Tecnologie e Qualità nel Settore Moda PDF

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Questo documento esplora la tecnologia e la qualità nel settore moda, con esempi storici e moderni relativi a tecnologie e tendenze nel settore dell'abbigliamento. Analizza come le tecnologie moderne influenzano il processo di creazione e la qualità dei prodotti nel settore.

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lOMoARcPSD|31906727 Docsity tecnologie e qualita nel settore moda Tecnologie e qualità i-ii (Sapienza - Università di Roma) Scansiona per aprire su Studocu Studocu non è sponsorizzato o supportato da nessuna università o ateneo. Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 TECNOLOGIE E QUALITÀ NEL SETTORE MODA Tecnologia Dei Materiali Università degli Studi di Roma La Sapienza (UNIROMA1) 75 pag. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 TECNOLOGIA E QUALITÀ NEL SETTORE MODA Il termine moda è spesso correlato al modo di abbigliarsi. L’abito assunse anche precise funzioni sociali, atte a distinguere le varie classi. Non esistevano le taglie, ogni vestito era un pezzo unico. Oggi invece, esiste il prêt-à- porter che è il settore dell’abbigliamento di moda costituito da abiti realizzati non su misura dei clienti ma venduti finiti in taglie standard. à La moda è una tendenza generale a cui le persone si adeguano per naturale imitazione e per conformismo (termine con cui si fa riferimento a una tendenza a adeguarsi a opinioni e comportamenti). LA MODA DELLA DONNA NEL MONDO LATINO Il termine moda deriva dal latino modus, che significa maniera, regola. L’abito era considerato oggetto molto prezioso che veniva elencato tra i beni testamentari. La donna romana non aveva libertà dell’uomo, tant’è che poteva uscire di casa solo accompagnata e ricoperta da un mantello portato anche sul capo e portava la toga femminile. La matrona indossava varie vesti: la tunica intima, la tunica, la stola. Nel periodo dell’impero le acconciature femminili diventarono estremamente elaborate. Le mode lanciate dalle mogli degli imperatori che si facevano raffigurare con l’acconciatura preferita che veniva imitata dalle altre. LA MODA DELL’UOMO DEL MONDO LATINO Al tempo i primi re indossavano le tuniche e mantelli. Per quanto riguarda l’uomo l’abito usato nel periodo repubblicano prima imperiale fu la toga, un enorme mantello ovale in lana o lino, avvolto attorno al corpo a formare fitte pieghe verticali che venivano usate anche come tasche. Nell’ultimo periodo dell’impero la toga si appesantì di ricami e decorazioni. Se ne usavano di vari tipi, da quelle senatoriali orlate da una fascia di porpora, a quelle candide indossata da chi concorreva una carica politica, e quelle di colore scuso per chi era in lutto. La caliga à calzatura militare fatta con suola pesante. Sono più degli stivali da marcia, progettate per evitare il rischio di vesciche durante le lunghe marce. Mentre i sandali venivano indossati dai romani solo dentro casa. ABBIGLIAMENTO NELL’ANTICA GRECIA L’abbigliamento dell’antica Grecia era di carattere semplice, spesso costituito da un unico rettangolo di stoffa, non cucito ma drappeggiato intorno al corpo. L'unico capo a fare parte unicamente del guardaroba femminile era il peplo. A seconda dell'abbigliamento erapossibile distinguere il diverso ceto sociale dell'indossatore. Abbigliamento maschile à L'abito nazionale degli uomini greci era il chitone, una lunga tunica. Sostituito poi dal pratico chitoniskos, lungo sino alle ginocchiae fermata in vita da una cintura. Gli uomini liberi lo indossavano fissato su entrambe le spalle. Gli schiavi indossavano una versione meno pregiata e fissata su una sola spalla. L’himation à mantello utilizzato tanto dagli uomini quanto dalle donne, indossato al di sopra della tunica. Il tribonio à mantello più ruvido e più grezzo, che lasciava scoperte le gambe. La clamide à era un corto mantello di tessuto leggere che veniva fissato sulle spalle o intorno alla gola da un fermaglio. Abbigliamento femminile à Le aristocratiche greche indossavano una tunica lunga sino alle caviglie. Il seno sorretto da una larga fascia. A completare l’abito vi era un giacchetto senza maniche. Abito nazionale delle donne greche era il peplo, rettangolo di stoffa in lana che veniva drappeggiato intorno al corpo sino a formare una tunica, che lasciava le braccia scoperte, e veniva fermato in vita da una cintura. Il chitone era sostituto da due teli rettangolari sovrapposti e cuciti insieme sui lati. Il chitone ionico era lungo sino a piedi a differenza del chitone dorico che invece poteva essere più corto. L’himation à poteva essere indossato intorno alla testa, oppure fatto passare da sotto l’ascella, poteva essere indossato indifferentemente dalla moglie o dal marito. Calzature à le calzature greche erano i pedilon, una forma di sandali, costituita da un plantare di cuoio. Tale calzatura si evolse nei sandalia, più elaborati e residenti, che nelle varianti femminili potevano essere colorati. I copricapi erano utilizzati per proteggere dal sole o per proteggere dal freddo. Materiale più utilizzato era la Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 lana. Più costoso era il cotone. I colori maggiormente presenti nell’abbigliamento erano, il bianco, il giallo o il turchese. PERIODO MODERNO Il termine moda è sinonimo di evoluzione ed ha contraddistinto diverse epoche storiche: à Durante il XVI secolo Venezia fu in particolare la città italiana dove il costume femminile si espresse con maggior libertà, scollature profonde elementi tratti dall’abbigliamento orientale. In seguito gli abiti tornarono a chiudersi sul busto. Fecero la loro comparsa i primi busti, in metallo con la punta che spingeva verso il ventre. Le gambe muscolose furono una vera e propria esibizione di vanità. XVII secolo à periodo Barocco, la moda femminile fu caratterizzata dai rigidi busti a punta, dalla gonna a campana, dal collo a gorgiera, detto anche a ruota di mulino. I gioielli erano sparsi su tutto l’abito. Successivamente, le vesti tornarono ad aprirsi sul davanti, arricciandosi lateralmente con scollature a barchetta sottolineate da grandi collari di pizzo. Il peso più importante sulla moda lo ebbe Luigi XVI. XVIII secolo à Influenzato dalla moda aristocratica della corte di Francia. Caratteristica del secolo è la parrucca usata dai due sessi e abbondantemente incipriata dopo essere stata impomatata con creme fissanti. XIX secolo à Nella moda ottocentesca è soprattutto l’abbigliamento maschile a modificarsi. Elementi fondamentali del guardaroba furono; i pantaloni, il gilet e i soprabiti. La cravatta era un grande elemento di attrazione. La donna invece, indossava un vestiario leggerissimo e trasparente. La libertà femminile durò poco. LA MODA DAL 1900 AL 1950 Nel 1914 scoppiò la Prima guerra mondiale. Pur tra mille difficoltà Parigi volle mantenere il suo ruolo elegante e i grandi couturiers continuarono la loro attività. Le gonne si accorciarono al polpaccio, mentre si affermarono lineemilitaresche. In Inghilterra,Edoardo VII fu un modello di dandy. XX secolo à In Italia si crearono scarpe con lasuola di sughero. Intanto, venne inventato il Lanital un tessuto ottenuto dai cascami della caseina. Negli Stati Uniti si fece leva sull'economico jeans, mentre furbi artigiani dipingevano le gambe delle signore. Dior puntava sulla perfezione esclusiva del taglio, e su una linea che modellava il corpo femminile. à Negli anni Sessanta, molti indumentifurono presi in prestito dalle uniformi di guerra, come la t-shirt. Mary Quant lanciò nel 1964 la minigonna. LA MODA FEMMINILE DEL VENTESIMO SECOLO La silouette che associamo a questi anni è una semplice canottiera sostenuta da due spalline. Per la prima volta nella storia della moda l’abito da sera fu corto tanto quanto quello da giorno. Si utilizzavano soprattutto stoffe trasparenti, guarnite nei punti strategici di perline di vetro o frange di seta e le gambe s’infilavano in calze chiare che sembravano una seconda pelle, solo più bella. Le scollature arrivavano, sia davanti che dietro, quasi fono alla vita e senza nulla sotto. L’intimo era un completo di cotone color crema composto da fascia riducente per il seno e corsetto con spalline regolabili, reggicalze e sottogonna in crepe de chine guarnita di pizzo. à Le calze, le camicette e gli abiti da giorno, venivano confezionati in seta artificiale a buon mercato, ma soprattutto lavabile. Rendendo la vita più facile a chi sceglieva questo materiale. La liberazione da abiti carichi e voluminosi deve aver notevolmente contribuito all’emancipazione femminile. Dato che il vestito era ridotto a nulla, il cappotto doveva di conseguenza essere tanto corposo da riparare totalmente dal freddo. Veniva drappeggiato intorno al corpo come un pesante kimono e chi aveva classe lo teneva chiuso con una mano, altrimenti questa funzione veniva svolta da un grosso bottone. Dovevano essere di pelliccia a pelo lungo almeno il grande collo e gli ampi polsi. 1900 – 1910 L’abbigliamento femminile continuava a mantenersi rigorosamente fedele allo schema che divideva il corpo in due parti artificiosamente modellate, quella superiore dal corsetto, che comprimeva la vita, e quella inferiore dalla crinolina che dava una volumetria variabile alla gonna. à Corsetto e crinolina, esprimevano l’appartenenza a una classe sociale nella quale la donna aveva il compito Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 specifico di apparire di rivelare la posizione del coniuge, per il quale l’eleganza non ammetteva deroghe ai colori scuri e al classico abbinamento della giacca al pantalone lungo. In mancanza di nuove idee sul taglio e sulle fogge dei vestiti, la ricchezza veniva ostentata attraverso l’abbondanza del tessuto sovrapposto in più strati che modellavano l’abito femminile, la ricercatezza degli accessori, la ridondanza degli effetti decorativi ottenuti con l’applicazione di passamaneria, nastri, cuciture ornamentali, fiocchi, inserti e volant. All’inizio del Novecento, e per tutta la prima metà del secolo, la moda continuo a identificarsi solo ed esclusivamente con Parigi. 1910 – 1920 Nei primi anni del decennio, la scena dell’haute couture era dominata da Paul Poiret. Le sue creazioni imposero un modello di eleganza che faceva perno sull’abbandono delle forme curvilinee a favore di abiti dalla linea verticale, sull’introduzione di colori sgargianti nell’abbigliamento femminile fino ad allora realizzato con tessuti dalle tinte tenui, sulla rinuncia alla cura dei dettagli sacrificata all’effetto complessivo dell’abito. à Decennio in cui era naturale l’uso del trucco solito. Nel 1910 ci fu un cambiamento drammatico nella moda, influenzato dal balletto russo che correva le tappe europee. I colori brillanti e onda orientale, sostituiti con colori pastello, gonne lunghe. 1920 – 1930 Il decennio degli anni ’20 è stato un periodo di grande cambiamento; le donne scioccarono i loro uomini con gli orli che gradualmente si accorciavano, raggiungendo stile da ragazza emancipata della metà anni ’20. Il makeup divenne popolare e le acconciature divennero più corte. 