Psicologia del lavoro 2 parte PDF

Summary

Questo documento descrive lo stress lavoro-correlato, i rischi psicosociali e i modelli teorici come il Demand-control model e l’Effort/Reward Imbalance model. Vengono analizzati i fattori di contenuto e di contesto del lavoro, nonché le diverse reazioni e risposte allo stress. Il documento copre anche la sindrome da burnout e i suoi sintomi.

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Lo stress lavoro-correlato è una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro. Per quanto riguarda il lav...

Lo stress lavoro-correlato è una condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza del fatto che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro. Per quanto riguarda il lavoro, alla fine degli anni ’90 ci sono stati importanti studi di natura epidemiologica, cioè volte ad indagare quanto fosse alto il rischio di stress sul lavoro, che hanno riportato un quadro preoccupante. Oltre a tutti gli altri rischi sul lavoro, come ad esempio il rischio da intossicazione, da taglio, da schiacciamento ecc., per cui erano già state create norme di tutela, la Comunità Europea si accorse di dover normare dei rischi più soggettivi, di natura psico-sociale, che non sono meno impattanti sulla salute delle persone. L’8 ottobre del 2004 la Comunità Europea produce un documento che vincola i paesi dell’UE a normare la prevenzione dello stress lavoro-correlato e i connessi rischi psicosociali. I rischi psicosociali producono stress. Il maggior numero di persone che sono coinvolte nel lavoro, sono impiegate nel settore terziario, cioè quello dei servizi, mentre gli altri due settori sono sempre più soggetti all’automazione (terziarizzazione del lavoro). Il settore dei servizi riguarda persone che lavorano per altre persone. I rischi psicosociali collegati all’incremento della quantità di relazioni aumentano. La quantità di disagio nei contesti di lavoro del settore terziario è andata crescendo sempre di più nel tempo, ecco perché la Comunità Europea si è resa conto di dover proteggere i lavoratori e le lavoratrici. In Italia nel 2008 viene pubblicato il TUSL (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro), che integra i rischi già esistenti e normati con quelli connessi allo stress e ai rischi psicosociali. Inserisce anche punizioni per le organizzazioni che non rispettano la legge. Una normativa ha sempre bisogno dei Decreti Delegati, che spiegano come vanno applicate le leggi nel concreto. Queste tecniche del “come deve essere fatto” vengono emanate nella Lettera Circolare del Ministero del lavoro. La Lettera dice che la valutazione del rischio di stress lavoro-correlato: - Deve essere periodica; - Deve avere indicatori oggettivi (come ad esempio licenziamenti, turnover, malattie, incidenti) e fattori di contesto e di contenuto (indicatori più di tipo soggettivo perché valutati dalle persone, cioè come la persona vive le giornate in azienda). Contenuto del lavoro: ritmo e carico del lavoro; orario e controllo del lavoro; carico emotivo; autonomia nel lavoro. Contesto del lavoro: cultura organizzativa; ruoli; giustizia organizzativa; relazioni interpersonali. I rischi psicosociali sono aspetti di progettazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, nonché dei loro contesti ambientali e sociali (quindi aspetti di contenuto e di contesto), che potenzialmente possono dar luogo a danni di natura psicologica, sociale o fisica. La legge di Yerkes-Dodson Lo stress lavoro-correlato viene definito soltanto in termini negativi. Lo stress non è solo negativo. Distress: stress troppo alto, opprimente. Eustress: ci aiuta a rispondere adeguatamente alla situazione. L’eustress produce senso di soddisfazione, autoefficacia e autostima. In certe condizioni, abbiamo bisogno di stressarci (attivarci) per migliorare la prestazione. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria Le linee guida del Testo Unico non parlano mai di eliminazione dello stress. Esso deve essere infatti monitorato e gestito in modo da essere sostenuto dalla persona; ecco perché si fa una valutazione periodica. Il livello di stress deve essere nella media in modo da avere una performance ottimale. Demand-control model di Karasek È bene che ci sia un equilibrio tra le capacità della persona e la complessità del compito, il quale deve essere sfidante per la persona. In questo modo la persona si sente brava e performa bene. Se le capacità della persona sono alte ma il compito è poco impegnativo, la persona si sentirà frustrata perché pensa che le sue competenze non siano utilizzate al meglio à collegare questo modello alla legge di Yerkes-Dodson. Questo modello presenta due macrofattori: domande e controllo. Domande: quanto è complesso e pressante il lavoro e quanto impegno ti richiede l’organizzazione. Controllo: capacità di gestione delle richieste dell’azienda. Queste due dimensioni sono situate su un continuum basso/alto, producendo quattro situazioni di stress. Distress: basso controllo ed elevata domanda. Produce vissuti di incompetenza e inadeguatezza, producendo anche somatizzazioni. La condizione migliore è alta domanda e alto controllo, perché come abbiamo detto la persona è motivata se la richiesta è impegnativa e la persona si sente in grado di controllare la situazione. Questo produce apprendimento, motivazione, competenza, senso di efficacia e riconoscimento sociale. I lavori a bassa domanda e basso controllo sono lavori passivi. Nel mondo attuale questi lavori tendono a sparire perché si possono automatizzare: sono ripetitivi e monotoni, per cui possono essere svolti dalle macchine. Lavori ad alto controllo e bassa domanda: hai molte competenze ma non ti si richiede molto nel tuo lavoro. Il lavoro sarà noioso e tu sentirai di star facendo il minimo indispensabile rispetto alle tue reali capacità. Una terza variabile del modello è quella del supporto sociale, che modera l’interazione tra le altre due variabili e può essere alto/basso. Riguarda il supporto percepito da parte del manager o di altri nello svolgimento dei compiti lavorativi. Nel caso, ad esempio, di alta domanda e basso controllo, se c’è supporto si genera meno stress. Da questo modello deriva un questionario di valutazione dello stress tra i più usati al mondo. Modello ERI: Effort/Reward Imbalance di Siegrist, 1996 Le persone nel mondo del lavoro impiegano le loro risorse e i loro sforzi per ottenere sostanzialmente tre ricompense: salario, stima sociale e promozioni. La situazione per la persona è stressante quando percepisce uno sbilanciamento (imbalance) tra i suoi sforzi e le ricompense che ottiene, è un bilancio cognitivo. Ciò si verifica in particolare quando le richieste del lavoro non Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria corrispondono ad una ricompensa equa (squilibrio estrinseco), influenzando lo sforzo della persona; oppure, sotto una condizione di ipercoinvolgimento (overcommitment) Effort: sforzo richiesto per la prestazione. Reward: ricompensa in forma di retribuzione, avanzamento di carriera, aumento di stima personale. JDR: Job Demands-Resources Model, Bakker e Demerouti (2007) Questi studiosi sistematizzano tutti i contenuti teorici sin qui proposti. Questo modello è vigente negli studi scientifici. Questo modello, molto empirico, dice che lo stress lavorativo ha una dinamica racchiusa tra le richieste lavorative e le risorse lavorative. La risorsa della persona, in questo caso, non riguarda solo il controllo. Le principali richieste lavorative sono di tipo mentale, emotive, di sforzo fisico ecc. (ogni comparto può avere richieste lavorative diverse) e sono associati al dispendio di energia. Esse innescano un processo di deterioramento della salute che può condurre a stress. Le risorse lavorative sono anch’esse diverse in base al lavoro, e riguardano qualsiasi tipo di supporto ricevuto, funzionale al conseguimento degli obiettivi lavorativi e che stimola la crescita professionale e personale. Risorse e richieste sono inversamente proporzionali, cioè quando una cresce, l’altra diminuisce. Gli studiosi si stanno occupando di capire quali sono le richieste e le risorse in base all’ambito lavorativo. Quindi, più che un modello teorico, si tratta di una cornice di riferimento per capire come questi due macrofattori interagiscono tra di loro e influenzano i risultati organizzativi. Il benessere o il malessere lavorativo deriva quindi dall’interazione tra Job Demands e Job Resources. Richieste e risorse possono essere oggettive o soggettive. Esempi: Richiesta oggettiva: timer Richiesta soggettiva: essere partecipativo Risorsa soggettiva: intelligenza emotiva Risorsa oggettiva: competenze Risorse e richieste soggettive non riguardano il compito in sé, ma la persona. Nonostante ciò, alcune risorse possono ridurre la salute e alcune richieste possono invece produrre motivazione. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria Lezione 20: 18/11/2024 Stressor: eventi o richieste o compiti che incidono sulla persona, alla quale viene richiesto di impegnarsi (ad esempio studiare per un esame). Sono gli antecedenti dello stress. Strain: risposta in termini di fatica o impegno generata dallo stressor. Sono le risposte fisiche e psicologiche allo stress. Quando lo stress lavorativo è distress, abbiamo una fase di resistenza che però poi inizia a diventare un esaurimento delle risorse. Questa parte di malessere dovuto allo stress sono i sintomi da stress, che possono diventare poi una malattia da stress lavoro-correlato. Molti studi dimostrano che si può soffrire di problemi al cuore a causa dello stress lavorativo. Se parliamo di sintomi, questi possono essere classificati in sintomi emotivi, cognitivi e comportamentali. I sintomi non sono solo di tipo individuale. Un insieme di persone stressate producono degli outcomes a livello organizzativo: Assenteismo: le persone che stanno male sul posto di lavoro tendono a non presentarsi quando possono. Presentismo: è una sorta di assenteismo in presenza. Le persone entrano formalmente a lavoro ma di fatto sono irreperibili, cioè improduttivi. Questo comportamento emerge quando le persone non hanno la possibilità di assentarsi. Turnover: i lavoratori lasciano il posto di lavoro e vengono sostituiti. Need for recovery: bisogno di riposo; esigenza di fare pausa quando la fatica si accumula e resistenza nell’impegnarsi in nuove attività. Non è una semplice reazione alla fatica, ma un processo di riequilibrio dei sistemi psico-fisiologici non ottimali. È un indicatore di stress da lavoro. Il lavoro, come abbiamo detto, si sta concentrando sempre più sul settore terziario; ciò vuol