TEMI/DOMANDE PER L’ESAME ORALE DEL MODULO 2 PDF

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Il documento contiene domande di un modulo 2 relative ai dispositivi medici, in particolare al regolamento MDR del 2017/745 e all'analisi dei rischi. Sono descritti aspetti come la classificazione dei dispositivi, la gestione della qualità, la validazione clinica pre e post-immissione e le responsabilità dei produttori. Il documento ha un carattere accademico ed è collegato ad un possibile esame orale di un modulo didattico.

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TEMI/DOMANDE PER L’ESAME ORALE DEL MODULO 2 1. Dispositivi medici: regolamento MDR 2017/745, definizione di dispositivo medico, classificazione in Europa, sistema di gestione qualità, validazione clinica pre-immissione sul mercato e post-market. REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EURO...

TEMI/DOMANDE PER L’ESAME ORALE DEL MODULO 2 1. Dispositivi medici: regolamento MDR 2017/745, definizione di dispositivo medico, classificazione in Europa, sistema di gestione qualità, validazione clinica pre-immissione sul mercato e post-market. REGOLAMENTO DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO emesso il 5 aprile 2017 relativo ai dispositivi medici. La definizione di dispositivo medico si trova mel regolamento europeo ed è definito come: qualunque strumento, apparecchio, apparecchiatura, software (quando si parla di software si intende un dispositivo attivo), impianto, reagente, materiale o altro articolo, destinato dal fabbricante a essere impiegato sull'uomo, da solo o in combinazione, per una o più delle seguenti destinazioni d'uso (l’utilizzo al quale è destinato un dispositivo secondo le indicazioni fornite dal fabbricante sull'etichetta) mediche specifiche: diagnosi, prevenzione, monitoraggio, previsione, trattamento, attenuazione o compensazione di una lesione o di una disabilità, studio, sostituzione o modifica dell'anatomia oppure di un processo o stato fisiologico o patologico. Inoltre fornisce informazioni attraverso l'esame in vitro di campioni provenienti dal corpo umano, inclusi sangue e tessuti donati, e che non esercita nel o sul corpo umano l'azione principale cui è destinato mediante mezzi farmacologici, immunologici o metabolici, ma la cui funzione può essere coadiuvata da tali mezzi. Un esempio di dispositivo medico sono SISTEMI DI SUPPORTO ALLA DECISIONE e SISTEMI DI TELEMEDICINA per il monitoraggio remoto, invece non sono esempi di dispositivi medici SISTEMI INFORMATIVI OSPEDALIERI e RECORD ELETTRONICI DEL PAZIENTE, anche se singoli funzioni e moduli potrebbero esserlo. In Europa i dispositivi secondo l’articolo 51 sono suddivisi in classi: I, IIa, IIb, III in base alla destinazione d’uso e dei rischi che comportano (1 più sicuro, 3 più rischioso). Il software destinato a fornire informazioni utilizzate per prendere decisioni a fini diagnostici o terapeutici rientra nella classe IIa, a meno che tali decisioni abbiano effetti tali da poter causare: - il decesso o un deterioramento irreversibile delle condizioni di salute di una persona, nel qual caso rientra nella classe III, o - un grave deterioramento delle condizioni di salute di una persona o un intervento chirurgico, nel qual caso rientra nella classe IIb. Il software destinato a monitorare i processi fisiologici rientra nella classe IIa, a meno che sia destinato a monitorare i parametri fisiologici vitali, ove la natura delle variazioni di detti parametri sia tale da poter creare un pericolo immediato per il paziente, nel qual caso rientra nella classe IIb. Tutti gli altri software rientrano nella classe I. Un Sistema di Gestione della Qualità è l'insieme di tutte le attività collegate e interdipendenti che influenzano la qualità di un prodotto o di un servizio. Per quanto riguarda la validazione clinica pre-immissione sul mercato si fa riferimento all’articolo 5 del regolamento del parlamento europeo e del consiglio in cui si dice che la dimostrazione della conformità di un dispositivo medico ai requisiti generali di sicurezza e prestazione comprende una valutazione clinica a norma dell'articolo 61. L’articolo 61 dice che la conferma del rispetto dei pertinenti requisiti generali di sicurezza e prestazione nelle normali condizioni della destinazione d'uso del dispositivo, nonché la valutazione degli effetti collaterali indesiderati e dell'accettabilità del rapporto benefici-rischi si basano su dati clinici che forniscono evidenze cliniche sufficienti. Il fabbricante ha una serie di obblighi da rispettare indicati nell'articolo 10 per cui deve: - precisare e motivare il livello di evidenze cliniche necessario a dimostrare il rispetto dei pertinenti requisiti generali di sicurezza e prestazione. Tale livello di evidenze cliniche dev'essere appropriato in considerazione delle caratteristiche del dispositivo e della sua destinazione d'uso. A tal fine, i fabbricanti pianificano, effettuano e documentano una valutazione clinica. - redigere e tenere aggiornata una documentazione tecnica tale da consentire che sia valutata la conformità del dispositivo alle prescrizioni del regolamento anche nel caso in cui il regolamento venga aggiornato e subisca variazioni in modo da garantire una gestione della qualità in maniera più efficace e proporzionato alla classe di rischio. Questo comprende effettuare anche dei follow-up clinici post commercializzazione PMCF. - assicurarsi che la fabbricazione e l'utilizzo dei dispositivi avvengano secondo sistemi adeguati di gestione della qualità - assumersi la responsabilità della gestione del dispositivo che comprende i rischi - deve garantire che all’interno dell'organizzazione ci sia almeno una persona responsabile che possieda le competenze necessarie nel settore di dispositivi medici (diploma o certificato in una disciplina scientifica pertinente con almeno 1 anno di esperienza professionale) Se il dispositivo che il commerciante vuole mettere in commercio è equivalente a uno già commercializzato non fabbricato da lui, può comunque procedere a condizione che siano soddisfatte le seguenti condizioni: - i due fabbricanti hanno posto in essere un contratto che consente espressamente al fabbricante del secondo dispositivo pieno accesso alla documentazione tecnica su base continuativa, e - la valutazione clinica originale è stata effettuata nel rispetto delle prescrizioni del presente regolamento, e il fabbricante del secondo dispositivo fornisce una chiara evidenza di ciò all'organismo notificato. Se si tratta di un dispositivo diverso da un dispositivo su misura i fabbricanti, i mandatori e gli importatori si devono registrare a un sistema elettronico EUDAMED (nominato nell’articolo 30) che è la banca dati europea dei dispositivi medici gestita dalla commissione. L’Eudamed consente al pubblico di essere informato riguardo ai dispositivi immessi nel mercato e sulle indagini cliniche, consente l’identificazione unica dei dispositivi nel mercato per agevolare la tracciabilità e rafforza la cooperazione reciproca in ambito medico. Inoltre per mettere sul mercato un qualunque dispositivo il fabbricante deve richiedere a un organismo notificato (ovvero un ente o un organismo designato e autorizzato da un'autorità competente per valutare la conformità di un prodotto o di un sistema con determinati requisiti o normative) che gli rilascia un certificato redatto in una delle lingue ufficiali dell'Unione. Questi certificati hanno una valenza di durata finita e su domanda del fabbricante, la validità del certificato può essere prorogata per ulteriori periodi ma comunque al massimo di 5 anni ogni volta. Sulla base dell’articolo 61 la valutazione clinica segue una procedura definita e metodologicamente valida fondata su: a) un'analisi critica della letteratura scientifica attualmente disponibile sui temi della sicurezza, della prestazione, delle caratteristiche di progettazione e della destinazione d'uso del dispositivo, a condizione che: - sia dimostrato che il dispositivo oggetto della valutazione clinica per la destinazione d'uso è equivalente al dispositivo cui si riferiscono i dati […] e - i dati dimostrino adeguatamente la conformità ai pertinenti requisiti generali di sicurezza e prestazione; b) un'analisi critica dei risultati di tutte le indagini cliniche disponibili, […] c) un esame delle eventuali opzioni di trattamento alternativo attualmente disponibili per lo stesso scopo. La valutazione clinica e relativa documentazione sono aggiornate nel corso dell'intero ciclo di vita del dispositivo in questione con i dati clinici ottenuti in seguito all'attuazione del piano PMCF e del piano di sorveglianza post-commercializzazione del fabbricante. Per quanto riguarda la post-commercializzazione i fabbricanti provvedono a pianificare, istituire, documentare, applicare, mantenere e aggiornare un sistema di sorveglianza post-commercializzazione. Il sistema forma parte integrante del sistema di gestione della qualità del fabbricante Il sistema di sorveglianza post-commercializzazione è atto a raccogliere, registrare e analizzare attivamente e sistematicamente i pertinenti dati sulla qualità, le prestazioni e la sicurezza di un dispositivo durante la sua intera vita I dati raccolti dal sistema di sorveglianza post-commercializzazione del fabbricante sono usati in particolare ai seguenti scopi: - valutazione dei rischi - aggiornare - progettazione - istruzioni, etichette - sicurezza e prestazione clinica - esigenza di azioni correttive e preventive - migliorare l'utilizzabilità, le prestazioni e la sicurezza del dispositivo - analisi tendenze In deroga all'articolo 5 del presente regolamento, un dispositivo può essere immesso sul mercato o messo in servizio a condizione che a decorrere dalla data di applicazione del presente regolamento continui a essere conforme a una di tali direttive e a condizione che non ci siano cambiamenti significativi nella progettazione e nella destinazione d'uso. RECAP Lo sviluppo e la validazione clinica di un dispositivo medico devono essere pianificati ed eseguiti secondo le normative. Il processo inizia già nella fase di progettazione. Tutti i processi richiedono un sistema di gestione della qualità. Interfacce utente e manuali sono estremamente importanti. Deve essere fornita prova che l'operatore possa utilizzare il dispositivo in modo corretto e sicuro. Se sei l'utente e/o un acquirente, verifica sempre l'uso previsto e la dichiarazione di conformità. 