Anatomia e Fisiologia Delle Articolazioni PDF

Summary

Questo documento presenta appunti di anatomia e fisiologia delle articolazioni, concentrandosi sull'ortopedia e sul sistema muscoloscheletrico. Descrive le articolazioni sinoviali, cartilagine e le loro proprietà meccaniche. Sono compresi concetti tecnici e aspetti biologici, con esempi illustrativi.

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Clinica Ortopedica - Prof. Sansone - Lezione n. 2 ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLE ARTICOLAZIONI data 08/04/24 | sbobinatori: Marta Stefanoni fino a pag 7, Marta Guidotti a seguire INTRODUZIONE Ortopedia deriva dal greco “orthòs pàis” che significa “bambino...

Clinica Ortopedica - Prof. Sansone - Lezione n. 2 ANATOMIA E FISIOLOGIA DELLE ARTICOLAZIONI data 08/04/24 | sbobinatori: Marta Stefanoni fino a pag 7, Marta Guidotti a seguire INTRODUZIONE Ortopedia deriva dal greco “orthòs pàis” che significa “bambino dritto”. Inizialmente, infatti, si occupava dello studio e della cura delle deformità del bambino. Oggigiorno è a metà fra due competenze: quella dell’ortopedia pediatrica, che si occupa dei disturbi della crescita durante l’adolescenza, e la chirurgia vertebrale. L’ortopedia si è ampliata enormemente, includendo moltissime sottospecialità, sia in base a criteri topografici (es. chirurgia della colonna vertebrale, ginocchio, anca…), sia in base all’età (es. ortopedia pediatrica, ortopedia geriatrica…). Un tempo queste chirurgie specialistiche erano comprese nella chirurgia generale. L’ortopedia utilizza le conoscenze più aggiornate e all’avanguardia sia per motivi biologici che ingegneristici. Si avvale di materiali e concetti innovativi, condivisi con la ricerca aeronautica e aerospaziale: meccanica avanzata con l’obiettivo di utilizzare materiali sempre più biocompatibili, resistenti e leggeri. L’area biomeccanica può interessare la traumatologia, ma anche la chirurgia di elezione. Il sistema osteo scheletrico è estremamente interessante dal punto di vista della ricerca perché in quest’ambito sono stati fatti i passi più significativi nella scoperta delle cellule staminali, dei fattori di crescita e di tutti quegli elementi in grado di modificare in senso proliferativo i tessuti che compongono sistema scheletrico. L’ortopedia è affiancata dalla ricerca in ambito di ingegneria tissutale. Utilizzando i concetti di biologia cellulare e molecolare e bioreattori, in grado di ricostruire le condizioni di base del nostro organismo, riesce a ideare nuovi tessuti che poi possono essere trapiantati sul paziente in sostituzione a tessuti danneggiati. I tessuti muscolo-scheletrici hanno un unico progenitore, la cellula staminale mesenchimale, dalla quale si differenziano le cellule della cartilagine, dell’osso, dei tendini, del muscolo e anche del tessuto adiposo. Quest’ultimo è molto interessante in quanto avendo lo stesso progenitore delle cellule dell’apparato muscolo-scheletrico, può essere utilizzato per ottenere cellule ad esempio cartilaginee o ossee (il che rappresenta un vantaggio, poiché osso o cartilagine sono tessuti più nobili, complessi da gestire e da trattare rispetto a quello adiposo). Questo è possibile grazie a varie metodiche, attraverso le quali si può condizionare la crescita di una cellula che si sta differenziando verso una linea cellulare, facendola convergere verso la linea desiderata. SISTEMA MUSCOLO SCHELETRICO Pag. 1 di 26 Il sistema muscolo-scheletrico è fatto da muscoli e da tessuto scheletrico, ovvero le ossa, e dalle articolazioni. Il movimento è un concetto di biomeccanica e avviene grazie allo spostamento reciproco degli elementi ossei. Questo spostamento è dettato da forze, come la forza peso, ma che fondamentalmente nel nostro corpo sono generate dal sistema muscolare e tramite il tessuto tendineo si applicano al segmento scheletrico e ne consentono il movimento. Perché il movimento possa realizzarsi deve avvenire intorno ad un fulcro, ovvero l’articolazione (joint), cioè il punto di contatto tra due segmenti ossei separati da uno spazio virtuale. In definitiva quindi, gli elementi che assicurano il movimento sono: - Elementi ossei e loro punto di contatto (articolazione) - Forza (generata dai muscoli) - Tendini LE ARTICOLAZIONI Sono il punto d’incontro tra le estremità di due ossa (joint). Possono essere classificate in base al tessuto interposto tra i capi articolari in: - fibrose: interposizione di tessuto fibroso tra i capi articolari (es. suture craniche); - cartilaginee: interposizione di cartilagine tra i capi articolari (es. sinfisi pubica); - sinoviali: capi articolari ricoperti da cartilagine articolare. La cavità articolare è circoscritta da una capsula rivestita internamente da membrana sinoviale. All’interno della cavità articolare è presente liquido sinoviale. Rappresentano le articolazioni più grosse dell’organismo (es. ginocchio, anca, spalla). A seconda del grado di mobilità consentito possono essere suddivise in: - sinartrosi: minimo o nessun movimento, tessuto fibroso interposto (es. suture craniche); - anfiartrosi: mobilità intermedia, articolazioni cartilaginee. Hanno capacità di adattarsi a movimenti di articolazioni vicine e alle sollecitazioni biomeccaniche. Hanno la funzione di assorbire tali sollecitazioni (es. sinfisi pubica, sinfisi intervertebrali). - diartrosi: movimento elevato: articolazioni sinoviali. Massimo grado di movimento. DIARTROSI Le diartrosi o articolazioni sinoviali sono quelle che consentono in massimo grado di movimento. Possono essere classificate in base alla morfologia dell’articolazione, cioè in base al modo in cui i due capi articolari si confrontano. Hanno diverse forme per consentire che il movimento avvenga nel modo più armonico possibile e per conferire all’articolazione una stabilità, detta in gergo congruenza. Tanto Pag. 2 di 26 maggiore la congruenza, cioè la corrispondenza tra due capi articolari, tanto più articolazione sarà stabile. La geometria ci serve dunque per la stabilizzazione primaria, che evita una perdita permanente del contatto tra i due capi articolari (= lussazione) qualora i due capi si muovano in modo molto energico e veloce uno rispetto all’altro. La stabilizzazione secondaria è dovuta invece ai legamenti che pongono dei limiti oltre i quali i capi ossei non possono andare oltre, evitando così una lussazione. Sono perciò classificate in: 1. Enartrosi (Ball and socket joint) 2. Condilartrosi (Condyloid joint, Ellipsoid) 3. A sella (Saddle joint) 4. Troclee (Hinge joint) 5. Trocoidi (Pivot joint) Il movimento avviene in tre modi: movimento di rotazione di un segmento sull’altro, movimento di rotolamento e movimento di scivolamento. Nel caso del ginocchio, per esempio, questi movimenti devono essere combinati tra di loro affinché la funzionalità sia la migliore possibile. Se fosse concesso unicamente lo scivolamento il femore, arrivato a 90° o quasi, andrebbe a sbattere contro la superficie posteriore della tibia e il movimento si fermerebbe. In realtà vengono combinati rotolamento e scivolamento per far sì che il femore non si lussi posteriormente e si possa arrivare fino a un angolo di 150°. Perché il movimento avvenga deve essere generato da una forza che si applica sul segmento osseo e lo fa muovere sfruttando un sistema di leve. - leva di 1° tipo: il fulcro è al centro; - leva di 2° tipo: in ordine fulcro, resistenza e forza; - leva di 3° tipo: in ordine fulcro, forza, resistenza. Ndr: il prof ha fatto parecchia confusione con gli esempi, quindi ho aggiunto questa foto. INNERVAZIONE DEI TESSUTI OSTEOARTICOLARI È fondamentale che le articolazioni siano innervate. Sono perciò coinvolti recettori nocicettivi, meccanocettori e fibre simpatiche. La cartilagine delle articolazioni sinoviali non è innervata. L’innervazione arriva dall’osso che sta sotto la cartilagine, ovvero l’osso subcondrale, e da tutto quello che sta intorno. Si tratta nella maggioranza dei casi di piccole fibre amieliniche: fibre simpatiche e fibre C (piccole, deputate alla percezione dolorifica). Pag. 3 di 26 Molte delle cellule che compongono i tessuti muscolo- scheletrico hanno dei recettori per i neurotrasmettitori del sistema sensoriale del sistema simpatico, di conseguenza in neuropeptidi hanno importanza nel modulare i meccanismi di omeostasi, cioè la capacità di mantenere un equilibrio tra i sistemi anabolico e catabolico. ARTICOLAZIONE SINOVIALE È costituita da tre componenti principali: - cartilagine articolare: il tessuto interposto fra i due capi articolari; - membrana sinoviale: lubrificante che facilita il movimento reciproco tra i due capi