L'approccio psicodinamico: Erik Erikson (PDF)
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Questo documento presenta un'introduzione all'approccio psicodinamico di Erik Erikson, esplorando i concetti chiave e le tappe dello sviluppo umano secondo la sua teoria. Il testo si concentra sullo sviluppo psicologico, mettendo in evidenza l'influenza delle esperienze sociali e culturali, nonché di diverse fasi evolutive.
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L’approccio psicodinamico: Erik Erikson (1902-1994) [...] tra richieste personali da una parte e richieste sociali dall'altra, e sottolineerà molto come le richieste sociali abbiano un peso saliente anche nella direzione dello sviluppo. Sarà interessato a studiare gruppi culturali diversi, e questo...
L’approccio psicodinamico: Erik Erikson (1902-1994) [...] tra richieste personali da una parte e richieste sociali dall'altra, e sottolineerà molto come le richieste sociali abbiano un peso saliente anche nella direzione dello sviluppo. Sarà interessato a studiare gruppi culturali diversi, e questo lo porterà proprio a sottolineare come culture diverse, valori diversi che vengono promossi nelle diverse culture possono portare i genitori ad avere pratiche di socializzazione, pratiche di educazione dei loro figli completamente diversi, che favoriranno l’acquisizione di determinate competenze per determinate abilità che sono culturali ed in linea con quelle del gruppo culturale a cui appartengono [...] anche molto vicine a quello che oggi pensiamo. Vedete che nasce nel 1902, in Germania, viaggerà tantissimo nella sua vita, sarà uno studioso di arte e sarà un maestro d'arte per molti ragazzi e ragazze nel corso dei suoi lunghissimi e tantissimi viaggi. In Europa, arriverà a Vienna, dove rimarrà per un po' e lì casualmente entra in contatto con la Società psicoanalitica che si sta formando, perché sarà maestro di molti figli di persone che frequentano il circuito psicoanalitico e inizierà il suo rapporto anche con Anna Freud con la quale seguirà l’analisi personale. All’epoca non esisteva la facoltà di psicologia e la specializzazione in psicoanalisi e psicoterapia, ma si diventava analisti a seguito di un percorso effettuato come didatta psicoanalista, lui lo farà con Anna Freud e quindi in questo modo entrerà a far parte della Società psicoanalitica e diventerà [...] Negli anni Trenta, si deve spostare a causa del nazismo presente nel territorio nel quale vive [..] e quindi c’era il rischio [..] e si sposterà in America a Boston e poi inizierà a lavorare e a studiare in America, per esempio, si occuperà moltissimo del modo in cui gli Indiani d’America [...] le differenze nelle pratiche di allevamento a seconda dei valori promossi dal contesto culturale sottolineerà come Sioux e Yurok, che sono fondati su valori completamente diversi, crescono i loro bambini e le loro bambine con modalità di allevamento completamente diverse, che promuovono valori diversi. La competitività [...] la reattività che deve essere promossa in alcuni gruppi sociali e invece la maggiore tolleranza e la maggiore collaborazione che sono presenti in altri gruppi sociali. Si occuperà poi di veterani di guerra durante la Seconda guerra mondiale [...] e poi un suo interesse preminente, come vedremo, sarà legato alla costruzione dell'identità e nel corso della sua vita si occuperà molto di una fase dello sviluppo, l’adolescenza, che avrà, come ci racconta Erikson, un ruolo centrale anche nella formazione dell'identità. Utilizzerà e conierà la locuzione crisi di identità che ancora oggi utilizziamo e che caratterizza, come vedremo, il percorso di vita secondo Erikson. La teoria di Erikson ha un’altra caratteristica importante: è una delle prime teorie che descrive lo sviluppo lungo tutto il ciclo di vita. Come vedremo, individuerà una serie di tappe, di momenti che caratterizzano gli esseri umani dalla nascita fino ad arrivare all’età senile. Quindi non soltanto uno sviluppo descritto per la prima parte, quella che era l’età evolutiva, ma uno sviluppo che copre l’intero ciclo di vita. Quali sono i punti che vedremo rispetto alla teoria di Erikson? Vedremo quali sono i concetti base sui quali si fonda la teoria di Erikson, vi ho già detto, però, che [...] dell’analisi freudiana. Descriveremo che cosa si intende e perché è così centrale per Erikson la costruzione e lo sviluppo dell’identità e poi descriveremo queste diverse tappe che, secondo Erikson, segnano il percorso di vita, che vengono chiamati stadi psicosociali proprio a sottolineare la salienza delle richieste sociali, della dimensione sociale nello sviluppo. Da dove partiamo? Partiamo dalle nozioni fatte dalla teoria freudiana. Quindi ricordatevi che quello che ci dice Erikson non si sostituisce, per esempio, allo sviluppo psicosessuale, alle diverse zone erogene che caratterizzano i diversi momenti e le diverse fasi di sviluppo, ma si affianca. Non mette in discussione né il determinismo psichico né l’esistenza dell’inconscio, così come l’esistenza delle tre istanze Es, Io e Super-Io. Però amplia, allarga la prospettiva freudiana considerando tutto il ciclo di vita degli individui, come dicevo, in particolare prendendo in considerazione la dimensione psicosociale. Cioè Erikson ci racconta che mano a mano che cresciamo, oltre a maturare una serie di maggiori competenze dovute appunto alla nostra crescita, alla nostra maturazione, ci troviamo però anche di fronte a richieste diverse da parte della società. Quindi da una parte abbiamo una maturazione biologica che ci porta ad acquisire e a poter mettere in gioco, a poter mettere in campo nuove capacità, abilità che prima non erano presenti, dall'altra parte la società, la cultura, ci chiede, ci pone delle nuove domande. Lo sviluppo, quindi, è segnato da una parte sia dalla dimensione biologica, sia dalla dimensione ambientale, sociale e culturale. E' vero che individua otto stadi psicosociali, che quindi caratterizzano tutti gli esseri umani, ma il modo in cui li si affronta sarà fortemente legato al contesto sociale nel quale ci troviamo, perché ogni contesto sociale porrà delle richieste diverse alle persone che appartengono a quel contesto e che quindi stanno affrontando quel particolare momento, quel particolare periodo evolutivo. Ogni cultura ha un modo specifico di stare a mondo, un modo specifico di dare valore e significato agli eventi, qualcosa che nel frattempo - pensate anche a quello che si siamo raccontati rispetto alla teoria di Bruner - in modo particolare di trasmetterlo alle generazioni successive che passa attraverso pratiche di allevamento che i genitori mettono in campo con i propri figli e le proprie figlie fin dalla nascita e quindi nei diversi momenti saranno affrontati in modo particolare, in modo diverso nelle diverse culture. Erikson ci racconta che nel corso della nostra vita il tema centrale è sempre la formazione, la costruzione e lo sviluppo della nostra identità, il rispondere alla domanda “Chi sono io?” che tocca punti diversi, aspetti diversi, nelle otto fasi, nelle otto crisi che l’individuo incontra e deve affrontare nel corso della sua vita, ma è come se per tutta la vita noi cercassimo di dare una risposta a questa domanda. E arriviamo a dare una risposta diversa a questa domanda a seconda del momento che stiamo attraversando. E ogni volta ci troviamo di fronte a un arricchimento, a una ridefinizione della nostra vita. Quindi un tema portante, un tema centrale della nostra vita che ci accompagna dalla nascita fino al termine della nostra vita. La formazione dell'identità, quindi, che rimane il fulcro centrale, è il nostro compito di sviluppo principale: durante la nostra esistenza a questo cerchiamo di dare una risposta “Chi sono io?”