Cornici e premesse implicite - PDF

Summary

Questo documento presenta un'analisi di come le cornici influenzano la nostra comprensione del mondo. Attraverso giochi cognitivi, si approfondiscono i concetti di "premesse implicite" e "cornici", utilizzando esempi e discussioni su come i preconcetti influenzano le nostre percezioni.

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# PARTE PRIMA ## CORNICI E PREMESSE IMPLICITE ### 1. COME SI ESCE DALLE CORNICI DI CUI SIAMO PARTE (GIOCHI PROIBITI) L'unico modo per risalire al sistema di premesse implicite in base a cui l'organismo opera è metterlo in condizione di sbagliare e osservare come corregge le proprie azioni e i prop...

# PARTE PRIMA ## CORNICI E PREMESSE IMPLICITE ### 1. COME SI ESCE DALLE CORNICI DI CUI SIAMO PARTE (GIOCHI PROIBITI) L'unico modo per risalire al sistema di premesse implicite in base a cui l'organismo opera è metterlo in condizione di sbagliare e osservare come corregge le proprie azioni e i propri sistemi di autocorrezione. - Gregory Bateson 1. Questo specifico esercizio consiste inizialmente in un gioco abbastanza noto, di quelli che si fanno dopo cena per passare il tempo e mettere alla prova la reciproca intelligenza e forse alcuni di voi sanno già la soluzione. Però il problema non è se si sa o no la soluzione, è riflettere, al rallentatore e al microscopio, sul percorso emozionale e logico, che si compie nel trovare la soluzione. E' questo versante epistemologico che a noi interessa e che nei giochi di società certamente non viene esplorato. Se sapete la soluzione state lì buoni e tranquilli e aspettate la seconda fase, se invece non la sapete vi avverto che solitamente su un'ottantina di studenti uno o al massimo due riescono a trovarla. Inoltre, come vedremo, il più importante contributo alla comprensione del processo non lo danno i "risolutori", ma gli "sbagliatori" e "risolutori" in tandem. 2. Queste sono le istruzioni. Prendete un foglio di carta e disegnatevi sopra per almeno tre volte nove punti disposti come nella figura. Quello che dovete fare è provare a unire questi nove punti con quattro segmenti senza sollevare la matita dal foglio: dove finisce un segmento <start_of_image> Schematicamente: - Q _ _ _ _ _ - _ _ _ - _ _ _ 3. Sono trascorsi i cinque minuti. Chiedo prima di tutto quanti sapevano già la soluzione, poi quanti fra quelli che non la conoscevano l'hanno trovata. Mi congratulo e la/lo invito ad attendere. Prima vediamo come si sono mossi coloro che non sono riusciti, poi "tu ci dirai come hai fatto". Vado a raccogliere in giro un po' di fogli e riproduco alla lavagna i tentativi falliti. Aggiungo accanto la soluzione. - Quale limite? Una studentessa, timidissima (ma sono tutti molto esitanti, molto timidi). "Il contorno dei punti". I vari tentativi falliti sono percorsi diversi, ognuno rappresenta un cambiamento, una correzione, rispetto al precedente. Però tutti hanno in comune il muoversi entro un campo di possibilità che ha dei confini precisi. Abbiamo agito come se fosse insensato o proibito o irrazionale "uscire dal quadrato". Forse non ci è neppure passato per la mente di farlo, anche se io non avevo detto "Non uscite dal quadrato" e neppure "Guardate questi punti come un quadrato". Nel cercare la soluzione, non avete pensato "Non devo uscire dal quadrato", l'avete dato per scontato. Questa è una premessa implicita. Le premesse implicite si ricavano chiedendosi: come strutturavo inconscientemente, senza esserne consapevole, il campo perché questi comportamenti, questi criteri di correzione mi siano apparsi ovvi, scontati, logici? 4. Lascio che le esclamazioni di meraviglia si acquietino e adesso inizia la fase più importante. Dobbiamo ripercorrere riflessivamente questa esperienza. - Chi ha risolto il problema, cosa ha fatto di diverso? - Varie voci: "È uscito fuori..." "È uscito dal limite". 