2. Analisi dei rischi: definizione e motivazioni per l’analisi dei rischi, descrizione del processo, concetto di probabilità VS impatto e di rischio residuo. Esempi di applicazione. Analisi rispetto all’uso/scopo previsto e all’uso improprio ragionevolmente prevedibile. Comprende i pericoli noti o prevedibili sia in condizioni normali che di guasto. Vengono introdotte azioni di riduzione del rischio, in modo tale da renderlo a un livello pari o inferiore al livello ritenuto come accettabile. Le misure di controllo del rischio vengono implementate e verificate nella loro efficacia, individuando i rischi residui ottenuti. Perchè fare l’analisi dei rischi? - Sicurezza del paziente e dell’operatore ma anche rispetto a terzi ed all’ambiente - Per la conformità alle norme → l'analisi dei rischi fornisce un metodo per dimostrare che sono state prese misure adeguate per ridurre o eliminare i rischi collegati all’utilizzo del dispositivo. - Per prendere decisioni informate nell’arco di tutto il ciclo di vita del dispositivo, dal design, alla scelta dei materiali, delle funzionalità, etc. - Responsabilità Legale → in caso di eventi avversi o lesioni ai pazienti, l'analisi dei rischi può essere utilizzata come prova che il produttore ha seguito delle buone pratiche e che ha fatto tutto quello che era ragionevolmente possibile fare. Le responsabilità sono personali e vengono tracciate per ogni aggiornamento del documento. Questo vale per ciascun documento all’interno del fascicolo tecnico del dispositivo ed in generale vale per qualsiasi documento prodotto all’interno di un Sistema Gestione Qualità. L’analisi dei rischi è un processo iterativo che inizia con il design del dispositivo e che termina solo con il suo ritiro dal mercato. Se il processo in sé è piuttosto lineare, la sua padronanza richiede esperienza e risorse adeguate. Il processo Ogni fase del processo di analisi è codificata. Entrano nel processo non solo i rischi ma anche i benefici che il dispositivo può determinare. Per completare la valutazione sarà quindi necessario avere un quadro completo anche dal punto di vista della validità clinica. Probabilità vs Impatto Per ogni rischio individuato viene definita una probabilità che l’evento si verifichi e si valuta l’impatto che il suo verificarsi può avere. Vengono individuati e dettagliati i rischi, la loro causa, cosa comporterebbe il verificarsi dell’evento e su chi/cosa si riflette questo impatto. Viene implementato un intervento di riduzione/eliminazione del rischio e vengono riportate le sorgenti che dimostrano l’implementazione dell’intervento e la sua efficacia. Sia prima che dopo l’intervento vengono riportate probabilità e gravità del rischio dalle quali si determina la sua accettabilità. Esempi: - PERICOLI LEGATI ALL’ENERGIA E FATTORI CONTRIBUENTI: Elettricità - PERICOLI BIOLOGICI E FATTORI CONTRIBUENTI: Biocontaminazione – bioincompatibilità – formulazione non corretta - PERICOLI AMBIENTALI E FATTORI CONTRIBUENTI: Campi elettromagnetici – suscettibilità all’interferenza elettromagnetica - PERICOLI RISULTANTI DA USCITA NON CORRETTA DI ENERGIA E SOSTANZE: Elettricità - PERICOLI DERIVANTI DA GUASTO FUNZIONALE, MANUTENZIONE, INVECCHIAMENTO E FATTORI CONTRIBUENTI: Trasferimento dei dati errati - PERICOLI RELATIVI ALL’UTILIZZO DEL DISPOSITIVO MEDICO E FATTORI CONTRIBUENTI :Etichettatura inadeguata - INTERFACCIA UTENTE (COMUNICAZIONE UOMO/MACCHINA) INAPPROPRIATA, INADEGUATA O ECCESSIVAMENTE COMPLICATA: Sbagli ed errori di giudizio 3. Dai dati alle informazioni. Parametri descrittivi di un sistema di immagini, frequenza spaziale, Point Spread Function e Modulation Transfer Function. La conoscenza della bioimmagini, e dei metodi di acquisizione delle stesse, è utile per almeno due motivi: 1. L’estrazione dell’informazione (essenzialmente quello che vedremo in questa presentazione) 2. Per poter gestire al meglio questi dispositivi. Dall’acquisizione (scrittura di capitolati) delle tecnologie, al collaudo, alla manutenzione, alla taratura, etc. (essenzialmente il punto di vista dell’ingegnere clinico, che vedrete in un altro corso) Strumentazione biomedica Quasi tutti i dati di questo tipo sono memorizzati in formato proprietario. Gli standard sono pochi e raramente adottati. Un'eccezione è il formato C3D per l'analisi del movimento. Bioimmagini Le immagini mediche sono archiviate in database specializzati chiamati PACS (Picture Archival and Communication Systems). La maggior parte dei sistemi di imaging clinico (radiografie, TAC, risonanze magnetiche, ecc.) supporta lo standard DICOM3 per l'archiviazione e la trasmissione questo significa che posso recuperare le immagini da qualsiasi PACS in un formato leggibile dalla macchina. Dato strutturato VS Dato non strutturato Non strutturati: quando non seguono una struttura predefinita; sono leggibili solo dall'uomo. Strutturati: quando sono organizzati in una struttura predefinita; sono leggibili anche dalle macchine. Cosa sono i metadati? I metadati sono un tipo speciale di dato che forniscono informazioni su altri dati, rispondendo, ad esempio, alle domande: Cosa? Dove? Chi? Quando? I metadati trasformano i dati grezzi, che da soli non significano nulla, in informazioni. esempio: La Tomografia Computerizzata Biomeccanica di Bologna (BBCT) è un gemello digitale in cui un modello specifico per il paziente predice il rischio di frattura dell'anca di un individuo osteoporotico in caso di caduta. È un predittore di fratture che utilizzato per: - identificare i pazienti ad alto rischio → iniziare tempestivamente i trattamenti → ridurre l'incidenza delle fratture del femore - valutare l'efficacia di nuovi farmaci → ridurre i costi di sviluppo dei farmaci e il time-to-market. Metodi di formazione delle immagini La formazione delle immagini richiede che un’opportuna forma di energia interagisca con la struttura studiata in modo che una grandezza fisica associata riproduca con la sua distribuzione spaziotemporale l’analoga distribuzione di altre grandezze fisiche (di interesse medico) nella struttura. Perché ci sono tante tecniche? I differenti metodi sono basati su differenti interazioni di energia coi tessuti biologici e quindi forniscono misure di differenti proprietà fisiche delle strutture Ogni immagine è quindi una rappresentazione parziale della realtà. L’integrazione delle informazioni contenute con diverse metodiche costituisce un arricchimento della rappresentazione complessiva della realtà osservata. Due tessuti simili rispetto ad una data proprietà fisica possono differire molto per altre proprietà (ad esempio, muscolo ed acqua hanno un coefficiente di attenuazione simile per i raggi X ma molto diverso per la luce visibile) Il compito della ricerca nella diagnostica per immagini `è capire come queste disparità fisiche possono essere utilizzate per evidenziare anormalità conseguenti a condizioni patologiche Un processo di immagine comporta in genere: - La generazione di un fascio di energia mediante una sorgente esterna o interna all’oggetto - L’interazione (trasmissione, riflessione) dell’energia generata con la materia costituente la scena osservata - La generazione di un fascio di energia emergente che rende accessibile tramite adeguate misure, una determinata grandezza caratteristica g (attenuazione, riflettanza, attività della sorgente). In questo modo si associa alla scena la distribuzione spazio-temporale g(x,y,z,t) della grandezza fisica in questione) - Una trasformazione geometrica (proiezione, scansione planare) che associa alla g(x,y,z,t) un’altra grandezza i(x,y,t) funzione delle coordinate di un piano (piano immagine) e del tempo Metodi di formazione delle immagini ESEMPIO: Il "tubo radiogeno" (o "tubo a raggi X") è un tubo sigillato al vuoto che contiene un catodo e un anodo. Il catodo emette elettroni quando viene riscaldato e gli elettroni vengono accelerati verso l'anodo grazie a una differenza di potenziale e colpiscono il materiale dell'anodo. Quando gli elettroni colpiscono l'anodo, si verificano collisioni che generano radiazioni X → queste radiazioni vengono quindi focalizzate e utilizzate per formare immagini del corpo umano o di oggetti all'interno di apparecchiature diagnostiche. Frequenza spaziale consiste nell’analisi di Fourier per segnali e per immagini Variazioni ”brusche” dei livelli di grigio i(x,y) associate alle alte frequenze spaziali (contorno di un oggetto o rumore) Studio sistemi lineari spazio invarianti: trasformano un ingresso sinusoidale di una data frequenza in una sinusoide della medesima frequenza modificandone ampiezza e fase. E’ spesso possibile approssimare un sistema di immagine tramite un modello lineare spazio-invariante e descriverne il comportamento nel dominio delle frequenze spaziali tramite la funzione di risposta impulsiva, Point Spread Function PSF(x,y). Nel dominio della frequenza, la relativa risposta `e detta Optical Transfer Function OTF(u,v); la sua ampiezza prende il nome di Modulation Transfer Function MTF(u,v) e la risposta di fase `e detta Phase Transfer Function PTF(u,v). PSF (Point Spread Function) PSF(x,y) può essere interpretata come l’immagine di un oggetto di dimensioni spaziali trascurabili (un punto). L’effetto del sistema sarà in ogni caso quello di fornire una versione sfocata dell’ingresso facendo apparire un punto come una ”macchiolina”. Per un sistema lineare tale immagine definisce la Point Spread Function MTF (Modulation Transfer Function) Nel dominio della frequenza ci `o `e legato alla banda necessariamente finita del sistema: in questo caso la MTF ci dice come viene modificata l’ampiezza delle singole componenti sinusoidali e caratterizza quindi quanto bene il sistema riproduca ogni componente spaziale La MTF dà l’attenuazione dell’ampiezza delle componenti sinusoidali dell’immagine di ingresso Parametri fisici e descrittivi di un sistema di immagini Le prestazioni di un sistema che genera immagini a scopo diagnostico possono essere valutate a partire da un numero limitato di parametri fisici, quali: - contrasto - Risoluzione (spaziale, temporale e in ampiezza) - Rapporto segnale-rumore - Eventuale presenza di artefatti (risultato di imperfezioni tecniche del processo di generazione dell’energia o del meccanismo di rilevazione, processi di diffusione k di interferenza che possiamo considerare come parassiti rispetto al meccanismo primario di interazione fra energia e materia) - Distorsioni spaziali - Effetti dovuti alla discretizzazione degli algoritmi di ricostruzione Contrasto Il valore puntuale dell’immagine i(x,y) non è la grandezza più significativa per descrivere il contenuto informativo delle immagini, più importante è la sua variazione relativa denominata contrasto che descrive la variazione di intensità prodotta da un oggetto nell’immagine. Il contrasto c tra un’areola a dell’immagine e lo sfondo s che la circonda può essere definito ∆𝑖 𝑖𝑎−𝑖𝑠 come 𝑐 = 𝑖 = 𝑖𝑎 Risoluzione La risoluzione di una misura rappresenta la minima variazione apprezzabile della grandezza misurata in tutto il campo di misura Nel caso delle immagini esistono tre tipi di risoluzione: - spaziale: descrive la distinguibilità di oggetti piccoli e ravvicinati, come un sistema di barre nere e alternate e spazi chiari, per cui la risoluzione viene normalmente espressa in coppie di linee per millimetro (cl/mm); se fmax è la risoluzione di un sistema, hmin=1/(2fmax) corrisponde alle dimensioni della più piccola struttura che può essere distinta - Temporale: indica quante immagini possono essere acquisite nell’intervallo di tempo e dipende quindi dal tempo richiesto per l’acquisizione di una singola immagine; ci sono alcune tecniche che consentono l’acquisizione ad una cadenza tale da consentire lo studio di strutture in movimento come il cuore (ecocardiografia) o di fenomeni dinamici, come la risposta neuronale a stimoli sensoriali (risonanza magnetica funzionale) - Di ampiezza: indica la minima variazione ∆i rilevabile; esperimenti di psicofisica hanno dimostrato che il sistema visivo umano è sensibile non tanto ai valori assoluti della luminosità di un oggetto di una scena, quanto alla luminosità relativa rispetto agli oggetti che gli stanno intorno Rapporto segnale-rumore La presenza di rumore è inevitabile, anche con buone caratteristiche di risoluzione spaziale e contrasto, può essere difficile individuare una struttura se il rumore nell’immagine è elevato Il rumore può essere dovuto a vari fenomeni: - fluttuazioni statistiche nella sorgente che produce l’energia usata (ad esempio il rumore quantico delle immagini fotoniche) - Fluttuazioni introdotte dai vari anelli della catena dell’immagine - Fenomeni parassiti nell’interazione energia-materia, come la diffusione A causa delle inevitabili