1930 – 1940 L’immagine della donna torna ad essere più tradizionale, forme armoniose e naturali, prevalgono i tessuti in tinta unita. In Italia la linea del busto inizia a essere più aderente mettendo in risalto le forme. Tra le stoffe primeggia il velluto. Gli abiti da sera erano semplici lunghi fino al collo del piede, accompagnati da soprabiti eleganti, piume di struzzo o pelliccia a pelo lungo. Si diffonde l’abbigliamento in divisa, il tailleur e cravatta nera con camicia bianca. à Gli abiti da mattina sono in linea a sacco, mentre quelli per il pomeriggio si riaccostano al corpo, torna di moda il manicotto, vanno i pois. 1940 – 1950 La carenza di cuoio ha fatto si che sono stati utilizzati altri materiali grossolani come il sughero. La zeppa è stata usata, nel modo più duro che causava mal di piedi. Gonne, vita stretta, cuciture orizzontali al di sopra o al di sotto del punto vita. Abiti in stile militare, scarpe piattaforma sughero più conveniente che in pelle ecc. à Le uniformi sono state osservate in tutte le parate civili, cinematografici eventi sociali, matrimoni, ristoranti per serate di gala. MILANO E LA MODA Milano divenne capitale economica italiana durante la rivoluzione industriale. È una delle capitali della moda insieme a Londra, Parigi e New York. Ospita la settimana della moda, istituita nel 1958 e fa parte delle Big Four, quattro eventi ritenuti importanti in quanto svolti nelle capitali della moda. à La settimana della moda di Milano viene organizzata dalla Camera Nazionale della Moda Italiana. Prima si svolgeva presso la Fiera di Milano ma nel 2010 l’evento è stato organizzato presso il Fashion Hub. IL TERMINE MODA E LA MODA ITALIANA Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 Deriva dal latino modus, che significa maniera, norma, regola, tempo, melodia, ritmo, tono, moderazione, discrezione. La moda, detta anche storicamente costume, nasce solo in parte dalla necessità umana correlata alla sopravvivenza di coprirsi con tessuti, pelli. à Nascita della moda attribuita a Charles Friedrick Worth, che nel 1860 apri a Parigi una attività di vendita di stoffe e di ideazione di abiti esclusivi. Moda Italiana à il 25 febbraio 1951 Giorgini organizzo la sfilata a Firenze per il pubblico internazionale inizia la storia della moda italiana. Giorgini fa rinascere il mito della nobiltà che ora apre il suo palazzo alle sfilate e alla presentazione delle collezioni. Sorelle Fontana à Con il loro atelier, furono le prime a dare un vivace impulso al Made in Italy, rendendo così famoso lo stile italiano nel mondo fin dal 1943 Gucci à Nasce a Firenze come azienda specializzata in pelletterie artigianali nel 1921. Il fondatore Guccio Gucci che acquista uno spiccato senso del gusto e dello stile lavorando in alberghi rinomati di alcune importanti capitali europee. Giorgio Armani à stilista e imprenditore italiano, uno dei maggiori esponenti della moda internazionale nel mondo. SVILUPPO DELLA MODA NEL MONDO NEL 900 L’intreccio tra ideazione, creatività, manifattura è da tempo una delle caratteristiche dell’industria della moda. Il processo di internazionalizzazione non è stato lineare. Se l’Asia, con l’espansione della moda, risulta per molti versi “colonizzata” dai grandi marchi del lusso europei e americani, che esercitano in questi paesi la massima attrattiva, essa è anche il luogo dove la sperimentazione è più accelerata. Coco Chanel à La più celebre stilista francese, capace con la sua opera di rivoluzionare il concetto di femminilità e di imporsi come figura fondamentale del fashion design e della cultura popolare del XX secolo. Vienne Tam à Stilista cinese, ha fondato un marchio di abbigliamento che prende il suo nome ed è ispirato al design ed alla moda cinese. GLI STILI Gli stili sono determinati dall’età, i ruoli sociali, le posizioni ideologiche, le condizioni climatiche. à L’abito è sempre stato inteso come espressione di affermazione sociale, di conferme individuali, importante mezzo di comunicazione di singoli e di popoli. Abiti del potere à Abbigliamento utilizzato per definire il ruolo o la carica sociale Abiti del dovere à Abbigliamento obbligatorio per il mestiere La moda è la manifestazione di fenomeni profondi, allo stato latente, in quanto segnali di tensioni sociali, di aspirazioni e di conflitti collettivi allo stato ancora virtuale. à Arrivare a conoscere lo scenario della moda vuol significare conoscere lo scenario della nostra società in quanto la moda è “il supporto simbolico di altri fenomeni” (antagonismo sociale) e “L’espediente culturale che ha l’obiettivo di sperimentare la possibilità di una trasformazione sociale” (cambiamenti sociali). LA MODA ITALIANA HA SEMPRE GENERATO GRANDE VALORE AGGIUNTO Il settore moda comprende i settori; Tessile, abbigliamento, conciario, calzaturiero e pelletteria rappresenta una quota molto significativa dell’economia del nostro paese. Le 4 A del made in Italy: Automazione Abbigliamento Alimentari Arredo casa Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 NUOVI SCENARI COMPETITIVI DEL SISTEMA MODA Eliminazione progressiva delle restrizioni alle importazioni provenienti dai paesi terzi Entrata della Cina nell’OMC Intensificazione delle strategie di internazionalizzazione commerciale Multi localizzazione produttiva Sono alcuni dei fattori che hanno provocato in pochi anni uno svolgimento senza precedenti nel sistema moda italiano. Nonostante ciò, una quota significativa di imprese italiane della moda è riuscita a mantenersi competitiva grazie agli sforzi di riorganizzazione di riposizionamento sui mercati. Elementi centrali nell’evoluzione del mercato della moda negli ultimi anni sono stati: Orientamento del settore verso una crescente attenzione ai contenuti immateriali del prodotto moda Allungamento della filiera attraverso una integrazione operativa con la distribuzione Internazionalizzazione e investimento sulla qualità dei prodotti e dei processi. VALORE MATERIALE E VALORE IMMATERIALE Il valore materiale di un prodotto è dato dalle sue caratteristiche oggettive e dalle sue effettive potenzialità come, ad esempio, il materiale con cui è fatto, la qualità di questo materiale, la precisione di costruzione, la forma, le dimensioni, il peso, la fragilità, il modo d’suo, la funzionalità ecc. Il valore immateriale di un prodotto è qualcosa di intangibile e soggettivo in quanto è dato dalle caratteristiche che noi attribuiamo al prodotto per nostra convenzione, per come quel prodotto ci fa sentire o per come il possesso di quel prodotto viene interpretato dai canoni sociali. Il valore immateriale è dato dall’immagine che si viene a creaqre attorno ad un prodotto. NUOVI SCENARI COMETITIVI DEL SISTEMA MODA Preso atto delle caratteristiche della concorrenza internazionale in un mercato globale liberalizzato, le imprese italiane lungimiranti hanno proceduto a ridefinire o potenziare la propria value proposition (proposta di valore), ossia la creazione del valore per il cliente. à Questa ridefinizione ha portato, in primo luogo, alla focalizzazione dell’attività su prodotti ad alto valore aggiunto, ascrivibile tanto alle caratteristiche intrinseche della merce quanto agli elementi immateriali del prodotto. Tenendo presente la complessità dell’offerta di prodotti realizzati, che rendono il settore fortemente variegato al proprio interno è possibile dire che la value proposition di gran parte dei modelli di business del settore si orienta verso; Il lusso e l’alta qualità L’innovazione tecnologica (maggior funzionalità dei prodotti moda, soluzioni migliorative per prodotti tradizionali, finalizzazione particolare dei materiali anche per altri settori) Il disegno e gli elementi immateriali (elevato contenuto moda, creatività sperimentale, forte identità dei prodotti, connessione con i comportamenti socioculturali) Le nicchie di prodotti ecologici (materiali naturali, riciclati, certificazioni di eco sostenibilità delle produzioni) LINEE STRATEGICHE FATTORI CHE HANNO CONTRIBUITO AL CAMBIAMENTO L’impatto delle nuove ICT (internet communication technology) ha ridotto i costi di coordinamento e di networking e aumentato in misura consistente la varietà delle configurazioni produttive delle imprese, Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 permettendo lo sviluppo di complesse reti di fornitura e subfornitura ben oltre la limitazione geografica dei distretti. L’evoluzione dei mercati e die comportamenti dei consumatori, ha fortemente aumentato la varietà delle offerte delle imprese. Alle tradizionali variabili di posizionamento se ne sono infatti aggiunte altre sia materiali che immateriali, che ampliano la gamma delle opportunità La crescente centralità delle distribuzioni ha aperto nuove opportunità di integrazione e disintegrazione verticale, oltre che di ridefinizione del perimetro strategico delle imprese Le formule di comunicazione con i consumatori, la proliferazione dei marchi, l’importanza dell’affermazione dell’identità dei prodotti, la moltiplicazione delle nicchie hanno richiesto di integrare nuove competenze immateriali nelle imprese. LINEE STRATEGICHE PER UN RIPOSIZIONAMENTO COMEPETITIVO L’orientamento verso i prodotti ad alto valore aggiunto ha comportato l’attivazione di diverse linee strategiche in cerca di un riposizionamento competitivo sul mercato mondiale: Intensificazione degli investimenti tecnologici al fine di potenziare l’efficienza e la capacità produttiva degli impianti, puntando sulla versatilità e sull’affidabilità qualitativa elle macchine. Terziarizzazione del comparto mediante l’attribuzione di un maggior peso alle funzioni e alle competenze immateriali come la ricerca stilistica, l’analisi e il presidio dei mercanti, il coordinamento delle reti di fornitura, la logistica, la comunicazione e la commercializzazione. Questo processo viene spesso accompagnato da un potenziamento dell’esternalizzazione delle fasi produttive. Strategia di internazionalizzazione commerciale e produttiva. La delocalizzazione di intere fasi di produzione per contenere i costi ha accentuato la terziarizzazione delle case madri contribuendo ad abbassare i livelli occupazionali nell’ambito produttivo e ampliando le funzioni di progettazione, vendita, coordinamento. Attivazione di catene di valore lunghe in cui soggetti prima formalmente non considerati, come la distribuzione o la fornitura tecnica, partecipano alla definizione del prodotto. La catena del valore avvale inoltre dalla collaborazione di soggetti di altri settori che pure contribuiscono a qualificare e migliorare i prodotti e spesso a suggerirne di nuovi Sostituzione o integrazione del modello di filiera distrettuale con filiere tematiche. Grazie ai moderni sistemi di comunicazione, sempre più rapidi ed efficienti, la prossimità non viene più considerata come principale fattore qualificante per realizzare un determinato progetto produttivo o per costruire partnership. Si privilegiano, invece, altri elementi quali la competenza e il grado di specializzazione delle entità coinvolte. MODELLI DI BUSINESS I tradizionali strumenti di analisi presi singolarmente: à Il posizionamento di mercato (fascia prezzo, contenuto moda, consumatore target) à la struttura organizzativa (integrante, disintegrante, impresa rete) à l’analisi dei canali distributivi (monomarca, multimarca, GDO, grandi superfici) Questi non riescono a rappresentare correttamente in modo compiuto la formula attraverso la quale l’impresa riesce a far profitti e svilupparsi. Due imprese con un posizionamento di mercato simile possono per esempio essere caratterizzate da formule organizzative o da configurazioni dei canali di vendita molto diverse. Le combinazioni tra questi fattori si sono moltiplicate, dando luogo a diversi modelli di business. à Con modello di business si intende la rappresentazione della logica di generazione dei profitti, attraverso la quale si realizza la visione del futuro e degli obiettivi che l’impresa si pone. Il modello di business è inoltre il quadro di riferimento all’interno del quale si definiscono l’organizzazione dell’impresa, il suo posizionamento sul mercato e le forme con cui si relaziona con i clienti. