Ripasso Nucleo Tematico - Lezioni 1-7 PDF
Document Details
Uploaded by FamedAbstractArt
Università di Bologna
Franco Carinci
Tags
Related
- Lezione 3 - La Libertà Sindacale - PDF
- Lezione 35 (Vizi del consenso e prestazione di lavoro di fatto) - Slide PDF
- Lezione 38 (Ripasso V nucleo tematico) - Slide PDF
- Lezione 45 (Potere disciplinare) PDF
- Lezione 49 (Rinunce e transazioni) - Slide PDF
- Lezione 62 (Contratto di rete e gruppi di imprese) PDF
Summary
This document is a summary of lectures 1-7 of a labor law course. It covers topics including sources of labor law, freedom of association, and labor union organization. It also includes information on worker representation in companies.
Full Transcript
Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 8 Titolo: #titolo#...
Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 8 Titolo: #titolo# Ripasso I nucleo tematico Attività n°: #attività# 0 Ripasso I nucleo tematico Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 8 Titolo: #titolo# Ripasso I nucleo tematico Attività n°: #attività# 0 Libertà e organizzazione sindacale Nel primo nucleo tematico abbiamo affrontato i seguenti temi: Le fonti del diritto del lavoro (internazionali, europee e nazionali) La libertà sindacale L’organizzazione sindacale La struttura del sindacato La rappresentatività sindacale (maggiore e comparata) Le rappresentanze dei lavoratori in azienda (RSA, RSU, RLS) Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 8 Titolo: #titolo# Ripasso I nucleo tematico Attività n°: #attività# 0 Le fonti del diritto del lavoro Fonti di diritto internazionale (trattati, raccomandazioni) Fonti di diritto europeo (regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni) Costituzione Legge ordinaria e atti equiparati Regolamenti Legge regionale Gli usi normativi Fonti atipiche Contratto collettivo Gli usi aziendali Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 8 Titolo: #titolo# Ripasso I nucleo tematico Attività n°: #attività# 0 La libertà sindacale L’art. 39, comma 1 Cost. dispone che «L’organizzazione sindacale è libera». Profilo individuale: Libertà sindacale positiva/negativa, libertà di aderire o di non aderire al sindacato, di svolgere o non svolgere attività sindacale Profilo collettivo: libertà di organizzazione del sindacato, libertà di azione sindacale; Questioni sulla titolarità della libertà sindacale: Imprenditori: art.18 e 41 Cost. o art. 39? Militari e polizia: sì libertà di iscrizione a sindacati di categoria, no diritto di sciopero. Il carattere sindacale dell’organizzazione: criterio teleologico, strumentale, soggettivo. Tutela nei confronti di: Stato, datore di lavoro, altre OOSS. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 8 Titolo: #titolo# Ripasso I nucleo tematico Attività n°: #attività# 0 L’organizzazione sindacale Evoluzione storica e modelli organizzativi: sindacato di mestiere, secondo il mestiere esercitato (es. dirigenti); sindacato di categoria, secondo la categoria merceologica di appartenenza (es. metalmeccanici); sindacato di azienda, di lavoratori appartenenti ad un’unica azienda; Sistema di finanziamento del sindacato: Quota associativa, quota di servizi, entrate provenienti dal sistema dei patronati e altre attività economiche; Organizzazione sindacale come associazione non riconosciuta (artt. 36-38 c.c.) basata sul principio di democraticità interna (art. 39 Cost.), es. carattere elettivo delle cariche sociali, principio di maggioranza nell’adozione delle decisioni; Associazioni territoriali inferiori hanno autonomia organizzativa e associativa rispetto a quelle superiori. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 8 Titolo: #titolo# Ripasso I nucleo tematico Attività n°: #attività# 0 La struttura del sindacato Duplice linea organizzativa: verticale, secondo la categoria merceologica rappresentata (sindacato dei metalmeccanici, dei tessili, dei chimici ecc.); orizzontale in base all’ambito geografico di riferimento. La struttura orizzontale del sindacato dei lavoratori a livello nazionale si suddivide in quattro livelli: strutture presenti nei luoghi di lavoro; livello provinciale o comprensoriale; livello regionale; livello nazionale. Esistono anche confederazioni internazionali ed europee; La struttura delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro è modellata su quella dei lavoratori, in senso verticale e orizzontale; Enti bilaterali: organismi di natura sindacale a composizione paritetica che costituiscono sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 8 Titolo: #titolo# Ripasso I nucleo tematico Attività n°: #attività# 0 La rappresentatività La rappresentatività sindacale indica la capacità del sindacato di rappresentare e tutelare l’interesse collettivo di un’ampia categoria di lavoratori senza distinzione tra iscritti e non iscritti. La rappresentatività sindacale può essere intesa attualmente in tre diverse accezioni: una rappresentatività per il godimento dei diritti sindacali di cui al titolo III della l. n. 300/1970; una rappresentatività per l’accesso alle trattative negoziali per la contrattazione collettiva; una rappresentatività residuale per tutte le altre ipotesi in cui la legge richiami il sindacato maggiormente rappresentativo. Maggiore rappresentatività/rappresentatività comparata. Corso di Laurea: #corso# Servizi giuridici Insegnamento: #insegnamento# Diritto del lavoro (L-Z) Lezione n°: #lezione# Lezione n. 8 Titolo: #titolo# Ripasso I nucleo tematico Attività n°: #attività# 0 Rappresentanze dei lavoratori in azienda Rappresentanza sindacale aziendale (RSA): disciplinata dalla l. n. 300/1970 (art. 19), costituita a iniziativa dei lavoratori nell’ambito di associazioni sindacali, nelle unità produttive con più di 15 dipendenti o nelle imprese che nello stesso comune occupano più di 15 dipendenti (per le imprese agricole il limite è di più di 5) Rappresentanza sindacale unitaria (RSU): disciplinata da Accordo interconfederale del 1993, oggi TU della rappresentanza del 2014, eletta a suffragio universale nelle imprese con più di 15 dipendenti, subentra nella titolarità dei diritti e nelle prerogative della RSA, dura tre anni; Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS): è una figura disciplinata dagli artt. 47-50 del d.lgs. N. 81/2008, c.d. TU della salute e sicurezza sul lavoro, con compiti in materia di salute e sicurezza sul lavoro. Franco Carinci Il lungo cammino per Santiago della rappresentatività sindacale: dal Tit. III dello Statuto dei lavoratori al Testo Unico sulla Rappresentanza 10 gennaio 2014 WP CSDLE “Massimo D’Antona”.IT – 205/2014 Franco Carinci 2014 Facoltà di Giurisprudenza ‐ Università di Bologna [email protected] WP CSDLE MASSIMO D’ANTONA.IT ‐ ISSN 1594‐817X Centre for the Study of European Labour Law "MASSIMO D'ANTONA" , University of Catania On line journal, registered at Tribunale di Catania n. 1/2012 – 12.1.2012 Via Gallo, 25 – 95124 Catania (Italy) Tel: +39 095230855 – Fax: +39 0952507020 [email protected] http://csdle.lex.unict.it/workingpapers.aspx 1 Il lungo cammino per Santiago della rappresentatività sindacale: dal Tit. III dello Statuto dei lavoratori al Testo Unico sulla Rappresentanza 10 gennaio 2014 Franco Carinci Università di Bologna 1. Ricominciando dall’art. 39 Cost............................................ 4 2. … e passando per il Tit. III St. Lav....................................... 5 Questo saggio è figlio di un ripensamento di quanto da me scritto nel corso degli ultimi anni, seguendo tratto a tratto quello che nel titolo è metaforicamente battezzato come “Il lungo cammino per Santiago della rappresentatività sindacale”. Per comodità del lettore, ma non senza un pizzico di autopromozione, mi permetto di ricordare qui i singoli contributi, segnalandogli che, come mio costume, non li ho nemmeno riletti, per non cadere nel rischio di farne un mero assemblaggio; ma certo non ho potuto evitare di tenerli presenti nel riaprire un dialogo diretto con i testi normativi, collettivi, giurisprudenziali, via via succedutisi: Se quarant’anni vi sembran pochi: dallo Statuto dei lavoratori all’Accordo di Pomigliano, in Arg. Dir. Lav., 2010, 3, pag, 581 e segg. e in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT, 108/2010; La cronaca si fa storia: da Pomigliano a Mirafiori, in Arg. Dir. Lav., 2011, 1, pag. 11 e segg., in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT, 113/2011, nonché in F. CARINCI (a cura di) Da Pomigliano a Mirafiori: la cronaca si fa storia, Collana Leggi e Lavoro, Ipsoa, Milano, pag. XXI e segg.; L'accordo interconfederale del 28 giugno 2011: armistizio o pace?, in Arg. Dir. Lav., 2011, 3, pag. 457 e segg.; Al capezzale del sistema contrattuale: il giudice, il sindacato, il legislatore, in Arg. Dir. Lav., 2011, 6, pag. 1137 e segg. e in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT, 133/2011; “Provaci ancora, Sam”: ripartendo dall’art. 18 dello Statuto, in Riv. It. Dir. Lav., 2012, I, pag. 1 e segg. e in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT, 138/2012; Il grande assente: l’art. 19 dello Statuto, in Arg. Dir. Lav., 2012, 2, pag. 333 e segg., e in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT, 144/2012; In merito all’eccezione di costituzionalità dell’art. 19, lett. b) l. n. 300/1970, sollevata da Trib. Modena, 4 giugno 2012, in www.forumcostituzionale.it; Il legislatore e il giudice: l’imprevidente innovatore ed il prudente conservatore (in occasione di trib. Bologna, ord. 15 ottobre 2012), in Arg. Dir. Lav., 2012, 4-5, pag. 773 e segg.; Adelante Pedro, con juicio: dall’accordo interconfederale 28 giugno 2011 al Protocollo d’intesa 31 maggio 2013 (passando per la riformulazione “costituzionale” dell’art. 19, lett. b) St.), in Dir. Rel. Ind., 2013, 3, pag. 598 e segg. e in WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT, 179/2013; Il buio oltre la siepe: Corte cost. 23 luglio 2013, n. 231, in Dir. Rel. Ind., 2013, 4, in WP C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”.IT, 182/2013 e in www.forumcostituzionale.it; Alice non abita più qui (a proposito e a sproposito del “nostro” diritto sindacale), in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2013, 140, 4, pag. 665 e segg. e in F. CARINCI (a cura di), Legge o contrattazione? Una risposta sulla rappresentanza sindacale a Corte costituzionale n. 231/2013, Adapt Labour studies e-book series n. 20, 3/2014, in http://moodle.adaptland.it/course/view.php?id=86. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 2 FRANCO CARINCI 3. Regola ed “eccezioni” in merito all’efficacia della contrattazione collettiva: la l. n. 146/1990 sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e la l.d. n. 421/1992 sulla c.d. privatizzazione del pubblico impiego........................................ 