articolari al fine di ridurre l’attrito; - liquido sinoviale: produce il liquido sinoviale. Nell’immagine è mostrata un’articolazione sinoviale. Sono visibili i capi ossei, il rivestimento cartilagineo che li avvolge (cartilagine articolare), uno spazio (tra il virtuale e il reale a seconda dell’articolazione considerata e del suo grado di movimento) chiamato cavità articolare o cavità sinoviale. I due capi ossei sono collegati tra loro da tessuto fibroso, un manicotto chiamato capsula articolare, rivestita internamente da membrana sinoviale. All’esterno dell’articolazione sono presenti altre strutture: i legamenti, strutture di rinforzo della capsula articolare che servono ad aumentare la stabilità dell’articolazione, i tendini, strutture che trasmettono la forza generata dai muscoli e che si inseriscono in prossimità dei capi articolari, muscoli, tessuto connettivo, sottocute e cute. Questi sono gli strati che vanno incisi chirurgicamente per raggiungere l’articolazione. La capsula sinoviale si gonfia leggermente per la presenza di liquido. Il liquido è presente in una certa misura, se eccede l’articolazione si gonfia, per esempio in seguito a trauma. CARTILAGINE ARTICOLARE La cartilagine articolare si chiama anche cartilagine ialina. Essa ha funzione di: 1. garantire la congruenza tra i due elementi ossei; 2. facilitare il trasferimento delle forze da un segmento all’altro per le sue caratteristiche biomeccaniche; 3. garantire un movimento armonico a bassissimo attrito. Il suo aspetto è bianco lucente, traslucida, liscia, compatta. Pag. 4 di 26 Nell’immagine si osserva un ginocchio aperto. Sono ben visibili alcune strutture: 1. condili femorali; 2. piatti tibiali; 3. legamento crociato anteriore; 4. menischi mediale e laterale. I legamenti possono essere sia esterni, di rinforzo alla capsula articolare, sia interni all’articolazione. Sono inoltre presenti i tendini, questi possono anche essere intra-articolari, sempre nel ginocchio, nella sua parte postero-laterale (il tendine popliteo si infila dentro l’articolazione). Nelle articolazioni possono esserci ulteriori elementi, con funzione di stabilizzazione, ammortizzazione: i menischi (non sono presenti solo nel ginocchio). Si tratta di formazioni fibro-cartilaginee, di forma semicircolare, situate ai bordi dell’articolazione. Servono ad ampliare la base di impianto articolare, aumentare il contatto tra i capi articolari, ed essendo strutture elastiche dissipano il carico e riducono le forze applicate (la forza gravitazionale, la reazione vincolare dal basso verso l’alto, e le forze sviluppate dai muscoli). A lato si può osservare un’immagine artroscopica (“artroscopia”, dal greco “arthros”=articolazione, “scopos”=guardare, quindi “guardare dentro l’articolazione”) di un ginocchio in condizioni normali. Questa tecnica è nata come diagnostica, ma oggi è utilizzata anche in ambito chirurgico, infatti essendo poco invasiva consente di eseguire interventi senza aprire l’articolazione. Si possono osservare le caratteristiche macroscopiche della cartilagine. Lo strumento chirurgico a uncino in foto, detto palpatore, serve per toccare le varie parti dell’articolazione e saggiare tenuta e solidità del tessuto. (5) Si nota l’elasticità cartilaginea. (6) togliendo il palpatore, e quindi la sollecitazione, il tessuto torna alle condizioni di partenza grazie alla legge di Hooke (entro certi limiti la sollecitazione determina una deformazione e basta). In alto (1) c’è il condilo femorale; in basso (2) il piatto tibiale; la parte in mezzo (3) è un menisco che serve a stabilizzare e ripartire più correttamente i carichi articolari. La cartilagine presenta caratteristiche differenti a seconda dell’articolazione esaminata o all’interno della stessa articolazione, tra cui: Pag. 5 di 26 - Spessore: A seconda di quanto l’articolazione sollecitata lo strato di cartilagine può essere più o meno spesso. Altre variabili che influiscono sono sesso ed età. Ha uno spessore che varia da 6-7 mm nel giovane a 1-2mm nell’anziano. - Densità cellulare - Composizione della matrice - Proprietà meccaniche La cartilagine presenta inoltre caratteristiche uniche nell’organismo: - È l’unico tessuto privo di vasi sanguigni, di vasi linfatici, e anche privo di nervi. - Elevata resilienza (elasticità): capacità di tornare alla forma originaria una volta che la sollecitazione è stata rimossa. - Elevata resistenza in compressione: le articolazioni devono resistere alle due forze verticali con verso opposto cioè la forza gravitazionale e la reazione vincolare (sopporta meno bene le sollecitazioni di taglio). - Sopporta e distribuisce carico meccanico: è un ammortizzatore delle forze. - Assorbe gli urti: supporta anche le forze patologiche oltre a quelle fisiologiche. - Riduce al minimo le frizioni - Basso potenziale rigenerativo: se c'è una lesione la probabilità che possa guarire è bassa. Essa è costituita da 1. acqua (65-80% del peso): i bambini hanno una grande percentuale di acqua e delle cartilagini estremamente elastiche, nell'adulto la percentuale diminuisce. E’ fondamentale per conferire al tessuto le sue caratteristiche biomeccaniche di resilienza. 2. cellule: condrociti (2-10%) 3. matrice extracellulare (20-25%) - collagene: vera e propria impalcatura della cartilagine. È una proteina fondamentale di tutti i tessuti muscoloscheletrici: ogni tessuto ha il proprio collagene di riferimento (quello presente al 95-98%) che può essere ad esempio di tipo I, V o XII; - acido ialuronico: prodotto dai sinoviociti e quindi dalla membrana sinoviale; assieme ad altre proteine trasforma il filtrato che passa attraverso il filtro emato-sinoviale in liquido lubrificante. - proteoglicani - altro (proteine non collageniche e lipidi) Pag. 6 di 26 I filamenti di collagene (immagine A) nello strato principale della cartilagine tendono a disporsi verticalmente in altezza e poi si uniscono (come i pilastri delle cattedrali gotiche) a garantire un sistema efficiente per rispondere alle sollecitazioni compressive. Tra i pilastri di collagene si dispongono i condrociti (immagine C), che tendono a impilarsi formando delle colonne, e il restante spazio è occupato da acido ialuronico e proteoglicani, che formano lunghissime catene variamente ramificate con funzione di legare l’acqua. I pilastri di collagene hanno un saldo aggancio all’osso subcondrale. Nell’immagine è visibile l’osso spongioso, tipologia di osso in cui sono presenti delle cavità che ospitano midollo osseo. L’osso si dispone a formare degli strati: c’è una una stratificazione progressiva. L’osso spongioso si fa progressivamente più compatto e prende il nome di osso subcondrale. Più superiormente è visibile la cartilagine. STRATIFICAZIONE DELLA CARTILAGINE Anche la cartilagine è costituita da strati. Ognuno di questi ha delle proprie caratteristiche che lo rendono atto a rispondere meglio alle sollecitazioni meccaniche. Ci sono fondamentalmente tre strati: superficiale, zona transizionale, zona radiale (quella descritta coi fasci di collagene orientati verticalmente). Nella zona superficiale i fasci collagene da verticale diventano orizzontali per un motivo biomeccanico: gli strati profondi rispondono a sollecitazioni di compressione, le parti superficiali invece rispondono a forze trasversali, di taglio, generate dal contatto col capo articolare contrapposto. Alla base prima dell’osso subcondrale, c’è uno strato con caratteristiche non ossee né cartilagine detto cartilagine calcificata. Questa inizialmente è cartilagine poi su di essa vengono depositati i cristalli di calcio che rendono questo tessuto una via di mezzo tra quello cartilagineo e quello osseo. Queste stratificazioni servono a mediare le sollecitazioni meccaniche. I 4 strati che è possibile individuare quindi sono, partendo dal versante articolare: 1. strato superficiale - Fasci di collagene disposti orizzontalmente, parallelamente alla superficie perché il movimento reciproco dei due capi articolari genera forze trasversali; - I condrociti sono piatti e ordinati secondo le fibre. Le cellule negli strati più superficiali assomigliano maggiormente ai fibroblasti e infatti si chiamano fibrocondrociti: sono più allungati (normalmente sono ovoidali o sferoidali) Pag. 7 di 26 perché a causa delle sollecitazioni si appiattiscono negli strati superficiali e questo si verifica perché c'è il minor bisogno di sostanza fondamentale; - Vi sono meno proteoglicani e la sostanza fondamentale è più rarefatta; - Alta concentrazione di acqua (85%). 