fluttuazioni statistiche la i(x,y) è da intendersi una grandezza aleatoria, si può definire il 𝑖 rapporto segnale rumore SNR come 𝑆𝑁𝑅 = σ𝑖 Dove i è il valore medio dell’immagine (in un certo punto) e σ la relativa deviazione standard 𝑖 Questa definizione non è sempre direttamente collegata al contenuto informativo dell’immagine, più significativa è in genere una definizione “differenziale” relativa ad esempio ad un piccolo dettaglio di area a ove l’intensità media dell’immagine ia rispetto al valore is del fondo 𝑖𝑎−𝑖𝑠 𝑐𝑖𝑠 Detta σ la deviazione standard del rumore, si considera la quantità 𝑆𝑁𝑅 = σ𝑖 = σ𝑖 𝑖 𝑑 che consente di valutare l’effetto del rumore in relazione al contrasto del dettaglio Immagini fotoniche Include le immagini in luce visibile, le immagini radiografiche e quelle di medicina nucleare Sono affette da fluttuazioni di natura stocastica legate alla produzione dei quanti di energia ed ai processi di rivelazione (rumore quantico) + rumore termico Il rumore quantico è caratterizzato da statistica poissoniana (varianza=valor medio) Nel campo diagnostico, il rumore termico assume valori intorno a 0,1 eV, trascurabili rispetto alle energie E=hv con h costante di Planck e v frequenza della radiazione, energie di 10^4-10^5 eV delle radiazioni X e gamma Se N è il numero di fotoni raccolti su una areola del sensore in un certo intervallo di tempo ed N| il numero medio del conteggio fotonico, la sua varianza sarà ancora N| e la deviazione standard radice di N 𝑁 Nel caso delle immagini fotoniche potremo quindi scrivere per il rapporto segnale-rumore: 𝑆𝑁𝑅 = = 𝑁 𝑁 Discretizzazione dell’immagine È il risultato di due processi: - campionamento: rappresentare un’immagine mediante una successione (o una matrice) di numeri, idealmente è il prodotto di i(x,y) per un pettine bidimensionale di impulsi spaziati di deltax, deltay nelle due direzioni; Teorema del campionamento → se l’immagine i(x, y) a banda limitata, ossia se il suo spettro è nullo per - quantizzazione: scelta del numero B di bit di conversione in base a criteri empirici in modo da non degradare significativamente il valore di SNR, ovvero di mantenere dominante il rumore proprio dell’immagine rispetto a quello di quantizzazione; trasformazione reversibile dei valori analogici dei campioni di un’immagine in livelli di grigio Altri fattori di distorsione Distorsioni geometriche legate alla trasformazione geometrica operata dal passaggio da coordinate dello spazio D alle coordinate 3D del piano, può essere valutata dall’immagine di una griglia rettangolare Dia uniformità di campo: disomogeneità della risposta del sensore (non invarianza spaziale), possono essere compensate con opportune tarature, variabile di caso in caso 4. Radioisotopi e macchine radiogene. Definizioni. Come e perché vengono prodotti materiali radioattivi artificiali. Effetti delle radiazioni ionizzanti. 1895: scoperta dei raggi X 1896: scoperta dei raggi Y Radiazione: propagazione di energia attraverso lo spazio o un qualunque mezzo materiale, sottoforma di onde o di energia cinetica propria di alcune particelle Ionizzante: indica la capacità di rompere i legami atomici e molecolari della materia bersaglio con cui interagiscono, modificandone lo stato chimico Le sorgenti di radiazioni ionizzanti sono: RADIOISOTOPI e MACCHINE RADIOGENE I radioisotopi o radionuclidi sono atomi che emettono radiazioni. Sono caratterizzati da instabilità nucleare, dovuta ad uno sbilanciamento nel rapporto neutroni/protoni del nucleo. Questo fenomeno viene definito radioattività. La capacità di un materiale di produrre radiazioni mediante un certo numero di disintegrazioni (decadimenti) nucleari spontanee nell’unità di tempo viene detta attività. L’unità di misura è il Becquerel (Bq); 1 Bq = 1 disintegrazione al secondo. Un radionuclide, emettendo radiazione, si trasforma in un atomo stabile (e quindi incapace di emettere). In qualsiasi materiale composto da un insieme di radionuclidi, la trasformazione radioattiva non avviene nello stesso −λ𝑡 istante per tutti gli atomi. Il numero N di nuclei radioattivi dopo un tempo t è dato da: 𝑁 = 𝑁𝑜𝑒 , dove No è il numero di nuclei per t = 0 e λ la costante di decadimento del nuclide. Pertanto la quantità di materiale radioattivo, col passare del tempo, diminuisce e di conseguenza diminuisce anche la quantità della radiazione emessa (decadimento radioattivo) fino a che questa diventa trascurabile. Il tempo necessario per dimezzare l’attività è detto tempo di dimezzamento o emivita T1/2, con: 𝑙𝑛2 0.693 𝑇1/2 = λ ≈ λ Il valore del tempo di dimezzamento è estremamente variabile da radionuclide a radionuclide. A titolo di esempio l’emivita del Carbonio 11 è di alcuni minuti mentre quella del Carbonio 14 è di alcune migliaia di anni. Il radioisotopo artificiale Elio 3 (3He) ha un emissività di circa 10−20 secondi, mentre quella del Rubidio 87 (87Rb) 10 è maggiore di 10 anni. Il decadimento radioattivo si accompagna all’emissione di radiazioni α, β− (elettroni), β+ (positroni) e γ con varie modalità: - Decadimento α → Vengono emesse particelle α cioè elioni (2 protoni + 2 neutroni). In seguito all’emissione di una particella α il numero di massa (somma di protoni e neutroni) diminuisce di 4 ed il numero atomico di 2 (numero di protoni). Le particelle α non sono adatte per generare immagini in quanto vengono assorbite dalla materia. Vengono utilizzate in radioterapia - Decadimento β− →Un neutrone si trasforma in un protone + un elettrone (+ un antineutrino che non interagisce con la materia). Il numero di massa (somma di neutroni e protoni) rimane invariato, il numero atomico aumenta di 1 (numero di protoni). I β− (elettroni) a causa della loro bassa energia non riescono ad uscire dal corpo e non sono pertanto usati per tecniche d’immagine, con l’eccezione della autoradiografia su reperti istologici - Decadimento β+ → Un protone si trasforma in un neutrone + un positrone + un neutrino. Il numero di massa rimane invariato, il numero atomico diminuisce di 1. Avviene solo quando la differenza di energia tra nuclide padre e nuclide figlio è maggiore di 1022 keV. Quando un β+ (positrone) è emesso nel corpo si propaga per circa un millimetro prima di annichilirsi con un β− (elettrone), produce due fotoni da 511 keV (fotoni ad alta energia = raggi γ) in direzioni quasi diametralmente opposte. Il processo di annichilazione deve soddisfare le leggi di conservazione della carica, dell’energia, della quantità di moto (massa per velocità, è una quantità vettoriale) e del momento della quantità di moto Se la quantità di moto delle due particelle è inizialmente nulla, i due fotoni vengono emessi collinearmente in versi opposti; se la quantità di moto iniziale non è nulla, si osserverà la quasi collinearità Questo fenomeno è rilevante in situazioni come la tomografia ad emissioni di positroni (PET) in medicina nucleare, dove viene utilizzata la rilevazione di positroni e la successiva emissione di raggi gamma per ottenere immagini di processi biologici nel corpo - Conversione elettronica interna → un elettrone orbitale viene catturato dal nucleo: un protone si trasforma in neutrone + un neutrino. Si ha l’emissione di un γ in seguito al riequilibrio dei livelli elettronici. Il decadimento può portare a un vuoto elettronico nell'orbitale atomico. Questo vuoto può essere successivamente riempito da un elettrone proveniente da un orbitale superiore. Quando questo elettrone si sposta per colmare il vuoto, può rilasciare energia sotto forma di raggi X. Un esempio di questo fenomeno è la cattura elettronica da parte di un nucleo radioattivo, che può portare alla produzione di raggi X caratteristici. Questo processo è spesso coinvolto in tecniche di imaging radiografico e può essere utilizzato in applicazioni diagnostiche in campo medico Per macchine radiogene si intendono tutte le apparecchiature in grado di produrre radiazioni ionizzanti. Mentre i radioisotopi emettono radiazioni in modo continuativo, con una diminuzione dell’attività nel tempo, le macchine radiogene emettono radiazioni solo nel momento in cui vengono attivate. Le macchine radiogene presenti in ambito ospedaliero sono le apparecchiature a raggi X impiegate per la diagnostica radiologica, gli acceleratori lineari utilizzati in radioterapia e i ciclotroni utilizzati per la produzione di farmaci emittenti positroni. Per quanto riguarda la produzione di materiale radioattivo artificiale vengono utilizzati procedimenti di radiochimica (branca della chimica che si occupa di studio e impiego pratico delle sostanze radioattive). Per la cattura di elettroni per produrre neutroni si utilizza un reattore nucleare (0.1 < E < 100eV). Bombardamento di nuclei di atomi stabili con particelle cariche. Le particelle devono avere energia cinetica sufficientemente elevata da vincere la repulsione elettromagnetica. A questo scopo si utilizzano gli acceleratori (lineari o ciclotroni) con energie nell’intervallo 1- 100MeV. Gli acceleratori lineari e i ciclotroni sono entrambi tipi di acceleratori di particelle utilizzati per incrementare l'energia cinetica delle particelle cariche, come protoni o elettroni, ma differiscono nella loro progettazione e nel principio di funzionamento. - Acceleratori Lineari: Gli acceleratori lineari sono costituiti da una serie di «tubi allineati» lungo una linea retta. Le particelle vengono accelerate linearmente attraverso queste cavità. - Ciclotroni: I ciclotroni sono dispositivi circolari che sfruttano un campo magnetico per far muovere le particelle cariche lungo una traiettoria circolare. Principio di Funzionamento: - Acceleratori Lineari: Le particelle vengono accelerate mediante campi elettrici alternati lungo il percorso lineare. - Ciclotroni: Le particelle vengono accelerate attraverso il cambiamento di direzione del loro moto causato dal campo magnetico oscillante. Energia Massima: - Acceleratori Lineari: Gli acceleratori lineari sono spesso utilizzati per accelerare particelle ad altissime energie, ma la lunghezza fisica dell'acceleratore può essere significativa. - Ciclotroni: I ciclotroni sono più compatti ma sono generalmente limitati in termini di energia massima raggiungibile. Applicazioni: - Acceleratori Lineari: Sono comunemente utilizzati in applicazioni mediche, come gli acceleratori lineari per la radioterapia, nonché in esperimenti di fisica delle particelle e acceleratori di fasci di elettroni per microscopia elettronica. - Ciclotroni: Sono spesso utilizzati in medicina nucleare per la produzione di radiofarmaci e in laboratori di ricerca per esperimenti di fisica nucleare. I primi modelli di pacemaker utilizzano radioisotopi come sorgente di energia. In pratica, il solo combustibile utilizzato è stato il plutonio (238Pu) che emette particelle α ad alta velocità. La loro energia cinetica è trasformata in calore e poi convertita in energia elettrica mediante termopile. Poiché il plutonio ha una emivita di 87 anni, è sufficiente aumentare opportunamente la quantità di «combustibile» per garantire una piena funzionalità dopo 20 anni o più. Il principale svantaggio di questa sorgente di energia è la prolungata tossicità: dopo un millennio un pacemaker nucleare ha ancora un residuo potere contaminante. ESEMPIO: se Xmin è la quantità di 238Pu in grado di fornire l'energia elettrica richiesta dal pacemaker, come calcolo l’incremento percentuale di combustibile necessario per avere, anche dopo 20 anni, una quantità di combustibile attivo non inferiore a Xmin? Effetti delle radiazioni ionizzanti Gli effetti biologici di tutti i tipi di radiazioni ionizzanti sono simili, le