Medicina di Laboratorio - Esame PDF

Summary

Lezione introduttiva sull'argomento medicina di laboratorio, descrivendo la metabolomica, i vari tipi di diabete, i metodi per la misurazione della glicemia e la fase pre-analitica, analitica e post-analitica, oltre a raccomandazioni e intervalli di riferimento.

Full Transcript

Esame Medicina di laboratorio Docente Antonio Noto Lezione 1 (03/10/2022) Sbobinatori Francesca Saba, Camilla Fois Introduzione al corso La medicina di laboratorio studia i campioni biologici provenienti dall'uomo, quindi quei parametri chimico- f...

Esame Medicina di laboratorio Docente Antonio Noto Lezione 1 (03/10/2022) Sbobinatori Francesca Saba, Camilla Fois Introduzione al corso La medicina di laboratorio studia i campioni biologici provenienti dall'uomo, quindi quei parametri chimico- fisici che possono fornire informazioni sui processi fisiologici e/o patologici che avvengono nell'uomo stesso a vari livelli di organizzazione strutturale, ovvero di sistemi, d'organi, di tessuti, di cellule e anche di singole molecole. È una disciplina che applica tutte le moderne metodologie scientifiche alla prevenzione, alla diagnosi, alla terapia e alla gestione delle malattie. L’importanza della medicina di laboratorio intuibile dal fatto che i clinici, senza essa, possono solo intuire e non avere la certezza della diagnosi. I professori hanno un particolare interesse per l’autismo, patologia studiata sfruttando la metabolomica, la “biochimica clinica del futuro” Dal punto di vista gerarchico si ha: genomica, trascrittomica, proteomica e infine metabolomica. Quest’ultima studia i metaboliti, molecole a basso peso molecolare ( 40 anni) Familiarità spesso presente Carenza relativa di insulina (= non necessità assoluta di insulina) ALTRI TIPI SPECIFICI di diabete = fisiopatologia 1) Difetti genetici: Ad oggi sono stati identificati circa 40 polimorfismi comuni che conferiscono un contributo modesto al rischio di DMT2. Il 2-5% dei pazienti con diabete non insulino-dipendente presentano esordio in giovane età ed una forma di diabete monogenica caratterizzata da trasmissione autosomica dominante denominata MODY (maturity 9 onset diabetes of the young). Attualmete è stata individuata l’eziologia di 6 forme di MODY (i tipi 2 e 3 costituiscono l’80% di tutte le forme): MODY1= mutazioni nel gene che codifica il fattore nucleare epatocitario 4-alfa (HNF 4- alfa), cromosoma 20 MODY2= mutazioni del gene della glucochinasi, che mappa sul cromosoma 7. MODY3= la mutazione del gene HNF 1-alfa localizzato sul cromosoma 3. MODY4= la mutazione del gene codificante per l’insulin promoter factor 1 (IPF-1). MODY5= la mutazione del gene fattore nucleare epatocitario 1-beta (HNF 1-beta). MODY6= la mutazione del gene del fattore di differenziamento neurogenico-1 (NEUROD1 o BETA2). 2) Malattie del pancreas esocrino che colpiscono le cellule alfa che producono il glucagone. Di conseguenza, il rischio di ipoglicemia è molto alto: Fibrosi cistica Emocromatosi ereditaria Pancreatite cronica Pancreopatica fibrocalcolotica. 3) Enodocrinopatie: diversi ormoni come epinefrina, glucagone, cortisolo ed ormone della crescita antagonizzano l’azione dell’insulina. La secrezione di questi ormoni garantisce la normale risposta controregolatoria all’ipoglicemia. D’altra parte, una loro eccessiva produzione può alterare la tolleranza glucidica o addirittura causare il diabete. Sindorme di Cushing, Acromegalia, Feocromocitoma (eccesso di catecolamine), Glucagonomi (tumori secernenti glucagone), Somatostatinomi (tumori secernenti somatostatina), Ipertiroidismo. 4) Indotto da farmaci: interferiscono con la secrezione insulinica o aumentano la produzione epatica di glucosio. 5) Infezioni virali: determinano la distruzione delle beta cellule. L’esame cardine per la diagnosi e il monitoraggio del diabete mellito è rappresentato dalla misurazione della glicemia, ossia la misurazione della quantità di glucosio nel sangue. Le società scientifiche di laboratorio sono molto attente a sottolineare che tale misurazione deve essere fatta in laboratorio e deve essere posta massima cura: 1) Nell’appropriata raccolta e conservazione del campione (fase pre-analitica) 2) Nella scelta del metodo (fase analitica) 3) Nella modalità di refertazione e comunicazione dei risultati (fase post-analitica). Glucosio --> fase-preanalitica: Nello specifico, per quanto riguarda la fase pre-analitica, questa consiste nell’appropriata raccolta e conservazione del campione. Se infatti questa non viene svolta in maniera appropriata può andare a variare la stima del valore vero. Il metodo scelto, la modalità di refertazione deve ovviamente essere validato dalle società scientifiche. Sintesi delle raccomandazioni Per lo screening e la diagnosi del diabete mellito, compreso il diabete gestazionale: 1. Il soggetto deve essere a digiuno da almeno 8 ore e non oltre le 12 ore. Non deve aver presentato di recente febbre, infezioni acute o aver subito recenti traumi o interventi chirurgici. 2. La determinazione della glicemia deve essere eseguita su plasma con metodo enzimatico validato 10 3. Deve essere ottenuto un efficace blocco della glicolisi (altrimenti il glucosio verrebbe consumato da essa in un rate stimato al 6/7 % l’ora, e quindi la stima da noi fatta sarà inferiore) mediante l'impiego di provette che contengono sia a monte che a valle degli enzimi inibitori della glicolisi o uno dei seguenti metodi: a. posizionando la provetta in acqua con giaccio fondente e centrifugandola entro 30 minuti, oppure b. centrifugando immediatamente la provetta e separando il plasma dalla parte corpuscolata, oppure c. impiegando, qualora i procedimenti e i tempi di cui sopra non possano essere rispettati, un anticoagulante in grado di svolgere una rapida e duratura inibizione della glicolisi (NaF, tampone citrato, EDTA), presente nelle provette FC-MIX Greiner oppure GlucoEXACT Sarstedt (in tal caso sarà applicato un opportuno fattore di conversione). 4. Nelle condizioni di cui sopra la glicemia è stabile per 48 ore a temperatura ambiente: 24 ore a 37°C e per 3 giorni a 4-6 °C. Per la misura della glicemia ai fini del monitoraggio del controllo glicemico nel paziente con diabete noto si possono continuare ad utilizzare provette con LiHep con rapida centrifugazione ed analisi o siero con acceleratore della coagulazione e gel separatore. Di fondamentale importanza è, comunque, la scelta dell’anticoagulante e del tipo di campione da analizzare. Esistono infatti significative differenze nei risultati ottenuti su campioni diversi (sangue intero, plasma, sangue capillare, siero). Le principali Società scientifiche e organismi professionali raccomandano di eseguire il dosaggio della glicemia su plasma; la provetta andrebbe però posizionata in un bagno di acqua e ghiaccio fondente e centrifugata entro 30 minuti, oppure centrifugata immediatamente dopo il prelievo, e il plasma separato dalla parte corpuscolata. Questi accorgimenti sono necessari per bloccare la glicolisi che procede in vitro dopo il prelievo di sangue e che determina una diminuzione della glicemia pari al 6–7% l’ora. Tuttavia, spesso l’organizzazione dei Laboratori non consente una rapida centrifugazione dei campioni. È allora necessario ricorrere all’utilizzo di anticoagulanti in grado di inibire gli enzimi della glicolisi. Tra i più utilizzati ancora oggi a questo scopo vi è il fluoruro di sodio (NaF), che però inibisce un enzima situato nella parte distale della glicolisi, l’enolasi. Gli enzimi posizionati nella parte iniziale della via glicolitica restano attivi, la fosforilazione dei glucidi continua finché l’adenosin trifosfato (ATP) non si esaurisce e questo causa un consumo del glucosio. Quindi, anche in presenza di NaF, il blocco della glicolisi non avviene nelle prime 2 ore dalla raccolta del campione, come dimostrato da numerosi studi. Infatti, la concentrazione del glucosio diminuisce gradualmente e la sua stabilizzazione si ha solo dopo 90–120 minuti dal prelievo. È stato quindi proposto l’utilizzo di provette contenenti tampone citrato: l’acidificazione del campione blocca istantaneamente l’esochinasi e la fosfofruttochinasi, enzimi che agiscono precocemente nella via glicolitica. Anche se viene riportato un lieve decremento della glicemia dopo 24 ore, è stato descritto in recenti studi come tale inibizione possa durare fino a 96 h a temperatura ambiente. VALUTAZIONE DELLA GLICEMIA Fase analitica: La misurazione della glicemia viene effettuata con metodi enzimatici ben standardizzati. Le linee guida SiBioC raccomandano l’utilizzo di metodiche basate sull’utilizzo dell’enzima esochinasi. L’esochinasi catalizza la –P fosforilazione del glucosio a glucosio-6-P; L’enzima glucosio-6-P DH, in presenza di NADP, provoca l’ossidazione del glucosio-6-P a gluconato-6-P. 11 LA VELOCITA’ della formazione di NADPH durante la reazione è direttamente proporzionale alla concentrazione di glucosio e viene misurata fotometricamente. REFERTAZIONE DELLA GLICEMIA Fase post-analitica: Il valore della glicemia dovrebbe essere espresso in mmol/L (millimoli per litro), l’unità di misura adottata dal SI (sistema internazionale) e come tale rappresenta lo standard di riferimento a livello internazionale. Tuttavia, la glicemia viene espressa in molti laboratori in mg/dL (milligrammi per decilitro). I METODI PER DOSARE IL GLUCOSIO. Il controllo domiciliare della glicemia (per i soggetti diabetici) si effettua con i glucometri. I glucometri utilizzano delle reazioni di ossidazione del glucosio, e il sangue del paziente viene prelevato mediante una puntura sul polpastrello. Il paziente si punge, il sangue viene deposto su una striscia reattiva che possiede una membrana che permette che nella parte reattiva giunga solamente il plasma, e che trattiene globuli rossi, bianchi e piastrine. Nella parte reattiva è assorbito un reagente particolare, che va a valutare reazioni appunto di ossidazione del glucosio, mediate e catalizzate da 2 tipi di enzimi: o la glucosio ossidasi o la glucosio-6-fosfato deidrogenasi. N.B. nel sangue capillare, la concentrazione del glucosio è inferiore di circa il 10-11% rispetto al valore plasmatico, questi strumenti hanno al loro interno dei fattori di conversione, che prevedono già la correzione del valore che si ottiene). ACCORGIMENTI PERR DOSARE IL GLUCOSIO. Precauzioni particolari che permetto di ottenere un risultato più preciso: 1) Prima di tutto si deve pungere il polpastrello della mano non dominante (al fine di evitare disagi che potrebbero essere conseguenti alla puntura). 