Le Dipendenze Patologiche PDF - Clinica e Psicopatologia
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Libera Università Maria Santissima Assunta
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Questo documento esplora le dipendenze patologiche da una prospettiva clinica e psicopatologica, con particolare attenzione alla neurobiologia delle dipendenze, inclusi i neurotrasmettitori come la dopamina e i circuiti cerebrali coinvolti. Vengono discussi i meccanismi neurali, la tolleranza, e il craving. Il documento si concentra sul ruolo del sistema dopaminergico mesolimbico e su come le sostanze d'abuso influenzano il cervello.
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Le Dipendenze Patologiche - Clinica e Psicopatologia Psicologia Generale Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) 77 pag. Document shared on https://www.docsity.com/it/l...
Le Dipendenze Patologiche - Clinica e Psicopatologia Psicologia Generale Libera Università Maria Santissima Assunta (LUMSA) 77 pag. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ PSICOLOGIA DELLE NUOVE DIPENDENZE: Testo di riferimento: “Le Dipendenze Patologiche – Clinica e Psicopatologia” Capitolo 1°: Neurobiologia delle Dipendenze Neurotrasmissione cerebrale: Le cellule nervose, neuroni, comunicano tra loro nel cervello attraverso i neurotrasmettitori, i quali attivano specifici componenti cellulari macromolecolari di natura proteica, detti recettori. L’interazione tra il neurotrasmettitore e il recettore avvia una serie di specifici eventi bioumorali e comportamentali. Ciascun neurone produce e rilascia uno o pochi neurotrasmettitori, ma possiede sulla sue superficie recettori per diversi altri neurotrasmettitori. Questa caratteristica permette ai sistemi neurotrasmettitori ali delle varie aree cerebrali di interagire tra loro in maniera integrata. Gli effetti comportamentali delle sostanze d’abuso psicotrope (ovvero capaci di alterare l’attività mentale) sono la conseguenza delle loro interazione con i recettori di differenti sistemi neurotrasmettitoriali che costituiscono i circuiti cerebrali di gratificazione. Il sistema dopaminergico mesosimbolico è di fondamentale importanza per il circuito coinvolto nelle autosomministrazioni di sostanze stimolanti psicotrope come la cocaina e le amfetamine. Altri sistemi di neurotrasmissione partecipano, anche se hanno un ruolo secondario, attraverso la modulazione della risposta funzionale dei neuroni dopaminergici. Il sistema GABAergico contribuisce all’instaurarsi della tolleranza e della dipendenza verso varie sostanze d’abuso psicotrope, in particolare nei riguardi dell’alcol etilico, dei barbiturici e delle benzodiazepine. Dopamina e motivazione: La dopamina è un neurotrasmettitore e neuro modulatore dei neuroni di diverse regioni del cervello, che giocano un ruolo significativo nelle performance dei comportamenti finalizzati in risposta a stimoli incentivati. Tra le aree cerebrali influenzate dai neuroni dopaminergici, il nucleo accumbens gioca un ruolo centrale: Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ La regione “Shell”: fa parte di strutture che sono implicate nella integrazione di emozioni, che provocano risposte motorie, vegetative e neurormonali; La regione “Core”: fa parte di un’altra area del cervello coinvolta nell’integrazione delle risposte motorie. I neuroni dopaminergici raggiungono anche altre aree cerebrali, tra cui amigdala e ippocampo. La diversa distribuzione e le diverse funzioni della dopamina nel cervello fanno si che essa controlli l’integrazione di info rilevanti dal punto di vista biologico. La varietà degli effetti della dopamina sui comportamenti motivati è dovuta anche al diverso grado di risposta dei neuroni dopaminergici a due differenti tipi di stimoli motivazionali. I neuroni dopaminergici della via mesocorticale, sono attivati sia dagli stimoli appetitivi, sia da stimoli consumatori. I neuroni dopaminergici della via mesocorticale, sono attivati soltanto da stimoli consumatori. Le diverse modalità della trasmissione del segnale dopaminergico nel nucleo accumbens hanno un ruolo importante nel cosiddetto apprendimento motivazionale. Con tale termine si indica un processo mediante il quale uno stimolo neutro, se costantemente associato a una ricompensa, acquista la capacità di evocare risposte comportamentali motivate. Alcuni stimoli legati al cibo, come per esempio il gusto, che attivano la trasmissione dopaminergica nel nucleo accumbens, vanno incontro a una particolare forma di tolleranza definita “abitudine”. Dopamina e gratificazione: Diversi ricercatori definiscono la dopamina del circuito mesolimbico il neurotrasmettitore del piacere. Il rilascio di dopamina a livello dei neuroni mesolimbici è normalmente prodotto da un’ampia varietà di stimoli fisiologici gratificanti, quali quelli indotti da una buona prestazione intellettuale o atletica, dall’ascolto di musica gradevole, dalla visione di un panorama interessante, da un’esperienza orgasmica, da cibi gustosi, dal gioco d’azzardo, da Internet. I quanti di dopamina che si liberano dai neuroni dopaminergici, in seguito a stimoli ambientali, sono anche modulati dal contemporaneo rilascio di specifici neurotrasmettitori e neuro modulatori, tra cui endorfine oppioidi endogeni), anandamide (marijuana cerebrale), acetilcolina (nicotina cerebrale). La via dopaminergica mesolimbica è direttamente attivata da un elevato numero di sostanze psicotrope. L’assunzione di tali sostanze induce gratificazione molto intensa e veloce. Alcune sostanze psicotrope, come la cocaina, possono anche stimolare direttamente i recettori dopaminergici mesolimbici con effetti negativi particolarmente intensi sia dal punto di vista neurochimico che comportamentale. La dipendenza si instaura piuttosto rapidamente nei soggetti che abusano di Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ bevande alcoliche. L’alcol, infatti, oltre a influenzare indirettamente il rilascio di dopamina attraverso le sue proprietà gustative stimola direttamente i neuroni dopaminergici a rilasciare dopamina nel nucleo accumbens. Questi due meccanismi producono due distinti picchi di rilascio di dopamina: il primo picco è indotto dallo stimolo del gusto o della vista delle bevande alcoliche, il secondo dall’effetto diretto dell’alcol sui neuroni dopaminergici. L’eccessivo rilascio di dopamina attiva una catena di rinforzo secondario con forti proprietà incentivanti, che induce l’individuo a consumare sempre maggiori quantità di bevande alcoliche. Le sostanze d’abuso psicotrope, siano esse sedative, quali l’alcol etilico, l’eroina, la marijuana, le benzodiazepine, i barbiturici, o eccitanti, quali la nicotina, la cocaina, le amfetamine, producono i loro effetti attraverso un comune meccanismo d’azione: la stimolazione del sistema dopaminergico mesolimbico. Tale sistema rappresenta la principale via cerebrale di rinforzo e di gratificazione. Meccanismi neurali coinvolti nella dipendenza da sostanze d’abuso: La determinazione da parte di un individuo ad assumere sostanze d’abuso psicotrope e la probabilità di divenire tossicodipendente hanno alla base un’alterata funzionalità neuronale dovuta a fattori genetici e/o ambientali. Per quanto riguarda i fattori genetici percepiscono alla prima introduzione della sostanza psicotopa un effetto disinibente che diventa sempre più gratificante man mano che la dose aumenta. Se sono presenti disturbi del comportamento, l’assunzione della sostanza, attraverso meccanismi di neuro adattamento recettoriale può attenuare i sintomi psicofisici, predisponendo il soggetto a ripetere l’esperienza. Individui che non presentano alterazioni nel numero e nella funzione dei recettori per la dopamina percepiscono alla prima somministrazione della sostanza psicotropa sensazioni disforiche più o meno intense, che non lo indurranno a ripetere l’assunzione. Un particolare fenomeno che compare entro breve tempo dall’assunzione di determinate sostanze psicotrope d’abuso è la tolleranza. Si definisce una progressiva riduzione di diversi effetti, tra cui quelli gratificanti, in seguito a una ripetuta esposizione alla stessa dose della sostanza o di un’altra strutturalmente simile (tolleranza crociata). Caratteristica della tolleranza è la possibilità di ripristinare l’intensità dell’effetto iniziale aumentando la dose o sospendendo l’introduzione della sostanza per un breve periodo di tempo. La velocità di comparsa della tolleranza e la sua intensità sono strettamente dipendenti dalle caratteristiche fisico-chimiche della molecola, dalle dosi impiegate, dalle modalità di assunzione, nonché dalle particolari risposte delle diverse aree cerebrali sulle quali agisce la sostanza. I meccanismi con cui insorge la tolleranza sono di tre tipi: metabolico, funzionale e comportamentale. Il primo gioca un ruolo modesto nella tolleranza da sostanze d’abuso psicotrope. La tolleranza funzionale, fenomeno della cellula nervosa, è la conseguenza di una riduzione del numero e della sensibilità dei recettori neuronali sui quali la Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ molecola agisce. La tolleranza funzionale non ha un’identica velocità di comparsa per tutti gli effetti delle sostanze psicotrope. La tolleranza funzionale è utile se determina una riduzione degli effetti negativi della sostanza, mentre rappresenta un inconveniente per il tossicodipendente, dal momento che essa attenua gli effetti gratificanti. La tolleranza comportamentale è caratterizzata da un progressivo adattamento dell’individuo agli effetti negativi psicofisici della sostanza. L’acquisizione della tolleranza comportamentale non dipenderebbe soltanto dall’entità dell’esposizione alla sostanza d’abuso. Quando il soggetto che assume abbondanti quantità di bevande alcoliche ottiene effetti favorevoli mostrando comportamenti non deteriorati ed è in grado di continuare a svolgere le sue attività quotidiane, i sviluppa tolleranza comportamentale all’alcol. Se invece, colui che abusa si rende conto che il comportamento anomalo è gratificante in quanto apprezzato dai suoi compagni di bevuta, la tolleranza comportamentale sarà modesta. La dipendenza è un altro concetto fondamentale. Secondo la definizione dell’OMS “dipendenza è un stato di disagio prodotto dall’acuta sottrazione di una sostanza chimica a un individuo cronicamente esposto ad essa, condizione che può essere alleviata riprendendo l’introduzione della stessa sostanza d’abuso psicotropa o di un’altra provvista di azioni farmacologiche simili”. La dipendenza è caratterizzata dalla presenza di specifici sintomi fisici e psichici di intensità variabile in rapporto alle caratteristiche della sostanza psicotropa, alla dose, e alla durata del periodo di assunzione. La dipendenza fisica si manifesta con la sindrome d’astinenza quando l’introduzione della sostanza d’abuso viene bruscamente interrotta. La sindrome d’astinenza è particolarmente grave con i depressivi del Sistema nervoso centrale, come eroina, alcol etilico, benzodiazepine, barbiturici, e si manifesta con un’intensa stimolazione psicomotoria e neurovegetativa. L’iperattività neuronale rappresenta il tentativo del cervello di normalizzare le sue funzioni alterate. Studi sperimentali clinici e di genetica hanno associato lo sviluppo della sindrome di astinenza ad alterazioni della sensibilità dei sistemi neurali di comunicazione. Un’importante manifestazione della dipendenza, che compare soprattutto con gli stimolanti del sistema nervoso centrali, quali la cocaina e le amfetamine, è il craving. Il craving può essere definito come un’attrazione a determinate sostanze. Il craving, inoltre rappresenta una condizione fisiologica comune alla maggior parte degli esseri umani, al di sotto di una certa intensità. Mentre se supera una certa soglia, acquista elevati livelli di intensità e compaiono intense e elevate alterazioni psicofisiche. Ci possono essere due tipi di carving: craving indotto da farmaci psicotropi stimolanti in grado di attivare i neuroni dopaminergici mesolimbici; craving stimolato da fattori ambientali, come oggetti o strumenti impiegati per l’assunzione delle sostanze d’abuso, polveri bianche, luoghi o persone associati all’assunzione della sostanza. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ Due importanti fattori contribuiscono a determinare la dipendenza: rinforzo e neuro adattamento. Il primo è un costrutto teorico secondo il quale uno stimolo incondizionato favorisce l’ulteriore consumo della sostanza d’abuso e dunque lo sviluppo della dipendenza. Questo tipo di rinforzo viene definito rinforzo positivo condizionato. L’esposizione a stimoli ambientali presenti durante l’astinenza può scatenare sintomi tipici della sindrome d’astinenza, chiamato rinforzo condizionato negativo. Con il secondo invece si definiscono i processi con cui gli effetti iniziali di una sostanza psicotropa sono sia potenziati, sia attenuati da ripetute esposizioni alla medesima sostanza. I metodi sperimentali usati più frequentemente per lo studio degli effetti gratificanti delle sostanze psicotrope d’abuso sono tre. Il primo metodo prevede che l’animale da esperimento abbia libero accesso alla sostanza e che le modificazioni indotte nella modalità di assunzione possano svelare i meccanismi sottostanti il rinforzo. Il secondo metodo si basa sull’autostimolazione intracranica mediante elettrodi. Il terzo metodo sfrutta il cosiddetto place conditioning: ovvero l’animale viene posto alternativamente in uno scompartimento buio con il pavimento scabro, e in uno scompartimento illuminato con il pavimento liscio. L’animale viene trattato con una sostanza psicotropa in uno dei due ambienti e dunque condizionato ad associare l’ambiente con gli effetti della sostanza. Ripetendo la procedure diverse volte, noteremo che l’animale sarà portato a scegliere, anche in assenza della sostanza, l’ambiente ad essa associato. Capitolo 2°: Psicodinamica delle dipendenze La dipendenza patologica: Si definisce con l’espressione dipendenza patologica una forma morbosa determinata dall’abuso distorto di una sostanza, di un oggetto o di un comportamento. Parallela a un bisogno coatto di essere ripetuta con modalità compulsive. La dipendenza non è solo legata a una o più sostanza, ma anche al cibo, al sesso, alla televisione, a Interne e ai videogiochi, allo shopping compulsivo, ai giochi d’azzardo, o al lavoro eccessivo. Così come anche la ricerca continua e incessante di nuove esperienze sentimentali e stati di innamoramento. Tutto ciò può essere definito tossicomania oggettuale. Le droghe e i comportamenti di dipendenza hanno la capacità di procurare stati soggettivi di piacere e anche di euforia, ovvero alterazioni dello stato di coscienza ordinario, da cui derivano le motivazioni che alimentano il comportamento di dipendenza. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ Peele (1985) nel suo “The Meaning o Addiction” ha messo in evidenza che la dipendenza può nascere da qualsiasi esperienza che ha lo scopo di alleviare il dolore, l’ansia o un innalzamento della soglia di sensibilità. Si può mettere in evidenza la differenza di significato di toxicomanie (dal francese) e addiction (dall’inglese). La prima si riferisce a un’economia psichica basata sul desiderio di nuocere a se stessi, la seconda invece implica che il soggetto diventi schiavo di una sola e unica soluzione nel suo sforzo di affrontare la sofferenza. Un comportamento da dipendenza, infatti non significa voler fare del male a se stessi, quanto piuttosto l’illusione di alleviare il senso di dolore o sofferenza, superando dunque le difficoltà della vita quotidiana. Ogni forma di dipendenza sembra essere accompagnata da qualche forma di craving. Il craing costituirebbe una nuova entità psicopatologica, un’entità sindromica determinata da un’attrazione così forte verso alcune sostanze o esperienze da comportare la perdita del controllo e una serie di azioni obbligatorie tese alla soddisfazione del desiderio. La definizione più accurata alla base del craving consentirebbe probabilmente di poterne prevedere meglio le conseguenze dia sul piano prognostico, sia su quello terapeutico. Dipendenza e dissociazione: La ricerca di sostanze o esperienze appetibili capaci di alterare lo stato di coscienza costituisce il nucleo fenomenologico comune alle varie forme di dipendenza. Lesieur, già un ventina di anni fa, aveva sostenuto che sia per l’uso di sostanze che per il gioco d’azzardo non si potesse parlare di una semplice ricerca del piacere, ma della creazione di un’esperienza dissociativa transitoria che permette al soggetto di uscire temporaneamente dalla sua realtà al fine di risolvere una condizione di disagio persistente e di percepirsi in modo più positivo. Attraverso un accrescimento dello stato di euforia, il soggetto riesce meglio ad accrescere la sua autostima, a migliorare l’immagine del sé e a sentirsi più sicuro nelle situazioni sociali. Per dissociazione si deve intendere una particolare condizione psichica, un meccanismo di difesa, la cui funzione consiste nella separazione di un gruppo di info o processi mentali dal resto della coscienza. La dissociazione, come ha notato Young è un processo inibitorio attivo che normalmente esclude dal campo della coscienza percezioni interne ed esterne. Putnam ha messo in evidenza come il bambino suddivida il dolore in compartimenti separati per evitare di doverlo affrontare di continuo. Si tratta per Putnam una forma di autoipnosi, il bambino dunque va in trance e quella coscienza di sé in stato di trance avrà un destino importante nel corso della sua evoluzione. Questa funzione di creare stati alterati di coscienza ha lo scopo sia difensivo sia integrativo nella relazione con la realtà. Se utilizzata eccessivamente può generare una forma di dipendenza a discapito della realtà, producendo una stato dissociativo patologico. Tali esperienze di dipendenza sono state studiate da alcuni autori. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ Steiner definisce queste esperienze di isolamento e di sottrazione del sé dalla realtà ordinaria come “rifugi della mente” in cui ci si ritira quando si vuole sfuggire a una realtà insostenibile perché angosciosa. I rifugi della mente servono dunque a neutralizzare, controllare ed elaborare l’angoscia di morte e l’aggressività di tipo primitivo, ma nei soggetti in cui le problematiche collegate al senso della morte e alla distruttività sono particolarmente disturbanti, il rifugio perde le sue possibilità nutritive giungendo a dominare la psiche, dando luogo a una patologia da cui deriva il ritiro dal mondo oggettuale a favore di attività autoerotiche, alle varie forme di dipendenza morbosa, fino ai veri e propri disturbi dissociativi. la caratteristica dei rifugi della mente è un particolare tipo di relazione con la realtà, in quanto essa non è pienamente accettata né pienamente ripudiata. Sorgono però dei problemi quando l’allontanamento diventa prolungato o permanete. Il rifugio a quel punto può diventare un’attitudine così regolare da non essere un involucro transitorio, ma assomigliare piuttosto a uno stile di vita. La descrizione dei rifugi della mente richiama, in questa relazione con la realtà ne pienamente accettata ne pienamente rifiutata, le caratteristiche di funzionamento psichico tipiche delle perversioni. Ogden ipotizza una forma di isolamento personale caratterizzata dalla sostituzione della madre-ambiente con la propria sensorialità, un tipo di esperienza che comprende il ritiro dell’individuo in una matrice di sensazione autogenerata che sostituisce con efficacia la matrice interpersonale e il mondo di sensazioni derivante dalla realtà interpersonale. C’è una dimensione come succhiare il pollice che può venire intesa come la creazione di una forma autistica attraverso la quale si genera un senso di sé- come-superficie-sensoriale di protezione autogenerata. Le relazioni con oggetti o con comportamenti autistici sono essenzialmente “perfette”. Il sollievo che si ricava dal ritirarsi temporaneamente in questi rifugi non ha pertanto alcunché di patologico e può essere messo al sevizio dell’Io, della creatività e delle relazioni interpersonali, ma quando il ritiro genera una dipendenza morbosa esso comporta il rischio della coazione all’isolamento o alla distorsione del senso del Sé e delle relazioni con gli altri fino alla perdita del controllo vitale con la realtà. E’ molto diverso potersi muovere con relativa facilità da un mondo autistico a uno relazionale rispetto all’essere obbligati a mantenere delle relazioni autistiche e perfette. Nel primo caso, la matrice di sensazione autogenerata è in continuo scambio con quella derivante dalle relazioni interpersonali, rappresentando l’una l’arricchimento dell’altra, mentre nel secondo caso, è proprio lo scambio ad essere interrotto in modo assoluto opponendosi una all’altra le due modalità. Tastin li defisce “oggetti sensazione”, che nel corso di uno sviluppo normale vengono progressivamente abbandonati attraverso modalità di rapporto madre- bambino, questo processo non si attua in presenza di modalità patologiche di relazione madre-bambino. L’uso persistente di oggetti-sensazione da parte del bambino impedisce o ostacola la capacità di formazione simbolica e interferisce con la creazione di un oggetto transazionale. Il bambino sperimenta la prematura separazione corporea dalla madre alla stessa stregua della perdita di una parte del corpo, e non come perdita della madre o del seno. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ Si tratta di un’esperienza pre-verbale e pre-concettuale vissuta come un buco o una ferita che il bambino cerca di tamponare con l’uso patologico degli oggetti autistici, ovvero con un uso rigido e fisso di questi oggetti, che ha lo scopo di recuperare le perdute sensazioni di conforto e di negare la separatezza. Gli oggetti autistici patologici non evolvono come oggetti transizionali e di conseguenza non si sviluppa in modo normale la capacità di pensare, sentire, giocare e immaginare. Si produce un effetto psichico strutturale più+ tardi visto come “buco dell’Io”, che l’individuo tenterà poi di colmare con un sintomo somatico o con la rigida dipendenza da un oggetto, da un comportamento o da una persona che funziona come stabilizzatore psichico. Goldberg nel “La Mente che si sdoppia” spiega i fenomeni della dipendenza e della dissociazione utilizzando il concetto freudiano VERLEUGNUNG, in inglese denial o disivowal, in italiano diniego o disconoscimento. Questo concetto postula uno stato mentale in cui un’idea o un insieme di idee viene completamente ignorata, disconosciuta dall’individuo, il quale agisce come se non sapesse nulla o come se quell’aspetto non lo riguardasse. Ma quell’idea rimane comunque accessibile alla sua coscienza. Si tratta della compresenza di differenti stati di coscienza che si rinnegano e si disconoscono l’un l’altro, ma che possono divenire entrambi operativi all’interno della individualità. Goldberg definisce questo sdoppiamento come una scissione verticale perché la divisione della personalità è a livello cosciente, mentre nella rimozione la scissione è orizzontale in quanto i contenuti rimossi non sono accessibili all’io. Di fronte a un’esperienza della realtà insopportabile o intollerabile, si possono determinare due manovre psichiche, una è il diniego, l’altra è un’attività che reca sollievo. La paziente bulimica trova che la sua azione o il suo comportamento siano lenitivi e piacevoli, sebbene non riconosca il fatto che si tratta di una manovra per annullare i sentimenti depressivi non integrabili e trasformabili sul piano della coscienza ordinaria. Nella scissione verticale, sembra essere assente la capacità fondamentale della psiche ovvero quella di trattare simbolicamente i conflitti. In assenza di questa capacità, l’individuo non è in grado di tollerare la compresenza di elementi