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 I tre livelli necessari alla definizione di un business sono; strategia (visione e obiettivi), modello di business (logica di generazione dei profitti), organizzazione dei processi produttivi (organizzazione). Un modello di business è innanzitutto definito a partire da una value proposition. à La value proposition rappresenta il valore che l’offerta dell’impresa ha per il consumatore, o più in generale per il cliente; può essere vista come la risposta alla semplice domanda del cliente (perché dovrei acquistare il prodotto di quell’impresa? Quali vantaggi mi offre? Che valore rappresenta per me?) La value proposition viene proposta dalle imprese ad un preciso target di consumatori e clienti. Per tradurre la value proposition in un’effettiva offerta le imprese utilizzano competenze distintive di tipo materiale o immateriale, che nella moda possono essere suddivise in manifatturiere/produttive; design/stilismo; comunicazione; marketing/retailing. Ciascun modello di business articola le sue componenti costitutive in modi e con formule differenti. MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE DELLE CALZATURE; IL MADE IN ITALY INDUSTRIALE: LUSSO ACCESSIBILE Value proposition à il valore che le imprese seguono in questo modello di business offrono al consumatore una combinazione di tre elementi: - Stile - Qualità - Moderato contenuto moda I marchi di queste imprese, generalmente ben conosciuti e sostenuti da investimenti in comunicazione, rappresentano una garanzia per i consumatori e fanno appello ad un comportamento razionale di un consumatore. A questa value proposition si accompagnano due possibili politiche di gamma: La specializzazione, vendita unicamente di calzature, tutt’al più accompagnate da pochi accessori L’estensione del marchio: le imprese di questo modello di business hanno un marchio applicato dagli accessori in pelle fino all’abbigliamento. Competenze à Le competenze chiave di questo modello sono in primo luogo quelle di tipo manifatturiero. Tra queste, quelle legate alla qualità delle lavorazioni hanno un ruolo importante, legato anche alla capacità organizzativa e manageriale. La produzione è di volumi mediamente ampi ed è organizzata in modo efficiente su scala industriale. Le competenze creative sono in secondo piano, la definizione delle collezioni è fortemente influenzata dal marketing e coordinata dal product manager. In questo modello di business il ruolo non manageriale svolto dai negozi di proprietà, con quote significative sul fatturato complessivo delle imprese, richiede la presenza di competenze di gestione dei punti vendita all’inverno delle aziende. Organizzazione dell’offerta à La produzione delle prime linee si mantiene in Italia e sotto uno stretto controllo. L’esigenza di controllo e l’insieme di competenze di tempo produttivo/tecnologico, spesso presenti in azienda, possono suggerire l’opzione di mantenere la produzione all’interno dei propri impianti, con un supporto esterno localizzato per lavorazioni specifiche. Quando sono presenti seconde o terze linee, queste vengono invece tendenzialmente delocalizzate in paesi che offrono costi minori. L’offerta è prevalentemente organizzata intorno al ciclo stagionale con le due collezioni. Networking à le imprese tendono ad essere localizzate all’interno di distretti specializzati. La configurazione a rete tende tuttavia ad essere limitata, soprattutto nei casi in cui la scelta di mantenere la produzione internamente ai propri stabilimenti ha un maggior peso. Canali distributivi à La presenza di una rete più o meno estesa di negozi monomarca è comune alle imprese che seguono questo modello di business. Le differenze possono riguardare la quota della monomarca sul fatturato complessivo, dal 30% al 60%. à trattandosi di imprese che si rivolgono a mercati di ampia dimensione, l’utilizzo del solo canale monomarca non consentirebbe una sufficiente copertura del mercato. Si ricorre a canali multibrand, serviti attraverso agenti, o in rari Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 casi e in particolare per i mercati esteri, attraverso distributori locali. Quando il canale monomarca rappresenta una quota significativa delle vendite, la coesistenza con il multimarca richiede un’attenta selezione delle location dei negozi, al fine di non creare conflitti tra i due canali. D’altro canto, la multicanalità consente l’utilizzo della monomarca non solo come canale di vendita, ma anche come piattaforma di test per l’introduzione di nuovi modelli e proposte stagionali. Strumenti di comunicazione à La comunicazione di queste imprese tende a seguire formule e strumenti tradizionali. Il volume di investimento in comunicazione non è irrilevante, intorno al 5% del fatturato, e segue tendenzialmente l’impostazione dell’industria della moda ad una certa autoreferenzialità (comunicazione prodotta internamente o attraverso professionisti indipendenti invece che con grandi agenzie di comunicazione). Target à i consumatori target sono di reddito medio – alto, alto e molto alto. I prodotti delle prime linee del cosiddetto lusso accessibile, al quale possono accedere i consumatori del ceto medio anche se limitatamente ad acquisti in o per occasioni significative. Si tratta di prodotti che assecondano i comportamenti di trading up dei consumatori. Non è infrequente, in questo modello di business, una componente prevalente rivolata al mercato maschile. Spesso i modelli di punta rappresentano un traino per le seconde linee con posizionamento su fasce medie che presentano un buon rapporto qualità prezzo. La fascia dei prodotti top può avere un prezzo per paio di calzature fino ai 500€, un eventuale seconda linea può posizionarsi tra i 100€ e i 200€, meno frequente è una ulteriore fascia bassa, eventualmente con marchio ben differenziato dagli altri due, intorno ai 100€. MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE DELLE CALZATURE; IL MADE IN ITALY INDUSTRIALE: QUALITÀ A BUON PREZZO Value proposition à valore che le imprese che seguono questo modello di business offrono al consumatore è una combinazione di funzionalità e prezzo ragionevole, anche se non basso, adeguato alle performances. Un ulteriore elemento caratterizzante l’offerta può essere l’estensione della gamma a tutti i componenti della famiglia. Il valore offerto in questo caso è duplice, nello stesso negozio si trovano prodotti per tutti. Competenze à Le competenze chiave in questo modello di business sono in primo luogo quello di tipo commerciale e di marketing. Il mercato di riferimento è di massa; gli obiettivi principali sono: copertura di mercato, chiarezza e target della comunicazione, adeguato al mercato di riferimento. Un’efficiente, consolidata e affidabile rete di agenti è determinante per il successo di questo modello di business. La differenziazione basata sulle diverse funzionalità dei prodotti attribuisce quindi alla comunicazione un ruolo importante, attraverso sia canali tradizionali sia gli stessi punti vendita mono brand. Le competenze creative si trovano in secondo piano, la definizione delle collezioni è fortemente influenzata dal marketing e dal mantenimento/enfatizzazione delle caratteristiche funzionali del prodotto, la caratterizzazione è data più dal design industriale che dal fashion. Le competenze dell’area produttiva sono meno rilevanti, la qualità della produzione è riferita principalmente alle caratteristiche tecniche e di costruzione del modello, ai materiali utilizzati e alla stabilità degli standard. Quest’area può quindi essere demandata a fornitori esterni, affidabili e controllabili, caratteristiche che possono offrire un vantaggio a fornitori Made in Italy. Organizzazione dell’offerta à La produzione tende ad essere totalmente esternalizzata, l’impresa si concentra sugli aspetti di marketing e sviluppo tecnico del prodotto. Il controllo sugli standard resta stretto, in particolare sulla corrispondenza tra le caratteristiche costruttive ma la responsabilità e le problematiche produttive sono delegate ai subfornitori. Quote minori di produzione possono però essere mantenute all’interno per prodotti che richiedono lavorazioni particolari. L’offerta è prevalentemente organizzata intorno al ciclo stagionale. La copertura di un target di consumatori ampio comporta collezioni con un elevato numero di referenze. Networking à Le imprese tendono ad essere localizzate all’interno di distretti specializzati. La configurazione a rete tende tuttavia ad essere limitata, in massima misura nei casi in cui la scelta di internalizzare la produzione dei propri stabilimenti ha un maggior peso. Canali distributivi à La presenza di una rete più o meno estesa di negozi monomarca è comune alle imprese che seguono questo modello di business. Le differenze possono riguardare la quota del monomarca sul fatturato Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 complessivo. D’altra pare l’utilizzo del solo canale monomarca non consentirebbe una sufficiente copertura del mercato. Quando il canale monomarca rappresenta una quota significativa delle vendite, la coesistenza con il multimarca richiede un’attenta selezione delle location dei negozi, al fine di non creare conflitti tra i due canali. D’altro conto, la multicanalità consente l’utilizzo dei monomarca non solo come canale di vendita, ma anche come strumento di comunicazione. In questo caso l’apertura di alcuni monobrand, localizzati in aree mirate ed alta visibilità e passaggio, può avere finalità prevalentemente di comunicazione e non quella di genere direttamente profitti. Strumenti di comunicazione à La comunicazione di queste imprese tende a seguire formule e strumenti tradizionali, in linea con i contenuti della value proposition. Il valore di investimento in comunicazione è significativo, tra il 5% e il 10% del fatturato. La comunicazione segue solo in piccola parte l’impostazione che caratterizza l’industria della moda e si avvicina a quella dei marchi di largo consumo, attraverso i canali tradizionali sia i punti vendita che devono essere chiaramente identificabili. Ne deriva la tendenza all’utilizzo del canale monobrand, e il bisogno di competenze distributive all’interno dell’impresa. L’incrocio tra il prodotto di fascia di prezzo medio – alta e target molto ambio rende complesse le politiche di comunicazione, la cui definizione può diventare critica per la percezione da parte del consumatore del posizionamento del prodotto. Target à I consumatori target sono di reddito medio, un mercato di massa ma dispostoa pagare un premium price per le funzionalità. La qualità funzionale dei prodotti li colloca in una fascia di prezzo media o medio alta (150/200€). Il prezzo può variare in relazione ai prodotti, ad esempio nel bambino i prezzi sono nettamente inferiori, anche in relazione alla minor vita del prodotto e quindi ad una maggior frequenza d’acquisto. L’offerta è rivolta a tutta la famiglia e a tutte le fasce d’età. Anche in questo caso il prodotto si presta ai fenomeni di trading up dei consumatori. Il target quindi può