2) Lavare le mani con acqua tiepida e asciugate molto bene; non occorre che il paziente si disinfetti e deve avere l'accortezza di eliminare gli anelli dal dito scelto per la puntura. 3) Fare un massaggio che non fa altro che spingere il sangue verso l'estremità del dito, e poi il paziente si punge con un microago. La goccia viene fatta mettere su questa striscia reattiva. Intervalli di riferimento della glicemia Dal suffisso tipico delle sostanze che si trovano nel sangue "-emia". Una glicemia «fisiologica" è quella che rientra nel range di riferimento tra 70mg/dl e 100mg/dl. Tutte le condizioni che sono: al di sotto dei 70mg/dl si definiscono ipoglicemie, e tutte le condizioni al di sopra dei 100mg/dl si definiscono iperglicemie. N.B. la definizione di ipo o iperglicemia, non è una diagnosi di patologia! 12 Si possono avere ipo o iperglicemie senza che vi sia il diabete, quindi questo è solo un range di riferimento. La malattia diabetica si avvale della diagnostica di laboratorio DIAGNOSI Si esegue un prelievo dopo il riposo notturno, e il valore di glicemia che consideriamo nell’intervallo di riferimento è fino a 100 mg/dl. Un valore di glicemia tra i 100 e i 125 mg/dl a digiuno è considerato come una condizione di pre- diabete e quindi ridotta tolleranza glucidica. Il valore certamente patologico nel prelievo effettuato dopo il digiuno è superiore ai 126 mg/dl: oltre i 126 mg/dl a digiuno si fa diagnosi di malattia diabetica. Se invece si effettua un prelievo in qualunque momento, indipendentemente dal digiuno, i livelli di glucosio devono essere inferiori ai 180 mg/dl. Il valore patologico in un prelievo effettuato anche dopo un pasto è quello superiore, in qualsiasi momento della giornata, ai 180 mg/dl. Per quanto riguarda la condizione in cui i valori di glicemia sono tra i 100 e i 125 mg/dl a digiuno, e quindi si è in una condizione di probabile pre-diabete, è possibile dirimere questo dubbio tramite l’OGTT, ossia il test da carico orale di glucosio. N.B. L’OGTT non dovrà essere effettuato ai soggetti che hanno valori di glicemia superiori ai 126 mg/dl, né a soggetti che hanno valori inferiori ai 100 mg/dl, ma soltanto, quindi, a quei soggetti che hanno una glicemia compresa tra i 100 e i 126 mg/dl; N.B. 1 in realtà la curva da carico di glucosio dovrebbe essere effettuata anche in soggetti che hanno almeno una delle seguenti caratteristiche: OLTRE a chi ha glicemia compresa tra i 100 e i 126 mg/dl; glicosuria normoglicemica; soggetto giovane con microangiopatia normoglicemica; soggetti con familiarità per il diabete; obesi, e soprattutto i grandi obesi. L’OGTT (Oral Glucose Tollerance Test) è quindi molto importante, come test diagnostico di conferma, per questo viene definito di secondo livello. Esso mette sotto sforzo il pancreas in quanto: 1. Al paziente si fa un prelievo a digiuno, definito prelievo basale, e su questo prelievo si dosa la glicemia. 2. Dopodiché́ al paziente viene chiesto di bere, quindi carico orale di 75g di zucchero, sciolti in un bicchiere d'acqua (250 mL). Quindi si sottopone il pancreas ad un carico di lavoro perché deve provvedere all'allontanamento di tutto questo zucchero che arriva tramite l'assorbimento intestinale. 3. Dopo il carico si fanno 4 prelievi seriali: dopo 30’, 60’, 90’, 120’. 13 Su tutti questi prelievi si dosa la glicemia. I risultati vengono posti su un piano cartesiano in cui in ascissa vengono messi i tempi (0’,30',60') e in ordinata ci sono le concentrazioni del glucosio. N.B. Il risultato del basale dev'essere controllato prima di effettuare il carico. Perché se questo paziente ha un livello di glicemia elevato, è chiaro che sarebbe un atto da irresponsabili sottoporlo ad un carico di glucosio. Gli intervalli di riferimento sono: 1) a 30’ valori INFERIORI a 180 mg/dl; 2) a 120’ valori INFERIORI a 140 mg/dl. Se un soggetto ha i parametri sopraindicati NON ha la malattia diabetica; se invece è assente uno di questi due parametri, e specialmente il secondo, è un soggetto diabetico. Vi sono poi una serie di aspetti pre-analitici da tenere in considerazione: 1. L’ esame non va eseguito in soggetti con documentata pregressa diagnosi di diabete mellito, 2. Non va eseguito in corso di patologie acute e in presenza di fattori che possano influenzare l’esame stesso (come infezioni, interventi chirurgici recenti, trattamenti con farmaci salvavita), 3. Non va eseguito in soggetti gastroresecati per il rischio di evocare i sintomi da alterato svuotamento gastrico. 4. Nei tre giorni che precedono l’esecuzione del test il soggetto deve assumere un quantitativo standard di carboidrati (100-150 gr al giorno) senza cambiare alimentazione. 5. L’assunzione dei farmaci non salvavita deve essere rimandata a dopo OGTT, 6. L’esame va effettuato a digiuno. 7. La velocità di assunzione della bevanda glucosata, somministrata alla temperatura di 15-25°C non deve superare i 5 minuti, 8. Durante il test il soggetto deve rimanere seduto, non è consentito bere, mangiare, fumare. 9. Deve essere eseguito al mattino 10. Infine, deve rimanere sotto controllo di personale sanitario per eventuali malori. 14 Esami di monitoraggio del diabete Servono per valutare se la terapia è una terapia a dosi ottimali in grado di dare un compenso metabolico ottimale o se invece bisogna adeguare la terapia: - esame delle urine nel quale bisogna osservare eventuale glicosuria (se la paziente è scompensata e quindi la terapia è inadatta quantomeno per dose), chetonuria (soprattutto in DM1 che spesso da coma cheto acidosico) e la proteinuria (primo segno di danno renale glomerulare, evoluzione tipica del diabete, molto più precoce dell’aumento della creatinina); - glicemia frazionata che consiste in 5 prelievi: alle 8, alle 11, alle 14, alle 17, e alle 20 e danno quel profilo glicemico che permette di controllare nelle fasi delle 12 ore i rapporti tra glicemia, alimentazione e terapia (per evitare i picchi glicemici); - Monitoraggio dell’Hb glicata nei pazienti che non si controllano frequentemente ci permette di monitorare la situazione precedente (40-50 gg) del metabolismo glucidico rispetto al momento in cui si esegue il prelievo. Questo marcatore di monitoraggio (che oramai viene indicato come marker di diagnosi) si forma quado c’è un’alta concentrazione di glucosio nel sangue che penetra nel globulo rosso e si lega all’emoglobina in modo irreversibile. Quali sono gli esami a disposizione del medico per monitorizzare il diabete? 1) Il più importante è L'emoglobina glicosilata o glicata, la cui sigla è Hba1c. Questa emoglobina ha una caratteristica: i globuli rossi in cui è contenuta galleggiano nel plasma. Il glucosio è anch'esso nel plasma: quando è aumentato entra nel globulo rosso, si lega all'emoglobina con un legame irreversibile. I valori patologici sono quelli superiori al 6.5% della glicata mentre quelli di prediabete vanno dal 6.0% al 6.5%, al di sotto del 6% siamo in una situazione fisiologica. La quantità di emoglobina che viene glicosilata, è direttamente proporzionale alla quantità di zucchero che c'è nel plasma e si esprime come percentuale dell'emoglobina totale. I globuli rossi hanno una vita di 2-3 mesi dopo di che vengono distrutti: quindi questo valore, ci dà indicazioni di quello che è successo alla glicemia nei 2-3 mesi precedenti all'esecuzione dell'esame. È una sorta di memoria di quello che è successo ai livelli di glicemia del paziente nei 3 mesi precedenti. 2) Glicemia si fa per lo più con gli apparecchi per la valutazione domiciliare (glucometri). I diabetici in genere sono seguiti in centri per lo studio di questa malattia. Ogni 2 mesi (soprattutto per il diabete di tipo 2) il paziente si reca al centro per effettuare gli esami, per vedere come procede la terapia e vedere se questa, assieme alla dieta e l'attività fisica, devono essere modificati. Aspetti pre-analitici della emoglobina glicata 1. Vi sono differenze evidenti di genere nei valori di emoglobina glicata in assenza di diabete. Il genere femminile mostra livelli lievemente inferiori rispetto al genere maschile. 2. L’età, alcuni studiosi hanno riportato un aumento della glicata di circa 0,1% per ogni decade dai 30 ai 70 anni. 3. Etnia, i soggetti neri hanno valori mediamente più alti di glicata rispetto ai caucasici anche se non è dimostrato un maggior rischio di sviluppare complicanze. 4. Anche le stagioni possono influire minimamente sui livelli dell’emoglobina glicata. 15 5. Assunzione di vitamina C o E sembra causare un abbassamento della glicata per una inibizione nel processo di glicazione. Aspetti analitici della emoglobina glicata 1. Vi sono più di 100 metodi per valutare l’emoglobina glicata! I metodi comprendono: cromatografia, immunochimica, enzimologia. 2. Nel 1995 IFCC ha istituito il Gruppo Di Lavoro sull’Emoglobina Glicata col fine di standardizzare i risultati ottenuti a livello globale. 3. Nel 2007 l’ADA e EASD (USA e EUROPA) sulla base dei risultati ottenuti da IFCC ha prodotto un documento di consenso sulla standardizzazione dell’emoglobina glicata. 4. L’emoglobina glicata quindi è espressa in HbA1c/Hb (mmol/mol). Aspetti post-analitici della emoglobina glicata (referto) 1. Valori superiori a 48mmol/mol (6.5%) se confermati in due misurazioni successive permettono diagnosi di diabete. 2. Valori tra 43 e 47 mmol/mol (6.1% e 6.4%) sono associati a sviluppare diabete. ESEMPIO Donna di 60 anni a cui è stato appena è stato diagnosticato il diabete di tipo 2. L’endocrinologo prova a modificare innanzitutto la dieta con una restrizione dei carboidrati. Fatti gli esami dopo due mesi di dieta: Glicemia perfetta. Ma Emoglobina glicosilata, patologica, alta. Perché?? La glicemia era perfetta perché sapendo di dover fare gli esami, nei giorni prima ha SEGUITO LA DIETA; mentre l'emoglobina glicosilata era altissima perché nei 2 mesi precedenti non aveva fatto nessuna restrizione dietetica. Quindi i livelli di glicemia nel suo sangue spesso erano oltre la norma e quindi lo zucchero si legava all'emoglobina. Ecco, quindi, che l'emoglobina glicosilata è un indice preciso di quello che è successo alla glicemia nei mesi precedenti, tant'è che la si vuole proporre come criterio diagnostico, non solo più come esame di monitoraggio. Definiamo i limiti della glicosilata Non si può utilizzare nei pazienti che: 1. hanno subito trasfusioni (se quindi il paziente è un politrasfuso): perché l'emoglobina glicosilata che andiamo a dosare non è quella del paziente ma del donatore, 2. hanno avuto un'emorragia recente, 3. hanno un'anemia cronica, 4. sono in gravidanza. In questi casi è usata l’albumina glicata. Albumina glicata l’albumina è la proteina più abbondante nel torrente circolatorio. La Albumina glicata (AG) rappresenta un unico prodotto da albumina più glucosio plasmatico. Le informazioni sono molto simile a quella dell'emoglobina glicosilata, ma relativa a tempi diversi, perché la vita (turn-over) dell’albumina è di 1 mese circa. Quando si una? - Nei talassemici politrasfusi che hanno anche il diabete, - Controllo in prossimità di festività per evidenziare "sgarri" alimentari dell'ultimo periodo. 