5. Traccio rapidamente delle frecce che rapportano fra loro i vari tentativi falliti e su ognuna di loro scrivo "C1" ', poi un'altra freccia che rapporta tutti questi con la soluzione e scrivo "C2". Come segue: - C1 _ _ _ _ _ _ - C1 _ _ _ _ _ _ - C1 _ _ _ _ _ _ - C2 6. Quando in questa sede parliamo di "premesse implicite" dunque ci riferiamo alla strutturazione di un campo, a un processo gestaltico, a una Gestalt. "Gestalt" in tedesco significa "forma, formare" e "gestatten" significa "permettere". La psicologia della Gestalt ha mostrato che qualsiasi processo conoscitivo, qualsiasi attribuzione di senso comporta una strutturazione di campo, un decidere cosa viene messo a fuoco, portato in primo piano, e cosa lasciato sullo sfondo. Questa strutturazione comporta la definizione di un ventaglio di possibilità entro il quale ci è consentito muoverci e uscendo dal quale quella Gestalt verrebbe messa in discussione. La psicologia della Gestalt ha anche mostrato che, per così dire, "le Gestalt si difendono". Ogni volta che tendiamo a ignorare i confini del campo gestaltico avvertiamo delle precise resistenze, quel movimento trasgressivo ci appare insensato. Avventurarsi ai confini del campo gestaltico corrisponde a mettere a fuoco elementi che erano consegnati allo sfondo. La Gestalt "si difende" in quanto questo movimento la smentirebbe, la dissolverebbe. E' un movimento che prefigura un Cambiamento2. "La Gestalt si difende" è ovviamente un'espressione metaforica, c'è di mezzo l'intreccio fra dinamiche della conoscenza, dell'appartenenza e dell'identità. 7. Questo ha delle implicazioni molto importanti sul valore conoscitivo delle emozioni, implicazioni che non vengono quasi mai sottolineate. Ritorneremo in continuazione su questo punto, qui mi interessa incominciare a mettere a fuoco le emozioni relative alle sensazioni di "insensatezza". Mentre tentiamo di collegare tutti e nove i punti l'eventualità di "uscire dal quadrato" provoca ansia, è come se ci mancasse il terreno sotto i piedi. Questa ansia possiamo interpretarla come un avvertimento che muoversi in quella direzione è pericoloso e/o inutile e/o ridicolo. "Ci renderemmo solo ridicoli." Per placare l'ansia ci affrettiamo a cercarle una giustificazione, per esempio: "Se esco dal quadrato è come se aggiungessi altri punti, già è difficile collegarne nove, immaginiamoci dieci o undici!". Adesso siamo più tranquilli, quel comportamento che ci provocava ansia era per davvero insensato, irrazionale. Probabilmente dopo un po' decideremo che a noi non interessa tanto collegare tutti e nove i punti, otto bastano e volgiamo l'attenzione a quale punto è meglio lasciare scoperto. Quello al centro o quello in alto a destra? 8. Una gran parte delle faccende umane vengono affrontate e risolte proprio in questo modo. Spesso va benissimo così, non sempre è decisivo collegare tutti i punti, spesso basta riuscire a mettersi d'accordo su quale lasciare scoperto. Però ogni volta che degli interlocutori sono bloccati sulle loro posizioni (Quello al centro! No, quello in alto a destra!) e fra loro il dissenso si riproduce in eterno, dovrebbe nascere il dubbio. Forse dovrebbero mettere in discussione non ciò che li divide, ma ciò che li accomuna. L'eventualità di uscire dal quadrato a entrambi sembra ugualmente assurda. Si sentirebbero ridicoli e questo "senso del ridicolo" (questa complessa emozione...) "li tiene" dentro la cornice. Questi interlocutori prima o poi arriveranno alla conclusione che non "c'è niente da fare" oppure che "la soluzione va imposta con la forza". Sono due conclusioni "logiche", dato il modo in cui hanno impostato il problema. Il rapporto fra logica, ansia e senso del ridicolo è tanto centrale quanto fino a tempi recenti poco indagato. 9. Anche coloro che questo problema l'hanno risolto hanno inizialmente avvertito questo tipo di ansia e questo senso del ridicolo. Ma hanno gestito l'ansia e interpretato il senso del ridicolo in modo molto diverso. Intanto hanno avuto una maggiore tolleranza nei riguardi dell'ansia, non hanno avvertito una urgenza così forte di liberarsene; sono persone che in qualche modo nella loro vita hanno imparato a convivere con l'incertezza, l'insensatezza, l'ambiguità, ad affrontare le situazioni paradossali in un atteggiamento di attesa e sospensione del giudizio. (O almeno hanno imparato a gestire in questo modo situazioni di gioco analoghe a questa, perché non è detto che poi uno si comporti così anche "nella vita" in situazioni di tensione con la propria ragazza, o con i propri genitori...) Che ne siano consapevoli o no (e di solito non lo sono...) devono avere interpretato questa ansia e quel senso del ridicolo non come segnali di pericolo, ma “di ciò che ci succede quando in situazioni analoghe usciamo da una Gestalť". In altre parole hanno associato l'ansia non con un atteggiamento difensivo-aggressivo, ma con un atteggiamento esplorativo. 