comprendere anche consumatori di reddito inferiore alla media ma particolarmente sensibili alle funzioni premium garantite dal prodotto, quando la funzionalità principale è quella del comfort. I MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE DELLE CALZATURE: GRANDI VOLUMI PER PRIVATE LABEL DELL GDO Value proposition per il distributore à Copertura completa della gamma di prodotti per la famiglia, buon contenuto di servizio per le grandi superfici in termini di logistica, riassortimenti, personalizzazioni, consulenza alla selezione del campionario. I prezzi bassi sono proposti a scapito della rigidità sulla dimensione minima degli ordini. Per il consumatore à Prodotti di prezzo molto contenuto per la famiglia, e per tutte le occasioni d’uso, ma affidabili per qualità all’interno del loro segmento di prezzo. Il principale mercato in questo modello di business è quello delle private label della grande distribuzione specializzata, che richiede grandi volumi di produzione. l’offerta può includere anche: Prodotti a marchio proprio, ma in ogni caso con peso molto limitato sul fatturato complessivo La produzione in private label anche per i marchi industriali o griffe, anche in questo caso si tratta di produzioni complementari e limitate sia nei volumi che nell’ampiezza di gamma. Competenze à La competenza tecnica è alla base della value proposition di questo modello di business. In particolare, essa viene applicata allo sviluppo del prodotto. In numero di referenze della collezione è molto ampio e la progettazione deve essere ottimizzata per il contenimento dei costi. Nelle produzioni su grandi volumi, caratteristiche per la gran parte se non la totalità di queste imprese, l’efficienza della produzione industriale è il fattore chiave nella determinazione di gran parte della value proposition. Si osservi che in un contesto di forte esternalizzazione della produzione, queste competenze sono incorporate esclusivamente in profili professionali tecnici e non operai. Una seconda competenza à Attiene sempre all’ambito della produzione è la capacità di coordinamento del network internazionale di fornitura. Questa competenza può essere suddivisa in due aree: la prima fa ancora riferimento alle capacità tecniche, si concretizza in un elevato numero di tecnici stabilmente dedicati al controllo e alla gestione della produzione presso fornitori localizzati in paesi a basso costo, per garantire rispetto degli standard di qualità e dei tempi di consegna. La seconda area coinvolge capacità gestionali, sia sul fronte della logistica che su quello Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 amministrativo e contrattualistico. Area commerciale competenze di rilievo à La componente di servizio al trade richiede di cogliere per ogni cliente la combinazione rilevante di servizi, la disponibilità a riassortimenti rapidi e a personalizzazioni per i key custumer. Gli agenti vanno oltre il ruolo di mediatore commerciale per assumere anche quello di consulente al trade, anche in relazione alla necessità di concentrare gli ordini sulle referenze della collezione che raggiungono volumi minimi di produzione. Organizzazione dell’offerta à La ricerca delle soluzioni a più basso costo porta a privilegiare l’esternalizzazione e l’internazionalizzazione della produzione. La delocalizzazione segue due principali direzioni: Le valutazioni relative ai costi di produzione, le linee di prodotto a marchio proprio o in private label per altri produttori di fascia elevata, sono realizzate prevalentemente nell’area locale (in Italia) Le valutazioni relative ai costi di coordinamento, le componenti di servizio al trade richiedono uno stretto controllo delle attività produttive. Sono quindi privilegiate aree di delocalizzazione geograficamente non troppo distanti dall’Italia, in cui ad esempio viene concentrata la produzione per i riassortimenti. Le esigenze in termini di coordinamento possono favorire la scelta di investimenti diretti in impianti di proprietà, olte che di selezione di fornitori/partner. Il ciclo produttivo p tipicamente quello tradizionale stagionale con due collezioni con riassortimenti in stagione su richiesta dei clienti. La gamma molto ampia dei prodotti offerti, allo scopo di servire tutta la famiglia e diverse occasioni d’uso determina la presenza in campionario di un numero molto elevato di referenze e quindi la necessità di vincolare l’avvio della produzione al raggiungimento di volumi minimi di ordine. Networking à L’attività di networking è essenzialmente quella relativa all’approvvigionamento su scala internazionale. Sul fronte distributivo, la collaborazione co i retailer è mediata dagli agenti e tende da concentrarsi su pochi grandi clienti. Canali distributivi à vengono serviti i maggiori player della distribuzione dei mercati vicini. La politica è di selezionare pochi operatori che fanno grandi volumi. Gli ordini di grande volume rappresentano una quota molto elevata del fatturato complessivo. Il numero di clienti si mantiene quindi basso, relativamente alle dimensioni tipiche d’impresa che caratterizza questo modello di business. Quando è presente una rete di negozi a marchio proprio, la sua funzione è di minore rilevanza commerciale e più di piattaforma per la sperimentazione di nuovi modelli. Distribuire attraverso negozi monobrand significa accettare, su alcuni modelli, anche ordini per volumi limitati, circostanza in conflitto con la vocazione per i grandi volumi di questo modello di business. Il conflitto viene risolto ricorrendo all’approvvigionamento diretto da parte dei negozi presso altri produttori. Strumenti di comunicazione à Poiché la produzione avviene in larghissima misura per private label, la comunicazione sul marchio è praticamente nulla, anche il sostegno ai negozi monobrand eventualmente presenti è limitatissima. Qualche azione di comunicazione, di tipo istituzionale, può essere presente, ma orientata al B2B, presso la community della distribuzione. In ogni caso il ruolodella comunicazione nel generare valore sui prodotti è tendenzialmente assente. Target à Consumatori di reddito basso e medio, prevalentemente maschi. La focalizzazione sulla componente maschile è dettata da ragioni di tipo produttivo: il mercato maschile è caratterizzatoda volumi unitari molto più elevati di quelli del mercato femminile. Si deve in ogni caso osservare che in questo modello di business il target del consumatore è definito dalla distribuzione e non dal produttore. Nel caso che uno o più grandi distributori realizzassero una strategia di salita di gamma, inevitabilmente il campionario delle imprese che seguono questo modello di business si adeguerebbe in modo passivo. Livello di prezzo, da meno di 50€ e 100€. Modello di costi/ricavi à La componente di costo principale è quella relativa al prodotto, i costi diretti di produzione (lavoro, acquisti di commercializzato, materie prime) superano ampiamente il 50% del prezzo di sell-in (vendita), a cui si aggiunge un altro 20% di costi fissi di produzione relativi alla predisposizione di campionari ampi. Si consideri che nella produzione di calzature i costidi sviluppo di un modello sono molto elevati (impianti, forme, fustelle), maggiori che nell’abbigliamento. La concentrazione su pochi clienti permette di contenere i costi commerciali. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE DELLE CALZATURE: MODA/LUSSO Value proposition à I marchi che seguono questo modello di business offrono ai consumatori principalmente prodotti generatori di emozioni e in grado di rappresentare, come in uno specchio, l’immagine dell’identità personale. La declinazione di questa VP viene diversificata lungo linee di separazione culturali e di stili di vita. Ciascun marchio interpreta una diversa declinazione delle identità e della gamma di emozioni. Gli elementi comuni a tutti i marchi sono: Una forte caratterizzazione Una qualità superiore, in termini di materiali e finiture L’adeguamento costante ai cambiamenti nello spirito dei tempi che anima le scelte di consumo, un fattore maggiormente significativo per il mercato femminile che per quello maschile La messa in scena nei negozi di ambienti che rispecchiano ed esaltano le componenti esperienziali, di emozione e identitarie dell’atto d’acquisto. A questi elementi si può aggiungere il valore dell’esclusività, che può dar luogo a collezioni limitate o numerate. La presenza di seconde linee per ampliare il fatturato è frequente, con collocazioni tuttavia su fasce di prezzo premium. Il valore aggiunto immateriale rappresenta oltre la metà del prezzo di vendita. Competenze à Il panorama delle competenze, sia immateriali che materiali, che intervengono nel dare forma alla value proposition è particolarmente ampio. Le competenze chiave per chi segue questo modello di business sono quelle relative all’innovazione di prodotto. Nel mercato delle calzature, più che in quello dell’abbigliamento, infatti, l’innovazione è strettamente collegata alla conoscenza dei materiali e alla costruzione tecnica del prodotto. Per questa ragione, nell’ambito dello sviluppo del prodotto il ruolo della modellistica assume un rilievo almeno pari a quello dell’innovazione stilistica. à La fase di creazione e di ingegnerizzazione è generalmente realizzata all’interno delle imprese e ne costituisce un fattore distintivo. I costi di sviluppo di una collezione sono molto elevati e prossimi al 10% del fatturato atteso, maggiori per chi è specializzato nella donna, dove la componente moda e il numero dei prezzi in collezione sono più elevati di quelli del segmento uomo. Si consideri anche un’impresa di dimensione medio piccola che produca sia uomo che donna sviluppa 700-800 modelli per stagione. Competenze à Il legame tra stile e prodotto è molto stretto: se il marchio è presente su scala internazionale, le possibili varianti di prodotto, al fine di adeguarlo alle caratteristiche specifiche dei mercati locali pur mantenendone l’impostazione stilistica, richiede un’ampia gamma di varianti. Questi fattori rendono le competenze manifatturiere difficilmente delegabili: la produzione viene infatti realizzata in larga parte o in tutto all’interno dell’impresa. Anche la componente distributiva può difficilmente essere delegata ad altri. La creazione e la gestione dei negozi, inclusa la rapida circolazione delle informazioni delle informazioni sulle vendite, richiedono una gestione diretta. Organizzazione dell’offerta à L’attività produttiva è realizzata per le prime linee prevalentemente o totalmente all’interno, con esternalizzazioni in laboratori selezionati e controllati dalle imprese. Necessità tecnico-organizzative possono anche indurre ad utilizzarelaboratori esterni, con controllo societario o di proprietà dell’impresa committente. La quota di esternalizzazione per le seconde linee può essere più ampia. Networking à Per imprese di questo tipo la costruzione di partnership con operatori commerciali locali sui mercati meno conosciuti, più difficili o caratterizzati da forti specificità, è un fattore indispensabile alla penetrazione commerciale nei nuovi mercati. Canali distributivi à Si ripropone qui la contraddizione tra bisogno di controllo sulla distribuzione e necessità di copertura del mercato, che richiede di ricorrere al canale multibrand. La soluzione più comune è quindi la formazione di reti miste con quote significative (30-40%) di vendite realizzate attraverso negozi monobrand (propri, in franchising