Economia delle Imprese e dei Mercati - Prima Parte PDF
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Questo documento fornisce una panoramica introduttiva dell'economia delle imprese e dei mercati, focalizzandosi sulla microeconomia e macroeconomia. Spiega il concetto di utilità e come si relaziona all'analisi dei consumatori, oltre a introdurre nozioni base e definizioni di imprenditore, azienda e macroeconomia. Descrive anche le teorie economiche principali.
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ECONOMIA DELLE IMPRESE E DEI MERCATI ETIMOLOGIA DELLA PAROLA: Economia: deriva dal greco oikonomos (dal greco dimora (oiko) e amministrazione (nomos)): colui che amministra la propria casa. L’economia è lo studio del modo in cui la società gestisce le proprie scarse (limitate) risorse. Le princ...
ECONOMIA DELLE IMPRESE E DEI MERCATI ETIMOLOGIA DELLA PAROLA: Economia: deriva dal greco oikonomos (dal greco dimora (oiko) e amministrazione (nomos)): colui che amministra la propria casa. L’economia è lo studio del modo in cui la società gestisce le proprie scarse (limitate) risorse. Le principali teorie economiche si rifanno a tre scuole di pensiero: 1. Politiche keynesiane: basata sulle idee di John Keynes, economista britannico vissuto tra il XIX e il XX secolo. 2. Monetaristi delle scuole economiche di Chicago: i cui maggiori esponenti sono Milton Friedman e George Stigler. 3. Scuola economica austriaca: corrente di pensiero fondata da Carl Menger all’università di Vienna nella seconda metà dell’Ottocento. FONDAMENTI DI MICROECONOMIA E MACROECONOMIA Differenze tra microeconomia e macroeconomia LA MICROECONOMIA La microeconomia (dal greco mikros che significa piccolo) si concentra sul comportamento che adottano i singoli soggetti economici: 1. consumatore 2. imprenditore Ad esempio studia perché un consumatore acquista un certo bene invece di un altro e perché un imprenditore decide di produrlo e di venderlo. IL CONSUMATORE: Il consumatore, in microeconomia, quando decide di effettuare un acquisto lo fa perché deve soddisfare un bisogno. Questo bisogno lo soddisfa tramite l’utilità del mezzo che andrà ad acquistare. Al giorno d’oggi per effettuare un acquisto si utilizza il denaro. In passato vigeva la tecnica del baratto: uno scambio diretto ed era il metodo più veloce per trasferire valore. Con il passare del tempo, il baratto si è rivelato inefficiente perché non va a soddisfare la doppia coincidenza dei bisogni e dei desideri. Questo significa che se si produce un bene che non serve e se si vende un bene che non serve tutto questo risulterà inefficiente e non avverrà lo scambio. Il denaro è stato creato per ovviare a questa inefficienza, è un metodo di scambio indiretto: tra il consumatore e l’imprenditore c’è una controparte che il denaro. In principio come mezzo di scambio erano utilizzate solo le monete (prima d’oro e poi d’argento) e poi, con il passare del tempo e perché era diventato difficile portarsi dietro un grande numero di monete, è stata creata la banconota. La banconota (nota di banco): quando sono state create le prime banche (la più antica del mondo è Monte Paschi di Siena, perché le banche nascono a Firenze con la dinastia dei medici), si depositava l’oro e la banca rilascia un pezzo di carta (nota di banco) con scritto il corrisposto valore in oro che si era depositato. 1 L’IMPRENDITORE: Quando parliamo di imprenditore parliamo di diritto commerciale, che fa riferimento al codice civile. Il nostro codice civile ha due versioni: 1. 1865: che deriva dal diritto francese e dei codici napoleonici 2. 1942: che ha sostituito il precedente e differisce dal modello della tradizione francese e italiana dell'Ottocento. Con la riforma del 2003, il codice civile all’articolo 2082 ci dà la definizione di imprenditore e all’articolo 2555 ci fornisce la definizione di azienda. L’azienda è quel complesso di beni, materiali o immateriali, attraverso cui l’imprenditore svolge l’attività di impresa. L’imprenditore è colui che esercita in maniera professionale l’attività di impresa e ricava profitti da questa. Nonostante questo il nostro codice civile non ci fornisce la definizione di impresa: questo perché l’imprenditore attraverso sue scelte, decide l’output (quantità da produrre) della propria impresa attraverso degli input: la quantità è una funzione di due input: 1. K: Capitale 2. L: Lavoro L’imprenditore definisce l’output ottimale della propria azienda. LA MACROECONOMIA La macroeconomia (dal greco makros che significa grande) si concentra sul funzionamento del sistema economico dei singoli paesi nel suo complesso. Studia gli indicatori fondamentali che fanno una fotografia dello stato di benessere di un paese e il più importante tra questi è il P.I.L (prodotto interno lordo). La macroeconomia inoltre studia anche la bilancia dei pagamenti (o bilancia commerciale): fa riferimento a tutto quello che un paese esporta meno quello che un paese importa. Queste grandezze in macroeconomia si dicono grandezze aggregate: sono indicatori che vengono messe insieme e monitorano lo stato di salute di un paese. L’economia non è una scienza esatta e gli economisti, che hanno stabilito le più importanti teorie economiche, utilizzano due principali metodologie di osservazione per raccogliere informazioni e trarre le proprie conclusioni: 1. METODO INDUTTIVO: si parte dal particolare per arrivare al generale. Si osservano dei comportamenti reali che accadono nella società, si raccolgono i dati che verranno analizzati e generalizzati, da questi dati raccolti si arriva a stabilire una teoria economica. 2. METODO DEDUTTIVO: parte delle teorie economiche già enunciate e validate, si formulano delle ipotesi e dopo che queste ipotesi sono state testate si verificano le ipotesi nella società reale. Le analisi economiche possono essere di due tipi: 1. ANALISI POSITIVA: l’economista si limita ad osservare e descrivere la realtà per quello che è. In un'indagine di raccolta dati, si limita a riportare i dati raccolti senza entrare nel merito del provvedimento. Come se facesse una fotografia della situazione che c’è in quel momento. Quando si verifica un evento l’analisi positiva ci indica la causa e l’effetto dell’evento. Ad esempio l’ISTAT fa una fotografia per quanto riguarda il tasso di disoccupazione. 2 2. ANALISI NORMATIVA: l’economista non si limita a raccogliere dati e osservare la realtà ma esprime anche dei giudizi su ciò che si dovrebbe fare per andare ad accrescere il benessere collettivo. L’analisi normativa è quindi volta a individuare le scelte migliori. Ad esempio BANCA D'ITALIA (istituto deputato a stimare la bilancia dei pagamenti) fa dei report dove ci fornisce la fotografia della situazione in quel momento e ci suggerisce delle migliorie di quello che si potrebbe fare. ECONOMIA INDUSTRIALE: Viene definita economia industriale la disciplina che si interroga sulle possibili regole di buona gestione delle industry. Questo termine in italiano viene inteso come industria, ma questo termine deriva dal mondo anglosassone dove oltre ad essere definito come impresa, l'industria sottolinea il concetto di mercato. L’industry è quindi il mercato nel complesso che racchiude tutte le imprese di un determinato settore. L’economia industriale si occupa del funzionamento dei mercati e dei settori industriali, in particolare del modo in cui le imprese competono tra loro. Questo viene fatto perché in alcuni settori non c’è concorrenza e quando si verifica questo è probabile che ci sia qualche impresa all’interno di quel settore che detiene un abuso di potere di mercato (potere di mercato troppo elevato). In casi come questo, l’economia industriale si occupa di ribaltare questa inefficienza: si focalizza quindi sul comportamento delle singole imprese e sull'interdipendenza (le loro correlazioni) andando a studiare come queste evolvono nel tempo trasformando la struttura dell’industria, dell’economia e della società. POLITICA INDUSTRIALE Si intende delle scelte politiche in ambito economico: sono scelte che vengono prese dai singoli governi dei singoli stati. Il loro compito è quello di evitare delle conseguenze negative derivanti dalla detenzione di potere di mercato da parte delle imprese. Le politiche pubbliche possono essere suddivise in due grandi categorie: 1. Regolamentazione: si intende quando lo Stato interviene per andare a regolamentare, attraverso diversi strumenti, le inefficienze di un determinato mercato. Uno degli strumenti principi della regolamentazione è il pre scap: quando lo stato decide di fissare un prezzo per determinati beni, questo avviene raramente perché questo strumento ha delle ripercussioni negative nei mercati. Un esempio di pre scap sono stati gli stati uniti dopo la crisi del 29 con il programma New Deal, il presidente Roosevelt effettuò delle politiche tra cui la fissazioni del prezzo in determinati settori. 2. Antitrust: in ogni paese ci sono delle autorità chiamate antitrust, anche detta politica della concorrenza. L’autorità antitrust (chiamata AGCM = autorità garante della concorrenza e del mercato) interviene nel caso, ad esempio, di pubblicità ingannevole. 