10. Questo tipo di dinamica è quella che la psicologia dinamica, da Freud in poi, descrive come necessaria per il superamento delle nevrosi (e delle psicosi a maggior ragione). Una persona nevrotica è appunto chi associa sistematicamente ansia e difensività, chi vive la rinuncia a un atteggiamento difensivo come un attentato alla propria identità. La psicanalisi di solito viene vista come una disciplina che serve a mettere delle persone su un lettino e a curare i loro problemi intimi, privati. L'aspetto che interessa a Bateson della psicanalisi non è questo, ma il fatto che sia stata la prima grande indagine sul rapporto fra linguaggio delle emozioni e linguaggio della razionalità e che abbia stabilito un principio di fondo dell'arte di A/O: la buona conoscenza è terapeutica. Non si può "pensare bene" senza l'apporto conoscitivo delle emozioni, senza far dialogare fra loro la parte inconscia e quella conscia della mente. 11. Mi interrompo e chiedo a coloro che hanno risolto il problema di provare a dirci come hanno fatto. Di solito riferiscono che, avendo già fatto giochi simili, sapevano che dovevano agire in modo apparentemente insensato; si sono messi a disegnare linee "lunghe” che uscivano dal quadrato e a un certo punto, muovendosi un po' a caso, la soluzione è apparsa ai loro occhi. Se la sono "trovata lì". Hanno abbandonato la vecchia Gestalt e provato finché sono arrivati a "formare" una nuova Gestalt. Come volevasi dimostrare. 12. Adesso vi faccio un regalo. Vi regalo una piccola preziosa regola che è di grande aiuto per riuscire a rapportarsi a se stessi e al mondo in modo disponibile a un Cambiamento2. Quando la adottate vi mettete nel corretto stato d'animo per osservare in modo fenomenologico. Dicevano due grandi filosofi, Nietzsche e Heidegger: "Il pensiero è radicato nello stato d'animo, nel modo di intonarsi, di connettersi". Disegno alla lavagna di nuovo i nove punti e chiedo: "Secondo voi questi punti sono o non sono un quadrato?". Silenzio meditativo. Mi fa molto piacere notare che hanno preso questa domanda molto seriamente, mi sembra quasi di vedere i loro cervelli al lavoro. Questo è il bello dell'insegnamento. Viene la prima risposta: "Possono essere visti come un quadrato". Hai capito tutto. Scrivo alla lavagna: - "Sì, sono un quadrato" = il senso è là fuori, l'osservatore deve prenderne atto. - "Possono essere visti come un quadrato" = il senso è attribuito dall'osservatore. Tutti noi all'inizio di questo esercizio di fenomenologia sperimentale avremmo dato la prima risposta. O almeno avremmo detto: "Sono disposti a quadrato". Dopo l'esercizio ci sembra più corretto dire "Possono essere visti come un quadrato, ma possono essere visti anche come..." (cosa vi fa venire in mente la figura della soluzione? Una freccia, un aquilone. Va bene.) "anche come parte di una freccia, di un aquilone". Allora la regola che vi suggerisco è la seguente: se e quando volete adottare un modo di ascoltare/osservare fenomenologico, eliminate il verbo essere dal vostro vocabolario. Al limite non dovete pensare: "Questa è una sedia, questo è un tavolo", ma "Vedo questa come un sedia, vedo questo come un tavolo". Mi rendo conto che sembra ridicolo, ma aiuta usare fin dall'inizio un linguaggio che non escluda che potremmo vedere le cose anche secondo delle Gestalt diverse. Il predicato "è" esclude, irrigidisce. Invece "Adesso lo vedo così, ma..." ci induce a essere leggeri, flessibili, disponibili all'esplorazione di altri mondi possibili. 13. Dobbiamo approfondire meglio l'asserzione "Il senso è attribuito dall'osservatore". Non è molto chiara né di per se stessa, né nelle sue implicazioni. Per esempio: se il senso è una costruzione dell'osservatore perché tutti abbiamo "visto" un quadrato e non chi un quadrato, chi una farfalla e chi un elefante? La tentazione sarebbe di rispondere: vediamo tutti la stessa figura perché quella figura "è" un quadrato. E così ritorneremmo al punto di partenza. Per capire meglio possiamo immaginare un Paese esotico, una popolazione della Micronesia nella cui vita sociale abbia molta importanza un simbolo religioso di questo tipo: --- That was the OCR output of the first page of the document. Would you like me to continue?

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