7 4. Il processo costituente del sistema: il Protocollo 23 luglio 1993 9 5. (Segue): l’Accordo interconfederale sulle Rsu 1 dicembre 1993..........................................................................................11 6. I tre referendum abrogativi del 1995...................................13 6.1 L’abrogazione dell’art. 47 d.lgs. n. 29/1993.....................14 6.2 L’amputazione dell’art. 19 della l. n. 300/1970.................16 7. L’approccio unitario espresso dalle Linee di riforma della struttura della contrattazione 12 maggio 2008.........................19 8. Il dissenso manifestato dagli Accordi “separati”: l’Accordo quadro di riforma degli assetti contrattuali 22 gennaio 2009.......21 9. (Segue): l’Accordo interconfederale 15 aprile 2009...............23 10. La vicenda Fiat...............................................................24 11. Il recupero unitario (prima tappa): l’Accordo interconfederale 28 giugno 2011...................................................................26 Se richiamo solo i miei scritti è perché ricostruisco un percorso personale, che so bene essere largamente debitore del costante impegno della dottrina, prodottasi in una imponente serie di contributi monografici, saggi, commenti a decisioni giudiziarie, come testimoniato dalle citazioni fatte in alcuni di questi miei scritti precedenti. Comunque tutto quello che si è letto alla fine costituisce il terreno di cultura su cui fiorisce il proprio pensiero, senza che a posteriori riesca facile individuare a chi si debba pagare il debito contratto. Come si evince dal titolo lo scopo è di evidenziare il processo che ha portato al Testo Unico del 10 gennaio 2014, largamente debitore rispetto al suo passato, peraltro, senza farne oggetto di un commento dettagliato, di cui si farà carico un volume collettaneo di prossima pubblicazione su Adapt Labour studies e-book series. Il che apre quasi inevitabilmente ad una domanda, se sia necessaria o almeno opportuna una legge in materia, hard o soft che sia. Della risposta se ne sta facendo carico la Commissione lavoro della Camera dei deputati, nonché almeno un paio di brain-trust accademici, cui per l’intanto auguro buona fortuna, ripromettendomi di dire la mia, quando avrò digerito la fatica procuratami da questo scritto. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 3 12. L’intermezzo legislativo: l’art. 8 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni nella l. 14 settembre 2011, n. 148....................................................................................29 13. Il recupero unitario (seconda tappa): il Protocollo d’intesa 31 maggio 2013.......................................................................33 14. L’intermezzo giurisprudenziale: Corte cost. 23 luglio 2013, n. 231....................................................................................38 15. Il recupero unitario (terza tappa): il Testo Unico sulla Rappresentanza 10 gennaio 2014...........................................40 15.1 Parte prima: misura e certificazione della rappresentanza ai fini della contrattazione collettiva nazionale di categoria.........42 15.2. Parte seconda: regolamentazione delle rappresentanze in azienda...........................................................................45 15.3 Parte terza: titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva nazionale di categoria e aziendale..........................48 15.4 Parte quarta: disposizioni relative alle clausole e alle procedure di raffreddamento e alle clausole sulle conseguenze dell’inadempimento...........................................................53 15.5 Clausole transitorie e finali..........................................54 WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 4 FRANCO CARINCI 1. Ricominciando dall’art. 39 Cost.... E’ d’obbligo per chiunque si accinga a percorrere il cammino di cui al titolo partire dall’art. 39 Cost., che, secondo un indirizzo dottrinale consolidatosi nel quindicennio successivo al suo varo fino a divenire ius receptum, sarebbe risultato affetto da una “insanabile contraddizione logica”, fra un primo comma che consacrava la libertà di organizzazione sindacale e un secondo comma e ss. che la limitava, se pur in vista ed in funzione di assicurare alla contrattazione collettiva una efficacia erga omnes. Questo indirizzo avrebbe giustificato un blocco attuativo di quel comma secondo e ss., col conseguente vuoto riempito prima da un astensionismo, poi da un interventismo legislativo, che, per via della legge Vigorelli, avrebbe tentato di aggirare il 39 Cost., comma secondo e ss. col conferire alla contrattazione collettiva una efficacia erga omnes, tramite una sua ricezione in una decretazione legislativa. Ma fu un successo solo iniziale, perché la proroga di tale legge sarebbe stata dichiarata incostituzionale dal Giudice delle leggi, con una lettura da cui era dato dedurre a contrario che non esisteva alcuna “insanabile contraddizione logica” fra il primo ed il secondo comma e ss. dell’art. 39 Cost.: l’affermazione della libertà sindacale ben poteva essere armonizzata con una legge sindacale la quale prevedesse una promozione dei sindacati, condizionata dalla previa registrazione in forza di statuti su base democratica, con conseguente acquisizione della personalità giuridica; e consentisse, “rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti” di “stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce”. Nonostante qualche tentativo nobile ed autorevole di fine secolo di cogliere all’interno del comma secondo e ss., un nucleo essenziale, sì da poter legittimare un intervento legislativo che ne salvasse il solo presunto principio ispiratore - di recente ripreso con rinnovato impegno ma sostanziale rimaneggiamento del testo costituzionale - rimane a tutt’oggi fermo l’orientamento del Giudice delle leggi di un art. 39 Cost. compatto e coerente. Esso coniuga la libertà di organizzazione con la promozione del sindacato come associazione sindacale, cui viene richiesta una visibilità esterna ed una trasparenza interna per poter partecipare in ragione della sua forza rappresentativa alla delegazione negoziale legittimata a dar vita ad una contrattazione con efficacia erga omnes; peraltro, come pur si è cercato e si cerca di fare, senza poter tracciare distinzione alcuna fra contrattazione nazionale, territoriale, aziendale. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 5 A prescindere dal fatto che il padre costituente non poteva aver presente la contrattazione aziendale, questa rientra a pieno titolo in quell’ultimo comma dell’art. 39 Cost., sia per la ratio, perché trattasi pur sempre di dar ad una contrattazione una efficacia che le è intrinsecamente estranea, cioè ultra partes; sia per la lettera, perché la parola “categorie” è correttamente interpretata come equivalente ad unità contrattuali di qualsiasi livello e perché la frase “con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie” è riferita in primis proprio ai lavoratori non iscritti alle associazioni stipulanti a prescindere dagli ambiti dei relativi contratti. 2. … e passando per il Tit. III St. Lav. Hoc iure utimur, sicché bloccata la strada maestra di una legge sindacale attuativa dell’art. 39, co. 2 ss. Cost. restava aperta quella di una sua modifica costituzionale, come prefigurata dalla Commissione Bozzi degli anni ‘80, di una sua soppressione e contestuale sostituzione, con un rinvio alla legge ordinaria per una definizione della rappresentatività richiesta per condurre una contrattazione con efficacia erga omnes. Non si fece niente di niente, ma addirittura l’art. 39 Cost. sparì da qualsiasi successivo tentativo di riforma costituzionale, per una qual sorta di intesa garantista, per cui i Principi fondamentali e la Parte I della Costituzione dovevano rimanere intoccabili, mentre la Parte II poteva essere debitamente rivisitata, così facendo finta di non accorgersi che c’era una coerenza di ispirazione e di impostazione, tradibile solo a costo di dar vita a discutibili soluzioni di continuità. Se questo valeva, e vale in generale, in particolare l’art. 39 Cost. ed il suo degno ed inseparabile compagno, l’art. 40 Cost., così come sono stati ricostruiti dalla giurisprudenza costituzionale, col conforto della prevalente dottrina, hanno finito per condizionare la stessa Parte II, dettata in tema di “Ordinamento della Repubblica”, sì da restituircela per così dire arricchita, con la copresenza a fianco di un canale principale di partecipazione politica, di uno secondario, di partecipazione sindacale. Già, però, con il Tit. III dello Statuto dei lavoratori, il legislatore aveva dato per scontata la possibilità di scindere il primo comma dal resto dell’art. 39 Cost., facendone la ratio giustificativa di una politica promozionale fondata sulla presenza sindacale nei luoghi di lavoro, senza farsi carico alcuno della contrattazione. Di più non era permesso dalla sopravvivenza del comma secondo e ss. dell’art. 39 Cost.; né di più era richiesto dal suo vero destinatario, quel sindacalismo confederale che privilegiava la pressione sulla politica economico-sociale della maggioranza rispetto alla stessa trattativa con la controparte datoriale. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 6 FRANCO CARINCI Si può qui ritornare sul “modello” incorporato nel Tit. III dello Statuto, così come consacrato nella giurisprudenza costituzionale, solo per tenerlo come termine di confronto in un processo che, pur avendo portato ad un suo vero e proprio rovesciamento, continua a considerarlo un referente obbligato di qualsiasi intervento successivo. Come ben noto, l’intento perseguito dal legislatore all’indomani dell’autunno caldo, così come di fatto condiviso da Corte cost. n. 54/1974, era di restituire al sindacalismo confederale, auto-elevatosi a protagonista politico in una stagione passata alla storia come quella della supplenza sindacale, una capacità di controllo su una mobilitazione di base fortemente radicalizzata, canalizzandola e dirottandola verso le grandi riforme destinate ormai a contare, assai più della contrattazione, nella ridistribuzione sociale, tramite la spendita di quello sciopero di imposizione politico-economica che di lì a poco Corte cost. n. 290/1974 avrebbe riconosciuto come diritto pleno iure. A riassumere il molto in poco, c’è da ricordare come per questo modello statutario, come tradotto negli artt. 14 e 19 St., il comma primo dell’art. 39 Cost. andava letto nel senso di legittimare: a) la previsione di una tutela a scalare per quel che riguardava la presenza sindacale nei luoghi di lavoro, con una disciplina garantista base per qualsiasi organizzazione sindacale, senza che peraltro ne fossero chiaramente individuati contenuto e destinatario; ed una disciplina promozionale per la sola associazione sindacale dotata di “rappresentatività”, consistente nella possibilità di costituire proprie rappresentanze nelle unità produttive, con una congrua dote di diritti sindacali; b) la configurazione di tale “rappresentatività” secondo una sequenza discendente, cioè b’) una maggiore rappresentatività “presunta” riconosciuta in via originaria alle confederazioni, da cui dedurre in via derivata quella delle associazioni aderenti e b’’) una “rappresentatività effettiva” per associazioni sindacali non aderenti, purché firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali applicati nelle unità di riferimento. Tale modello segnava il definitivo superamento di quello fondato sull’affiancamento alle Commissioni interne - composte da eletti - di rappresentanze sindacali aziendali - formate da iscritti -, peraltro promosso senza troppo successo nel corso del decennio ’60, a tutto favore di uno basato formalmente sulle sole Rsa. Usciva così rafforzato il pluralismo associativo proprio di un sistema contrattuale costruito su contratti nazionali di categoria sottoscritti da quelle federazioni che, in quanto aderenti a confederazioni maggiormente rappresentative, come per antonomasia Cgil, Cisl, Uil, erano legittimate a costituire altrettante Rsa, se pur con la pudica riserva “ad iniziativa dei lavoratori”, rivelatasi di fatto poco o nulla rilevante. Mentre persisteva immutato l’astensionismo WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 7 legislativo rispetto a quello stesso sistema contrattuale, lasciato, per la gestazione, al principio del reciproco riconoscimento; e, per l’applicazione, al dato dell’effettività. 