3 Oltre alle politiche di regolamentazione e antitrust, possono venire adottate politiche mirate a particolari imprese o gruppi di impresa. Un esempio è la FIAT, che ha avuto diverse politiche di economia industriale dedicate e molte sovvenzioni statali. Queste norme rientrano sotto l’etichetta di politica industriale. In Europa vige il patto di stabilità per il quale i singoli paesi sono vincolati a non poter spendere più di un tot di denaro ogni anno, quando i singoli paesi vanno legiferare la vecchia finanziaria (anche chiamata legge di bilancio). Gli economisti non vedono di buon occhio la politica industriale, in quanto c’è un intervento statale a decretare il successo di alcune imprese, del settore industriale e del mercato. Alcuni economisti ritengono che per la legge di domanda e dell’offerta il mercato vada a raggiungere sempre il proprio equilibrio. PARADIGNA STRUTTURA, COMPORTAMENTO, PERFORMANCE (SCP) Attraverso questo paradigma, molti economisti analizzano i settori industriali. Ci sono quattro principali strutture di mercato: 1. Concorrenza perfetta 2. Monopolio 3. Oligopolio 4. Concorrenza monopolistica Gli ultimi due punti rappresentano quella che si chiama concorrenza imperfetta. Concorrenza perfetta e il monopolio sono le due situazioni difficilmente realizzabili all’interno di un mercato, mentre l’oligopolio e la concorrenza monopolistica sono le situazioni che si trovano più frequentemente. 4 Secondo questo paradigma, la struttura di mercato va a influenzare i comportamenti delle imprese operanti nel mercato stesso che a loro volta influenzano le performance delle imprese. Questo paradigma si basa sul presupposto che esista un nesso causale tra le componenti. Stigler, economista della scuola economica di Chicago, riteneva che tale paradigma proponesse di indagare la struttura dimensionale delle imprese e se il mercato di nostro interesse fosse concentrato o meno. Quando misuriamo un mercato abbiamo due indicatori che ci forniscono un’idea del mercato stesso: 1. Grado di concentrazione: ovvero quante imprese sono concentrate in quel determinato mercato. 2. Quota di mercato: che viene ritenuta dalla singola impresa all’interno di quel mercato. Ogni impresa detiene una quota di mercato che può essere più o meno variabile. Si parte dalla struttura. Le condizioni di entrata e di uscita di un mercato: possiamo avere un mercato ad accesso libero oppure ci sono mercati in cui si ha delle barriera in entrata o barriera in uscita. Se in un mercato è molto facile entrare e allo stesso tempo uscire, questi tipi di mercato si dicono contendibili. Abbiamo poi delle imprese che vanno ad effettuare delle differenziazioni di prodotto (ad esempio la barilla: fino al 1974 era un’impresa mono-business perché produceva solo pasta, poi con la crisi petrolifera e l’inflazione ha iniziato a differenziare il suo core-business e decise di entrare nel mercato dei prodotti da forno. Per fare questo però utilizza un altro marchio (perchè il precedente era conosciuto come produttore di pasta e i consumatori non avrebbero percepito la qualità dei nuovi prodotti) denominato mulino bianco. Attraverso questo nuovo marchio, riuscì ad ottenere successo anche in questo mercato perché il consumatore andava a percepire un'elevata qualità del prodotto). La struttura di mercato va ad influenzare i comportamenti dell’impresa, gli obiettivi economici, le politiche di prezzo, il design di prodotto e la politica di marca, decidere se colludere o meno (prendere accordi con altre imprese che si trovano nel mercato), se effettuare qualche fusione con imprese omogenee o meno. Questi comportamenti vanno ad influire sui risultati economici e sul processo tecnologico, che definisce l’efficienza produttiva (cioè la quantità che l’impresa decide di produrre) e l’efficienza allocativa (allocazione ottimale delle risorse dell’impresa, vale a dire capitale e lavoro). Questo processo economico va a influenzare le condizioni di offerta di un mercato e le condizioni di domanda di un mercato. Le condizioni di offerta, di cui la cosa più importante è la localizzazione (molte imprese decidono di delocalizzare le loro produzioni). Questo paradigma, può venire influenzato dalle politiche pubbliche: politica della concorrenza regolazione imposte e sussidi politica per l’occupazione controlli sui salari e prezzi 5 IL MODELLO DELLE CINQUE FORZE DI PORTER Il paradigma SCP, sviluppato nell’ambito dell’economia industriale, ha contribuito alle teorie manageriali, quindi al management di impresa. In particolare alla disciplina nota come gestione strategica di impresa. Porter, professore specializzato in imprenditorialità e marketing, nel 1980 ha teorizzato il modello delle cinque forze di Porter (chiamato anche Diamante di Porter), che definisce le cinque forze riguardanti l’ambiente competitivo delle imprese. Questo perché, in ambito manageriale, il fine ultimo dell’impresa è quello di creare valore per tutti i suoi stakeholders. Gli stakeholders possono essere interni o esterni all’azienda (questi ultimi rappresentano l’ambiente competitivo dell’impresa). Secondo Porter, l’impresa per creare valore deve detenere un vantaggio competitivo che deriva dal contesto in cui l’impresa risiede. Le cinque forze di Porter che influenzano l’ambiente e il vantaggio competitivo di un'impresa sono: 1. I concorrenti nel settore 2. I potenziali rivali 3. I compratori 4. I fornitori 5. I succedanei (chiamati anche sostituti): sono i beni differenti che hanno le stesse caratteristiche che soddisfano il bisogno del consumatore. Un esempio sono le varie marche di smartphone, tutte soddisfano il bisogno del consumatore. 6 LA TEORIA NEOCLASSICA Quattro economisti che hanno teorizzato delle componenti importanti del pensiero economico. Sono quattro economisti esponenti della teoria neoclassica. ADAM SMITH: E’ un economista inglese, è considerato il padre dell’economia moderna e colui che ha teorizzato per primo la teoria neoclassica dell’impresa. Adam Smith nel 1776 scrive la sua opera più importante chiamata “The wealth of Nations” (in italiano “La Ricchezza delle Nazioni”). Smith si domandava da che cosa dipendesse la ricchezza di uno Stato: siamo negli anni della Prima Rivoluzione Industriale, che vede il passaggio da un’economia prettamente rurale all’invenzione e all’introduzione nella società dell’industria della macchina a vapore. Adam Smith teorizza che la ricchezza di uno Stato dipende dalla sua capacità di organizzare il lavoro. La capacità di organizzare il lavoro rappresenta l’offerta produttiva. La teoria neoclassica dell’impresa intende spiegare la determinazione del prezzo e della quantità di prodotto offerto sulla base dell’ipotesi di massimizzazione del profitto. Smith teorizza con la teoria neoclassica, lo studio della trasformazione della società ed evidenzia come la divisione del lavoro (cioè la sua organizzazione secondo una logica di specializzazione) e l’estensione del mercato (possibilità di scambiare beni e servizi) fossero gli aspetti più rilevanti di questo cambiamento: con la prima rivoluzione industriale, inizia a cambiare l’organizzazione produttiva delle aziende. La divisione del lavoro permette di aumentare la produttività grazie alla maggior abilità e capacità di giudizio che i lavoratori acquisiscono specializzandosi nelle varie fasi del processo produttivo: il processo produttivo viene suddiviso in fasi sequenziali in ottica della sua ottimizzazione. Secondo Smith, la determinazione del prezzo è tutta in capo al produttore e dipende dall’offerta. WILLIAM JEVONS: E’ un economista inglese che, al contrario di Smith, sostiene che il prezzo di un bene dipende dalla soddisfazione che il consumatore trae dall'utilità del bene stesso. Il consumatore che usufruisce un bene soddisfa il suo bisogno attraverso l’utilità del bene o del servizio. Jevons è considerato un economista marginalista: utilità marginale. In economia, marginale indica tutto quello che deriva da una unità aggiuntiva di uno stesso bene. L’impresa è fatta da costi e ricavi. I costi possono essere di diverso tipo: costi totali: sono formati dai costi fissi e i costi variabili costi marginali: viene indicato con C’, i marginalisti ipotizzano che la soddisfazione di un consumatore dipenda dall’utilizzo di un bene. Jevons ipotizza che il valore di un bene e il prezzo di quest’ultimo dipendessero dalla sua utilità per soddisfare il bisogno di un consumatore. L’utilità marginale: unità aggiuntiva di uno stesso bene. Si ipotizza che siamo dei consumatori e che ci serva 1 kg di farina: questo kg di farina rappresenta la soddisfazione del bisogno e l’utilità. Se si supera la quantità del kg di farina: questa rappresenta l’unità aggiuntiva in eccesso di uno stesso bene. Se si supera la quantità di un bene che serve a soddisfare un bisogno, l’unità del bene stesso inizia a diminuire. 7 Al contrario di Adam Smith, Jevons teorizza che il valore di un bene dipende dal suo prezzo e quindi dalla sua domanda. ALFRED MARSHALL E’ un economista inglese che insegnava a Cambridge, teorizza quella che viene definita come legge della domanda e dell’offerta. Il grafico della legge della domanda e dell’offerta mostra sull’asse delle ordinate e delle ascisse la quantità e il prezzo. Successivamente mostra una curva di domanda che dilata negativamente e una curva di offerta che dilata positivamente. La curva di domanda rappresenta la domanda dei consumatori, mentre la curva di offerta rappresenta l’offerta dei produttori. Il prezzo e la condizione di equilibrio derivano dall’incrocio delle curve di domanda e offerta. A questo incrocio, i mercati raggiungono il proprio equilibrio: trovano il prezzo per la quantità ideale. Questa condizione è la condizione ideale che si chiama struttura dei mercati perfettamente concorrenziali, cioè dei mercati perfettamente in equilibrio. Questa condizione dei mercati, nella realtà accade molto raramente. L’opera principale di Marshall è chiamata “Principles of Economics” integra le due prospettive precedenti, quella di Smith e quella di Jevons, sviluppa lo schema che viene definito di Domanda e Offerta: in questa visione il prezzo e la quantità sono determinati in maniera congiunta dal comportamento di imprese e consumatori. Per Marshall risulta essere centrale il concetto di interazione tra domanda e offerta. LA TEORIA NEOCLASSICA La sua caratteristica principale è quella di non interessarsi come è strutturata gerarchicamente e al livello di organizzazione un’impresa al suo interno. La teoria neoclassica considera l’impresa come una black box: ci si concentra soltanto sul valore di un bene, sul prezzo e la quantità di un bene o servizio. Ai neoclassici non interessava sapere come un’impresa fosse organizzata al suo interno. La teoria neoclassica è un elemento della teoria dei prezzi. 