conflittuali, quindi mette in atto il meccanismo del diniego. Gli elementi vengono scissi e si ha un temporaneo sollievo. Il ripetuto ricorrere al diniego, però pota alla creazione di una personalità vuota, fragile, incapace a tollerare qualsiasi forma di frustrazione. Si crea quella che Ehrenberg definisce “personalità depressiva” che si declina sull’aspetto della scissione, in cui gli elementi non risultano né in conflitto né in rapporto tra loro, dunque la persona ne esce logorata da un senso di insufficienza. La dissociazione si oppone all’Io e ai suoi processi di crescita. Ciò che è rimosso è sempre percepibile, proprio in virtù della sua assenza e del contro investimento in atto (meccanismi di difesa), nel caso della dissociazione l’individuo è tutti gli elementi dei suoi stati dissociati. Negli stati di dissociazione vi può essere antagonismo, ma non conflitto. Perché di crei il conflitto è necessario che la persona riesca a percepire, cosciamente o non, entrambi i termini dell’equazione. Nella dissociazione, la persona è totalmente compromessa e impegnata in Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ ciascuno dei due aspetti. L’antagonismo deriva dall’impossibilità di fruire contemporaneamente di entrambi. Secondo Freud, molti adulti non raggiungono mai una vera coscienza morale, né provano mai un reale senso di colpa, ma solo vergogna sociale. Il problema dell’ideale: La divaricazione tra colpa e vergogna sembra essere legata ai differenti destini che spettano all’Ideale dell’Io e al Super-Io. Esistono alcune differenze principali tra queste due istanze. Il primo costituisce un tentativo di recupero dell’onnipotenza perduta, il secondo è l’esito dell’angoscia di castrazione. Il primo tende a restaurare l’illusione, il secondo a promuovere la realtà. Il super-Io separa il bambino dalla madre, l’ideale dell’Io lo spinge alla fusione. Freud distingue Io ideale e I’Ideale dell’Io, ma questa distinzione non viene approfondita. Nunberg elabora una distinzione definendo come Io ideale, l’io ancora in organizzato che si sente unito all’Es. Lui utilizza il termine ideale in senso di perfetto, onnipotente, cioè qualcosa che rimanda alla perfezione immaginaria dell’Io narcisistico. Chasseguet-Smirgel immette all’interno dello stesso Ideale dell’Io tanto una valenza aggressiva, quanto una potenzialità di sviluppo che rimanda ad aspetti maturativi ed evolutivi. “L’originalità dell’Ideale dell’Io è quella di essere un concetto cerniera tra il narcisismo assoluto e l’oggettualità, tra il principio di piacere e quello di realtà […]” L’ideale dell’Io, dunque è un sostituto della perfezione narcisistica primaria che viene separato dall’Io da uno scarto o lacerazione. L’Io accetterà questo lutto originario e colmerà lo scarto proiettando temporaneamente l’ideale dell’Io davanti a sé. In un caso opposto l’Io negherà proprio il lutto originario e fingerà in maniera illusoria che la separazione non sia mai avvenuta. Nel primo caso, l’Ideale dell’Io si caricherà di una dimensione progettuale e di speranza dando spazio a un’idea di sviluppo ed evoluzione del tutto temporalizzata. L’avvenuta separazione può introdurre progressivamente l’idea della distanza e quindi dello spazio, del tempo e dell’esistenza di un altro separato da sé. Lo scarto con l’Ideale dell’Io sarà sentito come uno stimolo e l’Io non sarà schiacciato dal non corrispondere sempre e comunque all’Ideale ma sollecitato a progredire nel tentativo di colmare lo scarto. Nel secondo caso, la negazione del lutto originario impedisce il riconoscimento della separazione. L’Io lotterà con tutte le sue forze per non abbandonare mai la posizione di unità onnipotente. Inoltre l’Io sarà un Io fragile incapace dunque di tollerare qualsiasi frustrazione. L’assunzione di una sostanza ripristina in maniera immediata l’unione primitiva tra Io e Ideale dell’Io e il soggetto sperimenta la sensazione onnipotente di bastare a se stesso. Il malessere secondario derivante dalla carenza della sostanza stessa diventa ancora più intollerabile perché, oltre ai sintomi fisici, si fa portatore della separazione e smaschera la finzione che lo scarto non sia mai venuto. L’unica soluzione sarà, dunque la ricerca compulsiva della sostanza. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ Un ruolo fondamentale nella distorsione dell’Ideale dell’Io è giocato dalla seduzione materna. “ […] Il suo Ideale dell’Io, invece di andare a investire il padre genitale e il suo pene, resterà ormai legato al modello pregenitale.” La seduzione materna in questione si tratta di “una relazione narcisistica di mutua seduzione originariamente tra madre e neonato; presente soprattutto nei primi tempi della vita del neonato con la madre.” Questa relazione tende poi a scomparire per dare spazio a una relazione più matura, perché ciò accada è necessario che la madre possieda una propria vettorizzazione, ovvero un’idea di temporalità nel proprio apparato psichico. Ovvero una madre capace di trasmettere al bambino sia il vissuto della propria completa presenza sia quello di una non completa totalità di questa presenza. L’apparato psichico del bambino comincerà a fornirsi di una propria vettorizzazione, ovvero di una propria direzionalità e intenzionalità. Se invece, una madre dopo il parto non è in grado di tornare a vivere bene il proprio presente, può regredire a un’idea di completa fusione e di totale completezza. In questo caso la seduzione narcisistica non declina, ma anzi tende a protrarsi accentuandosi e al bambino viene trasmesso il desiderio di un contatto perfetto, esteso all’infinito che per essere mantenuto necessita dell’estromissione e del diniego di qualsiasi elemento legato alla realtà esterna e al tempo. Non c’è quindi alcuno spazio per l’idea di direzionalità o di intenzionalità e il bambino sarà privo della funzione della vettorizzazione. Perché questa esista è necessario che sia presente nei primi oggetti d’amore del bambino, in quanto se questi oggetti d’amore (in particolare la madre) non posseggano una chiara direzionalità il bambino rischierà di non svilupparsi nella direzione della vita e di restare nella sfera del doppio, o addirittura dell’identico (Maffei, 2002). E’ l’intero apparato psichico ad essere attaccato in una rinuncia a pensare e a sapere a vantaggio del mantenimento dell’illusione. Così il cibo, le droghe, Internet, il sesso o il gioco d’azzardo vengono scoperti come oggetti o comportamenti che possono alleviare lo stress psichico e dunque svolgere una funzione materna che l’individuo non è in grado di fornire a se stesso. Il risultato è che questi oggetti-dipendenze prendono il posto degli oggetti transizionali dell’infanzia, la cui funzione sarebbe dovuta essere di concretizzare l’ambiente materno e di liberare il bambino dalla totale dipendenza dalla presenza materna. Questi pazienti passano la loro vita nel tentativo di fare in modo che un agente esterno svolga la funzione di una dimensione simbolica mancante. Hanno quindi oggetti d’amore estremamente intercambiabili oppure si rapportano ai loro partner sessuali come se stessero divorando le madri da cui disperatamente dipendono. Secondo la Mahler si può considerare l’intero ciclo vitale come un processo di allontanamento dalla madre simbiotica perduta. In condizioni ottimali il processo porta allo sviluppo di introiezioni e identificazioni che permetteranno di pensare simbolicamente. Nel caso del fallimento di questo processo verrà meno la capacità di pensare simbolicamente e ci si arresterà in una ricerca compulsiva e concreta di Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ raggiungere di nuovo quella condizione di beatitudine promessa e poi negata. L’ideale dell’Io così costituito si dissocia dall’Io che da questo momento rimarrà impoverito e soprattutto assoggettato alle richieste dell’Ideale. In questa situazione, l’Ideale dell’Io si oppone a ogni evoluzione. L’Ideale dell’Io, dissociato e staccato, opera quasi da feticcio intrapsichico e l’Io intrattiene con esso un legame allo stesso tempo magico e onnipotente. Poiché deriva da una sfera di dipendenza totale dalla madre, ciò che ci aspettiamo da coloro sui quali viene proiettato questo Ideale dell’Io è che si comportino con l’empatia e l’efficienza della madre originaria idealizzata. Quello che si interiorizza è la madre idealizzata e il Sé infantile a lei attaccato. Si crea un legame speciale in cui il Sé del bambino funge da oggetto transizionale tra l’Io del bambino e della madre. Si crea dunque una situazione in cui ci sono due Io intrecciati, impegnati al mantenimento di questo Sé speciale. Il risultato è che viene danneggiato l’apparato psichico, cioè viene meno la capacità di mentalizzare e di pensare simbolicamente. Il bisogno di dipendere viene quindi negato a favore di una dimensione di autosufficienza onnipotente che favorisce fenomeni di dipendenza patologica. Quest’ultima non può essere pensata, ma solo vissuta e contemporaneamente eliminata dalla coscienza mediante il meccanismo della negazione. E’ nota l’illusione di detenere il controllo assoluto su qualsiasi forma di dipendenza e la ricerca di stati di coscienza che si oppongono a ogni rapporto con la realtà esterna in cui l’onnipotenza dell’illusione non potrebbe che infrangersi. Ancora sulla finzione: Fonagy e Target hanno dimostrato attraverso delle ricerche che il sistema dell’attaccamento e il sistema della riflessività sono estremamente correlati tra loro. Non solo è più probabile che genitori con un’elevata capacità riflessiva promuovano un attaccamento sicuro nei figlio, ma anche che l’attaccamento sicuro rappresenti il precursore fondamentale del consolidamento della funzione riflessiva e della capacità di giocare con la realtà. Quando un genitore per gioco “fa finta” il bambino inizia a mettere a confronto ciò che è apparente a ciò che è reale rendendo chiara la distinzione tra modalità del “fare finta” e quella dell’ “equivalenza psichica nello sperimentare la realtà interna oppure la difficoltà a differenziare la realtà dalla fantasia e la realtà fisica da quella psichica. Capitolo 3°: Il piacere tossico Tossicofilie, tossicomanie, tossicodipendenze: dalla psicopatologia collettiva alla psicologia individuale I fenomeni collettivi di tipo psicoanalitico sono quelli in cui si evidenzia la relazione tra ciò che appartiene all’intimità individuale, ciò che interessa le Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ relazioni interpersonali e ciò che si riferisce a forme di socialità che seppure influenzate da fattori culturali contengono comunque valenze se non sintomatiche almeno problematiche. Il carattere tossicomanico attribuito a un fenomeno assume tratti differenti a seconda che si rivolga l’attenzione alla sostanza, agli usi di questa o alle caratteristiche della relazione con l’oggetto. Si possono considerare oggettivamente tossicomanici i comportamenti compresi nelle tossicodipendenze storiche, vale a dire la dipendenza da uso di sostanze “ufficialmente” tossiche come le cosiddette droghe pesanti. La definizione di tossicodipendenza verrà più incerta se si fa riferimento alle droghe leggere in quanto comunque dovremmo valutare la quantità, la frequenza dell’utilizzo etc. Ci accorgeremo presto di quanto la tossicità possa raggiungere un’estensione insospettata e di quanto i confini tra comportamento normale, tossicofilia e tossicomania risultino sempre più incerti. La tossicità, inoltra potrà toccare la sfera sessuale, l’acquisto di oggetti, gli strumenti di informazione, le attività ludiche etc. Tra bisogno e desiderio: Si ritiene che il primo fattore discriminante per la evidenza delle manifestazioni tossicomaniche sia costituito dalla compulsività (craving). La compulsività limita, depaupera o priva del tutto le azioni del soggetto della loro libera intenzionalità, al punto da impedire il riconoscimento dei confini della sua volontà e della sua identità. Il bisogno rinvia d’abitudine immediatamente