2. strato intermedio / di transizione - Fasci di collagene in una fase di transizione: diventano obliqui. Le sollecitazioni a cui rispondono sono via via più perpendicolari; - Condrociti rotondi disposti in modo disordinato; - Minore densità; - Elevata concentrazione di proteoglicani. 3. strato radiale / profondo (strato classico) - Fasci di collagene verticali (perpendicolari alla superficie cartilaginea); - Condrociti rotondi impilati in colonne; - Massima concentrazione di proteoglicani; - Meno acqua. 4. cartilagine calcifica - Strato di dimensioni ridotte; - Fasci collagene radiali; - Condrociti rotondi immersi in matrice calcificata (cioè in cui sono stati depositati sali minerali). Producono collagene X e fosfatasi alcalina [l’osso è infatti tessuto connettivo su cui sono precipitati sali minerali, prevalentemente sali di calcio, cioè fosfato di calcio]; - Bassa concentrazione di proteoglicani. Tidemark Da un punto di vista anatomico, istologico c’è una specie di confine, una linea blu, una sottile linea basofila che sancisce il passaggio tra strato profondo della cartilagine e la cartilagine calcifica (indicata in blu nell’immagine) e quindi tra la parte vascolarizzata e quella che non lo è. L’importanza terapeutica chirurgica sta nel fatto che l’interruzione di questa linea definisce la gravità delle lesioni cartilaginee e implica il tipo di trattamento. Questa è la strutturazione dei tre piani del tessuto nello spazio. Condrociti Pag. 8 di 26 Rappresentano l’unica popolazione cellulare della cartilagine, e costituiscono solo il 5-10% del suo peso secco. Hanno forma sferoidale o leggermente allungata (ovoidale) e sono accolte in piccoli spazi detti lacune. Generalmente tendono a disporsi in piccoli gruppi (gruppi isogeni). Infine, sono altamente specializzati per: - produrre la cartilagine: sintetizzano e assemblano i componenti della matrice extra-cellulare e ne guidano la distribuzione. Perciò zuccheri, amminoacidi e solfati vengono assemblati a formare strutture più complesse: collagene, acido ialuronico e proteoglicani; - mantenere l’omeostasi del tessuto, quindi anche capacità di riassorbire le parti di tessuto degenerate: si ha un rinnovo continuo, guidato dagli stimoli fisici, detto “time over” in cui si bilanciano l’anabolismo e il catabolismo (si riassorbe il tessuto vecchio). danneggiato). N.B. Bisogna ricordare che la mancanza di vasi influenza negativamente la capacità rigenerativa della cartilagine. Inoltre, è interessante sottolineare come i condrociti, così come tutte le cellule muscolo- scheletriche, rispondano a stimoli fisici (carico, variazioni della pressione idrostatica), ma anche a stimoli chimici (fattori di crescita GF, citochine, condizioni ambientali come il pH). I tessuti muscolo scheletrici rispondono in modo estremamente sensibile ad una stimolazione meccanica tanto che la stimolazione meccanica si utilizza da un punto di vista terapeutico. Un tessuto stimolato da uno stimolo meccanico risponde in genere in senso anabolico. Fattori di crescita GF: sono stati scoperti negli anni ‘80 e l’ortopedia è stata la prima ad occuparsene. Vengono prodotti in risposta a condizioni chimiche, che possono essere uno stato di acidosi o di alcalosi: hanno la capacità di condizionare il funzionamento delle cellule e la loro capacità di replicazione, differenziazione e movimento. Citochine: possono avere un duplice ruolo sia in ambito rigenerativo (citochine aggressive che distruggono il tessuto), sia in ambito antiinfiammatorio (la questione è complessa perché ci sono continue scoperte). L’ambiente articolare è estremamente complesso, quindi abbiamo anche tutta una serie di sostanze e di variazioni di pH, in grado di influenzare i condrociti. Influenzare una cellula significa farle fare quello che noi vogliamo, quindi farle produrre una certa sostanza oppure bloccare la produzione di altre sostanze. Pag. 9 di 26 La cartilagine, senza vasi e senza nervi, è caratterizzata da una condizione assolutamente unica: queste cellule hanno la capacità di vivere e lavorare in condizioni quasi di ipossia. Possono resistere e lavorare a bassissimo tenore di ossigeno (i condrociti sopportano condizioni di ipossia relativa). La saturazione di O2 può arrivare anche fino al 2%, che è pochissimo, tuttavia questa rappresenta la condizione standard di lavoro del condrocita e nessun altro tessuto riuscirebbe a sopportarla. Pertanto, essendo già presente una condizione di ipossia latente, nel momento in cui vengono tolti quel poco di nutrienti e di O2 provenienti dall'osso subcondrale e dal liquido sinoviale, si va in ipossia vera (anossia) con danno cellulare e morte dei condrociti. Questa immagine rafforza il concetto della stimolazione meccanica. Esistono delle connessioni tra i fasci di collagene e le membrane dei condrociti, questo permette una trasmissione dello stimolo meccanico dai fasci di collagene alla membrana cellulare. C’è un sistema di aggancio con delle sostanze specifiche, delle proteine di ancoraggio come l’ancorina e la vinculina, che mediano la connessione tra il fascio di collagene e membrana cellulare condrocitaria, permettendo la trasduzione di una sollecitazione meccanica. La sollecitazione meccanica che si trasmette inizialmente al sistema di strutturazione della cartilagine costituito dal collagene, le deformazioni elastiche, le oscillazioni del collagene si trasmettono come trazioni o compressioni sulle membrane cellulari. Da lì si innesca la produzione di un trasmettitore, una sostanza, che raggiunga il nucleo e modifica il DNA e induce la produzione di certe sostanze. Lo stimolo meccanico porterà tramite collagene e proteine di ancoraggio ad una stimolazione del citoscheletro e alla produzione di secondi messaggeri, che vanno nel nucleo e attivano il DNA. L’integrina media il legame fra la ECM e il citoscheletro. Lo stimolo meccanico ha una funzione vitale per i tessuti muscolo-scheletrici e ha la caratteristica di essere anabolizzante, cioè induce la produzione di cellule e sostanza fondamentale. Analizziamo lo schema qui sotto. Pag. 10 di 26 La stimolazione fisica si traduce in questo modo: lo stimolo meccanico viene trasmesso alla membrana cellulare. Si applica una compressione con il peso corporeo sulla cartilagine del ginocchio. Questa sollecitazione meccanica porta allo stimolo anabolico, fa partire una serie di trasmettitori che fanno produrre più matrice. Aumenta la densità della matrice, aumenta la rigidità. La matrice diventa più rigida e il condrocita viene inibito nella produzione di altra matrice e viene attivata la produzione di sostanze capaci di mangiare la matrice che sono degli enzimi che tendono a rarefare la matrice e a ridurne la rigidità. Il riassorbimento fa ridurre la rigidità e associato alla stimolazione meccanica fa ripartire il ciclo di produzione di tessuto. È un’alternanza continua tra anabolismo e catabolismo, l’importante è mantenere un equilibrio tra questi due sistemi. - Una stimolazione troppo esigua della cellula e della matrice, dovuta a un carico meccanico ridotto (il collagene si muove poco), porta ad una risposta catabolica: ovvero al riassorbimento della matrice tramite il rilascio di enzimi litici che disgregano il tessuto determinando atrofia. Nel momento in cui la matrice si è riassorbita, è ridotta la quantità di sostanza che è capace di trattenere l'acqua. - Se è presente meno matrice, abbiamo anche minor quantità di acqua; si riduce il modulo di elasticità della matrice e il sistema diventa più rigido portando ad una risposta anabolica. La matrice trasmette alle cellule un certo tipo di stimolazione che comporta la riattivazione delle stesse: ricomincia la produzione della sostanza fondamentale oltre ad aumentare la capacità di legare l'acqua (il sistema diventa più elastico). Se il sistema diventa troppo elastico, si reinnesca il processo catabolico e quindi un meccanismo di controllo del riassorbimento, in base a stimoli meccanici, che favorisce la distruzione della matrice. Esempio: L’osteoporosi è una rarefazione del tessuto osseo dovuta a problemi di tipo ormonale, ma causata anche da mancanza di stimolazione fisica. Una delle cure migliori infatti consiste nel far svolgere ginnastica alle pazienti (colpisce molto più frequentemente le donne). Questa condizione della meccano-trasduzione è stata proprio sistematicizzata a livello anche di fisica, in una legge che si chiama legge di Wolff che riguarda l’osso. Questa legge dice che l’osso si rinforza in misura proporzionale alla sollecitazione meccanica. Un osso molto sollecitato è un osso molto denso; un osso poco sollecitato tende a riassorbirsi, a diventare più fragile. Abbiamo introdotto il concetto della legge di Wolff che vale per l’osso, per