3. Regola ed “eccezioni” in merito all’efficacia della contrattazione collettiva: la l. n. 146/1990 sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e la l.d. n. 421/1992 sulla c.d. privatizzazione del pubblico impiego. La soluzione di continuità avrà luogo nel corso del decennio ’90, con a sua antesignana una duplice disposizione legislativa, che non investiva il pluralismo associativo fondato sulle rsa, ma l’efficacia della contrattazione collettiva, peraltro in maniera indiretta: l’art. 2, l. n. 146/1990, contenente norme sull’esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, e l’art. 5, co. 1, l. n. 223/1991, contenente norme su cassa integrazione, mobilità e licenziamenti collettivi. A’ sensi dell’art. 2, co. 2 della prima, “Le amministrazioni e le imprese erogatrici dei servizi … concordano nei contratti collettivi …, nonché nei regolamenti di servizio, da emanarsi in base agli accordi con le rappresentanze sindacali aziendali … le modalità e le procedure di erogazione …” delle prestazioni indispensabili; mentre a’ sensi dell’art. 5, co. 1 della seconda, “L’individuazione dei lavoratori da licenziare deve avvenire … nel rispetto dei criteri previsti da contratti collettivi stipulati con i sindacati di cui all’articolo 4, comma 2 …”, cioè con le “rappresentanze sindacali aziendali costituite a norma dell’art. 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché... le rispettive associazioni di categoria”. Peraltro la Corte costituzionale, ben consapevole del potenziale contrasto con l’art. 39, co. 2 ss. Cost., non avrebbe riconosciuto alcun effetto generale diretto al contratto collettivo così chiamato in causa, nazionale o aziendale che fosse. Facendo ricorso ad un marchingegno destinato a trovare più ampio utilizzo nel mondo dottrinale, con un percorso sostanzialmente coincidente, Corte cost. 22 giugno 1994, n. 268 e Corte cost. 18 ottobre 1996, n. 344 ricollegheranno tale effetto allo stesso esercizio di un potere regolamentare del datore costretto a conformarsi al contenuto del contratto collettivo. La vera svolta avviene con la prima fase della c.d. privatizzazione del pubblico impiego aperta dall’art. 2 della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421, cui fa seguito quel d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, destinato ad essere continuamente rivisto fino al suo sostanziale recepimento nel d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Senza rimettere in discussione il pluralismo WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 8 FRANCO CARINCI associativo nelle unità amministrative, si crea un sistema contrattuale modellato su quello privato, ma adattato con riguardo al duplice vincolo deducibile dal testo costituzionale: una spesa pubblica controllabile e una disciplina non differenziata in ragione della sola appartenenza sindacale. Il primo vincolo era assicurato da una forte centralizzazione e da una rigida articolazione: al vertice erano le confederazioni, che erano legittimate a concludere da sole gli accordi quadro e insieme alle organizzazioni sindacali i contratti di comparto e di area dirigenziale; alla base, erano le rappresentanze sindacali definite dagli stessi contratti nazionali, che erano autorizzate a stipulare contratti decentrati sanzionati con effetti reali. Mentre il secondo vincolo era assicurato dalla attribuzione alla contrattazione collettiva di una efficacia erga omnes, tramite una ricca strumentazione, di per sé tale da tradire la preoccupazione di una bocciatura da parte della Corte costituzionale: a) la costituzione di un Agenzia per le relazioni sindacali provvista della rappresentanza legale delle pubbliche amministrazioni; b) la introduzione di un vincolo a carico delle amministrazioni pubbliche ad osservare i contratti collettivi; c) la previsione di un obbligo di un trattamento contrattuale paritario e, comunque, non inferiore a quello contemplato dal rispettivo contratto collettivo. Naturalmente la precondizione politica e giuridica di una tale efficacia erga omnes era data dalla selezione delle confederazioni ed organizzazioni sindacali ammesse alla trattativa, rimessa ad una rappresentatività “presunta” che suonava identica a quella di cui all’art. 19, lett. a) St., senza peraltro esserlo nella rilevanza e nella nozione. Non vi coincideva del tutto nella nozione, poiché, mentre l’art. 19, lett. a) la rinviava sostanzialmente all’interpretazione dottrinale e giurisprudenziale; l’art. 47 del d.lgs. n. 29/1993 la regolava secondo una duplice sequenza temporale: in via temporanea, col ricorso all’art. 8 d.p.r. 23 agosto 1988, n. 395, per cui toccava alla Presidenza del Consiglio accertarla in base alla quantità delle deleghe, alla risultanza delle elezioni tenute per la partecipazione ad organi vari, alla distribuzione categoriale e territoriale delle strutture organizzative, e, in via definitiva, col rinvio ad un accordo fra la Presidenza del Consiglio e le confederazioni maggiormente rappresentative come sopra individuate. Soprattutto, non vi coincideva per nulla nella rilevanza, perché la rappresentatività “presunta” dell’art. 19, lett. a) St. veniva sì riecheggiata dal decreto legislativo, ma con una ben diversa finalità, cioè per riconoscere alle organizzazioni sindacali il diritto non di costituire proprie Rsa nei luoghi di lavoro, ma di partecipare alla contrattazione collettiva. In aggiunta, la rappresentatività “effettiva” dell’art. 19, lett. b) St. non era comunque mutuabile dal decreto legislativo, per la contraddizion WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 9 che nol consente, dato che le organizzazioni sindacali ivi considerate avrebbero dovuto essere firmatarie di contratti già applicati, per essere ammesse …ai relativi tavoli negoziali. Così se l’art. 19 St. era in grado di attribuire la rappresentatività “presunta” in via originaria alle sole confederazioni ed in via derivata alle organizzazioni sindacali loro aderenti, vista la possibilità di recuperare, per il tramite di una “rappresentatività effettiva” testimoniata dalla sottoscrizione di contratti applicabili, le organizzazioni rimaste escluse; l’art. 47 del d.lgs. n. 29/1993 era costretto a concedere la rappresentatività “presunta” in via originaria sia alle confederazioni che alle organizzazioni sindacali affiliate o meno, data l’impossibilità logica di recuperare, per mezzo di una “rappresentatività effettiva” provata dalla conclusione di contratti applicabili, le organizzazioni lasciate fuori. La Corte costituzionale, chiamata a pronunciare l’ultima parola, con una dimostrazione di quel self-restraint che la caratterizzava allora assai più di ora, salverà tale efficacia erga omnes, senza peraltro rimettere in discussione la sua consolidata giurisprudenza sull’art. 39, co. 2 ss. Cost.; bensì aggirandola, con la “scusante” di dover tener conto dell’art. 97, co. 1 Cost.: riconducibile non alla contrattazione collettiva considerata in sé e per sé; ma all’esistenza di un obbligo posto ex lege a carico delle pubbliche amministrazioni (Corte cost. 16 ottobre 1997, n. 309). 4. Il processo costituente del sistema: il Protocollo 23 luglio 1993 All’accelerazione sul fronte dell’impiego pubblico ne sarebbe seguita un’altra su quello del lavoro privato, con una differenza fondamentale costituita dalla fonte, non una legge ma un accordo interconfederale Confindustria/Cgil, Cisl, Uil, contenuto all’interno di una Intesa triangolare, conosciuta come il Protocollo del luglio 1993. E proprio l’accordo interconfederale costituirà la fonte “costante” anche per il futuro, peraltro col costo derivante dalla sua natura contrattuale in termini di limitazione dell’efficacia e della esigibilità. Dopo aver proceduto su binari del tutto distinti, nell’arco di quel 1993 che vede consumarsi il tramonto della Prima Repubblica con il Governo tecnico Ciampi, i diritti sindacali del pubblico e del privato convergono e si influenzano reciprocamente. Per di più il Protocollo del 23 luglio 1993 vara una politica dei redditi basata in prima ed ultima istanza su una dinamica retributiva in linea con una inflazione programmata concertata fra Governo e parti sociali, da rispettarsi per l’intero universo del lavoro dipendente; e ciò tramite un sistema contrattuale rigidamente articolato, con un sostanziale allineamento fra settore pubblico e privato: WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 10 FRANCO CARINCI un livello nazionale, con un rinnovo biennale economico per il mantenimento del potere d’acquisto ed uno quadriennale normativo; ed un livello decentrato vincolato al rinvio previsto da quello nazionale. Peraltro, nel settore privato il livello nazionale rimaneva affidato al principio del reciproco riconoscimento, dandolo di fatto per consolidato a favore delle sole Federazioni facenti capo a Cgil, Cisl, Uil; mentre il livello aziendale veniva attribuito congiuntamente alle neo-riconosciute Rsu elettive e alle oo.ss. territoriali. Certo le Rsu nelle unità produttive al di sopra dei quindici dipendenti erano già state accreditate unilateralmente come sostitute delle Rsa statutarie, da ultimo dall’intesa quadro tra Cgil- Cisl-Uil sulle rappresentanze sindacali unitarie, sottoscritta in data 1 marzo 1991; ma ora lo erano bilateralmente, cioè anche dalla Confindustria, con contestuale attribuzione a parità di trattamento di una quota maggiore della dote legislativa e contrattuale prevista per le Rsa (Punto 2. Assetti contrattuali, Rappresentanze sindacali, lett. a e b). Il che favoriva la partecipazione di base, coinvolta direttamente ed unitariamente su problematiche vissute in prima persona, sì da più che compensare una sindacalizzazione anche qui in calo; ma creava un duplice problema. Il primo era costituito dal tendenziale vuoto di presenza delle sigle sindacali all’interno delle aziende, destinato ad essere riempito dalla valorizzazione identitaria delle loro quote di partecipazione nelle rsu, col porre così le premesse di una divisione per componenti sindacali, sempre pronta ad emergere in occasione di ogni nuova crisi dell’unità di azione. Il secondo problema era rappresentato dal deficit di coordinamento soggettivo così creato nell’ambito di un sistema contrattuale rigidamente articolato fra il livello nazionale, gestito dalle Federazioni, ed il livello aziendale amministrato dalle rsu; tanto più che il coordinamento oggettivo, tramite le clausole di specializzazione e di rinvio, poteva contare solo su un effetto obbligatorio intra o inter- sindacale, del tutto ipotetico. Le Confederazioni, ben consapevoli