o con altre formule di partnership). Il ruolo dei monobrand è cruciale sia per la comunicazione verso i consumatori, sia per la raccolta d’informazioni sull’andamento delle vendite per modello e sulle opinioni dei consumatori sulla collezione. Per le imprese di questo modello di business la disponibilità di sofisticati sistemi ICT, che consentono la rilevazione e l’analisi giornaliera dei dati di vendita per modello e delle opinioni rilevate sul punto vendita,è fondamentale per tarare le politiche di marketing e per le attività di Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 riassortimento rapido (tanto più importante quanto maggiore è la numerosità degli items in collezione). Il canale dei multibrand è servito con rapporti molto stretti, anche attraverso showroom di proprietànei principali mercati. L’estensione delle collezioni e le caratteristiche del prodotto rendonopiù difficile la vendita attraverso agenti plurimandatari. Sui mercati esteri, in particolare nei paesi emergenti, la penetrazione è spesso affidata a partner locali. Sui mercati esteri, in giappone e negli usa per esempio, i prodotti delle fasce di prezzo a cui si rivolge questo modello di business sono molto concentrate e le vendite vengono realizzate da buyer che hanno sedi in Italia. Strumenti di comunicazione à Il marchio e la sua caratterizzazione identitaria sono una componente importante della scelta del consumatore per i prodotti di queste imprese. Di conseguenza gli investimenti in comunicazione sono elevati, intorno all’8-10% del fatturato. La pianificazione delle campagne di comunicazione è accurata e può richiedere il supporto di agenzie specializzate, ma con un monitoraggio e accompagnamento interno, da parte di risorse dedicate, ad esempio un ufficio stampa. Oltre ai canali tradizionali delle riviste di moda leader, oggi considerate sovraccariche di comunicazione e quindi non sempre efficienti,anche perché per assicurare un impatto efficace di un marchio il volume di investimento minimo richiesto è molto elevato, la comunicazione può essere mirata sui target specifici del marchio (per esempio con sponsorizzazioni di eventi molto caratterizzati, quali la lirica o le regate veliche in relazione al target). La comunicazione attraverso i punti vendita è particolarmente curata, generalmente con l’utilizzo di studi di architettura e design esterni. I costi d’allestimento possono essere molto elevati, anche se inferiori a quelli delle corrispondenti fasce prezzo dell’abbigliamento, con costi superiori ai 3.000€ al metro quadro, per negozi di 150-200 metri quadri di superficie. Le fiere stagionali svolgono un ruolo di primo piano nella comunicazione verso il trade. Target à I prodotti sono rivolti ad un consumatore di reddito elevato, superiore ai 250€fino ai 500-600€. Le imprese possono essere sia specializzate sul mercato maschile o femminile, sia avere una presenza in entrambi i mercati. Il mercato di riferimentotende ad essere internazionale, certamente comprende tutta l’Europa ma con presenzepiù o meno significative anche nel mercato americano e russo, negli Emirati, inGiappone. La presenza sul mercato cinese è ancora agli inizi e trova vincoli nella dimensione generalmente da PMI delle imprese. Anche quando sono presenti seconde linee il target tende ad essere elevato su fasce prezzo in ogni caso superiore ai 100€, più spesso superiore ai 200€. I MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE TESSILE L’industria tessile è un aggregato di comparti caratterizzati da tecnologie e mercati di sbocco diversi, con imprese che operano in diverse fasi del ciclo produttivo e in filiere separate, che tendono a configurarsi come mercati diversi e non comunicanti. I modelli di business sono analizzati in particolare con riferimento alle attività di finissaggio e tessitura. Si è cercato di identificare tre tipologie di modelli di cui la value proposition è basata su: Innovazione e moda Qualità o superqulità Servizio integrato per i clienti Questi modelli rappresentano i poli di attrazione, tra cui si muovono le imprese italiane. Due ulteriori modelli: il modello che basa la VP sulla velocità di risposta; il modello che basa la VP sul costo I MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE TESSILIE: INNOVAZIONE E FASHION Value proposition à Le imprese tessili che basano la value proposition sull’innovazione per la moda offrono ai clienti una piattaforma di sviluppo di semilavorati e supporti tessili innovativi, anche esclusivi per la creazione delle collezioni: rappresenta quindi la controparte tecnologica e di materiali dell’ufficio stile delle imprese della moda. Si vende un servizio a cui si accompagna un prodotto e non viceversa. Competenze à Le competenze chiave per queste imprese sono di tipo tecnologico. La funzione della tecnologia è di creare nuove opportunità d’innovazione: si tratta d’inventare nuovi prodotti, nuovi trattamenti, più che ricercare Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 livelli qualitativi sempre più elevati o riduzioni di costi. A tal fine queste imprese tendono ad avere un controllo completo delle tecnologie che compongono il ciclo produttivo, e che sono determinanti nell’influenzare il risultato finale. Tipicamente le diverse fasi di finissaggio, nobilitazionee di costruzione dei tessuti sono quelle che vengono mantenute più direttamente sotto controllo. Le competenze di marketing sono fortemente subordinate a quelle tecnologico-produttive. Coerentemente con l’idea contenuta nella value proposition di vendere un servizio con forti componenti di personalizzazione più che un semplice prodotto, la funzione commerciale è in larga parte centrata su: La comprensione dei problemi del cliente La ricerca di soluzioni L’informazione riguardo alle caratteristiche tecniche dei prodotti La ricerca, assieme al cliente, delle opportunità che le innovazioni offrono Le attività di sviluppo del prodotto sono guidate dalle conoscenze Tecnologie che da quelle creative e stilistiche à Strumenti chiave in questo campo sono generalmente i laboratori interni di R&S e gli archivi ben organizzati di soluzioni e innovazioni sperimentate in tutta la vita delle imprese. Le competenze di design e stilismo possono essere assenti (un paradosso per un modello di business che fa dell’innovazione al servizio della moda il suo centro di gravitazione). La spiegazione del paradosso sta nell’altra componente della VP; la funzione di problem solver o solution provider. Queste imprese: a. Sviluppano proposte a partire dalla ricerca di soluzioni per il cliente b. Offrono piattaforme tecnologiche per nuove soluzioni stilistiche Sono quindi la controparte degli stilisti. Organizzazione dell’offerta à La combinazione di un’ampia gamma di competenze sulle frasi cruciali di tutto il ciclo di produzione, favorisce l’aggregazione di imprese in gruppi, con elevati scambi intra-gruppo che nella sostanza danno luogo ad un ciclo integrato di produzione. Il calendario produttivo allineato a quello della moda, con le sue scadenze legate ai calendari fieristici. Il ritiro della collezione stagionale è quindi inevitabile per queste imprese. Lo sviluppo di nuovi prodotti è legato alla presentazione delle collezioni. Il processo innovativo tende ad essere continuo. à La collezione è in sostanza un elemento base su cui ciascun cliente richiede di sviluppare varianti e campionature, spesso con la garanzia dell’esclusiva, che può riguardare stagione e futuro. Networking à La forte integrazione produttiva rende meno rilevante la costruzione di reti, ad eccezione di quelle gerarchiche tra le competenze all’interno di un gruppo o tra le diverse unità produttive specializzate dalle imprese. Sotto questo punto di vista la relazione con altri produttori o fornitori all’interno di un distretto, può non essere una significativa fonte di vantaggio competitivo. La localizzazione all’interno di un distretto può tuttavia offrire vantaggi dal punto di vista della disponibilità di lavoratori e tecnici qualificati con esperienza di lavoro in attività tessili. Canali distributivi à L’attività commerciale avviene in un ambito B2B. Il peso della componente di servizio e di consulenza nelle attività di vendita rende poco efficace la tradizionale attività svolta attraverso agenti o venditori esterni. Strumenti di comunicazione à Qui la comunicazione non è una funzione primaria. La reputazione non è incorporata nel prodotto ma nel servizio e nell’unicità dei prodotti. Target à Sono le imprese della moda ad elevato tasso di creatività ed innovazione, interessate all’utilizzo di materiali innovativi. La qualità in sé non è un elemento portante della value proposition, tra le imprese target vi sono quelle del lusso o di fasce di prezzo molto elevate che ricercano l’unicità ed esclusività delle soluzioni e dei materiali. I MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE TESSILE: TESSUTI DI QUALITÀ ITALIANA Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 Value proposition à Le imprese tessili che basano la VP sulla qualità offrono ai clienti un prodotto che combina la tradizione con l’applicazione di tecnologie aggiornate di tessitura e finissaggio che valorizzano le qualità sensoriali dei tessuti. Il produttore di abbigliamento ottiene due forme di vantaggio: 1. Uno diretto, che consiste nella certezza, nella stabilità delle caratteristiche fisiche e qualitative del prodotto e nell’assenza di difetti 2. Uno indiretto, che consiste nel poter offrire ai suoi clienti e ai consumatori un prodotto finale che risponde ad elevati standard di qualità Questa doppia caratterizzazione dell’offerta in questo modello di business incorpora un elemento di debolezza. Il livello degli standard di qualità non è sempre immediatamente percepibile al consumatore e in ogni caso tende ad essere associato al marchio del confezionista e non a quello del tessitore. Il cliente diretto può essere portato a sottovalutare quest’elemento in presenza di un’offerta concorrente di qualità intrinseca inferiore a prezzi più bassi, che a parità di prezzo del prodotto finale consente margini più elevati. à Le componenti chiave dell’offerta sono il prodotto e le sue caratteristiche materiali, a cui si possono aggiungere elementi di servizio, relativamente a contenuto moda, tempi di consegna o personalizzazioni. Competenze à Le competenze chiave sono di tipo tecnologico. La tecnologia è prevalentemente applicata a ricercare livelli qualitativi sempre più elevati a sistemi di produzione in grado di garantire stabilità dei livelli qualitativi e il contenimento degli elevati costi della qualità. A tal fine queste imprese tendono ad avere un controllo completo delle tecnologie che compongono il ciclo produttivo e che sono determinanti nell’influenzare il risultato finale. Tipicamente le diverse fasi di finissaggio, nobilitazione e quelle di costruzione dei tessuti sonoquelle che vengono mantenute sotto controllo più direttamente. Rientrano in questo campo di competenze anche quelle relative alla selezione e le prime lavorazioni delle materie prime, in particolare quando l’impresa o il gruppo sono integrati a montenella filatura. La corretta selezione delle fibre e del blend di fibre influisce sull’efficienza delle lavorazioni e riduce i rischi di difetti nel tessuto. à Le competenze di marketing sono meno sviluppate, come testimonia l’esiguo numero di marchi riconosciuti. Un’indagine ha rilevato che le attività di marketing di queste