. Nel concetto di identità, il modo in cui affrontiamo e rispondiamo a questo tema, a questa domanda, la ricerca dell'identità è proprio il tema principale anche del quale si è occupato Erik Erikson nel corso dei suoi studi. Racconta come questa ricerca è ciò che dà senso alla nostra vita, ciò che ci muove, un bisogno umano fondamentale che ci accompagna per tutto il ciclo di vita, e al quale daremo una risposta diversa a seconda della fase, del momento, dell’età che stiamo attraversando. Questo percorso di costruzione e di formazione dell'identità, però, secondo Erikson ha un momento fondamentale, un momento culminante, che è quello dell'adolescenza. Il periodo adolescenziale è proprio quello nel quale, secondo Erikson, avviene qualche cosa di fondamentale rispetto alla formazione dell'identità. Però, attenzione, perché non è l'unico periodo della nostra vita dedicato alla costruzione dell'identità, e soprattutto non è slegato da tutti gli altri periodi. Ciò che accade durante il periodo adolescenziale, per quanto riguarda la costruzione dell'identità, è strettamente correlato a tutto ciò che è accaduto nelle fasi e nelle crisi psicosociali precedenti, e quindi il modo in cui sono state affrontate le crisi precedenti, e anche la definizione di noi stessi che ci costruiamo durante la fase adolescenziale, sarà qualche cosa che sarà rivisto, ampliato e modificato anche nelle fasi successive. Quindi è un percorso, non è una qualcosa di statico - la definizione della nostra identità. E non è che l'adolescenza sia l'unica fase importante secondo la prospettiva di Erikson per la formazione dell'identità. Tutto ciò che accade nell'adolescenza sarà comunque legato al modo in cui le crisi psicosociali precedenti sono state affrontate, sono state vissute e sarà ancora un oggetto di riflessione e di definizione nelle fasi successive. Come viene definita l'identità da Erikson? Un senso consapevole dell'identità individuale. Ricordiamoci che nella prospettiva di Erikson si continua a fare riferimento alla dimensione inconscia, alla prospettiva freudiana classica, quindi l’identità è però una costruzione consapevole e in particolare uno sforzo inconscio verso la continuità di un carattere personale. Un criterio per il silenzioso agire della sintesi dell’Io. La dimensione inconscia riveste un ruolo centrale anche nella costruzione del nostro senso di identità, che però è opera dell’Io ed è un accordo consapevole, dà continuità a noi stessi, nonostante tutti i cambiamenti che noi sappiamo aver caratterizzato la nostra vita e il nostro percorso e che possono caratterizzare anche oggi il nostro comportamento e i nostri atteggiamenti. Vedrete, poi, nella parte finale di questa citazione di Erikson anche l’importanza della dimensione culturale, della dimensione di appartenenza al gruppo, il mantenimento di una solidarietà interiore con ideali e [...] Quando noi pensiamo a noi stessi e alla nostra identità, la nostra appartenenza a gruppi familiari, religiosi e quant’altro sono sempre una parte centrale della rappresentazione che noi non abbiamo di noi stessi e questo Erikson lo sottolinea molto bene. Durante il nostro percorso di crescita e la nostra formazione e costruzione dell'identità, cerchiamo di allinearci anche in alcuni casi con quelli che sono i valori e gli ideali del gruppo al quale apparteniamo, che sono una parte essenziale dell'identità e della rappresentazione che noi abbiamo di noi stessi. L’identità quindi corrisponde alla possibilità di comprendere e di accettare sia le proprie caratteristiche più personali, più individuali sia le caratteristiche più legate alla dimensione sociale e culturale. Come viene descritto lo sviluppo nella prospettiva di Erikson? Ricordiamoci che quello che vedremo si affianca e non si sostituisce alla prospettiva freudiana. Viene descritta come una serie di momenti, di crisi psicosociali vitali che si susseguono lungo tutto l’arco di vita con una determinata sequenza. Ad ognuna di queste fasi, ad ognuno di questi stadi corrisponde un momento chiamato crisi psicosociale cioè un momento nel quale all'individuo vengono poste delle domande: ci sono dei compiti ai quali deve rispondere. Crisi psicosociale che è determinata sia dalla dimensione biologica sia dalla dimensione ambientale e culturale. Alla maturazione fisica e ai cambiamenti che avvengono nell'organismo in virtù della crescita biologica si affiancano determinate richieste da parte dell'ambiente. Più si cresce, più l’ambiente ci chiede qualcosa di diverso. Il modo in cui vengono affrontate queste diverse crisi segnerà il percorso che noi stiamo svolgendo rispetto alla formazione e alla costruzione della nostra identità. Ogni crisi psicosociale si focalizza su un tema centrale nella rappresentazione di noi stessi e nella costruzione della nostra identità e può vedere due esiti possibili, una polarità nella risoluzione della crisi psicosociale positiva, adattiva e una, invece, meno positiva, disadattiva. A seconda che la crisi psicosociale venga risolta a favore della polarità positiva oppure negativa avremo un’indicazione rispetto al percorso di sviluppo e di crescita. Quindi sono crisi, conflitti tra due tendenze opposte legate ad un tema fondamentale all’interno della costruzione dell'identità e a prevalere può essere la polarità, la risoluzione positiva adattiva oppure quella negativa. Per ognuna, quindi, di queste otto fasi quindi ci sono due termini affiancati, una che rimanda alla risoluzione, all’aver affrontato in modo positivo la crisi psicosociale e l’altra la dimensione meno adattiva. Si tratta, quindi, di problemi, di temi che l’individuo nel corso del suo sviluppo deve affrontare e si riferiscono a quella specifica età che viene indicata da Erikson, ma sono anche temi trasversali, cioè alcune crisi psicosociali che possono caratterizzare ad esempio la prima infanzia sono legate a temi che non sono magari chiusi una volta per sempre, ma che possono essere ri- affrontati, possono trovare una nuova risposta anche nelle età successive, quindi sono temi centrali nella formazione della nostra identità, che hanno un’età specifica nella quale diventano salienti, ma che non sono affrontati e chiusi una volta per sempre, sia che a prevalere sia l’esito adattivo, sia che a prevalere sia l’esito disadattivo. Ad esempio la prima crisi psicosociale avrà come punto centrale la fiducia (“Mi posso fidare? Non mi posso fidare?”). La fiducia è l’esito adattivo, la sfiducia è l’esito disadattivo: vedremo che ha certe caratteristiche, è tipica del primo anno-anno e mezzo di vita dei bambini e delle bambine, ma questo tema è qualcosa che può essere riaperto in qualunque fase della nostra vita. E’ vero che ciò che accade nel primo momento, nella prima crisi psicosociale è importante ed è qualcosa che ci portiamo dentro, un punto centrale anche nella percezione dell’identità che noi stiamo costruendo, però non è data una volta per tutte. Il modo in cui ogni crisi psicosociale viene affrontata impatterà anche sul modo in cui saranno affrontate mano a mano le crisi successive, come fossero dei tasselli che incidono e che impattano sul modo in cui si affronteranno i compiti successivi. Stiamo, quindi, raccontando un percorso di sviluppo che è segnato sia dalla dimensione biologica, sia dalla dimensione culturale. La maturazione biologica porta con sé nuove possibilità, nuovi comportamenti, nuove capacità che possiamo mettere in atto; a questa maggiore capacità che caratterizza lo sviluppo in una prospettiva biologica si affiancano e si associano diverse richieste sociali, che saranno sempre maggiori mano a mano che si cresce. Otto crisi psicosociali. Stadio 1: fiducia/sfiducia La prima vede come dimensione centrale quella della fiducia. L'esito adattivo è quello della fiducia, il senso fondamentale di fiducia che i bambini e le bambine secondo Erikson possono costruire in questa prima fase, come polarità disadattiva la sfiducia. È come se il bambino o la bambina si chiedesse “Mi posso fidare?” E la fiducia è un senso fondamentale e generale di fiducia: “Mi posso fidare del mondo. Mi posso fidare di me stesso. Ciò che ci racconta Erikson di questa fase si sovrappone alla fase orale freudiana, siamo nello stesso periodo e non sostituisce tutto ciò che Freud ci ha raccontato rispetto alla fase orale. Erikson ci racconta che in questo periodo di vita tutto ciò che accadde al bambino, e tutte le possibilità che il bambino ha, dipende dall'accordo che si crea tra i suoi bisogni e la risposta che la madre dà ai suoi bisogni. La madre, quindi, diventa l'oggetto (nel senso che sappiamo già, psicodinamico) fondamentale per il bambino e la bambina, è colei che consente al bambino e alla bambina di trovare risposta a questo bisogno. Quando il bambino ha fame, la madre risponde a questo bisogno, e lo nutre, gli fornisce del cibo, ma, oltre a dare cibo, dà anche altro, secondo Erikson. Gli dà l’accudimento, gli dà l’attenzione, gli dà calore, dà nutrizione. E’ proprio da questa esperienza di trovare risposta costante nei bisogni attraverso il comportamento della madre, il bambino o la bambina può sviluppare questo fondamentale senso di fiducia: ho un bisogno, ho una necessità, trovo nell’ambiente, trovo nella madre una risposta a questo bisogno e questo mi consente di sviluppare un senso fondamentale di fiducia nel mondo, di fiducia nell’altro. A questo corrisponde anche la possibilità di sviluppare un senso di fiducia nelle proprie capacità, nelle proprie capacità di comunicare i propri bisogni, di poter trovare una risposta ai propri bisogni. Ruolo centrale è quindi dato alla figura materna, che risponde - o non risponde - ai bisogni del bambino e della bambina in questa fase. È proprio dall’esperienza ripetuta di trovare una risposta consona ai bisogni, il bambino e la bambina può sviluppare questo senso fondamentale di fiducia: mi posso fidare, so che c’è qualcuno nel mondo che risponderà ai miei bisogni, so che i miei bisogni possono avere una risposta. L'esito adattivo di questa crisi psicosociale è la prevalenza della polarità positiva, la prevalenza del senso di fiducia, il poter sperimentare una relazione oggettuale con una madre che risponde ai nostri bisogni, e che quindi