radiazioni passando attraverso cellule viventi ionizzeranno atomi e molecole nella struttura cellulare, causando la rottura dei legami molecolari. Questo produce ioni e radicali liberi, cioè atomi o molecole con elettroni non accoppiati) con una forte tendenza a formare legami chimici con altri atomi o molecole all’interno delle cellule Gli ioni e i radicali liberi interagiscono con altri atomi, provocando danni che qualche volta sono riparabili mentre in altri casi conducono alla morte delle cellule. I radicali liberi infatti agiscono sulle altre molecole che si trovano nella soluzione acquosa, creando composti chimici non presenti in precedenza Molti dei composti chimici che si vengono così a creare sono biologicamente dannosi o sono il presupposto di reazioni a catena dannose, come conseguenza di queste reazioni chimiche si verificano nella cellula modificazioni che possono determinarne la morte o danneggiamenti I danni possono essere riparati dalle cellule in modo corretto (senza altre conseguenze) o in modo erroneo (con la conseguenza di possibili difficoltà durante la duplicazione) Queste difficoltà possono riflettersi in un danno per l’organo a cui la cellula appartiene e quindi per l’interno individuo Gli effetti delle radiazioni dipendono statisticamente da quanta energia viene ceduta da queste all'organismo I danni al DNA cellulare conducono a mutazioni somatiche che possono manifestarsi anche dopo anni dall’esposizione o a mutazioni genetiche che possono apparire in generazioni successive Se la cellula modificata è ancora in grado di riprodursi, essa può dare luogo, dopo un periodo di latenza di durata variabile, ad una patologia neoplastica maligna se si tratta di una cellula somatica (per tali tipi di effetti non esiste una dose soglia) Le neoplasie che con maggiore probabilità conseguono a esposizione cronica a radiazioni ionizzanti sono le leucemie e i tumori cutanei Se viene interessata una cellula germinale, gli effetti delle radiazioni ionizzanti possono interessare, oltre al soggetto esposto, anche i suoi figli Tali effetti sono conseguenti ad un danno indotto dalle radiazioni ionizzanti sul DNA delle cellule germinali oppure all’irradiazione del prodotto del concepimento durante la vita uterina Le radiazioni ionizzanti possono provocare la morte di cellule, in genere tessuti in cui le cellule proliferano rapidamente Gli effetti si manifestano da 1 a 3 settimane dopo l’esposizione o più rapidamente nel caso di danni al midollo osseo (febbre, infezioni, emorragia), al sistema gastrointestinale (dolore, vomito, diarrea, etc) o al sistema nervoso centrale (letargia, convulsioni, encefalite). Nell’ultimo caso i sintomi si manifestano dopo minuti o ore. 5. Raggi X: definizione e caratteristiche. Spettro continuo e spettro caratteristico. Caratteristiche dei tubi ragiogeni. I raggi X sono costituiti da fotoni, caratterizzati dalla loro lunghezza d’onda λ e quindi dalla loro energia E, ℎ𝑐 secondo la relazione: 𝐸 = ℎ𝑣 = λ , dove ν è la frequenza dell’onda elettromagnetica, c è la velocità della luce e h `e la costante di Planck. Proprietà: - Penetrazione: i raggi X consentono di ottenere immagini d’ombra delle strutture all’interno del corpo umano, grazie al contrasto risultante fra ossa e tessuti vari, dovuto alla loro diversa densità, che causa diversa opacità al fascio X che “illumina” il corpo - Fluorescenza: i raggi X, invisibili all’occhio umano, rendono fluorescenti in modo visibile alcuni materiali: questa proprietà è usata nella tecnica radiologica per convertire l’immagine a raggi X (immagine radiante) in un’immagine luminosa osservabile - Azione Chimico-Fisica: : i raggi X impressionano direttamente le pellicole fotografiche, in maniera simile ai fotoni della luce visibile. Essi possono anche interagire con le molecole organiche, “bombardandole”, volutamente, nel caso di applicazioni terapeutiche, o involontariamente, provocando danni biologici ai tessuti a causa dell’apporto energetico Un sistema a raggi X comprende un tubo radiogeno, un bersaglio (paziente) e un recettore-rivelatore → le energie sfruttate in radiodiagnostica ricadono nel range convenzionale 12-124 keV. Il fascio di fotoni attraversando il bersaglio viene non solo attenuato, ma anche diffuso; inoltre esso non è mai monocromatico ma presenta uno spettro di emissione che può essere diviso in due componenti principali: lo spettro di raggi X continuo (senza righe spettrali distinte) → è prodotto dal processo di Bremsstrahlung «radiazione di frenamento», in cui l'energia dei raggi X continui varia da zero al massimo, determinato dall'energia massima degli elettroni colpenti. Il processo di Bremsstrahlung avviene quando una particella carica, elettrone o positrone, incontra un nucleo atomico e subisce un cambio di direzione o una decelerazione a causa dell'interazione elettromagnetica con il nucleo. In questo processo, parte dell'energia cinetica della particella carica viene convertita in radiazione elettromagnetica, che può includere raggi X o raggi gamma. La gamma di energia della radiazione emessa può variare notevolmente e dipende dall'energia iniziale dell'elettrone e dall'intensità del campo elettrico attraverso il quale passa. Nei tubi a raggi X, elettroni ad alta energia vengono accelerati verso un bersaglio metallico, e durante il processo di frenamento emettono raggi X lo spettro di raggi X caratteristico → (o da collisione) è associato alla transizione degli elettroni degli strati interni degli atomi. Quando un elettrone viene rimosso da uno strato interno, un elettrone di uno strato esterno può cadere in questo spazio vuoto, emettendo energia sotto forma di un raggio X caratteristico. Ci sono due componenti principali in questo spettro: - la riga K → è associata al salto dell'elettrone dallo strato L a quello K - la riga L → è associata al salto da uno strato ancora più esterno (M) allo strato L Queste righe caratteristiche sono utilizzate per identificare gli elementi presenti in un campione e per analizzare la sua composizione chimica. La forma dello spettro dipende quindi dal materiale dell’anodo, dalla tensione (e dalla forma d’onda) applicata al tubo e dal filtraggio (tipicamente spessori di alluminio di 1 o 2 mm posizionati sulla finestra di uscita del tubo) applicato sul percorso dei raggi X → l’emissione dei raggi X di collisione è modesta rispetto a quella di frenamento: in pratica l’energia è trasportata quasi interamente dallo spettro continuo. All’aumentare di V aumenta la capacità di penetrazione dei fotoni, quindi una percentuale minore di essi sarà filtrata → sulla parte a bassa energia dello spettro pesa il filtraggio passa-alto (filtrazione intrinseca) compiuto dal tubo, sulla parte ad alta energia è prevalente il peso della tensione applicata al tubo Sorgente → tubi radiogeni I tubi radiogeni utilizzati per la diagnostica medica sono costituiti da un contenitore termoresistente di vetro al boro in cui è stato fatto un vuoto spinto (circa 10−6 mmHg) → il vuoto spinto serve per ottenere un cammino libero medio delle molecole di gas dell’ordine di alcuni cm. Il tubo è avvolto da un manicotto riempito d’olio, che serve al raffreddamento e dentro al tubo sono montati uno o due filamenti metallici (catodo) e un anodo → il filamento è riscaldato dal passaggio di una corrente elettrica e 𝑎 2 − 𝐾𝑇 produce un fascio di elettroni, secondo la legge di Richardson: Φ = 𝐴𝑇 𝑒 Il filamento è riscaldato dal passaggio di una corrente elettrica e produce un fascio di elettroni, secondo la legge 𝑎 2 − 𝐾𝑇 di Richardson: 𝑅 = 𝐴𝑇 𝑒 Φ , dove T è la temperatura assoluta, A dipende dalla superficie e dal materiale del catodo, a è il lavoro di estrazione degli elettroni, K è la costante di Boltzmann, e Φ è il flusso degli elettroni che sono accelerati da una differenza di potenziale di alcune decine di kV (fino a 150 kV) e colpiscono l’anodo. Gli elettroni interagiscono col materiale dell’anodo e vengono rallentati o fermati (Bremsstrahlung). La maggior parte dell’energia (cinetica) assunta dagli elettroni si trasforma in calore, ma una piccola parte (meno dell’1%) appare in forma di raggi X; parte di questi raggi X generati passano attraverso la finestra di uscita del manicotto e raggiungono il paziente, in modo da consentire la formazione di una immagine radiante. I raggi X emessi in direzioni diverse sono bloccati dall’involucro. Il progetto del filamento e dell’ottica elettronica che guida gli elettroni all’anodo è molto importante perché la risoluzione spaziale dell’immagine può essere limitata dalle dimensioni della sorgente di raggi X; inoltre il flusso di raggi X in uscita è determinato principalmente dalla corrente elettronica che colpisce l’anodo. Il filamento è costituito da una spirale di tungsteno (temperatura di fusione: 3410 °C) montata su un supporto di nichel (culla o coppa), realizzato in modo tale da focalizzare gli elettroni in un fascio sottile, che colpisce l’anodo nella cosiddetta macchia focale, in pratica l’immagine del filamento. Variando la corrente nella spirale si regola la corrente nel tubo (range nel campo diagnostico: da frazioni di mA ad alcuni A), la quale a sua volta determina l’entità del flusso dei raggi X. La corrente nel tubo e quindi l’emissione di raggi X variano anche con la tensione applicata. L’anodo è costituito da un disco, con una faccia inclinata rispetto alla direzione del fascio elettronico. La finestra di uscita lascia passare raggi X che sono approssimativamente perpendicolari al pennello elettronico, per cui la sorgente radiogena è vista come quadrata, anche se in realtà è rettangolare. Spesso il tubo è corredato di due filamenti di diverse dimensioni, in modo da consentire la scelta tra fuoco fine e fuoco più grossolano → la forma inclinata dell’anodo serve per distribuire il calore generato dall’impatto degli elettroni su una superficie più estesa: a tale fine l’anodo viene anche fatto ruotare velocemente (tipicamente 3000+ rpm) L’anodo è costruito in genere di tungstenorenio, viene utilizzato anche il molibdeno per applicazioni che comportano l’uso di energie relativamente basse, come in mammografia. Il rendimento η dell’anodo, rapporto tra energia radiante e energia cinetica catodica incidente, è dato da: con η0=10^−9, V tensione di alimentazione, Z numero atomico del materiale dell’anodo. Per il tungsteno Z=74 e quindi η ≈ 1%. Non tutta l’energia radiante così prodotta rientra nel campo delle frequenze utilizzate in radiologia e inoltre una parte di essa viene bloccata dal tubo stesso. Il rendimento reale scende a circa 0.1% per un angolo di uscita utile di 30° Esiste quindi il problema di dissipare notevoli quantità di calore sull’anodo (in particolare sulla macchia focale dove avviene l’impatto dei raggi catodici), che viene riscaldato fino all’incandescenza con rischio di evaporazione. Poiché si vuole che la sorgente di raggi X sia il più possibile puntiforme per limitare effetti di sfuocamento dell’immagine, si ricorre ad anodi inclinati e rotanti per smaltire il calore con macchie focali di dimensioni da 0.3x0.3 mm a 2×2 mm (si arriva così a decine di kW di potenza dissipata per esposizioni brevi) 6. Interazione dei raggi X con la materia: effetto fotoelettrico e diffusione Compton. Griglie antidiffusive e amplificatore di brillanza. C’è una notevole differenza negli spettri X prima e dopo l’attraversamento del paziente, differenza dovuta ai fotoni che interagiscono con le strutture biologiche e vi lasciano energia. Se lo spettro è costituito da raggi a bassa energia, essi contribuiranno alla dose erogata al paziente e assai poco al