su questi stimoli (es. del numero di telefono: si divide dei blocchetti per aggirare il magico numero 7, si creano associazioni sonore o emotive piuttosto che connessioni logiche), mettendo in atto la reiterazione elaborativa, che prevede la ripetizione delle informazioni associandole a qualcosa che è già presente nella mente per creare poi delle modalità che permettano di far diventare il ricordo fuggevole in qualcosa che rimane. Tutte queste elaborazioni sono l’insieme di operazioni che permettono di far passare il contenuto da uno temporaneo a uno virtualmente permanente e virtualmente recuperabile. Esperimento del priming subliminale È un esperimento in cui si vede che essere stati esposti ad un’immagine di sfuggita, quindi sottosoglia di consapevolezza, che ha un legame simbolico con qualcos’altro che viene visto, fa sì che poi venga ricordato lo stimolo (esempio: leggenda della Poca Rola, per cui si diceva che se in un filmato si fanno vedere delle micro immagini di Coca-cola poi le persone vengono condizionate a berne di più perché anche se non l’hanno visto consapevolmente il loro cervello le ha elaborate). Quello che si può notare è che, se uno stimolo non è cosciente perché troppo veloce, è in grado di attivare comunque direttamente le rappresentazioni concettuali associate nella memoria a lungo termine. Fondamentalmente, se viene visto sottosoglia di consapevolezza uno stimolo prime, ad esempio il concetto di “osso”, viene attivata direttamente nella memoria a lungo termine il concetto di “osso” e tutti i concetti semanticamente e associativamente legati all’ “osso”, per esempio il cane. Questo per dire che la memoria sensoriale è fatta di tutti quegli stimoli che velocissimi colpiscono i nostri sensi e che possono saltare tutte le fasi della memoria a breve termine e andare ad attivare direttamente la memoria a lungo termine. Tale esperimento è molto importante perché ha potuto rendere conto che nella memoria sensoriale ci possono stare molti più stimoli rispetto che nella memoria a breve termine. Gli sperimentatori facevano vedere nove lettere, divise in tre file, a dei soggetti e le esponevano per un tempo brevissimo chiedendo loro di ripetere le lettere che ricordavano sapendo che, se udivano un suono alto, dovevano dire quelle della prima riga, se uno medio quelle della seconda e se uno basso quelle della terza. Al contrario di ciò che pensavano i ricercatori, le persone sbagliavano veramente poco e ciò ha fatto concludere che tutte le nove lettere restavano nella loro memoria, che quindi ha una capacità superiore al famoso numero 7. Questo esperimento ha permesso di dimostrare che nella memoria sensoriale ci può stare molto materiale in più. La memoria a breve termine è un magazzino che permette di mantenere le informazioni per un tempo limitato per poi decidere se farle passare a memoria a lungo termine o lasciarle decadere. La capacità è limitata e, se non vengono attuate strategie per mantenere l’informazione più a lungo, questa viene persa velocemente (circa 30 secondi). In questa memoria vengono svolte molte operazioni: non solo la ripetizione meccanica ma anche altre, come operazioni di raggruppamento e associazione. Curva di posizione seriale Questa curva è la rappresentazione che è più facile e naturale ricordare gli ultimi elementi di una lista e, subito dopo, i primi. Inoltre, è possibile vederla in tutte le operazioni. Il motivo è che tutti gli stimoli al centro della lista subiscono interferenze e quindi è più difficile fissarli. 6