alle necessità biologiche in funzione della sopravvivenza. Il bisogno veicola immediatamente la necessità, l’urgenza, l’intollerabilità dell’attesa. Solo lo sviluppo estende la tolleranza dell’attesa e rende la stessa come uno “spazio-tempo” sospeso sull’urgenza dei bisogni. Il bisogno accompagna lo stato somato-psichico dominante agli esordi della vita. Il neonato vive in funzione dei suoi bisogni in quanto la loro presenza è ineludibile e il loro soddisfacimento garantisce la sopravvivenza. Il desiderio invece si alimenta delle attese: i pensieri e le relazioni possono nascere, vivere e svilupparsi, nello spazio-tempo dell’assenza dell’oggetto. La rappresentazione visiva e poi la parola serviranno al bambino a poter tollerare l’assenza della mamma o a presentificarne il presente, in accordo con la necessità o con il desiderio di una sua presenza. La differenza tra bisogno e desiderio attiene al vissuto degli oggetti nello spazio- tempo della loro assenza. Il bisogno si propone come correlato a una “cultura” dell’oggetto avvertito come necessario a riempire un vuoto o a saturare un bisogno incoercibile. Indifferenza e ingordigia traducono gli abusi della cultura del bisogno in azione. L’assenza dell’oggetto induce una fame sintomaticamente insopprimibile, la fame si propone come una coercizione a riempire il vuoto provocato dalla mancanza e l’oggetto viene ricercato con urgenza compulsiva. Tali tratti accomunano sia comportamenti presunti normali che comportamenti Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ tossicomanicamente patologici, fino a farne sbiadire i confini. E’ importante sottolineare qui la valenza tossicofilica che anima la nostra cultura se consideriamo la frequenza di comportamenti segnati da un uso degli oggetti prossimo a quello appena descritto. Narcisismo: Il termine “narcisismo” può racchiudere riferimenti a figure psico-socio-culturali estremamente attuali, a tratti di personalità e anche a quadri psicopatologici. Le patologia narcisistiche che occupano uno spazio rilevante al concetto delle patologie borderline e, in particolare, dei cosiddetti disturbi di personalità. Si tratta di patologie insidiose prossime a potersi definire “bianche” in quanto, in apparenza asintomatiche, si qualificano come estremamente gravi e pericolose solo al loro tardivo manifestarsi. Alcuni tratti della patologia narcisistica si presentano come solidali con aspetti della cultura oggi dominante, il che non consente che il problema si evidenzi precocemente. Si determina una sorta di collusione tra l’affermazione di determinati “valori” prevalenti all’interno di una determinata cultura e tratti di personalità, altrimenti sintomatici; cosicchè la cultura funge da schermo, protegge e alle volte privilegia manifestazioni del Sé individuale e collettivo che invece sottintendono difficoltà a vivere la propria autenticità personale e relazionale. Il narcisismo nei suoi tratti normali trova le sue radici nelle prime relazioni dell’infante col mondo. Il neonato necessita delle gratificazioni ai suoi bisogni primari perché tali gratificazioni possano supportare quella temporanea e illusionale onnipotenza narcisistica di cui ha bisogno per proteggere la sua fragilità. Quando la dipendenza dall’ambiente materno è accompagnata da un sentimento di inaffidabilità si determina un mix esplosivo: alla ricerca compulsiva di un oggetto (umano), da cui l’infante possa trarre il nutrimento necessario per la propria sopravvivenza, si accompagna la svalutazione dell’oggetto medesimo, inevitabilmente toccato dalla sfiducia e dall’ambivalenza. L’identità risulta sostenuta dal bisogno incoercibile di cure e di apprezzamento, ma l’inaffidabilità dell’oggetto anima una preoccupazione angosciata per l’esposizione della propria fragile intimità. Perversione d’uso dei mezzi di informazione e di comunicazione: la televisione “domestica” e il telefono “cellulare”: L’ingresso della televisione nelle case ha accompagnato inizialmente convivialità postprandiale del gruppo riunito; nel tempo, al crescere dello spazio magnetico della televisione corrisponde il decrescere di quello comunicativo. Ritmi di lavoro e le sue estensioni a tutti i membri del nucleo familiare restringono lo spazio per l’adeguato appagamento dei bisogni e concorrono al crescere delle incomprensioni, dei conflitti di coppia e quelli tra genitori e figli. Il piacere della condivisione (illusoria) di un oggetto comune ammortizza le Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ tensioni emergenti. L’invenzione del telecomando corrisponde il trasferimento del “pater familias” sul detentore dello strumento: la conflittualità interna al gruppo familiare viene dislocata sulla scelta del programma da vedere. La nuova “soluzione” è affidata al moltiplicarsi degli apparecchi TV, dislocati nei diversi ambienti domestici. Tuttavia l’isolamento e la fuga illusoria dai conflitti e delle angosce relazionali si rispecchia nel rapporto individuale col mezzo di informazione e/o di intrattenimento. L’uso compulsivo del telecomando,nella solitudine isolata dalla propria stanza e del proprio schermo riduce ugualmente lo spazio mentale per l’apprezzamento e il godimento di un singolo programma e si rivela invece alimento di un sentimento di insoddisfazione e di vuoto. L’uso del telefono cellulare è divenuto un sostituto perverso della comunicazione reale tra persone in ambito lavorativo, conviviale e familiare. Il suo uso compulsivo si propone di moltiplicare le nostre possibilità di contatto con molte persone contemporaneamente, ma al contempo riduce di fatto all’infinito lo spazio reale delle nostre relazioni singole. “Il corpo sessuomanico”: Una specifica forma di patologia narcisistica dell’intimità sempre inquinare oggi la sfera della sessualità e dei suoi mediatori: il corpo nelle sue variegate forme espressive. Il corpo appare oggi soffrire di un sentimento di precarietà dovuto all’incontro tra una patologia narcisistica dell’intimità e la caduta dell’identità sociale nella sua visibilità epidermica, segnata da un apparire senza esserci. Vediamo così l’affermarsi di un corpo biologico ed etereo a un tempo, le condotte alimentari patologiche, il corpo muscolare e scultoreo della palestra e del fitness, il corpo erotico con i mille rimandi accessoriali. Il culto dell’esibizione del corpo testimonia il bisogno narcisistico di trasferire sulla “epidermica” apparenza non solo la nostra bellezza estetica e il nostro potere seduttivo, ma anche il nostro valore personale. Il corpo dell’altro risulta ridotto a strumento di affermazione e di gratificazione narcisistica immediata. Ne deriva di frequente lo slittamento del registro erotico- sentimentale in quello “pornografico”, in cui è percepibile anche la presenza di tratti tanatofilici. “Tra piacere e dolore: e sensazioni limite e perversioni del piacere”: L’apparente brillantezza del piacere narcisistico non è in grado di sostenere un benessere interiore autentico, anzi proprio per questo un “grigio” e piatto senso della vita può occupare il posto di una sofferente, inaccessibile intimità, mentre un sentimento di frustrante impotenza può alimentare il bisogno compulsivo della frequenza illusoria del “virtuale”. Pseudorelazioni virtuali prendono così il posto dei limiti, delle difficoltà e delle frustrazioni ma anche delle gratificazioni autentiche connesse alle relazioni reali. Comportamenti sempre più diffusi, definiti dell’ “autoferirsi” consistono nel Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ ferirsi, procurandosi piccole lesioni connesse allo spellarsi delle estremità o a estirpare i capelli, le ciglia o sopracciglia, ancor più di frequente ad asportare lembi di pelle, fino via via a procurarsi ferite più o meno estese o profonde. L’autoferirsi implica l’uso di lame, rasoi, coltelli, implica l’aprire e riaprire in continuazione delle ferite. Le ferite vengono riaperte prima che si formi la cicatrice in modo tale che il segno mantenga la sua visibilità. Questi comportamenti sono i limiti delle cosiddette patologie bianche, del narcisismo, etc. Tali comportamenti contengono elementi che li collocano sulla soglia estrema dei comportamenti che portano il segno ambiguo di un piacere tossico. sono comportamenti compulsivi, ma controllati, mantengono una loro ritualità, ripetitività e limiti prefissati non superano pertanto una certa soglia. Non sono comportamenti finalizzati a farsi del male, ma servono a procurarsi sollievo o qualche forma di piacere da qualche forma di malessere, il più delle volte segnato da noia, solitudine, assenza di esperienze emotive che portino il segno del piacere o del dolore. Il più delle volte interessano giovani adolescenti. Capitolo 4°: Le dipendenze nei disturbi di personalità Dall’addictive personalità alla ricerca sulla comorbità: assegna della letteratura empirica degli ultimi due decenni: Nella prima edizione del DSM l’abuso di sostanze era accorpato al disturbo sociopatico, mentre nell’edizione successiva alcolismo e tossicomania vengono classificati nella sezione “Disturbi di personalità e altri disturbi mentali non psicotici”, insieme alle devianze sessuali e ai disturbi di personalità propriamente detti. Con l’introduzione della prospettiva multi assiale, il disgiungimento dei disturbi di personalità da quelli connessi all’uso di sostanze segna lo spartiacque tra approcci di studio radicalmente diversi. Le interpretazioni prevalenti del fenomeno delle dipendenze erano orientate nei termini di conseguenze di una fissazione orale alla base del soggetto dipendente di dilazionarne la soddisfazione o ancora secondo i presupposti di una scarsa maturazione dell’Io, di una tolleranza al dolore e alle frustrazioni e di una tendenza di tipo maniaco-depressivo. Uno sguardo alla letteratura empirica degli ultimi due decenni suggerisce una variabilità notevole dei dati di prevalenza dei disturbi di personalità nei campioni studiati di soggetti con abuso e dipendenza da alcol e altre sostanze (tra l’11% e l’81% negli alcol dipendenti e tra 31% e 100% nei dipendenti da sostanze illecite). Non sorprende che le prevalenze di disturbi di personalità siano mediamente più elevate nel caso dei campioni di tossicodipendenti, né che i tassi di prevalenza maggiori si registrino per i disturbi del Cluster B, caratterizzati da impulsività, Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ instabilità affettiva, difficoltà nella modulazione delle emozioni e da un’identità fragile. Un ruolo non da meno spetta al disturbo di personalità narcisistico descritto con prevalenze che vanno dal 6% al 38% con valori più bassi negli alcol dipendenti e maggiori negli abusatori di cocaina, eroina e poliabusatori. La peculiarità del rapporto tra personalità e dipendenze è confermata anche da studi che si sono mossi nella direzione d’indagine opposta: circa la metà dei pazienti con disturbo di personalità presenta una diagnosi lifetime di disturbo da uso di sostanze. Prevalenze di abuso/dipendenza da sostanze fino al 75% sono state osservate in soggetti borderline e fino al 95% in antisociali. Il rapporto tra personalità e abuso di sostanze: Alla prospettiva di indipendenza diagnostica prospettata nelle ultime edizioni del DSM non corrisponde il significato di indipendenza clinica. Le speculazioni sulla qualità della relazione esistente tra disturbi di personalità e disturbi da uso di sostanze sono numerose. Ci si può soffermare su tre possibili interpretazioni: - personalità e abuso/dipendenza da sostanze possono condividere una comune eziologia (relazione di spettro); - entrambe le condizioni psicopatologiche contribuisco all’eziologia e allo sviluppo l’una dell’altra; - i due disturbi si influenzano reciprocamente per quanto riguarda l’emergere e la presentazione degli aspetti clinici. Pensare ai disturbi di personalità e a quelli da uso di sostanze nel contesto di a relazione di spettro rimanda all’ipotesi che i disturbi di personalità rappresentino varianti