dire che in realtà tutti i tessuti muscolo-scheletrici rispondono a questo schema appena mostrato: la sollecitazione meccanica è anabolizzante, la sua assenza è catabolizzante. Un tessuto muscolo-scheletrico non sollecitato, si atrofizza e diventa patologico. Una scarsa sollecitazione induce patologia. Pag. 11 di 26 Collagene Sostanza proteica, molto importante nella cartilagine, ne costituisce la sua impalcatura. Dal punto di vista volumetrico, rappresenta il 10-20% del peso umido totale della cartilagine e presenta un’elevata resistenza alla compressione e meno resistenza alle forze di taglio in base alla disposizione. Nel nostro organismo abbiamo diversi tipi di collagene (si arriva fino al collagene di tipo XII, XIII), ma nella cartilagine abbiamo praticamente quasi un solo tipo di collagene: quello di tipo II. I tipi di collagene (di maggiore interesse sono il tipo I, II e III): Collagene di tipo I: caratterizza l’osso per l’ortopedico e la cute per il dermatologo. Collagene di tipo II: rappresenta il 90-95% del collagene cartilagineo (cartilagine ialina) ma nel tessuto sono presenti in quantità modeste anche i collageni di tipo VI, IX, X e XI. Al momento, non si riesce ad indurre la produzione di collagene di tipo II, che avrebbe implicazioni importanti in ambito terapeutico. Collagene di tipo III (cicatriziale): di solito si forma in seguito ad una lesione; ha differenti proprietà meccaniche e non può riconferire alla cartilagine rigenerata le sue capacità di ammortizzamento dei capi. È presente anche nella cute e nei vasi sanguini. Collagene di tipo VI: aumenta nelle fasi iniziali dell’artrosi. Collagene di tipo X: è associato alla calcificazione della cartilagine (cartilagine di accrescimento, fratture, tumori calcificanti). Il collagene, prodotto dai condrociti in fasci semplici e lineari, viene assemblato in lunghe catene, strutture più complesse e resistenti. Per questo assemblaggio è molto importante un sistema di idrossilazione, apportare degli ossidrili, perché ci sia una combinazione anche di tipo chimico che leghi tra loro questi fasci. Per questo assemblaggio e per il funzionamento corretto del collagene è necessaria la vitamina C, che ha un ruolo fondamentale nel meccanismo di idrossilazione. Infatti è presente in quasi tutti gli integratori alimentari, detti condroprotettori, che pretendono di aiutare a proteggere le articolazioni. Sono sostanze in grado di contrastare la tendenza al deterioramento della cartilagine, per cercare di favorire la ricostituzione della matrice cellulare cartilaginea. Il meccanismo della produzione è fatto dai condrociti, quello del riassorbimento da enzimi. Nel momento in cui i fasci di collagene invecchiano e si deteriorano, vengono riassorbiti da enzimi specifici, le metalloproteinasi, che riassorbono specificatamente il collagene e che sono sostanze importanti in: - condizioni fisiologiche controllate. Semplicemente riassorbono il tessuto danneggiato dando spazio a quello nuovo, prodotto dai condrociti. Tramite meccanismi non ancora chiariti, questi enzimi lavorano molto lentamente poiché controllati dal sistema di stimolazione meccanica visto precedentemente, che induce o rallenta la produzione di collagene e sostanza fondamentale; Pag. 12 di 26 - condizioni patologiche infiammatorie e degenerative (artriti infiammatorie, artriti settiche, artrosi) che hanno la capacità di distruggere la cartilagine. Si può avere un’azione non controllata degli enzimi che porta alla distruzione e al riassorbimento non desiderato, non finalizzato al meccanismo del mantenimento dell’omeostasi tissutale. È una condizione in cui questi enzimi diventano lesivi: il catabolismo risulta accelerato nei quadri degenerativi, in cui si perde più tessuto di quello che le cellule riescono a ricostruire [lo vedremo più avanti a proposito della patologia]. Acido ialuronico - È l’elemento cementante della sostanza fondamentale, un grosso gel che riempie gli spazi fungendo da collante della sostanza extracellulare. - È formato da catene lunghissime lineari non ramificate (le ramificazioni sono infatti date dalla apposizione delle catene laterali) che si distribuiscono ubiquitariamente. - È uno dei due elementi principali lubrificanti del liquido sinoviale. Gli conferisce capacità lubrificante. - Appartiene alla famiglia dei GAG ed è un disaccaride formato da una lunghissima catena lineare, costituita dall’alternanza di due zuccheri, acido glucuronico e N-acetil-glucosammina. La glucosammina è un altro dei costituenti principali dei condroprotettori (a cui abbiamo fatto cenno prima, dicendo che quasi tutti hanno al loro interno la vitamina C, oltre ad un’altra sostanza che vedremo più avanti parlando dei proteoglicani). [Questa è un’anticipazione per dire che cos’è l’acido ialuronico e a cosa serve, poi ci torneremo parlando della membrana sinoviale e del liquido sinoviale. Rimaniamo ora all’interno della struttura della cartilagine, dove l’acido ialuronico ha una distribuzione ubiquitaria e una funzione cementante.] L’acido ialuronico è dunque caratterizzata da una catena lunghissima che si distribuisce un po’ dappertutto nella cartilagine, formando quindi un network, una rete molto complessa di interazioni, finalizzate all’ammortizzamento dei carichi e alla trasmissione degli input alle cellule. Ha una duplice funzione: - Strutturale, quando è accoppiato a molecole proteiche che gli conferiscono solidità strutturale (si ha così la formazione dei proteoglicani), assume proprio una funzione strutturale di sostegno. È come un asse portante che si distribuisce su tutta la cartilagine e consente l’attacco laterale di una serie di catene secondarie fatte da proteine, dette core protein. Queste catene proteiche a loro volta consentono l’attacco di altre sostanze, condroitinsolfato e cheratansolfato. Anche il condroitinsolfato, insieme alla glucosammina e alla vitamina C, è presente in tutte le formulazioni di condroprotettori e integratori alimentari. Pag. 13 di 26 - Non strutturale, funzionale, lubrificante e idratante, quando è libero nel liquido sinoviale (catene libere). La funzione di lubrificazione possono averla anche all’interno del tessuto stesso della cartilagine: se questo tessuto non ha vasi, chi lo nutre? La nutrizione deve avvenire per diffusione all’interno del tessuto, diffusione che deve consentire un passaggio di liquidi, altrimenti i nutrienti non si sa da dove arrivino e i cataboliti non si sa come possano essere espulsi, quindi ci vuole qualcosa che faciliti un flusso intratissutale. Proteoglicani I proteoglicani sono formati da un core proteico a cui sono agganciate molecole di GAG che si proiettano verso l’esterno (struttura a spazzola). Il più importante proteoglicano cartilagineo è l’aggrecano, nel quale più di 200 molecole di condroitinsolfato e cheratansolfato sono legate al core proteico. Nella ECM questi monomeri di PG si trovano legati tramite particolari proteine di legame (link proteins) all’acido ialuronico, formando così delle molecole gigantesche denominate aggregati di proteoglicani. Nella figura a destra, si osservano le catene lunghissime e lineari dell'acido ialuronico (in rosso) con catene proteiche laterali (in blu) (molto utilizzate nei condroprotettori) che sono le core protein che servono a fissare l’acqua e che consentano di attaccarsi attraverso delle proteine specifiche, dette proteine di legame. Trasversalmente ci sono le catene di cheratansolfato e soprattutto condroitinsolfato (elemento che assieme alla N-acetil-glucosammina si trova nel 90% delle formulazioni dei condroprotettori). I proteoglicani hanno la grande caratteristica di poter fissare l’acqua, cioè di saperla legare e sotto certi stimoli cedere. I proteoglicani vengono prodotti e riassorbiti in base fondamentalmente a una stimolazione di tipo meccanico. Stimolazione meccanica, stimolo anabolizzante, produzione di proteoglicani, aumento della rigidità della cartilagine, innesco dell’azione degli enzimi che devono riassorbire queste sostanze. Tendono ad aumentare se la cartilagine è stimolata, tendono a ridursi se la cartilagine non è stimolata. Pag. 14 di 26 Qui si reintroduce un altro concetto fondamentale dei tessuti muscolari scheletrici, se sollecitati meccanicamente loro si rinforzano purché la sollecitazione non sia eccessiva, altrimenti si entra nella condizione di overplus o di overload che è la caratteristica della patologia dei denti. Uno stimolo eccessivamente basso produce un’atrofia del tessuto quindi l’ideale è che questa sollecitazione meccanica ci sia, sia costante, meglio ancora se intermittente e che non sia né troppo