del deficit così prodotto nel coordinamento soggettivo, oltre al controllo sulla costituzione delle rsu e sulla elezione dei componenti consacrato nel successivo accordo interconfederale per la costituzione delle Rsu del 1 dicembre 1993, prevedevano nel Protocollo del 23 luglio 1993 sia la regola del “terzo riservato”, per cui “Al fine di assicurare il necessario raccordo tra le organizzazioni stipulanti i contratti nazionali e le rappresentanze aziendali titolari delle deleghe assegnate dai contratti medesimi, la composizione delle rappresentanze deriva per 2/3 da elezione da parte di tutti i lavoratori e per 1/3 da designazione o elezione da parte delle organizzazioni stipulanti il CCNL, che hanno presentato liste, in proporzione ai voti ottenuti” (Punto 2, Assetti contrattuali, WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 11 Rappresentanze sindacali, lett. a); sia la regola della titolarità contrattuale congiunta, per cui “la legittimazione a negoziare al secondo livello le materie oggetto di rinvio da parte del CCNL è riconosciuta alle rappresentanze sindacali unitarie ed alle organizzazioni sindacali territoriali dei lavoratori aderenti alle organizzazioni stipulanti il medesimo CCNL, secondo le modalità determinate dal CCNL” (Punto 2, Assetti contrattuali, Rappresentanze sindacali, lett. e). Due correttivi non senza inconvenienti, perché la regola del “terzo riservato” si sarebbe rivelata tale da assicurare in partenza alle Federazioni aderenti a Cgil, Cisl e Uil una prevalenza a priori nelle rsu, sì da essere considerata contraddittoria rispetto alla stesso ricorso alle elezioni; mentre quella della titolarità contrattuale congiunta si sarebbe svelata tale da rendere difficile la conta della maggioranza rilevante, perché se per le Rsu poteva essere quella dei componenti, per le organizzazioni sindacali territoriali non poteva altrettanto semplicemente essere quella delle sigle. Tutti nodi destinati a venire al pettine. Ma importa qui sottolineare come il Protocollo si facesse carico anche dell’efficacia della contrattazione, peraltro con la piena consapevolezza di non poter assicurarle una estensione ultra partes, sì da dover sollecitare una legge in tal senso, articolandola a seconda del livello sul presupposto implicito di una certa interpretazione dell’art. 39, co. 2 ss. Cost. Così, per i contratti collettivi aziendali, che erano considerati estranei all’ambito coperto dall’art. 39 co. 4 Cost., si auspicava “una generalizzazione dell'efficacia soggettiva dei contratti collettivi aziendali che siano espressione della maggioranza dei lavoratori, nonché alla eliminazione delle norme legislative in contrasto con tali principi”; e per certi contratti collettivi nazionali, che non erano ritenuti estranei a tale ambito, ma comunque giustificati socialmente, si dava atto dell’impegno del Governo “ad emanare un apposito provvedimento legislativo inteso a garantire l'efficacia "erga omnes" nei settori produttivi dove essa appaia necessaria al fine di normalizzare le condizioni concorrenziali delle aziende” (Punto 2. Assetti contrattuali, Rappresentanze sindacali, lett. f). 5. (Segue): l’Accordo interconfederale sulle Rsu 1 dicembre 1993. Se il Protocollo del 23 luglio 1993 si limitava a riconoscere le Rsu elettive da parte delle organizzazioni stipulanti, cioè di Cgil, Cisl e Uil, il successivo Accordo interconfederale fra Confindustria e le tre Confederazioni sulle Rsu del 1 dicembre 1993 si spingeva oltre, coll’attribuire l’iniziativa a costituire le Rsu sia alle associazioni sindacali stipulanti il Ccnl, sia ad altre organizzazioni costituite in associazioni con WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 12 FRANCO CARINCI propri statuti che aderissero all’accordo e fossero in grado di presentare liste sostenute dal 5% degli aventi diritto al voto. Il fatto è che le Confederazioni intendevano così recuperare l’intentio genuina della politica promozionale del Tit. III dello Statuto, che le vedeva come le vere beneficiarie, col sovrapporre al sistema legale uno loro convenzionale. Un sistema, quest’ultimo, che appariva “chiuso” con riguardo al suo regolamento, dato che doveva essere condiviso in modo totale ed incondizionato, con l’impegno contestuale a non avvalersi comunque dell’art. 19 St., in forza della c.d. clausola di salvaguardia, per cui le “organizzazioni sindacali dotate dei requisiti di cui all’art. 19, L. 20 maggio 1970, n. 300, che siano firmatarie del presente accordo o, comunque, aderiscano alla disciplina in esso contenuta, partecipando alla procedura di elezione delle r.s.u., rinunciano formalmente ed espressamente a costituire Rsa ai sensi della norma sopra menzionata”. Ma risultava relativamente “aperto”, con rispetto allo stesso accesso, perché esteso, oltre che alle associazioni sindacali firmatarie del Protocollo o comunque del Ccnl applicato nell’unità produttiva, che avevano titolo a far ricorso all’art. 19 St.; anche a quelle che non l’avevano, purchè, provviste di propri statuti e atti costitutivi, accettassero il regolamento predisposto dal Protocollo e fossero in grado di presentare le loro liste con firme pari al 5% degli aventi diritto al voto. Il coordinamento soggettivo del sistema da parte delle associazioni sindacali firmatarie del Ccnl, già assicurato dalla regola del terzo riservato e dalla titolarità congiunta della contrattazione previste dal Protocollo del luglio 1993, veniva rafforzato dalla legittimazione a costituire e a eleggere le Rsu; nonché dalla conservazione di una quota minore dei diritti di cui al Tit. III St. destinati ad essere trasferiti alle Rsu, quali “a) diritto a indire singolarmente o congiuntamente l’assemblea dei lavoratori durante l’orario di lavoro, per 3 delle 10 ore annue retribuite, spettanti a ciascun lavoratore ex articolo 20, Legge n. 300/1970; b) diritto ai permessi non retribuiti, di cui all’articolo 24, Legge n. 300/1970; c) diritto di affissione di cui all’articolo 25, Legge 300/1970” (Parte prima, Diritti, permessi ecc., ultimo paragrafo). Naturalmente il sistema era efficace nell’ambito coperto dalla Confindustria, corresponsabilizzata su quella materia delle rappresentanze sindacali aziendali prima gelosamente riservata all’auto- regolamentazione sindacale, proprio per garantire la presenza delle Rsu nelle aziende ad essa associate. Ma, more solito, quello con la Confindustria serviva come accordo-guida, che la stessa doveva farsi carico di estendere ad altre confederazioni sindacali per adesione (per mezzo della firma della stessa intesa) ovvero per ricezione autonoma (per tramite della sottoscrizione di altra intesa distinta e anche in qualche WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 13 parte differenziata) che Cgil, Cisl, Uil dovevano riprodurre con altre confederazioni datoriali. Il che, però, lasciava aperto un duplice problema destinato a riprodursi in futuro: come avrebbe dovuto aver luogo l’adesione al sistema; e, soprattutto, come avrebbe potuto la ricezione autonoma convenuta fra Confindustria e altre sigle sindacali, nonché fra Cgil, Cisl e Uil e altre Confederazioni datoriali dar luogo ad un sistema unitario. Il che, però, non solo lasciava fuori l’area non coperta dall’associazionismo imprenditoriale, che, peraltro, coincideva in misura percentualmente maggiore con le unità produttive al di sotto dei sedici dipendenti non ricomprese; ma restava condizionato dalla capacità di influenza delle stesse confederazioni datoriali rispetto alle singole Federazioni ed aziende. E lo stesso poteva dirsi per Cgil, Cisl, Uil, costrette a contare sulla cooperazione delle Federazioni di categoria chiamate a completare la stessa disciplina interconfederale, in vista di una tempestiva e uniforme generalizzazione delle Rsu. Visto a posteriori, questo sistema, destinato a costituire il referente obbligato di ogni successivo aggiornamento, era costruito su un presupposto implicito, ma essenziale, quello di un rapporto unitario fra Cgil, Cisl, Uil, tale da rendere accettabile quel “trentanovismo” aziendale costituito da una Rsu elettiva, se pur con la correzione del “terzo riservato”. Venuto meno tale rapporto unitario, non sarebbe stato certo sufficiente ad evitare il rischio di decisioni prese per “componenti” sindacali il generico rinvio lasciato privo di riscontro per cui “Le decisioni relative a materie di competenza delle Rsu sono assunte dalle stesse in base ai criteri previsti da intese definite dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti il presente accordo” (Parte prima, Decisioni); né sarebbe stato sufficiente ad impedire il ritorno di un sindacato alla Rsa l’inserimento della c.d. clausola di salvaguardia. Di certo il lascito del Protocollo e del relativo Accordo interconfederale, confermato col passare del tempo, era quello di uno spostamento dell’equilibrio del sistema dal centro alla periferia, riconducibile non ad un decentramento formale del sistema contrattuale, che anzi veniva ripreso e definito come rigidamente articolato; ma al riconoscimento consensuale delle Rsu, che, pur soggette al rischio di essere risucchiate dalle organizzazioni sindacali presentatrici delle liste e beneficiarie della regola del terzo riservato, restavano pur sempre esposte alla pressione della loro base elettorale. 6. I tre referendum abrogativi del 1995. Solo che da lì a poco si sarebbe visto di quanto poco consenso godessero le tre grandi Confederazioni, dopo che Corte cost. 11 gennaio WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 14 FRANCO CARINCI 1994, n. 1, aveva dato semaforo verde a tre referendum abrogativi riguardanti gli stessi accreditamenti legislativi della loro rappresentatività: un primo attinente all’art. 47 del d.lgs. n. 29/1993; ed altri due concernenti l’art. 19 della l. n. 300/1970, con un quesito “massimale”, teso a cancellare entrambe le lett. a) e b) ed uno “minimale”, inteso a eliminare la lett. a) e a mantenere la lett. b), ma epurata della espressione “nazionali o provinciali”. Le cifre uscite dalla consultazione dell’11 giugno 1995 parlano da sole, dato che, con percentuali di votanti di poco superiori al 57%, l’art. 47 è stato cassato con il 64,70%; mentre l’art. 19 St. si è salvato di misura dal quesito “massimale”, col 50,03% di no, ma è si è visto amputato dal quesito “minimale”, col 62,10% di sì. 6.1 L’abrogazione dell’art. 47 d.lgs. n. 29/1993. L’abrogazione totale dell’art. 47 del d.lgs. n. 29/1993 creava un vuoto che avrebbe bloccato il funzionamento dell’intero sistema, se il legislatore non fosse da ultimo intervenuto a riempirlo a seguito della l.d. 15 marzo 1997, n. 59, modificando ulteriormente il testo originario di quel decreto, coi dd.lgs. 4 novembre 1997, n. 396 e 31 marzo 1998, n. 80, seguiti dall’Accordo quadro fra Aran e Cgil/Cisl/Uil sulle Rsu 7 agosto 1998. Presentato con un previo richiamo allo Statuto, quasi ne rappresentasse un mero sviluppo, il nuovo modello costituiva un adattamento del precedente di cui al d.lgs. n. 29/1993, peraltro messo a punto sotto l’influsso del Protocollo del 23 luglio 1993 e del successivo Accordo interconfederale sulle Rsu del 1 dicembre dello stesso anno. Come risposta al pollice verso del corpo elettorale, il primo passo era costituito dal passaggio da una rappresentatività “presunta” ad una “effettiva”. Dato che, come visto, tale rappresentanza “effettiva” non poteva derivare dalla partecipazione ad una contrattazione collettiva di cui doveva viceversa costituire la precondizione, col selezionare le organizzazioni sindacali legittimate a condurla; dato questo, occorreva recuperare le grandezze considerate da quell’art. 8 del d.p.r. n. 395/1988, cui rinviava l’abrogato art. 47, cioè deleghe e risultanze elettorali, rimettendole non più ad una valutazione qualitativa, bensì ad una misurazione quantitativa ancorata alla presenza di base. Era inevitabile tener presente il modello adottato qualche anno prima per il settore privato, senza peraltro contemplare alcuna c.d. clausola di salvaguardia, visto che qui la fonte non era un accordo confederale, ma la stessa legge, da cui non era assolutamente possibile chiamarsi fuori. Così il d.lgs. n. 396/1997 contemplava la costituzione di organismi di rappresentanza unitaria del personale in ogni unità amministrativa con più di quindici dipendenti da parte delle organizzazioni sindacali rappresentative ai sensi dello stesso decreto; ed estendeva la WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 15 possibilità di presentare liste elettorali anche ad altre organizzazioni sindacali, purché fossero costituite in associazioni con propri statuti e condividessero il regolamento concordato per l’elezione ed il funzionamento di tali organismi, senza peraltro richiedere una certa percentuale di firme, a meno che non fosse prevista per tutte le “organizzazioni promotrici”, nella misura del 3% o del 2% dei lavoratori occupati. E se il modello introdotto dal Protocollo del 23 luglio e dall’Accordo interconfederale del 1 dicembre 1993 - che aveva a suo referente l’art. 19 St. - si esauriva nella elezione delle Rsu al posto delle Rsa; quello del d.lgs. n. 396/1997 - che aveva a suo precedente il testo originario del d.lgs. n. 29/1993 - si doveva necessariamente proiettare dalla elezione delle Rsu alla rappresentatività “effettiva”, rilevante per l’ammissione alla trattativa e per l’efficacia della contrattazione collettiva nazionale. La contrattazione collettiva nazionale era riservata alle “organizzazioni sindacali che abbiano nel comparto o nell’area una rappresentatività non inferiore al 5 per cento, considerando a tal fine la media fra il dato associativo e il dato elettorale. Il dato associativo è espresso dalla percentuale delle deleghe per il versamento dei contributi sindacali rispetto al totale delle deleghe rilasciate nell’ambito considerato. Il dato elettorale è espresso dalla percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle rappresentanze unitarie del personale, rispetto al totale dei voti espressi nell’ambito considerato” (ora art. 43, co. 1 d.lgs. n. 165/2001). E l’Aran era legittimata a procedere alla relativa sottoscrizione, solo previa verifica “che le organizzazioni sindacali che aderiscono all’ipotesi di accordo rappresentino nel loro complesso almeno il 51 per cento come media tra dato associativo e dato elettorale nel comparto o nell’area contrattuale, o almeno il 60 per cento del dato elettorale nel medesimo ambito” (ora art. 43, co. 3 d.lgs. n. 165/2001). Anche qui si presentava il problema del coordinamento soggettivo di un sistema contrattuale articolato; se pur attenuato rispetto al settore privato, dato che il coordinamento oggettivo, tramite le clausole di specializzazione e di rinvio, poteva contare su un effetto reale, garantito da un controllo interno ed esterno. Così, se pur non veniva mutuata dal Protocollo del luglio 1993 la clausola del “terzo riservato” a favore delle organizzazioni sindacali firmatarie dei contratti nazionali applicati; pur tuttavia neanche veniva rilasciata carta bianca alle Rsu. A’ sensi del d.lgs. n. 396/1997, toccava ad appositi accordi fra l’Aran e le organizzazioni sindacali rappresentative non solo regolare la composizione e l’elezione delle Rsu, ma disciplinare le modalità di esercizio dei diritti di informazione e di partecipazione previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva; nonché prevedere l’integrazione delle stesse Rsu con WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 16 FRANCO CARINCI rappresentanti delle organizzazioni sindacali firmatarie del contratto nazionale in sede di negoziato integrativo, come, d’altronde, ripreso e confermato dal citato accordo quadro 7 agosto 1998. Inoltre, come già avvenuto nel privato, veniva mantenuto uno spazio operativo alle organizzazioni sindacali ammesse alla contrattazione collettiva nazionale; qui col riconoscimento esplicito del diritto a costituire Rsa nelle stesse unità amministrative presidiate dalle Rsu, con la conservazione di una quota minore dei diritti sindacali di cui al Tit. III dello Statuto, cioè quelli degli artt. 23, 24 e 30 dello Statuto, sì da farle coesistere entrambe, ma con un rapporto di forza tutto a favore delle Rsu per la legittimazione elettorale ricevuta, la agibilità operativa assicurata, la capacità negoziale esercitata. Di sicuro il legato del passaggio dalla prima alla seconda fase della c.d. privatizzazione, in forza della l.d. n. 59/1997, destinato ad essere confortato col trascorrere del tempo, era quello di un progressivo decentramento del sistema, dall’accordo quadro al contratto nazionale, dal contratto nazionale ad un contratto integrativo restituito ad un ruolo più ampio e significativo. Fenomeno, questo, accompagnato dal contestuale ridimensionamento delle confederazioni vis-à-vis delle federazioni, legittimate non più per se stesse, ma per l’adesione di federazioni rappresentative; e delle stesse federazioni vis-à-vis delle istanze di base, costituite non più da rappresentanze definite dalla stessa contrattazione nazionale, ma da Rsu totalmente elettive. 6.2 L’amputazione dell’art. 19 della l. n. 300/1970. L’abrogazione parziale dell’art. 19 St. non era destinata ad avere a breve alcun effetto conforme all’intento di chi aveva proposto il quesito “minimale” poi confortato dal consenso popolare; anzi, semmai, contrario, almeno con riguardo a Cgil, Cisl ed Uil. Una volta eliminata la lett. a), che così come interpretata dalla giurisprudenza era ormai tale da ospitare anche organizzazioni aderenti a confederazioni dall’assai discutibile maggiore rappresentatività, restava la lett. b) che legittimava quelle sole che avessero previamente sottoscritto contratti collettivi applicati nelle unità produttive interessate, cosa affatto scontata per le Federazioni targate Cgil, Cisl, Uil, ma non altrettanto per altre organizzazioni sindacali. Tant’è che la giurisprudenza costituzionale sulla residua lett. b) sarà attivata proprio da organizzazioni sindacali c.d. autonome, escluse dalla contrattazione collettiva, in forza di una regola del reciproco riconoscimento, applicata di massima a favore delle sole parti sociali “storiche”. L’eliminazione della lett. a) dell’art. 19 St. certificava il venir meno di quell’intento perseguito della politica promozionale di cui al Tit. III WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 17 dello Statuto, cioè di permettere a quelle confederazioni destinate ad esserne le effettive beneficiarie, Cgil/Cisl/Uil, di recuperare una presa su una mobilitazione di base altamente conflittuale tramite una loro presenza nei luoghi di lavoro imposta ed assistita in forza di legge, sì da razionalizzarla e convogliarla a favore delle riforme in tema di fisco, casa, pensioni. Un intento, questo, che la stessa Corte aveva a suo tempo apprezzato, per poi dover prendere atto dell’essere stata la lett. a) diluita dalla giurisprudenza ordinaria fino ad attenuarne di molto la portata selettiva; e del restare comunque espressiva di una rappresentatività “presunta” calata dall’alto, non più rispondente alla crescente domanda di una rappresentatività “effettiva”, espressa dal basso, che la stessa lett. b) non era in grado di soddisfare. Tanto che nella sent. n. 30/1990 aveva sì sostenuto che l’art. 19 St. fosse norma strettamente permissiva, sì da impedire che la rappresentatività potesse essere riconosciuta al di fuori delle sue lett. a) e b); ma aveva ammesso trattarsi di norma resa obsoleta dall’evoluzione dei tempi, tale da richiedere una correzione legislativa ispirata “alla valorizzazione dell’effettivo consenso come metro di democrazia anche nell’ambito dei rapporti tra lavoratori e sindacati”. E il perdurante silenzio legislativo doveva giocare un ruolo determinante nel convincere la Corte a superare il suo tradizionale horror vacui, col dar semaforo verde anche ad un quesito come quello “massimale”, che, se accolto, avrebbe permesso a qualunque soggetto collettivo l’accesso al Tit. III dello Statuto. Peraltro, una volta passato il quesito “minimale”, la Corte, si sarebbe trovata di fronte ad una duplice sfida, affrontata con una qual certa pragmatica sufficienza, tale da non risolverla, ma lasciarla aperta per il futuro. La prima sfida era offerta dalla capacità espansiva manifestata dalla formula di “confederazione maggiormente rappresentativa” di cui alla lett. a), sì da essere utilizzata in una legislazione promozionale proiettata ben al di là della mera costituzione di rsa, cioè tale da attribuire la facoltà di condurre una contrattazione integrativa della stessa legge in materia di accordi di solidarietà e di selezione dei lavoratori licenziabili (d.l. n. 726/1984, art. 1, co. 1, art. 2, co. 1, art. 3, co. 3; l. n. 223/1991, art. 5, co. 1) o riconoscere la possibilità di avere un’informazione preventiva in tema di trasferimento d’azienda e di ricorso alla mobilità (l. n. 428/1990, art. 47; l. n. 223/1991, art. 4, co. 2). E così Corte cost. n. 244/1996 dirà che la “maggior rappresentatività” era stata espulsa dall’art. 19 St., tramite l’abrogazione della sua lett. a), ma non dall’ordinamento, dove permaneva in ragione della legislazione che volta a volta la richiamava, secondo la nozione messa a punto dalla giurisprudenza ordinaria, da lei riassunta come data “oltre che WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 18 FRANCO CARINCI dall’effettività dell’azione sindacale, dalla loro articolazione a livello nazionale e dai caratteri di intercategorialità e pluricategorialità”. La seconda sfida era costituita dalla sua precedente giurisprudenza, cioè da quella Corte cost. n. 30/1990 con cui aveva difeso la costituzionalità della lett. b) nella sua versione pre-referendaria, coll’escludere che la rappresentatività deducibile dalla sottoscrizione di un contratto collettivo nazionale o provinciale fosse da ritenersi octroyée, cioè rimessa al mero accreditamento del singolo datore di lavoro, perché manifestazione di una “efficienza contrattuale almeno a livello locale”. Sicché la Corte sarà obbligata a ritornare su se stessa, per sostenere la legittimità della lett. b) nella sua versione post-referendaria, col negare che la rappresentatività riconducibile alla firma di un contratto anche solo aziendale fosse da ritenersi octroyée, perché, se la firma del sindacato era preceduta da una “partecipazione attiva al processo di formazione” ed era apposta ad “un contratto normativo”, ciò dava pur sempre testimonianza di una “capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro” (Corte cost. n. 244/1996); e, comunque, fosse