dire che si lavora per altre persone. Questo ha fatto esplodere i rischi psicosociali connessi alle relazioni. Inoltre, lo stress lavorativo è un “ombrello” sintomatologico dentro il quale possono essere ricondotti la maggior parte degli aspetti negativi riguardante la relazione. Ecco perché parliamo di stress lavorativo e connessi rischi psicosociali. Sindrome da burnout: in quanto sindrome, è una costellazione di sintomi che emerge a partire dagli anni ’70 con sintomi correlati allo stress lavorativo e che è a carico, in particolare, delle professioni di aiuto. Venne studiata nel contesto degli operatori psichiatrici. Gli operatori di aiuto erano molto a contatto con i pazienti e sviluppavano sintomi di stress lavoro-correlati che riguardavano la fatica emotiva nei confronti dei pazienti. Cioè oltre allo stress lavorativo, c’era lo stress dovuto alle relazioni con i pazienti. Lo stressor degli operatori di aiuto è qualitativamente diverso. La sindrome da burnout è costituita da tre fasi stadiali e degenerative (cioè che peggiorano): Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Esaurimento: il lavoratore non ce la fa più e sente di essere emotivamente svuotato e fisicamente stanco e affaticato; - Cinismo: è una forma difensiva nei confronti dell’utenza; ci si distanzia emotivamente dall’attività lavorativa, dai colleghi e dai clienti; - Ridotta efficacia professionale: quando non si pone un freno al cinismo, non si lavora adeguatamente. Ne conseguono vissuti di tipo depressivo riguardanti il non sentirsi efficaci, con impatto sull’autostima. I sintomi psicosomatici da stress iniziano già nella fase di esaurimento. Nel cinismo diventi distaccato, irritabile e indisponibile. Nella terza fase si arriva alla depressione. Sono tutti sintomi da stress lavoro-correlato. Tutti i rischi psicosociali sono riconducibili al quadro dei sintomi dello stress. L’80% delle persone ormai lavora nel settore terziario, e quindi lavorano con altre persone e per altre persone, di conseguenza intercettiamo spesso la sindrome da burnout. Un altro rischio psicosociale che risulta in sintomi da stress lavoro-correlato è il mobbing (Leymann). Il mobbing è caratterizzato da una serie di atti ostili (formali o informali) perpetrati per lungo tempo e in modo sistematico da una o più persone contro un singolo individuo o un gruppo, il quale viene spinto in una condizione di non potersi difendere. È un epifenomeno degenerativo (manifestazione collaterale; aspetto secondario di un fenomeno) estremamente intenso, derivante da disfunzioni organizzative o processi mal gestiti. Essendo un epifenomeno raro, il mobbing vero non dovrebbe nemmeno essere trattato nel corso di psicologia del lavoro. Il mobbing vero e proprio dovrebbe infatti rispettare sette parametri per definirlo tale. La maggior parte delle volte in cui le persone sentono di vivere il mobbing, generalmente non vengono soddisfatti tutti i criteri (quindi non possiamo definirlo mobbing), ma queste condotte ostili sono molto più frequenti e possono diventare mobbing. Queste condotte sono anche inserite in un contesto più ampio, dove i diritti dei lavoratori non sono rispettati. Il mobber è colui che agisce, il mobbizzato è colui che subisce. Criteri per la valutazione del mobbing: 1. Il conflitto deve svolgersi sul luogo di lavoro; 2. Le azioni devono accadere con una certa frequenza (più volte al mese); 3. Le azioni devono perdurare per almeno 6 mesi; 4. Le azioni devono appartenere ad almeno due tra le cinque categorie: - attacchi ai contatti umani - isolamento sistematico - cambiamento delle mansioni - attacchi contro la reputazione - violenza o minacce 5. La vittima è sempre ad un livello di svantaggio; 6. Il conflitto segue un andamento costante e prevedibile (Leymann ha descritto un andamento a quattro fasi che non tratteremo); 7. L’intento delle azioni è meramente persecutorio. Mobbing strategico (bossing): le persone che non “servono” più vengono allontanate cercando di farle andare via trattandole sistematicamente male, in modo da non pagare ulteriori sussidi per il licenziamento (perché si licenziano da sole). Mobbing non strategico: vieni discriminato per le tue caratteristiche. Burnout e mobbing sono entrambi rischi psicosociali che portano ad un quadro di sintomatologia da stress lavoro- correlata. Queste due dinamiche sono simili ma hanno delle differenze. Lo scopo del mobbing in ogni caso è farti fuori, mentre questo non accade nel burnout. Work-life balance Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria La sfera esistenziale lavorativa può entrare in conflitto con la sfera esistenziale familiare. Queste due sfere esistenziali si influenzano a vicenda. Il lavoro tende sempre di più ad entrare nelle famiglie delle persone, come ad esempio è avvenuto durante il lockdown. Un equilibrio vita-lavoro è raggiunto quando all’individuo si concede il diritto di avere una vita piena dentro e fuori il contesto di un’occupazione retribuita. Work-life conflict: studio delle interferenze tra impegni familiari, privati e la sfera lavorativa. Work-life enrichment: la partecipazione ad uno dei due contesti migliora la partecipazione all’altro. Digitalizzazione dei processi lavorativi Ci sono aspetti potenzialmente utili e altri aspetti negativi. Anche questo è un rischio psicosociale, perché riguarda il lavoro e le relazioni. Telework: modalità di lavoro da remoto attraverso le ICT (Information and Communication Technologies) secondo il criterio di flessibilità spaziale. Smart working: predisposizione da parte dell’organizzazione di procedure, strategie, orari e spazi volti all’agevolazione del lavoro attraverso l’esercizio di flessibilità spaziale. Tecnostress: insieme di risposte psicologiche negative collegate all’utilizzo delle tecnologie digitali. Lezione 21: 19/11/2024 Capitolo 6: valutazione e selezione La valutazione è il processo tramite il quale sono misurati in modo sistematico gli attributi (per esempio le attitudini e le competenze) personali rilevanti per il buon esito di una prestazione lavorativa. Dentro il tema della valutazione c’è il tema della selezione. La selezione si occupa dell’individuazione delle persone che possono essere maggiormente adeguate e performanti rispetto al profilo lavorativo richiesto. Abbiamo diversi paradigmi per lo studio della valutazione: - Psicometrico: si avvale di strumenti di misurazione quantitativi per individuare le figure più adeguate per l’organizzazione. Il detentore dell’individuazione delle dimensioni che sono importanti è esclusivamente l’organizzazione, oppure viene affidata ad una società esterna. Il candidato in questa prospettiva è passivo, in quanto organizza tutto l’azienda. Questo approccio è quello più forte. La valutazione nelle forze armate erano test psicometrici. - Processo sociale: si focalizza sulla relazione tra chi seleziona e chi viene selezionato. Questa prospettiva non guarda solo il punto di vista dell’organizzazione, ma anche quali sono gli elementi di tale relazione che vanno tenuti in considerazione. Si pone l’attenzione sugli aspetti complessi di questa interazione in quanto il selezionato non è passivo. - Adattamento persona-organizzazione: valorizza la prospettiva del selezionato, per il fatto che la selezione è duplice: il selezionatore seleziona il candidato, ma anche il selezionato valuta proattivamente l’organizzazione; l’obiettivo è capire se quell’organizzazione fa per il selezionato. Il momento di selezione è momento di conoscenza reciproca. Una buona selezione si vede perché poi quella persona diventa efficace nell’inserirsi nell’organizzazione e riesce a farlo meglio rispetto a quelle figure che sono state scartate. Per poter effettuare un processo di selezione, prima bisogna capire di cosa si ha bisogno e quali sono gli elementi del profilo del lavoratore che ti serve à Job Analysis Per fare questo, tendenzialmente l’organizzazione si basa sugli obiettivi che si sta prefiggendo e sugli elementi che l’organizzazione già conosce (perché ha già dei dipendenti) e sa che sono desiderabili. Gli elementi di competenza ed elementi di tipo psicologico e sociale dei candidati sono entrambi importanti. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria Job Analysis: analisi dei compiti implicati in un determinato ruolo all’interno di un’organizzazione e analisi delle abilità richieste per coprire la posizione stessa. Fanno parte della Job Analysis: - Job Description: descrizione del ruolo e delle competenze richieste; - Person Specification: descrizione delle caratteristiche che quella persona deve avere in quel ruolo. Ad esempio, una compagnia aerea potrebbe dover fare una valutazione o una selezione. Nella valutazione, l’azienda valuta quali dipendenti (già presenti nell’azienda) considerare, ad esempio, per la copertura di un ruolo a livello internazionale (anziché nazionale); se invece fa una selezione, cerca persone al di fuori dell’azienda da inserire, ad esempio, come nuove hostess o steward. Gli strumenti che si utilizzano sono simili, ma nel secondo caso le persone sono da ricercare all’esterno. JOB ANALYSIS JOB PERSON DESCRIPTION SPECIFICATION Da dove vado a prendere le caratteristiche della job analysis? Dai dipendenti che ho già, in modo da capire quali sono le caratteristiche del lavoro. Ragioniamo ora in chiave di selezione: quali sono gli elementi di job description dell’hostess dello steward? Quali competenze tecniche servono? Esempi: competenze linguistiche, esperienza pregressa, conoscere le procedure di sicurezza ecc. Person Specification: quali elementi deve avere la persona che fa quel lavoro? Esempi relativi a hostess e steward: sapere come relazionarsi con il pubblico, capacità di comunicazione assertiva, stabilità emotiva, gestione dello stress ecc. Reclutamento dei candidati: come massimizzare la comunicazione per raggiungere quelle persone che potrebbero essere maggiormente adatte? Dove pubblico l’annuncio? Se ricerco hostess o steward, non posso mettere un annuncio nel giornale, perché il campione sarebbe troppo vasto; potrei invece metterlo dentro una rivista del settore. Employer branding: l’organizzazione cerca di rendersi attraente per il candidato, per spingerlo a scegliere quell’azienda piuttosto che altre. Il candidato è un essere attivo. Metodi di Job Analysis per costruire il profilo Quali sono i metodi maggiormente usati? - Interviste con il lavoratore o con il manager, cioè ci si confronta prima con chi già fa quel lavoro per costruire gli elementi di competenza che diventeranno il profilo desiderato di selezione; Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Interviste al lavoratore che