16 Un altro parametro che si usa nelle urine è la microalbuminuria: indice di piccolissime quantità di albumina nelle urine, che sono segno precoce di danno e complicanza renale nel diabete di tipo 2, poiché l’albumina non dovrebbe passare il glomerulo. Il valore di riferimento deve essere negativo, cioè 180 mg/dl 10 mmol/L; dopo 2 hr --> 153 mg/dl 8,5 mmol/L. Complicanze GDM Il laboratorio è coinvolto nel follow-up per le complicanze. Tra queste la nefropatia diabetica, il segno della compromissione della funzionalità renale è la comparsa e la persistenza della proteinuria e in particolare della albuminuria. Indici di diagnosi - Albuminuria/creatinina→ importante per la clearance - Proteinuria minima: 0,5 g/l (glomerulonefrite ceonica, rene policistico) - Proteinuria moderata: 0,5-4 g/l (glomerulonefrite acuta) - Proteinuria grave: > 4g/l La proteinuria può significare: - Danno alla membrana glomerulare - Danno da complessi immuni - Amiloidosi - Tossicità (farmaci) RIASSUNTO GDM Per quanto riguarda il diabete gestazionale è importante distinguere: 1) il diabete gestazionale vero 2) diabete manifesto diagnosticato in gravidanza. Nelle donne in gravidanza il valore di riferimento della glicemia a digiuno è 126 mg/dl pone la diagnosi di diabete manifesto; il riscontro di un valore di glicemia a digiuno compreso tra 92-125 mg/dl è indicativo di diabete gestazionale. Se la glicemia a digiuno è dovuto all’ELETTRICITA’. Le proteine sottoposte ad un campo elettrico migrano verso il polo di segno opposto con migrazione direttamente proporzionale alla carica e inversamente proporzionale alla massa. Inidicazioni per la richiesa di un’elettroforesi delle sieroproteine: 1. Misura albumina (una carenza legata all’alimentazione è frequente negli anziani) 20 2. Evidenza di deficit AAT (deficit di alfa 1-antitripsina (AAT) è una condizione genetica che aumenta il rischio di malattie polmonari e/o epatiche) 3. Evidenza / monitoraggio di una condizione di flogosi 4. Evidenza / monitoraggiodi una condizione di ipo/iper gammaglobulinemia 5. Rilevazione / monitoraggio delle componenti monoclonali La richiesta è effettuata per queste ragioni così da individuare altre infiammazioni, se presenti ci sarà una variazioni dei picchi. Per quanto riguarda i supporti usati nell’elettroforesi l’acetato di cellulosa è usato poco. Il PAGE è tossico e non è più usato. Viene molto utilizzato invece il gel di agarosio: si scioglie l’agar in un tampone e sulla base di percentuale di agar che inserisco nella soluzione posso creare delle maglie più o meno gandi per far passare le particelle che mi servono sualla base delle loro dimensioni. Le proteine vengono separate in base alla carica e al peso molecolare. L’elettroforesi, come possiamo osservare nell’immagine sottostante ci mostra i picchi delle proteine plasmatiche che identifichiamo, le quali in questo caso sono integrate utilizzando un programma di densitometria. Il risultato è questo protidogramma (ogni lane, pozzetto, è un paziente): Sono 13 lane che rappresentano situazioni diverse, la banda più in alto rappresenta l’albumina, in cui i picchi α1 e 2, β (di solito è unico, raramente si trova diviso in due parti), γ sono più sbiaditi. Nella lane 3 - 6 - 10 - 13 c’è il picco γ molto evidente che da l’idea della presenza di una componente mono o poli clonale che darà informazioni diverse: - Monolonale = linfoma/mieloma, - Policlonale = infezione virale o problema fegato che non catabolizza immunoglobuline e si accumulano. Il protidogramma che si ottiene non è così specifico perchè ci da un’idea globale della situazione di un paziente se vi è il sospetto di una patologia o se si vuole eseguire un monitoraggio. Le proteine totali quindi si distinguono in albumina e globuline ed è molto importante il rapporto che c’è fra queste due frazioni detto rapporto albumina/ globuline. Per rilevarlo costruiamo una frazione, in cui: 21 - al numeratore c’è la concentrazione dell’albumina - al denominatore c’è quello delle globuline. Questo rapporto, in condizioni normali, è al di sopra dell’unità. Se è più piccolo, si dice che abbiamo a che fare con un rapporto invertito ed è un indice di patologia. Esempio di tracciato elettroforetico delle proteine del siero: 22 Proteine plasmatiche di fase acuta - ALBUMINA→ È la proteina più sintetizzata dal fegato e più presente nel torrente circolatorio, con funzione nutritiva. È coinvolta nel mantenimento della pressione osmotica, rimozione radicali liberi e trasporto molecole. - ALFA-1-ANTITRIPSINA→ Prodotta dal fegato, aumenta durante l’infiammazione e il ruolo fisiologico è inibire le proteasi durante l’infiammazione. Un suo aumento può significare: sindrome nefrosica, epatopatia terminale, pancreatite acuta, infiammazione acuta. Identifica condizioni aspecifiche, tuttavia, che dovranno essere poi approfondite. - APTOGLOBULINA→ Aumenta durante l’infiammazione e lega con alta affinità l’emoglobina. Valori alti possono identificare emolisi o, se aumentano anche le atre proteine plasmatiche, infiammazione. - CERULOPLASMINA→ È sintetizzata dal fegato, ha il compito di legare il rame e trasportarlo. Aumenta in infezioni acute e neoplasie ma diminuisce se presente il morbo di Wilson. - TRANSFERRINA→ È sintetizzata dal fegato, ha il compito di legare il ferro. Diminuisce durante l’infiammazione, anemie e epatopatie. Aumenta in casi di ferro carenziali. - Β2 MICROGLOBULINA→ È sintetizzata dai linfo B. Aumenta durante l’infiammaizone. Essendo molto piccola ci indica la presenza e la sede del danno renale: è molto piccola e se si accumula nel torrente circolatorie la localizzazione della problematica è nel glomerulo, se si accumula nellu urine c’è un porblema al tubulo che non riassorbe bene. - FRAMMENTO C3 e FIBRINOGENO→ Aumentano in caso di infiammazione, il fibrinogeno contestualmente alla VES - PROTEINA C REATTIVA→ Si trova tra il picco β e γ, è un marker di monitoraggio ma il compito fisiologico è di opsonizzare le molecole che devono essere fagocitate. ALBUMINA ALBUMINEMIA : 3,5 –5,0 g/dl a) al di sotto di 3,2 g/dl si definisce una situazione indicata come IPOALBUMINEMIA → EDEMA b) al di sotto dei 2,5 g/dl → ASCITE L’ipoalbuminemia può indicare problemi a carico del fegato che non la sintetizza o a carico dei reni che ne perdono (albuminuriea) GRADO DI PRODUZIONE influenzato c) dalla disponibilità di aminoacidi d) dai livelli di citochine inibitorie (es. IL-6) e) dal numero di epatociti funzionanti. Ci sono dei quadri caratteristici che sono valutati in base all’infiammazione acuta/cronica esaminando le proteine 23 in maniera indipendente. ALFA 2 GLOBULINE: di questa classe, sono invece importanti due proteine: 1) l’aptoglobina, una glicoproteina sintetizzata dal fegato, svolge l’azione di antiossidante e di scavenger dell’emoglobina libera. La sua sintesi nelle cellule epatiche aumenta per stimolo delle citochine pro infiammatorie. Valori di riferimento 0,3- 2,0 g/L. 2) La ceruloplasmina è una glicoproteina il cui compito è di ossidare il rame, legarlo e trasportarlo nei tessuti. Valori di riferimento 0,2-6,0 g/L. Diminuzioni clinicamente significative sono presenti nel difetto di sintesi ereditario o ad esempio nella malattia di Wilson (un difetto autosomico recessivo del metabolismo del rame). La sintesi della proteina è estrogeno dipendente e quindi concentrazioni elevate si trovano in gravidanza e in corso di somministrazione di estrogeni in meno- pausa. Aumenta negli stati infiammatori DIAGNOSI DIFFERENZIALE: L’incremento contemporaneo di altre proteine di fase acuta permette di distinguere aumenti della aptoglobina dovuti ad emolisi da quelli consensuali con altre proteine in corso di processi infiammatori 24 BETA GLOBULINE: proteine prodotte dal fegato che vengono rilasciate nel sangue in presenza di un processo infiammatorio oppure in corso di alcune malattie. Sono suddivise in due gruppi, beta 1 (transferrina) e beta 2 globuline (B2-microglobulina, complemento, fibrinogeno, proteina c reattiva), il cui valore aumenta o diminuisce in parallelo. ¨ Transferrina, principale proteina che veicola il ferro, sintetizzata e secreta dal fegato. La sintesi diminuisce in caso di flogosi e aumenta in caso di abuso di alcool ¨ B2-microglobulina è una piccola glicoproteina identificata come catena leggera degli antigeni del complesso maggiore di istocompatibilità di classe I è implicata nel processo di presentazione degli antigeni agli appropriati T-linfociti CD8+. Viene rilasciata nel sangue da linfociti B e da cellule tumorali. Il suo basso peso molecolare (11,8kDa ne consente un’efficiente filtrazione glomerulare che comporta un’emivita breve 1,5h. la sintesi della B2-microglobulina aumenta in corso di flogosi. Elevati valori di B-2microglobulina permettono di differenziare il danno glomerulare da quello tubulare: la B-2microglobulina aumenta nel siero dei pazienti con danno glomerulare (la proteina viene scarsamente filtrata e si accumula nel sangue e quindi nei tessuti), mentre aumenta nelle urine dei pazienti con danno tubulare (a causa del ridotto catabolismo/riassorbimento a livello del tratto tubulare). ¨ La proteina C3 è costituita da due catene polipeptidiche, peso di 70kDa. Ha emivita di 2 giorni. Aumenta nella risposta infiammatoria ¨ Fibrinogeno è una glicoproteina plasmatica, è un fattore plasmatico della coagulazione sintetizzato dal fegato. Il livello di fibrinogeno aumenta con le altre proteine di fase acuta fino a valori anche superiori ad 1,0 g/L. In tali casi anche la VES aumenta in maniera marcata. Si osservano valori aumentati in gravidanza e con assunzione della pillola anticoncezionale. Livelli bassi indicano attivazione della coagulazione. 