8 Nel contesto neoclassico l’impresa viene rappresentata come una funzione di produzione che trasforma gli input in output. y=f(x) [y= la quantità, viaggia in funzione di x=gli input (Capitale e Lavoro)] Gli input divergono nel breve e nel lungo periodo. Secondo la teoria neoclassica non c’è differenza tra imprenditore e impresa: l’imprenditore è l’impresa, è colui che sceglie la combinazione ottimale di input e output che massimizzano i profitti. Un’impresa per stare nel mercato deve avere i ricavi superiori ai costi: ricavi > costi. In economia questa condizione viene chiamata economicità. Anche la teoria neoclassica presenta delle criticità: l’economista che per primo critica la teoria neoclassica è Herbert Simon, premio Nobel per l’economia nel 1978, è padre dell’economia comportamentale. L’economia comportamentale studia come l’investitore va ad agire in base a quanto è disposto o meno ad assumersi certi rischi (avversione/propensione al rischio). Simon muove alcune critiche alla teoria neoclassica, sostenendo come questa teoria mostrava un'attenzione sproporzionata all’analisi degli scambi, piuttosto che all’analisi dell’impresa internamente. Secondo Simon non vengono approfonditi: Gli obiettivi che guidano l’attività dell’impresa (al tempo la proprietà dell’impresa veniva identificata con il suo controllo-non c’erano dei manager) La complessità dell’organizzazione interna delle imprese: la complessità della suddivisione aziendale dell’impresa (impresa può essere divisa in più business unit) Può verificarsi un informazione imperfetta-asimmetria informativa (chiamata anche selezione avversa): in uno scambio tra due parti può accadere che compratore e venditore non abbiano le stesse informazioni per effettuare quello scambio. La maggior parte delle volte, le informazioni sono sbilanciate a favore del venditore. Le imprese assumono le proprie decisioni: le teorie economiche si basano su comportamenti razionali che nella realtà non vengono rispettati perché vige sempre la regola del profitto. La teoria d’impresa si è evoluta nel tempo cercando di inseguire i cambiamenti osservati nella realtà: in particolare alcuni degli sviluppi della teoria d’impresa si ispirano all’esperienza americana, la quale agli inizi del 900 diventa rilevante per 1. la nascita di imprese integrate verticalmente 2. l’influenza dell’economia e della produzione americana esercitano a livello globale. In economia si possono avere due tipologie di integrazione: 1. VERTICALE: viene utilizzata dalle imprese quando queste vogliono ottenere il controllo e accorciare la filiera produttiva. Per filiera produttiva si intende quel processo che un'impresa svolge sia a monte che a valle. Un’impresa per produrre la quantità di prodotto necessario ha bisogno dei fornitori delle materie prime a monte. dei distributori del prodotto a valle: alcune imprese non distribuiscono in maniera diretta il prodotto ma richiedono l’ausilio dei distributori. Un esempio di integrazione verticale è space six: ha integrato verticalmente alcuni attori della propria filiera produttiva. Questa operazione si svolge per diminuire i costi di produzione. 2. ORIZZONTALE: l’integrazione orizzontale serve alle imprese, soprattutto le imprese di grandi dimensioni, ad acquisire dei possibili competitors che potrebbero andare a sottrarre delle quote di mercato. Un esempio di integrazione orizzontale è Facebook che acquista Instagram e Whatsapp. 9 L’impresa americana degli inizi del ‘900, è molto diversa dall’impresa con cui si confrontò Adam Smith nell’Inghilterra del ‘700: questo perché il fordismo e la produzione industriale iniziano ad essere ottimizzati secondo logiche di catena di montaggio. Inoltre sono gli anni del terrorismo in nord america, Frederick Taylor (da cui deriva il taylorismo) è colui che sostiene la trasformaione dell’impresa che mette al centro un’organizzazione scientifica del lavoro. (da qui deriva anche l’espressione taylor made: fatto su misura). Nel taylorismo, viene riorganizzato il ciclo produttivo secondo i criteri di ottimizzazione economica. Il caso americano, segna l’inizio di una progressiva spaccatura tra proprietà e management. Questo significa che le imprese che nel 1700/1800 erano detenute al 100% da un singolo proprietario, iniziano ad avere tra i proprietari più azionisti. Il capitale, inizia quindi ad essere detenuto da molteplici individui: questo permette il fatto che il management prenda sempre più potere. Un esempio della distinzione tra proprietà e management è la FIAT. Quest’ultima nasce a Torino nel 1889; l’idea di fondare un’azienda che producesse autovetture in Italia fu di nove aristocratici dell’epoca, tra cui Giovanni Agnelli. All’inizio del ‘900, la proprietà dell’impresa apparteneva quasi internamente a Giovanni Agnelli. Alla morte di Agnelli, il figlio Edoardo muore in giovane età in un incidente nautico. A quel punto subentra Gianni Agnelli (figlio di Edoardo) che si ritrova alla guida della FIAT. Essendo lui molto inesperto, gli viene affiancato un amministratore delegato chiamato Vittorio Valletta. Quando Gianni Agnelli raggiunge l’esperienza necessaria per riprendere non solo la proprietà ma il controllo e le scelte manageriali dell’azienda nel 1966. Nel 2003, alla morte di Gianni Agnelli, subentra suo nipote John Elkann. Nel 2004 in FIAT entra come amministratore delegato Sergio Marchionne. Successe quindi la stessa cosa che era accaduta con Valletta nel 1966, con la differenza che subentra una figura intermedia. Luca Cordero di Montezemolo viene definito presidente della FIAT, per fare da intermediario tra management e famiglia proprietaria. Questo esempio mostra come anche in Italia, nel corso degli anni una grande azienda come la FIAT (oggi Stellantis) ha avuto una separazione e poi un ricongiungimento tra proprietà e management. Nasce nel 2021 dalla fusione tra F.C.A. e Peugeot la STELLANTIS. All'inizio la fusione doveva essere con Renault, ma il governo francese si oppose. Ad oggi abbiamo una proprietà e un controllo diviso: il presidente rimane John Elkann mentre l'amministratore delegato è Carlos Tavares. TEORIE COMPORTAMENTALI Queste teorie partono dall’ipotesi che le imprese non abbiano obiettivi proprie. Secondo queste teorie, le decisioni d’impresa emergono dalla contrattazione tra una pluralità dei gruppi e individui definiti stakeholders. Gli stakeholders sono i portatori di interesse nell’azienda che perseguono una molteplicità di obiettivi spesso in conflitto. Le teorie comportamentali riconoscono che ogni processo decisionale ha luogo in situazioni di incertezza o di razionalità limitata. 10 RONALD COASE E’ un economista, vincitore del Premio Nobel nel 1991, teorizza la TEORIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE. I costi di transazione sono i costi che possono nascere ex-ante (prima) o ex-post (dopo) una transazione, ovvero un’ipotesi di scambio tra due o più soggetti. Quando c’è un’ipotesi di effettuazione di uno scambio, si generano i costi di transazione. Alcuni esempi di costi di transazione sono: le commissioni bancarie. il tempo che due parti impegnano a negoziare un determinato prezzo. il consumatore che valuta i prezzi dei singoli beni. Il dispendio di tempo per tradurre da una lingua ad un’altra un contratto. Tutti questi costi sono collegati all’ipotesi di uno scambio tra compratore e venditore. I costi di transazione esistono perché i contratti necessari a concludere una transazione di mercato sono contratti incompleti perché si deve ricercare un accordo tra le due parti. Coase ipotizzava che organizzare il lavoro all’interno di un’impresa con dei contratti di lavoro (di rapporto datore di lavoro e dipendente), permette di ridurre i costi di transazione e di incertezze che sorgerebbero dovendo negoziare i dettagli delle prestazioni oggetto della transazione. Coase era convinto che negoziare subito le condizioni all’interno di un contratto di lavoro, piuttosto che rinegoziare ogni volta da capo. Secondo questa teoria, i costi di transazione derivano dalla “Teoria dell’agenzia”: le due componenti principali della teoria dell’agenzia sono: L’asimmetria informativa: quando le due parti di uno scambio non possiedono entrambe le stesse informazioni. L’azzardo morale: a differenza dell’asimmetria informativa, l’azzardo morale sono dei comportamenti opportunistici. Un esempio lo si ha quando si sottoscrive una polizza assicurativa per l’auto per il rischio di furto e incendio e poi parcheggio la mia auto in un deposito con bombole di GPL. Questo è un comportamento opportunistico, perché a fronte di danni l’assicurazione li pagherebbe. 