da considerarsi “coatta”, perché se la sottoscrizione del sindacato era dovuta a pena di perdere o di non ottenere la propria rsa, questo costituiva solo un “fattore del calcolo dei costi-benefici che esso, come ogni contraente, deve compiere per valutare la convenienza di stipulare o no il contratto a quelle condizioni” (Corte cost. n. 345/1996). Come detto, una duplice sfida lasciata aperta per il futuro. La sopravvivenza assicurata alla formula di “confederazione maggiormente rappresentativa” dopo l’abrogazione dell’art. 19, lett. a) St., come nozione adottata dall’ordinamento, non avrebbe trovato conferma nella legislazione successiva, la quale le preferirà l’altra di “associazione comparativamente più rappresentativa” per una contrattazione c.d. delegata sempre più diffusa ed incisiva, proprio in ragione di quella discontinuità richiesta da un sistema non più controllabile da un oligopolio esercitato dal centro da Cgil, Cisl, Uil: se si trattava pur sempre di una rappresentatività presunta, la prima era assoluta, nonché declinata a livello confederale; mentre la seconda era comparativa, nonché declinata a qualsiasi livello, preferibilmente nazionale e territoriale. A sua volta, la difesa ad oltranza di una interpretazione dell’ art. 19, lett. b) St., che considerava necessaria ma non sufficiente una partecipazione attiva non seguita dalla sottoscrizione, non avrebbe retto alla prova di una crisi dell’unità sindacale destinata a trovare la sua massima espressione nella vicenda Fiat. WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 19 7. L’approccio unitario espresso dalle Linee di riforma della struttura della contrattazione 12 maggio 2008. Il processo iniziato in quel fatidico 1993, col d.lgs. n. 29 del marzo ed il Protocollo del luglio si potrà considerare esaurito con la fine del decennio ‘90, quando si manifesterà l’effetto di un duplice cambiamento, destinato a divenire sempre più critico nel primo scorcio del nuovo secolo: il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, che condurrà ad una forte polarizzazione della dialettica partitica, con una alternanza alla guida del Paese, radicalizzata dalla vicenda giudiziaria del leader del centro-destra; l’ingresso nell’Euro, che costringerà ad una rigida gestione economica, con una ricaduta sulla situazione sociale, aggravata dalla crisi finanziaria mondiale. L’alternanza nel Governo sarà segnata da una discontinuità nella politica perseguita con riguardo alla parte assegnata alle grandi confederazioni, alla opportunità di una legge sindacale, alla declinazione della flexisecurity: la concertazione, l’interventismo legislativo, la sicurezza caratterizzavano il centro-sinistra; il dialogo sociale, l’astensionismo legislativo, la flessibilità contrassegnavano il centro- destra. Una discontinuità, peraltro, assai più forte nella formulazione propagandistica che nella pratica effettiva, data la progressiva riduzione dell’area di manovra lasciata alla politica nazionale dalla Ue ed in particolare dalla Bce, sì da costringere centro-sinistra e centro destra ad una convergente politica di austerity, tanto da far sospettare la fine non solo ideologica ma anche programmatica della classica distinzione fra “sinistra” e “destra”. Certo è che l’inizio del secolo assiste a una crescente crisi dell’unità di azione sindacale, con una rivendica da parte loro delle rispettive identità originarie, le quali si manifestano già nelle posizioni da assumere nei confronti dei Governi in carica ancor prima che nelle rivendicazioni specifiche, con la Cgil certo più sensibile di Cisl e Uil alla loro coloritura politica. Così essa non firmerà il Patto per l’Italia del luglio 2002 con il secondo Governo Berlusconi, adottando come scusante fondamentale l’inclusione di una deroga temporanea e sperimentale all’art. 18 St.; mentre sottoscriverà il Protocollo Welfare del 23 luglio 2007 con il secondo Governo Prodi. La crisi dell’unità sindacale si manifesterà soprattutto nella riforma del sistema contrattuale definito dal Protocollo del luglio 1993. Ciò non toglie che l’avvio sarà comune, costituito da quelle “Linee di riforma della struttura della contrattazione, piattaforma approvata dagli esecutivi nazionali Cgil, Cisl, Uil il 12 maggio 2008”, poi rimesse all’applicazione delle Federazioni di categoria, con in vista l’apertura di un tavolo WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 20 FRANCO CARINCI triangolare per la tutela del reddito dei lavoratori tramite un welfare solidaristico ed efficiente ed un sistema contrattuale articolato su due livelli complementari ed interdipendenti. Sotto attacco restava lo stesso elemento portante del Protocollo del luglio ‘93, cui era dovuto per consenso quasi unanime il rientro da una spirale inflazionistica incompatibile con l’ingresso nell’Euro, cioè l’aver correlato la dinamica retributiva all’inflazione programmata. Ma ciò non senza un crescente costo per i sindacati, costretti a prendere atto di quella inflazione programmata decisa dal Governo senza alcuna previa concertazione; ed in particolare per i lavoratori, condannati a perdere in tutto od in parte la maggiore inflazione effettiva. Da qui la proposta di recuperare una “‘inflazione realisticamente prevedibile’ supportata da parametri ufficiali di riferimento, a livello del Cnel …. quali il deflattore dei consumi interni o l’indice armonizzato europeo corretto con il peso dei mutui”, con la conseguente previsione di un unico rinnovo triennale, al tempo stesso economico e normativo. Il nuovo meccanismo di adeguamento del potere di acquisto era destinato ovviamente a valere per il settore pubblico e privato. Ma il resto del documento appariva costruito a misura del privato, con quel mero e semplice applicare al pubblico “regole analoghe … attraverso opportuni interventi di delegificazione”, che risultava non solo generico, ma anche anacronistico. Di fatto, se l’ultimo decennio del secolo scorso aveva visto un progressivo avvicinamento dell’impiego pubblico al lavoro privato con un significativo crescendo della c.d. privatizzazione dalla prima fase della l.d. n. 421/1992 alla fase della l.d. n. 59/1997; il primo decennio di questo assisterà ad un costante allontanamento in ragione di un duplice processo normativo: sul fronte dell’impiego pubblico, una rilevante perdita di controllo sulla contrattazione collettiva, nazionale ma soprattutto integrativa, ritenuta capace di far saltare le limitazioni poste a salvaguardia dei poteri dirigenziali e dei limiti finanziari, giustificherà una ri-legificazione che sarà portata a sistema con la c.d. riforma Brunetta; sul fronte del lavoro privato, una pressante domanda di flessibilità in entrata ed in uscita, considerata idonea a far lievitare le offerte di lavoro, legittimerà l’emanazione di una disciplina costruita a sua esclusiva misura che sarà condotta a completezza con la c.d. riforma Fornero. Restava sostanzialmente immutata la distribuzione dei ruoli fra primo e secondo livello, sì da non lasciare trasparire il rinfocolato conflitto fra Cgil e Cisl circa il rapporto fra contratto di categoria e contratto aziendale, peraltro incentivato da un intervento di decontribuzione e detassazione del c.d. salario di produttività, secondo un auspicio già contenuto nel Protocollo del luglio 1993 e recepito dal Protocollo del 23 luglio 2007. Ma se mancava qualsiasi parola esplicita circa l’efficacia dello WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 21 stesso contratto di categoria, che qualcosa si muovesse riusciva evidente dalla prefigurazione di una disciplina della rappresentatività modellata su quella del settore pubblico, tale da fondare e giustificare l’espansione della regola collettiva oltre i confini della rappresentanza. Così, una volta confermato “per il settore pubblico l’Accordo collettivo quadro del 7 agosto 1998 e la vigente legge sulla rappresentanza”, si prevedeva che per il settore privato “la base della certificazione sono i dati associativi, riferiti di norma alle deleghe, come possono essere numericamente rilevati dall’INPS, prevedendo un’apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali del DM10, e trasmessi complessivamente al CNEL, nonché i consensi elettorali risultanti ai verbali elettorali delle RSU, che andranno generalizzate dappertutto, come già regolamentate dall’Accordo interconfederale del 1 dicembre 1993 e dai CCNL, trasmessi dalle Confederazioni allo stesso CNEL”. Era una anticipazione destinata ad essere recuperata dopo la ripresa di quell’unità sindacale che, rotta con l’Accordo quadro del 22 gennaio 2009, sarà ricostituita con l’Accordo interconfederale del 28 giugno 2011. Se qui c’era in fieri una rappresentatività basata sulla formula mista associativa/elettiva propria del settore pubblico, con la contestuale previsione di una procedura di raccolta e certificazione dei dati costruita a misura di quello privato, mancava ancora l’individuazione di una soglia percentuale. E, comunque, una tale rappresentatività sembrava sì destinata a rilevare per legittimazione negoziale agli occhi della controparte; ma non esauriva di per sé la domanda di “democrazia sindacale”, tanto da esser prevista una complessa “procedura” che coinvolgesse passo a passo lavoratori e pensionati nella gestione della trattativa: oltre alla consultazione sulle piattaforme predisposte unitariamente, anche la costante sorveglianza sui percorsi negoziali tramite verifiche degli iscritti e assemblee aperte a tutti, nonché la votazione certificata sulle ipotesi di accordo. 8. Il dissenso manifestato dagli Accordi “separati”: l’Accordo quadro di riforma degli assetti contrattuali 22 gennaio 2009. La rottura dell’unità sindacale emergerà con tutta la sua forza con l’Accordo quadro di riforma degli assetti contrattuali del 22 gennaio 2009, siglato dal Governo, dalla Confindustria, dalla Cisl e dalla Uil, ma non dalla Cgil. La presa di distanza da parte della Cgil riguardava sostanzialmente due questioni, caratterizzanti la sua identità ancor prima della sua strategia: la nuova modalità di calcolo dell’inflazione da assumere a referente per la dinamica retributiva di una contrattazione WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 22 FRANCO CARINCI collettiva di categoria restituita ad una cadenza triennale unica per la parte economica e normativa; e la relazione fra contrattazione collettiva di primo e di secondo livello. Quanto alla prima questione, secondo quanto già previsto dalle Linee di riforma della struttura della contrattazione del 12 maggio 2008, si sostituiva il tasso di inflazione programmata con un “indice previsionale costruito sulla base dell’IPCA (l’indice dei prezzi al consumo armonizzato in ambito europeo per l’Italia)”, rimettendone l’“elaborazione …ad un soggetto terzo”, con conseguente introduzione di una contrattazione di categoria economico-normativa a cadenza triennale; solo che questo “indice previsionale” veniva “depurato dalla dinamica dei prezzi energetici importati” (Punto 2), sconto, questo, considerato non accettabile dalla Cgil, perché tale da scaricare l’effetto di un fattore esterno imprevedibile ed incontrollabile sul livello del potere di acquisto, col rischio di penalizzarlo pesantemente. Quanto, invece, alla seconda questione, si ribadiva