sta lasciando l’organizzazione. Ha già una competenza tecnica e ha una visione della cultura del sistema organizzativo: - Osservazione della persona o delle persone che lavorano; - Analizzare il materiale già disponibile di valutazione del personale; ad esempio, vecchi profili di lavoratori; - Metodi diaristici in cui il lavoratore compila un dettagliato registro di lavoro su come esso viene svolto. Vengono particolarmente valutati gli eventi critici, perché in quel momento emergono tutte le caratteristiche che la persona deve avere; - Interviste strutturate o questionari, come il questionario dell’analisi di posizione. Modello architettonico delle competenze di Roe Competenza: combinazione di abilità, atteggiamenti e caratteristiche personali che è associata alla performance efficace in un lavoro specifico. Il costrutto di competenza è vasto e presenta delle sotto competenze. Questo modello va a decostruire (scomporre) il concetto di competenza per individuarne le caratteristiche. Le competenze sono tendenzialmente stabili e misurabili. Gli elementi di base della architettura delle competenze sono: tratti di personalità e abilità. Tratti di personalità: sono stabili e misurabili, ma non sono sufficienti a costruire un profilo di job analysis. Abilità: ciò che sai fare. Non sono per forza collegate al lavoro. Abbiamo poi tre pilastri: conoscenze, capacità e atteggiamenti Conoscenze: le cose che sai. Se ti assumono come ingegnere tu devi aver studiato ingegneria. Capacità: esperienze lavorative che hai già svolto. A differenza delle abilità, le capacità sono coerenti con il lavoro. Atteggiamenti: come tu ti poni rispetto alle situazioni. Sono misurabili. È importante, ad esempio, avere una buona capacità di problem solving. Questo insieme di fattori poi determina le sottocompetenze e poi le competenze. Il modello misura tutti questi elementi dandogli il giusto peso. Per essere sicuri, si possono usare più metodi di valutazione per lo stesso elemento, sia di valutazione che di autovalutazione. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria I modelli di competenze devono tenere conto anche degli elementi di cultura organizzativa in cui la task si inserisce. Cosa rende efficace la valutazione? 1. Test-retest: uno strumento è attendibile se non intervengono degli eventi che cambiano il punteggio e se ripetendo il test dopo un certo periodo ottengo un punteggio analogo. 2. Attendibilità tra valutatori: riguarda più che altro le griglie di osservazione. Se ho tre valutatori che osservano una persona con la stessa griglia, ho una buona attendibilità se i tre valutatori propongono risultati simili o uguali. Persone con stessi strumenti, osservando stessi soggetti arrivano ad un giudizio concorde. 3. Coerenza interna: tutte le domande o item dello strumento devono misurare la stessa cosa, cioè quello che io sto valutando. Validità del metodo di selezione La validità è il livello con cui un metodo di selezione o di valutazione misura ciò che si propone di misurare. Validità di criterio: è la relazione tra la valutazione e la performance futura attesa. Di contenuto: il test o la valutazione sono delle buone rappresentazioni del contenuto del lavoro. Di costrutto: il metodo permette di misurare quanto il test sia efficace/applicabile per il costrutto che esso vuole misurare. Convergente/discriminante: si basa sull’idea che i test che dovrebbero essere correlati lo siano, mentre quelli che non dovrebbero essere correlati, non lo siano. Incrementale: il livello con cui un test misura qualcosa che non è già stato misurato. Apparente (di facciata): il test, dal punto di vista di chi viene valutato, appare coerente con quello che effettivamente si vuole valutare. Lezione 22: 20/11/2024 Strumenti utilizzati per la valutazione e la selezione Inventario di personalità: strumento psicometrico finalizzato a misurare le caratteristiche personali di un individuo. Il più utilizzato è il Big Five, ma ce ne sono alcuni declinati specificamente all’ambito lavorativo. L’MPI distingue tra profili sani, a rischio e patologici. Intervista: è molto usata. È una interazione in presenza. Può essere 1 a 1 oppure di tipo panel (più selezionatori e un candidato, generalmente quando i selezionatori si occupano di aspetti diversi, oppure più candidati e un selezionatore, oppure più candidati e più selezionatori). Può essere variabile rispetto al tempo e, come abbiamo detto, alla composizione. Test psicometrici: test standardizzati per la valutazione di abilità, attitudini e prestazioni; producono risultati che danno un punteggio di livello. Prove pratiche: possono essere di varia natura. Sono esercitazioni nelle quali la persona viene valutata per la sua capacità di fare attività riconducibili al ruolo lavorativo. I valutatori compilano poi le griglie di competenza. Generalmente in modalità individuale. Esercizi di gruppo: attività svolte con altre persone, le quali devono relazionarsi per raggiungere un obiettivo. Vengono misurate le abilità sociali e la leadership (assessment center). L’attendibilità dei metodi è garantita dall’approccio multi-tratto, multi-metodo e multi-osservatore, cioè lo stesso elemento viene misurato con più metodi, da più osservatori. I bias nelle interviste Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria Aspettative e credenze del selezionatore anteriori al colloquio: se il selezionatore non è adeguatamente preparato, si può creare un’immagine di quella persona sulla base di informazioni pregresse, andando poi nell’intervista a confermare la sua idea selezionando certe informazioni che corrispondono a tale idea e scartando quelle che la disconfermano. Anche l’esperienza pregressa può influenzare e distorcere la realtà, perché il valutatore sa già cosa aspettarsi dal profilo che si deve selezionare. Effetto primacy e recency: avviene soprattutto se ci sono molti candidati. Questo effetto produce la tendenza, a causa della scarsità di risorse cognitive, a ricordarci meglio i primi e gli ultimi candidati, a discapito di quelli “nel mezzo”. Bisogna adottare delle strategie in modo da ancorare la valutazione al candidato. Sono dunque utili tempi di pausa e griglie di valutazione. Gestione dell’impressione: questo bias viene introdotto dal selezionato, il quale tenta di proporre se stesso in modo da dare una buona impressione, esagerando aspetti della sua comunicazione e del suo curriculum arrivando in alcuni casi anche a mentire (faking good). Effetto alone: una caratteristica positiva della persona viene sovrastimata all’interno della valutazione complessiva. Effetto alone inverso: una caratteristica negativa prevale nella valutazione complessiva della persona. Effetti di contrasto e somiglianza: la percezione di somiglianze tra candidato e selezionatore può incidere in positivo sulle sue valutazioni e decisioni, mentre la percezione di differenze può incidere in negativo. Assessment center e development center Sono due approcci simili rispetto ai metodi ma diversi rispetto agli obiettivi. Assessment center: valutazione a fini selettivi, in cui un gruppo di candidati è valutato da diversi valutatori e attraverso molteplici metodi; valuta la previsione che quella persona sarà buona o meno per l’azienda. Development center: vengono fatti esclusivamente su risorse interne ed è finalizzato a sviluppare e accrescere l’organizzazione. I valutatori in questo caso fanno anche attività di coaching. Mentre l’assessment center è verticale, il development center è orizzontale, ma hanno in comune l’articolazione delle valutazioni che vengono fatte. Il modello di Griffin (2007) Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria Le organizzazioni, per poter evolvere, devono attivare delle periodiche valutazioni della performance dei loro dipendenti attraverso una qualche forma di adozione dei metodi visti prima (questionari, interviste ecc.). Le valutazioni di performance vengono fatte su tre livelli: performance individuale, capacità di lavorare in gruppo e capacità di orientarsi agli obiettivi dell’azienda. Il terzo livello è tipico delle aziende molto competitive e orientate al mercato. Questi tre livelli vengono valutati per gli elementi di competenza, adattività e proattività. CBT e CAT: strumenti di valutazione assistiti dal computer Gli strumenti di valutazione sono sempre più assistiti dal computer. CBT (Computer-Based Testing): propongono dei test al computer su dimensioni come la personalità e la motivazione, con la possibilità di usufruire di video e audio, in modo da essere più intrattenente. CAT (Computer-Adaptive Testing): cambia il tipo di stimolo e la durata del test in base alle risposte che dai, è più dinamico. Vantaggi: - Possibilità di accesso h24; - Possibilità di ottenere risultati in tempo reale; - Processo più efficace; - Meno dispendioso; - Minor bisogno di somministratori. Svantaggi: - Mancanza di controllo dell’ambiente (si può imbrogliare); - Disuguaglianze sull’accessibilità a internet (non tutti hanno questo privilegio); - Problemi inerenti alla sicurezza; - Mancanza di controllo sugli imbrogli; - Eterogeneità nella dimestichezza col compiter (non tutti lo sanno usare bene). Ci sono anche dei percorsi web di questo tipo. Bias e iniquità Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria Discriminazione: trattamento non paritario delle persone, sulla base di caratteristiche come il genere e l’orientamento sessuale. Adverse impact: effetto negativo dato dal fatto che si taglia una fetta di popolazione. I punteggi medi dei gruppi variano a seconda delle loro origini etniche o del genere. Regola dei quattro quinti: un test non è discriminatorio se il punteggio che si ottiene dalle minoranze è almeno dei 4/5 dei gruppi con punteggio più alto. Metodi per superare l’adverse impact - Uso di una combinazione di test di selezione, o di test associati ad altri dati; - Una quota (parte) minima delle assunzioni deve provenire dai gruppi minoritari; - Affirmative action: promozione da parte dell’organizzazione di programmi a vantaggio di minoranze, che ne consentano la selezione o la valutazione; - Diversity management: adozione di politiche di selezione di persone disabili o di diverse età e generi ecc. Lezione 23: 25/11/2024 Capitolo 7: Diversity Management Il concetto di diversità comprende due dimensioni, una dimensione un po’ più stabile, detta dimensione primaria, che comprende genere, età, orientamento sessuale e caratteristiche mentali e/o fisiche, mentre la dimensione secondaria comprende elementi più culturali e acquisiti come la religione, la localizzazione geografica, il reddito, il background educativo, la situazione