11 IL MERCATO In economia, con la parola mercato viene intesa l’istituzione: ovvero un insieme di regole che definiscono il perimetro entro il quale avvengono gli scambi di beni e/o servizi. Il mercato è dove si incrociano la domanda e l’offerta, ovvero dove compratori e venditori raggiungono un accordo sullo scambio di uno specifico prodotto. LA CURVA DI DOMANDA La curva di domanda, è inclinata negativamente:questo perché se il prezzo si abbassa la quantità di domanda aumenterà. Il consumatore sarà disposto ad acquisire maggiormente un prodotto se il suo prezzo si abbassa. La curva di domanda dipende: 1. dal prezzo del bene stesso 2. dal prezzo di altri beni (perché i beni sono correlati tra loro) 3. dal reddito del consumatore 4. dal contesto sociale e/o ambientale 1. IL PREZZO DEL BENE STESSO Tanto minore è il prezzo di un bene, tanto maggiore sarà la quantità richiesta. Se il prezzo aumenta si presume che nessun consumatore accresce la quantità acquistata, viceversa se il prezzo diminuisce. La funzione della domanda di mercato per un prodotto/servizio mostra la relazione tra prezzo di mercato e il numero delle unità di prodotto/servizio che i consumatori desiderano acquistare a quel prezzo. I consumatori come prima cosa stabiliscono le loro preferenze: il consumatore è disposto a spendere un certo prezzo per un dato bene, se il prezzo si alza eccessivamente il consumatore non sarà più disposto ad acquisire quel bene o quella quantità di bene. Ogni consumatore ha la propria curva di domanda. La curva di domanda del singolo consumatore viene detta domanda individuale. Per capire l’efficienza di un dato mercato, si sommano tutte le domande individuali: la somma delle domande individuali viene chiamata domanda aggregata di mercato per un determinato bene/servizio. 12 2. IL PREZZO DI ALTRI BENI La curva di domanda può dipendere anche dal prezzo di altri beni: in microeconomia i beni si definiscono in tre modi: 1. Beni indipendenti: la variazione del prezzo del primo, non avrà effetto sulla quantità domandata del secondo. Il prezzo del pane non avrà effetto sulla quantità domandata di sigarette 2. Beni sostituiti: sono quei beni che consentono al consumatore di soddisfare il proprio bisogno indipendentemente che se ne utilizzi uno oppure se ne utilizzi un altro. I due beni sono uno alternativo all’altro. (Coca cola-Pepsi cola). Un aumento del prezzo del primo bene determinerà una diminuzione della sua quantità domandata e un incremento della quantità domandata del secondo bene. (Se il prezzo della coca cola aumenta, la domanda di coca cola diminuirà ma aumenta la domanda della Pepsi cola) 3. Beni complementari: ossia vengono spesso consumati insieme; Un esempio sono le scarpe: per soddisfare l’utilità di un consumatore c’è bisogno di una scarpa destra e una sinistra. Un aumento del prezzo del primo bene, determinerà una diminuzione della sua quantità domandata e un calo della quantità del secondo bene. Quando la domanda del consumatore dipende sia dal prezzo del bene stesso che dal prezzo di altri beni si ha uno spostamento lungo la curva di domanda. 3. REDDITO DEL CONSUMATORE La quantità domandata di un bene dipende inoltre dal reddito degli individui, e la direzione della variazione (dove si sposta la domanda) dipende dal livello del reddito. Al contrario di prima, quando la domanda di un individuo dipende dal proprio reddito, non si avrà più uno spostamento lungo la curva: si otterrà uno spostamento della curva di domanda in un senso o nell’altro. 13 In microeconomia, il rapporto tra reddito e quantità domandata viene definito e rappresentato dalla Curva di Engel. Il reddito si trova sull’asse delle ascisse mentre la quantità sull’asse delle ordinate. Partendo dall’ipotesi che se il consumatore ha un reddito pari a zero non c’è domanda, man mano che il reddito del consumatore aumenta la domanda del bene che si vuole acquistare aumenterà di conseguenza. Nel tratto di curva compreso tra y1 e y2 vengono rappresentati i beni normali: aumenta il reddito e aumenta anche la quantità. Tra y2 e y3, il reddito aumenta ancora ma la quantità domandata del bene che il consumatore vuole acquistare rimane costante: questo perché si è raggiunto il livello massimo desiderabile, ovvero l’utilità di quel bene. Il bene soddisfa a pieno il bisogno del consumatore. Oltre y3, il reddito aumenta ancora ma la quantità domandata per il bene acquistato diminuisce: quando un bene massimizza la propria utilità, ci si sposta verso quantità superiori o di lusso, abbandonando così i beni inferiori. 14 FUNZIONE DI DOMANDA ED ELASTICITA’ Elasticità della domanda rispetto al prezzo In economia l’elasticità si indica con ε ed è la sensibilità della domanda rispetto alla variazione percentuale del prezzo. La quantità domandata di beni può avere una sensibilità diversa rispetto a variazioni di prezzo. Tale sensibilità viene detta elasticità della domanda. Dati ΔP, ovvero la variazione del prezzo tra due punti della curva di domanda del mercato e ΔQ, ovvero la variazione corrispondente della quantità domandata, la variazione percentuale della quantità domandata è ΔQ/Q e la variazione percentuale del prezzo è ΔP/P. Il concetto di elasticità è legato alla pendenza della curva di domanda: Tipicamente si possono avere curve più rigide oppure delle curve più elastiche: le curve più rigide: fanno riferimento ai beni strettamenti necessari. Se il prezzo del bene aumenta, la quantità domandata non varierà di molto. le curve più elastiche: fanno riferimento ai beni di lusso e non strettamente necessari. Una diminuzione del prezzo di questo tipo di beni farà aumentare di tanto la quantità domandata. 15 Ci sono però anche dei casi limite: per l’elasticità si prende come riferimento il numero 1. Quando l’elasticità della domanda rispetto al prezzo è uguale a 1 si ha l’elasticità unitaria e si trova al centro della curva. Se l’elasticità è minore di 1 tende a 0, si dice che la curva di domanda è anelastica, fino ad arrivare ad avere un’elasticità uguale a 0, chiamata elasticità completamente inelastica. Se l’elasticità è maggiore di 1 tende verso a infinito, si dice che la curva di domanda è elastica, fino ad arrivare ad avere un’elasticità completamente elastica, tende a infinito. Casi limite dell’elasticità della domanda: ★ Curva di domanda completamente inelastica: per qualsiasi prezzo la quantità non cambia. Per un determinato bene potrà esserci anche una variazione importante di prezzo, ma la quantità che domanderò per quel bene sarà sempre la stessa. ★ Curva di domanda completamente elastica: questo si verifica per tutti i beni che permettono al consumatore di togliersi alcuni sfizi. Il consumatore è disposto a spendere un determinato prezzo per una tipologia di bene/servizio. Se il prezzo si trova al di sopra o al di sotto di quanto il consumatore vuole spendere, la domanda si annulla. 16 TEORIA DEL COMPORTAMENTO DEL CONSUMATORE Questa teoria tratta di come i consumatori distribuiscono i propri redditi tra differenti beni e servizi per massimizzare il proprio benessere. Viene suddivisa in tre passaggi: 1. Preferenze del consumatore: le ragioni per cui le persone preferiscono un bene a un altro. 2. Vincoli di bilancio: i consumatori valutano anche i prezzi, disponendo di redditi limitati che implicano un tetto alla quantità di beni che essi possono acquistare. 3. Scelte del consumatore: date le loro preferenze e i loro redditi limitati, i consumatori scelgono di acquistare combinazioni di beni che massimizzano la loro soddisfazione. Queste combinazioni dipendono dai prezzi dei diversi beni, quindi comprendere le scelte dei consumatori aiuta a comprendere la domanda. 17 LA CURVA DI OFFERTA La funzione di offerta del mercato indica la quantità di beni/servizi che le imprese sono disposte a offrire in rapporto ad alcuni fattori: il prezzo del bene i fattori produttivi altri elementi La curva di offerta, a differenza di quella di domanda, è inclinata positivamente: secondo la legge dell’offerta, se il prezzo di un bene aumenta, l’impresa è disposta ad offrire maggiore quantità. Se la domanda del consumatore è alta, il prezzo di quel bene aumenterà: il consumatore sarà disposto a spendere di più per quel bene. Con un eccesso di domanda, l’impresa produce una maggiore quantità di quel bene/servizio. La curva di offerta rappresenta graficamente la relazione fra il prezzo di un bene o servizio e la quantità che le imprese sono disposte a offrire per ogni livello di prezzo, a parità di altre condizioni. La relazione tra prezzo e quantità è positiva. A sinistra, la curva di offerta parte dal vertice del grafico. A destra, la curva di offerta è spostata verso l’alto: la C indica i costi fissi e ogni impresa per stare sul mercato deve sopportare dei costi. I costi totali che deve sopportare un’impresa sono dati dai costi fissi in aggiunta ai costi variabili. Talvolta l’impresa per offrire un bene o un servizio, può decidere di coprire i costi fissi, per questo motivo la curva non parte dal vertice. Come la curva di domanda, anche la curva di offerta si sposta da un lato all’altro ma con la differenza che la curva di offerta si sposterà in base al prezzo dei fattori produttivi, fra cui ad esempio il prezzo dell’energia per far funzionare gli impianti e del lavoro da impiegare nei processi produttivi. 18 Se il prezzo dei fattori produttivi (ovvero i costi di produzione) diminuisce, a parità di altre condizioni, l’impresa sarà disposta a offrire maggiori quantità di bene per ogni livello di prezzo: la curva di offerta si sposta verso destra. Al contrario la curva di offerta si sposterà verso sinistra se i fattori produttivi (costi di produzione) aumenteranno: questo avviene quando c’è uno shock dei mercati sul prezzo dell’energia. La funzione di offerta dipende anche da altri fattori quali: 1. Obiettivi dell’impresa: sono le scelte dei manager dell’azienda. 