caratterologiche di disturbi mentali, essi sarebbero manifestazioni diverse lungo uno spettro di patologia e sarebbero qualitativamente distinte dal normale funzionamento della personalità. Un disturbo mentale può contribuire a modificazioni fondamentali della personalità. Esiste un effetto patoplastico della personalità sulla psicopatologia di Asse I: il disturbo psichiatrico insorge nel contesto di una personalità premorbosa, che eserciterà un profondo effetto sulla presentazione della patologia, su come questa viene vissuta, sul suo decorso e sulla sua risposta al trattamento. Un effetto patoplastico della psicopatologia di Asse I sarà esercitato sulla personalità. L’aspetto cruciale sembra essere la definizione del ruolo, primario o secondario, di ciascun disturbo. -La prima identifica nella presenza di un disturbo di personalità un fattore di rischio per l’esordio delle condotte d’abuso e lo sviluppo e il decorso del disturbo da uso di sostanze; -La seconda abbraccia e supporta l’ipotesi secondo cui il disturbo da uso di sostanze influenzerebbe notevolmente il manifestarsi del disturbo di personalità: la condotta tossicomanica impatterebbe così profondamente sul funzionamento psichico. A promuovere questa possibilità interpretativa sono state alcune osservazioni circa l’incremento di condotte auto lesive determinato dell’abuso di Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ sostanze in soggetti borderline o la diagnosticabilità di un disturbo di personalità borderline in alcuni soggetti solo considerando gli effetti dell’abuso di sostanze. Vaillant ha suggerito che la psicopatologia della personalità negli alcolisti può rappresentare una manifestazione della storia dell’abuso. La dialettica tra le due posizioni si ripropone nell’associazione tra la presenza di un disturbo di personalità e l’età di inizio delle condotte d’abuso. L’esordio risultato più precoce in presenza di una diagnosi di personalità, nel lavoro di questi autori, che hanno formulato due possibili spiegazioni: i soggetti che sviluppano un disturbo di personalità manifestano problemi che favorirebbero il contatto con le sostanze; alternativamente l’uso precoce di sostanze genererebbe difficoltà di integrazione sociale e di funzionamento. Aspetti psicopatologici come l’impulsività, aggressività e ostilità nei tossicodipendenti possono essere inquadrati come effetti legati all’assunzione di sostanze o a problematiche associate, quali sintomi di astinenza. Si può sostenere che le condotte impulsive siano l’espressione di un tratto personologico o temperamentale preesistente. Vi sono condizioni psicopatologiche in cui le sostanze assumono il ruolo di un mediatore tra il comportamento e il disturbo. Manifestazioni “di stato” rischiano di essere lette come fattori “di tratto” aggregandosi a veri e propri tratti personologici e orientando impropriamente la diagnosi. Criteri per la diagnosi dei disturbi di personalità suggeriscono un’attenzione particolare alla necessità di non considerare quegli aspetti psicopatologici che siano derivati dall’effetto di sostanze. Il rischio del quale ogni clinico deve essere consapevole è la solo parziale considerazione che quest’approccio ha della complessità delle realtà cliniche, caratterizzate da una sempre maggiore precocità di esordio e dalla multiformità delle condotte di abuso. Disturbi da uso di sostanze e disturbi di personalità di cluster B: un legame elettivo con il disturbo antisociale? Alcune caratteristiche che distinguono i soggetti che utilizzano sostanze sono collocate in una cornice generale di impulsività, tratto comune sia al disturbo borderline sia all’antisociale, e disregolazione affettiva, che può essere intesa come una sorta di matrice condivisa tra le due aree psicopatologiche delle quali è noto l’overlapping. Il disturbo di personalità antisociale è il più frequentemente osservato nei soggetti dipendenti da sostanze. Il primato del disturbo antisociale rispetto a qualunque altro disturbo di personalità è riportato anche tra gli alcolisti da uno studio italiano, con una frequenza del 25%. Il disturbo di personalità antisociale è quello che più frequentemente viene descritto in co-diagnosi con la dipendenza da eroina. Anche osservando individui giunti all’osservazione clinica per questo disturbo di personalità, si conferma il robusto legame associativo: più del 90% dei soggetti antisociali presentano una storia d’abuso o di dipendenza da sostanze. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ Un’ulteriore modifica risale alla III edizione del DSM, nella quale si è stabilito che non si dovesse emettere la diagnosi di Asse II in tutti quei casi in cui i comportamenti derivassero dal quadro di abuso o dipendenza da sostanze. Il rapporto tra antisocialità e abuso di sostanze può essere esaminato anche spostandoci dalla prospettiva categoriale a quella dimensionale della descrizione della personalità. La dimensione temperamentale (novelty seeking) sembra sovrapposta all’uso problematico di sostanze, risultando un fattore predittivo per le condotte d’abuso e in grado di discriminare gli abusatori con esordio precoce con tratti antisociali. Analogo alla novelty seeking, è il tratto temperamentale a sostegno della ricerca di sensazioni forti e insolite e di comportamenti trasgressivi, accompagnata all’esposizione a rischi per soddisfare tale desiderio e all’intolleranza alla noia (sensation seeking). Il legame tra antisociali e abuso/dipendenza da sostanze è sostenuto dalle evidenze empiriche derivate da studi longitudinali. Le dipendenze nei disturbi di personalità di Cluster A e C: E’ possibile che la prevalenza dei soggetti dipendenti da sostanze con un disturbo di personalità dei Cluster A e C sia sottostimata, poiché essi sembrano giungere all’osservazione clinica meno frequentemente nei soggetti con disturbi di personalità del Cluster B. Cacciola e coll. hanno rilevato una comorbità del 35% di disturbi del Cluster A in un campioni di eroinomani, notevolmente inferiore ai tassi di prevalenza per i disturbi del Cluster B nei soggetti dipendenti. Personalità del Cluster C nel 30% circa di un campione di cocainomani, con una rappresentazione del disturbo evitante del 22%. Personalità e dipendenze: fattori di disomogeneità: La letteratura che descrive il legame tra personalità e uso di sostanze è ampia ed estremamente variegata. La necessità di approcci di ricerca che, in linea con la clinica, permettano di indagare concretamente e più esaustivamente la complessa e articolata realtà che si cela oltre i criteri diagnostici per i disturbi da uso di sostanze. Possiamo ricordare alcune delle variabili che contribuiscono a delineare una stratificazione rilevabile nell’ampia categoria diagnostica dei disturbi da uso di sostanze, al fine di non incorrere in riduttive generalizzazioni. - Il tipo di uso. Le diverse modalità di assunzione di sostanze esogene sono ridotte alle categorie diagnostiche di intossicazione, disturbo da abuso, disturbo da dipendenza. - La fase del ciclo di vita. Un aspetto che contribuisce ad accrescere la disomogeneità riscontrabile tra i dipendenti da sostanze riguarda l’età, intesa sia come momento temporale che segna l’esordio della malattia, sia secondo una prospettiva d’osservazione del pattern d’abuso. Adolescenza, età adulta ed età Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ senile saranno infatti distinte da sostanziali differenze. Nell’età adolescenziale, per esempio, gli aspetti relazionali con i coetanei sembrano rivestire una significativa importanza nell’iniziare l’adolescente all’uso di sostanze e nell’ostacolare un distacco definitivo dalle stesse. L’abuso di sostanze può rappresentare anche l’elemento agito di una separazione difficile dalla famiglia d’origine. Il ricorso precoce alle sostanze può essere una risposta disadattava nei soggetti con storia di abuso o neglect infantili. La mancanza di un introietto positivo, calmante, impedisce di controllare le oscillazioni emotive. La fase della vita nella quale l’uso di sostanze si manifesta influenza le modalità di abuso e la scelta della sostanza. -Le differenze di genere. Indagini empiriche si sono focalizzate su eventuali differenze di genere nel modo di rapportarsi e utilizzare sostanze psicoattive. Le donne sembrano avere maggiori probabilità di abusare di una sola sostanza piuttosto che essere poliabusatrici. Le donne alcoliste con una storia di poliassunzione appartengono a un gruppo che presenta tratti e disturbi di personalità assimilabili all’alcolismo di Tipo II di Cloninger o di Tipo B secondo Babor. Gli uomini hanno più frequentemente una storia segnata da disturbi della condotta. Le donne invece tendevano in età infantile a orientare meno esternamente il proprio disagio psichico, mostrando quindi con maggior frequenza altri segnali psicopatologici. Per le donne è la dipendenza alcolica il problema che spinge più frequentemente all’avvio di un programma terapeutico, mentre tale scelta è predetta dagli uomini dallo stato civile di coniugati e dal fatto di possedere un impiego. Le donne che più probabilmente porteranno a termine il trattamento hanno problemi legali e uno status economico elevato, mentre tra gli uomini l’età avanzata sembra essere il miglior fattore predittivo del completamento di un percorso riabilitativo. - Tipo di sostanza. Sebbene nell’esperienza clinica odierna si riscontrino più frequentemente quadri di polidipendenza da sostanze ci sembra opportuno dedicare una parte di tale rassegna alla presentazione di alcuni studi relativi all’associazione tra singole sostanze e disturbi di personalità. Il persistere di questo interesse deriva probabilmente dall’intrinseca complessità data dalla convergenza di più elementi che intrecciandosi tra loro, concorrono ad accrescere le sfaccettature della dipendenza da sostanze. Le proprietà farmacologiche, i meccanismi d’azione, gli aspetti psicofisici che delineano la peculiarità della sostanza psicotropa vadano a interagire con un assetto personologico che si mostri sensibile agli effetti conseguenti al’assunzione di quella particolare sostanza. L’indagine empirica finalizzata all’approfondimento di questi temi si rifa alla teoria di Khantazain, secondo cuilascelta di una data sostanza psicoattiva non è casuale ma indirizzata anche da specifiche caratteristiche psichiche. - Tra i dipendenti da cocaina, risultano più frequenti riconducibili a disturbi del Cluster B, in relazione alla difficoltà di regolazione della vita emotivo-affettiva. In Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ particolare, il disturbo di personalità narcisistico sembra costituire un fattore di rischio per l’abuso di tale sostanza. In un confronto tra cocainomani e eroinomani è emerso che questi ultimi mostrano un numero maggiore di tratti di personalità antisociale e borderline. - L’uso problematico di alcol, sembra più diffuso tra i soggetti borderline. L’alcolismo sembra comunque correlato a una prevalenza di disturbi di personalità inferiore. - Anche la vasta letteratura sulla dipendenza da eroina si pone in linea con l’evidenza di un robusto nesso tra Cluster B e uso di sostanze: il disturbo di personalità più frequentemente diagnosticato è l’antisociale (22%), seguito dal narcisismo (18%) e dal borderline e dal dipendente (16%). - La classe farmacologica delle benzodiazepine è stata spesso sottovalutata nel suo ruolo di potenziale oggetto di condotte d’abuso o dipendenza. La dipendenza è frequentemente l’esito mal adattivo del tentativo di gestire disturbi ansiosi e depressivi. L’uso di benzodiazepine caratterizza frequentemente i poliabusatori e i soggetti dipendenti da altre sostanze. Gli effetti maggiormente apprezzati dai cocainomani sono quelli sedativi, ricercati dopo l’eccitazione o l’insonnia indotte dalla cocaina. Verso il trattamento: l’interfaccia tra ricerca e clinica Diversi autori hanno osservato che la rilevazione di diagnosi di personalità, tra gli individui con disturbi di uso di sostanze, frequentemente si accompagna a una maggior compromissione globale, indipendentemente dal tipo di sostanza di abuso o dipendenza. Le dipendenze da sostanze nei disturbi di personalità sono state ampiamente indagate anche nell’ottica di comprendere le ripercussioni della diagnosi personologica sulle possibilità di successo dei trattamenti tradizionalmente impiegati nell’approccio ai disturbi da uso di sostanze. L’abbandono precoce della terapia e l’incostanza nell’adesione al programma terapeutico per l’alcoldipendenza non risultano associati con qualsiasi disturbo di personalità, ma principalmente con il disturbo borderline e con il numero medio di diagnosi del Cluster B. Tra i soggetti dipendenti da sostanze, la comorbilità co i disturbi di personalità è ritenuta un potenziale ostacolo allo svolgimento del programma terapeutico e i rischi di ricaduta nell’uso delle sostanze sono maggiori. Quanto detto sopra è ancora più valido per quanto riguarda i disturbi di Cluster B. I soggetti borderline a differenza dei soggetti con patologie personologiche meno gravi, tendono a instaurare precocemente relazioni a forte valenza affettiva con il terapeuta, nelle quali mettono inconsapevolmente in atto la molteplicità, la mutevolezza e la caoticità delle relazioni oggettuali interiorizzate. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ Capitolo 5°: Personalità dipendente e dipendenza relazionale Un’indipendenza autentica poggia sulla capacità di dipendere. Sarebbe meglio parlare di un continuum dipendenza sana.patologica o sicura-insicura. Definendo “insicure” le forme eccessive di dipendenza. La riflessione clinica sulla dipendenza va calata nella dimensione relazionale: da una ricerca disperata dell’altro, visto come regolatore unico del Sé, a una fuga atterrita dell’altro, visto invece come minaccia alla propria integrità. “La fiducia negli altri e la fiducia in se stessi non solo sono compatibili, ma addirittura sono complementari.” (Bowlby). Note Introduttive. Attaccamento: La teoria dell’attaccamento, che Bowlby definisce “un modo per concettualizzare la tendenza dell’essere umano a strutturare solidi legami affettivi con particolari persone, e per illustrare le varie forme di profondi turbamenti emotivi e di disturbi di personalità originati da perdite e separazioni involontarie.” Da questo background evolutivo e relazionale si sviluppa quella persona adulta che, relativamente autonoma, ma capace di fidarsi, chiedere aiuto e appoggiarsi agli altri, strutturerà il senso della propria sicurezza in riferimento tanto a figure di accadimento internalizzate quanto a figure di riferimento esterne. Si potrebbe ipotizzare che la grande disponibilità di figure di attaccamento potrebbe produrre soggetti troppo portati ad appoggiarsi agli altri per quanto riguarda la regolazione, con conseguenti interferenze sulla fiducia in se stessi e lo sviluppo del Sé autonomo. Paradossalmente, dicono Mikulincer e Shaver, “Individui con attaccamento sicuro potrebbero avere personalità dipendenti ed essere cronicamente portati alla ricerca di un sostegno” nelle situazioni di stress. Al contrario la disponibilità delle figure di attaccamento non solo rinforza la capacità di fare affidamento su figure sia interne che esterne, ma è anche una base fondamentale per sviluppare capacità di regolazione. Essi sottolineano come i soggetti con attaccamento sicuro presentino rispetto ai soggetti insicuri: - livelli di autostima più alti; - capacità di problem solving e coping più articolate; - punteggi più bassi alle scale che rilevano la presenza di un disturbo dipendente di personalità; - un atteggiamento più positivo nei confronti del lavoro e dell’esplorazione autonoma. L’attaccamento sicuro si associa non solo alla capacità di cercare un sostegno, ma anche alla costruzione del Sé. Sembra che l’attaccamento si riferisca a un comportamento primario teso alla ricerca e al mantenimento della prossimità con una figura preferenziale, di solito percepita come più competente. La dipendenza si riferisce a un atteggiamento Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ derivato dal bisogno di attaccamento, che può non essere diretto verso un soggetto specifico e che si esprime attraverso atteggiamenti generalizzati e mirati a evocare assistenza, guida e approvazione. Per il bambino se parliamo di attaccamento “sicuro”, l’aggettivo sicuro qualifica la relazione con una persona specifica. Per l’adulto la dicitura diventa “sicuro- autonomo” e si riferisce a uno “stato mentale rispetto all’attaccamento” che va a definire la qualità delle relazioni intime intese in senso più ampio. Note introduttive. Neuroscienze: “Le esperienze precoci creano dipendenza non solo perché sono psicologicamente salienti, ma anche a causa dei loro concomitanti neurochimici.” Sappiamo, per esempio, che i percorsi delle endorfine si stabiliscono nel cervello durante i primi anni di vita e nel contesto delle relazioni oggettuali precoci. Le esperienze affettivamente intense sono accompagnate da rilascio di endorfina e così questi stati cerebrali chimicamente determinati si associano sia a condizioni di profonda sicurezza sia a traumi. Secondo Hofer, la regolazione fisiologica del bambino si esplica all’interno della coppia madre-bambino attraverso dei “processi regolatori nascosti” che svolgono il loro effetto sul sistema nervoso dell’infante, ma la cui qualità sarebbe funzione della coppia. Perché il bambino possa arrivare a contare su una futura vita autonoma, questi processi regolatori dovrebbero gradualmente diventare dominio delle sue capacità di autoregolazione: si tratta di un passaggio evolutivo da una regolazione fisiologica con il caregiver primario a una regolazione inserita in un mondo interno simbolico. E’ probabile che, all’interno di una relazione connotata da un’eccessiva intrusività materna, il bambino abbia poche possibilità di esplicare le sue funzioni auto regolative e quindi continui a dipendere adesivamente dall’altro per la sua autoregolazione. Un esempio di come modelli operativi interni insicuri e processi regolatori nascosti carenti possono portare allo sviluppo di forme diverse di dipendenza è rappresentato dalle condotte tossicomaniche. Note introduttive. Intersoggettività: La cultura occidentale ha sempre associato la dipendenza a debolezza, incapacità, labilità emotiva, passività, guadagno secondario e al genere femminile. Con Bowlby gran parte delle vicissitudini fisiologiche e relazionali cominciano a essere riconcettualizzate in termini di attaccamento, con Winnicott e Kohut la riflessione si sposta sul significato dell’uso dell’oggetto e su una concezione di maturità come capacità di scegliere gli oggetti adeguati dai quali è possibile dipendere. La teoria intersoggettiva pone in risalto la reciprocità, mentre sia la teoria pulsionale sia la teoria delle relazioni d’oggetto si concentrano sul soggetto Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ concepito come individuo e sulla sua relazione complementare all’oggetto. Essere umano consiste nell’essere riconosciuto come soggetto da un altro essere umano. In questo processo di riconoscimento è presente una tensione continua tra la nostra spinta all’autoaffermazione e la nostra dipendenza. Osservazioni della Benjamin: “[…] Il fatto che l’altro sia all’esterno ci fa sentire che si è nutriti davvero, nutriti da fuori, invece di dover provvedere da sé a ogni cosa. […]” Con questo non si intende negare il suo versante patologico e insicuro, al contrario: la dipendenza patologica si basa su un’idea immodificabile dell’altro come oggetto nutriente attivo ed esclusivo, e su un’idea di sé come soggetto bisognoso incapace di contribuire al proprio sostentamento. Una concezione sana della dipendenza presuppone i temi della condivisione, del ritmo e del patteggiamento e dunque si basa sulla capacità di accettare la tensione implicita nel riconoscimento reciproco. Relazionalità VS auto definizione: un modello dialettico fondato sulle due spinte evolutive che definiscono le rappresentazioni delle relazioni del Sé-altro: il bisogno di relazionalità e il bisogno di identità autonoma. Si tratta di una tensione evolutiva il cui squilibrio porta a patologie introiettive e patologie analitiche. Le prime dominate dalla preoccupazione per il mantenimento di un senso vitale di sé, da assetti distanziati/evitanti, da depressione con senso di colpa e vergogna, compaiono più spesso nelle personalità schizoide, schizotipica, narcisistica, antisociale, evitante. Le seconde, dominate da una preoccupazione primaria per temi interpersonali, da assetti preoccupati/invischiati, da depressione con senso diperdita e helplessness, da bisogno esagerato dell’altro con confusione Sé-altro, compaiono più spesso nelle personalità istrionica, borderline, dipendente. La personalità dipendente: descrizione e osservazioni psicodinamiche: Le persone con un disturbo dipendente della personalità si caratterizzano per la profonda insicurezza delle proprie capacità e risorse, per il bisogno eccessivo e costante di accadimento e per i comportamenti sottomessi e adesivi che ne conseguono. Sono incapaci di prendere decisioni in modo autonomo e di assumersi la più semplice responsabilità. Non riescono a funzionare socialmente senza che qualcun altro si prenda cura di loro, preferiscono domandare agli altri le proprie scelte. Così si affidano al partner, ai genitori, agli amici, ai superiori, sempre alla ricerca del magic helper che li guidi. Le persone dipendenti sono sottomesse, bisognose di consigli e rassicurazioni, riluttanti a esprimere le proprie opinioni. Schive e inibite, si sentono indifese: vivono nel terrore di essere abbandonate e sono letteralmente sconvolte quando qualche relazione stretta finisce. Per farsi volere bene sono disposte a fare cose spiacevoli e degradanti pure di restare nell’orbita dell’altro. Il caso tipico è chi sopporta violenze fisiche. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ Per amore della sicurezza e del “vantaggio” relazionale la persona dipendente arriva a sottomettersi di buon grado al controllo e al potere dell’altro. Piuttosto che sola, preferisce essere male accompagnata. Finchè riesce a mantenere la relazione di dipendenza da cui trae forza, la persona con disturbo dipendente può condurre una vita apparentemente equilibrata. Quando però la relazione si interrompe può sviluppare manifestazioni patologiche che a volte tendono necessario l’intervento psichiatrico. La svalutazione del Sé può alternarsi a momentanee trasgressioni a fini espiatori. Le persone dipendenti possono anche giungere alla negazione del proprio bisogno di dipendenza, razionalizzando le proprie inadeguatezze, attribuendole a qualche circostanza sfortunata, a stimoli fobici, a un’improbabile malattia somatica. Gli individui dipendenti spesso provengono da nuclei familiari con figure controllanti, ipercoinvolte e intrusive che hanno in qualche modo “comunicato” loro che l’autonomia è piena di pericoli e che per questo va evitata, oppure che crescere e differenziarsi è come tradire i genitori. I quali assumevano atteggiamenti di rifiuto in occasione di ogni tentativo di separazione e indipendenza. Essere dipendenti è l’unico modo per mantenere il legame e che crescere e individuarsi significa perdere l’amore materno. In questo modo il bambino “impara” a rinunciare all’autonomia, affidandosi agli altri anche per i problemi più banali. Da adulto, tenderà a cercare solo all’esterno una fonte di sicurezza e accadimento. Lo stile dipendente può svilupparsi anche in soggetti che finiscono poi per rifugiarsi in relazioni in cui sentono di avere un ruolo, fosse anche quello della vittima. Bandura ipotizza che il comportamento dipendente venga appreso nel contesto della relazione bambino-caregiver per poi essere generalizzato a soggetti diversi. Sullivan e Leary evidenziano l’importanza dei fattori accidentali che possono trasformare il genitore in una persona costantemente in allarme per il benessere del figlio. Bornstein e la Benjamin sostengono l’esistenza di un legame diretto tra un atteggiamento parentale iperprotettivo-autoritario e lo sviluppo di tratti di personalità dipendente in età infantile, con conseguente rinforzo di comportamenti dipendenti che impediscono la nascita dell’autonomia che si sviluppa tramite l’apprendimento per tentativi ed errori. Secondo la teoria psicoanalitica classica, la dipendenza sarebbe strettamente connessa agli eventi databili allo stadio “orale” dello sviluppo psicosessuale. La frustrazione o la complementare eccessiva gratificazione dei desideri di questa fase determinerebbero una “fissazione” testimoniata dal permanere dei desideri di matrice orale e da tratti di carattere che sono spiegabili come una formazione reattiva o una sublimazione di questi desideri. “Persona orale dipendente.” La capacità di autoregolazione interagisce per tutta la vita con la regolazione relazionale reciproca, e la patologia si struttura in quei contesti relazionali che inibiscono l’oscillazione dialettica tra la necessità di regolare se stessi e quella di regolare la propria relazione con l’altro. Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ La dipendenza patologica può essere pensata come una relazione in cui il soggetto dipendente è vincolato a una perenne regolazione sull’altro, mentre è incapace di regolare da solo gli stati del Sé. Problemi diagnostici: C’è una certa distanza tra il concetto di dipendenza e di personalità dipendente. La ragione di questa distanza va cercata anche nel significato da attribuire alla parola dipendenza quando si fa costrutto indagabile e misurabile. Non possiamo raccogliere sotto un unico termine-ombrello comportamenti che comprendono le tossicomanie e le tossicofilie da droghe, alcol, farmaci, la compulsività sessuale, la dipendenza relazionale, la svariate forme di craving etc. La diagnosi funzionale è una valutazione di funzioni discrete ma interagenti che ci permette di rispondere ad alcune domande fondamentali: Quali sono le motivazioni di questa persona? Che cosa desidera e/o teme e che cosa dà valore? Di quali risorse psicologiche (cognitive, affettive, comportamentali, compresi i processi di regolazione degli affetti) dispone per soddisfare i suoi desideri nel contesto ambientale in cui vive? Qual è la sua esperienza di sé, degli altri e della relazione tra sé e gli altri? Riesce, e in che modo, a creare e mantenere le relazioni mature e capaci di dare reciproca soddisfazione? Come si è sviluppato ciascuno di questi aspetti della personalità del soggetto? Eliminare dalla diagnosi gli aspetti del “labeling” (politica e meccanismo di etichettatura dei dati) è ciò che ci permette di passare dalla descrizone della personalità dipendente alla comprensione della dipendenza relazionale. generali e condividere ingredienti che si aggregano in forme idiomatiche complesse e in nerrazioni personali. Valutare la personalità presuppone la capacità di immergersi nel mondo interno di un’altra persona. Psicologia accademica e DSM: Tipo “devoted” del tutto simile al tipo “agreeing” ovvero persone che adattano le proprie preferenze a quelle degli altri. Sono capaci di notevole empatia e hanno un modo di fare gentile, modesto e acritico che rivolto anche a chi non li prende in considerazione, comunica un senso di accettazione incondizionata. Una definizione di personalità interessante per il caso clinico deve riguardare il modo in cui il soggetto risponde all’ambiente da un punto di vista cognitivo, affettivo, motivazionale e comportamentale. “Un comportamento sottomesso e adesivo legato a un eccessivo bisogno di essere accudito.” Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ Sottotipi della personalità dipendente secondo Millon e Devis: Dipendente inquieto-preoccupato: caratteristiche della personalità evitante, comportamento sottomesso, modesto e non competitivo; mancanza di iniziativa e ansioso; spiccata apprensività e timore di perdere il supporto altrui; può esprimere la paura della perdita con scoppi d’ira. Dipendente accomodante: comportamento compiacente, socialmente gregario, teso a evitare il conflitto; preoccupato di ricevere approvazione dall’esterno, non esita a sacrificarsi e tende a ricoprire ruoli inferiori o subordinati; ha il compito di incoraggiare il partner a prendere il controllo sollevando il soggetto dalla percezione della propria incompetenza. Dipendente immaturo: rifiuta le responsabilità dell’adulto, preferisce attività infantili e cerca di relazionarsi principalmente coni bambini; si ritiene inesperto, poco sofisticato e incompetente; di fronte a incalzanti pressioni sociali o relazionali può manifestare ostilità; Dipendente inefficace: caratteristiche della personalità schizoide; mancanza di vitalità, iniziativa, energia; affaticabile e poco spontaneo; resistente alle pressioni esterne; risponde alle difficoltà con un certo fatalismo; rispetto allo schizoide è più empatico e socievole; Dipendente che si annulla per gli altri: Non solo subordina se stesso agli altri, ma tende alla totale fusione con i propri partner; la sua identità e le sue potenzialità si impoveriscono; privo di un Sé proprio, adotta valori e preferenze altrui. Situazione pervasiva ed eccessiva di essere accuditi in età adulta che determi8na un comportamento sottomesso e dipendente, si basa su i seguenti elementi cardine: Interpersonale: 1- Difficoltà nel prendere decisioni quotidiane senza richiedere un’eccessiva quantità di consigli e rassicurazioni; 2- Può giungere a qualsiasi cosa pur di ottenere accudimento e supporto da altri, fino al punto di offrirsi per compiti spiacevoli; 3- Ha bisogno che gli altri si assumano la responsabilità per la maggior parte dei settori della sua vita; 4- Ha difficoltà a esprimere disaccordo verso gli altri per il timore di perdere supporto o approvazione; 5- Quando termina una relazione stretta, ricerca urgentemente un’altra relazione come fonte di accudimento e supporto. Immagine del Sé: 1- Ha difficoltà a iniziare progetti o a fare cose autonomamente; 2- Si sente a disagio o indifeso quando è solo per timori esagerati di essere incapace di provvedere a se stesso. Sfera cognitiva: Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ 1- Si preoccupa in modo non realistico di essere lasciato a provvedere a se stesso. Per il DSM, “il dipendente sperimenta senso di abbandono e reagisce per evitarlo, il paranoide, umiliato e offeso, lotta rabbiosamente per raddrizzare il torto. […] Del senso pervasivo di terrore e debolezza che attanagli i paranoidi, degli stati di ribellione rabbiosa che prendono il dipendente, neanche un cenno.” C’è una comorbità eccessivamente elevata tra le categorie diagnostiche e spesso un paziente che soddisfa i criteri di un disturbo della personalità soddisfa contemporaneamente anche i criteri di altri 4 o 6 disturbi. Circa il 60% dei pazienti in trattamento per una patologia della personalità non può ricevere alcuna diagnosi DSM di asse II. Le correlazioni più interessanti del disturbo dipendente sono con i disturbi depressivo (.79), evitante (.75), autofrustrante (.70), passivo-aggressivo (.47), borderline (.38), schizoide (.33). Nell’ambito dell’asse II le comorbilità sono state empiricamente rilevate con i disturbi evitante, istrionico, autofrustrante-masochistico. Anche se le diagnosi di disturbo dipendente può affiancare quella di disturbo borderline. I due disturbi possono essere indifferenziati tenendo conto di alcuni aspetti salienti delle rispettive modalità relazionali. I pazienti borderline tendono a reagire al temuto abbandono con rabbia e manipolazione, sia verso Sé sia verso gli altri. Le loro relazioni sono caratterizzate da un’intensità e instabilità non riscontrabili tra i dipendenti. I pazienti dipendenti tendono a reagire alla separazione mostrandosi sottomessi e adesivi e operando negazioni sistematiche dei propri impulsi ostili. Lo stile dipendente masochista secondo la SWAP-200: Applicando la SWAP-200 all’Asse II, Westen e Shelder hanno evidenziato empiricamente l’esistenza di 7+5 fattori/stili di personalità: disforico, antisociale-psicopatico, schizoide, ossessivo, istrionico, narcisistico. Il concetto di “disforico” è molto ampio quindi sono stati identificati dei sottofattori: evitante, depressivo ad alto funzionamento, con disregolazione emotiva, dipendente masochista, con esteriorizzazione dell’ostilità. Se mettiamo a confronto i criteri proposti dal DSM-IV e dalla SWAP-200 per la diagnosi della personalità dipendente possiamo constatare ovviamente che i tratti principali sono l’eccessiva dipendenza dagli altri, il costante bisogno di essere rassicurato, accudito e aiutato anche nelle situazioni più comuni. Item della SWAP-200 più descrittivi dei pazienti che appartengono al sottofattore dipendente-masochista: Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ - Tende ad essere coinvolto o a rimanere in relazioni in cui subisce abusi emotivi o fisici; - Tende a ingraziarsi gli altri o a farsi sottomettere; - Tende ad attaccarsi agli altri in modo intenso e veloce; sviluppa sentimenti, aspettative etc che non sono giustificati dal contesto o dalla storia della relazione; - Tende a essere suggestionabile o facilmente influenzabile; - Tende ad attaccarsi o a coinvolgersi sentimentalmente con persone che non sono emotivamente disponibili; - Tende ad essere eccessivamente bisognoso o dipendente; - Fantastica di trovare l’amore ideale e perfetto; - Ha paura della solitudine; fa di tutto per non rimanere solo; - Tende ad avere paura di essere rifiutato o abbandonato dalle persone che per lui sono emotivamente significative; - Tende a esprimere la propria aggressività in modi passivi e indiretti; - Non ha un’immagine stabile di chi sia o di chi vorrebbe diventare; - Tende a idealizzare alcune persone in modi irrealistici, le vede come “totalmente buone”; - Ha problemi nel prendere decisioni, tende ad essere indeciso o a tentennare di fronte alle scelte; - Tende ad essere passivo e poco assertivo; - E’ incapace di calmarsi o tranquillizzarsi da solo quando è stressato, ha bisogno di un’altra persona che lo aiuti a regolare gli affetti: - Ha difficoltà a riconoscere o esprimere la propria rabbia; - Cerca di convincere più volte gli altri del proprio impegno a cambiare, ma poi torna comportarsi in modo disadattivo. Il termine “masochismo” così come viene usato dagli psicoanalisti non significa amore per il dolore e la sofferenza. La persona che si comporta in maniera masochistico tollera il suo dolore e la sua sofferenza, nella speranza, cosciente o non, di qualche bene maggiore. Dipendenza e masochismo nella relazione: Un sistema di potere non è una semplice forza che impone un divieto, ma anche qualcosa che attraversa la realtà e produce piacere, conoscenza e discorso. Il tema della personalità dipendente finisce inevitabilmente per intrecciarsi con quello del masochismo e delle perversioni relazionali. Freud definisce il masochismo morale come l’erotizzazione del senso di colpa edipico e la conseguente ricerca di una punizione che diventa fonte di godimento perché sentita come giusta. Kernberg vede nella patologia masochista un conflitto inconscio tra la sessualità e il Super-Io. Il masochismo può essere ricondotto all’aggressività costituzionale o a una relazione traumatica con l’oggetto primario, la madre. l’aspetto disfunzionale delle relazioni di coppia caratterizzate da spiccata dipendenza è associato alla rigidità dei ruoli e alla fissità delle posizioni, Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ un’inflessibilità che si evidenzia nei fenomeni della codipendenza e della collusione. Quest’ultima può essere considerata un’organizzazione difensiva a due. Diagnosi di disturbo codipendente di personalità: - Continuo investimento dell’autostima nella capacità di controllare sé e gli altri nonostante l’evenienza di serie