contrasto dell’immagine in uscita, in quanto saranno per lo più bloccati. È quindi importante che tali raggi siano rimossi dal fascio radiante prima che esso colpisca il paziente. Questo effetto può essere ottenuto mediante filtri in alluminio (o in rame). La scelta della tensione di alimentazione del tubo (e della filtrazione) dipende dalla particolare applicazione e comporta sempre un compromesso tra contrasto e dose. Assorbimento (attenuazione). Il fenomeno è descritto tramite il coefficiente di attenuazione lineare μ. Il suo valore rappresenta la probabilità che un fotone subisca un’interazione mentre copre un percorso unitario e si esprime in cm−1. Supponiamo di operare con un fascio X monoenergetico, indicato con N il numero di fotoni incidenti su uno strato di materiale con spessore infinitesimo e μ costante, possiamo scrivere per il numero dN di fotoni attenuati: 𝑑𝑁 𝑁 = − µ𝑑𝑥 Integrando per uno spessore finito si ottiene per l’attenuazione una legge esponenziale (Legge di Lambert-Beer): −µ𝑥 𝑁 = 𝑁𝑜𝑒 , con No numero fotoni incidenti e N numero fotoni emergenti. Il valore di μ dipende sia dall’energia del fotone sia dal materiale del bersaglio. Il μ in generale diminuisce al crescere dell’energia. Sono spesso utilizzati coefficienti di attenuazione normalizzati, ottenuti dividendo μ per la densità ρ (coefficiente di attenuazione di massa): µρ = µ/ρ → questo specifico di un materiale composto da più elementi è una somma pesata. Intensità di radiazione che fuoriesce dal bersaglio: dipende dalla parte assorbita e dalle perdite per diffusione. Ci sono due interazioni fotone materia importanti in radiodiagnostica: l’assorbimento per effetto fotoelettrico e la diffusione per effetto Compton. L’attenuazione totale è data (nell’intervallo di energie di nostro interesse) dalla somma dei due effetti: µ = τ 𝑓𝑜𝑡𝑜𝑒𝑙𝑒𝑡𝑡𝑟𝑖𝑐𝑜 + σ 𝑐𝑜𝑚𝑝𝑡𝑜𝑛 Effetto fotoelettrico: è uno dei maggiori responsabili dell’attenuazione di una radiazione. Il fotone viene completamente assorbito dall’atomo che emette un fotoelettrone dotato di energia cinetica pari a quella del fotone diminuita del relativo lavoro di estrazione. L’elettrone ionizza a sua volta il mezzo percorrendo una breve distanza. Nei mezzi biologici il lavoro di estrazione è piccolo rispetto all’energia dei raggi X , quindi l’energia incidente si trasforma quasi tutta in energia cinetica. Può avvenire se il fotone incidente possiede un’energia uguale o maggiore dell’energia di legame dell’elettrone dell’atomo bersaglio. 3 𝑍 Il coefficiente di attenuazione per effetto fotoelettrico è: τ𝑇𝑂𝑇𝐴𝐿𝐸 = 𝑐 3 𝐸 Rappresenta la probabilità, riportata ad uno spessore unitario, che un fotone subisca l’effetto fotoelettrico (la costante c dipende in prima approssimazione dagli orbitali elettronici interessati). Tenendo conto del numero atomico equivalente dei tessuti, si può calcolare che il rapporto tra i coefficienti di attenuazione nell’osso e nel muscolo è circa 6 e tra grasso e muscolo circa 0.5 (dal rapporto del cubo dei numeri atomici equivalenti). Quando l’energia diviene sufficiente per liberare un elettrone K, il coefficiente di assorbimento fa un salto (K-edge), perché l’interazione diventa più probabile. Si parla a questo proposito di risonanza: l’elettrone di un’orbita accetta l’energia di un fotone tanto più probabilmente quanto più l’energia ha un valore prossimo a quello di legame dell’elettrone Diffusione Compton: è il più importante degli effetti di diffusione subiti dai raggi X nei tessuti. Dopo un’interazione Compton (il numero di interazioni dipende ancora dalla densità del mezzo attraversato) si hanno un fotone diffuso, di energia inferiore a quella del fotone incidente, e un elettrone Compton. Il fotone Compton è in grado di ionizzare gli atomi che incontra. Si crea così una sorgente secondaria di radiazione all’interno del corpo del paziente. L’energia del fotone diffuso è minore di quella del fotone incidente ed è pari alla differenza tra l’energia del fotone incidente e l’energia ceduta all’elettrone espulso. La direzione del fotone diffuso è diversa da quella del fotone incidente (scattering). L’energia mediamente trasferita agli elettroni Compton è una frazione relativamente piccola dell’energia dei fotoni incidenti, quindi l’effetto Compton rappresenta essenzialmente una diffusione (cioè una deviazione dalla traiettoria originale), con diminuzione (piccola) dell’energia, dei fotoni incidenti. La formazione di un fotone X secondario (radiazione diffusa) ha pesanti effetti sia sulla qualità delle immagini che sulla misure di radioprotezione. Nelle immagini radiografiche parte della radiazione diffusa arriva al rivelatore (pellicola, schermo fluorescente o pannello elettronico) in modo casuale e uniforme, sfuocando l’immagine e riducendo il contrasto (effetto nebbia). Per ridurre questo effetto è necessario impiegare particolari accorgimenti tecnici (griglie antidiffusive fisse e mobili) che comunque non possono mai eliminarla completamente. La presenza della radiazione diffusa complica anche molto seriamente la radioprotezione, poiché non `e sufficiente proteggersi dal fascio di raggi X che esce dal tubo radiologico (fascio primario), ma è necessario schermarsi anche dalle radiazioni emesse da tutti i corpi colpiti dai raggi X, radiazioni che vengono emesse in ogni direzione dello spazio. Le interazioni di assorbimento predominano, a basse energie, su quelle di diffusione. La probabilità di entrambe decresce al crescere dell’energia (quella di tipo fotoelettrico più rapidamente in quanto dipendente da 1/E3). Le curve del coefficiente di attenuazione dell’acqua si incrociano vicino ai 30 keV: per energie superiori prevale l’effetto Compton. Griglie antidiffusive Per ridurre la quantità di raggi diffusi che arrivano al recettore si ricorre alle griglie antidiffusive, che sono costituite da sottilissime strisce di piombo (opache ai raggi X) intercalate da altre strisce di materiale radiotrasparente, in modo che possano essere attraversate soltanto da radiazioni perpendicolari al loro piano Poiché la radiazione diffusa proviene dal paziente da tutte le direzioni, solo quella piccola parte che è perpendicolare alla griglia arriverà al recettore, mentre la radiazione primaria (non diffusa) arriverà al recettore ogni qualvolta che colpirà le strisce non radio-opache Anche in questo caso si avrà una riduzione dell’efficienza di rivelazione, compensata dal fatto che la maggior parte della radiazione diffusa resterà bloccata Ci sono due tipi di griglie: - griglie statiche: seppur efficaci nel bloccare la radiazione diffusa, provocano un fine tratteggio sulla pellicola, perché vi vengono riprodotte; l’immagine sulla pellicola può essere sfuocata e quindi resa poco percettibile muovendo la griglia durante l’esposizione; il meccanismo utilizzato prende il nome di Bucky - Griglie in movimento Amplificatore di brillanza Consente di lavorare in regime dinamico con dosi accettabili sia per il paziente che per il tubo radiogeno È un dispositivo ad altro guadagno che aumenta l’efficienza della catena radiologica cui è inserito a spese di un peggioramento della risoluzione spaziale Viene usato per lo studio di processi in movimento, flusso, inserimento di cannule o cateteri e per esami con mezzo di contrasto È costituito da un tubo a vuoto con una parte frontale (diametro da 12 a 35 cm), in genere di alluminio, su cui è appoggiato uno strato fluorescente (ioduro di Cesio, Csl) che converte i raggi X incidenti in luce visibile, con un’alta efficienza (per un fotone X nascono 2000 fotoni luminosi) I fotoni luminosi così generati colpiscono un fotocatodo, provocando l’emissione di elettroni (in rapporto 10:1) Gli elettroni vengono accelerati da una tensione di 20-30 kV e opportunamente focalizzati da una lente elettronica (in modo da mantenere le relazioni geometriche esistenti all’ingresso), colpiscono lo schermo fluorescente di uscita (fosforo, diametro 2,5 cm) L’immagine è amplificata perché: - ogni interazione con un fotone X poro oca la emissione di decine di migliaia di elettroni - Ka tensione di accelerazione fornisce energia cinetica agli elettroni - Le dimensioni dell’immagine sono ridotte da ingresso ad uscita Rispetto ad un semplice schermo fluorescente si ha così un guadagno di 10.000 volte L’immagine ottenuta in uscita viene in genere ripresa da telecamere per consentire la visualizzazione istantanea su monitor del risultato dell’esame In radiologia cardiovascolare il tubo radiogeno lavora dapprima in regime di scopia, con bassi flussi fotonici (corrente nel tubo di alcuni mA) per consentire il posizionamento del paziente, in seguito si lavora in regime di grafia (corrente nel tubo dell’ordine di alcune centinaia di mA), quindi con alti flussi fotonico, per la documentazione finale 7. Tecniche di Radiografia digitale. Definizione e caratteristiche della Digital Subtraction, Angiography. Immagini proiettive e immagini tomografiche: definizioni e differenze. Mezzi di contrasto Si definiscono mezzi di contrasto radiologici quegli agenti di contrasto che introdotti oer vie e con modalità opportune nell’organismo, modificano il numero atomico medio o la densità di determinate strutture corporee e quindi la loro capacità di assorbimento di fotoni X Viste le modeste differenze del u fra i vari tipi di tessuto molle, non sono direttamente distinguibili la maggior parte dei vasi sanguigni rispetto al tessuto muscolare, quindi i mezzi di contrasto diventano molto importanti se voglio studiare strutture come la rete vascolare Esistono vari tipi di indagine in cui l’osservazione della rete vascolare consente di indagare la natura di certi tipi di lesione, ad esempio i tumori maligni si accompagnano in molti casi ad un aumento della loro vascolarizzazione con formazione di una rete arteriosa anomala e accumulo del mezzo di contrasto nel loro interno (nelangiogenesi neoplastica) Il mezzo di contrasto radio-opaco più utilizzato per lo studio dell’apparato digerente è il solfato di bario che non viene assorbito dalle mucose digestive, i mezzi di contrasto iodati vengono invece utilizzati in angiografia, cardiologia e in urografia I mezzi di contrasto radiologico possono indurre disturbi nei pazienti e vanno pertanto utilizzati con le opportune cautele Recettori La diagnostica radiologica richiede la creazione di immagini radiografiche che rendano visibili le modificazioni indotte dal corpo umano sul fascio di raggi X Le immagini vengono ottenute utilizzando dei sistemi, detti recettori o rivelatori, capaci di convertire il segnale dei fotoni X, non visibili, in un’immagine visibile Vari tipi di recettore sono usati in radiologia diagnostica tutti formano l’immagine in base all’energia assorbita dal fascio X ma differiscono nella tecnica di conversione dell’immagine radiante in immagine visibile all’occhio umano. I principali recettori sono: - le pellicole radiografiche - Gli amplificatori di brillanza - I dispositivi utilizzati in radiografia numerica Di ogni recettore importa valutare l’efficienza (capacità del sistema di fornire un’immagine sufficientemente luminosa perché l’occhio umano possa valutarla ai fini diagnostici) e il potere di risoluzione Aumentando l’efficienza del rivelatore si riduce la dose di radiazioni da impartire al paziente per ottenere un’immagine valida ai fini della diagnosi Le immagini radiografiche su possono suddividere in - Immagini dinamiche, che rappresentano in tempo reale l’esame eseguito e il movimento degli organi - Immagini statiche, che forniscono un documento stabile del quadro interno del corpo umano, possono essere acquisite