imprese sono per lo più limitate alla raccolta degli ordini e alla gestione delle vendite. Le attività di sviluppo del prodotto sono guidate più dalle conoscenze tecnologiche che da quelle creative e stilistiche. Le competenze di design e stilismo possono essere quasi del tutto assenti e frequentemente si limitano all’introduzione di varianti colore. Organizzazione dell’offerta à Il ciclo produttivo è realizzato completamente all’interno dell’azienda o del gruppo, in cui le imprese sono unità produttive specializzate e indipendenti. Il calendario produttivo è allineato a quello della moda, con le sue scadenze legate ai calendari fieristici. La collezione e la campagna ordini stagionale sono il centro di gravitazione dell’attività di queste imprese. Il modello organizzativo di queste imprese è fortemente industriale.Gli elementi chiave sono l’efficienza nell’utilizzo dei macchinari il mantenimento dei volumi di produzione stabili. Networking à Quando la produzione non avviene all’interno di gruppi integrati, la rete di relazioni è fitta soprattutto nel campo delle lavorazioni manifatturiere, tra tessiture, filature,finissaggi e lavorazioni accessorie. Canali distributivi à L’attività commerciale avviene in un ambito B2B. Le fiere di settore inItalia e all’estero rappresentano l’appuntamento chiave della stagione di vendita. Strumenti di comunicazione à L’area della comunicazione, sia con il cliente diretto che con ilconsumatore finale e il retail dell’abbigliamento, sono un’area particolarmente debole delle imprese che aderiscono a questo modello di business. Malgrado negli strumenti di comunicazione utilizzati da queste imprese emerga il tentativo di valorizzare gli elementi immateriali che i prodotti incorporano, e che potrebbero rappresentare delle leve competitive a disposizione dei clienti diretti, la comunicazione di queste imprese è ancora prevalentemente limitata ad informazioni tecnologiche e di prezzo. à Una parte significativa delle imprese che operano secondo questo modello di business, si trova nel distretto di biella. La crescente evidenza della debolezza sul piano della comunicazione (e più in generale del marketing) è stata affrontata dalle imprese biellesi ancheattraverso la creazione di un marchio di territorio, Biella the Art of Excellence (BAE), basato su un disciplinare di produzione. Il marchio BAE ha puntato soprattutto alla sottolineatura Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 degli elementi immateriali incorporati nella materialità dei tessuti. Target à Il target diretto di queste imprese sono prevalentemente produttori di abbigliamento maschile. Si tratta di un mercato ad elevato tasso di concorrenza e la cui dimensione si è ridotta a favore di un abbigliamento a maggiore contenuto moda o più casual. Le dinamiche del mercato hanno indotto le imprese a diversificare la propria produzione, introducendo prodotti anche per l’abbigliamento femminile o a maggior contenuto moda; questa tipologia di prodottiche rappresenta in ogni caso una componente largamente minoritaria dell’offerta. I MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE TESSILE: GLI INTEGRATORI Value proposition à Le imprese che seguono questo modello di business offrono ai clienti soluzioni che risolvono i problemi di approvvigionamento, i quali influenzano, a loro volta, lacapacità dell’impresa di creare valore per i propri clienti. Costruire un’offerta integrata permette all’impresa-cliente di concentrarsi sulle sue attività chiave, delegando al fornitore quelle non fondamentali. Competenze à Questo modello di business richiede la gestione di un’ampia gamma di competenze di tipo manifatturiero tra diverse imprese indipendenti nel caso della formazione di rapporti di partnership, o tra diverse imprese sotto il coordinamento dell’integratore. In ogni caso le competenze di tipo gestionale necessarie al coordinamento tra i soggetti coinvoltisono importanti. L’integrazione è spesso estesa ad attività di servizi, alla produzione, alla logistica o ad attività di tipo creativo. à La funzione di marketing in questo modello di business, abbraccia anche competenze di consulenza al cliente nella ricerca di soluzioni integrate che possano risolvere specifici problemi di approvvigionamento, in modo tale da sollevare il cliente e specificare le sue routines mettendolo in condizione di rafforzare la propria VP. Organizzazione dell’offerta à La molteplicità di cicli produttivi, sia di tipo manifatturiero che immateriali, necessita di grande flessibilità nell’organizzazione aziendale e la creazione di rapporti di fornitura con imprese specializzate. L’elevata flessibilità richiesta rende spesso conveniente la definizione di rapporti stabili, sia di partecipazione che di collaborazione. Non ci sono ostacoli all’estensione geografica dell’organizzazione delle attività. Networking à Deriva una funzione cruciale delle forme di cooperazione e networking. Canali distributivi à Nel caso del tessile i canali distributivi sono di tipo B2B. la componente consulenziale del rapporto commerciale richiede che la gestione dei rapporti con il cliente sia strettamente controllata dall’impresa integratrice. Il rapporto tra personale di vendita e strutture tecniche interne l’impresa integratrice devono essere stretti. L’attività di vendita include anche una componente di solution picking e problem solving che coinvolge sia le figure commerciali che tecniche. I MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE ABBIGLIAMENTO: IL FAST FASHION Value proposition à l’offerta di queste imprese è strutturata per generare valore sia per i clienti diretti che per quelli indiretti. à Per il consumatore à garantire al consumatore un flusso continuo di nuove proposte durante la stagione per stimolare acquisti frequenti à Per il negoziante à aumentare la rotazione del capitale dei negozianti, piccoli ordini e frequenti di capi sempre nuovi, sell-in a ridosso del sell-out, riduzione del rischio di invenduto. Il fast fashion à Nasce intorno agli anni Novanta, e uno dei primi marchi che avevano iniziato questo fenomeno, legandolo a un abbigliamento basico di molti colori, è stata la Benetton. Sell-in à Si intende una strategia di vendita che si rivolge ai rivenditori, ossia vendita all’ingrosso Sell-out à Protagonista assoluto è il consumatore finale, noto come end-user. Competenze à Design à capacità innovativa di osservazione e replica veloce. Ma in stagione si anticipano le proposte stilistiche delle imprese del programmato. Utilizzo di tutti gli strumenti di monitoraggio rapido delle tendenze del mercato, circuiti d’informazione sulle vetrine. Raccolta delle informazioni dai clienti, che vengono immediatamente passate all’ufficio stile. Design parallelo e continuo, indipendentemente dalla stagione. à Produzione à tenuta strettamente sotto controllo, competenze elevate nell’industrializzazione e in alcune attività chiave come il taglio. à Comunicazione à marchio visibile Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 à Retailing à Fattore chiave, competenze relative al retail management e al trade marketing sono necessarie sia per la gestione di propri negozi che per il rapporto continuo con i multibrand. Organizzazione dell’offerta à Può avere una quota interna o totalmente esterna, ma controllata strettamente e realizzata localmente. Le imprese del fast fashion tendono ad avere un mercato regionale. Quindi prevalentemente Made in Italy con quote possibili di produzione in Est Europa o Mediterraneo. Lanci di produzione in lotti contenuti e riprogrammazione settimanale per i capi di successo. I capi non di successo vengono immediatamente tolti dal mercato e stoccati all’esterno a prezzi risibili. Networking à L’attività di networking è molto elevata. Sia per i grandi come Zara e H&M che per le PMI, che hanno rapporti collaborativi con i retailer in termini d’informazioni sul mercato che di co-design. Canali distributivi à Si avvantaggia fortemente dell’esistenza di catene dirette. Per le imprese meno grandi prevale la formula mista. La raccolta di informazioni dai negozi è un fattore cruciale che permette la programmazione settimanale della produzione e il lancio dei rinforzi di produzione sui best seller. Strumenti di comunicazione à Di tipo istituzionale non strettamente legata alla produzione. le formule comunicative sono molto variegate: pubblicità tradizionale e non: sponsorizzazioni, presenza nelle trasmissioni televisive, attraverso i negozi. La comunicazione con il trade è molto intensa. Anche quando la distribuzione è multibrand, l’interazione è molto elevata. Le imprese si concentrano nei centri distributivi visitati direttamente dai negozianti che dialogano direttamente con gli uomini prodotto. Target à Prezzo da basso a medio. Consumatore tendenzialmente giovane, dai 18 ai 40 con frequenza di acquisto elevata. Mercato regionale (ITA e EUR) Nota sul modello di costi/ricavi à I profitti generati da un buon controllo dei costi, ma non a scapito della velocità. Il fattore chiave sono l’elevata rotazione del circolante e la bassissima quota di saldi. I MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE ABBIGLIAMENTO: IL MADE IN ITALY SARTORIALE Value proposition à Le imprese che seguono questo modello di business basano la loro VP sulla tradizione e sulla qualità esclusiva definita da Ciro Paone “il meglio del meglio + 1”. È il prodotto che identifica i consumatori, piuttosto che adattarsi ai loro gusti. Il capo identifica chi lo indossa come un amante del bel vestire. Competenze à Le competenze tecniche della tradizione sartoriale distinguono le imprese del Made in Italy sartoriale. L’enfasi sulle competenze artigianali si accompagna generalmente ad un modello di gestione del personale particolare, da bottega artigiana, anche nei casi in cui il numero dei dipendenti è elevato. Le imprese con maggior successo di questo modello possono raggiungere anche 350-400 dipendenti. Il ruolo cruciale delle competenze tecniche e artigianali richiede a molte di queste imprese di svolgere, in modo formale o informale, attività formative per garantire la continuità delle competenze in azienda. Alla formazione delle componenti di esclusività e qualità della VP, contribuiscono in modo significativo anche i materiali, in particolar modo i tessuti. Assume quindi una particolare rilevanza la competenza nella selezione dei tessuti e la consuetudine con i fornitori di maggior qualità (italiani ed inglesi prevalentemente) spesso di piccola o anche di piccolissima dimensione. Organizzazione dell’offerta à La centralità della VP delle lavorazioni sartoriali richiede il massimo controllo del ciclo produttivo. Le imprese di questo modello realizzano generalmente la produzione internamente. à La tradizione sartoriale ha una forte connotazione per il mercato maschile. I prodotti centrali di queste imprese sono in prevalenza maschili, con specializzazione sui capi di costruzione più complessa come il capospalla, le camicie e le cravatte. Il numero di capi prodotti giornalmente è ridotto, per molte imprese anche inferiore ai cento capi. Tempi di produzione molto lunghi. Networking à La produzione viene realizzata quasi completamente all’interno, le attività di networking riguardano quindi il rapporto con artigiani qualificati per lavori particolari, e il rapporto stabile e consolidato con i produttori di tessuto, che trovano nella collaborazione con i marchi del sensoriale Made in Italy un elemento distintivo che accresce la loro reputazione. Canali distributivi à Prevalentemente è quello multimarca. La selezione dei punti vendita è molto accurata, per il livello del negozio e location. Non presenta rilevanti differenze nei vari Paesi se non per le differenti strutture distributive sui diversi mercati. Vendita generalmente diretta. Mercati di sbocco obbligatori per queste imprese sono anche i department store di fascia alta negli USA e in Giappone. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 Strumenti di comunicazione à Alcuni marchi di queste imprese hanno un’ampia notorietà, anche al di fuori della clientela, mentre altri mantengono e coltivano una posizione di nicchia, che ne enfatizza l’esclusività. Comunicazione molto misurata, generalmente di tipo tradizionale. La selettività dei punti vendita è un ulteriore strumento di comunicazione alla clientela. Molti produttori instaurano un rapporto individuale con i clienti, attraverso post- vendita, club, servizi esclusivi ecc. La partecipazione alle maggiori fiere di settore è il principale canale di comunicazione con il trade. Target à Il target di consumatori è elevato ed esclusivo, prevalentemente maschile. Il posizionamento di prezzo è dai 3.000€ in su per abito, con prezzi che possono arrivaresino ai 10.000€. I MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE ABBIGLIAMENTO: LA FASHION COMPANY Value proposition à La fashion company rappresenta in modo compiuto la natura ibrida dell’industria della moda. La VP combina fattori materiali e fattori immateriali. I marchi che seguono questo modello offrono ai consumatori principalmente prodotti generatori di emozioni e in grado di rappresentare l’immagine dell’identità personale. La declinazione di questa VP viene diversificata lungo linee di separazione culturale e di stili di vita. à Si tratta di un business caratterizzato da un elevato livello di rischio, derivante dall’incertezza riguardo al successo o all’insuccesso di una collezione, o dei singoli capi presentati nella stessa. La natura rischiosa del business è per certi versi simile a quella chesi riscontra nelle industrie culturali, come per esempio quella del cinema o della musica, da cui vengono frequentemente mutuati comportamenti, politiche e modelli organizzativi. L’adeguamento costante ai cambiamenti nello spirito dei tempi à è alla base di questo modelli. I marchi presentano una forte caratterizzazione stilistica che pur adeguandosi ai trend della moda mantengono costante identità del marchio. Generalmente nel caso delle imprese di media e grande dimensione, l’offerta si articola in un portafoglio di linee o di marchi, declinati sia per fascia di prezzo che per target di consumatore. Il potenziale identitario del marchio è inoltre in grado di sopportare politiche di brand extension e di brand sretching. La qualità dei prodotti coerente con la fascia prezzo. Competenze à Il panorama delle competenze che intervengono nel dare forma alla VP è particolarmente ampio. Abbracciano sia l’area immateriale che materiale. Quelle immateriali, relative all’innovazione di prodotto, all’interpretazione dei trend, alla comunicazione e più in generale al marketing sono tuttavia quelle più importanti. I costi relativi all’insieme di queste componenti sono generalmente più elevati di quelli relativi alle attività di produzione. Le scelte relative all’organizzazione della produzione sono conseguenti alle scelte stilistiche e distributive. Per quanto riguarda le competenze stilistiche e creative, la Fashion Company svolge il ruolo di gestione di un portafoglio di collezione e di stilisti delegando la produzione a reti di subfornitura esterne. Le competenze di marketing assumono un’importanza crescente, sia per la gestione delle reti distributive che per le attività di comunicazione e posizionamento delle linee e dei marchi. Organizzazione dell’offerta à L’organizzazione dell’offerta, si presenta notevolmente articolata. La definizione di Fashion Company si rileva da questo punto di vista troppo generica. In linea generale le imprese classificabili sotto questa etichetta realizzano le attività produttive all’esterno attraverso subfornitori, all’esterno o in Italia in relazione alle diverse caratteristiche delle linee/marchi in portafoglio. Le licenze sono utilizzate estensivamente per i prodotti accessori quali la pelletteria e gli occhiali. Networking à La Fashion Company tende a svolgere un ruolo di coordinamento delle competenze intorno alla principale funzione di progettazione delle collezioni. Si pone quindi come centro di attrazione di una rete di attività esterne, da quelle di produzione al retail multimarca, al sistema delle licenze, ai rapporti con i centri di diffusione sui mercati esteri. Canali distributivi à Per quanto riguarda la distribuzione, il ruolo dei negozi multimarca resta centrale, almeno sui mercati come l’Italia, che presentano una forte frammentazione della distribuzione e di conseguenza anche delle competenze relative alla selezione dei negozi. Per queste imprese, è crescente la gestione diretta di negozi monomarca, sia in parallelo al canale multimarca, sia sui mercati esteri. Strumenti di comunicazione à La comunicazione con i clienti per la Fashion Company è un’attività complessa. I prodotti il cui valore è in larga parte generato dal contenuto moda la comunicazione diretta con il consumatore ha un impatto minore che per i prodotti acquistati prevalentemente per la loro funzionalità. Il valore dei prodotti è in Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 relazione all’esperienza che i consumatori ne ricavano. La comunicazione sul prodotto avviene invece per canali indiretti; attraverso l’ambiente dei negozi e le scelte dei negozianti, l’influenza sugli opinion makers. Tra i marchi della moda e i tradizionali mediatori della comunicazione pubblicitaria vi è una relazione conflittuale che contrappone creativi della moda a quelli della pubblicità. Il risultato di questi due fattori critici è che il complesso dei canali di comunicazione con il trade e i consumatori è spesso gestito direttamente dalle Fashion Company o attraverso professionisti più che grandi aziende di comunicazione e pubblicità. Target à Anche nel caso dell’identificazione del target, la definizione di Fashion Company è ampia e richiede una declinazione più articolata. In linea generale si può dire che il target è definito più dalle caratteristiche identitarie del marchio che da una precisa fascia di prezzo. Ad esclusione delle fasce basse. Le Fashion Company non si identificano con le ristrette nicchie di lusso. I MODELLI DI BUSINESS NEL SETTORE ABBIGLIAMENTO: LA SUBFORNITURA NELL’ABBIGLIAMENTO La tendenza ad affidare a subfornitori una quota elevata della produzione ha subito negli ultimi anni un’accelerazione che non si è ancora esaurita. La produzione interna si è così ridotta al minimo indispensabile. Le motivazioni per mantenere una parte significativa di produzione interna sono; Soddisfare internamente, almeno in parte le esigenze del modellismo e prototipia (fase industriale) Conservare quel Know-how di produzione che consente di muoversi con competenza all’esterno nella ricerca della subfornitura Disporre di una marginale capacità interna quale riserva di elasticità nelle situazioni di massimo carico di lavoro. Le motivazioni invece portano ad esternalizzare tutta o parte della produzione sono invece state suddivise logicamente in due parti: Cause specifiche (riduzione dei costi, maggiore flessibilità, ricerca di competenze specialistiche) Una scelta strategica di concentrarsi su funzioni immateriali, scaricandosi degli oneri organizzativi e decisionali relativi alle attività manifatturiere. Scegliere strategicamente di non avere una capacità produttiva interna, o di averla in misura ridotta, implica per il committente l’impossibilità di differenziarsi dai concorrenti per quanto riguarda le attività realizzate in out-sourcing. In queste condizioni le competenze dei subfornitori sono accessibili a tutti e ogni concorrente potrebbe utilizzare lo stesso subfornitore, ottenendo così identici costi per minuto, qualità di lavorazione e in grado di flessibilità. à Quando una quota molto elevata di attività è realizzata in subfornitura dalla gran parte dei concorrenti, la concorrenza tra i committenti si sposta prevalentemente sulla gestione dei fattori immateriali di competitività: selezione e gestione dell’out-sourcing, gestione dei rapporti con il trade, progettazione e sviluppo dei prodotti logistica diventano quindi i veri fattori distintivi dei prodotti. COME VENGONO SCELTI I SUBFORITORI Ai primi posti della graduatoria per importanza si trovano i criteri di selezione che derivano daun bisogno di riduzione dell'incertezza da parte dei committenti, primo tra tutti il rispetto dei termini contrattuali, in particolare dei tempi di consegna e delle specifiche tecniche e di qualità. Seguono altri due criteri che non hanno a che fare con la riduzione dell’incertezza ma con la condizione di competitività sul mercato. Questi elementi sono spesso segnalati dai subfornitori come velocità di consegna e il prezzo. Il criterio che segue velocità e prezzo è un elemento legato alla riduzione dell’incertezza, cioè la solidità finanziaria dei subfornitori che rassicura sull’effettiva capacità di portare a termine il lavoro e di garantire continuità. Questo fattore è tanto più importante quanto più aumenta il peso della subfornitura su commessa, in cui il subfornitore è sottoposto ad una maggior pressione finanziaria conseguente all'impegno d’acquisto di materie prime. Subfornitura estera à La ricerca di tariffe di lavorazione e di prezzi più vantaggiosi è considerata la ragione Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 principale per scegliere subfornitori esteri in sostituzione di quelli italiani. Un altro motivo del ricorso alla subfornitura estera è la carenza per alcune lavorazioni e produzioni particolari di un’offerta adeguata in Italia, indipendentemente dal prezzo. Subfornitura italiana à La vicinanza geografica rappresenta un fattore importante per lo sviluppo di un rapporto di sub-fornitura. Più che in molte altre industrie, nella moda il ciclo produttivo si compone di un elevato numero di fasi, sia di tipo strettamente manifatturiero che di servizi, realizzabili separatamente. Ciò apre la possibilità per quanto riguarda la subfornitura di una molteplicità di configurazioni aziendali. Nel tessile à Le fasi manifatturiere che più tipicamente vengono affidate ad un subfornitore sono quelle di finissaggio: candeggio, tintoria, stamperia, finissaggi a secco. Queste fasi, che sonocaratterizzate da processi produttivi e tecnologie più chimiche che tessili, benché vengano molto spesso effettuate in subfornitura, rappresentano un passaggio chiave per l’intera filiera. Molte delle caratteristiche che determinano la qualità finale e il grado di innovatività vengono infatti attribuite alprodotto proprio in questa fase. à La tendenza delle imprese che hanno rapporti con il mercato finale ha generato negli ultimi anni la ricerca di subfornitori in grado di offrire lavorazioni più complesse, pacchetti completi che includono molte e spesso prevalenti attività di servizio. INDUSTRIA DELLA MODA È oggi considerata un settore ibrido, che combina fattori competitivi materiali e immateriali per produrre beni di consumo in un mercato di massa; è un settore relativamente giovane; la sua nascita