bassa né troppo alta. I proteoglicani, come il collagene, sono estremamente condizionati dagli stimoli fisici (sollecitazioni) e biochimici (citochine e fattori di crescita, oppure in caso di infiammazione, degenerazione o lesioni, enzimi litici). Sono estremamente sensibili agli stimoli fisici, perché aiutano a mantenere l’omeostasi del tessuto. Gli stimoli fisici sono importanti in patologia: quando il sistema dell’omeostasi si altera, prevalgono le azioni di tipo catabolico, di riassorbimento del tessuto. Per i proteoglicani: l’immobilizzazione e la scarsa sollecitazione ne riducono la sintesi, il tessuto diventa più rigido; la sollecitazione meccanica ne aumenta la produzione, i condrociti ne producono di più. Chi distrugge i PG? È l’interleuchina-1 (IL-1). Ricapitolando, il catabolismo del: - collagene, avviene ad opera delle metalloproteinasi; - dei proteoglicani, avviene ad opera dell’IL-1. I proteoglicani sono riassorbiti dalle interleuchine. La fase di riassorbimento (catabolica) sembra essere collegata all’IL-1, citochina con forte azione infiammatoria e catabolica. Questa rappresenta uno dei target su cui la ricerca si è maggiormente concentrata, con l’obiettivo di andare a bloccarla in situazioni patologiche nelle fasi di distruzione del tessuto cartilagineo o distruzione articolare come nell’artrosi. Le catene di GAG (catene proteiche: condroitinsolfato, cheratansolfato; acido ialuronico che è privo di core proteico) durante la degradazione della matrice, fisiologica in base alla stimolazione meccanica o patologica per l’innesco anomalo delle interleuchine e dei sistemi litici di riassorbimento di queste sostanze, vengono fatte a pezzettini perché sono invecchiate e devono essere sostituite da nuove catene più funzionali. Essendo in eccesso all'interno del tessuto vengono riversate nel liquido sinoviale. La ricerca sta cercando di individuare dei markers diagnostici che facciano capire se è in corso un processo di degradazione e catabolismo più intenso del normale e anticipare una condizione di sofferenza dell’articolazione, una condizione di degrado della cartilagine. Pag. 15 di 26 Le lesioni cartilaginee, dato che il tessuto non presenta nervi, non danno sintomi, se non a livelli ormai molto avanzati di patologia (lo vedremo per l’artrosi, ma vale anche per altre condizioni): sarebbe quindi molto utile anticipare una situazione di sofferenza cartilaginea, tramite dei markers nel liquido sinoviale. Per ora questi markers non esistono perché sono molto difficili da analizzare, mentre un marker dovrebbe essere facilmente rilevabile e somministrabile. Il rilascio precoce di queste frazioni di catene proteiche o acido ialuronico che si liberano potrebbe essere un’ipotesi su cui lavorare. Il condroitinsolfato e il cheratansolfato (presenta anch’esso la glucosamina), con le catene laterali attaccate all’acido ialuronico, grazie alle loro cariche negative, hanno la caratteristica di legare l’acqua, formando così complessi di PG altamente idrofili che hanno una grande capacità di fissare il collagene, conferendo alla cartilagine proprietà ammortizzanti. La cartilagine ha una grande capacità di resilienza, di elasticità, di ammortizzamento di cariche, è come l’ammortizzatore di un’automobile. Ha del liquido all’interno che ammortizza la sollecitazione, questo liquido è l’acqua. Queste sostanze della sostanza fondamentale, i proteoglicani, per queste affinità elettriche hanno la capacità di fissare l’acqua. Se il tessuto si riempie di H2O, sarà molto più elastico e sopporterà molto meglio le sollecitazioni. Fig. 13: le linee marroni rappresentano le fasce del collagene, che vanno a formare un involucro, una gabbia, attorno alle molecole di acido ialuronico e PG, che tiene unito il tessuto. Fig. 14: Gradiente pressorio: Compressione Riassorbimento (infinita serie di cicli). In assenza di carico: l’acqua può entrare nel tessuto, può essere fissata dai PG e il tessuto tende a rigonfiarsi. Il collagene stabilizza questa struttura perché se non fosse rinchiusa dalle fibre collagene tenderebbe ad esplodere (il tessuto si rigonfia ma non si rompe). Sollecitazione: bisogna immaginare la fase del passo in cui il piede è stato sollevato per portare avanti la gamba facendo in modo che il tessuto cartilagineo prenda l'acqua come una spugna. Nel momento in cui si avanza e il piede viene messo a terra viene applicato il carico, è come l’ammortizzatore delle automobili. Bisogna immaginarsi un vettore sulla testa che va ad applicarsi su tutte le cartilagini dall'alto e in basso. Lo stimolo fisico aumenta la pressione sulla struttura impregnata d’acqua e fisicamente “strizza via l’acqua” facendo in modo che la Pag. 16 di 26 cartilagine si riduca di volume e si dissipi la forza applicata alla struttura stessa. L’ammortizzatore si abbassa pronto a riassorbire l’acqua nel passaggio successivo. Questa è l’alternanza del passo, per cui abbiamo compressione e rilasciamento, con ammortizzamento importante delle forze di compressione. Anche in questo caso il collagene serve ad ammortizzare e a mantenere integra la struttura perché fa in modo che non si comprima in maniera eccessiva. Al termine della sollecitazione il tessuto richiama subito altra acqua e torna alla forma originale. Questa alternanza permette di capire come il tessuto abbia la capacità di ammortizzare sollecitazioni di compressione. La perdita di acqua in compressione deve essere vista positivamente perché permette al tessuto di deformarsi, di assorbire la sollecitazione e ridurla per proteggere l’osso subcondrale sottostante che riceverà un impulso smorzato. Acqua Rappresenta fino al 65-80% del peso della cartilagine e varia a seconda dell'età: nel bambino arriva fino al 90% mentre si riduce nell'anziano e in alcune situazioni patologiche. Si fissa alla matrice costituita dai PG, dall’acido ialuronico e le catene laterali. Funzione: oltre a svolgere funzione meccanica che è la più eclatante, veicola, assorbe ed espelle nutrienti e cataboliti. Elemento fondamentale nel consentire il sistema di ammortizzamento della sollecitazione. In piccolissima parte l’acqua si trova dentro le cellule, in parte tra le fibrille del collagene e la maggior parte nella matrice extracellulare che ha la caratteristica di poter fissare l’acqua. Tende a distribuirsi in modo non omogeneo, più presente negli strati superficiali, gli strati più profondi sono un po’ più secchi. Ha la funzione oltre quella meccanica di ammortizzamento, anche quella di trasporto dei nutrienti e questo è fondamentale per un tessuto che non ha vasi, quindi da qualche parte il nutrimento deve pur arrivare, quello del sistema dell’ingresso e della fuoriuscita dell’acqua è uno di questi. Il collagene ha un ruolo anche come sistema di contenzione. Se abbiamo un palloncino che si sta gonfiando di acqua, potrebbe arrivare anche a scoppiare se non ci fosse la gabbia del collagene che tiene unito tutto il sistema e non consente un’espansione oltre un certo limite. Il collagene con le sue proprietà elastiche consente questo sistema di deformazione molto rapido, meno di frazioni di secondo. Lo spostamento dell’acqua all’interno della cartilagine non è banale, non è esattamente come una spugna. È un sistema complesso in cui l’acqua per poter migrare all’interno della cartilagine deve essere sospinta da forze molto elevate, in gergo fisico si chiama resistenza frizionale al flusso che è molto elevata nella cartilagine. Significa che per spostare l’acqua all’interno della cartilagine devo usare delle pressioni molto forti. Come ribadito nel paragrafo precedente, l’idratazione dei PG è limitata dalla presenza di una gabbia di fibre collagene che sono dunque essenziali per il mantenimento della forma. Il differente contenuto di acqua nei diversi strati (e la differente distribuzione Pag. 17 di 26 delle fibre collagene) è funzionale ai requisiti di elasticità e resistenza in condizioni di carico meccanico: - nello strato radiale avviene il 90% degli scambi e della funzionalità della cartilagine; - negli strati più superficiali e in quelli più profondi le funzioni sono diverse perché cambia il contenuto d'acqua, la disposizione delle fibre del collagene e la forma delle cellule perché rispondono a sollecitazioni diverse. Il tessuto tende infatti a strutturarsi nel miglior modo possibile per far fronte alle sollecitazioni: il collagene garantisce, in pochi centesimi di secondo perché si tratta di un processo istantaneo, la deformazione elastica (la resilienza) con ritorno alla condizione di pre-carico senza la deformazione plastica, cioè permanente. Biomeccanica Tornando all’acqua, essa