2. Tecnologia: cambio di linee di produzione per renderli più nuovi. E’ un passaggio che richiede tempo (può ad esempio essere da tradizionale ad elettrico) e quindi l’azienda produce meno quantità di beni. 3. Prezzo dei beni correlati: sono quei beni che all’interno di un’impresa possono essere prodotti sfruttando quasi completamente le linee produttive esistenti. Un esempio di beni correlati sono le autovetture classiche e i veicoli commerciali. 4. Aspettative: sono scelte dei manager in base a che cosa si aspetta il mercato. Si decide la quantità di un bene da produrre in base agli studi di mercato. 5. Altri fattori particolari: ad esempio le condizioni del 2020. SURPLUS DEL CONSUMATORE E SURPLUS DEL PRODUTTORE Quando la curva di domanda e la curva di offerta si incrociano si ottiene l’equilibrio di mercato: ad un determinato prezzo viene prodotta una determinata quantità. I compratori e venditori raggiungono un accordo sullo scambio di uno specifico prodotto, determinandone il prezzo. Il mercato tende in genere a ricercare il proprio equilibrio da solo. A volte capita però che se il prezzo è più alto rispetto a quello che il consumatore è disposto a spendere: si crea così un’eccedenza di offerta. L’eccedenza di offerta, che corrisponde ai prodotti che non verranno venduti, verrà venduta dall’impresa abbassando il prezzo dei prodotti. Al contrario, si può verificare la situazione opposta: il consumatore può acquistare ad un prezzo inferiore a quello che aveva pronosticato: in questo caso si ha una domanda maggiore e si crea una scarsità sul mercato. Per aiutare la scarsità presente sul mercato, l’impresa alzerà il prezzo dei prodotti. 19 La curva di domanda identifica la massima disponibilità a pagare dei consumatori per ciascuna quantità di prodotto, mentre la curva di offerta indica il prezzo minimo a cui le imprese sono disposte a offrire ciascun livello di output. Si può quindi definire prezzo di equilibrio quel prezzo in corrispondenza del quale la quantità domandata è uguale alla quantità offerta. Il mercato tende al prezzo di equilibrio tramite meccanismi di aggiustamento dei comportamenti dei venditori e degli acquirenti. La differenza tra disponibilità massima a pagare e prezzo è detta surplus del consumatore. Allo stesso modo al prezzo di equilibrio tutte le imprese offriranno a un prezzo superiore rispetto a quello minimo indicato nella curva di offerta; la differenza è detta surplus del produttore. LE CURVE DI COSTO L’obiettivo di un’impresa è quello di massimizzare un profitto. Le curve di costo e la massimizzazione del profitto Il profitto è indicato in economia con la lettera greca Π(pi), è dato dalla differenza tra ricavo totale e costo totale: Π = (p x q) – (c x q) Dove p è il prezzo unitario, q è la quantità e c è il costo unitario di produzione. I profitti vengono quindi massimizzati quando da un lato si riescono a minimizzare i costi e dall’altro a massimizzare i ricavi. La quantità ottimale di bene da produrre corrisponde al livello di output che minimizza i costi. In microeconomia, matematicamente per vedere la condizione di massimizzazione del profitto si svolge la derivata del ricavo totale e del costo totale. La condizione di uguaglianza che massimizza il profitto corrisponde a ricavo marginale = costo marginale Il ricavo marginale è il ricavo derivante dalla vendita di un’unità aggiuntiva di prodotto. Il costo marginale è il costo aggiuntivo che l’impresa spende per produrre una unità aggiuntiva di prodotto. Per individuare la quantità ottimale, occorre identificare come varia l’output prodotto in relazione alla quantità di input. L’impresa per produrre il suo output ha a disposizione due input: 1. Il lavoro (L) 2. Il capitale (K) Viene definita funzione di produzione la relazione tra input utilizzati e output ottenuti, in un determinato arco di tempo. q = g (L, K) 20 Per aumentare la quantità prodotta, l’impresa deve aumentare la quantità di input impiegati utilizzando al meglio gli impianti esistenti, o dotandosi di nuovi impianti o introducendo nuove tecnologie. L’arco di tempo è importante perché in microeconomia si distingue tra Breve periodo (1-3 anni): : l’impresa può variare solo la quantità di lavoro e non il capitale. Si ha la condizione di capitale fisso. Lungo periodo (oltre 5 anni): l’impresa può variare le quantità di entrambi i fattori produttivi (L, K). Lunghissimo periodo: : l’impresa può modificare anche la tecnologia adottata. IL BREVE PERIODO: Nel breve periodo l’impresa non può modificare il capitale impiegato, quindi può solo decidere quale sia la quantità ottimale di lavoro da utilizzare. Tre grandezze fondamentali: 1. QUANTITA’, PRODOTTO L’impresa deve decidere la quantità che ottimizza l’efficienza dei propri impianti produttivi: Tre tipi di prodotto principali: Il prodotto totale (PT), definito come la quantità prodotta durante un certo intervallo di tempo usando tutti gli input; Il prodotto medio (PM), definito come la quantità di prodotto realizzato in media da ogni unità di lavoro impiegato (es: un’ora o un lavoratore); Il prodotto marginale (P’), definito come la variazione del prodotto totale corrispondente all’utilizzo di un'unità addizionale dell’input variabile. La quantità di lavoro per utilizzare in maniera ottimale gli impianti esistenti è quella che massimizza il prodotto medio, ossia laddove le curve di prodotto medio e prodotto marginale si incontrano. Legge dei rendimenti decrescenti: Formulata da David Ricardo, teorizza che dato un input fisso (il capitale), per ottimizzare la produttività dell’impresa, si aggiunge un’unità aggiuntiva di lavoro: si arriverà al punto in cui il livello di produzione aumenterà ma in maniera minore rispetto a prima fino a quando il livello di produzione sarà decrescente e le curve iniziano a decrescere. Nel breve periodo la produttività degli impianti risulta essere efficiente quando viene massimizzato il prodotto medio: cioè dove si intersecano le due curve. 21 2. COSTI Dal punto di vista economico, quando si parla di costo ci si riferisce al cosiddetto costo opportunità, che include tutto ciò a cui si rinuncia a fronte di una determinata decisione. Costo economico = Costo opportunità Tre grandezze fondamentali: Il costo totale (CT), definito come il costo sostenuto per produrre una determinata quantità di prodotto in una data unità di tempo. Corrisponde alla somma costi variabili e fissi; Il costo medio totale (CMT), definito come il costo totale da sostenere per produrre una data quantità di prodotto diviso per il numero di unità prodotte: Il costo medio viene anche definito costo unitario; Il costo marginale (C’), definito come l’aumento di costo che deriva dall’aumento di una unità di quantità prodotta. Abbiamo due grafici principali dei costi: Nel primo: La retta orizzontale sono i costi fissi La retta che parte dal vertice sono i costi variabili I costi totali sono dati dalla somma dei costi fissi e variabili Nel secondo: Le curve di Costo marginale e Costo medio totale sono inversamente proporzionali alle curve del Prodotto marginale e Prodotto medio. Il costo marginale prima diminuisce e poi aumenta perché nel breve periodo il capitale è fisso: più si aggiunge un’unità di lavoro più aumenta la produzione solo per il lavoro. Questo implica che inizialmente il costo marginale sarà decrescente. Si applica questo ragionamento anche per il costo medio totale. La capacità produttiva ottimale nel breve periodo è il livello di produzione che corrisponde al livello minimo del costo medio totale di breve periodo, ovvero dove il costo medio totale interseca il costo marginale. Ci sono altre due curve: Costo medio fisso e costo medio variabile La curva del costo medio fisso è sempre decrescente, sarà sempre maggiore all'inizio ma più viene prodotto un bene e più il costo medio fisso tende a diminuire. La curva di costo medio variabile segue la curva di costo medio totale: decresce all’inizio perché la produttività è più sempre elevata inizialmente e poi con l'aumentare del livello di produzione, cresce perché aumenta il costo dei fattori produttivi. 22 IL LUNGO PERIODO Nel lungo periodo tutti i fattori produttivi sono variabili. 1. La prima decisione che l’impresa deve prendere è quindi identificare quale sia la combinazione ottimale di lavoro e capitale, sostenendo il costo più basso possibile. Questo viene detto principio della minimizzazione del costo. 