25 GAMMA GLOBULINE: si tratta dell’ultimo picco e in questa zona possiamo rilevare i segnali delle malattie che si chiamano linfoproliferative (linfoma, mieloma, malattie benigne e maligne). Noi abbiamo tanti tipi di linfociti, ognuno producente un diverso tipo d’immunoglobulina. Quando sono funzionanti tutti si ha una produzione policlonale di immunoglobuline ad allora il picco manifesta la presenza di tutte queste. Se il fegato non funziona, queste vengono prodotte in maniera eccessiva, in quanto non riesce ad esplicare l’attività catalitica. Questa situazione si chiama linfoproliferazione cronica. Nel caso in cui un unico clone di linfociti si attiva e quindi un unico tipo di immunoglobuline e questo si evidenzia con un picco a base stretta VES velocità di eritrosedimentazione Misura la rapidità con cui le emazie sedimentano nel sangue, determina indirettamente il grado di infiammazione presente nell’organismo. È alta nelle gammopatie monoclonali e quindi nei linfomi, nei mielomi. La provetta usata sarà con anticoagulante e la VES è espressa in millimetri di sedimento prodotti in un’ora. È un esame di laboratorio che viene comunemente richiesto nella pratica clinica ma è altamente aspecifico (anche se aumenta sempre per una ragione). Rappresenta un esame di 1° livello, la cui determinazione è poco costosa, semplice, e fornisce un’indicazione generica sulla presenza di una condizione di alterazione di natura infiammatoria che potrà essere individuata con metodologie più specifiche. Quindi possiamo considerarla una SPIA d’ALLARME. È usata una provetta anticoagulante e sono calcolati i mm/h (ora) degli eritrociti che si impilano uno sopra l’altro. L’aggregazione dei globuli rossi è ostacolata dalle cariche elettriche delle loro membrane e favorita dalle proteine dell’infiammazione. La carica negativa della superficie dei globuli 26 rossi fa si che gli eritrociti si respingano tra loro; tuttavia, tale negatività potrebbe essere neutralizzata la presenza di proteine plasmatiche con carica positiva (proteine di fase acuta) che favoriscono perciò l’aggregazione degli eritrociti. La VES è regolata dall’equilibrio tra i fattori PRO-Sed (proteine, in particolare fibrinogeno, proteina C reattiva, le IgM, è l’alfa-1-macroglobulina). Tra i fattori CON-Sed (carica negativa degli eritrociti). Gli aggregati che si formano sono detti rouleaux e sono costituiti da eritrociti impalati gli uni sugli altri. I valori più elevati si rilevano nelle neoplasie specie metastatiche, malattie ematologiche (mieloma), malattie del collageno, malattie renali con insufficienza renale, infezione. 27 Esame Medicina di Laboratorio – Biochimica clinica Docente Antonio Noto Lezione 5 Sbobinatori Francesca Garau, Martina Putzu Il professore afferma che a fine lezione lascerà una slide con gli argomenti per il compito di gennaio: lui preparerà 15 domande, mentre 35 le farà Professor Atzori. Argomenti trattati oggi 1. Emocromo e Striscio di sangue 2. Diagnosi e Valutazione del bilancio marziale 3. Dosaggio degli ormoni tiroidei 1a. Emocromo Prima di affrontare l’emocromo, ripassiamo l’ematopoiesi. È il processo di produzione delle cellule del sangue che avviene nel midollo osseo, il quale si trova in vari segmenti scheletrici (estremità prossimale delle ossa lunghe, nelle coste, sterno, bacino, scapole etc.). Inizia a partire dalla cellula staminale ematopoietica multipotente (emocitoblasto), dalla quale si differenziano due progenitori comuni: il mieloide comune e il linfoide comune. Dal linfoide si differenziano le cellule Natural Killer, i linfociti T e B, poi attivati in plasmacellule. Dal mieloide comune si differenziano i megacariociti, quindi le piastrine (trombociti), e poi gli eritrociti, i mastociti e i mieloblasti, che a loro volta si differenzieranno in basofili, neutrofili, eosinofili, monociti quindi macrofagi. Queste sono le popolazioni di cellule che valutiamo con l’emocromo. L’emocromocitometrico è un esame molto utile per contare le diverse popolazioni del sangue e calcolare alcuni parametri ematici qualitativi. Chi fa questo esame deve osservare un digiuno di almeno 12 ore e non deve fare attività fisica o stressogena in queste 12 ore. L’operatore deve utilizzare una provetta adeguata (con EDTA) e dovrà raccogliere il volume corretto che sarà miscelato evitando errori pre-analitici. Le finalità dell’emocromo sono di screening, diagnosi o monitoraggio: - Screening, ad esempio per studiare la talassemia 1 - Ipotesi diagnostica per patologie quali anemie, infezioni, infiammazione, disordini della coagulazione o leucemia - Monitorare per valutare l’efficienza della terapia C’è stata un’evoluzione per quanto riguarda le metodiche utilizzate per analizzare il sangue: - In passato si utilizzavano strumenti rudimentali, soprattutto le cellule rosse venivano contate con la pipetta contaglobuli o con una camera contaglobuli, avendo cosí una stima imprecisa. Le cellule bianche venivano invece contate tramite il microscopio sullo striscio di sangue, avendo comunque una stima imprecisa. - Oggi, con l’avanzamento tecnologico usiamo dei citometri che forniscono una stima più precisa. Questi analizzatori automatici si basano sul principio di Coulter: tramite un fascio laser che attraversa la cellula e sulla base della sua dispersione e del suo assorbimento ricavando informazioni sulle caratteristiche strutturali della cellula. L’emocromo misura: 1. Eritrociti: - Eritrociti (RBC) - Ematocrito (Ht) volume di globuli rossi contenuti nel plasma - Emoglobina (Hb) - Indici eritrocitari: MCV, MCH, MCHC, RDW 2. Reticolociti; indice della funzione midollare, espressa in %, calcolando i più immaturi, quelli intermedi e quelli più maturi: più immaturi sono, maggiore è l’RNA nelle cellule 3. Piastrine (PLT) e Indice piastrinico PDW 4. Leucociti (neutrofili, eosinofili, basofili, linfociti, monociti) Vedremo i parametri riassunti in una tabella molto utile con sigla, definizione e intervalli di riferimento. È molto importante tenere presente della differenza di genere, perché il sesso femminile presenta percentuali di concentrazioni diverse da quelle del sesso maschile, soprattutto per numero di eritrociti, ematocrito e emoglobina. Tutto ciò è importante nella diagnosi di patologie. 2 Vediamo un esempio di emocromo. Sulla sinistra sono presenti i nomi dei parametri studiati, molto spesso sotto acronimi, nella parte centrale la stima dei parametri, poi sulla destra vediamo gli intervalli di riferimento. In questo esempio alcuni parametri sono all’interno degli intervalli di riferimento e altri no: lo strumento rileva l’anomalia attivando e riportando delle frecce o asterischi evidenziando i valori fuori dai valori. Questo referto verrà fornito poi al clinico per capire di che situazione si tratti. Approfondiamo i singoli parametri. Eritrociti (RBC) Gli eritrociti contengono emoglobina e sono i veicoli degli scambi gassosi trasportando O2 e CO2. Hanno un diametro di 7-8 micron e una vita media di 120 giorni. Parametri di riferimento: -nell’uomo 4-6 x 10ˆ12 L -nella donna 4-5,3 x 10ˆ12 L. Il Sistema Internazionale ha deciso di esprimerlo in litri. Bisogna controllare se il numero di eritrociti aumenta o diminuisce. Si possono verificare: - Aumenti veri: nelle popolazioni che vivono ad alta quota - Aumenti falsi: nel caso di disidratazione oppure diarrea - Diminuzioni vere: nell’emorragia oppure per riduzione dell’eritropoiesi - Diminuzioni false: emodiluizione in gravidanza Ematocrito (Ht) Esprime la percentuale che rappresenta il volume occupato dai globuli rossi nel plasma del sangue periferico circolante. L’intervallo di riferimento: -nell’uomo tra 42 e 52 % -nella donna tra 37 e 46% Alterazioni dell’ematocrito: - sua diminuzione: anemie microcitiche ipocromiche, nella patologia neoplastica - suo aumento: nei soggetti che vivono ad altitudini elevate, nell’emoconcentrazione, nella poliglobulia, nella policitemia e anche nella patologia neoplastica. Emoglobina (Hb) È una proteina globulare che ha 4 sub unità, è contenuta nei globuli rossi (circa 300 milioni per globulo rosso). Ha la funzione di trasporto di gas. Intervallo di riferimento espresso in grammi/decilitro: -uomo 13-17 g/dl (in alcuni testi fino a 18) -donna 12-16 g/dl Sotto questa soglia abbiamo stati patologici, ad esempio di anemia. Più si scende sotto il valore, più grave è la situazione clinica. Indici eritrocitari indiretti - MCV: volume corpuscolare medio, indica la dimensione singolo globulo rosso. Si calcola con una frazione che pone al numeratore l’ematorcito e al denominatore il numero degli eritrociti: Ht/RBC. Intervallo di riferimento: 82-97 fL. 3 Utile a capire se le cellule siano normociti (82-97), microciti (97). Importante per la classificazione delle anemie. - MCH: emoglobina corpuscolare media, costituisce il peso del contenuto emoglobinico per singola cellula (indica il contenuto del singolo globulo rosso in media) espresso in picogrammi (pg). Intervallo di riferimento: 27-33 pg. Si calcola con una frazione con numeratore la concentrazione di emoglobina e al denominatore il numero degli eritrociti: Hb/RBC. - MCHC: concentrazione dell’emoglobina corpuscolare media in un determinato numero di globuli rossi in g/dL. Si calcola con rapporto tra emoglobina e ematocrito: Hb/Ht (conclusione dedotta dal fatto che MCHC= Hb/RBC facendo le sostituzioni). Intervallo di riferimento: 32-36 g/dL. Utile a capire se la situazione è di normocromia o, sotto il valore, di ipocromia. Sopra i 37 è il caso di un errore strumentale perché si supera la solubilità dell’emoglobina. - RDW: ampiezza di distribuzione delle emazie, espresso in %, indica differenze di forma e dimensione dei globuli rossi/ Intervallo di riferimento: 11,5-14,5 %. Utile a studiare le anisocitosi (differenze tra le misure dei globuli rossi) o le poichilocitosi (differenze nella forma). Spesso si osserva una contestuale anisopoichilocitosi. Reticolociti Globuli rossi parzialmente maturi rilasciati in circolo dal midollo osseo. Privi di nucleo, contengono RNA. Indice della funzione midollare, espressa in %. Intervallo di riferimento: 0.8-2.5% del totale degli eritrociti. Valori al di sotto-> eritropoiesi diminuita. In questa immagine possiamo vedere come distinguere le popolazioni di reticolociti in: -low (L), maturi, molto popolosi -medium (M), intermedi -high (H), i più immaturi, con maggior contenuto di RNA, poco popolosi Piastrine, Frammenti citoplasmatici, hanno delle dimensioni che vanno da 2 a 4 micron. Sono coinvolte nei processi dell’emostasi Intervallo di riferimento: 140-440 x 10^9 L. Leucociti Principali attori della difesa immunitaria spcifica/innata, divisi in tre grandi popolazioni: - Granulociti polimorfonucelati (PMN): neutrofili, eosinofili, basofili - Linfociti - Monociti Sono espressi nell’emocromo attraverso la formula leucocitaria, che esprime la % di cellule all’interno del nostro campione: -Neutrofili 40-75%, i piú popolosi; intervallo