consente di sviluppare questo senso di fiducia. Secondo Erikson in ogni fase, però, è anche importante che una piccola quota dell'esito disadattivo, quindi in questo caso della sfiducia, sia comunque presente; sviluppare almeno in parte la sfiducia è ciò che ci consente, per esempio, di riconoscere che non ci possiamo fidare di tutti e di chiunque in qualsiasi momento, che ci sono magari delle persone delle quali è meglio non fidarsi, ci consente di essere almeno in allerta in alcune situazioni. Quindi, affrontare la prima crisi psicosociale in modo funzionale, in modo adattivo, trovare una risoluzione adattiva del nostro senso di identità prevede una prevalenza della polarità positiva, la possibilità di sperimentare, di vivere questo fondamentale senso di fiducia nel mondo e in sé, ma anche una piccola quota di sfiducia che è protettiva rispetto alle esperienze della vita. Come vi dicevo, nella fase orale, primo anno-primo anno e mezzo, la fiducia/sfiducia è il tema centrale della formazione iniziale dell'identità; è un tema che, a seconda di come sarà affrontato e risolto, impatterà su come saranno affrontate le crisi psicosociali successive, è un tema trasversale che ci accompagnerà lungo tutta la nostra vita, non è concluso una volta per tutte dopo questo primo anno. Stadio 2: Autonomia /vergogna e dubbio La seconda crisi psicosociale vede contrapposte l’autonomia da una parte e la vergogna e il dubbio come esito disadattivo dall'altra parte. Stiamo parlando di un bambino e di una bambina che inizia ad avere un pò più di autonomia, inizia a muoversi in modo autonomo, iniziano a camminare, a potersi spostare nell’ambiente, iniziano a parlare, iniziano ad avere la capacità fisica di controllare il proprio comportamento. Si sovrappone alla fase anale freudiana, che è una fase il cui momento centrale di questo periodo è anche legato alle richieste che la società pone ai bambini e alle bambine. È il momento in cui il bambino e la bambina si trova davanti alle prime regole (pensate al momento in cui imparano a usare il vasino). Il bambino si trova di fronte a delle nuove richieste che la società, nella forma dei genitori, pone. Questa maggiore possibilità di autonomia, maggiore libertà, la possibilità di spostamento, di camminare, di prendere piccoli momenti di autonomia, mette, però, davanti alla possibilità di sbagliare: non sempre sono capaci di autocontrollo. Il tema dell’autocontrollo è centrale in questa fase, devo imparare a controllare il mio comportamento. Pensate [...] è un esempio chiaro di ciò che accade in questa fase. Il tema dell'autocontrollo è centrale “Sono capace di controllare?” E’ importante, quindi, riuscire a conseguire questo autocontrollo in un modo adattivo, in un modo funzionale, sentirsi capaci di autonomia, di autocontrollo del proprio comportamento. Però è chiaro che la paura di fallire, la paura di sbagliare, la paura di deludere l’altro, quindi di non riuscire a rispondere alle richieste che i genitori pongono ai bambini e alle bambine può inibire il comportamento del bambino, può inibire questo senso di autonomia. E soprattutto può far sentire al bambino l’emozione della vergogna, non sono capace di controllare, quindi il dubbio rispetto alle proprie capacità , rispetto alla possibilità di essere in grado di autocontrollo. E questo può bloccare, per lo meno inibire, questo percorso verso l’autonomia. Ancora centrale è il ruolo dei genitori, il modo in cui queste richieste sociali vengono poste al bambino. Quanto pressante è la richiesta di autocontrollo? o quanto assente invece la richiesta di autocontrollo? È quindi importante che i genitori riescano, sì, a fare richieste - questo è fondamentale al bambino e alla bambina per acquisire questa capacità di autocontrollo - senza però minare la visione che ha di se stesso, la fiducia che ha cominciato a costruire se la prima fase è stata affrontata in un certo modo, cioè devo imparare a autocontrollare il mio comportamento senza perdere la fiducia in me stesso. Il modo in cui i genitori si relazionano e affrontano, per esempio, le perdite di controllo che sono normali da parte dei bambini, è importante. Se viene svalutato, se viene denigrato il bambino quando commette qualche errore nel controllare il proprio comportamento, il bambino può più facilmente spostarsi sulla polarità disadattiva e andare verso il non sono in grado. Se, invece, i genitori affiancano e sostengono il bambino in questo percorso, sostenendo la sua autonomia, sostenendo in modo adeguato anche gli errori del proprio controllo quando avvengono e aiutandolo e incoraggiandolo affinché possa conquistare l'autonomia, ecco che è più probabile che l’esito sia quello adattivo. Ovviamente il modo in cui è stata affrontata la crisi precedente è importante: se il bambino o la bambina non ha sviluppato un senso di fiducia affronterà questa fase, questa seconda crisi psicosociale, con più difficoltà. E questo senso fondamentale di fiducia in sé e nelle proprie capacità ne risente, quindi è già più sbilanciato verso la polarità disadattiva. Quando, invece, un buon senso di fiducia si è costruito nella prima fase, il modo in cui vengono affrontate le crisi successive è diverso, si parte dal presupposto di sentire di potercela fare, di avere fiducia nelle proprie capacità, nelle proprie possibilità e questo mi pone in una condizione differente rispetto a come viene affrontata la crisi psicosociale. Stadio 3: spirito di iniziativa/senso di colpa La terza crisi psicosociale descritta da Erikson - siamo nel periodo prescolare fino ai 5 anni circa di età del bambino, siamo in una fase che si sovrappone alla fase fallica descritta da Freud per quanto riguarda lo sviluppo e la pulsione sessuale. Che cosa accade in questo periodo? E' il momento in cui secondo Freud si verifica anche il complesso di Edipo (insieme di sentimenti altamente ambivalenti nei confronti dei genitori con una ammirazione per il genitore, in particolare per il genitore dello stesso sesso, che porterà poi all'identificazione con quel genitore e l'assunzione dei comportamenti sessuali ad esso collegati e dei valori che caratterizzano quella persona con la quale ci si è identificati). Il tema dell'identificazione è ovviamente centrale anche per Erikson, perché si appoggia con le sue riflessioni alla prospettiva freudiana, quindi l'identificazione con il genitore grande, potente, forte è un tema centrale nel terzo stadio, nella terza crisi psicosociale. Ci racconta Erikson: “Fermamente convinto che egli è una persona, il bambino deve scoprire che genere di persona sta per diventare.” Non soltanto il genere nel significato che oggi utilizziamo, ma proprio che tipologia di persona, con quali caratteristiche, con quali valori, con quali atteggiamenti. E qui egli si appoggia proprio su chi conta per lui, vuole essere come i suoi genitori che gli appaiono forti, potenti e meravigliosi. Il tema è lo stesso: siamo sempre sul tema del complesso di Edipo di identificazione del genitore. La descrizione di Erikson è più sbilanciata sul versante sociale che sul versante sessuale. Tutta la prospettiva di Erikson è fortemente sbilanciata sul versante sociale e sulle richieste sociali, e anche questa fase si caratterizza in questo modo, la salienza della identificazione con i genitori che caratterizza questo periodo. La modalità psicosociale di base in questo periodo è la competizione: devo essere forte, voglio diventare forte, sono più forte, sono abbastanza forte. La competizione era anche un tema centrale nella prospettiva freudiana classica, però la visione di questa prospettiva è diversa. È il momento in cui i bambini diventano più autonomi, prendono sempre di più l’iniziativa - o meglio vorrebbero prendere sempre di più l'iniziativa - in una serie di comportamenti che mettono in atto; vogliono conoscere il mondo, vogliono allontanarsi, vogliono fare cose, vogliono esplorare, sono curiosi, vogliono fare tante cose. Si trovano di fronte alla possibilità di poter trasgredire la norma, di poter fare qualcosa che i genitori dicono che non deve essere fatto (“Può essere pericoloso, non andare, non farlo”). Il bambino si trova di fronte alla possibilità di trasgredire le regole, di trasgredire la norma: un punto importante attraverso il quale [...] Anche in questo caso il modo in cui la società, i genitori o chi è affianco al bambino nell'educazione del bambino e della bambina, quindi la reazione di tutte queste persone è importante. Come si reagisce di fronte all'iniziativa , allo spirito di iniziativa, alla possibilità di trasgredire la norma, all’effettiva trasgressione della norma da parte degli adulti che si prendono cura dei bambini e delle bambine? Quindi, se ci si pone con un atteggiamento eccessivamente repressivo rispetto alle iniziative dei bambini e delle bambine si può far sentire il bambino o la bambina in colpa per quello che fa e quindi abbassare il suo spirito di iniziativa, la sua voglia di esplorare e di fare. Ricordiamoci, però, che