durante un’indagine dinamica Immagini statiche e pellicola radiografica È costituita da due emulsioni fotografiche (cioè contengono sostanze fotosensibili) depositate su entrambe le facce di un foglio di poliestere o di acetato L’emulsione è composta di grani di bromuro di argento AgBr sospesi in una gelatina, ciascun grano ha dimensioni dell’ordine di 1 micrometro Si usano due emulsioni per aumentare la probabilità di interazione tra fotone X e pellicola Le interazioni con i granuli di AgBr attivano questi ultimi in modo da formare un’immagine latente, che sarà rivelata dal successivo processo di sviluppo fotografico in cui i granuli non attivati vengono rimossi L’annerimento della pellicola è normalmente espresso in termini di densità ottica D che è definita dalla capacità di trasmissione della luce da parte della pellicola Il legame tra esposizione e densità ottica è espresso dalla curva caratteristica La gamma di esposizione è limitata, è importante che la pellicola sia esposta in modo tale che l’immagine del paziente presenti densità che stanno sulla parte lineare della curva È importante la corretta esposizione della pellicola, che se sovra- o sotto- esposta comporterebbe perdita di informazione. A questo scopo sono stati realizzati sistemi di esposizione automatica, con esposimetri sensibili all’irraggiamento X Per quanto riguarda sensibilità e risoluzione spaziale, la prima dipende principalmente dalle dimensioni e dalla densità dei granuli di AgBr e dallo spessore dell’emulsione. La risoluzione è limitata dalle ionizzazioni che si producono nella emulsione e dagli elettroni secondari che si propagano nell’emulsione a partire dal punto di interazione primaria Le pellicole possono essere usate da sole o accoppiate a schermi che aumentano l’efficienza di rivelazione fotonica. Per migliorare la sensibilità delle pellicole, con parziale peggioramento delle caratteristiche di risoluzione spaziale, si ricorre a schermi di rinforzo che consentono un notevole risparmio di dose Tali schermi sono costituiti da materiale fluorescente ad alto numero atomico (sali di tungsteno e di calcio oppure di terre rare) che, posti davanti alle pellicole, convertono in luce visibile l’energia dei fotoni X e tali fotoni luminosi colpiscono poi la pellicola Questi recettori sono rumorosi, cioè riducono il SNR dell’immagine Tecniche di radiografia digitale La pellicola svolge le quattro funzioni di ricevere l'immagine, di mostrarla, immagazzinarla e comunicarla ad altri utenti. La radiografia numerica (o digitale) comprende le tecniche radiografiche che utilizzano metodi informatici per il trattamento in forma numerica delle immagini, ad esempio la tomografia computerizzata, la videoradiografia (con amplificatore di brillanza) e la radiografia digitale propriamente detta. Nella radiografia numerica si hanno separate le funzioni di sensore, di supporto numerico e di visualizzatore dell'immagine, in modo che sia possibile ottimizzarne separatamente le prestazioni. In più, si hanno i vantaggi tipici di tale forma, per quanto riguarda ad esempio la duplicazione, la memorizzazione, la trasmissione a distanza La videoradiografia che utilizza un intensificatore di immagini accoppiato ad una telecamera, in cui segnale video è convertito in forma numerica, ha riscosso da subito un notevole successo. L’applicazione della videoradiografia più consolidata in campo medico è la angiografia sottrattiva (Digital Subtraction Angiography, DSA), che si basa sulla sottrazione (temporale) di una o più immagini riprese dopo l’iniezione di un mezzo di contrasto da una immagine di riferimento (maschera) ripresa prima dell’iniezione. La sottrazione è effettuata sul logaritmo dell’immagine, per eliminare l’effetto di disturbo di strutture di spessore x fortemente assorbenti sovrapposte ai vasi di interesse. Infatti, se h lo spessore del vaso, si ha, prima −µ𝑥 [−µ(𝑥−ℎ)−µ𝐶ℎ) dell’iniezione:𝑁 = 𝑁𝑜𝑒 e dopo l’iniezione 𝑁𝐶 = 𝑁𝑜𝐸. −µ𝑥 −ℎ(µ𝐶−µ) Facendo la differenza D:𝑁 − 𝑁𝐶 = 𝑁0𝑒 [1 − 𝑒 ]. Il risultato dipende, oltre che dalla differenza dei due coefficienti di assorbimento, rispettivamente del mezzo di contrasto e del paziente (μC − μ), anche dal termine e−μx. Se si calcola il logaritmo prima di fare la differenza si ha: D = lnN − lnNC = h(μC − μ) dipendente solo dalla differenza dei μ e dallo spessore del vaso. Vantaggi della DSA: possibilità di ridurre la dose erogata al paziente o la quantità di mezzo di contrasto iniettato possibilità di iniezione endovenosa, con riduzione del rischio e del costo dell’esame facilitazione della lettura dei radiogrammi disponibilità di elaborazione offline per analisi morfologica (ad es., il calibro del vaso) Possibilità di archiviazione online e di collegamento in rete La Computed Radiography (CR) usa apparati convenzionali e sensori digitali al fine di ottenere un’immagine proiettiva senza passare attraverso una memorizzazione su pellicola. Nel 1981 la CR si basava sull’uso di piastre di fosfori a memoria fotostimolabili che memorizzavano temporaneamente l’immagine radiografica che veniva poi ”letta”, in circa mezzo minuto, da un apposito scanner mediante un fascio laser ed un fotomoltiplicatore la cui uscita digitalizzata era trasferita al computer. La piastra veniva poi azzerata per consentirne il successivo riutilizzo. Le immagini avevano matrici con dimensioni variabili da 2048 x 2048 a 4096 x 4096 cui corrispondono dimensioni del pixel da 200 a 50 μm. La scala dei grigi era solitamente di 12 bit. Sensibilità molto buona per bassi livelli di radiazioni; elevata gamma dinamica, che consente immagini di buona qualità diagnostica anche in presenza di livelli di sovra e sottoesposizione. Nel 1995 vennero introdotti dei rivelatori utilizzanti pannelli di silicio amorfo (Digital Radiography indiretta). In essi i fotoni X venivano convertiti da uno strato scintillatore in luce visibile che veniva letta direttamente da una matrice di fotodiodi e convertita in cariche Elettriche. Nel 1999 ci furono invece rivelatori a conversione diretta (radiografia digitale (Digital Radiography diretta) mediante un pannello (solitamente di selenio amorfo) in grado di rivelare i fotoni X e convertirli direttamente in carica elettrica. Viene evitata la fase intermedia di conversione da fotone X in fotoni luminosi che comporta una diffusione della luce e quindi una degradazione della risoluzione spaziale Oltre la generazione di immagini statiche, i rivelatori allo stato solido sono adatti alle applicazioni di fluoroscopia e fluorografia digitale. Essi consentono l’acquisizione a cadenza di 30 immagini al secondo con matrici 1024 x 1024 e hanno conosciuto un notevole successo dell’imaging cardiovascolare (coronarografia). In confronto ai sistemi con intensificatore di immagine, sono praticamente esenti dai limiti legati alla tecnologia dei tubi elettronici (distorsione geometrica dell’immagine) ed offrono qualità diagnostica superiore. Modulation Transfer Function (MTF) per diversi sistemi di radiografia digitale. La MTF è una misura della capacità di un sistema di imaging di trasferire le variazioni di intensità di contrasto da un'immagine in ingresso a un'immagine in uscita. In sostanza, la MTF esprime quanto bene un sistema può riprodurre dettagli di varie frequenze spaziali. Maggiore è la MTF, migliore è la capacità del sistema di conservare i dettagli delle immagini. La Tomografia Computerizzata (CT) introdotta negli anni ‘70 ha consentito di superare molte delle limitazioni della radiografia convenzionale, in particolare quelle legate alla natura proiettiva. Le immagini CT sono rappresentative della distribuzione del coefficiente di attenuazione μ(x, y) dell’oggetto in una sezione predefinita ed in esse sono osservabili differenze di attenuazione non apprezzabili con altre tecniche. Il risultato di un esame CT è una serie di matrici (slice) allineate perpendicolarmente all’asse definito dalla colonna vertebrale del paziente. Ogni slice rappresenta una fetta del corpo del paziente di un determinato spessore (tipicamente da 0.5 a 1 mm). Per la maggior parte dei tomografi le matrici ottenibili sono di 512 x 512 pixel. Ciascun pixel rappresenta le caratteristiche di assorbimento di un piccolo volume del corpo umano individuato dai limiti fisici del pixel stesso. Questo valore viene misurato non in unità assolute ma secondo una scala relativa all’attenuazione dell’acqua in unità denominate unità Hounsfield HU (Hounsfield Units), secondo la relazione: µ−µ𝐻2𝑂 µ(𝐻𝑈) = µ𝐻2𝑂 𝑥1000. Si ha quindi che i tessuti molli, con attenuazione simile a quella dell’acqua, sono caratterizzati da numeri Hounsfield attorno a zero, i tessuti come l’osso compatto hanno un valore positivo alto (attorno a 1000 HU) e l’aria, la cui attenuazione è praticamente nulla, in unità Hounsfield ha una attenuazione negativa vicina a –1000. L’evoluzione più importante nella strumentazione CT è quella relativa alla geometria di scansione finalizzata in primo luogo all’aumento della velocità di acquisizione. Tutte le geometrie di scansione adottate nelle varie generazioni CT comprendono una sorgente di radiazione costituita da un tubo a raggi X ed un sistema di rivelazione basato su sensori di vario tipo: sia sorgente che rivelatori effettuano movimenti rispetto all’oggetto per generare un insieme di proiezioni della sezione in esame - Prima generazione: il sistema è costituito dalla sorgente e da un singolo rivelatore. L’acquisizione di una proiezione comporta un movimento di traslazione di tubo e rivelatore, mentre è necessaria una loro rotazione per cambiare angolo di proiezione. La necessità di due movimenti per ottenere un insieme di proiezioni implica un tempo di acquisizione lungo (dell’ordine della decina di minuti) - Seconda generazione: sono presenti n rivelatori, disposti lungo una retta. La radiazione è collimata in modo da ottenere un pennello per ogni sensore. In questo modo, fissato l’angolo θ, con una traslazione completa del sistema sorgente-rivelatori si acquisiscono simultaneamente n proiezioni. Anche se sono richiesti ancora due movimenti, il tempo di acquisizione viene diminuito di un fattore n, passando ad un valore tipico di un minuto - Terza generazione: viene introdotto un array di rivelatori (in genere un migliaio) disposti ad arco e capaci di un movimento di rotazione solidale con la sorgente. La geometria delle proiezioni cambia da quella a raggi paralleli a quella a ventaglio (fan beam). Le presenza del solo movimento rotatorio comporta una ulteriore diminuzione dei tempi di acquisizione con valore tipico attorno al secondo - Quarta generazione: i sensori, fissi, sono disposti ad anello intorno al paziente e l’unico elemento in movimento è il tubo che può ruotare attorno all’asse del sistema. Nasce anche la tecnologia dei contatti striscianti (slip ring) per il trasferimento della potenza e dei segnali di controllo al tubo radiogeno: eliminando i cavi di collegamento si può così tenere il tubo in rotazione continua, evitando le fasi di accelerazione e decelerazione tipiche della tecnologia convenzionale I sensori allo stato solido sono costituiti da un cristallo scintillatore accoppiato ad un fotodiodo e forniscono in uscita un segnale di ampiezza proporzionale al numero di fotoni rivelati. I rivelatori a gas sono costituiti da una camera di ionizzazione riempita di gas, solitamente Xenon, ad alta pressione per aumentare la probabilità di interazione dei fotoni X. Questi interagendo con il gas lo ionizzano, generando cariche che vengono accelerate da un sistema di elettrodi a forma di setto che espletano anche una funzione