di riferimento: 1,5- 8,5 x 10^9 L -Linfociti 20-45%; intervallo di riferimento: 1-4 x 10^9 L -Monociti 3-8%; intervallo di riferimento: 0,1-0,8 x 10^9 L -Eosinofili 1-7%; intervallo di riferimento: 0,00-0,06 x 10^9 L -basofili 0-1%; intervallo di riferimento: 0,0-0,2 x 10^9 L Si possono contare i globuli bianchi in maniera automatica con ad esempio il citofluorimetro, basandosi sul volume e l’attività delle perossidasi della cellula. Possiamo notare diverse zone: 4 Zona A-> volume basso e bassa attività perossidasica, ossia linfociti e basofili; Zona B (LUC, Large Unstained Cells)-> volume maggiore e scarsa attività perossidasica; cellule in questa zona sono un segno patologico, quindi blasti o cellule immature della serie mieloide o eritroide Zona C -> media attività perossidasica, più grandi, ossia monociti Zona D-> alta attività perossidasica, volume maggiore, ossia neutrofili Zona E-> elevata attività perossidasica, piccolo volume, ossia eosinofili Caratteristiche (si limita a leggere le slides): referenza referenza referenza referenza 5 referenza Con l’emocromo possiamo identificare tutte le alterazioni a carico dei leucociti come: - Leucocitosi, aumento dei leucociti oltre 11 x 10ˆ9 L: _neutrofilia, aumento dei neutrofili maturi causata da batteri, intossicazioni, infiammazioni, o aumento dei neutrofili immaturi causata da malattie mieloproliferative _linfocitosi, in infezioni virali o reazioni da farmaci, leucemia _monocitosi, la ritroviamo nelle malattie infiammatorie, e nei disordini ematopoietici a carico dei neutrofili immaturi la rivediamo nelle malattie mieloproliferative. _eosinofilia, aumento degli eosinofili nelle malattie allergiche, nelle parassitosi e nella psoriasi _basofilia, più rara, si identifica in malattie linfoproliferative - Leucopenia, riduzione dei leucociti sotto 4 x 10ˆ9 L _neutropenia, una riduzione dei neutrofili causata da infezioni batteriche gravi (setticemie), infezioni virali, radiazioni, farmaci mielotossici _linfopenia, la individuiamo in casi di trattamenti di chemioterapia oppure radioterapia, corticosteroidi o nell’AIDS 1b. Striscio di sangue periferico Qualora vi sia una qualche alterazione nell’emocromo il clinico può richiedere lo striscio di sangue come esame di approfondimento. In questa slide vediamo riassunti gli step della procedura: 1) Depositare una goccia di sangue intero ad una estremità del vetrino 2) Utilizzare un altro vetrino per poter fare fisicamente lo striscio (questo vetrino dovrebbe avere i lati smussati per non rovinare il campione) 6 3) Avvicinarsi alla goccia che per capillarità si spanderà sul bordo e poi strisciare velocemente il vetrino. Se fatto correttamente sarà costituito da una testa, un corpo (la parte più popolata di cellule) e una coda. Una volta strisciato dovremo colorarlo: Colorazione Wright o May-Grunwald Giemsa: Blu di metilene (lega componenti acide): acidi nucleici e proteine (viola/blu); Eosina (lega componenti basiche): citoplasma ed emoglobina (rosa/arancio ) Colorazione classica delle diverse popolazioni cellulari: RBC: rosa pallido/arancio WBC: nuclei blu/viola; se PMN: -Neutrofili: granuli leggermente azzurrofili -Eosinofili (basici): granuli rosa/arancio intenso -Basofili (acidi) granuli blu/viola In uno striscio apprezzeremo, ad esempio, condizioni fisiologiche di dimensioni e forma degli eritrociti, ma anche patologiche, come la tipica forma a ‘’falce’’ dell’anemia falciforme. Possiamo identificare eritrociti non maturi e altro, come aggregati piastrinici. Importante è poi la valutazione della popolazione dei globuli bianchi. Analisi: Cellula: -Dimensioni -Morfologia -Colore Nucleo -Dimensioni -Morfologia (unico, lobulato, segmentato) -Posizione -Colore -Rapporto nucleo/citoplasma -Cromatina (disposizione, densità, tessitura) -Nucleoli Citoplasma -Dimensioni -Colore -Granulazioni -Inclusioni 7 Nell’immagine a lato: - PMN: -Neutrofilo: nucleo blu e azzurrino il citoplasma. -Basofili: nucelo nascosto e granuli intensi, blu viola -Eosinofilo: nucleo blu bilobato e granulociti in arancio - Monocita: nucleo grande - Linfocita: nucleo che occupa tutta la porzione cellulare Gli strumenti di Lab hanno la capacità di identificare la presenza di blasti, cellule immature che sono presenti di solito all’1% nel midollo e non presenti solitamente nel sangue periferico. Se presenti sono segno di patologia pre- neoplastiche o neoplastiche del comparto ematopoietico. Il blasto è caratterizzato dall'essere una cellula molto grande, rapporto citoplasma/nucleo spostato verso il nucleo, addensamenti di cromatina e presenza di nucleoli. Se si trovano i blasti in circolo va richiesta una caratterizzazione immunofenotipica. Se si identificano i blasti, lo step successivo sarà identificare di che tipo di blasto si tratti usando anticorpi monoclonali verso antigeni di membrana (Cluster of Differentiation), che restituiscono il grado di differenziazione ma anche il tipo di cellula che abbiamo identificato. Gli anticorpi monoclonali che utilizziamo sono legati a dei fluorocromi che possiamo eccitare con il citofluorimetro, così da avere un’idea del volume e della complessità della cellula. Quindi, osservando la figura, possiamo identificare una situazione normale (sulla sinistra), in cui le popolazioni dei bianchi sono ben distribuite mentre possiamo avere una situazione differente (sulla destra), che ci può far ipotizzare la presenza di una patologia, quella che è definita una “fiammata cellulare”, in quanto si vanno ad identificare una serie di cellule atipiche (questo può far pensare alla presenza di una patologia neoplastica), perciò a seconda della cellula che si va ad identificare avremo dei cluster of differentation che saranno tipici per quella cellula, così come il loro grado di differenziamento. Sulla base dei risultati che otteniamo al citofluorimetro si potrà valutare che tipo di prematurità presenta la cellula che viene analizzata. ESEMPIO: Un paziente presenta dei sintomi, perciò il medico prescrive un emocromo. L’emocromo presenterà numerose variazioni a carico della linea bianca e della linea rossa perciò verrà richiesto lo striscio di sangue; con esso si vanno ad identificare numerose cellule che verranno descritte dal laboratorista come blasto compatibili con la linea mieloide. Quindi sulla base del referto del laboratorista, il medico utilizzando i dati clinici, i dati del paziente e i dati del laboratorio potrà ipotizzare che si tratta di una leucemia mieloide acuta. In seguito, il medico richiederà un approfondimento specialistico, tra cui la caratterizzazione immunofenotipica e sulla base del risultato ottenuto in laboratorio si potrà confermare se vi è una compatibilità fenotipica con LAM, infine il medico farà la diagnosi definitiva di leucemia mieloide acuta. 8 2. Diagnosi e Valutazione del bilancio marziale Le anemie Il termine anemia indica la riduzione di emoglobina circolante nel sangue periferico all’interno degli eritrociti. Si pone diagnosi generica di anemia quando la concentrazione di emoglobina è inferiore a 12,5 g/dl nell’ uomo e a 11,5 g/dl nella donna. Successivamente, fermo restando una riduzione dell’emoglobina, un parametro che si andrà ad osservare è l’MCV (volume corpuscolare medio). L’MCV laddove presenti dei valori tra gli 82-97 fl (femtolitro) si avrà una condizione normocitica (come si osserva a sinistra nella figura al lato), mentre se i valori di MCV sono al di sotto di 82 fl si avrà una condizione microcitica (come si osserva al centro della figura al lato), se i valori di MCV sono superiori a 97 fl, invece, si avrà una condizione macrocitica (come si osserva a destra nella figura al lato). La figura più in basso in cui vi è scritto doppia popolazione indica una trasfusione, questa è solitamente rappresentata da due picchi. Quindi l’MCV è molto importante per la diagnosi di anemia. Nella figura a lato possiamo vedere un emocromo in cui vi è una riduzione degli eritrociti, dell’emoglobina e dell’ematocrito, mentre tutti gli altri parametri si trovano dentro l’intervallo di riferimento. Di che tipo di anemia si tratta? Anemia normocitica (guarda MCV) normocromica (guarda MCH e MCHC). Un altro parametro importante è rappresentato dal numero dei reticolociti, qualora siano diminuiti o aumentati si possono manifestare patologie molto diverse. Se osserviamo l’emocromo che abbiamo analizzato precedentemente si osserva che il numero dei reticolociti è inferiore (8,7%) rispetto alla norma, si dovrà andare ad analizzare anche il numero di leucociti e piastrine; questi sono nell’intervallo di riferimento perciò l’ipotesi diagnostica che possiamo fare è di anemia da malattia cronica. Le anemie da malattia cronica possono essere a varia eziologia, possono essere dovute a: - infezioni subacute croniche - disordini immunitari cronici - neoplasie. Ovviamente saranno necessari altri esami per identificare la causa. Si analizza un ulteriore emocromo. 9 I leucociti sono all’intervallo, i globuli rossi sono aumentati, l’emoglobina è ridotta, l’ematocrito è ridotto, l’MCV e l’MCH sono ridotti, l’MCHC e le piastrine sono all’intervallo. Di che anemia si tratta? Anemia microcitica ipocromica (potrebbe essere un’anemia sideropenica, sideroblastica o una talassemia). Un ulteriore esempio: Si tratta sempre di un’anemia microcitica ipocromica, ma abbiamo un’informazione in più: il numero di piastrine è superiore rispetto alla norma. Questo valore indica una trombocitosi tipica dell’anemia sideropenica, però la diagnosi potrebbe essere anche quella di talassemia o anemia da disordine cronico. Infine viene analizzato un ultimo caso: I globuli bianchi sono all’intervallo, gli eritrociti, l’emoglobina e l’ematocrito sono ridotti, l’MCV e l’MCH sono aumentati, l’MCHC è all’intervallo e le piastrine sono ridotte. Di cosa si tratta? Anemia macrocitica; quando l’MCV supera i 115 fl viene chiamata megaloblastica. Questa può essere causata da deficit di acido folico e vitamina B 12, da sindromi mielodisplastiche e anemia aplastica. La prevalenza delle anemie del mondo è molto elevata, circa 2 miliardi di persone sono affette da questa patologia. Si tratta prevalentemente di bambini in età prescolare e di donne in età riproduttiva. L’anemia maggiormente diffusa è l’anemia sideropenica. Cause importanti che possono portare a tale condizione sono: emoglobinopatie, infezioni, malattie renali croniche, condizioni gastrointestinali e ginecologiche. Inoltre attraverso una mappa creata dalla World Health Organization e UNICEF si evincono quali sono gli stati e le nazioni maggiormente colpite. Tra