la funzione della contrattazione di categoria “di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale” (Punto 2). Ma, se anche si considerava la contrattazione di secondo livello, territoriale o aziendale, tenuta a rispettare di massima le clausole di rinvio e la regola del ne bis in idem, come tale esercitabile solo “per le materie delegate, in tutto o in parte, dal contratto nazionale o dalla legge” e, comunque, per “materie ed istituti che non siano già stati negoziati in altri livelli di contrattazione” (Punto 11); si prevedeva pur sempre che per “il raggiungimento di specifiche intese per governare, direttamente nel territorio o in azienda, situazioni di crisi o per favorire lo sviluppo economico ed occupazionale, le specifiche intese potranno definire apposite procedure, modalità e condizioni per modificare, in tutto o in parte, anche in via sperimentale e temporanea, singoli istituti economici e normativi dei contratti collettivi nazionali di lavoro di categoria” (Punto 16); formula questa ritenuta non condivisibile dalla Cgil, perché tale da poter avere una ricaduta negativa sulla stessa compattezza e tenuta della disciplina di categoria. Ritornava qui la storica contrapposizione fra Cisl e Cgil, con le due Confederazioni convinte di poter trarre conferme alle rispettive tesi tradizionali dallo stesso evolversi della crisi: per la Cgil, la “chiusura” a favore di una contrattazione collettiva, capace di garantire una sufficiente ed uniforme disciplina economico-normativa; per la Cisl, l’“apertura” a pro di una contrattazione aziendale, idonea ad assicurare una flessibilità organizzativa richiesta dall’impresa per svilupparsi o addirittura sopravvivere, senza peraltro escludere una qualche copertura aggiuntiva anche per quella che, pur soggetta alla contrattazione nazionale, fosse WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 23 priva dell’aziendale, con l’applicarle “elementi economici di garanzia o forme analoghe”, ulteriori rispetto ai trattamenti tabellari (Punto 15). Restava, invece, al margine una terza questione, peraltro destinata di lì a breve ad occupare l’intera scena, dato che si limitava a prevedere l’emanazione entro tre mesi delle “nuove regole in materia di rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva valutando le diverse ipotesi che possono essere adottate con accordo, ivi comprese la certificazione all’INPS dei dati di iscrizione sindacale” (Punto 17). Peraltro, con una percepibile presa di distanza dalle Linee di riforma della struttura della contrattazione del 12 maggio 2008, certo dettata dalla tradizionale preferenza cislina per il primato della dimensione associativa: mentre, là, nelle Linee, si era parlato di “rappresentanza/rappresentatività”, tenendo presenti “i dati associativi … nonché i consensi elettorali”; qui, nell’Accordo si parlava di “rappresentanza”, tenendo esplicitamente conto dei soli “dati di iscrizione sindacale”. 9. (Segue): l’Accordo interconfederale 15 aprile 2009. Se l’Accordo quadro si presentava con “con carattere sperimentale e di durata quadriennale”, senza rimettere in forse esplicitamente il Protocollo del luglio 1993, il successivo Accordo interconfederale 15 aprile 2009, per la sua attuazione, dichiarava apertis verbis che il nuovo sistema “sostituisce le regole già definite nel paragrafo ‘2. Assetti contrattuali’ del Protocollo sottoscritto fra Governo e parti sociali il 23 luglio 1993” (Premessa, par. 5), facendolo decorrere dal 15 aprile 2009 al 15 aprile 2013, con la previsione che tutti i contratti di primo e secondo livello in scadenza dopo il 15 aprile 2009 avrebbero dovuto essere rinnovati a’ sensi dello stesso Accordo (Disposizioni transitorie). Il che dava formalmente vita alla coesistenza di un doppio sistema, già complicato di per se solo, se pure tutti i contratti in scadenza oltre quella data fossero stati rinnovati allo spirare della loro durata così come prevista; ma ancor più se lo fossero stati anticipatamente, come appunto l’ipotesi di accordo per il rinnovo del Ccnl per l’industria metalmeccanica privata, firmato il 15 ottobre 2009, da Federmeccanica e da Fim-Cisl e Uilm-Uil. Non è qui la sede per soffermarsi sulla articolata disciplina prevista dall’Accordo attuativo, se non per dare atto della sua sostanziale conformità all’Accordo che lo aveva preceduto, sviluppandone in dettaglio l’introduzione dell’IPCA “depurato dalla dinamica dei prezzi energetici importati” per una contrattazione collettiva economico-normativa triennale (Punto 2) e la previsione di “specifiche intese” modificative di “singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di categoria” (Punto 5). Ma la preoccupazione di tenere sotto controllo una WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 24 FRANCO CARINCI potenziale deriva derogatoria trovava espressione in una disciplina piuttosto rigida, per cui erano i contratti di categoria a poter consentire tali intese fra le istanze territoriali delle associazioni stipulanti sulla base di parametri oggettivi, fermo restando che sarebbero divenute efficaci solo dopo essere state approvate dalle associazioni nazionali. Venivano, poi, riprese quasi alla lettera le disposizioni relative all’“Elemento di garanzia retributiva” per le aziende prive di contrattazione aziendale (Punto 4); e alla “Rappresentanza delle parti nella contrattazione collettiva”, ma qui con un’aggiunta significativa relativa al c.d. dovere di influenza, per cui “le parti si impegnano a rispettare ed a far rispettare - nell’esercizio del cosiddetto potere d’influsso proprio delle organizzazioni di rappresentanza delle imprese e dei lavoratori - tutte le regole che liberamente sono definite in materia di contrattazione collettiva” (Punto 7). Nonostante tutto, però si dava per scontato che niente cambiasse la normale procedura per la contrattazione di secondo livello, sempre basata sulle Rsu, così riconfermate come l’unica rappresentanza sindacale di base, per cui le “proposte di rinnovo …, sottoscritte congiuntamente dalle rappresentanze sindacali unitarie costituite in azienda e dalle strutture territoriali delle organizzazioni sindacali stipulanti il contratto nazionale, devono essere presentate all’azienda e contestualmente all’Associazione industriale …” (Punto 3.5). Il che metteva a nudo l’equivoco insito nel ritenere di poter cambiare la costituzione del sistema contrattuale, quale consacrata dal Protocollo del luglio 1993, sostituendola con un’altra, non condivisa dalla principale Confederazione, la Cgil, quindi non solo priva in partenza dell’efficacia e dell’effettività prodotte solo da una comune approvazione; ma addirittura capace di esercitare un’influenza disgregatrice sull’intero sistema, con un primo livello gestito da associazioni legittimate a concludere contratti “separati”; ed un secondo livello affidato congiuntamente a Rsu unitarie elettive e alle istanze territoriali delle associazioni stipulanti … quei contratti. Possibilità, questa, destinata a trovar presto conferma nella categoria metalmeccanica, con una contrapposizione radicale fra Fiom e Fim/Uilm, che dalla conclusione di contratti nazionali “separati” da parte della Fim/Uilm porterà alla “vicenda Fiat”. 10. La vicenda Fiat. Dando applicazione all’Accordo del 15 aprile 2009, sei mesi dopo, Federmeccanica, Fim ed Uilm siglavano l’Ipotesi di accordo 15 ottobre 2009, che modificava il contratto nazionale del gennaio 2008, sottoscritto unitariamente da Fiom, Fim, Uilm. Solo che, secondo la “tempistica” di cui WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 25 all’Accordo, l’Ipotesi dell’ottobre 2009 prevedeva una decorrenza unica triennale, dal 1 gennaio 2010 al 31 dicembre 2012; mentre, stando alla “tempistica” di cui al Protocollo del ’93, il Ccnl unitario del 2008 contemplava una durata distinta, biennale per la parte economica, fino al 31 dicembre 2009, e quadriennale per la parte normativa, fino al 31 dicembre 2011. Ora, dato che l’entrata in vigore dell’Ipotesi dell’ottobre 2009 era prevista per l’1 gennaio 2010, la difficoltà non riguardava tanto la parte economica del ccnl unitario del gennaio 2008, la cui scadenza biennale era al 31 dicembre 2009, cioè precedente quella data se pur di un solo giorno; quanto la parte normativa, la cui scadenza quadriennale era al 31 dicembre 2011, cioè successiva a quella data di ben un anno, sì da dar luogo ad una sovrapposizione temporale della nuova alla vecchia disciplina, peraltro sostituita solo parzialmente. Ciò avrebbe rilanciato la questione relativa all’efficacia da riconoscersi ad accordi che non solo fossero separati, ma intervenissero a sostituirne altri conclusi unitariamente, tanto più se non ancora scaduti, che, però, avrebbe trovato da parte della giurisprudenza la stessa univoca risposta privatistica di sempre, cioè di un’efficacia limitata in base alla rappresentanza o all’adesione volontaria, sì da ridurre l’effettività di rinnovi contrattuali sottoscritti solo da alcuni sindacati confederali. Ma se questa era una lezione di cui le Confederazioni avrebbero fatto tesoro in un prossimo futuro, per l’intanto a tener banco era la previsione di “specifiche intese” modificative di “singoli istituti economici o normativi dei contratti collettivi nazionali di categoria”, introdotta dal Punto 16 dell’Accordo quadro del 22 gennaio e ripresa dal Punto 5 dell’Accordo interconfederale 15 aprile 2009, destinata a far da premessa alla vicenda Fiat. A conti fatti sarebbe stata sempre la grande casa automobilistica torinese ad accelerare una svolta definibile come storica, come nel 1980 con “la marcia dei quarantamila”, ora più di allora pressata se non costretta da una concorrenza internazionale che ne metteva in discussione la stessa sopravvivenza, sì da vedersi a torto o a ragione messa di fronte all’alternativa estrema di uscire dal sistema confindustriale o uscire dal mercato. Non è qui la sede per ricostruire un caso ormai ben noto per il gran parlare e scrivere che se n’è fatto, se non per segnalare l’intreccio stretto fra i protagonisti chiamati in gioco, peraltro quasi sempre condannati ad un recupero rivelatosi improvvisato e tardivo. Dopo l’Accordo di Pomigliano del 15 giugno 2010, da cui la Fiom si chiamava fuori, considerandolo in deroga della disciplina di cui al Ccnl unitario del gennaio 2008, Federmeccanica avrebbe inviato il 7 settembre 2010 alle controparti sindacali la disdetta/recesso da quel contratto, così da WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 26 FRANCO CARINCI impedirne l’ultra-attività oltre la prevista scadenza del 31 dicembre 2011. E di lì a tre settimane, Federmeccanica, Fim e Uilm avrebbero sottoscritto l’Accordo nazionale 29 settembre 2010 col titolo significativo di “Disco verde alle ‘intese modificative’ del contratto per lo sviluppo e contro la crisi”, contenente il regolamento categoriale della contrattazione in deroga previsto dal Punto 5 dell’Accordo interconfederale 15 Aprile 2009, sì da “sanare” a posteriori lo stesso Accordo di Pomigliano del 15 giugno 2010. Too little, too late per una Fiat ormai decisa a liberarsi della presenza di una Fiom decisa a condurre una guerriglia interna contro il nuovo corso. Di lì ad un paio di mesi, la Fiat, la Fim e la Uilm firmavano l’Accordo di Mirafiori del 23 dicembre 2010, con cui veniva resa esplicita l’uscita della stessa Fiat dal “sistema confindustriale”. Così si compiva la svolta dall’industrial collective agreement a doppio livello, al company agreement monolivello, con il varo di un sistema autonomo: provvisto di una sua propria legittimazione originaria data dalle consultazioni dei lavoratori che ne avevano accompagnato il faticoso travaglio; aperto alle sole associazioni sindacali aderenti, con l’inevitabile conseguenza di una sostituzione delle Rsu elettive con Rsa loro riservate, a’ sensi dell’interpretazione dell’art. 19, lett. b) post-referendum fatta propria dalla giurisprudenza costituzionale; reso esigibile con la previsione di apposite sanzioni. Il lascito non sarà dato da un effetto imitativo tale da balcanizzare il “sistema confindustriale”, ma da un richiamo, così forte da essere vissuto come traumatico, ad un intervento che affrontasse il problema dell’efficacia e dell’esigibilità di una contrattazione collettiva resa più flessibile nella sua relazione fra primo e secondo livello. Un richiamo, questo, destinato ad essere raccolto dall’Accordo interconfederale fra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil del 28 giugno 2011, non senza il timore che altrimenti lo potesse fare il legislatore. 