familiare, l’esperienza lavorativa e lo stile di lavoro. Questo tema riguarda il creare le condizioni che permettano alle organizzazioni di essere culturalmente più aperte, attraverso la creazione di modelli di cultura organizzativa. Mentre prima i modelli organizzativi erano di tipo razionalizzante e semplificatorio, e anche abbastanza rigidi, i modelli organizzativi attuali sono più orientati ad avere diversità per avere diversi punti di vista e affrontare i cambiamenti e la complessità dei problemi dell’organizzazione. D’altra parte, però, la diversità produce categorizzazioni in ingroup e outgroup (a causa degli stereotipi che rendono le persone simili a noi “buone” e le persone diverse da noi come “non buone”), causando conflitti e nuocendo alla comunicazione. Le caratteristiche socio-demografiche degli individui diventano salienti in un contesto organizzativo specifico esclusivamente nella misura in cui ostacolino o contribuiscano all’organizzazione del lavoro e al raggiungimento degli obiettivi organizzativi. Categorizzazione sociale: la diversità favorisce la categorizzazione in ingroup e outgroup. Information/decision making: la diversità può potenziare la creatività e le capacità di problem solving e di decision making. Categorization-Elaboration Model di Van Knippenberg Il modello di Van Knippenberg ragiona sugli elementi di categorizzazione sociale e decision making della diversità, e afferma che la diversità all’interno di un gruppo è positivamente connessa all’elaborazione, allo scambio e all’integrazione di idee rilevanti per il compito se: - Il compito richiede processi di elaborazione delle informazioni e di presa di decisioni (e quindi serve creatività e diversità di idee); - I membri del gruppo sono altamente motivati all’elaborazione delle informazioni rilevanti; - I membri del gruppo sono abili nello svolgimento del compito. I modelli classici di tipo organizzativo, che sono statici, favoriscono la categorizzazione e il rifiuto di diversità all’interno del gruppo, in quanto sono dei modelli rigidi. Nei modelli organizzativi in cui è richiesto maggiore coinvolgimento individuale, la diversità è accettata come risorsa nello svolgimento del compito e nella presa di decisioni. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria I bias inter-gruppo che derivano dalla categorizzazione sociale ostacolano i processi di elaborazione delle informazioni rilevanti per lo svolgimento del compito. Come gestire la diversità nelle organizzazioni? Un’organizzazione aperta alla diversità tende ad essere aperta a tutte le differenze, non solo quelle più evidenti e visibili (come il colore della pelle). - Le azioni positive sono azioni volte a rimediare agli effetti di discriminazione di gruppi minoritari. Se però chiedo ad una persona con religione diversa di acquisire i miei modelli culturali e di conformarsi per essere integrata nel gruppo, in realtà non sto favorendo diversità perché quella persona si conformerà e non aiuterà a produrre risultati più creativi. Questo tipo di azioni tende infatti paradossalmente a favorire le categorizzazioni del tipo noi-loro, e di conseguenza i pregiudizi e la discriminazione. - Dare pari opportunità e quindi garanzia dell’uguaglianza di trattamento, è un’altra azione sicuramente dalle migliori intenzioni, ma fa passare il messaggio “devo proteggerti perché sei in una situazione di inferiorità” e rischia di omologare i lavoratori, disinteressandosi alla peculiarità del singolo. Ad esempio, se io impongo di votare, su due candidati in politica, una donna, sto favorendo il genere femminile dando pari opportunità, ma allo stesso tempo metto in secondo piano le doti della persona, non facendola sentire riconosciuta per ciò che è. Il diversity management è un processo volontario e proattivo a lungo termine basato su una cultura organizzativa di promozione e valorizzazione delle unicità di tutti i membri dell’organizzazione, focalizzato su tutte le dimensioni della diversità e basato sulla produttività e sull’efficienza. Programmi di diversity management Modello di Pitts (2006) - Programmi di selezione (recruitment). Il limite di questi programmi è che si selezionano i candidati sulla base di un modello ideale di lavoratore, e quindi non si tiene effettivamente conto di chi può dare un contributo in più proprio perché diverso da quel modello ideale. - Programmi di consapevolezza culturale. Oltre a questo, però, bisogna essere esposti alla diversità nella realtà, perché se non si ha esperienza con persone con culture diverse, questi programmi non servono e anzi creano delle idee stereotipiche. Serve sia esperienza che conoscenza. - Politiche pragmatiche di management (ad es. flessibilità, congedi, banca del tempo, servizi interni o facilitati). Rassegna di Foster Curtis e Dreachslin (2008) Diversity Training: interventi volti ad accrescere sensibilità e consapevolezza, di analisi della cultura e le sue influenze sui bias, di studio dell’impatto sulle performance. Diversity Mentoring: percorsi di apprendimento, sostegno e sviluppo rivolti ai gruppi minoritari. Differenze di genere Differenze nelle opportunità di accesso, di selezione e di avanzamento di carriera per le donne. La letteratura mostra che ad oggi sono presenti stereotipi di genere e pregiudizi che minano l’intero percorso professionale delle donne, dalla fase di reclutamento e di selezione, al successivo momento dell’assunzione, e perfino durante tutta la permanenza nell’organizzazione. In risposta all’atteggiamento discriminatorio, l’Italia mira a proteggere le donne e quindi ad agire in un’ottica “compensatoria” e di parità di diritti che però ha contribuito a confermare la visione delle donne come membri di una minoranza fragile. Come intervengono le organizzazioni di fronte alla discriminazione di genere? - Tentano di assottigliare le differenze tra i sessi; Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Tentano di lavorare sulle differenze tra i membri dello stesso sesso. Il fine è quello di creare un ambiente che riconosca, rispetti e valorizzi le differenze legate al genere, che allo stesso tempo tenga in considerazione le competenze e i bisogni dei singoli individui e che sia gender neutral nel dare le stesse opportunità. Per quanto riguarda le aree di intervento, queste sono: - Training; - Reintegrazione dopo un periodo di assenza (ad esempio per la maternità); - Promozione dell’imprenditorialità femminile; - Interventi sul gap retributivo tra uomo e donna; - Work-life balance. Orientamento sessuale nelle organizzazioni I membri della comunità LGBTQIA+ possono subire discriminazioni sul luogo di lavoro per via della propria identità di genere e del proprio orientamento sessuale. L'eterosessismo è un sistema ideologico che rifiuta, denigra a stigmatizza ogni forma di comportamento, identità, relazione o comunità non eterosessuale partendo dall'assunto che uomini e donne siano eterosessuali fino a prova contraria, costituendo pertanto la giustificazione all’ostilità, alla discriminazione e alla violenza. Nel mondo del lavoro l'eterosessismo può manifestarsi spesso tramite licenziamenti ingiusti, riduzione della libertà di espressione della propria identità e limitazione delle opportunità lavorative. Il minority stress è un livello di stress additivo agli stressor normalmente presenti in un contesto sociale o di lavoro causato da pregiudizi, discriminazione e mancanza di supporto verso i membri di gruppi minoritari stigmatizzati. Porta a sperimentare un maggior numero di eventi stressanti, come per esempio la discriminazione sul posto di lavoro, con conseguenze in termini di riduzione dell'autostima, senso di insicurezza e malessere psicologico. Alcuni fattori di rischio che aumentano l'esposizione allo stress di questi gruppi minoritari sono ad esempio eventi di pregiudizio e discriminazione subiti, l'aspettativa di subire tali eventi e l'eccessiva vigilanza nell’anticiparli (stigma percepito) e l’internalizzazione del pregiudizio sessuale e di credenze negative sul proprio gruppo di appartenenza (omofobia internalizzata). Lezione 24: 26/11/2024 La disabilità nei contesti organizzativi Discriminazione di accesso: le modalità di selezione si tarano spesso su modelli di “normalità” e quindi lasciano fuori le persone che non sono rappresentate da queste condizioni di normalità. Ci sono delle norme che individuano le cosiddette “categorie protette” e che vincolano le aziende ad assumerne una quota. Ogni certo numero di dipendenti, una parte deve essere destinata a persone con disabilità. È più difficile normare questo a livello privato, perché le aziende private tendono a scartare questa categoria. Discriminità di trattamento: riguarda l’ingiusto modo di trattare la discriminazione sul posto di lavoro (minori occasioni di accedere al training, alle promozioni ecc.). Le persone con disabilità vengono categorizzate come outgroup da chi non è disabile (categorizzazione) a causa di stereotipi legati a: - Natura della disabilità: chi è disabile dalla nascita viene trattato diversamente da chi ha una disabilità acquisita. Le disabilità visibili (a livello estetico) possono produrre più distanza rispetto a quelle non visibili. È dunque necessaria una politica di diversity management che consideri che le disabilità non sono tutte uguali. - Presenza di stigmi multipli: avere più stigmi (di etnia, di genere, di disabilità) è motivo di più forte discriminazione. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Comportamenti autolimitanti: le persone con disabilità si considerano esse stesse marginali e outgroup, conseguentemente alla credenza di essere poco efficaci nel rispondere alle richieste lavorative (profezia che si autoavvera). Cosa crea (oltre gli stereotipi) l’impossibilità di inserimento delle persone disabili nell’organizzazione? - Le persone con disabilità sono meno presenti nei gruppi di lavoro e sono più svantaggiate nel crearsi un network informale di condivisione, andando a essere identificati come membri dell’outgroup. - Le persone disabili hanno difficoltà ad avere un modello di riferimento del proprio ruolo (ad esempio il manager o il collega più anziano). Questo perché è improbabile che ci sia un’altra persona nella stessa organizzazione che abbia la tua stessa disabilità e che ti mostri come gestire il lavoro (è statisticamente dimostrato che le persone disabili sono numericamente poco presenti nelle aziende). - Le persone con disabilità ricevono difficilmente dei feedback critici di miglioramento della propria performance, avendo di conseguenza meno possibilità di migliorarsi. Questo a causa degli stereotipi positivi, che dipingono la persona come “buona perché ha una disabilità” o per una forma di pietismo che considera la persona fragile in quanto portatrice di disabilità. In realtà, in quanto disabili, queste persone sono spesso più forti. Culture organizzative e valoriali sulla disabilità Le culture organizzative sono sistemi di credenze condivise che producono modalità di pensiero e azione. La cultura organizativa può porsi in maniera diversa rispetto alla disabilità. Ignore disability: l’organizzazione non si interessa delle normative che prevedono l’assunzione di una parte di persone con disabilità e in generale non si interessano al tema della disabilità. Spesso queste aziende vengono perseguite a livello penale per i loro comportamenti. Eliminate disability: le organizzazioni sono consapevoli che c’è una quota di persone con disabilità che deve essere inserita o hanno già persone con disabilità all’interno, ma tentano di estrometterle, cioè vengono rese irrilevanti e messe nelle condizioni di farle andare via. Le persone disabili vengono marginalizzate. Nel mezzo (tra Eliminate e Minimize) abbiamo il rischio di “ghettizzazione”, cioè le persone con disabilità per poter diventare salienti dovrebbero essere distribuite nelle varie realtà organizzative. Pian piano però a queste persone viene riservato un posto a sé e vengono dunque “ghettizzate”. Minimize disability: le persone disabili sono “invisibili” e l’organizzazione non si occupa di loro. Queste organizzazioni, pur riconoscendo la disabilità, tendono a minimizzare l’apporto che la persona può offrire. Endorse disability: cultura orientata alla disabilità, che concepisce il lavoratore disabile al pari degli altri e come un’importante risorsa. Strategie di management della disabilità Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria Diversity training La formazione rivolta alla persona con disabilità punta all’accrescimento di strategie di coping che la aiutino a gestire stereotipi e attribuzioni legati alla disabilità. Questo processo può essere coordinato da un supervisor training, una figura che prende in carico i bisogni specifici del disabile aiutandolo a completare con successo i propri compiti e a sviluppare in lui sentimenti di empowerment personale. Livello individuale: cambiamento delle attitudini e delle credenze personali, banalmente creando attività di incontro e di comprensione delle disabilità. Alcuni tipi di disabilità sono più accettate perché più conosciute. Livello interpersonale: cambiamento dei pattern comunicativi (cioè come ci si rivolge alla persona disabile). Livello di gruppo: intervento sull’efficacia dello sviluppo di un gruppo di lavoro. Livello intergruppale: intervento sui pattern relazionali tra gruppi. Livello organizzativo: intervento sulla cultura, le strutture, i sistemi e i processi, ad esempio creando degli “scivoli” per l’accesso delle sedie a rotelle. Livello socio/comunitario: le organizzazioni possono trasmettere i loro valori alla comunità, sensibilizzandola al tema della disabilità. Management interculturale In Italia circa il 10% dei lavoratori provengono da altri paesi; tuttavia, non c’è ancora una cultura e una politica di diversity management che favorisca i processi di integrazione. La cultura organizzativa è l’elemento chiave se si vuole comprendere come l’organizzazione si approccia alla diversità. Tuttavia, la cultura organizzativa è molto difficile da cambiare una volta che si è stabilita nell’azienda, ma ne parleremo in seguito. La presenza di discriminazione all’interno della cultura organizzativa può essere fonte di stress e insoddisfazione per i lavoratori stranieri. Le pratiche di diversity management sono una possibilità per l’organizzazione di integrare visioni culturali e allo stesso tempo avere visioni alternative nell’interpretazione della realtà. Il modello del continuum della competenza di Cross (1989) Affinché l’organizzazione possa accogliere il lavoratore straniero attraverso pratiche di adattamento che lo rendano un valore per sé e per gli altri, l’organizzazione deve essere competente culturalmente. La competenza culturale è descritta da Cross come l’insieme degli atteggiamenti e dei comportamenti che consentono ai professionisti di quel sistema di lavorare in maniera efficace in situazioni cross-culturali. Secondo Cross, la competenza è situata su un continuum: - Cultural destructiveness: atteggiamenti, politiche e pratiche che sono distruttive nei riguardi di culture diverse; - Cultural incapacity: incapacità del sistema ad aiutare gruppi minoritari; Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Cultural blindness: credenza secondo cui tutte le persone sono uguali e i gruppi minoritari vanno conformati alla cultura dominante; - Cultural pre-competence: tentativi di miglioramento nella qualità dei servizi per target specifici; - Cultural competence: capacità di adattare le azioni ai bisogni dei gruppi minoritari; - Cultural proficiency: attitudini, politiche e pratiche che accolgono tutte le culture tenendole in forte considerazione. Modello della competenza culturale centrato sul cliente Lezione 25: 27/11/2024 Capitolo 11: cambiamento e sviluppo organizzativo L’organizzazione è un sistema “vivente” e in continuo sviluppo e cambiamento. La cultura di un’organizzazione può svolgere un ruolo importante nell’aiutare o ostacolare il processo di cambiamento. Quelli di clima organizzativo e cultura organizzativa sono due costrutti importanti per la comprensione della natura psicologica e collettiva delle organizzazioni. Clima organizzativo: metafora dell’iceberg In questo iceberg (che metaforicamente rappresenta l’organizzazione) abbiamo una parte sopra l’acqua, visibile, percepibile e misurabile che è data da ciò che l’organizzazione mostra di sé. Questa parte è anche “tangibile” perché comprende le politiche formali: obiettivi, norme e regolamenti formali, progetto organizzativo, strutture fisiche, tecnologia, risorse finanziarie, clienti, competenze e abilità esteriori. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria Poi c’è la parte sott’acqua, che è collegata alle pratiche informali, cioè i modi di fare condivisi dalle persone dell’organizzazione: modelli comunicativi (ci diamo del tu o del lei?), processi informali di squadra, conflitto, comportamento politico. Abbiamo poi una parte dell’iceberg ancora più profonda e immersa, che con la sua massa è la parte dell’iceberg che condiziona la sua “vita”. Questi aspetti più impliciti e profondi richiedono di essere approcciati con modalità più ravvicinate; sono aspetti nascosti: credenze, valori, atteggiamenti (assunti di base). Questa metafora ci fa capire che l’organizzazione è molto più complessa della sua esteriorità e non possiamo basarci su ciò che è percepibile e visibile, ma c’è bisogno di un approccio più complesso. Quali sono gli aspetti da considerare per conoscere l’organizzazione? Cosa è il clima organizzativo e cosa è la cultura organizzativa? Il pioniere degli studi sul clima organizzativo fu Lewin, il quale notò che all’interno dei gruppi (che aveva creato per lo studio delle leadership), quando il leader adotta un certo stile di leadership, i membri tendono a comportarsi sulla base di questo e complessivamente si instauravano anche delle rappresentazioni e delle concezioni condivise all’interno del gruppo. Quando il leader usciva dal gruppo, questa componente intersoggettiva cambiava. C’era quindi un aspetto implicito ma condiviso che Lewin definì “clima”. Pian piano questo diventa il tema del clima organizzativo, in analogia al “clima” che aveva individuato Lewin negli anni ’50 (difatti le organizzazioni sono quasi inevitabilmente composte da gruppi). Il clima organizzativo è una sorta di rappresentazione (inter)soggettiva cognitiva, emotivamente connotata e comportamentale che nasce all’interno degli scambi e delle relazioni tra le persone all’interno dei gruppi di lavoro e condivisa dalle persone che fanno parte dell’organizzazione. Questo costrutto va misurato esclusivamente a livello collettivo; non esiste clima organizzativo senza gruppo. Il fatto che ci sia un clima organizzativo vuol dire che ci sia una concordanza e non per forza una identificazione totale in queste rappresentazioni. Questo è importante perché il clima è la reazione cognitiva, emotiva e comportamentale rispetto a come i membri interpretano e vedono la faccia visibile della loro organizzazione (la punta dell’iceberg). Come faccio a valutare come le persone vivono l’organizzazione e come agire di conseguenza? Esempio: che aria tira nel nostro corso di laurea? Il fatto che in aula ci sia silenzio e nessuno parla, vuol dire che, per un modo o per l’altro, percepiamo tutti timore (reazione emotiva). La reazione cognitiva sarebbe un bilancio di aspetti positivi e negativi del corso (“questo corso non mi piace”), e la reazione comportamentale sarebbe il non alzare la mano. In un contesto non c’è un clima unico. Nell’organizzazione ci sono dei climi diversi anche a seconda del contesto (ad esempio, alla magistrale c’è un clima diverso rispetto alla triennale). Il clima è codificabile e misurabile. Permette di capire come le persone stanno e permette di predire dei comportamenti. Il clima può anche variare e cambiare con rapidità. Il costrutto del clima è multidimensionale, cioè si misurano diverse variabili/dimensioni che costituiscono il clima organizzativo. Quali sono gli approcci di studio al clima organizzativo? Secondo Moran e Volkwein è possibile distinguere quattro approcci di studio: - Strutturale: il clima è dato dalle strutture fisiche dell’azienda, a prescindere dalla visione che ne hanno i membri. Quindi ad esempio la disposizione degli uffici, il colore degli arredi ecc. Questo approccio, chiaramente, non basta, perché non tiene conto degli aspetti relazionali e cognitivi. Tuttavia, non si nega il fatto che anche le strutture contribuiscono a determinare il clima. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Percettivo: le persone non sono neutre, ma proattive e individuano gli aspetti salienti nel determinare il clima. Le persone selezionano gli elementi di valutazione del contesto, sulla base dei quali poi costruiscono delle rappresentazioni del clima. - Interattivo: il clima è costruito dalle persone che si scambiano le loro impressioni, informazioni ed emozioni, arrivando ad una rappresentazione socialmente condivisa del clima. - Culturale: il clima è la rappresentazione della cultura organizzativa vigente in quel contesto, cioè è la faccia soggettivamente visibile di qualcosa più profondo, strutturato e meno accessibile ma molto influenzante. Quindi il clima è la rappresentazione superficiale di qualcosa di più profondo, che è la cultura organizzativa. Questi approcci vanno presi tutti insieme e integrati nella considerazione del clima organizzativo. Le indagini di cultura vengono svolte in maniera molto diverse rispetto al clima. Possono indagare il clima (ma non la cultura) somministrando questionari, mentre posso indagare la cultura attraverso un approccio etnografico, entrando a far parte di quel contesto. Il clima può essere modificato facilmente, la cultura no, benché il clima rappresenti quella cultura. Metafora del clima come un termometro: ti dice come stanno le persone ma non ti dice il perché. Cultura organizzativa La cultura organizzativa è una riduzione in chiave organizzativa del concetto generale di cultura. La cultura è un sistema (elementi interconnessi) di valori condivisi, di norme (formali/informali, implicite/esplicite), di credenze, di simboli, di linguaggio e codici di condotta che le persone utilizzano nelle organizzazioni. La cultura in generale è un processo evolutivo di un collettivo che, cercando di adattarsi all’ambiente e di sopravvivere riorganizzandosi, valida dei costrutti che gli permettono di evolvere e progredire nel tempo. Mentre la cultura si riferisce ai valori e alle credenze insite nei membri dell’organizzazione, il clima coglie le politiche, le pratiche e le ricompense più concretamente osservabili. Riprendendo la metafora dell’iceberg, se la cultura ne è la parte sommersa, il clima è la parte emersa; esso comprende gli elementi tangibili che riflettono una cultura. Secondo Edgar Schein la cultura organizzativa è formata da strati concentrici (come una cipolla). Esistono 3 livelli, partendo da quelli più visibili sino a quelli più nascosti: - Artefatti: cose visibili e tangibili. Sono evidenti già nel momento in cui si entra in un’organizzazione (strutture e processi organizzativi). - Valori dichiarati: ciò che l’organizzazione dichiara di sé (strategie, obiettivi, filosofie e principi) e che ha valore per essa. - Assunti impliciti: convinzioni inconsce, date per scontate; percezioni e sentimenti profondi che rappresentano l’estrema fonte dei valori e delle azioni. La cultura organizzativa riguarda dunque le credenze, le norme e i valori condivisi che influenzano i pensieri, i sentimenti e il comportamento dei dipendenti. Lezione 26: 2/12/2024 Parte emersa oggettiva: politiche formali Parte emersa soggettiva: come le persone si sentono nell’organizzazione Quanti tipi di culture organizzative esistono? Enriquez (1970) propone un modello interessante con cinque tipi di culture: - Autoritaria: si basa sul fatto che ci sia un capo/leader indiscusso, tendenzialmente carismatico. Questa figura ha ragione in quanto esempio per gli altri. - Burocratica: si centra sulle norme e le procedure e sulla divisione dei compiti e delle responsabilità. È caratterizzata dal rispetto del proprio ruolo. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Paternalistico-clientelare: il valore fondante è l’appartenenza ad un gruppo di riferimento in cui ci si identifica e ci si supporta a vicenda. Paternalistico perché “ti voglio bene sino a che fai quello che voglio io”, cioè ci si aiuta a vicenda a condizione che le persone si adeguino a quel modello; clientelare perché “io faccio qualcosa per te e tu fai qualcosa per me”. È una cultura tendenzialmente negativa e poco meritocratica. - Tecnocratica: centrata molto sulle competenze tecniche, sull’efficienza e sul successo professionale. La competizione è sana ed è un modello meritocratico. La premialità si basa sulla valutazione delle competenze. - Cooperativa: prevale il senso di cooperazione e di socialità. Vi sono molte attività di gruppo e cura degli aspetti interpersonali. C’è un forte elemento collegato al consenso e all’informalità. Le persone si conoscono e hanno degli scambi intensi. Il suo successo si basa sull’interazione. Competing values framework di Cameron e Queen (2011) I valori di cui si parla in questo framework non sono valori dichiarati, ma si associano più agli assunti impliciti di Schein e sono valori in competizione tra loro. I valori si situano su un continuum: focus interno e integrazione vs focus esterno e differenziazione; flessibilità e discrezionalità vs stabilità e controllo. Queste due contro polarità producono quattro diversi modelli di cultura: - Hierarchy: focalizzata alla stabilità e al controllo e focus interno e integrazione (più attenta ai suoi processi interni). Questa cultura è di tipo gerarchica e burocratica. - Clan: focus interno e flessibilità. Ampia partecipazione dei dipendenti ed enfasi sul lavoro di squadra. - Adhocracy: focus esterno e flessibilità, cioè si modificano sulla base delle influenze che ricevono dall’esterno. Sono competitive sul mercato e si rimodulano plasticamente. Sono innovative e aperte al cambiamento. - Market: stabilità e controllo e focus esterno. Fa grande uso delle informazioni esterne orientandosi alla competizione, definendo la sfida per la realizzazione personale come un elemento positivo. Questi modelli suddividono le culture su elementi valoriali. Hofstede (1980) propone invece di suddividere le culture tenendo in considerazione altri elementi: - Distanza dal potere: quanto in quell’organizzazione sia accettato o rifiutato il fatto che il potere sia gerarchicamente orientato o più di tipo democratico. Quano un’organizzazione ha molti livelli gerarchici, la distanza dal potere è forte e le persone si aspettano che le relazioni siano orientate su un dislivello di potere. - Individualismo/collettivismo: l’organizzazione può prevedere la competizione e il lavoro individuale oppure la cooperazione e il lavoro di squadra. - Mascolinità/femminilità: il fatto che ci sia o meno attribuzione di incarichi sulla base degli stereotipi di genere, dove la mascolinità è associata alla competitività e la femminilità alla relazione e alla cura dell’altro. - Rifiuto dell’incertezza: le organizzazioni si distinguono rispetto all’essere positivamente orientate al cambiamento, all’incertezza e all’ambiguità oppure no (ad esempio il posto fisso). Una cultura di tipo market ha una posizione positiva nei confronti dell’incertezza. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Orientamento a breve/lungo termine: l’organizzazione può progettare il proprio lavoro in vista degli anni successivi, oppure no. Culture deboli e forti Entrambe queste culture hanno vantaggi e svantaggi. Culture deboli: non c’è una prospettiva culturale dominante. L’organizzazione può essere costituita da culture differenti e in contrasto tra loro. I valori e gli scopi sono meno marcati. Può promuovere un ambiente creativo; queste culture sono meno stringenti e permettono una maggiore diversità. Una cultura eccessivamente debole, tuttavia, può comportare demotivazione e mancanza di coesione sulle norme e sui valori comuni. Culture forti: implicano una prospettiva comune e internamente coerente, accettata e condivisa da tutta l’organizzazione. Queste culture hanno il vantaggio di aiutare a far capire quale è il modo appropriato di fare le cose, riducendo allo stesso tempo incertezza e conflitto. Un gruppo eccessivamente coeso, tuttavia, è più resistente al cambiamento e può ostacolare contributi importanti provenienti dall’esterno. Cambiare la cultura organizzativa Le culture possono cambiare? Diversi autori si son resi conto che l’intervento consulenziale spesso fallisce, perché le culture organizzative possono essere più forti e riaffermarsi, respingendo il cambiamento. Nonostante appunto molti studiosi mettono in dubbio che l’organizzazione possa effettivamente cambiare, si individuano tre tipologie di logiche di cambiamento: - Approccio diretto: interventi che mettono in discussione le credenze, i modelli valoriali e le modalità di funzionamento e comportamento dell’organizzazione. Il punto di partenza è quello di attivare nei gruppi dell’organizzazione delle attività di messa in discussione delle procedure, degli atteggiamenti e dei modi di pensare dati per scontati e ritenuti veri a prescindere, proponendo modalità nuove di pensiero, di comportamento, di valutazione e di azione organizzativa. Spesso queste attività vengono fatte all’interno dei focus group. - Cambiamento del clima organizzativo: attraverso la promozione di un clima diverso si può in qualche modo agire sulle condotte delle persone. - Cambiamento comportamentale: il fatto di riorganizzare in maniera strutturale e profonda il funzionamento dell’organizzazione fa sì che quando le persone devono affrontare altri ruoli siano spinte ad apprendere anche nuovi comportamenti, e di conseguenza nuovi valori e credenze. È un approccio più forte. Cosa porta le organizzazioni a cambiare? Forze competitive e nuovi mercati: le forze competitive stimolano costantemente le organizzazioni a cambiare il modo e il luogo di produzione. Cambiamento delle condizioni economiche: la crescita economica permette di espardersi e investire in nuove iniziative. Progressi tecnologici: ad esempio, l’IA sta cambiando il modo di lavorare. L’automaziome sta eliminando tantissimi lavoratori. Variazioni demografiche: crescita dell’istruzione e dei movimenti (le persone si spostano di più). Cambiamento radicale pianificato Il management, l’organizzazione riesce a capire cosa è necessario cambiare per permettere all’organizzazione di evolversi e sopravvivere, e attua un cambiamento profondo e radicale, pianificandolo. Il cambiamento è occasionale, intenzionale e forte. Una volta che questi cambiamenti si determinano, prendono piede. Un modello interessante, a questo proposito, è stato fornito da Lewin. Secondo lui, il cambiamento radicale passa attraverso tre stadi: Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Scongelamento: la vecchia cultura e i vecchi modelli dell’organizzazione iniziano a sciogliersi, a “scongelarsi” per far posto ai nuovi; - Cambiamento: vengono proposti i nuovi modelli organizzativi; - Ricongelamento: la nuova cultura prende piede e si stabilizza (si “congela”). Cambiamento emergente o continuo Vi è uno scongelamento continuo che permette una continua messa in discussione dei modelli interni. L’organizzazione è un sistema aperto: i cambiamenti esterni influenzeranno l’organizzazione; essa deve competere e acquisire nuove fette di mercato, quindi deve adattarsi e chiedersi continuamente se i propri metodi siano adeguati, per essere sempre “avanti” rispetto alle altre aziende. Il ruolo del management è quello di costruire una cultura orientata alla flessibilità e al cambiamento. Ci sono tre modalità con cui le organizzazioni attuano un cambiamento continuo… Management By Objectives