questi Sud America, Africa, Penisola arabica, alcune isole che si affacciano nell’Oceano Indiano e Pacifico. Lo Stato in cui vi è una prevalenza maggiore di persone affette da anemia è lo Yemen, questo è dato prevalentemente da un problema di malnutrizione. Classificazione delle anemie Le anemie le possiamo classificare sulla base della loro patogenesi, sulla dimensione dei globuli rossi e sul contenuto dell’emoglobina. Sulla base della loro patogenesi possiamo classificare: 10 Ø Anemie da alterata produzione eritrocitaria, queste comprendono: Anemie da occupazione dello spazio midollare (metastasi ossee, localizzazione linfomatose e mielomatose) Anemie da alterata proliferazione e differenziazione delle cellule staminali (anemia aplastica, sindromi mielodisplastiche, insufficienza renale cronica, disordini endocrini) Anemie da alterata sintesi del DNA (carenza da vitamina B 12 e folati) Anemie da alterata sintesi dell’emoglobina (sideropenia, talassemia, anemia falciforme) Ø Anemie da alterata distruzione eritrocitaria, queste comprendono: Ø Anemie da iperemolisi (anemie emolitiche): - Da difetti intraglobulari (sferocitosi, carenze enzimatiche, emoglobinuria parossistica notturna). - Da difetti extraglobulari ( da autoanticorpi, da agenti meccanici, chimici, microorganismi, iperpslenismo). Ø Anemie da perdite ematiche, emorragia acuta. Sulla base delle dimensioni dei globuli rossi si possono classificare: Ø Anemie microcitiche: Presentano un MCV inferiore a 80 fl (anemia sideropenica, anemia da malattia cronica, talassemia). Ø Anemie normo-macrocitiche: Presentano un MCV compreso tra 80-110 fl, si valuta la percentuale dei reticolociti. Se questi presentano una concentrazione normale si verificherà un’ emorragia acuta, se sono diminuiti si avrà un deficit midollare, se i reticolociti sono aumentati si avrà un’anemia emolitica. Ø Anemie megaloblastiche: Presentano un MCV superiore a 115 fl. Le anemie si possono classificare anche in base al contenuto di emoglobina: Ø Anemie normocromiche Ø Anemie ipocromiche Queste vengono diagnosticate in base ai valori dell’MCH e MCHC. Allo strumento si possono osservare le varie popolazioni cellulari sulla base dell’acromia del colore e sulla base della grandezza delle cellule. 11 Flow-chart diagnostico Qualora si volesse compiere un flow-chart diagnostico per quanto riguarda le anemie, il primo parametro che si va a valutare è la riduzione dell’emoglobina. Se il suo valore è inferiore a 11,5g/dl si potrà fare una diagnosi generica di anemia. Il secondo parametro da prendere in considerazione è l’MCV, che consente di classificare le anemie in normocitiche, macrocitiche e microcitiche. Il terzo parametro da prendere in considerazione è rappresentato dall’MCH e l’MCHC, questi consentono di classificare le anemie in normocromiche e ipocromiche. Anemie da alterata produzione eritrocitaria [Il professore prima di introdurre l’argomento fa un piccolo remainder in cui evidenzia la differenza tra ematopoiesi e eritropoiesi: Nell’ematopoiesi tutte le cellule derivano da un’unica cellula progenitrice, essa è una cellula staminale multipotente. Mentre l’eritropoiesi è un fenomeno stimolato da una glicoproteina ovvero l’eritropoietina (EPO) prodotta dalle cellule iuxta-glomerulari del rene, sensibile alle variazioni delle pressioni variabili dell’ossigeno. Nei feti l’eritropoietina tende ad aumentare a causa della diminuzione della pressione parziale d’ossigeno o ridotta disponibilità d’ossigeno nell’ambiente. Questa glicoproteina diminuisce per malattie renali, in quanto prodotta proprio dalle cellule iuxta- glomerulari.] a) Anemia da insufficienza renale cronica Patologia causata da un danno renale, si avrà una riduzione dell’eritropoiesi e in concomitanza si avrà un’aumentata distruzione dei globuli rossi perché l’emolisi sarà indotta dall’uremia, caratteristica dell’ultimo stadio da insufficienza renale. La diagnosi di anemia renale si basa: Ø Test di primo livello: l’emocromo risulterà essere caratterizzato da una riduzione di emoglobina, sarà normocitica e si evidenzierà una reticolocitopenia. Ø Test di conferma: verrà confermata l’insufficienza renale cronica (velocità di filtrazione renale, creatinina, proteinuria, marker di danno renale). b) Anemia da alterata sintesi del DNA Patologia causata dalla carenza di vitamina B12 e acido folico, questi rappresentano dei fattori critici per la sintesi del DNA. A seguito di una deficienza di vitamina B12 e acido folico avremo una ritardata sintesi del DNA, ciò porta al rallentamento della divisione cellulare e a una crescita citoplasmatica inalterata. Questo porta come conseguenza a precursori eritroidi più grandi (megaloblasti) i quali saranno più fragili e soggetti maggiormente a morte intra-midollare. I macrociti presenteranno una riduzione della vita media e per questo verranno rimossi precocemente dal circolo sanguigno. 12 In laboratorio all’emocromo si potrà notare un ridotto numero di eritrociti, la diminuzione dell’emoglobina, l’MCV e l’MCH saranno aumentati e l’RDW sarà ridotto. Nello striscio di sangue si può evidenziare: macrocitosi, anisocitosi (variazione delle dimensioni dei globuli rossi) e poichilocitosi (variazione nella forma dei globuli rossi). c) Anemia da alterata sintesi dell’eme Questa patologia comprende l’anemia sideropenica, essa rappresenta uno dei disturbi nutrizionali più frequenti in assoluto. È un’anemia microcitica ipocromica le cui cause sono un’aumentata richiesta di ferro, ciò succede nei casi di: - Crescita rapida - Gravidanza - Allattamento - Introito inadeguato di ferro (dieta priva di Fe) - Deficit di assorbimento (celiachia) - Perdita cronica (mestruazioni, emorroidi, salassoterapia) Bilancio marziale Omeostasi del ferro Il ferro è un elemento fondamentale per il nostro organismo, ma allo stesso tempo potrebbe risultare estremamente dannoso qualora non dovesse essere regolata la sua concentrazione. Accumuli di ferro possono causare tossicità agli organi e la formazione di radicali liberi dell’ossigeno. Il ferro allo stesso tempo è fondamentale per il corretto funzionamento degli enzimi, per il trasporto dell’ossigeno e dell’anidride carbonica. Il nostro organismo contiene 4 grammi di ferro e ogni giorno ne perdiamo circa 1-2mg i quali devono essere ripristinati, in modo molto preciso attraverso la regolazione del suo riassorbimento a livello duodenale. Inoltre dobbiamo considerare che il nostro midollo osseo produce 2 miliardi di globuli rossi al giorno e per compiere ciò ha bisogno del ferro; a tale scopo i globuli rossi al termine della loro vita vengono captati dai macrofagi della milza (eritrofagocitosi) e il ferro viene liberato e rimesso in circolo, attraverso la ferroportina, si lega alla transferrina e attraverso essa ritorna al midollo. La transferrina trasporta il ferro verso organi vitali come cuore e fegato, dove verrà immagazzinato nelle molecole di ferritina. Parametri da considerare I parametri che si valutano per quanto riguarda il bilancio marziale sono: Ø La sideremia, indicatore della quantità di ferro legato alla transferrina. Ø La transferrina, proteina che lega il ferro e ne promuove il trasporto; per quanto riguarda questa proteina dobbiamo prendere in considerazione due parametri: - TIBC (total iron binding capacity): La possibilità totale di legame con il ferro, ovvero la capacità totale della transferrina di legare ferro. 13 Questo valore prende in considerazione tutti i siti di legami della transferrina per il ferro, anche quelli vuoti. - UIBC (unsaturated iron binding capacity): Indica la parte rimanente, determina la capacità di riserva, cioè la parte di transferrina senza il ferro legato che può ancora andare a legarlo. La percentuale di saturazione della transferrina. I valori di riferimento dei tre parametri sono i seguenti: Per comprendere maggiormente l’importanza della transferrina il professore fa un esempio. Immaginiamo la TRANSFERRINA come un treno merci costituito da dieci vagoni che possono caricare un totale di dieci pacchi di Fe: questo rappresenta la capacità di legame totale (TIBC), ovvero la quantità totale di Fe che la transferrina può legare. Mettiamo che dei dieci vagoni sei rimangono vuoti, per cui la quota non saturata è di sei e questo indica la UIBC. Dei dieci vagoni quindi ce ne sono quattro che trasportano Fe: questo quattro indica la SIDEREMIA, ovvero quanto Fe è legato alla transferrina. Perciò: SIDEREMIA = TRANSFERRINA+Fe UIBC = TRANSFERRINA-SIDEREMIA TIBC = Quantità totale di transferrina che può legare il Fe COEFFICIENTE DI SATURAZIONE DELLA TRANSFERRINA = SIDEREMIA:TIBC x 100 Nel nostro esempio, se ci sono dieci vagoni di cui quattro occupati e sei no, il coefficiente di saturazione della transferrina è 40/10 x 100 = 40%. Un ulteriore parametro che viene valutato è la ferritina. La ferritina è la proteina di deposito del ferro che può contenere fino a 4500 atomi di Fe; in condizioni normali vi è un equilibrio fra la ferritina intracellulare e extracellulare. La ferritina intracellulare rappresenta i depositi di ferro e quando questi sono esauriti diminuisce anche la sua concentrazione extracellulare. Gli intervalli della ferritina nella donna sono compresi tra 20-120 mg/ml, mentre negli uomini sono compresi tra 20-200 mg/ml. La ferritina diminuisce in caso di carenza di ferro e aumenta durante il processo infiammatorio (proteina di fase acuta) e nelle anemie. Perciò nella valutazione dell’assetto marziale è fondamentale osservare: - L’emocromo - La sideremia - La transferrinemia - La ferritinia - % di saturazione della transferrina La carenza di ferro nell’anemia sideropenica si può attuare mediante tre fasi: 1. Deplezione delle riserve di ferro 2. Diminuzione saturazione della transferrina, e aumento della sua sintesi 3. Diminuzione della concentrazione di emoglobina 14 In caso di anemia sideropenica in laboratorio all’emocromo avremo: un’emoglobina ridotta, gli eritrociti saranno microciti ipocromici, riduzione dell’MCV, MCH e MCHC e aumento RDW. Allo striscio apprezzeremo un’anisopoichilocitosi e un’ipocromia evidente con deficit di ferro. Per quanto riguarda l’assetto marziale si avrà: - sideremia: diminuita < 40 ug/l - TIBC o UIBC: aumentate - saturazione della transferrina diminuita al 15% - ferritina: diminuita 3. Dosaggio degli ormoni tiroidei La tiroide è una ghiandola costituita da due lobi e un istmo e da da follicoli composti da uno strato di cellule polarizzate (tireociti). Queste cellule producono due ormoni: la triiodiotironina (T3) e la tetraiodiotironina (T4), a fronte di un