conseguenze negative; - Assunzione di responsabilità per venire incontro ai bisogni degli altri fino a escludere il riconoscimento dei propri; - Ansia e distorsioni del confine di sé in situazioni di intimità e di separazione; - Coinvolgimento in relazioni con soggetti affetti da disturbi di personalità, dipendenza da sostanze, altra codipendenza o disturbi del controllo degli impulsi; - Tre o più dei seguenti: eccessivo ricorso alla negazione, costrizione delle emozioni, depressione, ipervigilanza, compulsioni, ansia atc. Porsi in una posizione secondaria al solo fine di mantenere il sostegno e l’approvazione può anche indicare che il soggetto vive l’ipotesi del fallimenti come un’esperienza devastante. Kernberg segnala l’importanza di differenziare i pazienti con “personalità masochistiche con rinforzo narcisistico secondario di schemi masochistici” da qulli con “personalità narcisistiche la cui caotica vita amorosa può far pensare a schemi masochistici”. Entrambi tendono a cercare partner idealizzati e potenzialmente irraggiungibili, ma i primi hanno la capacità di sviluppare relazioni oggettuali profonde, pur con partner frustranti e sadici, i secondi una volta che i partner sono diventati raggiungibili finiscono per svalutarli. “Perversione relazionale” per descrivere quei legami che si sviluppano sul terreno di strutture narcisistiche della personalità dove l’equilibrio narcisistico deve essere mantenuto manipolando e maltrattando un’altra persona. per riferirsi al maltrattamento di una persona da parte di un’altra Coen sceglie il termine MISUE, “improprio/crudele” serve a evitare/espellere le parti di sé conflittuali o danneggiate per produrre una sorta di dipendenza del maltrattante nei confronti del maltrattato. La dipendenza dell’altro può essere coltivata in molti modi: spingerlo verso obiettivi che non può raggiungere da solo, persuaderlo di non possedere risorse adeguate per un dato scopo, convincerlo di non avere alternative etc. Il fatto che il disturbo dipendente di personalità sia diagnosticato con più frequenza nelle donne è correlabile all’esistenza di stereotipi di genere che favoriscono la dipendenza delle donne e al tempo stesso consentono un espressione più vistosa e socialmente organizzata della loro dipendenza. I legami di genere, coppia e aggressività che spesso portano l’elemento maschile ad assumere su di sé l’illusoria dimensione dell’onnipotenza espellendo e proiettando nell’Altro femminile la dimensione della dipendenza. Le testimonianze di molte donne mostrano il progressivo isolamento fisico ed emotivo in cui vengono costrette dal partner, finalizzato non solo alla riduzione o all’annullamento dei contatti con familiari e amici, ma anche all’abbandono di attività lavorative extra-domestiche. L’obiettivo del partner non è solo di Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ provocare una dipendenza economica, ma anche di eliminare ogni possibile alternativa alla relazione. Il comportamento degli uomini denuncia la loro stessa dipendenza; senza la loro donna da controllare o dominare, si sentirebbero soli in modo intollerabile. Mantenere il proprio partner in uno stato di completa subordinazione diviene una priorità che serve a celare una dipendenza affettiva non riconosciuta né accettata. Questa patologica assunzione degli stereotipi di genere è in grado di produrre donne che depressivamente idealizzano e inconciamente invidiano il potere e la sicurezza dell’uomo che loro non potranno mai essere. Ti do i miei occhi: Per Fonagy, la violenza relazionale è una risposta esagerata del sistema di attaccamento. Egli avanza l’ipotesi che fare del male al proprio partner rappresenti un’esagerazione o una perversione del comportamento di attaccamento. L’intensità e la forza di tale abuso possono essere viste come reazioni a un attaccamento insicuro da parte di uomini con limitate capacità di mentalizzazione che sono stati in passato a loro volta abusati o che hanno assistito a scenari familiari violenti e traumatici. L’atto violento ha una duplice funzione: ricreare e sperimentare il Sé alieno all’interno dell’altro e distruggerlo nella speranza inconscia che scompaia per sempre. Quando vedono il terrore negli occhi delle loro donne, questi uomini si sentono rassicurati. Spesso le peggiori esplosioni di violenza avvengono in concomitanza di promozioni sociali o professionali delle loro donne. Un altro aspetto caratteristico della violenza sulla partner è una tensione crescente con scoppi d’ira accompagnati dalla sensazione di perdere il controllo. Tale impulsività, è legata all’incapacità di rappresentarsi in maniera coerente con i propri stati emotivi. “La gelosia opprimente di questi uomini non è un’espressione di amore o di desiderio, ma una rozza manipolazione che serve a tenere la partner imprigionata e disponibile come regolatore degli stati del Sé” – Fonagy. Il tentativo terapeutico è di aiutarlo a pensare e verbalizzare le proprie emozioni prima di raggiungere il punto di non ritorno. Il masochismo come perversione del desiderio di abbandonarsi: Il concetto di Emmanuel Ghent è quello del “surrender” considerato come un tentativo originale di studiare i fenomeni di dipendenza relazionale nelle loro forme estreme: il masochismo e il sadismo. Tale termine inglese porta con sé un’ambigua semantica che nella traduzione italiana può portare a fraintendersi. Surrender ha infatti il doppio significato di “arrendersi” e “abbandonarsi”, l’autore ha segnalato i punti cardine di tale concetto: Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ - Non è necessariamente richiesta la presenza di un’altra persona, se non eventualmente come guida; ci si può abbandonare in presenza di un altro, ma non a un altro come nel caso della sottomissione; - L’abbandonarsi non è un’attività volontaria: una persona non può scegliere di abbandonarsi, ma può scegliere di sottomettersi; - La direzione ultima dell’abbandonarsi è la scoperta della propria identità, del proprio senso di sé e della propria incertezza; - Nell’abbandonarsi c’è assenza di dominio e di controllo, nella sottomissione è il contrario; - Non sempre è facile distinguere l’abbandonarsi dall’arrendersi alla sottomissione, anche perché la sottomissione è la forma difensiva e mutante dell’abbandonarsi; - La sottomissione porta con sé i segni della sconfitta e della rassegnazione, mentre l’esperienza di abbandonarsi facilita le esperienze della trascendenza e dell’accettazione. Questo bisogno di “abbandonarsi all’altro” avrebbe le sue radici nella spinta motivazionale fondamentale: la ricerca dell’oggetto, con le forme e le vicissitudini che la disponibilità dell’altro può assumere. La sottomissione sarebbe il surrogato perverso del bisogno di abbandonarsi. Nei fenomeni masochistici sarebbe presente una forma mascherata, distorta, dell’abbandonarsi: “Un’esperienza di sottomissione che nega il proprio Sé e in cui la persona è soggiogata dall’altro.” Il sadismo è l’espressione patologica del tentativo di farsi strada fino all’altro, nel masochismo si celerebbe il desiderio di essere scoperti e conosciuti. Riconoscimento e distruzione: I fenomeni di dipendenza relazionale sono un argomento centrale della riflessione psicoanalitica di Jessica Benjamin che intreccia una lettura attenta dell’infant research all’intersoggettivismo e al pensiero femminista. La relazione madre- bambino genera una dialettica tra il disogno dell’altro e l’affermazione del Sé. Una dialettica che ruota attorno al delicato equilibrio tra riconoscimento e distruzione. Inizia qui la riflessione sulla nascita della soggettività attraverso l’intersoggettività. “L’altro deve essere riconosciuto come altro soggetto perché il Sé possa sperimentare la propria soggettività in presenza dell’altro.” E’ ciò che a Benjamin definisce il “paradosso del bisogno di riconoscimento: nel momento stesso in cui realizziamo la nostra indipendenza, diventiamo inevitabilmente dipendenti da qualcuno perché la riconosca. Per sciogliere questo dilemma la Benjamin si ispira a Hegel che riformula il problema del riconoscimento come un conflitto tra l’” indipendenza” e la “dipendenza Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ dell’autocoscienza”, mostrando come il desiderio di indipendenza assoluta di scontri con il bisogno di riconoscimento. L’Io hegeliano se vuole essere riconosciuto si trova a dover riconoscere a sua volta l’altro come un soggetto simile a sé. Capitolo 6°: Le dipendenze tecnologiche La mente dei nuovi scenari dell’addiction “tecno mediata” Mondi tecnologici e virtuali: Il rapporto tra l’uomo e la tecnologia nell’epoca attuale viene ogni giorno più estese, complesso e articolato, modifica gli stili di vita e i comportamenti, i modi di sentire e di pensare, influenza le scelte dei singoli e della collettività. In un senso molto generale siamo diventati tutti tecno dipendenti, in quanto nessuno oggi può fare a meno di strumenti e apparecchiature tecnologiche. Se volgiamo lo sguardo all’antichità remota potremmo anche intravedere una sorta di fil rouge che collega le tecnologie attuali con le prime, rudimentali ma straordinariamente importanti. Ciò che implica una sorta di brusca discontinuità con tutta l’evoluzione tecnica è rappresentato dalla possibilità che oggi ha la tecnologia di creare mondi, di delineare spazi tra la mente e la realtà, tra la realtà e il sogno. Il linguaggio si fa portatore di questo salto in avanti, con una frequente rassegnazione e una vaghezza semantica che ci induce alla utilizzazione di termini prima ancora di averli capiti e padroneggiati, termini che entrano nel dire quotidiano senza che ci sia ancora una verificata comprensione adeguata e completa (cyber world, mondi virtuali, infosfera, tecnosfera, universi telematici etc.). Allo stesso tempo però tali termini ci indicano tutti inequivocabilmente che la tecnologia è oggi impegnata nella creazione di mondi e che in ogni caso tali mondi sono già diventati una parte discretamente consistente della nostra esperienza. Mentre le tecnologie tradizionali rafforzavano e/o rendevano sempre più efficace e preciso il lavoro fisico e consentivano la conoscenza e il possesso dei mondi reali, le nuove tecnologie espandono la nostra azione sui “regni virtuali”. La mente umana non si trova più soltanto a disposizione strumenti, dispositivi, apparecchiature per controllare e manipolare meglio la realtà fisica e concreta, ma si ha la possibilità di utilizzare mezzi per modificare direttamente e intensamente la propria mente, la propria sensorialità. Come vere e proprie protesi psichiche, gli strumenti tecnologici attuali consentono di allargare in modo inesauribile le dimensioni dell’esperienza virtuale, danno libero e facile accesso a interi mondi sensoriali, offrono alla mente crescenti opportunità di interagire con realtà non materiali. L’uso di dispositivi tecnologici danno luogo a condotte disadattattive o compulsive. Non va neanche trascurato che può essere fonte di piacere e gratificazione non solo il contenuto di una esperienza tecno-mediata, ma anche l’uso dello Document shared on https://www.docsity.com/it/le-dipendenze-patologiche-clinica-e-psicopatologia-1/5461170/ strumento e il rapporto diretto con esso. Soprattutto negli adolescenti il mezzo sopravanza lo scopo: il telefonino o il PC tendono a essere valorizzati e desiderati più di quanto siano le esperienze e la dimensione di comunicazione alle quali essi consentono di accedere. L’uso delle nuove tecnologie rappresenta una fenomeno psicosociale titt’altro che nuovo: nel 1930 Allport aveva espresso titubanza sugli effetti psicologici di un uso eccessivo delle radio o della TV. Le condotte disfunzionanti, additive, compulsive vengono definite: dipendenze tecnologiche. Caso clinico n°1: una videocamera per amico: (Giovanni di 28 anni, laureatosi con fatica e ancora deve terminare i suoi studi. Preferisce studiare leggendo le pagine del libro alla TV). In questo caso, l’elemento tecnologi