L’MBO è una tecnica di gestione manageriale in cui capi e dipendenti individuano gli obiettivi e sviluppano un piano di azione per realizzarli. Vi è un miglioramento di qualità continuo. Laboratori di azione Negli action labs un gruppo di esperti e di decision maker sono collocati in un luogo distante dal luogo di lavoro, nel quale sono isolati dalle operazioni quotidiane in modo da concentrarsi su uno specifico problema d’impresa. Essi sono imcoraggiati a sviluppare e realizzare nuovi metodi per risolvere i problemi organizzativi. Stando insieme per un periodo prolungato, alla fine siallontaneranno dal precedente modo di pensare, per orientarsi verso una modalità nuova. Team building È un intervento di sviluppo organizzativo utile nei casi in cui l’interazione tra i membri di un gruppo è fondamentale. Il principale scopo di questo intervento è aiutare le squadre a esaminare il modo in cui lavorano insieme, a identificare i propri punti di forza e di debolezza, e a sviluppare un programma per migliorare il proprio funzionamento. Oltre a processi come lo sviluppo di relazioni interpersonali e l’analisi del ruolo e dell’obiettivo per chiarire il contributo di ciascun membro, possono essere anche impoegati esercizi volti ad accrescere fiducia e apertura. Quali sono le cause della resistenza al cambiamento? - Alcune persone sono più predisposte al cambiamento, altre meno. Dipende dalle differenze individuali. - Le persone oppongono resistenza al cambiamento quando il risultato proposto è per loro portatore di conseguenze negative dal punto di vista personale, poiché ne riduce autonomia o ne diminuisce il lavoro (es. ore o mansioni). Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Molti cambiamenti organizzativi falliscono per via di una comunicazione inefficace, o perché i manager mancano della volontà o della capacità di discutere i cambiamenti con i dipendenti. - Nel contesto organizzativo possono essere presenti fonti di resistenza nella struttura e nei sistemi di controllo. Essi proteggono l’organizzazione dall’instabilità che il cambiamento causa. Lezione 27: 3/12/2024 Stigma organizzativo Ha a che fare con l’immagine pubblica dell’organizzazione e gli eventi che possono comprometterla. Questo è importante soprattutto nell’epoca moderna, in cui siamo tutti interconnessi ed è facile influenzare gli altri attraverso, ad esempio, i social media e altri mezzi di comunicazione. Cosa è lo stigma organizzativo? È una sorta di etichetta o attribuzione morale, negativa e pervasiva che nasce da valutazioni sociale negative formulate da stakeholders oppure dai suoi clienti. Se alcuni gruppi di stakeholders percepiscono che l’organizzazione stia violando norme, standard di legittimità e valori sociali, questi tenderanno a distaccarsi dall’organizzazione, ad applicare sanzioni e/o a biasimarla. Se l’organizzazione fa qualcosa ritenuto moralmente riprovevole, questo può diventare un danno per l’organizzazione. Lo stigma può essere di tipo core, cioè legato all’attività in sé, ( come lo stigma associato, ad esempio, alla pornografia) o event, cioè qualcosa che succede all’organizzazione e ne determina lo stigma (come è accaduto, ad esempio, lo scandalo della Ferragni). La reputazione ha a che fare con quanto bene l’organizzazione mostra di saper fare una cosa, lo stigma mostra quanto è riprovevole quello che sta facendo. Lo stigma può essere negativo (ad esempio i siti porno hanno alto stigma sociale) ma la reputazione alta (i siti porno hanno successo e fanno bene quello che fanno, anche se stigmatizzati). Quali sono le conseguenze dello stigma? - Danni alla reputazione che implicano perdite economiche, di partnership e biasimo da parte degli stakeholders; - Senso di vergogna nei dipendenti e mancanza di riconoscimento dall’esterno in quanto parte di un’azienda malvista. I dipendenti potrebbero lasciare il lavoro causando un danno organizzativo. Lo stigma è reversibile? Gli effetti negativi di uno stigma possono essere mitigati in tre modi: - Mostrando coerenza e mostrando un’immagine positiva dell’organizzazione. Ad esempio, investire in campagne pubblicitarie ragionando sui temi che riguardano lo stigma (la Costa Concordia ha investito in pubblicità sulla sicurezza e sulla formazione del personale). - Usando la reputazione positiva contro il processo di stigmatizzazione. Ad esempio, le automobili tedesche hanno una buona reputazione; in alcune pubblicità come elemento distintivo c’è il “made in Germany”. Questo elemento di immagine si trasforma in un maggiore costo per le macchine tedesche usate. - Mettendo in atto strategie di stigma management, quali: - Normalizzazione: accettazione dell’etichetta stigmatizzata, cercando di tenere un basso profilo e fare in modo che le persone si “dimentichino” di ciò che è successo. - Neutralizzazione: negazione o accettazione parziale della propria responsabilità, negoziando o giustificando lo stigma (ad esempio, la Ferragni si è scusata e ha provveduto a fare una donazione di beneficenza) Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - De-stigmatizzazione: ridefinizione in positivo dell’immagine dell’organizzazione evidenziando l’ingiustizia alla base dello stigma e rivendicando un’identità organizzativa positiva (ad esempio, dare tutta la colpa ad un dipendente dell’azienda ritenuto “causa” della vicenda). Queste strategie sono più efficaci se sono appoggiate da terze parti (partner) e da attività di CSR (responsabilità sociale d’impresa). Capitolo 12: investimento lavorativo intenso Alle persone viene richiesto di essere sempre più investite nel lavoro, in termini quantitativi e qualitativi, di tempo e di sforzo. Questo è positivo per la crescita personale, ma negativo per gli effetti che ne conseguono. Workaholism: dipendenza dal lavoro È la tendenza a lavorare intensamente in maniera compulsiva e anche oltre quello richiesto dalla propria organizzazione. Si è spinti dall’interno o dall’esterno a lavorare sempre di più, sino a compromettere le altre sfere personali. La persona non è in grado di smettere di lavorare, non prova piacere nel farlo e innesca un meccanismo simile a quello delle dipendenze. Siamo abituati ad associare alla dipendenza qualcosa di negativo (gioco d’azzardo, sostanze ecc.), il lavoro è invece socialmente apprezzato e accettato, per cui sembra strano associare il lavoro alla dipendenza. Il workaholism è definito anche “dipendenza ben vestita” proprio per questo motivo. Non bisogna confondere l’hard-working con il workaholism. L’hard-worker, difatti, prova soddisfazione e piacere nel lavorare tanto, mentre chi soffre di workaholism no. Il workaholism viene associato al disturbo ossessivo-compulsivo. Le persone con DOC, infatti, non provano piacere nell’attuare le loro compulsioni, ma non riescono a smettere di farlo. Spence e Robbins individuano tre macrodimensioni coinvolte nella dipendenza dal lavoro: - Work involvement: l’impegno, il coinvolgimento, la dedizione e il tempo impiegato nel lavoro. - Drive: dovere morale intrinseco e spinta interna nei confronti del lavoro, che porta a provare sensi di colpa quando non si lavora; - Ejoyment of work: il piacere di lavorare. Qui sta la differenza del workaholism con l’hard-working. Le persone dipendenti dal lavoro tendono ad avere alti livelli di coinvolgimento nel lavoro, alti livelli di spinta interna a lavorare e bassi livelli di piacere nel lavoro. Questo modello è stato reintegrato da Schaufeli e altri ed è stato creato un modello bidimensionale: - Working exessively: lavorare eccessivamente. - Working compulsively: lavorare compulsivamente, sentirsi in colpa quando non si lavora, avere difficoltà a non fare niente o a rilassarsi. Su questo modello è stato costruito uno strumento di misurazione, il DUWAS. Inizialmente il workaholism era una condizione di figure con ruoli molto importanti (quindi con più carico di lavoro). Adesso è sempre più presente a causa dei problemi della società moderna. È una condizione sottostimata perché le aziende ne traggono vantaggio. Antecedenti del workaholism - Tendenza alla dipendenza; - Riconoscimenti conseguenti all’impegno che fungono da rinforzi positivi; - Tratti ossessivi, perfezionismo e controllo sono stati associati al profilo di workaholism; Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Credenze e pensieri interiorizzati; - Famiglie che ripongono aspettativa sull’investimento dei figli nel lavoro. Conseguenze del workaholism La salute individuale ne risente molto: problemi di salute, problemi nella postura, problemi di stress, mancanza di sport, di sonno e di socialità. Non è raro sviluppare altre dipendenze in contemporanea. Non si è nemmeno produttivi, anzi, il workaholism abbassa il livello di produttività. In Giappone il workaholism è un problema serio, tant’è che si utilizza la parola karoshi per indicare il decesso causato dal troppo lavoro (il decesso è l’esito di patologie cardiovascolari o altri disturbi derivati da ritmi di lavoro estremi). Work engagement Il termine in generale è personal engagement e si riferisce anche ad altre attività al di fuori del lavoro. Entusiasmo, impegno, espressione di sé attraverso il lavoro. Realizzazione personale nel lavoro risultante dall’unione di tre caratteristiche chiave: - Vigore: energia investita che permette agli individui di sostenere grandi sforzi nel proprio lavoro. - Dedizione: quanto sei devoto e ispirato al lavoro che fai e quanto ti identifichi in esso. - Assorbimento: immersione nel lavoro; esperienza di flow. Il work engagement viene visto come la faccia positiva del burnout. Work engagement e workaholism hanno punti di contatto. Hanno in comune di essere due costrutti del sovra impegno; tuttavia, il work engagement non ha un collegamento con aspetti disfunzionali e patologici come il workaholism. Le somiglianze tra i due costrutti riguardano il comportamento osservabile riguardante il lavorare eccessivamente; le differenze riguardano invece le motivazioni intrinseche. SOMIGLIANZE DIFFERENZE Numero elevato di ore di lavoro Il workaholic è spinto da un senso di obbligo e non prova piacere nel lavorare eccessivamente. L’approccio al lavoro assume una forma compulsiva. Superamento delle richieste lavorative formali Il lavoratore engaged è stimolato da un entusiasmo autentico, derivante dall’essere pienamente coinvolto nell’attività lavorativa La motivazione al lavoro non è di natura economica Difficoltà a distaccarsi emotivamente e fisicamente dal contesto lavorativo Antecedenti del work engagement - È comune tra i lavoratori engaged percepire una buona auto-efficacia, resilienza, ottimismo e percepire positivamente le abilità possedute; - Alti livelli di work engagement sono associati a risorse lavorative come il supporto di colleghi e superiori, l’avere dei feedback e l’autonomia. - L’impegno lavorativo è stimolato anche dal tipo di leadership percepita (sostengo e fiducia nel leader). - Buona comunicazione, identificazione nell’organizzazione, clima sicuro nell’organizzazione e nei gruppi. - L’impegno è mantenuto dalla messa a disposizione di programmi di formazione e sviluppo rivolti ai dipendenti. Una delle principali caratteristiche dei lavoratori engaged è il divertimento che percepiscono nello svolgere la loro attività lavorativa, il loro entusiasmo e senso di realizzazione nel proprio lavoro. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria Coloro che riportano questo tipo di attitudine sono anche più spesso caratterizzati da un’affettività positiva, in particolare da soddisfazione lavorativa, e da uno stato di salute percepito come migliore. Anche sul versante delle prestazioni vengono riportati risultati migliori. Non tutti, d’altra parte, sono d’accordo con l’idea che tali soggetti possano mantenere livelli stabilmente alti di engagement al lavoro, senza presentare, conseguentemente, esiti di stress o di conflitto lavoro-vita. Una caratteristica che potrebbe aiutare a distinguere un individuo dipendente dal lavoro da un individuo impegnato nel lavoro è la capacità di prendere le distanze dal proprio contesto lavorativo, in particolar modo sul piano mentale. Il costrutto di distacco psicologico dal lavoro identifica una capacità psicologica individuale potenzialmente influente nell’attenuare esiti dello stress lavorativo, consistente in una capacità positiva di distacco dal proprio lavoro (quando non si è sul posto di lavoro), un’interruzione da quella che è la propria routine lavorativa giornaliera, a seguito della quale si hanno maggiori benefici e possibilità di recuperare le energie investite precedentemente in sede di lavoro (recovery). La capacità di prendere mentalmente le distanze dai compiti lavorativi, essenziale prerequisito per potersi rilassare e dedicare alle attività non lavorative, come quelle familiari, di svago, di cura di sé e dei propri cari, potrebbe essere carente nei lavoratori workaholic ed essere invece più sviluppata dai lavoratori engaged. Lezione 28: 4/12/2024 Capitolo 13: attaccamento e attaccamento al lavoro Per l’organizzazione è importante mantenere al suo interno le risorse umane significative. Bisogna favorire e potenziare un legame di attaccamento che faccia rimanere le persone in azienda. L’attaccamento è un processo innato, e l’attaccamento nel lavoro è una declinazione ai contesti lavorativi di questo processo innato. Il costrutto di attaccamento deriva dagli studi di Bowlby e Ainsworth e riguarda il legame affettivo che si instaura tra il bambino e il caregiver. Le persone sono capaci di stabilire legami positivi in età adulta se nell’infanzia si è stabilito un legame di attaccamento positivo col caregiver. Oltre a questo, bisogna aggiungere che l’attaccamento non è indirizzato solo verso le persone. Workplace attachment Le persone sono capaci di sviluppare legami di attaccamento. I contesti lavorativi sono contesti nei quali le persone condividono spazi, tempi e obiettivi con varie persone, sia in orizzontale (tra colleghi) che verticale (con i superiori). Il legame di attaccamento si sviluppa anche nei contesti lavorativi. In letteratura si distingue il tema del workplace attachment in tre prospettive: - Attaccamento all’organizzazione (al contesto): la persona si affeziona al contesto lavorativo; coinvolgimento e vicinanza all’organizzazione. - Attaccamento nel luogo di lavoro (alle persone): relazioni che le persone sviluppano nell’organizzazione. - Attaccamento al luogo di lavoro (alle cose): attaccamento non solo alle persone ma al luogo fisico di lavoro (agli arredi, agli spazi, alla visuale ecc.). Organizational commitment – attaccamento all’organizzazione L’attaccamento all’organizzazione può essere definito come uno stato psicologico che caratterizza la relazione di un dipendente con la sua organizzazione e che ha implicazioni sulla decisione di rimanere o smettere di essere un membro dell’organizzazione. La persona sente di appartenere all’organizzazione. A seconda della natura del commitment e della sua intensità si determinano una serie di risvolti. Abbiamo tre sottodimensioni: - Affective commitment: impegno affettivo, cioè quanto stare in quel contesto ti fa stare bene e quanto ti impegni per esso. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria - Continuance commitment: la persona fa un bilancio di pro e contro sulla base di quanto sta bene in quel contesto e in base a quello decide se rimanere o meno. - Normative commitment: senso di dovere nello stare in quel contesto. Ho la percezione che il mio contributo sia importante. Queste sottodimensioni sono manipolabili dall’organizzazione. L’organizational commitment è correlato positivamente con la prestazione lavorativa e negativamente con l’assenteismo e il turnover. L’organizzazione può promuovere attività per aumentare il commitment e aumentare quindi la performance. Cittadinanza organizzativa - OCB: Organizational Citizenship Behaviours Riguardano comportamenti di cittadinanza attiva. Cioè sono comportamenti che promuovono il funzionamento dell’organizzazione non direttamente riconosciuti dal sistema formale e delle ricompense. La cittadinanza organizzativa è direttamente correlata con l’impegno (commitment) organizzativo, perché se il commitment è basso, la persona farà solo “il suo” e non si impegnerà per migliorare il clima organizzativo. Questi comportamenti emergono, ad esempio, aiutando un collega o lavorando più a lungo del previsto per completare un progetto. Organizational identification Riguarda il fatto non solo trovare positività e un senso di dovere nel lavoro, ma ti identifichi proprio con l’organizzazione. Una parte del tuo sé è alimentata dall’organizzazione. I successi e i fallimenti dell’organizzazione vengono vissuti come propri. L’organizational commitment, invece, ha una natura prevalentemente motivazionale. Un conto è dire “sono orgoglioso di lavorare per questa azienda” e un altro è “non vorrei lavorare in nessun’altra azienda al di fuori di questa”. Attaccamento nel luogo di lavoro Riguarda la relazione che si instaura tra la persona e i colleghi di lavoro. L’attaccamento nel luogo di lavoro può essere di due tipi: - Verticale: si crea un legame tra colleghi che si posizionano su differenti livelli della gerarchia organizzativa (ad esempio capo e dipendente, leader e follower). - Orizzontale: relazioni tra colleghi che stanno sullo stesso livello gerarchico. Le relazioni che si instaurano sono significative ed emotivamente connotate. Attaccamento e leadership Lo stile di attaccamento delle persone nel luogo di lavoro può assumere tre connotazioni. Alcuni studi dimostrano un collegamento tra il legame di attaccamento nell’infanzia e quello nel posto di lavoro. Lo stile di attaccamento deriva da rappresentazioni negative o positive di sé stessi e degli altri. Attaccamento sicuro: immagine positiva di sé e degli altri. Senso di fiducia e aspettativa che gli altri siano di supporto, accoglienti e disponibili. È predittivo di outcomes positivi in termini di OCB, engagement e commitment. Attaccamento preoccupato: immagine negativa di sé ma positiva degli altri. Mancanza di speranza e aspettativa di essere rifiutati. Attaccamento evitante: immagine negativa degli altri ma positiva di sé. Amore per sé stessi e attesa che gli altri siano disposti negativamente. I leader con attaccamento sicuro sono più orientati ad uno stile di leadership relazionale e mostrano maggiore propensione a delegare. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria I leader evitanti tendono ad essere task-oriented, mostrano bassa efficacia nella gestione delle relazioni e tendono a non essere deleganti. I leader con uno stile di attaccamento ansioso riescono ad essere efficaci solo nei compiti più semplici. Si percepiscono inadeguati rispetto ai collaboratori e tendono a stare nella loro comfort zone. Attaccamento al luogo di lavoro è Rendere il luogo di lavoro fonte di benessere e attraente, in modo da favorire un attaccamento al luogo di lavoro e quindi favorire degli outcomes positivi per l’azienda. Le persone possono dunque stabilire un legame di attaccamento non solo con le persone, ma anche con le cose e i luoghi. L’attaccamento al luogo di lavoro si concepisce come una forma specifica del più ampio costrutto di attaccamento al luogo, e il luogo di lavoro si considera soltanto uno tra i molti luoghi con i quali per gli esseri umani risulta possibile intrattenere una relazione e instaurare un legame affettivo. Il luogo di lavoro viene definito uno spazio a cui una persona attribuisce un significato in funzione del proprio vissuto lavorativo. Tutti gli ambienti dovrebbero essere progettati consultando prima le persone che ci andranno a lavorare. Abbiamo diversi costrutti dell’attaccamento al luogo di lavoro. Workplace Attachment Scale (WAS): prende in considerazione quanto un dipendente è attaccato al proprio luogo di lavoro e quanto lo avverta come parte di sé. È un indicatore del collegamento affettivo tra i dipendenti e il luogo di lavoro. Workplace Attachment Style Questionnaire (WASQ): identifica tre diversi stili di attaccamento al luogo di lavoro. Il dipendente sicuro è affezionato al proprio luogo di lavoro e troverebbe difficile abbandonarlo. Il dipendente evitante preferisce evitare certi luoghi della propria organizzazione. Il dipendente preoccupato prova ansia e disagio in relazione al luogo di lavoro. Outcomes dell’attaccamento al luogo di lavoro: - Adattamento lavorativo; - Favorisce l’accettazione dei cambiamenti; - Sviluppa senso di comunità; - Riduce le intenzioni di turnover; - Aumenta la soddisfazione lavorativa; - Incrementa i comportamenti di cittadinanza organizzativa; - Media nella relazione tra commitment affettivo e commitment normativo; - Media nella relazione tra commitment affettivo e comportamenti di cittadinanza organizzativa. Predittori dell’attaccamento al luogo di lavoro: - Biosociologici: anzianità in termini di tempo trascorso nel luogo di lavoro e nella posizione organizzativa. - Psicosociali: interesse per il lavoro, autorità, utilità sociale, soddisfazione intrinseca, impegno organizzativo affettivo e normativo. - Organizzativi: occasioni di incontro e convivialità, sistemi di comunicazione informali ecc. Appunti di psicologia del lavoro – Chiara Sarria

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