una piccola parte dell’esito negativo è fondamentale, quel senso di colpa, che è quello che ci fa sentire di aver sbagliato qualche cosa quando trasgrediamo la norma, è importante che ci sia, è ciò che ci consente di confrontarci con i nostri sbagli e con i nostri errori, per poi poter cambiare. E quindi è importante che a prevalere sia l’esito adattivo con quello spirito d’iniziativa che porta il bambino e la bambina ad avere voglia di esplorare e di conoscere il mondo e di prendere l'iniziativa e di fare una serie di cose, ma è anche importante che è una piccola quota del senso di colpa che è l’esito disadattivo sia presente (e ciò che mi consente di dire quando si trasgredisce una norma ok mi fermo e penso se fare o non farlo). Ricordatevi che il senso di colpa è legato al comportamento [...] rispetto a una norma e al quale si può rimediare. Stadio 4: industriosità/inferiorità La fase successiva è quella che corrisponde dai 6 anni fino all’inizio della pubertà e vede come tema centrale il sentirsi capace di, l’industriosità è l’esito adattivo di questa crisi psicosociale, il senso di inferiorità l’esito disadattivo. Siamo in quello che corrisponde al periodo di latenza della prospettiva freudiana, momento durante il quale secondo Freud le pulsioni sessuali sono rimosse e l’energia della pulsione sessuale viene incanalata verso altri interessi, verso altre mete socialmente accettabili, ad esempio le attività scolastiche che possono caratterizzare questo periodo. Questo è il momento in cui il bambino entra in contatto con l’istruzione esterna alla famiglia, con la scuola primaria, con tutta una serie di regole, di strumenti che caratterizza la vita sociale e culturale nel quale vive, impara a leggere, impara a scrivere. È un momento in cui le richieste della società sono diverse. La società, nella fattispecie la scuola, gli insegnanti da una parte, ma anche i genitori dall’altra chiedono al bambino di imparare a fare qualcosa, imparare a leggere, a fare i conti. Si trova di fronte a un cambiamento importante rispetto alle richieste della società: prima non c’era questa richiesta di apprendimento e di valutazione di ciò che i bambini sanno fare o non sanno fare [...] L'importanza della dimensione scolastica, l'importanza dell'imparare: il bambino o la bambina che sente che una parte della sua identità è legato a ciò che fa a scuola, a ciò che impara, alle nuove abilità, alle nuove competenze. Deve imparare a leggere, a scrivere, a fare i conti, tutta una serie di nuove capacità e nuove competenze che devono essere sviluppate in questo periodo. Ricordiamoci che quello che è accaduto prima è importante, la fiducia, l'autonomia, lo spirito di iniziativa. Se a prevalere, sono stati gli esiti adattivi delle tre crisi psicosociali precedenti, il modo in cui affronta questa nuova crisi è decisamente diverso, con un buon senso di fiducia in sé stesso, con l'autonomia, con la voglia di sperimentarsi, di esplorare, con la fiducia, con la voglia di mettersi in gioco in questa nuova avventura è chiaro che il modo in cui viene affrontata questa nuova possibilità è completamente diversa rispetto a quando le crisi psicosociali precedenti sono state affrontate e superate in modo disadattivo, con una prevalenza della polarità negativa. Se il bambino si sente sufficientemente fiducioso in sé, sufficientemente autonomo con un buon spirito di iniziativa, ecco che potrà mettersi in gioco rispetto alle nuove richieste che la società gli pone in modo differente e potrà sviluppare un senso di industriosità (“Sono capace di gestire anche queste nuove richieste che mi vengono dal mondo della scuola, mi sento competente”) Il senso di inferiorità è invece legato al sentirsi non in grado di rispondere a queste nuove richieste, a queste nuove competenze richieste dal mondo della scuola. Un fallimento ripetuto rispetto alle richieste del mondo scolastico può portare al prevalere del senso di inferiorità. Anche in questo caso, non è solo come il bambino o la bambina si sente, ma il modo in cui tutte le persone attorno al bambino o alla bambina fanno sentire il bambino, ai possibili fallimenti fortemente centrale 00:36:57 [...] Non è che i bambini arrivano a scuola e ci possiamo aspettare che siano sempre perfetti precisi, educatissimi: il modo in cui di fronte ad una difficoltà o ad un fallimento reagiscono i genitori, i nonni, gli insegnanti e tutte le persone attorno al bambino è importante; come viene affrontata la possibilità di commettere un errore, un fallimento [..] si è sostenuto nella sua fiducia, nella sua autonomia, favorendo quindi il senso di industriosità o meno? Quindi, il modo in cui viene affrontata ogni singola crisi psicosociale non è solo legata alla pulsione interna del bambino, ma al modo in cui nella dimensione delle relazioni sociali questa tematica e questi eventi vengono comunicati. Stadio 5: identità/confusione (o diffusione) Il periodo successivo è quello dell’adolescenza. Il periodo adolescenziale è caratterizzato ed è centrato, secondo Erikson, dalla costruzione dell’identità l’abbiamo già anticipato prima, ma ne abbiamo la consapevolezza esperienziale tutti quanti. Durante l'adolescenza abbiamo un momento fondamentale nella costruzione del senso dell'identità, secondo Erikson. Corrisponde alla fase genitale del periodo freudiano, il compito di sviluppo centrale di questa fase è arrivare ad un'affermazione rispetto alla propria identità. Che non è una semplice somma di tutte le identificazioni precedenti. Pensate a quello abbiamo detto prima, a quanto le identificazioni con i genitori, per esempio, fosse centrale nella terza crisi psicosociale: qui non è soltanto una somma delle identificazioni precedenti, ma il periodo della crisi adolescenziale, secondo Erikson, corrisponde ad un momento in cui metto in discussione tutto quello che è accaduto prima, in cui devo integrare tutto quello che è accaduto fino ad adesso in una nuova visione di me stesso. Ma questo passaggio attraverso il mettere in discussione e lo smontare per poi ricostruire è centrale, è fondamentale. Ricordiamoci che quello che accade adesso è preparato da ciò che è accaduto prima, quindi il modo in cui le quattro crisi psicosociali precedenti sono stati affrontate, sono state risolte, e quindi se sono state affrontate in modo adattivo a prevalere è stata la polarità positiva in tutte le crisi psicosociali, il modo in cui sarà affrontata questa crisi adolescenziale sarà completamente differente, sarà più orientata già di base verso la polarità adattiva anche se abbiamo [...] Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un cambiamento biologico: la pubertà e l’adolescenza portano tutta una serie di variazioni, di cambiamenti fisici, ormonali fondamentali. Cambia completamente l'immagine di sé, una delle prime difficoltà che l'adolescente incontra è guardarsi allo specchio e non riconoscersi, non riconoscersi più nel bambino che si era prima ma con il grande dubbio di non sapere cosa sarà. E questo momento di sospensione è una caratteristica tipica del periodo adolescenziale. Nella frase che Erikson riporta ci dice: “Non sono quello che dovrei essere e neanche quello che ho intenzione di essere però non sono quello che ero prima”. E’ un momento di sospensione completa, l'adolescente sa e non si riconosce più nel bambino e nella bambina che era prima, non sa che cosa diventerà, sa però che cosa dovrebbe essere nella rappresentazione di sé legata a tutte le aspettative che gli altri hanno rispetto a quello che dovremmo essere. L'adolescente sa chi dovrebbe essere, chi la società si aspetta che diventi; è il momento in cui la società chiede - ricordiamoci, una società classica, un po' cambiata - l'adolescenza è il momento di passaggio dalla fanciullezza all'età adulta, cioè durante l'adolescenza il ragazzo o la ragazza deve scegliere chi sarà, che lavoro farà, scegliere con quale persona vorrà condividere la sua vita se deciderà in questa direzione. E' il momento in cui si transita all'età adulta, che è caratterizzata dall'indipendenza fisica, economica e psicologica dai genitori, nella società tradizionale. Oggi tutto è un po’ più complicato, l'adolescenza è un po’ diversa perché è vero che si transita verso una maggiore autonomia e indipendenza, che però non è completa per tutte le caratteristiche del nostro contesto sociale e culturale che ci porta ad una permanenza più lunga nelle nostre famiglie di origine per motivi vari. Però l'adolescenza è proprio questo momento, in cui la società pone delle richieste al ragazzo: scegli chi sarai, chi diventerai, che lavoro farai. E quindi gli adolescenti si trovano di fronte a questa situazione: cambiamenti fisici, cambiamenti ormonali, cambiamenti corporei, cambiamento nell'immagine di sé, di ciò che vedo allo specchio, cambiamenti alle proprie capacità, alle proprie possibilità che vengono ampliate anche dal punto di vista fisico oltre che cognitivo; l'adolescenza è un cambiamento rispetto alle richieste