serve a garantire quelle proprietà meccaniche che abbiamo visto prima e a favorire lo spostamento delle sostanze dei nutrienti dei metaboliti all’interno del tessuto. In realtà la cosa non è così semplice perché il tessuto, per com’è fatto, offre una resistenza molto forte, quello che in fisica si chiama un’elevata resistenza frizionale allo spostamento dell’acqua: significa che per spostare queste masse di acqua, attraverso la cartilagine, sia in entrata che in uscita, devo applicare delle pressioni idrauliche molto elevate. Esempio: se voglio spostare l’acqua dentro la cartilagine ad una velocità bassissima, parliamo di 17,5 µm al secondo, abbiamo bisogno di una forza una pressione molto elevata, a questa velocità molto bassa mi serve 1 µPa (è un'unità di pressione cioè la forza applicata su un’unità di superficie), che è 5 volte la pressione presente all’interno della ruota di un'automobile. In sintesi: per spostare l'acqua a velocità bassissima e se si vuole farla andare velocemente, bisogna utilizzare delle pressioni enormi. Questo spiega anche come la capacità di espandersi e di comprimersi velocissimamente del reticolo di fibrille di collagene sia dovuta alla pressurizzazione dell’acqua, ad un’elevata resistenza frizionale allo spostamento dei liquidi, quindi una grande capacità di passare dalla deformazione elastica alla situazione precedente. Tutto ciò consente di assorbire non solo la sollecitazione istantanea, ma anche, per esempio in condizioni di attività sportiva, la sollecitazione velocissima e ripetuta: non si tratta di una sollecitazione singola bensì di treni di onde di sollecitazioni a cui devono rispondere risposte immediate, perché altrimenti il tessuto andrebbe in crisi. In questo modo è possibile spiegare come i tessuti muscolo scheletrici vadano a volte in crisi o in condizioni di sovraccarico, dove per sovraccarico non se ne intende per forza uno immediato e acuto, ma l'applicazione di stimoli molto bassi ma molto frequenti e molto ripetuti che superano la capacità di resilienza del tessuto. Queste problematiche si verificano soprattutto a livello dei tendini, che non hanno infatti problemi di infiammazione, ma possono rompersi per sovraccarico o un’eccessiva sollecitazione, che può indurre alterazioni di tipo degenerativo. Pag. 18 di 26 La caratteristica meccanica che deriva dalle particolarità del collagene è la capacità della struttura di assorbire molto bene treni di onde di applicazione meccanica anche molto frequenti. La stimolazione migliore per il funzionamento dei tessuti muscolo-scheletrici e il mantenimento della loro omeostasi è quella intermittente, ovvero successive compressioni e rilasciamenti della struttura perché un carico statico e continuo spreme l'ammortizzatore, la matrice diventa più rigida e lì induce una risposta catabolica di riassorbimento, inibendo quindi la sintesi della matrice. Questi tessuti infatti non sopportano bene una pressione continua o un’assenza di pressione. In questo modo si riesce ad avere una resilienza, un grado di deformabilità della cartilagine fino al 20%, un tasso altissimo che tiene al riparo l'osso subcondrale facendo in modo che le sollecitazioni che arrivano all’osso siano in realtà molto attenuate (nessuna stimolazione dei nocicettori, nessuna evocazione di dolore, nessun danno). Dipende dal soggetto, dal tipo di articolazione, dalla sede, dall’allenamento, ecc. Tutto questo fa sì che ci sia un assorbimento di treni di onde delle forze e queste forze vengano trasmesse in modo più attenuato possibile all’osso subcondrale. L'osso subcondrale è un elemento fondamentale nella genesi dell'artrosi mentre la cartilagine inizia a soffrirne in un secondo momento. Il grande problema dell'osso subcondrale è la ricchezza di terminazioni nervose, soprattutto di tipo artrogeno, a causa delle quali una sollecitazione trasmessa bruscamente sull’osso subcondrale e non ammortizzata dalla cartilagine si trasforma in uno stimolo doloroso che può essere presente a ogni passo come succede ad esempio nelle fasi avanzate dell'artrosi. Nell’artrosi, il paziente ha male quando cammina, perché le sollecitazioni non sono più ammortizzate, arrivano dritte sull’osso, stimolano il recettore dolorifico e parte lo stimolo doloroso. Un grande problema delle persone non allenate, è quello di provare forte dolore articolare dopo uno sforzo fisico eccessivo (ad esempio una corsa di 10 km dopo anni di sedentarietà). Il dolore e il blocco articolare sono dovuti al fatto che la cartilagine negli anni si è ridotta, ha perso la sua capacità di ammortizzazione e non ha avuto modo di riadattarsi a nuove sollecitazioni: in questo modo i carichi vengono trasmessi bruscamente all’osso, stimolandone le terminazioni nervose dolorifiche e causando il dolore articolare. Riassumendo: Il dolore provocato da carichi o movimenti non proviene dalla cartilagine (non ha fibre nervose), ma dalle strutture ossee sottostanti (osso subcondrale) o dai tessuti molli articolari innervati, soprattutto dalla membrana sinoviale (è una struttura fortemente in grado di evocare dolore), dalla capsula articolare e dai legamenti intrarticolari quando sono presenti. I legamenti solitamente sono all’esterno della capsula articolare, a volte sono all’interno nell’articolazione come nel ginocchio. Pag. 19 di 26 La capacità della articolazione in particolare della cartilagine di rispondere ai carichi meccanici è data dall’integrità di questo sistema di ammortizzamento delle sollecitazioni. Nel momento in cui si squilibra l’omeostasi, le sollecitazioni vengono assorbite in modo meno efficace. La cosa migliore è la stimolazione meccanica ciclica. I due estremi, eccesso di carico o scarso carico, danno un’atrofia del tessuto. Cosi come il carico statico, cioè il carico persistente a prescindere dalla sua entità porta l’inibizione momentanea della produzione di matrice. La cartilagine è un tessuto soggetto a molti tipi di carichi meccanici, sia statici sia dinamici. Ciò che ci preoccupa maggiormente è la frequenza dei carichi dinamici. - Carico statico entro limiti fisiologici: inibizione temporanea della sintesi della matrice; - Carico ciclico: stimola la sintesi proteica e rappresenta lo stimolo migliore per i sistemi muscoloscheletrici; deve essere ciclico e né troppo scarso o troppo eccessivo. Viene usato anche in riabilitazione per garantire una stimolazione omogenea ciclica della struttura che è stata trattata chirurgicamente. - Immobilizzazione o scarico: inibizione della sintesi dei PG, catabolismo dei PG → minor capacità di fissare l’acqua → minor resistenza meccanica → rammollimento della struttura cartilaginea, (quest’ultimo è lo stadio I di sofferenza cartilaginea: condromalacia) → perdita della capacità di deformabilità. [Ci sono 4 gradi di sofferenza della cartilagine, li vedremo a proposito della patologia cartilaginea]. La capacità di resistere a questi stimoli dipende dall’integrità strutturale della ECM: - Collagene: resiste a forze tensili e di taglio; - GAG: resistono alla compressione e al passaggio dei fluidi (determinano la resistenza frizionale e la capacità di fissare l'acqua). Invecchiamento Vi è una riduzione della cellularità (ipocellularità classica della senescenza): i condrociti tendono a modificare le loro caratteristiche morfologiche e diventano ipertrofici. Gli enzimi lisosomiali facenti parte del processo catabolico aumentano. Aumenta la fase del catabolismo: comincia ad intaccarsi quell’equilibrio tra la produzione del nuovo tessuto e il riassorbimento del vecchio. C’è uno squilibrio verso il riassorbimento, verso la fase catabolica, siccome ci sono meno cellule, c’è una minore capacità di far fronte alla perdita. Diminuisce il condroitinsolfato 4, aumenta il condroitinsolfato 6. Il cheratansolfato aumenta (inversione del rapporto con il CS). Si riduce quindi la componente di PG nel tessuto che provoca una riduzione della sua capacità di legare l’acqua -> riduzione della quantità di acqua e quindi della elasticità. Riduzione dello spessore in toto, dovuta alla riduzione della cellularità perché ci sono meno cellule capaci di colmare le perdite. Un bambino ha una grande quantità di acqua in tutti i suoi tessuti, cadono nei modi più strani senza farsi male. Una delle caratteristiche dell’invecchiamento è la progressiva disidratazione dei tessuti: se perdo l’acqua, perdo la capacità elastica e la capacità ammortizzante del tessuto (stiamo parlando della cartilagine che si assottiglia, ma questo vale per tutti i tessuti). Fattori di crescita Pag. 20 di 26 Ad influire sulla cartilagine oltre alla sollecitazione meccanica e