2. La seconda decisione da prendere nel lungo periodo riguarda l’identificazione della quantità ottimale da produrre sulla base dei costi. Il loro andamento si legge sulla curva di costo medio di lungo periodo (CMLP), la quale indica i costi unitari più bassi a i quali è possibile produrre. Nel grafico abbiamo due curve di breve periodo e una curva di costo medio di lungo periodo. Più il periodo di tempo aumenta più impatterà la tecnologia sulla produzione. In prossimità della CMLP, dove la quantità qm minimizza i costi di produzione. I livelli di costo non raggiungibili e raggiungibili sono dovuti alla tecnologia: L’impresa sotto ad un certo costo minimo non può scendere altrimenti risulterebbe inefficiente. Il punto che interseca la curva di CMLP in prossimità di qm è detto scala efficiente minima: è il punto minimo della curva. Infine, la forma ad U che caratterizza la curva di costo medio di lungo periodo è legata ai rendimenti di scala, ossia alla relazione esistente tra la variazione degli input e la corrispondente variazione degli output. Si formano così le: economie di scala: si raggiungono quando si riesce a produrre un’unità di prodotto in più ad un’unità di costo in meno diseconomia di scala: si raggiungono quando si produce un’unità di prodotto in meno con un’unità di costo aggiuntivo in più. 23 CONDIZIONE DI MASSIMIZZAZIONE DEL PROFITTO Il ricavo marginale è il ricavo che un’impresa guadagna da un’unità di prodotto venduta in più. Il ricavo fa riferimento alla curva di domanda: in tutti i casi il ricavo marginale è inferiore alla curva di domanda e quindi al prezzo, tranne che nei mercati perfettamente concorrenziali (il ricavo marginale è uguale al prezzo). La curva di ricavo marginale si interseca con la curva di costo marginale: qui si ottiene la quantità che massimizza il profitto dell’impresa. Le quantità inferiori rispetto a questa non massimizzano il profitto perché l’impresa ha una curva di costo marginale inferiore al proprio ricavo marginale. Ciò implica che l’impresa produrrà di più. Al contrario, quando i costi marginali dell’impresa superano il ricavo marginale, implica che l’impresa sta producendo troppo e deve diminuire la sua produzione. La condizione di massimizzazione del profitto corrisponde a ricavo marginale = costo marginale LE TIPOLOGIE DI FORME DI MERCATO La struttura di mercato è l’insieme di caratteristiche che determinano il comportamento e le performance di acquirenti e venditori. La teoria neoclassica dell’impresa considera le seguenti tipologie di forme di mercato: 1. La concorrenza perfetta: è l’unica struttura di mercato che massimizza il surplus del consumatore e del venditore. 2. Il monopolio; 3. La concorrenza imperfetta, suddivisa in: Oligopolio; Concorrenza monopolistica. 24 LA CONCORRENZA PERFETTA In concorrenza perfetta, il consumatore non è disposto a spendere un prezzo superiore di quello che fa il mercato, perché ritiene che le caratteristiche dei prodotti non siano importanti per una differenziazione. La concorrenza perfetta è una struttura di mercato caratterizzata dal contemporaneo verificarsi di tutte le seguenti condizioni: ❖ Sul mercato operano numerosi consumatori; ❖ Sul mercato operano numerose piccole imprese omogenee dette price taker: in concorrenza perfetta, poiché i prodotti sono identici, le imprese non riescono a fissare il prezzo (stabilire un proprio livello di prezzo). Quindi le imprese prendono il prezzo s-fissato dal mercato. Il mercato farà si che il prezzo che le imprese abbassano ritorni verso il proprio equilibrio. La singola impresa è price taker, ossia non riesce da sola a influenzare il prezzo del bene/servizio offerto, che è determinato unicamente dall’interazione tra domanda e offerta di mercato. ❖ Il prodotto è standardizzato o indifferenziato: il consumatore non è disposto a spendere un prezzo maggiore per dei prodotti molto simili tra di loro. ❖ Vi è simmetria tecnologica: tutte le imprese hanno a disposizione la stessa tecnologia; ❖ Gli acquirenti hanno a disposizione tutte le informazioni necessarie per valutare le caratteristiche del prodotto; ❖ Non esistono barriere in entrata o in uscita: L’impresa fronteggia una domanda orizzontale: i consumatori in concorrenza perfetta non sono disposti a spendere un prezzo maggiore. Acquistano solo ad un dato prezzo. 25 IL BREVE PERIODO IN CONCORRENZA PERFETTA La condizione di massimizzazione del profitto corrisponde a ricavo marginale = costo marginale In concorrenza perfetta, per l’impresa il prezzo è costante. Questo significa che le imprese non riescono a influenzare il prezzo: ricavo marginale = prezzo. In concorrenza vige la seguente condizione: P = R’ = C’. La quantità ottimale per l’impresa sarà fissata nel punto in cui: P = R’ = C’. In questo caso abbiamo una situazione di profitto. L’impresa massimizza il proprio profitto fino all'intersezione con il costo medio. Se il prezzo determinato dal mercato sarà superiore al costo medio l’impresa otterrà dei profitti, viceversa otterrà delle perdite. Se l’impresa scende sotto il proprio costo medio, non sta massimizzando i propri costi; in concorrenza perfetta, se il prezzo è sotto il costo medio: l’impresa realizza una perdita. In breve periodo le imprese in concorrenza perfetta, riescono ad avere dei profitti. Visto che la concorrenza perfetta è una struttura di mercato dove non ci sono barriere d’ingresso, altre imprese vorranno entrare nel mercato per ottenere del profitto. Se questo succede, il prezzo gradualmente si abbasserà: più imprese entrano nel mercato, più ci sarà un’eccedenza di offerta da parte delle imprese. Se abbiamo delle perdite in concorrenza perfetta, a meno che il mercato non riesca a far alzare il prezzo, delle imprese in perdita che sono nel mercato potranno uscire liberamente dal mercato. Se in concorrenza perfetta delle imprese escono dal mercato, si riduce l’offerta e inizia a esserci una scarsità di prodotto offerto delle imprese e il prezzo tenderà a tornare in equilibrio. 26 IL LUNGO PERIODO IN CONCORRENZA PERFETTA In lungo periodo, le imprese in concorrenza perfetta realizzano dei profitti nulli. Nel breve periodo ci possono essere dei profitti o delle perdite, ma non riuscendo a influenzare il prezzo nel lungo periodo, l’offerta di lungo periodo torna piatta. Quindi il prezzo sarà uguale al costo medio e il profitto è nullo. Con l’espressione profitto nullo, si fa riferimento al concetto di profitto economico, il quale tiene conto anche dei costi opportunità: l'opportunità che si tralascia a seguito di scelte aziendali. EQUILIBRIO IN CONCORRENZA PERFETTA Secondo la teoria neoclassica, attraverso il meccanismo di prezzi che il mercato riequilibra (se ci sono situazioni di scarsità o eccedenza), in concorrenza perfetta si raggiunge il massimo benessere sociale complessivo. La concorrenza perfetta è la struttura di mercato più efficiente in quanto massimizza il surplus di consumatore e produttore: il surplus del consumatore è identico al surplus del produttore. Tuttavia, la concorrenza perfetta è una struttura di mercato che si riscontra molto raramente nella realtà. 27 IL MONOPOLIO In un mercato che si trova in una condizione di monopolio, ci sono molti consumatori e solo un produttore. Tipicamente il monopolio ha elevate barriere in ingresso per potenziare i concorrenti: quando in un mercato non si riesce facilmente a entrare/uscire, il mercato si dice non contendibile. Ci sono tre tipologie di monopolio: Monopolio legale: è il monopolio che per legge è dato a una determinata impresa. Le sigarette sono un monopolio di stato: quindi rientrano anche nella categoria di monopolio legale. Ci sono situazioni in cui i governi elargiscono delle concessioni, affinché nel mercato un'impresa produca il prodotto per il prodotto in un determinato lasso di tempo. Nei monopoli legali in italia ci sono tre agenzie fiscali, mentre per i monopoli di stato le autorità competenti sono l’agenzia delle dogane e dei monopoli. Monopolio tecnologico: è l’impresa che ha una tecnologia in grado di monopolizzare il settore, ma non sempre questa tecnologia può essere più performante di quella che hanno a disposizione altre imprese. Monopolio naturale: si ha nei casi di servizi di pubblica utilità (di solito nel settore energetico di gas, luce). Il monopolio naturale viene definito così perché è più conveniente lasciare produrre quel servizio a un’impresa singola, piuttosto che aprire il mercato ad altre imprese: l’impresa singola sostiene dei costi minori rispetto che aprire il mercato a più concorrenti. In un mercato che si trova in una condizione di monopolio, il monopolista ha il massimo livello di potere di mercato ed è quindi in grado di fissare il prezzo del proprio prodotto, diventando price maker. Nel monopolio il prezzo dipende dalla quantità e viceversa. L’impresa nel monopolio, prima di ogni altra cosa deve trovare la quantità ottimale: questa si trova all’intersezione tra costo marginale e ricavo marginale. La quantità ottimale potrà essere venduta al prezzo di monopolio: l’impresa però potrà vendere la quantità ottimale anche ad un prezzo Pa, ma in questo caso non sta massimizzando il profitto (potrebbe vendere ad un prezzo superiore). I profitti vengono massimizzati nel punto B, all’incrocio tra ricavo marginale costo marginale quantità Il profitto minimo sarà in corrispondenza del costo medio. 28 Tutti i monopoli presentano alcuni limiti. Innanzitutto determina inefficienza allocativa: il monopolista sapendo che può vendere ad un prezzo superiore produce una quantità inferiore rispetto a quella che produrrebbe un mercato concorrenziale, in quanto il benessere totale risulta ridotto rispetto alla concorrenza perfetta. Se in concorrenza perfetta vengono massimizzati il surplus del consumatore e del produttore, nel monopolio il surplus del produttore aumenta a discapito del surplus del consumatore: questo accade perché il monopolista produce una quantità inferiore di prodotto. Il triangolo che si crea viene definito perdita secca, ossia una perdita di efficienza economica che non va a beneficio né dei consumatori, né del produttore. E’ una perdita di benessere della collettività dovuta a una inefficienza allocativa. Il monopolista può avere dei profitti superiori rispetto al mercato concorrenziale ma questi ultimi servono a ricercare una rendita definita rent seeking, cioè una predominanza del mercato con iniziative volte a mantenere il proprio potere di mercato. 