che la società deve fare: diventare indipendente, fare le scelte e assumersi delle responsabilità. Una volta che ho scelto qual è la strada che vorrò seguire, quale sarà il lavoro che vorrò fare, secondo Erikson, e secondo ad esempio altri autori che si sono occupati di questo aspetto, un punto centrale è quello dell’impegno in quella direzione. Ho scelto, ho fatto la mia scelta dopo aver valutato, esplorato le diverse possibilità e quindi mi impegno in una certa direzione, mi assumo determinate responsabilità per realizzare ciò che avrò deciso. Prima però di decidere chi si sarà, decidere che cosa si vuole diventare, un punto centrale, secondo Erikson, è caratterizzato dalla moratoria psicosociale. La moratoria psicosociale è proprio un periodo di sospensione, un periodo di non scelta. E' un periodo che è tipico della fase adolescenziale, e dovrebbe essere solo della fase adolescenziale, nel quale io mi do la possibilità di esplorare diversi ruoli, diverse possibilità. Ricordiamoci che sono nella fase di non so chi sono, so che cosa gli altri vorrebbero che io diventassi, ma io non so quello che voglio diventare, so che non sono quello che ero prima… Bene, mi do la possibilità, mi gioco in ruoli diversi, provo a sperimentare ruoli diversi, con relazioni sociali diverse, con modalità diverse di vestire, di parlare, luoghi che frequento, cose che faccio, e che non faccio. Sperimento. È un momento di sospensione, non c'è nessuna scelta, mi do la possibilità, è come se il tempo si fermasse, prima di decidere dove andare, esploro, gioco. Come una forma di gioco di ruolo, però, nella realtà, gioco ruoli diversi, prendo tempo per esplorare ruoli nuovi. È un periodo di transizione tipico della fase adolescenziale, che si concluderà nel momento in cui l'adolescente sceglierà qual è il ruolo che vuole ricoprire, e quindi smetterà di giocarsi in ruoli diversi, ma sceglierà quale sarà la sua direzione, quella che [...] la sua responsabilità, e andrà verso quella direzione. È fondamentale, però, questo momento di messa in discussione. Ce lo racconta Erikson e ce lo raccontano anche molto bene altri autori che si sono occupati della crisi di identità in adolescenza. Non è una adesione all'identità che i miei genitori hanno pensato per me, hanno proposto per me, non è neanche un'identificazione che rimane tale al mio genitore (mio papà fa il medico, io mi identifico con il mio papà, e quindi io faccio il medico). No, è una messa in discussione. Prima provo a mettermi in gioco in altri ruoli, in altri contesti, e poi decido. Potrò poi decidere di aderire a quella che era la visione che i miei genitori avevano, di ri-aderire all’identificazione che avevo con mio padre, e quindi seguire lo stesso percorso, ma ci sarò arrivato in un modo diverso, cioè attraverso la messa in discussione, attraverso la moratoria psicosociale, attraverso la sperimentazione e l'esplorazione. Questa fase è fondamentale, non è un'adesione passiva a un modello che viene proposto. Poi potrò decidere di andare in tutt’altra direzione. L’esito potrà essere diverso, ma il modo in cui ci sarò arrivato passa attraverso questa possibilità, che deve essere data, di esplorare ruoli diversi. L’esito adattivo, quindi la possibilità di costruire un nucleo, un fulcro centrale della propria identità dopo aver esplorato la possibilità, aver avuto la possibilità di esplorare numerosi ruoli, scelgo quale sarà il mio ruolo, in quella direzione mi impegno, mi assumo delle responsabilità e vado in quella direzione. L’esito disadattivo, invece, è la confusione, diffusione e dispersione dell'identità, l'impossibilità di costruire questo nucleo centrale del senso dell'identità, l'impossibilità di integrare la rappresentazione di me e le identificazioni precedenti, quindi la presenza di un nucleo frammentato, il non poter costruire un senso integrato in sé. Ovviamente anche in questo caso il modo in cui la società mi supporta o non mi supporta nell’affrontare la crisi psicosociale adolescenziale è fondamentale: la possibilità che viene data all’adolescente di vivere la moratoria psicosociale, di esplorare diversi ruoli, di fare una scelta indipendente verso cosa si vuole essere, cosa si vuole diventare. E’ diffusione dell'identità anche non passare attraverso la moratoria ma aderire passivamente alle azioni proposte. E’ la stessa cosa, non c’è questa parte centrale data dall’integrazione di tutto ciò che accadde prima. Stadio 6: intimità e solidarietà/isolamento La fase successiva è quella della prima età adulta. La prima età adulta secondo Erikson è caratterizzata dalla possibilità di costruire intimità con le altre persone e l'esito adattivo è proprio l’intimità e l’esito disadattivo invece è l'isolamento che può essere vissuto in questa fase di vita. Siamo nella prima età adulta, ciò che accade, quindi, ai 20 anni, tra i 20 e 30 anni. Che cosa accade in questo periodo? Dato che siamo arrivati a un punto in cui abbiamo costruito, se abbiamo un esito adattivo nella fase precedente, un sufficiente nucleo integrato di senso di identità di noi stessi, diventa possibile costruire relazioni caratterizzate da vicinanza, caratterizzate da condivisione, caratterizzate da intimità con l'altro. Non sono conoscenze superficiali, ma sono amicizie profonde, possono essere anche relazioni con partner, ma ciò che caratterizza questo tipo di relazioni è la possibilità di svelarsi, la possibilità di scoprirsi, la possibilità di entrare in contatto con l'identità dell'altro, con la propria identità. Diventa possibile costruire un noi, qualcosa che prima non è possibile, ma per costruire un noi abbiamo due identità, un io e un tu, che si uniscono per formare qualcosa di diverso che non è solo la giustapposizione di un io e un tu. Però per poter sperimentare questa intimità io devo potermi avvicinare all'altro senza il timore di perdere me stesso. Quindi la costruzione di un buon senso di identità, è fondamentale, perché sennò c'è il rischio di perdersi nell'altro, non mi riconosco più, non so più dove finisco io e dove inizia l’altro. Invece questa possibilità di contare su un nucleo centrale, un nucleo chiaro del senso di identità è fondamentale. E proprio questo sentimento di solidarietà, di vicinanza, d’intimità rende possibile il costruire il noi. Il modo in cui sono state affrontate le crisi psicosociali precedenti è fondamentale: se non c'è stata una buona costruzione dell'identità nel periodo precedente non è possibile sperimentare questo senso di intimità, di solidarietà nella prima età adulta. Proprio per questa paura di perdersi, di non trovarsi più, di non esistere più, di fondersi completamente con l’altro, quello che si può ottenere nel caso in cui nella fase precedente sia stata prevalente la dimensione della diffusione dell'identità. Per vivere davvero l'intimità con l'altro devo tollerare almeno parzialmente il rischio di potermi fondere con l’altro, però con la consapevolezza di potermi sempre riconoscere nel nucleo centrale dell’identità che deve essere presente. L'isolamento descritto da Erikson non è necessariamente la descrizione di una persona che vive solitaria, isolata dal mondo, ma è di una persona che non riesce a costruire intimità e quindi può avere anche un milione di relazioni sociali che però non sono caratterizzate da questa possibilità di vicinanza, di condivisione, di solidarietà, sono relazioni superficiali in cui non c’è un vero conoscersi, un vero condividere con l'altro. Stadio 7: generatività/stagnazione Nella fase successiva, siamo nell'età adulta media, quindi tra i 30 anni circa e fino ai 60 anni, 65 anni, la crisi psicosociale vede come esito adattivo quello della generatività e come esito disadattivo la stagnazione. La generatività è un interesse che è volto al futuro, alle generazioni future, è la voglia di prendersi cura del mondo delle generazioni future, di lasciare qualche cosa al mondo e alle generazioni future, di guidare, di essere modello, di prendersi cura, di preoccuparsi per le generazioni future. La capacità generativa, una capacità creativa, che passa, sì, attraverso il prendersi cura materiale delle nuove generazioni (avere dei figli e curarsi dei propri figli), ma è anche il prendersi cura del mondo attraverso l'impegno nel sociale, attraverso il campo lavorativo, attraverso tutta una serie di aspetti che sono legati al preoccuparsi per ciò che verrà dopo, anche il lavoro dell’insegnante sicuramente è un lavoro che dovrebbe essere basato sulla generatività. C’è l'interesse che è volto a chi verrà dopo, alle generazioni successive. Perché ci sia generatività, per esempio, pensando all'approccio genitoriale, non è sufficiente mettere al mondo i figli, ma è il volersi prendere cura di quel figlio e il dedicarsi a loro, il fare attenzione, il preoccuparsi per loro. E non necessariamente solo le persone che hanno figli sono caratterizzate da generatività, proprio perché la generatività è qualcosa di più ampio, di diverso rispetto al mettere al