11. Il recupero unitario (prima tappa): l’Accordo interconfederale 28 giugno 2011. L’Accordo dava per risolta in pratica la questione posta al centro degli accordi separati del gennaio e dell’aprile 2009, data l’adozione generalizzata di un’unica scadenza triennale economica e normativa per la contrattazione di categoria, peraltro senza essere preceduta dalla prevista predeterminazione dell’inflazione in base all’Ipca da parte di una autorità terza. Ed affrontava di petto l’altra questione rimasta al margine di tali accordi, quella della rappresentatività sindacale, coll’offrirne una disciplina che coniugava la normativa del settore pubblico e del settore WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 27 privato, peraltro secondo una formula compromissoria imposta dalla ritrovata unità sindacale. Emergeva dall’Accordo la convinzione che una auto- regolamentazione decisa dalle grandi Confederazioni fosse di per sé completa ed autosufficiente, sì da poter dar vita ad una contrattazione collettiva articolata sul classico doppio livello, col contratto collettivo nazionale rivestito della “funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale” (Punto 2); ed i contratti collettivi aziendali esercitabili per “le materie delegate, in tutto o in parte dal contratto collettivo nazionale di lavoro o dalla legge” (Punto 3) e per “le parti economiche e normative efficaci per tutto il personale” e vincolanti per “tutte le associazioni sindacali, espressione delle Confederazioni firmatarie del presente accordo interconfederale” (Punto 4), da incentivare per via di una politica governativa di decontribuzione e detassazione della retribuzione di produttività (Punto 8). Si sapeva bene che non era in vigore per il settore privato alcun disposto normativo precedente, che avesse introdotto una efficacia erga omnes, come, invece, il d.lgs. n. 165/2001 per quello pubblico; ma ciò nonostante non si sollecitava o auspicava alcun intervento legislativo successivo, che comunque la introducesse, come, invece, nel Protocollo del 23 luglio 1993. Non si intendeva riferirsi ad un’efficacia “legale” garantita dall’ordinamento giuridico, come tale limitata in base al principio di rappresentanza; ma ad un’efficacia “fattuale”, assicurata dall’ordinamento intersindacale, come estesa potenzialmente a tutta la categoria o a tutta l’azienda in forza del criterio di effettività. Si faceva affidamento sulla capacità delle tre grandi Confederazioni di assicurare alla contrattazione collettiva una tale efficacia, proprio tramite la recuperata unità d’azione che le rendeva capaci di condividerla con quelle datoriali, a cominciare dalla Confindustria, dotandola di quella legittimazione politico-sindacale costituita dalla selezione delle parti stipulanti in base alla loro rappresentatività. Tanto che, proprio in apertura, veniva recuperata per la contrattazione di categoria la formula associativa/elettiva che le Linee di riforma della struttura della contrattazione 12 maggio 2008 avevano già mutuato dalla disciplina del settore pubblico; accompagnandola con la contestuale previsione di una procedura di raccolta delle deleghe e delle risultanze elettorali ad opera rispettivamente dell’Inps e del Cnel, cui toccava di effettuare la relativa ponderazione; ma, questa volta, diversamente da allora, anche completandola con la previsione dell’identica percentuale del 5% “considerando a tal fine la media fra il WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 28 FRANCO CARINCI dato associativo (iscrizioni certificate) ed il dato elettorale (percentuale dei voti ottenuti sui voti espressi” nelle elezioni delle Rsu (Punto 1). Il che avrebbe dovuto contare su una generalizzazione delle Rsu, che, data per ovvia dal Protocollo del 23 luglio 1993 e dall’Accordo interconfederale del 1 dicembre 1993, risultava ancora sollecitata dalle Linee di riforma della struttura della contrattazione del 12 maggio 2008. Solo che qui non era più solo l’espressione di una rappresentanza di base costituita secondo l’elezione aperta all’intera forza lavoro occupata, tale da dotarla di per sé di indiscussa rappresentatività aziendale; ma, qui stava la novità, era anche la pre-condizione per calcolare la rappresentatività categoriale. Sicché si dava per scontata la presenza delle Rsu, che erano state “elette secondo le regole interconfederali vigenti”, riconfermando loro la titolarità di una contrattazione aziendale ad efficacia generale, da esercitare secondo la regola della maggioranza dei componenti, se pur almeno qui senza alcuna esplicita previsione di una presenza delle istanze territoriali delle organizzazioni sindacali partecipi della contrattazione di categoria (Punto 4). Ma, al tempo stesso, non si chiudeva la porta alle Rsa, le quali di fatto continuavano ad esistere, non per mera inerzia, ma per scelta consapevole delle organizzazioni sindacali legittimate a costituirle a’ sensi dell’art. 19 St. che non vi avevano mai rinunciato o vi erano ritornate nel corso delle crisi dell’unità sindacale. Peraltro, non si riprendeva la strada aperta dalla c.d. privatizzazione del pubblico impiego, di una convivenza fra Rsu “forti” e Rsa “deboli”; ma se ne percorreva una tutta propria, di una eventuale presenza delle Rsa, se non privilegiata certo tollerata, col prevedere che “in caso di presenza delle rappresentanze sindacali aziendali costituite ex art. 19 della legge n. 300/70”, venisse loro attribuita la titolarità di una contrattazione aziendale con efficacia generale, da esercitare secondo una regola maggioritaria riferita non alle stesse Rsu, ma alle deleghe raccolte dalle organizzazioni sindacali nel cui ambito risultavano costituite. Tuttavia, una volta varata, tale contrattazione doveva passare al vaglio di un referendum, sempreché richiesto da almeno un 30% dei lavoratori o da una organizzazione sindacale “espressione” di una delle Confederazioni firmatarie dell’Accordo (Punto 5). Questa procedimentalizzazione all’insegna di una regola maggioritaria, declinata in chiave elettiva per le Rsu e associativa per le Rsa, faceva da premessa ad una apertura nei confronti di quella contrattazione in deroga già recepita dagli Accordi del 22 gennaio e del 15 aprile 2009 ma a costo di lasciar fuori la Cgil. E lo faceva con una doppia formula, accompagnata dalla esplicita notazione di una sua efficacia generale: si rinviava per il futuro, sic et simpliciter alle WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 IL LUNGO CAMMINO PER SANTIAGO DELLA RAPPRESENTATIVITÀ SINDACALE 29 “regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro”; mentre si prevedeva, per il presente, che tale contrattazione fosse non più territoriale, ma aziendale, condotta dalle stesse Rsu, assistite dalle istanze territoriali delle organizzazioni “espressione” delle Confederazioni firmatarie dell’Accordo medesimo, peraltro con un ambito almeno formalmente delimitato, perché ora ristretto “agli istituti del contratto collettivo nazionale che disciplinano la prestazione lavorativa, gli orari e l’organizzazione del lavoro” (Punto 7). E sulla base della polemica suscitata dalla vicenda Fiat se già al Punto 4, con successivo richiamo al Punto 5, si era stabilito che la contrattazione aziendale conclusa secondo le modalità previste avesse efficacia generale “per le parti economiche e normative”, mentre vincolava implicitamente per la parte obbligatoria le sole organizzazioni sindacali; al Punto 6, si precisava che la eventuale introduzione di “clausole di tregua sindacale finalizzate a garantire l’esigibilità degli impegni assunti …hanno effetto vincolante esclusivamente per tutte le rappresentanze sindacali dei lavoratori espressione delle organizzazioni sindacali dei lavoratori firmatarie del presente accordo interconfederale operanti all’interno dell’azienda e non per i singoli lavoratori”. 12. L’intermezzo legislativo: l’art. 8 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni nella l. 14 settembre 2011, n. 148. Se dietro l’accelerazione data dalle tre Confederazioni all’Accordo del 28 giugno 2011 c’era il timore di un intervento legislativo, questo si sarebbe subito concretizzato coll’art. 8 del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni nella l. 14 settembre 2011, n. 148, dovuto all’intento del buon ministro Sacconi di prender spunto da quell’Accordo per forzare un radicale decentramento del sistema considerato ormai del tutto maturo non senza pagare un doveroso tributo a quella vicenda Fiat che ne aveva costituito la causa prossima, con un’apposita sanatoria a posteriori (art. 8, co. 3). Solo che l’articolo rivela nel suo stesso testo un confuso sovrapporsi di quel duplice indirizzo legislativo caratterizzante l’intero sviluppo del nostro diritto sindacale, visto che sembra legittimare le associazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ad una contrattazione territoriale o aziendale comprensiva di “specifiche intese”, che, se sottoscritte dalle “loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti, compreso l’accordo interconfederale del WP C.S.D.L.E. "Massimo D'Antona".IT – 205/2014 30 FRANCO CARINCI 28 giugno 2011”, hanno “efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati”(art. 8, co. 1). Il primo dato, più appariscente se non più significativo, perché destinato a far da contesto di riferimento, è offerto dall’uso della nozione di “associazione comparativamente più rappresentativa”, sostituita dalla legislazione promozionale della c.d. contrattazione delegata a quella di “confederazione maggiormente rappresentativa”, dopo l’abrogazione referendaria della lett. a) dell’art. 19 St. Ma, come visto, fra la vecchia e la nuova nozione, pur nella discontinuità logica e dimensionale, restava una costante, cioè quella di una rappresentatività “presunta”, per di più qui declinata sul piano non solo nazionale, ma anche territoriale; cosa che contrastava con quella rappresentatività “effettiva”, calcolata a livello nazionale per via della formula associativa/elet