fabbisogno di iodio di 100-150 microgrammi al giorno. Tutto ciò avviene grazie a un enzima, la tireoperossidasi (TPO), localizzato nella membrana apicale delle cellule follicolari. La TPO è stimolata dalla tireotropina ipofisaria (TSH) perciò il rilascio di T3 e T4 dipende dal rilascio di TSH che varia in maniera sensibile e lineare in seguito alle modifiche di T3 e T4. L’attività biologica propria degli ormoni tiroidei è svolta dalle quote circolari libere: Free T3 (fT3) e Free T4 (fT4). Gli intervalli di questi valori variano: per quanto riguarda fT3 sono compresi tra 2,5-4,5 pg/ml, invece per fT4 sono compresi tra 0,8-1,8 ng/dl. Gli ormoni tiroidei sono fondamentali per il corretto sviluppo e per la corretta differenziazione delle cellule del corpo umano, questi ormoni svolgono varie funzioni: Le variazioni sieriche di TSH riflettono livelli ematici di T3 e T4, quindi una variazione del TSH consente di valutare la funzione tiroidea, eventualmente accompagnato dal rilascio di ormoni liberi fT3 e fT4. Il dosaggio di TSH può essere richiesto in questi casi: 15 Il riscontro di un valore alterato deve essere seguito dalla misurazione di fT4 ed eventualmente fT3. Il TSH può risultare nell’intervallo di riferimento basso o alto - TSH nell’intervallo di riferimento si avrà una condizione di EUTIROIDISMO. - TSH è basso: viene dosata la quantità di fT4, se questa è aumentata si avrà una diagnosi di IPERTIROIDISMO. Se fT4 è dentro l’intervallo di riferimento e se questo è aumentato, si avrà una diagnosi di IPERTIROIDISMO. - Se il TSH è aumentato: si dosa la fT4 ma anche gli anticorpi anti-TPO e se questi sono alterati si avrà diagnosi di IPOTIROIDISMO. Perciò: Se il TSH è diminuito e fT4 è aumentato si avrà una condizione di Ipertiroidismo. Per quanto riguarda la causa etiologica dell’ipertiroidismo, questo può essere dovuto: - Al morbo di Graves - Alla presenza di un adenoma tossico - A un gozzo tossico multinodulare - A una tiroidite - Se si osserva dolore, febbre, aumento di VES e ridotta captazione del radioiodio, l’ipotesi diagnostica è quella della tiroidite sub-acuta - Se si osserva il titolo di TPOab elevato si dovrà ipotizzare una tiroidite autoimmune. Se il TSH è diminuito e fT4 è normale si avrà: ipertiroidismo subclinico (normalità di T3 e T4). Se il TSH è aumentato e fT4 è diminuito si avrà una condizione di ipotiroidismo. L’ipotesi diagnostica principale in caso di diminuzione di fT4 con aumento del TSH è quella di ipofunzione tiroidea. Un aumento del TSH accompagnato da una diminuzione di fT4 e fT3, indica la presenza di un ipotiroidismo primitivo, da terapia chirurgica, da iodio radioattivo, da precedente irradiazione in sede cervicale, da tiroidite autoimmune. 16 La presenza di TPOab orienterà la diagnosi verso una tiroidite autoimmune, mentre la loro assenza verso una delle più frequenti cause di ipotiroidismo, da errori congeniti o fattori acquisiti: per esempio in aree con endemia gozzigena bisogna valutare l’apporto di iodio. Se il TSH è aumentato e fT4 è normale si avrà una condizione di ipotiroidismo subclinico. Quando si osserva un’elevazione del TSH associata a valori normali o ai limiti inferiori della norma del fT4, il percorso diagnostico non è molto differente rispetto al precedente e l’ipotesi diagnostica principale è quella dell’ipotiroidismo subclinico. Un contesto fisiopatologico in cui l’iperincrezione di TSH è ancora in condizione di stimolare la tiroide a produrre. Alla fine della lezione il professore mostra quali saranno gli argomenti che chiederà all’esame: 17 Esame Patologia clinica Docente Prof. Luigi Atzori Lezione n.1 del 18/10/2022 Sbobinatori Elena Cimatti, Nicoletta Putzolu Domande socrative 1. La sensibilità diagnostica di un test indica: A. La percentuale di test negativi che si osserva applicando un determinato test a una popolazione di soggetti sani B. La percentuale di soggetti positivi che si osserva nella popolazione C. Percentuale di test positivi che si osserva applicando un determinato test a soggetti affetti dalla malattia in considerazione Risposta corretta: C Argomento trattato durante le prime lezioni con il professor Noto. 2. Quale test useresti per sapere la prevalenza di COVID-19 nella popolazione: A. Test sierologico per dosaggio IgG B. Test rt_PCR C. Test rapido salivare D. Test antigenico Risposta corretta: A Si vuole sapere quanto è diffusa la malattia nella popolazione. Con il test antigenico molecolare si verrebbe a sapere soltanto quanti sono gli ammalati in quel determinato momento, non quanto la malattia si sia effettivamente diffusa. Con la ricerca dei dosaggi di IgG si può verificare se è avvenuta o meno l’esposizione al virus. Alcuni potrebbero essere stati infettati dal virus in maniera asintomatica e non esserne consapevoli : andando a cercare non tanto gli anticorpi indotti dalle vaccinazioni, ma alcuni anticorpi stimolati dalla presenza del virus si può definire esattamente se si è stati infettati o meno. Una persona che è stata affetta in maniera asintomatica nel passato eseguendo un test molecolare risulterebbe invece negativa. 3. Il tampone rapido per COVID-19 va a cercare: A. Antigeni B. Anticorpi C. Geni Risposta corretta: A 4. Il test di screening per COVID- 19: A. Si fa per identificare le persone infette che sono asintomatiche e senza nota sospetta esposizione a SARS-CoV-2 B. Si fa per raccogliere, analizzare e interpretare lo stato di distribuzione del virus e pianificare e migliorare la salute pubblica C. Si fa per identificare un’infezione presente negli individui e si esegue quando una persona ha sintomi che fanno sospettare COVID-19, o quando la persona è asintomatica ma ha avuto una recente esposizione a SARS-CoV-2 Risposta corretta: A 1 Se lo screening coinvolge solo i soggetti sintomatici o coloro che già si sono recati a fare un tampone per sospetta positività non si andrebbe effettivamente a cercare tutti gli individui potenzialmente interessati dalla patologia. 5. Quale dei seguenti dati non è indispensabile inserire nella richiesta di un esame di laboratorio? A. Data di nascita B. Posizione SSN C. Sesso D. Nome E. Reparto, letto F. Medico curante Risposta corretta: B 6. Se si vuole individuare il più alto numero possibile di pazienti affetti da una patologia si privilegia: A. La sensibilità B. La specificità Risposta corretta: A Una sensibilità al 100% permette il riconoscimento come veri positivi di tutti quelli che sono malati. 7. In una società avanzata quale è la stima approssimativa della spesa sanitaria dedicata alla medicina di laboratorio? A. 5% B. 20% C. 0.3% D. 10% Risposta corretta: A 8. Quale delle seguenti definizioni di POCT (Point-of-Care Test) è corretta: A. Test a domicilio del paziente B. Test di laboratorio condotto presso la corsia o l’ambulatorio dove si trova il paziente C. Test condotti in ambulanza D. Tutte le precedenti Risposta corretta: D I POCT sono esami fatti al di fuori dal laboratorio che danno spesso risposte più veloci: si tratta di tutti quegli esami dove il test viene portano vicino al paziente e non è il paziente a doversi recare in laboratorio. Possono avvenire sull’ambulanza, a casa, in strada, nell’ambulatorio del medico di famiglia. Si prevede che nei prossimi 20 anni, almeno nei Paesi occidentali, questa tipologia di test si diffonderà sempre di più. 9. Se un test per individuare una malattia la cui prevalenza è 1/1000 ha un tasso di falsi positivi del 5%, qual è la possibilità che una persona che risulta positiva abbia effettivamente la malattia, supponendo che tu non sappia nulla dei suoi sintomi? Supponendo un test con sensibilità al 100%, qual è la risposta corretta? Risposta corretta: 1,96% La cosa principale da considerare è quanti sono i veri malati nella popolazione. Abbiamo un malato ogni mille, quindi una prevalenza dello 0,1%. Dal momento che il test è sensibile al 100%, se su mille persone in osservazione una è malata, quel malato risulterà sicuramente positivo. Però è anche specifico al 95%, quindi c’è un 5% di falsi positivi. Di conseguenza dopo aver eseguito mille test ottengo 51 risultati positivi dei quali solo uno è effettivamente malato. Non essendo a conoscenza dei sintomi, la probabilità di trovare il vero positivo è 1/51, vale a dire l’1,96%. 2 Se si esegue un test del genere con quanta certezza si può dire al paziente che quel risultato è accurato? Non sapendo nulla della storia clinica di quel soggetto questo tipo di test non è affatto accurato. Diverso è se ci sono elementi o sintomi che portano al sospetto diagnostico. Il professore afferma che ogni due/tre lezioni preparerà un paio di domande per verificare l’apprendimento degli argomenti svolti durante le lezioni precedenti. Introduzione alla medicina di laboratorio Nella patologia clinica è fondamentale come, anche occupandosi di diverse discipline (biochimica clinica, microbiologia, genetica o ematologia), tutto quello che viene fatto ruota attorno al paziente: egli deve essere al centro delle nostre indagini di laboratorio. Questo tipo di ragionamento vale per tutte le branche della medicina. Questo concetto di centralità del paziente era stato già ben identificato da William Osler, un clinico dell’800. Egli sosteneva che la cosa più importante quando si va a curare un soggetto non fosse tanto il cercare di ientificare la tipologia di malattia, quanto capire che tipo di persona si sta andando a curare. In questo modo si sono poste le basi di quello che sarebbe diventato il concetto di personomica. Il paziente deve essere sempre al centro: si può sapere anche tutto di una certa malattia (la patogenesi, le varie manifestazioni cliniche, gli esami di laboratorio che potrebbero essere fatti), però se non si conosce la persona che si sta andando a curare, tutto questo risulta inutile. Ascoltando attentamente il paziente, nel momento in cui ordino gli esami di laboratorio, questi serviranno per avere la conferma del sospetto diagnostico. Non bisogna cioè ordinare una serie di esami di laboratorio e poi sulla base dei risultati ottenuti comunicare al paziente quale potrebbe essere la sua patologia. Prima di comunicare un’eventuale diagnosi, io dovrei avere il sospetto della presenza di una patologia che gli esami dovranno poi eventualmente confermare o meno. Qualche volta può anche capitare che il test dia un risultato che era stato inizialmente escluso. Generalmente comunque gli esami di laboratorio vengono richiesti perché l’anamnesi e la visita del paziente hanno portato a sospettare una patologia in particolare. Più parliamo con il paziente, più lo ascoltiamo, più ci