mondo dei figli. È il voler dedicare qualche cosa, di dedicare attenzione, voler prendersi cura e preoccuparsi per le generazioni successive. L'esito adattivo, quindi, è caratterizzato da queste elementi. Ovviamente tutto ciò che è accaduto nelle fasi precedenti è importante. Il senso di fiducia, pensiamo alla prima fase, è fondamentale, devo aver fiducia in me stesso, nel mondo e negli altri per poter essere caratterizzato da generatività Così come tutti gli altri esiti psicosociali, tutti gli altri esiti adattivi sono importanti. La dimensione disadattiva, la dimensione più disfunzionale è legata alla stagnazione, all’indugiare su di sé, alla noia, al rimanere chiusi dentro sé stessi senza più la possibilità di dedicarsi e di prendersi cura degli altri. Stadio 8: integrità dell’Io/disperazione Infine arriviamo all'ottava crisi psicosociale, siamo ormai in età adulta, in età anziana, siamo nella fase finale, nel momento finale dell'esistenza dell'essere umano. Una fase che è caratterizzata come esito adattivo dall'integrità dell'io e come esito disadattivo dalla disperazione. Erikson ci dice che questa è la fase della vita nella quale si guarda anche indietro, e si fanno un po’ i conti con quello che si è fatto e quello che non si è fatto e bisogna fare un po' pace con se stessi. Che cosa è accaduto durante la mia vita? Che cosa ho costruito e cosa non ho costruito durante la mia vita? Un punto fondamentale, secondo Erikson, è anche il dover fare i conti col fatto che siamo esseri umani, che la nostra vita non è infinita, che la nostra vita ha dei limiti. E la possibilità anche di accettare questi limiti dati dall’esistenza umana, la consapevolezza di essere a parte di una storia più ampia, pensate a quanto la generatività in questo senso è importante, no? Mi prendo cura delle generazioni successive, in questo modo lascio anche qualche cosa di me alle generazioni successive. Se questo non è presente, il modo in cui viene affrontata questa fase di vita naturalmente, può essere molto diverso. È il momento in cui c'è la possibilità di tenere tutto insieme, di essere grati, di essere contenti per tutto ciò che è accaduto, non avere troppi rimorsi, troppi rimpianti per ciò che è stato o non è stato fatto, [...] Magari anche di cercare di risistemare alcune cose che sono rimaste in sospeso, che sono irrisolte per riuscire a chiudere il cerchio. Ecco la disperazione, invece, è ciò che può caratterizzare situazioni nelle quali sentiamo di aver fallito in un modo che non è più recuperabile, pensiamo di aver mancato una serie di appuntamenti importanti della nostra vita, pensiamo di non aver fatto tutta una serie di cose che invece erano importanti, pensiamo di non avere la possibilità di porre rimedio a tutto questo, pensiamo di avere tanti rimpianti per cose che abbiamo fatto e che non avremmo dovuto fare, senza la possibilità di rimediare a questi errori. Il momento quindi in cui si fanno i conti con tutto ciò che è accaduto prima, in cui si pensa di essere nel momento finale della propria vita, [...] Otto crisi psicosociali, otto temi centrali: in ogni momento si ridefinisce in qualche modo il senso dell'identità, centrale nella dimensione dell’adolescenza, però tutti questi temi sono trasversali; il senso di fiducia, per esempio, è qualcosa che è caratterizza il primo anno, anno e mezzo di vita, ma è qualcosa che poi ritorna in gioco in tutte le crisi psicosociali. Quindi, il modo in cui abbiamo affrontato gli esiti delle crisi psicosociali ci può rendere più agevole o meno agevole affrontare le crisi sociali successive ma si tratta di temi che possono essere sempre riaperti perché ?? con la nostra rappresentazione e con il senso di noi stessi. Bene, se è tutto chiaro passiamo a un altro tema e accenniamo ad alcuni aspetti della PROSPETTIVA ECOLOGICA Qualcuno potrebbe chiedersi “Perché nel corso di psicologia dello sviluppo dobbiamo parlare di etologia?” Perché l'etologia ha avuto un grande impatto su alcuni rami della psicologia attuale, in particolare in quella che viene chiamata psicologia evoluzionista. Perché alcuni temi che sono stati trattati dagli etologi sono ormai parte comune di alcune delle teorie, perché l'ultima teoria, l’ultimo grande approccio che vedremo insieme è quello della teoria dell’attaccamento e sarà proprio il fondatore della teoria dell’attaccamento a riconoscere il grande debito nei confronti dell’etologia e definirà la sua prospettiva proprio un approccio etologico allo sviluppo della personalità, quindi riconoscerà un debito molto grande nei confronti dell’etologia, sia per quanto riguarda alcuni costrutti e alcune tematiche, sia per quanto riguarda il metodo di studio che caratterizza l'etologia. Che cosa vedremo rispetto all'etologia? Vedremo innanzi tutto alcune caratteristiche dell'etologia, che cos'è, che disciplina è, qual è l’oggetto di studio dell'etologia. E poi descriveremo quattro temi, quattro punti che caratterizzano l'approccio etologico: i comportamenti innati specie-specifici, vedremo che cosa sono e vedremo alcuni esempi; vedremo che si fonda sulla prospettiva evoluzionistica (e su questo andremo veloci perché do per scontato che conosciate molto bene la prospettiva evoluzionistica); parleremo della predisposizione ad apprendere che secondo gli etologi caratterizza in modo diverso le diverse specie animali e che permane presente nel mondo animale; e poi ci soffermeremo sulla metodologia che caratterizza l'approccio etologico e che ha avuto una grande influenza anche in psicologia (lo vedrete anche l'anno prossimo, quando vi troverete il corso di osservazione, vedrete la metodologia osservativa che è proprio basata sull'approccio etologico). Che cos'è l'etologia? L'etologia è un ramo della zoologia, è una disciplina che si occupa di studiare i comportamenti di una specie nel suo ambiente naturale. È un punto centrale di descrizione degli animali non come gli organismi passivi che sono eccitati dagli stimoli e quindi hanno comportamenti reattivi in risposta a stimoli che li colpiscono, ma sottolineano l'importanza del comportamento adattivo della specie. Ogni specie animale ha sviluppato nel tempo determinati comportamenti, una gamma di comportamenti in risposta ai propri bisogni e in risposta alle caratteristiche dell'ambiente. L'obiettivo degli etologi è riuscire a individuare la gamma dei comportamenti che caratterizzano una particolare specie nel suo ambiente naturale, capire il significato, l'assunzione di questo comportamento, di costruire un etogramma, cioè una descrizione precisa dei comportamenti che caratterizzano quella specie. E per poter fare questo devo studiare gli animali nel loro ambiente naturale, proprio perché il comportamento è una risposta che quella specie ha dato alle caratteristiche dell’ambiente, e se voglio capire devo osservare il comportamento nell’ambiente. Quindi se io voglio capire qual è il comportamento dei gorilla e quali funzioni possono avere questi comportamenti, io devo non prendere il gorilla e studiarlo in laboratorio, ma andare nel suo ambiente naturale e capire quali sono i diversi tipi di comportamenti che questa specie mette in atto e in quali momenti può fare [..] Poi, una volta che mi sarò costruito questa conoscenza della gamma dei comportamenti di una particolare specie nel suo ambiente naturale, potrò studiare quei comportamenti magari in altri contesti più sperimentali per capire alcune caratteristiche specifiche, per indagarne alcuni aspetti; ma il primo punto centrale è che io devo studiare il comportamento dell'animale nel suo ambiente naturale, nella sua nicchia ecologica (la nicchia ecologica è proprio l'ambiente, le caratteristiche specifiche dell'ambiente nel quale la specie vive). È una disciplina che nasce nel contesto europeo, vedete nella slide il nome di due autori K. Lorenz e N. Tinbergen, due etologi. Disciplina che nasce negli anni 30, un periodo in cui in psicologia a prevalere è un paradigma completamente diverso, cioè il comportamentismo, che vede il comportamento dell'essere umano in modo completamente differente da come invece gli etologi leggono il comportamento delle specie animali. L’etologia è una disciplina che ha avuto una grande influenza sulla psicologia di stampo evolutivo. Quali sono gli obiettivi che gli etologi si pongono rispetto ai comportamenti dell'animale? Ricordiamoci, l’obiettivo dell’etologo è quello di indagare il comportamento di una specie animale, e quindi si chiedono quali sono le cose immediate del comportamento, perché quell'animale mette in atto proprio quel comportamento in quel momento? Che cosa attiva quel comportamento? Quale stimolo, quale condizione, interna o esterna, fa sì che ad un certo punto l'animale metta in atto quel tipo di comportamento che ho osservato? C'è un particolare odore, uno stato interno che fa sì che l’animale ad un certo punto mette in atto quel comportamento? Prendiamo i canti come i rituali di corteggiamento che alcune specie di uccelli utilizzano: qual è