di collimazione Spiral CT Introdotta negli anni ’90 ed è un sistema di CT elicoidale (spiral CT) che consente di acquisire in un unico passaggio dati relativi ad un intero volume. Si ottiene aggiungendo ad uno scanner con slip ring, in cui il tubo può ruotare continuamente, un movimento di traslazione al lettino del paziente. Si possono studiare ampie regioni del corpo con una singola scansione della durata di pochi secondi ed effettuare scansioni in apnea con una conseguente riduzione degli artefatti da movimento. Il nome della tecnica è dovuto alla traiettoria elicoidale percorsa dal sistema di acquisizione rispetto al paziente La ricostruzione delle immagini avviene successivamente all’acquisizione dei dati con un passo fra le sezioni fissato in base alle esigenze dello studio. Lo spessore di fetta è determinato dalla collimazione alla sorgente e dall'eventuale collimazione in ingresso al rivelatore. Il rapporto fra lo spostamento del lettino durante una rotazione e spessore di fetta è detto pitch. Quando il pitch vale 1 tutto il fascio di raggi X scandisce uniformemente tutto il volume. Un pitch > 1 implica che parte del volume tra due rotazioni contigue non viene esplorata (riduzione della dose) 8. Medicina nucleare: differenze con l’irraggiamento. Differenza tra le Misure di Tipo Integrale e quelle a Conteggio Diretto. SPECT e PET: principio fisico, caratteristiche costruttive ed esempi applicativi. La medicina nucleare rende radioattivi i pazienti (per iniezione, inalazione o ingestione) per scopi diagnostici o terapeutici. Mentre nelle tecniche a raggi X si conosce la localizzazione sia della sorgente sia del sensore, nelle tecniche ad emissione di radiazioni è nota solo la posizione del sensore: serve quindi un collimatore per ottenere un’immagine della distribuzione spazio-temporale della radioattività nel paziente. Mentre l’irraggiamento X ha la durata determinata dalle modalità dell’esame, l’irraggiamento dei composti radioattivi, che si diffondono nel corpo del paziente, ha una durata dipendente dalla loro emivita e dal loro tempo di fuoriuscita. In generale le misure di raggi X sono di tipo integrale, effettuate su flussi fotonici relativamente intensi; al contrario le misure in medicina nucleare sono a conteggio diretto, effettuate su flussi fotonici sufficientemente bassi da consentire la registrazione dei singoli fotoni che arrivano al sensore. Consente di ottenere immagini legate alla funzione dell'organo studiato. Misure di Tipo Integrale: si cerca di misurare l'energia totale assorbita o il flusso totale di radiazione durante un periodo di tempo specifico. Questo approccio è spesso utilizzato quando l'obiettivo principale è ottenere una misura complessiva dell'esposizione o della dose di radiazione in un dato intervallo di tempo o in una determinata area. Misure a Conteggio Diretto dei Fotoni: misura diretta del numero di particelle (fotoni) che interagiscono con un rivelatore durante un periodo di tempo specifico. E particolarmente utile quando è necessario quantificare il numero di eventi o particelle ionizzanti in una data situazione, senza necessariamente misurare l'energia associata a ciascun evento. Aspetti negativi: la bassissima efficienza, dovuta all'isotropia dell'emissione e alla necessità dell'uso (in generale) di un collimatore. Aspetti negativi: l'eventuale localizzazione indesiderata (il materiale radioattivo introdotto nel paziente può distribuirsi in organi non di interesse e restarvi a lungo). Rilevatori di radiazioni Si tratta di sensori molto veloci, per raccogliere un numero sufficiente di fotoni, ne esistono di vari tipi - Rivelatori a semiconduttore (Ge o Si): cambiano il valore della loro resistenza elettrica quando esposti a radiazioni ionizzanti - Rivelatori a gas: hanno trovato applicazione in tomografia computerizzata - Scintillatori inorganici: emettono una parte dell’energia assorbita sotto forma di luce visibile, hanno un elevato numero atomico (coefficiente di assorbimento u elevato) e quindi un’alta probabilità di interagire con i fotoni che li colpiscono. Lo ioduro di sodio (Nal) è il cristallo più comunemente usato, ha una buona efficienza di rivelazione quasi costante per cui circa il 13% dell’energia ceduta al cristallo si trasforma in luce visibile; la dioluzilme energetica, cioè la capacità di valutare le differenze di energie portate dai fotoni incidenti è intorno al 10-15% e consente di discriminare la radiazione diretta da quella molto diffusa che ha energia minore Radiofarmaci I radiofarmaci sono composti marcati con radioisotopi, ottenuti legando molecole radioattive emittenti fotoni gamma o positroni a molecole biologiche di interesse clinico. Il tipo di molecola scelta dipende da quale informazione è richiesta. Le sostanze marcate si comportano in maniera perfettamente simile alle sostanze non marcate, in particolare per quanto riguarda il comportamento metabolico, con la differenza che è possibile seguire dall’esterno la loro distribuzione spazio temporale a causa delle radiazioni emesse I radiofarmaci vengono utilizzati per studiare la perfusione dj organi come cervello, cuore e polmoni, il metabolismo del cervello o del cuore e formazioni tumorali Gamma camera, 1958 → il collimatore è posizionato tra il paziente e il rivelatore, la sua funzione è selezionare e permettere il passaggio solo dei raggi gamma che arrivano da una direzione specifica, ciò aiuta a eliminare la radiazione indesiderata proveniente da altre direzioni, fornendo così un’immagine più nitida e specifica Tubi fotomoltiplicatori Un tubo fotomoltiplicatore d costituito da una serie di di nodi (liberano ulteriori elettroni quando colpiti) allineati all’interno di un tubo a vuoto, ogni di nodo è mantenuto ad un potenziale elettrico progressivamente crescente Quando i fotoni incidenti colpiscono il fotocatodo, liberano elettroni per effetto fotoelettrico, che vengono accelerati attraverso i dinodi Gli elettroni che attraversano i dinodi vengono moltiplicati in modo geometrico a causa dell’effetto di emissione secondaria, ogni dinodo successivo amplifica il numero di elettroni Il segnale di uscita è proporzionale al numero di fotoni iniziali Sono molto sensibili ma bisogna schermati il più possibile dalla luce ambientale e sono relativamente grandi Spect La SPECT (Single Photon Emission Computed Tomography) consiste, nella versione più semplice, di una gamma camera in grado di ruotare a 360° intorno al paziente. La gamma camera accoppiata ad un collimatore a fori paralleli acquisisce immagini, proiettate in diverse posizioni angolari (campionamento angolare), della distribuzione 3D del radiofarmaco. In ciascuna proiezione le diverse righe della matrice rappresentano profili di radioattività (campionamento lineare) corrispondenti alle diverse sezioni tomografiche, il cui numero è quindi individuato dal numero di righe, Ogni punto del profilo rappresenta l'integrale di linea (se trascuriamo l'attenuazione introdotta dal corpo del paziente) dell'attività degli elementi lungo la linea di vista del cristallo attraverso il collimatore. Al termine della rotazione pertanto si sono ottenuti i dati di campionamento angolare e lineare che consentono la ricostruzione di diverse sezioni. Un tipico studio SPECT prevede, ad esempio, l'acquisizione di 64 proiezioni (360°/64 corrisponde a circa 5.6° di campionamento angolare) in matrici 128 × 128 (3.2 mm dimensioni del pixel, 3.2 mm spessore della sezione) L'evoluzione della tecnica ha portato a sistemi dotati di più teste (sensori) di rivelazione, al fine di aumentare l'efficienza di raccolta dei raggi gamma emessi dal paziente, consentendo quindi una riduzione del tempo di acquisizione. Esempi di studi SPECT: la perfusione cerebrale o miocardica, la funzione renale, la ventilazione e la perfusione polmonare, la visualizzazione di tumori. Migliore localizzazione ma peggiore risoluzione spaziale. È necessario procedere alla correzione dell'attenuazione fotonica che degrada l'immagine introducendo distorsioni. Si consideri che un flusso fotonico di Tenezio 99m (99m Tc) viene dimezzato da uno spessore di circa 4 cm di tessuto molle, c’è un diverso assorbimento delle radiazioni esercitato dalle diverse parti del paziente —> queste differenze nel conteggio fotonico devono essere corrette via software durante la ricostruzione. La PET (Positron Emission Tomography) utilizza isotopi radioattivi emittenti positroni. Poiché i traccianti usati in PET hanno una emivita assai breve, la quantità di radiazioni ricevute dal paziente non è elevata. L'emivita particolarmente breve dei radiofarmaci che emettono positroni richiede che la loro produzione avvenga in loco, mediante ciclotrone. Isotopi di elementi costituenti la materia biologica (ossigeno, carbonio, azoto e fluoro, che è chimicamente sostituibile all'idrogeno). Potenzialmente tutte le molecole del corpo umano potrebbero essere marcate con questi radioisotopi, ottenendo traccianti radioattivi fisiologici. Essi tracciano in modo diretto processi biochimici e fisiologici nell'organismo, consentendo al medico di studiarli in modo non invasivo e di vederne la localizzazione all'interno del corpo mediante rivelazione di radiazioni dall'esterno. La disponibilità di traccianti fisiologici rappresenta uno dei punti di forza della PEl, in quanto permette non solo una valutazione qualitativa dei parametri funzionali ma anche una loro stima quantitativa. Un tomografo PET consiste di un anello di rivelatori (i più usati sono i BGO - Germanato di Bismuto) che circondano l'organo studiato, collegati a circuiti elettronici di rivelazione di coincidenza. Quando un positrone è emesso in un corpo si propaga per circa un millimetro prima di annichilirsi con un elettrone, producendo due fotoni da 511 keV in direzioni quasi diametralmente opposte. Il rilevamento di due fotoni contemporanei (entro un intervallo di tempo detto finestra temporale di coincidenza) definisce una linea lungo la quale l'evento si è verificato, da centro a centro dei rivelatori coinvolti A differenza di quanto avviene con la gamma camera, non si può scartare la radiazione diffusa, riconoscendola a causa della sua perdita di energia, perché tale perdita è troppo piccola e rientra nella tolleranza di risoluzione energetica consentita dal rivelatore. La distribuzione della attività, campionata lungo le linee di coincidenza, può essere ricostruita con la tecnica di retroproiezione filtrata. Ogni anello di rivelatori consente di generare l'immagine tomografica del piano corrispondente. Accostando più anelli si ottiene una rappresentazione tridimensionale della distribuzione della radioattività nell'organo studiato. Il percorso compiuto dal positrone nel tessuto biologico e altre cause di errore, come lo spessore finito dei cristalli scintillatori utilizzati per la rivelazione, influenzano la risoluzione spaziale (che è di circa 5 mm) e lo spessore della sezione tomografica. L'assenza del collimatore meccanico consente una sensibilità da 10 a 100 volte più alta di quella di una gamma-camera. La maggiore sensibilità (e quindi il maggior numero di fotoni utili) comporta una maggiore accuratezza statistica nella ricostruzione dell'immagine La finestra temporale di coincidenza dura da 4 a 10 ns. La luce percorre circa 30 cm in un nanosecondo, quindi il metodo non consente di valutare la localizzazione dell'evento sulla retta individuata. Sono successivamente stati introdotti tomografi a tempo di volo che utilizzano sensori ad ortosilicato di lutezio LSO (o ortosilicato di lutezio-yttrio, LYSO) caratterizzati da una sensibilità di