29 LA CONCORRENZA MONOPOLISTICA La concorrenza monopolistica presenta alcune delle caratteristiche della concorrenza perfetta: Elevato numero di produttori sul mercato; Basse barriere all’entrata o all’uscita; Obiettivo delle imprese è massimizzare il profitto: questa condizione di massimizzazione del profitto si verifica nel breve periodo. Il profitto nel lungo periodo risulta essere nullo, come in concorrenza perfetta. DIFFERENZIAZIONE DI PRODOTTO La differenza maggiore tra concorrenza perfetta e concorrenza monopolistica consiste nel prodotto: nella concorrenza perfetta il prodotto è indifferenziato (uguale per tutte le imprese sul mercato), mentre nella concorrenza monopolistica il prodotto può essere differenziato. Il prodotto in concorrenza monopolistica ha le stesse caratteristiche di base, affinché il consumatore soddisfi i suoi bisogni, però può avere alcune caratteristiche tecniche più specifiche. I prodotti in concorrenza monopolistica sono detti sostituti stretti ma non perfetti: soddisfano il bisogno dei consumatori avendo caratteristiche leggermente diverse l’uno dall’altro. La differenziazione consente alle imprese di applicare un prezzo diverso da quello dei concorrenti, nel breve periodo. Grazie alla differenziazione di prodotto, l’impresa può quindi scegliere di fissare un prezzo diverso da quello dei concorrenti, applicando un markup (rincaro) ai propri costi senza temere un annullamento delle proprie vendite. Il markup, insieme ai costi definiscono il prezzo del prodotto. PROFITTO NULLO Nel lungo periodo, il profitto in concorrenza monopolistica (come in concorrenza perfetta), risulta essere nullo. Questo accade perché la concorrenza monopolistica è un mercato dove non ci sono barriere all’ingresso e tutti gli extra-profitti che le imprese generano nel breve periodo applicando un prezzo maggiore ai propri costi, fanno entrare nel mercato altre imprese. Quando altre imprese entrano nel mercato, c’è un eccesso di offerta e il prezzo del prodotto si abbassa: la curva di domanda del consumatore diventerà discendente. Le imprese per restare sul mercato devono produrre una quantità inferiore rispetto a quello che sarebbe l’utilizzo ottimale dei propri impianti, avendo quindi una capacità produttiva in eccesso. In concorrenza monopolistica il profitto è nullo e l’impresa ha una capacità produttiva in eccesso. Nella realtà i mercati in concorrenza monopolistica, sono i più diffusi (ristoranti, parrucchieri). 30 In concorrenza perfetta, avendo la condizione per cui P = R’ = C’, il profitto nullo sarà in corrispondenza del livello minimo dei costi medi. L’impresa produrrà al minimo dei costi. In concorrenza monopolistica, nel lungo periodo, l’impresa deve diminuire la propria quantità per stare sul mercato e la quantità prodotta costerà di più all’impresa. Il profitto nullo dell’impresa in concorrenza monopolistica, si ottiene ad un livello di costo medio totale maggiore rispetto a quello che abbiamo in concorrenza perfetta. L’impresa in concorrenza monopolistica, produce meno beni e si ha una capacità produttiva in eccesso e nei mercati in concorrenza monopolistica, questa capacità viene utilizzata dalle imprese per guadagnare delle quote di mercato superiori rispetto a quelle dei propri concorrenti. L’impresa in concorrenza monopolistica produce la quantità ottimale per stare sul mercato ad un livello di costo medio superiore rispetto a quello che avremo in concorrenza perfetta. OLIGOPOLIO E’ un mercato in cui operano poche imprese; se in questo mercato ci sono soltanto due imprese prende il nome di duopolio. L’oligopolio è caratterizzato dalla presenza di un numero limitato di imprese che offrono prodotti simili tra loro: l’impresa per definire la quantità ottimale da produrre per massimizzare i suoi profitti deve tenere conto delle imprese concorrenti. In oligopolio, quindi, nel determinare il proprio livello di prezzo e di output le imprese fanno delle ipotesi circa le possibili reazioni dei rivali a fronte delle proprie decisioni. La condizione per cui le imprese tengono conto delle decisioni delle imprese concorrenti viene definita interdipendenza. Un esempio di oligopolio è il settore automobilistico: Il grafico delinea (2019) la quota di mercato dei principali marchi automobilistici mondiali in percentuale. In oligopolio, quindi, nel determinare il proprio livello di prezzo e di output le imprese fanno delle ipotesi circa le possibili reazioni dei rivali a fronte delle proprie decisioni. Si parla di variazioni congetturali per identificare le assunzioni fatte da un’impresa relativamente alle possibili reazioni dei rivali rispetto alle proprie azioni. 31 Un’altra caratteristica tipica dell’oligopolio è il fatto che le imprese possono decidere se competere con i rivali oppure se invece preferiscono attuare forme di collusione (cioè degli accordi tra imprese che stabiliscono il livello di prezzo), ottenendo situazioni di simil-monopolio. Le pratiche collusive sono definite cartelli: sono considerati pratiche per la maggior parte illegali, sanzionate in maniera decisa dalle Autorità Antitrust. Un’altra caratteristica dei cartelli (accordi) tra imprese, per il fatto dell’elevata domanda, è avere un’impresa che si accorda con le altre per definire un alto livello di prezzo. Questa impresa avrà tutti gli interessi per rompere l’accordo, affinché possa applicare un prezzo inferiore a quello del cartello e accaparrarsi più quote di mercato. Molto spesso le imprese del cartello scartellano: rompono l’accordo. IL CASO OPEC L’acronimo OPEC sta per Organization of the Petroleum Exporting Countries: sono i maggiori paesi produttori di petrolio che lo esportano nel resto del mondo. I cartelli normalmente vengono definiti da singole imprese: nel caso OPEC, è un accordo tra Stati. Essendo l’OPEC un accordo tra stati, non ci sono entità sovranazionali che possono impedirlo. L’OPEC decide la produzione di barili di petrolio e ne fissa il prezzo al quale i barili dovranno essere venduti ed esportati nei vari paesi. A volte, i paesi membri dell’OPEC per massimizzare i loro profitti, decidono di tagliare la produzione di barili di petrolio affinché il prezzo dei barili rimanenti aumenti. L’Italia ha un basso prezzo d'acquisto, un basso margine di raffinazione industriale e un alto numero di tasse. L’oligopolio si divide in - cooperativo - non cooperativo, che si divide a sua volta in 3 modelli: il modello di Cournot il modello di Bertrand; il modello di Stackelberg Il modello di Cournot e Stackelberg si basano sull’assunto che l’impresa per avere un vantaggio sui concorrenti debba agire sulla quantità. In particolare il modello di Stackelberg parla del vantaggio della “prima mossa”: chi sceglie per prima avrà un vantaggio competitivo. Il modello di Bertrand si basa sull’assunto che le imprese per ottenere un vantaggio rispetto ai propri concorrenti nel mercato, non debbano agire sulla quantità ma devono agire sul prezzo del prodotto. 32 CENNI DI TEORIA DEI GIOCHI Con l’espressione teoria dei giochi, ci riferiamo al mercato di oligopolio non cooperativo. La teoria dei giochi è un insieme di modelli formali, in cui ogni singola impresa analizza situazioni di conflitto o interazione strategica tra diversi soggetti (detti giocatori) che prendono decisioni interdipendenti, ossia tenendo conto delle possibili azioni a reazioni degli altri giocatori. La teoria dei giochi è diventata per le imprese uno strumento importante per analizzare le situazioni in mercati oligopolistici. DEFINIZIONI - Il gioco è una situazione di interdipendenza strategica dove il risultato dipende dalle decisioni del giocatore stesso e dalle scelte degli altri. Ci sono due principali modalità di gioco: Gioco sequenziale: ad esempio il gioco degli scacchi Gioco simultaneo: i due giocatori scelgono nello stesso momento. Ad esempio sasso, carta e forbice. - Ogni giocatore ha dei payoff : è un valore associato a un possibile risultato. Possiamo definirlo come utilità, profitto o premio. - La strategia: è una regola o piano d’azione per partecipare a un gioco. La strategia in alcuni casi viene detta strategia ottimale: massimizza il payoff atteso di un giocatore. Nella realtà per le imprese è difficile determinare queste strategie, anche in presenza di informazioni complete e perfette. I giochi economici per le imprese possono essere cooperativi o non cooperativi. Tra gli oligopoli non cooperativi si vedono: il modello di Cournot: è un mercato dove ci sono solo due prese (duopolio) ed è una tipologia di gioco simultanea. In questo modello le due imprese decidono simultaneamente la quantità di produrre per massimizzare il profitto. il modello di Stackelberg: migliora il modello di Cournot. Questo modello è un gioco sequenziale, chiamato anche vantaggio della prima mossa: ipotizza che l’impresa che sceglie per prima la quantità ottimale da produrre avrà un vantaggio competitivo. il modello di Bertrand: si basa sulla scelta del prezzo da determinare per il proprio prodotto. E’ fondamentale per le decisioni strategiche, a prescindere dalla tipologia di gioco, capire il punto di vista del proprio avversario e dedurre le sue probabili risposte alle nostre azioni. STRATEGIE DOMINANTI Chi ha dato il maggior contributo a questa teoria sono stati due economisti: Adam Smith John Nash La strategia dominante di questa teoria venne teorizzata da Adam Smith: sosteneva che un’impresa contribuisce ad aumentare il benessere collettivo scegliendo le strategie migliori per se stessa, indipendentemente dalle scelte delle altre imprese. Una strategia dominante si verifica quando un giocatore ha una strategia che è strettamente migliore di ogni altra, indipendentemente dalle scelte strategiche dell’altro giocatore. Una strategia dominante fornisce al giocatore che la possiede il payoff ottimale (più alto), indipendentemente dal comportamento dei rivali. 