orientiamo verso la diagnosi corretta. Senza questo tipo di atteggiamento c’è il rischio che il medico non verrà mai a sapere dal paziente moltissime informazioni fondamentali per avere una corretta diagnosi o per smentire un dubbio. Ruolo della medicina di laboratorio 3 Negli ultimi anni nella medicina di laboratorio hanno assunto un ruolo sempre maggiore una serie di strumenti e di tecniche provenienti da altri ambiti, per esempio dall’ ambito fisico e militare. Progresso tecnico, automazione e informatizzazione, hanno messo a disposizione, negli ultimi 20 anni, test di laboratorio più accurati e precisi dal punto di vista analitico e più efficaci dal punto di vista clinico- diagnostico. Da questa tendenza deriva il maggior peso assunto dai dati di laboratorio nel trattamento del paziente. Una stima valuta l’impatto del dato di laboratorio sul processo decisionale clinico a circa il 70%, a fronte di un costo per il SSN del Laboratorio di Patologia clinica che oscilla tra il 4 e il 5%. La qualità del sistema analitico è inoltre notevolmente migliorata negli ultimi 20 anni, da quando ci si è resi conto che i miglioramenti della qualità complessiva comportano anche sostanziali riduzioni dei costi dell’informazione: con l’aumentare dell’appropriatezza degli esami di laboratorio che vengono richiesti si riducono anche i costi delle spese sanitarie. Non è necessario ricoverare un paziente per diverse settimane in attesa di una diagnosi definitiva: un esame di laboratorio appropriato può confermare la patologia in pochi giorni o addirittura poche ore. Sino a pochissimi anni fa, se vi era un sospetto di diagnosi non certa, il paziente doveva essere tenuto in osservazione anche per 24 ore prima di poterlo dimettere, data anche la scarsa sensibilità degli esami in quel periodo (necessitavano di tempi più lunghi per poter fornire un referto definitivo). C’era un rischio ancora più alto di problemi di carattere legale: ad esempio quel paziente poteva avere un infarto che gli esami strumentali non erano riusciti ad identificare. Al giorno d’oggi, con i nuovissimi esami di laboratorio messi a disposizione per la diagnosi dell’infarto al miocardio, in un brevissimo arco di tempo (massimo tre ore) è possibile avere un referto accurato e definitivo. Dunque, nell’arco massimo di tre ore, il paziente viene trattato per l’infarto oppure viene dimesso escludendo la possibilità di infarto. Il processo diagnostico Nel processo diagnostico proposto dal National Acedemy of Medicine degli Stati Uniti l’esame di laboratorio interviene solamente dopo che il paziente è stato visitato, dopo aver quindi eseguito l’anamnesi. Gli esami di laboratorio hanno dunque come obiettivo quello di cercare di dare una risposta a quelle che sono le domande nate durante la visita del paziente. Si tratta di esami che servono a definire la diagnosi, il trattamento della patologia e anche il decorso della malattia. L’esame viene ordinato, la patologia viene identificata, è stabilita la terapia che sembra più appropriata e si monitora se è efficace o meno (ovvero se sta risolvendo il quadro patologico). Il processo diagnostico risulta quindi costituito da una serie di fasi: raccolta delle informazioni, integrazione, ipotesi di lavoro, comunicazione della diagnosi, trattamento ed esito del processo che è stato messo in atto. Obiettivi Gli obiettivi di questo corso saranno:  Cenni sull’organizzazione del laboratorio biomedico 4  Il concetto di biomarker e la sua importanza nella medicina di laboratorio  I processi di identificazione e validazione di un biomarker  Richiesta di esami di laboratorio ed interpretazione  Cenni sul Sistema di qualità, in particolare gli strumenti che vengono usati al livello internazionale per definire se un laboratorio biomedico è certificato oppure no. È possibile che qualche cosa l’abbiate già vista con il professor Noto, però visto il risultato non eccellente del test riparleremo anche della sensibilità e della specificità. È necessario prestare particolare attenzione quando degli esami di laboratorio affermano di fornire la diagnosi precoce di una condizione patologica o di poter risolvere il problema. Se si va poi a guardare la sensibilità e la specificità del test e la si confronta con la prevalenza di quella malattia ci si rende conto che questi esami non sono affatto attendibili. Pochi anni fa era uscito su una importante rivista un test apparentemente rivoluzionario che permetteva di anticipare di tre anni la diagnosi di Alzheimer nella popolazione: si rivelò poi che quel test rilevava molti più falsi positivi che veri pazienti che dopo tre anni avrebbero effettivamente sviluppato l’Alzheimer. Quando si conferma la diagnosi di una malattia e poi si può anche modificare quella che è la sua evoluzione, allora è opportuno comunicare la diagnosi il prima possibile. Tuttavia, se si tratta di condizioni patologiche incurabili, sorge spontanea la domanda: quanti sono i pazienti che vorrebbero sapere che quella malattia insorgerà in un paio di anni, se nel frattempo non è possibile fare qualcosa per modificare quella determinata condizione patologica? Infatti uno dei criteri per cui mettere in un uso un determinato test diagnostico è se, dopo averlo eseguito, sia possibile intervenire per modificare la dinamica del paziente a prescindere dal referto positivo o negativo. Organizzazione laboratorio biomedico Questa immagine mostra il ciclo classico da cervello a cervello “brain-to-brain loop”: il primo cervello che rappresenta il medico clinico fa una richiesta per il paziente (che sta al centro), poi attraverso le varie tappe (richiesta con certi requisiti, raccolta del campione in maniera appropriata al tipo di esame, trasporto, in alcuni casi trattamento particolare o conservazione, analisi del campione, validazione, referto) il campione arriva al cervello del medico di laboratorio e infine ritorna con referto al richiedente. Come può essere organizzato il laboratorio biomedico? In genere i laboratori più grandi vengono organizzati attraverso questo sistema: un laboratorio centralizzato che funge da hub, ovvero da centro di raccolta per tutti gli esami svolti nella sua periferia. Nell’ immagine infatti si possono notare i diversi spoke, dai quali i campioni vengono presi e poi portati all’hub. Questo è il tipo di organizzazione verso il quale ci si dirige, in contemporanea al progresso degli strumenti a disposizione e delle tecnologie: i campioni saranno 5 analizzati in maniera centralizzata. Un tempo invece erano presenti unicamente piccoli laboratori all’interno dei vari reparti. Quando l’ospedale principale di Cagliari era il S. Giovanni ogni reparto di medicina e di chirurgia aveva il proprio laboratorio. Adesso in caso di mancanza di laboratori centralizzati hub-and- spoke, sono presenti dei laboratori generali a livello di ospedale. Il laboratorio generale è diviso a sua volta in diverse specializzazioni come la chimica clinica di base, l’ematologia di base , la microbiologia di base e l’immunologia di base. Esistono poi alcuni laboratori specialistici: quello delle malattie endocrine, quello della malattie autoimmuni e così via. Tutti i laboratori a prescindere dall’organizzazione o dalle dimensioni sono inseriti in un sistema di servizi di controllo: controllo di qualità, di sicurezza e di efficacia. Un altro importante aspetto che può non piacere ma che viene sempre considerato è il rapporto costo/ beneficio: va valutato quando si richiedono degli esami di laboratorio , quando si mettono in campo nuovi esami di laboratorio, quando si determina se tenere aperto o meno un laboratorio. Ipotizzando la scoperta di un nuovo test per una certa condizione patologica se questo avesse un costo di 5000 euro sarebbe ingiustificabile implementarlo perché ne potrei fare pochissimi e toglierebbe i fondi ad altri 500 test meno costosi ma altrettanto importanti. Il costo è sempre uno dei parametri che va considerato quando si sviluppa un nuovo test diagnostico. Questi servizi di controllo impattano di più coloro che lavorano all’interno del laboratorio come il tecnico, il biologo o il patologo clinico. Questi ultimi devono fare riferimento a disposizioni regionali e nazionali nello svolgimento del loro lavoro ; inoltre contribuiscono a fornire dati aggiornati a registri di vario tipo (epidemiologici, oncologici etc) e a determinare effettivamente quelli che sono i valori di riferimento. Alle singole strutture sono quindi sovraordinati i laboratori di riferimento con bacino di utenza regionale o nazionale e le strutture scientifiche e di controllo che elaborano i valori di riferimento e sovraintendono ai registri epidemiologici. La Sardegna da questo punto di vista è abbastanza carente. Il laboratorio si avvale poi di diversi servizi di supporto non laboratoristici: - al giorno d’oggi impiega anche personale di supporto informatico: ormai quasi tutti i dati prodotti dal laboratorio sono condivisi in rete. Ognuno di noi ha accesso al proprio fascicolo sanitario online, comprensivo di esami e interventi subiti; - supporti amministrativi; -servizi di manutenzione delle apparecchiature e archiviazione dei dati. Si tratta di una problematica specifica al tipo di laboratorio: un conto è il controllo di strumenti in un grande ospedale come il Brotzu o del Policlinico universitario , un altro è quello di strumenti che vengono spostati di sede frequentemente. Il ciclo analitico classico Il ciclo analitico classico di cui si è già parlato e che è necessario ricordare è questo: 6 - la prima parte (accettazione, verifica campione, centrifugazione, suddivisione e caricamento dei campioni) è la parte preanalitica; - la parte analitica vera e propria; -la post analisi (validazione, eventuale ripetizione e referto). Tra queste tre parti è fondamentale non effettuare errori nella parte preanalitica perché difficilmente recuperabili: anche svolgendo una perfetta analisi o refertazione lo sbaglio iniziale rimane (ad esempio se si sbaglia la provetta in cui inserire il campione). Questa informazione è importante anche per coloro che non lavorano all’interno di un laboratorio ma sono coinvolti nella preparazione del campione che poi va in analisi. Ipotizziamo che dei campioni di sangue destinati all’analisi del siero vengano inseriti in frigo per essere conservati. Dopo un paio di mesi è il momento di preparare il siero: da un campione di sangue incolto congelato non è possibile estrarre il siero (si può fare solo con campioni freschi) poiché tutte le cellule sono lise e non si ries

Use Quizgecko on...
Browser
Browser