rivelazione comparabile al BGO associata ad un'ottima stabilità temporale. Permettono una discriminazione temporale attorno ai 500 ps, che consente di localizzare l'evento con una incertezza spaziale di 7.5 cm. L'informazione sulla localizzazione spaziale viene utilizzata in fase di ricostruzione per generare immagini con un SNR più elevato. Scanner più moderni sono dotati di più anelli di rivelatori. Si può operare in due modalità: ricostruzione 2D (ogni anello opera separatamente dagli altri rivelando solo coincidenze che avvengono al suo interno), ricostruzione 3D (gli anelli operano come un unico sistema e vengono rivelate sia le coincidenze all'interno dei singoli anelli che fra anelli distinti. Viene ricostruito l'intero volume simultaneamente - maggior sensibilità perché vengono usati più eventi ma più sensibili alla radiazione diffusa ed all'effetto di rivelazioni spurie. L'uso di rivelatori veloci consente di ovviare a questi inconvenienti rendendo preferibili le tecniche 3D) Le immagini PET forniscono informazioni funzionali di notevole significato clinico, tuttavia le informazioni anatomiche sono grossolane e devono essere integrate con quelle accessibili con altre metodiche (e.g., CT o MRI). Ciò ha condotto alla realizzazione di scanner ibridi PET-CT. Ai fini dell'imaging PET l'attenuazione dei tessuti comporta errori di ricostruzione. La CT fornisce una mappa dell'attenuazione che può essere utilizzata, in fase di ricostruzione, per generare immagini PET molto più accurate. La co-registrazione delle immagini funzionali con quelle anatomiche è molto semplificata dato che si possono acquisire CT e PET sequenzialmente ed in tempi brevi, la probabilità di errori di corrispondenza fra i due tipi di immagine è piccola. APPLICAZIONI Applicazioni cliniche soprattutto in cardiologia, neurologia ed oncologia. I traccianti usati, ad esempio il fluorodesossiglucosio (FDG, emivita di 1h e 50m contro le 6 h del Tecnezio 99m), mimano il comportamento metabolico di sostanze utilizzate nell'organismo, come il glucosio o l'ossigeno, accumulandosi dove c'è un maggior consumo, ad esempio, nel cervello. In cardiologia: studio delle patologie coronariche mediante visualizzazione del miocardio e della sua perfusione, il controllo dello stato delle arterie coronarie, la valutazione delle condizioni del miocardio per i candidati a bypass o a trapianto. In neurologia: studio dell'epilessia, dei tumori del cervello, dell'ictus, della malattia di Alzheimer e di Parkinson. Capacità di mostrare l'attività di neurotrasmettitori come la dopamina o la serotonina. In oncologia: segnalazione e la stadiazione di tumori. Ad esempio, con la combinazione di 8 scansioni, ciascuna di segmenti di 15 cm di lunghezza, si può ottenere un'immagine della distribuzione del FDG (il tracciante) nell'intero corpo in circa 40 minuti. 9. La risonanza magnetica nucleare e principi fisici alla base: concetto di spin, il momento di spin, il momento magnetico, effetto del campo magnetico esterno. La risonanza magnetica nucleare (RMN) in medicina è una tecnica avanzata di imaging che sfrutta le proprietà magnetiche dei nuclei atomici. In un campo magnetico forte, i nuclei di idrogeno presenti nei tessuti del corpo umano si allineano e, quando stimolati da impulsi di radiofrequenza, emettono segnali rilevati da un apparecchio RMN. La RMN produce immagini dettagliate degli organi e dei tessuti del corpo senza l'uso di radiazioni ionizzanti. Questa tecnica è ampiamente utilizzata per diagnosticare condizioni mediche nei settori neurologico, muscoloscheletrico, cardiologico e oncologico. MRI scanner 1946: scoperta del fenomeno della Risonanza Magnetica Nucleare dovuta a Bloch e Purcell ’70: Risonanza Magnetica Nucleare come processo utile per l’imaging medico ’80: Diffusione in ambito clinico della nuova metodica di immagine ’90: Indagare direttamente aspetti funzionali con la MR funzionale (fMRI) Alcune proprietà fondamentali della MRI - Osservazione di grandezze fisiche caratteristiche della struttura tissutale con notevole capacità di discriminare i tessuti molli - Uso di radiazione elettromagnetica non ionizzante - Acquisizione di immagini di sezioni (secondo piani con orientazione qualsiasi) e in generale di volumi Radio-Frequency Coil: la RF coil è responsabile della trasmissione degli impulsi di radiofrequenza e della ricezione dei segnali RMN dai nuclei atomici all'interno del corpo. Durante l'acquisizione delle immagini, la RF coil emette impulsi di radiofrequenza che disturbano l'allineamento magnetico dei nuclei di idrogeno nel corpo. e la stessa RF coil rileva i segnali emessi dai nuclei durante il rilassamento magnetico. Questi segnali vengono poi utilizzati per generare le immagini RMN. Gradient Coil: I gradient coil sono responsabili della creazione di campi magnetici gradienti, cioè campi magnetici che variano spazialmente in modo noto lungo le tre direzioni dello spazio (x, y, z). L'utilizzo di gradienti magnetici consente di ottenere informazioni sulla posizione spaziale dei segnali RMN, contribuendo così alla formazione delle immagini. Variazioni nei campi magnetici gradienti forniscono dati sulla localizzazione delle sorgenti di segnale nel corpo. Le immagini RMN forniscono informazioni sulla struttura anatomica e sulla composizione dei tessuti, evidenziando differenze tra tessuti molli, liquidi e strutture solide. Può essere utilizzata per identificare tumori, lesioni, anomalie vascolari e patologie neurologiche. La RMN è particolarmente utile per la visualizzazione dettagliata del cervello e del midollo spinale, consentendo una diagnosi accurata di disturbi neurologici come ictus, lesioni cerebrali e malattie neurodegenerative. PRINCIPI FISICI Coinvolge il formalismo della meccanica quantistica. Può essere in larga parte evitato seguendo l’approccio di Bloch che consente una descrizione in termini semi-classici. L'approccio di Bloch è formalizzato attraverso le equazioni di Bloch, un insieme di equazioni differenziali che descrivono l'evoluzione dei momenti magnetici nucleari in un campo magnetico esterno. Gli atomi che hanno un numero dispari di protoni o neutroni (o entrambi) hanno uno spin nucleare diverso da zero e, di conseguenza, un momento magnetico. Il momento magnetico è una misura della forza magnetica intrinseca di un oggetto o di un sistema. In generale, il momento magnetico è una grandezza vettoriale. La direzione è solitamente lungo l'asse dell'oggetto e il modulo è proporzionale alla forza magnetica generata dal sistema. Lo spin nucleare è una proprietà quantistica fondamentale delle particelle subatomiche, e gli spin dei protoni e dei neutroni contribuiscono al momento magnetico totale del nucleo. Lo spin non ha un analogo diretto nel mondo macroscopico. Significa «rotazione» ma non è da intendersi in senso letterale. Lo spin è quantizzato, il che significa che può assumere solo determinati valori discreti. Ad esempio, il valore dello spin di protoni e neutroni è 1/2. Ad ogni nucleo atomico si può associare una quantità misurabile detta spin. In termini classici si può introdurre il momento di spin I assimilabile ad un momento di quantità di moto. (la quantità di moto è dimensionalmente una massa x velocità). Il momento della quantità di moto è una grandezza fisica che descrive il grado di rotazione di un sistema di particelle rispetto a un asse specifico. La definizione matematica del momento della quantità di moto (L) di un sistema di particelle rispetto a un punto o a un asse è data da: L=r×p, dove L è il momento della quantità di moto, r è il vettore di posizione del corpo rispetto al punto o all'asse di rotazione, p è la quantità di moto del corpo. Il prodotto vettoriale r×p indica la direzione dell'asse di rotazione e il modulo rappresenta il momento della quantità di moto. In meccanica quantistica si introduce il numero di spin I a cui possono essere associati 2I + 1 livelli energetici. Rispetto al fenomeno della risonanza magnetica nucleare, risultano interessanti per l’imaging MR quelli con I = 1/2 che sono caratterizzati da due soli livelli energetici. L’Idrogeno 1H, per la sua abbondanza nei tessuti è il nuclide normalmente utilizzato per le immagini MR. Il moto rotatorio di una carica elettrica produce un momento magnetico μ legato a quello meccanico dalla relazione: μ = γI (momento magnetico proporzionale al momento di spin) dove il rapporto giromagnetico γ è una costante caratteristica di ogni nucleo. Per l’idrogeno vale 42.58 MHz/T. In base alla meccanica quantistica il ℎ modulo μ di μ assume solo il µ = γ 2π 𝐼(𝐼 + 1) dove h è la costante di Planck (energia x tempo). Per quanto μ sia una grandezza determinata, l’orientazione di μ, in assenza di eccitazioni esterne, è casuale per i fenomeni di agitazione termica. Ne segue che, a livello macroscopico, non si osserva nessun campo magnetico. Si può osservare una magnetizzazione macroscopica agendo sul sistema con un campo magnetico statico esterno B0 , che assumeremo orientato secondo l’asse z di un riferimento fisso. In questo caso, la componente di ℎ μ secondo la direzione di B0 è data da:µ𝑧 =γ𝑚𝐼 2π , con 𝑚𝐼 numero quantico magnetico che assume i valori 𝑚𝐼 = −I,... , I, corrispondenti a 2I + 1 possibili orientazioni di μ rispetto al campo esterno. Notare che la componente di μ nel piano (x, y) ha una direzione casuale. Nel caso di un nucleo costituito da un unico protone (1H, I = ½) sono quindi possibili due sole orientazioni, una nel verso di B0 (spin-up) ed una opposta (spin-down). Basandoci sulle leggi della fisica classica, su ogni protone agisce un momento meccanico, μ × B0, e si può scrivere l’equazione di moto dI\dt=μ × B0 , e ricordando che μ = γI, si ottiene: dμ\dt = γμ × B0 che descrive un moto di precessione del vettore μ attorno a B0 con una velocità angolare data dalla legge di Larmor: Ω = −γ B0. Da qui l’analogia col moto di precessione di una trottola attorno all’asse del campo gravitazionale, La presenza del campo B0 introduce due differenti livelli energetici nella popolazione degli spin, livelli che corrispondono alle due diverse orientazioni ed ℎ hanno energia potenziale data da: 𝐸 =− µ𝐵0 =− µ𝑧𝐵0 =− γ𝑚𝐼 2π 𝐵0e quindi: 1 ℎ 1 ℎ 𝐸 ↑ =− 2 γ 2π 𝐵0 e 𝐸 ↓ = 2 γ 2π 𝐵0 dove lo stato spin-up corrisponde al livello energetico più basso. Il salto energetico fra i due stati vale quindi: ℎ ∆𝐸 = 𝐸 ↓− 𝐸 ↑ =− γ 2π 𝐵0. La popolazione degli spin si distribuisce nei due stati secondo la statistica di Boltzmann, per cui indicati con N↑ il numero degli spin up e con N↓ il numero degli spin down, si ha: 𝑁↑ =𝑒 ( ) con K costante di Boltzmann ∆𝐸 𝐾𝑇 𝑁↓ (energia/temperatura) e T temperatura assoluta. Esiste un piccolissimo eccesso di protoni nello stato energetico più basso responsabile della magnetizzazione macroscopica. Si può facilmente calcolare che, con B0 = 1 tesla e T = 300◦K, si ha un eccesso di qualche protone per milione nello stato up rispetto allo stato down. Ai fini dell’imaging MR interessa studiare la magnetizzazione risultante M a livello macroscopico generata dalla popolazione di spin osservata: 𝑀 = ∑ µ𝑖. Vogliamo misurare la magnetizzazione M: ciò richiede una ulteriore 𝑖 perturbazione che si ottiene con un campo magnetico B1 rotante in un piano ortogonale a B0. Scegliendo la pulsazione di B1 coincidente con quella di Larmor si stabilisce una condizione di risonanza (detta risonanza magnetica nucleare). Si verifica infatti che, in questo modo, la radiazione elettromagnetica interagente col γ sistema è costituita da fotoni con energia: ℎ𝑣 = ℎ 2π 𝐵0 corrispondente al

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