all’invecchiamento, c’è la sollecitazione chimica, i fattori di crescita che sono proteine che hanno la capacità di guidare i meccanismi di omeostasi. Perché ciò avvenga le cellule devono avere dei recettori che attivati innescano una serie di risposte. Sappiamo che cos’è che mantiene l’omeostasi del tessuto, la stimolazione fisica è fondamentale, alternanza dell’anabolismo-catabolismo, ma ci sono anche delle stimolazioni di tipo chimico. Prima parlavamo della rivoluzione della biologia: quella che ci ha fatto cambiare l’approccio a tanti problemi dell’ortopedia, è stata la scoperta alla fine negli anni ’90 dei fattori di crescita (oltre allo sviluppo delle conoscenze sulle cellule staminali che è tuttora in corso). I GF sono stati una grande rivoluzione: è stata la scoperta di piccole proteine, che hanno un’attività estremamente complessa. Ogni giorno vengono fuori nuove evidenze e anche attività intersecate con altre sostanze, che rendono più difficile la comprensione della loro azione e hanno la capacità di influenzare l’omeostasi dei nostri tessuti. [A noi interessa quello della cartilagine, poi il discorso viene applicato ugualmente per l’osso, per il tendine, ecc…] È un sistema fondamentalmente di tipo recettoriale che si basa sulla interazione tra i GF e le cellule; è molto complesso e non chiarito perché si scopre continuamente, settimanalmente, in tanti laboratori che un GF possa avere ruoli diversi in tempi diversi (a seconda della situazione può avere un'azione anabolizzante o catabolizzante così come può cambiare la sua azione in combinazione con altri GF). I risultati di questi studi si utilizzano in clinica. I fattori di crescita non sono altro che dei polipeptidi che possono essere prodotti dalle cellule del sito di lesione (fibroblasti, cellule epiteliali, staminali mesenchimali...) oppure da cellule infiammatorie (cellule di origine ematopoietica) migrate nella sede della lesione. Svolgono tre azioni fondamentali per il processo rigenerativo: fanno arrivare altre cellule, fanno proliferare altre cellule, indirizzano le cellule verso le diverse linee (del tendine, della cartilagine, dell’osso, del muscolo ecc). I GF agiscono in modo selettivo su certi tipi di cellule, e hanno un finissimo sistema di controllo (conosciamo alcuni meccanismi e altri meno che intervengono per bloccare questa produzione nel momento in cui diventa eccessiva); inoltre hanno la capacità di essere attivi a concentrazione molto basse. Sono sintetizzati un po’ da tutti i tessuti muscolo-scheletrici e servono, oltre che nell’omeostasi tissutale, ad avviare i processi riparativi in risposta ai vari tipi di insulti. I GF agiscono a livello cellulare: non attraversano la barriera cellulare, ma danno uno stimolo recettoriale che viene riverberato all’interno della cellula perché s’inneschi la produzione di determinate sostanze o la replicazione cellulare (GF con azione mitogena). Pag. 21 di 26 Utilizziamo i fattori di crescita a scopo terapeutico: li utilizziamo soprattutto quando c’è una condizione di sofferenza della cartilagine, quando c’è una condizione di sofferenza di tutta l’articolazione che si verifica, come andremo a vedere, nel corso dell’artrosi. [Non sto introducendo ancora la patologia della cartilagine, per ora vi sto fornendo degli elementi per capire come funziona la cartilagine]. I principali GF che si utilizzano in terapia sono: Fattore di derivazione piastrinica (PDGF, dall'inglese Platelet-Derived Growth Factor): è il più utilizzato e si trova all’interno delle piastrine. Procedura: Centrifughiamo il sangue del paziente, sbatacchiamo le piastrine in modo da romperle e favorire il rilascio dei GF, poi le centrifughiamo, prendiamo la parte più ricca di queste e le reiniettiamo dentro l'articolazione laddove vogliamo esercitare un’azione mitogena sui condrociti (sui tendini o sui muscoli). Hanno quindi, a livello della cartilagine, un'azione mitogena sui condrociti stimolando la replicazione che è bassissima. Si spera che abbiano un ruolo di riparazione della cartilagine. Fattore di crescita dei fibroblasti (FGFβ Fibroblast Growth Factor-β): ha un'azione mitogena sui tessuti connettivi, favorisce la replicazione e stimola anche la sintesi del DNA dei condrociti. In ortopedia viene utilizzato per le potenzialità che potrebbe avere nella rigenerazione dei tendini e dei legamenti. Fattore di crescita insulina simile (IGF-1 Insuline-like Growth Factor): ha azione trofica sulla cartilagine. Si tratta di fattori che hanno un ruolo anabolico stimolando la replicazione cellulare o la produzione del DNA. Hanno un’azione sinergica e funzionano meglio se agiscono assieme al FGF. È utile per mantenere l’omeostasi dei PG. Fattore di crescita trasformante beta (TGFβ, dall’inglese Transforming Growth Factor-β): sintetizzato direttamente dai condrociti, è molto attivo sulla proliferazione dei condrociti (favorisce la rigenerazione cartilaginea) ed ha azione anti- inifiammatoria. Funziona benissimo se usato in sinergia con IGF-1 e FGFβ. Stimola la produzione del DNA agendo in sinergia con gli altri GF e la produzione dei PG. Come mai è difficile capire il funzionamento di queste sostanze? Perché spesso interagiscono tra loro, questo potenzia la loro azione e stimola la sintesi dei proteoglicani. È molto complesso tenere a mente tutte le azioni di questi GF per poterli utilizzare, perché si tratta di utilizzarli insieme ad altri elementi in un momento diverso rispetto all’uso di un altro GF. Per ora ci si limita ad usare fattori di crescita di derivazione piastrinica. Membrana sinoviale Nelle articolazioni sinoviali abbiamo una membrana sinoviale e un liquido sinoviale: - La membrana sinoviale è l’altro elemento costitutivo della cartilagine. La membrana sinoviale riveste l’interno della capsula articolare, tendini e legamenti intra-articolari. È un manicotto fibroso che salda a ponte i due segmenti ossei. Produce e riassorbe il liquido sinoviale (sinovia). Pag. 22 di 26 - Il liquido sinoviale si chiama sinovia, dal greco sýn e ōon, come il bianco dell’uovo, perché è un liquido filante, chiaro e trasparente. La sua caratteristica è la lubrificazione e se si tocca si forma un filo collegato dal liquido al dito. [Se all’esame si sente dire che la sinovia è la membrana sinoviale e non il liquido sinoviale si “arrabbia”! Questo succede perché in inglese Synovium è la membrana sinoviale, invece la Sinovia è Synovial fluid]. Vedi figura a destra: sinovia vista in artroscopia. Ha un aspetto cotonoso, villoso, con propaggini ed è simile al velluto. I vasi si vedono bene perché è molto vascolarizzata. Le ramificazioni servono ad aumentare la superficie di contatto e ad aumentare l’interscambio per la funzione di produzione e riassorbimento di liquido sinoviale. È villoso, come il cotone. I villi servono per aumentare la superficie di scambio tra tessuto e cavità articolare. Siccome deve produrre e riassorbire liquido, maggiore è la superficie e maggiore sarà l’efficacia di questa azione. Microscopicamente c’è uno strato molto sottile di sinoviociti (al massimo 3/4 strati di cellule) al di sotto del quale vi è uno strato di tessuto lasso adiposo: 1° compartimento: Lining (intima) - guarda la cavità articolare (1-4 strati di sinoviociti); 2° compartimento: Tessuto sub-intimale - connette l’intima alla capsula articolare. I sinoviociti sono di 4 tipi, ma in questo contesto prendiamo in considerazione solo i due più importanti: Sinoviociti A o tipo I: hanno espansioni, propaggini citoplasmatiche sottili, RER ed enzimi litici che li fanno somigliare molto ai monociti del liquido sinoviale, che poi possono trasformarsi in macrofagi. Sono legati da un punto di vista di origine ai monociti circolanti. Catturano e fagocitano i detriti (batteri, virus, particelle estranee, ecc) e come i macrofagi tendono a distruggere e digerire queste sostanze: sono gli spazzini dell’articolazione, la tengono pulita. Un’altra delle caratteristiche dell’ortopedia è che è una chirurgia pulita per definizione, cioè la cavità articolare è una struttura asettica, ogni comunicazione con l’esterno di un’articolazione significa una potenziale infezione, l’arrivo di germi che normalmente non sono presenti dentro l’articolazione: la chirurgia ortopedica, a differenza di altre chirurgie più sporche, in cui c’è una contaminazione per forza di cose con l’ambiente esterno, sta molto attenta ad evitare infezioni e contaminazioni, perché non è una condizione normale quella di doversi fronteggiare con l’ambiente esterno. Sinoviociti di questo tipo aiutano a proteggere l’asetticità dell’articolazione. A volte però non riescono