lo stimolo che attiva questo rituale specifico? Come si è formato questo schema di comportamento nel corso dell’ontogenesi (ricordiamoci l’ontogenesi è lo sviluppo dei singoli individui, dei singoli animali che appartengono ad una determinata specie) Come e perché compare quel tipo di comportamento nello sviluppo del singolo animale che sta crescendo in quel contesto? Quando, a che età compare? Che cosa è accaduto prima? Come compare questo tipo di comportamento? Lo ha appreso o è un comportamento innato? Qual è la sua funzione adattiva, a cosa serve quel comportamento? Perché viene messo in atto? Molti comportamenti servono all'animale per nutrirsi, per accoppiarsi, per proteggersi dai predatori. Quale funzione assolve quel comportamento? E poi ancora, come si è formato quel tipo di schema comportamentale nel corso dell'evoluzione della specie, nel corso della filogenesi? Perché ad un certo punto quel comportamento [...] ad un certo punto dell’evoluzione della specie compare? [..] per la sopravvivenza della specie? E gli obiettivi sono rispondere a queste domande, per ognuno dei comportamenti che io osserverò dovrò cercare di capire perché si scatena quel comportamento, quale fattore determina l’attivazione di quel comportamento, come si è sviluppato nel singolo individuo e come si è sviluppato nel corso della specie, quindi da un punto di vista ontogenetico e filogenetico, e a cosa serve quel comportamento, qual è la funzione adattiva a cui risponde quel comportamento. I quattro punti sui quali ci fermiamo sono la prospettiva evoluzionistica che caratterizza l’approccio etologico; poi vedremo quali sono i comportamenti innati specie-specifici e ne vedremo alcuni esempi; la predisposizione ad apprendere; e la metodologia etologica. Partendo dal primo punto elencato in questa slide - la prospettiva evoluzionista - che cosa ci dicono gli etologi? Gli etologi si appoggiano e fanno propria la prospettiva darwiniana evoluzionista, quindi ci dicono che i comportamenti che noi osserviamo oggi, e non soltanto le caratteristiche fisiche delle diverse specie animali, ma anche i comportamenti che caratterizzano le specie animali, sono il frutto dell'evoluzione di quella specie e dell'adattamento di quella specie al suo ambiente. Pertanto, se noi oggi osserviamo un certo comportamento in quella specie è perché è stato selezionato nel corso della filogenesi, è perché è funzionale, perché è adattivo, perché serve a qualche cosa. È perché ha consentito a quella specie di adattarsi meglio alla nicchia ecologica, all'ambiente nel quale essa vive. Altrimenti nel corso della filogenesi della specie quel comportamento sarebbe sparito. Quindi la prospettiva evoluzionista è il processo di selezione naturale che si applica non solo alle caratteristiche fisiche dell'animale, ma anche al comportamento dell'animale. E i comportamenti che noi osserviamo negli animali sono la risposta che quella specie ha dato a un particolare problema che si è posto in quella nicchia ecologica. Come trovo il cibo? Come posso salvarmi dai pericoli, salvarmi dai predatori che possono minacciare la mia vita? Come posso accoppiarmi e riprodurmi e quindi trasmettere il patrimonio genetico alle generazioni future? Nel corso della filogenesi della specie, se un comportamento si rivela meno adattivo di altri, sparisce, perché il processo di selezione naturale porterà solo i più forti, cioè gli individui che hanno le caratteristiche migliori rispetto all'adattamento a quello specifico ambiente, a riuscire a salvarsi dai predatori, a trovare cibo e ad accoppiarsi e riprodursi, e quindi nel corso del tempo i cambiamenti che si sono rivelati più funzionali per la specie saranno trasmessi alle generazioni successive e gli altri, invece, saranno persi. Nel caso della specie umana, quindi dal punto di vista evolutivo, non soltanto per esempio il pollice opponibile è stato man mano trasmesso alle generazioni successive, ma anche tutta una serie di comportamenti che si sono rivelati più adattivi per la nostra specie, e così sono stati trasmessi e ancora oggi sono presenti nella nostra specie. Come nelle altre specie animali, per quanto riguarda tutte le altre specie, altrimenti sarebbero stati persi nel corso dell’evoluzione. Che cosa sono i comportamenti innati specie-specifici? Gli etologi ci dicono che ogni specie viene al mondo dotata di alcuni comportamenti che sono innati, e che sono tipici di quella specie, che sono stati ereditati dalle generazioni precedenti perché si sono rivelati adattivi rispetto agli ambienti nel quale quegli animali si trovano, e quindi sono stati selezionati dalla selezione naturale, nel corso della filogenesi. E come alcune caratteristiche fisiche sono sotto il controllo biologico, così anche alcuni comportamenti sono sotto il controllo biologico, sono geneticamente determinati, li ereditiamo, noi e le altre specie animali, dalle generazioni precedenti. Attenzione, gli etologici è vero che in questo aspetto danno molta salienza alla dimensione biologica (come alcune strutture fisiche, anche alcuni comportamenti sono innati), ma non negano mai l'importante e la salienza che l'ambiente può avere nel modulare questo tipo di comportamenti innati. Che quindi si manifestano sempre in un certo ambiente e che in qualche modo possono essere poi modificati anche nel corso della vita dell’individuo sulla base delle caratteristiche specifiche dell’ambiente nel quale si trova quella specie. I comportamenti innati specie-specifici sono comportamenti che sostanzialmente possiamo osservare in tutti i membri, o quasi tutti i membri di una stessa specie, e quindi accomunano tutti i membri di una specie, o almeno un sottogruppo dei membri della specie. Sono ereditari, sono comportamenti innati, quindi biologicamente determinati, e, per la prospettiva evoluzionista che abbiamo detto, sono funzionali, servono a qualcosa, sono adattivi. Se ci sono oggi nella specie umana, o in altre specie animali, è perché nel corso della filogenesi della specie si sono rivelati funzionali a rispondere a un compito fondamentale. Servono per trovare cibo, servono per salvarsi dai predatori, servono per accoppiarsi e trasmettere il patrimonio genetico alle generazioni successive. Come faccio però a sapere se un comportamento è innato oppure no? E questo è un punto importante sul quale gli etologi, e non solo, hanno lavorato. Un comportamento è innato e posso avere una serie di indicatori del fatto che quel comportamento sia innato se lo osservo in modo pressoché identico, o per lo meno simile, in tanti membri della stessa specie o meglio in tutti i membri della stessa specie o in un particolare sottogruppo. Un comportamento è innato se riesco ad osservarlo anche in individui di quella specie che non hanno avuto modo di apprendere quel comportamento tramite l’esperienza, se osservo comunque quel comportamento è perché quel comportamento è innato, quindi in assenza di un’esperienza precedente di apprendimento il comportamento è innato e si deve mostrare. Ad esempio i canti come rituali di corteggiamento: se io allevo in cattività un membro della specie di uccelli che utilizza questo rituale di comportamento e alla maturità sessuale, alla stessa età in cui di solito gli uccelli che vivono in condizioni di libertà manifestano quel tipo di comportamento, utilizza lo stesso tipo di canto, io ho un indicatore a favore del fatto che quel comportamento sia innato, perché non ha avuto modo di sentire altri suoi conspecifici utilizzare quel tipo di canto come rituale di corteggiamento, e se lo utilizza è perché probabilmente quel comportamento è innato. Se lo osservo in tutti i membri di quella particolare specie o perlomeno in un particolare sottogruppo (i rituali di corteggiamento tipicamente sono mostrati da un sottogruppo di maschi, per quanto riguarda i canti che citavamo prima, in altri casi possono essere praticati dalle femmine; però è un sottogruppo in cui tutti i componenti di quel sottogruppo manifestano quel tipo di comportamento). I comportamenti innati specie-specifici possono essere presenti dalla nascita e in alcuni casi, come l’esempio che facevamo prima del canto come rituale di corteggiamento, compaiono ad un certo punto dello sviluppo dell’individuo - alla maturità sessuale per quanto riguarda il rituale di corteggiamento-, ma da quando compare quel comportamento rimane pressoché identico, pressoché stabile anche nel corso del tempo, quel canto rimane lo stesso anche durante i momenti successivi, non cambia, non varia. Quindi alcuni comportamenti innati non sono presenti dalla nascita, compaiono ad un certo punto durante lo sviluppo dell'animale, ma poi, una volta comparsi, rimangono pressoché identici. Come vi dicevo, i comportamenti innati specie- specifici però possono manifestarsi diversamente a seconda dell'ambiente in cui si trovano: per esempio, specie di uccelli che costruiscono i nidi - anche quello è un comportamento innato specie-specifico - però poi imparano attraverso