33 In questo esempio si parla di pubblicità e se a due imprese conviene o meno fare pubblicità date le scelte dell’altra. I numeri nella matrice rappresentano i payoff: il numero a sinistra è il payoff dell’impresa A e il numero a destra della virgola è il payoff dell’impresa B. Quando ognuna delle due imprese deve capire la strategia ottimale per essa, deve considerare prima il caso in cui l’altra impresa fa pubblicità e il caso in cui l’altra impresa non fa pubblicità. L’impresa A deve decidere quale scelta (fare o meno pubblicità) va a massimizzare il suo profitto, Se l’impresa B fa pubblicità, l’impresa A se fa pubblicità guadagna 10 e non facendo pubblicità guadagna 6. Se l’impresa B non fa pubblicità, l’impresa A se fa pubblicità guadagna 15 e non facendo pubblicità guadagna 10. L’impresa B deve decidere quale scelta (fare o meno pubblicità) va a massimizzare il suo profitto. Se l’impresa A fa pubblicità, l’impresa B se fa pubblicità guadagna 5 e non facendo pubblicità guadagna 0. Se l’impresa A non fa pubblicità, l’impresa B se fa pubblicità guadagna 8 e non facendo pubblicità guadagna 2. Per entrambe le imprese, fare pubblicità è una strategia dominante: indipendentemente da quello che avrebbe scelto l’altra impresa, per ciascuna delle due imprese è conveniente fare pubblicità. Fare pubblicità è una strategia dominante per l’impresa A. Lo stesso vale per l’impresa B: a prescindere dal comportamento di A, l’impresa B ottiene il risultato migliore con la pubblicità. Perciò, ipotizzando che entrambe le imprese siano razionali, sappiamo che il risultato di questo gioco è che entrambe le imprese faranno pubblicità. Il gioco si risolve scegliendo l’equilibrio in strategie dominanti, cioè il risultato di un gioco in cui ogni impresa ha una strategia dominante e la adotta. Sfortunatamente non in tutti i giochi esiste una strategia dominante per ciascun giocatore. La variazione del gioco si ha nel caso in cui B non faccia pubblicità: se A fa pubblicità guadagnerà 15 mentre se non fa pubblicità guadagnerà 20. Ora A non ha una strategia dominante perché la sua decisione ottimale dipende dal comportamento dell’impresa B. Se l’impresa B fa pubblicità, l’impresa A ottiene il risultato migliore facendo pubblicità. Se l’impresa B non fa pubblicità, l’impresa A ottiene il risultato migliore non facendo pubblicità. 34 Ora l’impresa A non ha una strategia dominante. La sua decisione ottimale dipende dal comportamento dell’impresa B. Se l’impresa B fa pubblicità, l’impresa A ottiene il risultato migliore facendo pubblicità; se invece l’impresa B non fa pubblicità, l’impresa A ottiene il risultato migliore non facendola. Possono esserci strategie dominanti che massimizzano l’utilità dell’impresa dei concorrenti, ma in alcuni giochi la strategia dominante non si verifica: in questi casi la condizione che fa massimizzare l’utilità per l’impresa dipende dalla scelta del concorrente. EQUILIBRIO DI NASH: IL DILEMMA DEL PRIGIONIERO John Nash, migliora quello che aveva teorizzato Adam Smith: sostiene che un’impresa riesce a migliorare il benessere collettivo, scegliendo la strategia migliore per se stessa tenendo conto delle strategie adottate dai concorrenti. Il dilemma del prigioniero è uno dei giochi più utilizzati per spiegare le scelte in ambito oligopolistico è il cosiddetto dilemma del prigioniero. Nel caso dell’oligopolio, ogni impresa è motivata a operare al meglio delle proprie possibilità dato il comportamento delle imprese concorrenti. Ciascuna impresa, quindi, prende in considerazione i suoi concorrenti e ipotizza che essi facciano altrettanto. Il concetto fu spiegato per la prima volta dal matematico John Nash nel 1951, perciò l’equilibrio che descrive è detto equilibrio di Nash: ciascuna impresa si comporta nel modo migliore possibile date le azioni dei concorrenti. Nell’equilibrio di Nash si ipotizza di avere due prigionieri accusati di aver commesso un reato: la variabile fondamentale è che i due non possono parlare. I prigionieri devono scegliere se confessare o meno. Non sapendo cosa dirà l’altro devono decidere la scelta migliore per entrambi. La strategia dominante sarebbe quella di non confessare: se nessuno dei due confessasse prenderebbero entrambi due anni di prigione e massimizzano la loro utilità. Se il prigioniero A non confessa, corre il rischio che il suo complice tenti di trarne vantaggio. Dopotutto, indipendentemente dalla scelta del prigioniero A, per il prigioniero B è sempre conveniente confessare. Per le stesse ragioni, confessare è sempre conveniente anche per il prigioniero A, quindi B deve temere che A tenti di trarre vantaggio dalla sua confessione. Le imprese di un oligopolio spesso si trovano in una situazione analoga a quella dei due prigionieri. Questo si chiama equilibrio di Nash: è l’equilibrio che massimizza l’utilità in base alle scelte altrui. A volte può essere una strategia dominante e altre (come in questo caso) non è dominante. 35 Il caso Procter & Gamble Un altro esempio si può fare con la scelta di prezzi di alcuni prodotti: le due imprese devono scegliere il prezzo di un determinato prodotto ipotizzando tra $1,40 o $1,50. P&G dovrebbe aspettarsi che i suoi concorrenti scelgano il prezzo di $1,40, e che dovrebbe anch’essa fare la stessa scelta. Ma P&G si troverebbe nella situazione più vantaggiosa scegliendo, assieme ai concorrenti, il prezzo di $1,50. Le imprese si trovano di fronte al dilemma del prigioniero. Quali che siano le scelte di Unilever e Kao, P&G ottiene risultati migliori scegliendo $1,40. Per entrambe le imprese, il massimo profitto viene rilevato scegliendo per il proprio prodotto il prezzo di $1,40. CONSIDERAZIONI Solitamente l’impresa è fortemente orientata a rompere i cartelli, perché potrebbe offrire un prezzo inferiore ottenendo un profitto più alto. Nella realtà, la non cooperazione è una strategia dominante. L’equilibrio di Nash è di tipo non cooperativo, in quanto ogni impresa sceglie l’opzione che gli garantisce il maggior profitto possibile, date le azioni dei concorrenti. Il profitto realizzato da ciascuna impresa è maggiore di quello che otterrebbe in condizioni di concorrenza perfetta, ma minore di quello garantito da un accordo collusivo. Il nostro prigioniero immaginario ha una sola opportunità per decidere se confessare o meno; un’impresa, invece, di solito può tornare più volte sulle proprie scelte di quantità e prezzo, osservando con continuità il comportamento dei concorrenti e regolando il proprio di conseguenza. Ciò fa sì che le imprese possano costruirsi una “reputazione”, sulla base della quale ottenere la fiducia dei concorrenti. Grazie a questo, talvolta, negli oligopoli prevalgono coordinamento e cooperazione. 36 IL MERCATO RILEVANTE E LE MISURE DI CONCENTRAZIONE Molto spesso, le imprese (soprattutto nel regime della concorrenza monopolistica) avranno come suoi concorrenti principali quelli geograficamente più vicini ad essa. Al fine di valutare il livello di concorrenza che caratterizza un certo mercato è importante identificare l’ampiezza del mercato rilevante, ovvero i confini geografici, entro i quali operano le imprese in concorrenza tra loro e che perciò le distinguono dalle imprese che offrono beni o servizi che, al contrario, non entrano in competizione in un dato mercato. Un esempio di mercato rilevante sono i bar e i ristoranti. In conclusione, il mercato rilevante, rappresenta i confini entro i quali ci sono i più diretti concorrenti di determinate imprese in una determinata struttura di mercato. Per definire i confini del mercato rilevante le Autorità Antitrust utilizzano generalmente un test denominato SSNIP (Small but Significant and Non-transitory Increase in Price). Le autorità Antitrust, ipotizzano che le imprese, aumentino il prezzo di un prodotto di un valore tra il 5% e il 10%. Se aumentando il prezzo di un prodotto, le autorità notano che la domanda non diminuisce significa che il prodotto non ha sostituti stretti e quindi sul mercato non ha prodotti concorrenti. Se aumentando il prezzo di un prodotto, le autorità notano che la domanda diminuisce significa che il prodotto ha dei sostituti stretti sul mercato e quindi ha dei possibili concorrenti. Questo test viene definito anche test del monopolista ipotetico, vale a dire che se il prodotto non ha concorrenti sul mercato significa che si potrebbe verificare una situazione di monopolio. Una volta determinata l’ampiezza del mercato rilevante, il livello di concorrenza che determina un determinato mercato può essere valutato osservando il livello di concentrazione dei venditori in un dato mercato. - La concentrazione dei venditori si riferisce, in particolare, alla numerosità ed alla distribuzione per dimensione delle imprese in un mercato. Un’industria è caratterizzata da un alto livello di concentrazione quando la produzione di un determinato bene o servizio è accentrata nelle mani di poche e grandi imprese. Per misurare la concentrazione dei venditori nel mercato, si hanno due indicatori fondamentali: 1. Il rapporto di concentrazione per le prime “n” imprese (Cn), ovvero la quota di mercato detenuta dalle n imprese più grandi rispetto alla dimensione totale dell’industria. 2. L’indice di Herfindahl-Hirschman (HH), ovvero la somma dei quadrati delle quote di mercato di tutte le imprese del settore. Valore massimo HH = 1, vi è una situazione di monopolio (una sola impresa detiene l’intero mercato). Valore minimo HH = 1/N, vi è una situazione in cui tutte le imprese dell’industria detengono uguali quote di mercato. Per calcolare questo indice bisogna avere accesso al fatturato e ad altri dati che non sempre si hanno a disposizione. 37