nel loro compito e si innesca un processo infiammatorio, che porta alle cosiddette artrosinoviti, cioè all’infiammazione della membrana sinoviale. Possono essere in rapido turnover con i monociti del liquido sinoviale stesso perché questi ultimi sono coinvolti sia Pag. 23 di 26 in contesti patologici (inclusa l'artrosi) ma sono anche in grado di diventare cellule che guidano il processo riparativo. Sinoviociti B o di tipo II: hanno i caratteri strutturali ed ultrastrutturali tipici della secrezione (ricco reticolo endoplasmatico) e somigliano ai fibroblasti. Partecipano alla produzione degli elementi che danno capacità lubrificante al tessuto, cioè alla produzione dell’acido ialuronico ad alto peso molecolare e di una proteina chiamata lubricina, che infine riversano nel liquido sinoviale. Hanno tutti gli organuli intracellulari deputati all’assemblaggio e alla produzione di sostanze (acido ialuronico, lubricina, ecc.). Barriera emato-sinoviale (BES) Il liquido sinoviale arriva dal sangue e passa da un filtro. Nella figura accanto si vede trasversalmente un villo sinoviale tagliato alla base. Si può notare che al centro del villo c’è un vaso, in grigio i sinoviociti di tipo A e B, il resto della struttura è formato da tessuto adiposo lasso che si interpone tra il vaso e le cellule, mentre tutto intorno c’è la cavità articolare. È formata da un’ampia rete vascolare della membrana sinoviale e una matrice stromale che la circonda. Il liquido sinoviale arriva dal sangue in base a come si dispongono e si avvicinano tra di loro le cellule endoteliali del vaso. A seconda della distanza delle cellule dell'endotelio si ha un filtro più ampio o più stretto che fa passare solo l'acqua o anche qualche sostanza ma non le cellule altrimenti avremmo sangue nell’articolazione. Più si allargano le cellule endoteliali del vaso e più consentiranno la fuoriuscita del liquido che circola all’interno del vaso e quindi del sangue. Più è stretto e più non passano le cellule, gli eritrociti, i globuli bianchi ecc. Il filtro emato-sinoviale fa uscire solo il siero e le cellule deputate alla produzione sinoviociti di tipo II riversano l’acido ialuronico dentro al siero e lo trasformano nel liquido sinoviale. Funzioni della BES: dializza il plasma; trasforma il plasma in lubrificante biologico ad alto tenore nutrizionale (sinoviociti di tipo II aggiungono l'acido ialuronico): si forma un liquido ad altissima capacità lubrificante. È assimilabile alla BEE (barriera emato-encefalica). Liquido sinoviale (sinovia): non è abbondante: in grandi articolazioni, come quella del ginocchio, sono contenuti al massimo 2mL (1-2 mL) di sinovia; interfaccia di superficie: 50 μm; la sua funzione lubrificante è data dall’acido ialuronico, dalla lubricina ed altre molecole. La cartilagine articolare è smussata e perfettamente levigata per consentire un movimento senza attrito, il liquido sinoviale è un lubrificante che migliora questa caratteristica e riduce la produzione di detriti; Pag. 24 di 26 ha caratteristiche viscoelastiche perché contribuisce ad assorbire i carichi meccanici (grazie all’acido ialuronico). Il liquido sinoviale all’interno ha l’acido ialuronico perciò ha anche un’azione strutturale, ammortizzante; ha funzione trofica: i nutrienti arrivano alla cartilagine per diffusione, sia dall’osso sia dal liquido sinoviale fornendo anche O2. La cartilagine non ha vasi quindi il liquido sinoviale porta i nutrienti all’interno della cavità, fondamentalmente O2. Infatti il condrocita è sempre al limite dell’ipossia; rimuove i detriti, i cataboliti, che vengono captati e fagocitati dai sinoviociti di tipo A, di tipo macrofagico, che digeriscono i detriti e cellule eventualmente presenti nella cavità articolare; la cavità articolare è un ambiente rigorosamente sterile. Cosa accade quando una condizione patologica altera la BES? L’articolazione si gonfia perché questa barriera tra il sangue e la membrana sinoviale si altera e passa di tutto. L’articolazione si gonfia perché vi è un passaggio anomalo di liquidi nell’articolazione. Quando la situazione è molto grave le cellule si allontanano così tanto che passano anche i globuli rossi, allora all’interno di un’articolazione particolarmente infiammata e sofferente si può trovare del sangue. Questa condizione si chiama emartro (da emo sangue e àrtron articolazione). Se invece c’è gonfiore ma causato da un versamento sieroso all’interno della cavità articolare è una condizione di idrartro e l’articolazione è piena di liquido sinoviale. È una condizione di patologia da alterazione del funzionamento della barriera emato-sinoviale. La cartilagine lavora a concentrazioni di O2 bassissimo, ma quel poco di O2 è importante che arrivi. L’O2 arriva dai due versanti disponibili: - uno è la cavità articolare, - l’altro è quello che sta sotto la cartilagine, cioè l’osso subcondrale, che è quella componente ossea che sta sotto la cartilagine. È uno strato molto compatto e resistente che ha uno spessore variabile a seconda della sollecitazione e del tipo di articolazione. L’immagine a sinistra serve a capire come è strutturata la cartilagine, l’osso subcondrale e poi l’osso: questo ricorda molto il terreno in cui un albero, una pianta, non riesce a crescere se non ha al di sotto un terreno adeguato che si stratifica in un modo che sostanzialmente è simile a quello della cartilagine. Osso subcondrale È l’osso su cui poggia la cartilagine articolare. È connesso alla cartilagine attraverso la cartilagine calcifica, un tessuto calcifico ma strutturalmente cartilagineo. Pag. 25 di 26 C’è una strutturazione stratificata della cartilagine. L’osso subcondrale è situato alla base della cartilagine a cui è connesso attraverso la cartilagine calcifica e fornisce alla cartilagine un supporto stabile. La cartilagine è un tessuto elastico che tenderebbe a muoversi, ad ondeggiare, ma grazie all’osso subcondrale ha una base molto solida, con tutta una serie di digitazioni che la ancorano saldamente alla sua base. Fa da ammortizzatore di sollecitazioni e protegge quindi l’osso spongioso, protegge la componente ematopoietica. Ci sono in genere due tipi diversi di osso: l’osso corticale (esterno, è l’involucro, è soprattutto nelle ossa lunghe, è l’osso che resiste, è fortissimo) e l’osso spongioso (interno, trabecolato, assomiglia a una spugna con i buchi che contengono il midollo osseo che ha un ruolo ematopoietico). È formato da uno strato molto compatto (bone late) e uno strato trabecolare (verso la cavità midollare). È molto compatto perché deve essere particolarmente resistente; vi è poi una transizione verso l’osso spongioso decisamente più elastico. Il suo spessore varia in base al tipo di sollecitazione e anche al tipo di articolazione, nonché della parte di articolazione coinvolta: si ricordi la legge di Wolff per la quale l’osso tenderà a strutturarsi ed irrobustirsi, o al contrario ad indebolirsi e atrofizzarsi, in base all’entità delle sollecitazioni meccaniche che riceve. La disposizione delle fibre quindi (cioè la qualità dell’osso) varia in base al tipo di sollecitazione, non in base all’entità della stessa. Pur essendo molto robusto, solido, è più elastico di altri tipi di osso, come quello corticale. È 10 volte più elastico della corticale diafisaria delle ossa lunghe, come il femore. Il bone late quindi funge da supporto stabile e la componente trabecolare da shock absorber, dispersore di sollecitazioni. La sua duplice composizione (lamina densa + strato transizionale) fa sì che ci sia una duplice azione: la capacità di rispondere sia allo stress acuto sia alle sollecitazioni ripetute (treni di onde). In base alla presenza della cartilagine calcifica, osso subcondrale e poi sotto osso trabecolare, si ha una capacità di rispondere sia alle sollecitazioni ripetute sia anche ad un improvviso aumento di sollecitazioni. È riccamente innervato e vascolarizzato ed estremamente adattabile. Se c’è dolore in un’articolazione arriva o dall’osso subcondrale che è riccamente innervato o dai tessuti molli. Questa grande adattabilità morfologica è guidata dalla legge di Wolff. La legge di Wolff sostanzialmente dice che più si sollecita l’osso più questo si rinforza, più diventa sclerotico, resistente, meno si sollecita più si riassorbe. È alla base anche di meccanismi patologici importanti come l’osteoporosi. L’osso non sollecitato si atrofizza. Quindi la prima cosa da fare con una paziente osteoporotica è mandarla in palestra e far in modo che sia sottoposta ad una sollecitazione meccanica prima di darle i farmaci. Pag. 26 di 26

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