l’esperienza a scegliere quali sono gli elementi migliori per costruire il nido in quell'ambiente, che tipo di ramoscelli devo prendere. Quindi è un comportamento innato, che però si adatta anche all'ambiente nel quale mi trovo. Tra i comportamenti innati specie-specifici che a noi interessano particolarmente vi sono i riflessi, che abbiamo già incontrato quando abbiamo visto lo sviluppo delle competenze del neonato e che abbiamo visto sono anche il punto di partenza secondo Piaget dello sviluppo cognitivo, e le coordinazioni ereditarie, chiamate anche azioni a schema modale o a schema fisso. Sono due comportamenti innati specie-specifici, che caratterizzano le diverse specie animali e anche gli esseri umani. I riflessi sono risposte semplici, brevi, specifiche, molto stereotipate, che vengono emesse di fronte a particolari stimoli provenienti dall'ambiente (ricordate il riflesso di prensione, se accosto il dito alla mano del neonato, il neonato stringe il dito nel pugno, è un riflesso semplice, stereotipato che viene messo in moto da un particolare stimolo, vedete che abbiamo una condizione che sollecita il riflesso). [...] Che cosa sono invece le coordinazioni ereditarie ancora non lo sappiamo: che cosa sono queste coordinazioni ereditarie? Sono una sequenza di comportamenti che può essere anche un po' più lunga, un po' più complessa rispetto ai riflessi, una sequenza di comportamenti innata, ereditaria, biologicamente determinata che ha una funzione adattiva, esattamente perché è un comportamento innato specie-specifico appunto. È innata, si manifesta in tutti i membri di una particolare specie e c'è perché serve a qualcosa. Ma non è una risposta fissa, semplice, stereotipata come i riflessi, ma è una sequenza comportamentale un po' più complessa, una sequenza geneticamente programmata di azioni che vengono messe in atto da quell'individuo, dai membri di quella specie quando si verifica una particolare condizione. E c’è uno stimolo, che viene chiamato stimolo segnale, che è quello che attiva la coordinazione ereditaria. E una coordinazione ereditaria per esempio costruire la ragnatela fatta dai ragni, le danze e i canti di corteggiamento che citavamo prima sono coordinazioni ereditarie, non sono riflessi, è una sequenza anche molto complessa di comportamenti. Pensate alla costruzione della ragnatela o al canto o alla danza come rituale di corteggiamento: non è una risposta come stringere, è molto più complessa, ci sono tanti comportamenti che sono messi in sequenza uno dietro l'altro, hanno un valore adattivo (che servono in alcuni casi per cercare cibo, in altri casi per accoppiarsi come i rituali di corteggiamento) e sono attivati da uno stimolo segnale, cioè deve essere presente una condizione particolare per attivare quel comportamento. Per esempio, lo spinarello è un pesce territoriale, i maschi in particolare mostrano un chiaro comportamento di difesa del territorio. Il comportamento di difesa del territorio, che porta lo spinarello maschio ad attaccare altri maschi della sua specie che arrivano nel suo territorio in particolari momenti, è un tipo di comportamento che viene attivato da una condizione particolare: lo spinarello maschio adulto ha una caratteristica, che è quella di avere la parte inferiore della propria pancia rossa; lo stimolo segnale che attiva il comportamento di difesa territoriale dello spinarello è l’ingresso nel suo territorio di una specie che ha certe caratteristiche, e in particolare che ha la pancia o la parte inferiore colorata di rosso. Se un pesce del tutto simile come forma allo spinarello entra nel territorio dello spinarello ma non ha la pancia rossa lo spinarello non lo attacca; se, invece, una qualche cosa che ha anche una forma meno simile allo spinarello, ma ha la parte inferiore colorata di rosso entra nel territorio dello spinarello maschio, lo spinarello lo attacca a difendersi. Lo stimolo segnale, quindi, è qualche cosa che invade il mio territorio, che ha più o meno una certa dimensione, che è colorata di rosso nella parte inferiore. Quello è lo stimolo segnale che attiva la coordinazione ereditaria “attacca il nemico che invade il tuo territorio”. Quindi, lo stimolo segnale è una caratteristica specifica, che può essere presente nell'ambiente esterno oppure è una condizione interna, che fa sì che si attivi quella sequenza di comportamenti che è la coordinazione ereditaria. Se si verifica quella condizione, si attiva (esattamente come per il pesce, si verifica quella condizione e si attiva la coordinazione ereditaria); nel caso della coordinazione ereditaria, però, parliamo di una sequenza comportamentale un po' più complessa rispetto alla risposta semplice e stereotipata dei riflessi. Lo stimolo segnale quindi è quello stimolo particolare che, se presente, fa sì che si attivi la coordinazione ereditaria. Un’altra coordinazione ereditaria è quella degli scoiattoli, che per esempio quando hanno una ghianda mettono in atto una sequenza comportamentale piuttosto complessa: scavano una buca, mettono la ghianda e chiudono con la terra e sotterrano la ghianda, quella è una coordinazione ereditaria. Riflessi e coordinazioni ereditarie sono adattivi, hanno un significato evolutivo, ci sono perchè servono a qualche cosa, sennò nel corso della filogenesi della nostra specie sarebbero andati perduti. Il sottolineare la dimensione biologica alla genesi dei comportamenti innati geneticamente determinati non vuol dire negare completamente la influenza dell'ambiente, la possibilità di apprendimento. Un altro esempio che vi facevo prima rispetto alla costruzione del nido: gli etologi in Gran Bretagna hanno descritto come le cinciallegre sono state capaci di adattare la loro coordinazione ereditaria all’ambiente nel quale si trovano. E quindi, ad esempio hanno imparato a beccare il tappo delle bottiglie di latte per riuscire a bucare il tappo per avere il latte che veniva lasciato fuori dalle case in Inghilterra. L’utilizzo di una coordinazione ereditaria in modo adattivo: hanno appreso attraverso l'esperienza [...] in città lasciano cadere per le strade [...] La possibilità di apprendere attraverso l'esperienza, di utilizzare un certo comportamento in modo adattivo rispetto al significato, alla storia di quel comportamento. Per però riuscire a capire come il comportamento si può modificare in funzione dell'ambiente, dicono gli etologi, è importante prima capire quali sono le caratteristiche di quel comportamento innato, come si è evoluto nella storia della specie, quindi capire quali sono le caratteristiche di quel comportamento e poi vedere come è stato adattato, come può essere modificato a seconda dell’ambiente nel quale ci si trova. Il comportamento finale di ogni membro di una particolare specie animale è quindi il risultato di un compromesso tra la componente biologica innata e invece la dimensione dell'apprendimento. Costruire un nido, l’altro esempio che facevamo prima, possiamo vedere questa compresenza di innato e appreso. Un altro punto che viene descritto dagli etologi è la predisposizione ad apprendere. Secondo gli etologi le diverse specie animali non solo differiscono per alcuni comportamenti, ma anche per una diversa predisposizione ad apprendere determinati comportamenti. Cioè c'è un controllo biologico anche rispetto ai comportamenti che possono o non possono essere appresi o ai tempi entro i quali può avvenire un determinato apprendimento. Le diverse specie cioè possono differire, possono essere diverse per i comportamenti che possono essere appresi o non possono essere appresi, per la tipologia di apprendimento che può caratterizzare quella specie (qui pensate a qualcuno anche molto lontano da questo approccio che però aveva osservato una particolare predisposizione ad apprendere nei piccioni e il condizionamento operante, oggetto di studio da parte di Skinner [...] una volta visto che i piccioni sono soggetti facilmente condizionabili sono diventati oggetto dei suoi studi molto più frequentemente [...] particolarmente predisposti ad apprendere tramite il condizionamento operante tipico di quella specie). Rientra nella predisposizione ad apprendere quanto vi dicevo prima, cioè la possibilità di individuare dei momenti nella storia dell’animale in cui l’animale, l’individuo, è particolarmente predisposto verso un certo tipo di apprendimento, periodi critici o periodi sensibili rispetto all’apprendimento di uno o pochi comportamenti. Domanda di una studentessa: Le coordinazioni ereditarie ci sono anche nell’uomo? Assolutamente sì, gli esseri umani sono una specie all’interno dle mondo animale esattamente come tutti gli altri animali noi abbiamo riflessi e coordinazioni ereditarie Un esempio? Ci ritorneremo sennò le dico poi un po’ troppo, un esempio tipico è quello che troviamo in relazione all’attaccamento…Poi noi esseri umani siamo un po’ più complicati delle specie animali, quindi diventa tutto un po’ più complesso da gestire però il meccanismo di base lo vediamo.