in Italia si può convenzionalmente far risalire al 1979, quando il Gruppo Finanziario Tessile e lo stilista Giorgio Armani strinsero un accordo per la produzione di una linea di abbigliamento. à Lo sviluppo dell’industria della moda è stato indirizzato e influenzato dalla continua pressione della concorrenza dei paesi a basso costo e dai cambiamenti delle regole del commercio internazionale stabilite prima dall’Accordo Multifibre, dal 1974 al 1994, poi dall’Agreement Textiles and Clothing nel 1995. MADE IN ITALY La moda in Italia conta 225 mila imprese, 108 miliardi di fatturato l’anno. Prime nella produzione Firenze e Prato; nel design eccelle Milano seguita da Torino. Nel commercio Napoli e Roma. L’export italiano supera 25 miliardi e in testa c’è Milano (13% del tot), seguita da Firenze (10,6%) e Vicenza (8,9%). à L’intero sistema moda (italiano) conta circa 82mila imprese attive, di cui 20.559 imprese in ambito di pelletteria (25%), 45.882 imprese in ambito abbigliamento (56%) e 15.493 in abito tessile (19%). La moda è il secondo settore manifatturiero in Italia à Milano il settore moda porta quasi 20miliardi di fatturato. La moda italiana è uno dei grandi pilastri del turismo internazionale. Nel mondo vale quasi 28 miliardi nei primi sei mesi del 2019 +7,3% rispetto al 2018. à Con oltre 78 miliardi di euro di fatturato, di cui circa 51 miliardi in export, il settore tessile svolge un ruolo primario per l’intera filiera: il comparto incide per il 26,7% sul valore della produzione moda, per il 27% sul fatturato totale e per circa il 20% sull’export tessile – abbigliamento complessivo. Imprese attive nel settore tessile sono circa 15.500 concentrate prevalentemente al centro/nord. La maggior parte (32,5%) impegnata nella fabbricazione di tessuti confezionati e il 14,9% nella finitura di tessuti. à Il settore della moda è uno dei più dinamici, caratterizzato da un’intrinseca difficoltà nel prevederne i trend futuri vista la variabilità dei gusti dei consumatori. Un’errata previsione può comportare non pochi danni al bilancio delle imprese. In Italia le imprese che hanno un fatturato superiore ai 100 milioni sono 163. Dei 22 miliardi di fatturato del settore moda italiano, il 34% è stato prodotto da società che nonostante operino in Italia, sono sotto la direzione e il coordinamento di gruppi esteri. In particolare, quando si parla di moda si parla di Francia, delle 163 imprese 26 sono sotto il controllo francese. Solo LVMH e Kering, grandissime holding con sede a Parigi, detengono il 9% del fatturato italiano. Troviamo nella partecipazione di LVMH imprese come Bulgari, Fendi, Loro Piana e Acqua di Parma, invece troviamo in Kering Gucci, Brioni, Pomellato e Bottega Veneta. Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 GRUPPI E CONGLOMERATI ITALIANI ED EUROPEI, LE CLASSIFICHE PER FATTURATO In Europa sono presenti 43 gruppi nel settore moda con fatturato superiore ai 900 milioni di questi 15 (il 34,9%) sono italiani in ordine di fatturato abbiamo: Luxottica Group, Prada, Giorgio Armani, Calzedonia, Max Mara, OTB, Salvatore Ferragamo, D&G, Valentino, Moncler, Safilo Group, Lir (Geo e rilancio del marchio Diadora dopo il fallimento), Tod’s. Se invece si valuta la classifica delle capogruppo Europee troviamo: LVMH con 42,6 mld (primo gruppo al mondo), Inditex con 25,3 mld (terzo gruppo al mondo), Adidas con 21,2 mld, H&M con 20,3 mld, Kerling con 15,5 mld, Richemont, Luxottica Group (unica italiana in classifica) con 9,2 mld, Chanel, The Swatch Group, Hermes. 15 TOP DELLA MODA ITALIANA Luxottica Group à a fine 2017 possedeva 8.913 negozi in tutto il mondo di cui 7.102 di proprietà e 1.811 in franchising. Nell’ottobre del 2018, con la francese Essilor è nata la nuova holding EssilorLuxottica con sede in Francia. Prada à 659 negozi di cui 91% all’estero. Quotata a Hong Kong, gli azionisti di controllo Patrizio Bertelli e la famiglia Prada. Giorgio Armani à fondata nel 1975 da Giorgio Armani e Sergio Galeotti produce abbigliamento e accessori. Ha 524 punti vendita di cui 78% al di fuori dell’Europa la proprietà è di Giorgio Armani. Calzedonia Holding à fondata nel 1986 da Sandro Veronesi, ha 4.454 negozi monomarca in 50 Paesi (1.530 a gestione diretta), di cui 2.758 all’estero. La proprietà fa capo alla famiglia Veronesi. Max Mara Fashion Group à fondata nel 1951 da Achille Maramotti, la distribuzione avviene attraverso 2.500 punti vendita gestiti direttamente e in franchising, di cui il 71% all’estero. La proprietà fa capo alla famiglia Maramotti. Otb à Renzo Rosso creò il brand Diesel nel 1978, fondando l’omonima società nel 1985. Nel 2002 la Only The Brave s.r.l. (poi Otb) ne prese il controllo. La proprietà è della famiglia Rosso. Salvatore Ferragamo à fondata nel 1927 da Salvatore Ferragamo, dispone di 685 punti vendita (75% fuori Europa), di cui 410 gestiti direttamente. Quotata a Milano, l’azionista di maggioranza è la famiglia Ferragamo. D&G à nel 1982, a Milano, Domenico Dolce e Stefano Gabbana aprirono il loro studio stilistico. I punti di vendita monomarca sono oggi 345 (oltre il 90% all’estero), di cui 182 diretti e 163 indiretti e in franchising. Dispone inoltre di 30 outlet gestiti direttamente. La proprietà è equamente divisa fra i due stilisti. Valentino à nel 1960 fu fondata da Valentino Garavani e Giancarlo Giammetti. È presente in 100 Paesi con 186 negozi a gestione diretta. La proprietà è della Mfi Luxury s.r.l. facente capo alla Mayhoola for Investments. Moncler à fondata nel 1952 dagli artigiani di montagna René Ramillon e André Vincent a Monestier de Clermont. Ha 201 negozi monomarca a gestione diretta e 59 punti di vendita monomarca gestiti da terzi e spazi in punti vendita multimarca. Quotata a Milano, il principale azionista è la Ruffini Partecipazioni s.r.l. facente capo a Remo Ruffini. Ermenegildo Zenga Holditalia à trae origine dall'attività artigianale nel settore tessile intrapresa da Angelo Zegna a Trivero (Bi) alla fine del 1800. Ha 504 punti di vendita (93% all’estero) di cui 272 di proprietà, 57 in franchising e 175 corners presso esercizi commerciali di terzi. La proprietà fa capo alle famiglie Zegna. Safilo Group à l’attività di produzione di lenti e montature fu avviata dai fratelli Frescura e Angelo Lozza nel 1878 a Calalzo di Cadore (Bl) e nel 1934 l’attività venne acquisita dalla Safilo della famiglia Tabacchi. La rete distributiva si avvale, oltre che di proprie filiali e centri di assistenza, di agenti e concessionari distributori esclusivisti indipendenti che riforniscono circa 100mila punti di vendita in circa 130 Paesi. Quotata a Milano, il principale azionista, a partire dal 2009, è l’olandese Hal Holding N.V., attraverso la Multibrands Italy B.V. Lir à le origini del Gruppo risalgono al 1992 quando Mario Moretti Polegato fondò la Geox a Biadene di Montebelluna (Tv). Dispone di circa 10mila punti vendita multimarca e 1.095 negozi monomarca (di cui il 72% all’estero). Lir è una holding di partecipazioni interamente posseduta dalla famiglia Moretti Polegato, azionista di maggioranza di Geox, quotata a Milano. Benetton Group à le origini del Gruppo risalgono al 1965 quando Luciano Benetton decise di rimodernare il classico maglione di lana (allora disponibile nei soli colori base) proponendolo in diversi colori e a prezzi ridotti e Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 fondò con i fratelli la Maglificio di Ponzano Veneto dei F.lli Benetton (poi Benetton). Ha una rete commerciale di circa 5.000 negozi in tutto il mondo. La proprietà è di Edizione s.r.l., holding delle famiglie Benetton. Tod’s à le origini dell'attività industriale risalgono ai primi del '900, quando Filippo Della Valle avviò una piccola produzione di pantofole. La rete di vendita si avvale di 285 negozi a gestione diretta (di cui il 45% in Cina) e 122 in franchising, oltre a punti vendita indipendenti multimarca. Quotata in Borsa italiana, il principale azionista è Diego Della Valle. PRODOTTI MAGGIORMENTE RICHIESTI DAI MERCATI ESTERI Fragranze à Secondo la Cosmetica Italia i consumi della profumeria alcolica in Italia valgono oltre un miliardo, ovvero il 12,8% del totale dei consumi di cosmetici. È la quarta categoria in termini di valore del mercato e ha una ripartizione dei consumi per il 62% in fragranze femminili e il 38% in fragranze maschili. Le esportazioni a confronto con il 2017 l’anno dopo sono salite del 19,5%. Abbigliamento femminile à I dati forniti da Smi-Sistema moda Italia su base Istat, il comparto, nel periodo gennaio – maggio 2017, ha segnato un + 3,8% per un volume d’affari prossimo ai 3,3 miliardi di euro. Accessori à La dinamica dell’export ha registrato una ripresa ancora più netta (+10%). Il comparto calzaturiero nel 2017 con le esportazioni ha prodotto un +3,5% in valore e un +1,5% in volume, con un saldo commerciale in positivo di 1,74 miliardi (+8,2%). Quello della pelletteria, ha esportato prodotti per 3 miliardi di euro, il 15% in più di quanto fatto nello stesso periodo dell’anno precedente. L’INDUSTRIA DELLA MODA ALL’INTERNO DEL SETTORE MANIFATTURIERO DELL’UE Produce il 3% del PIL dell’UE. In Italia, Francia, Polonia, Germania e Gran Bretagna il maggior numero di imprese nel settore della distribuzione della vendita al dettaglio. à Spostamento di molte attività ad alta intensità di manodopera in paesi in cui il costo della manodopera è meno elevato, riduzione del numero di imprese e di persone attive nel settore manifatturiero della moda. Nel settore della distribuzione si registra la tendenza inversa. Il valore totale delle esportazioni è 260 miliardi à 10% esportazioni dell’UE. I principali mercati continuano ad essere; Interno Statunitense Svizzero Giapponese In più i mercati dei paesi terzi emergenti, Cina, Russia, Brasile ed India; nuove opportunità per il settore della moda e del lusso derivanti dalla rapida crescita della base di consumatori e della domanda sui mercati emergenti. Per l’industria della moda dell’UE si presenta quindi la possibilità di consolidare la posizione di leader del mercato globale. MAGGIORI PARTNER NEL SETTORE DEL TESSILE E DELL’ABBIGLIAMENTO Tessile UE: Maggiori fornitori à Cina, Turchia, India, Pakistan e Stati Uniti Primi cinque buyer à Stati Uniti, Cina, Turchia, Svizzera e Marocco Abbigliamento UE: Maggiori fornitori à Cina, Bangladesh, Turchia, India e Cambogia Primi cinque buyer à Svizzera, USA, Russia, Hong Kong e Giappone PROMUOVE LA COMPETITIVITÀ DELL’INDUSTRIA DELLA MODA Document shared on www.docsity.com Downloaded by: MatildeMedici ([email protected]) Scaricato da Martina Manauzzi ([email protected]) lOMoARcPSD|31906727 Ambiti strategici; Sfide e iniziative a breve e a lungo termine: à L’industria europea della moda deve basarsi sempre di più sulla conoscenza e sull’innovazione, su prodotti, processi e servizi dal valore aggiunto sempre più elevato: nuovi marchi e nuovi modelli imprenditoriali, investimenti nella creatività e nell’innovazione. Sfide e iniziative breve e lungo termine (4 ambiti strategici): 1. Investire nella conoscenza, nelle competenze, nella creatività e nell’innovazione 2. Tutelare l’impregno creativo delle imprese del settore della moda promuovendo il mercato digitale 3. Creare le condizioni quadro necessarie per la crescita sostenibile dell’industria della moda 4. Garantire parità di condizioni nel commercio internazionale L’ITALIA È L’UNICA VERA CULLA INDUSTRIALE DELLA MODA

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