Psicopatologia dello Sviluppo PDF
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This document provides an introduction to developmental psychopathology, discussing its historical roots and contemporary theories. It highlights pivotal figures in the field and emphasizes the crucial role of early relationships and contextual factors in shaping a child's development. The document also reviews various diagnostic systems and identifies key concepts, such as attachment theory and infant research.
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PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO INTRODUZIONE ALLA PSICOPATOLOGIA Psicopatologia: malattia della psiche, un concetto che si modifica nel corso del tempo. È una disciplina che si intreccia con altri ambiti come la filosofia, la medicina, la politica, ecc… Cambia perché a cambiare siamo proprio noi, cam...
PSICOPATOLOGIA DELLO SVILUPPO INTRODUZIONE ALLA PSICOPATOLOGIA Psicopatologia: malattia della psiche, un concetto che si modifica nel corso del tempo. È una disciplina che si intreccia con altri ambiti come la filosofia, la medicina, la politica, ecc… Cambia perché a cambiare siamo proprio noi, cambia la natura umana. La classificazione dei fenomeni psicopatologici è la conseguenza di intendere il concetto in ogni determinata epoca. Greci (Ippocrate e Galeno) → i primi a parlare di malattie mentali (alterazione somatica). Medioevo → intervento divino, si parla sempre di malattia mentale. Età dei lumi (Pinel) → matrice passionale, eventi di ordine morale, vicissitudini. Epoca moderna ◦ Emil Kraeplin→ alterazioni organiche del tessuto cerebrale, primo trattato di psichiatria ◦ Eugen Bleuler → moderna psicopatologia ◦ Sigmund Freud → inconscio e psicoanalisi In tutto questo percorso manca il bambino, lo si pensa come qualcosa che appartiene all’adulto; come se i bambini non avessero il diritto di stare male. I primi accenni li dobbiamo a Freud, che crea un modello per adulti, per costruire il modello di sviluppi dei bambini. → Primi psicoanalisti Klein e Winnicott: paziente bambino e il suo mondo relazionale (importanza al ruolo genitoriale). Età contemporanea → Il bambino viene osservato nella sua relazione con il contesto. La relazione genitore-bambino diviene un nuovo “paziente prototipico”. Teoeri dell’età contemporanea: ➔ TEORIA DELL’ATTACCAMENTO→ John Bowlby, all’incirca negli anni ‘60, nasce come psicoanalista. Riceve l’incarico di studiare il comportamento infantile all’interno degli orfanotrofi (cosa e perché stava accadendo: c’erano bambini che stavano male e alcuni morivano. Alcuni erano meno sviluppati, piccoli, più timidi, ritirati, poco in relazione con le educatrici). Scopre che e’era spesso il cambio delle educatrici ⇒ i bambini non avevano figure di riferimento, costanti, con cui instaurare una relazione stabile. Il bambino dalla nascita ha bisogno di una figura calda, presente, costante, affettuosa, che si prende cura di lui. Bowlby fu il primo psicologo a fare ricerca (Evidence Based) e a definire l’attaccamento. Attaccamento: predisposizione biologica innata di tutti noi esseri umani a cercare vicinanza e protezione in situazioni di vulnerabilità. Lui da questa teoria inizia a dar vita a degli stili di attaccamenti, che corrispondono a dei funzionamenti poi nella vita adulta. Non è una regola, è un discorso di probabilità. Siamo esseri intrinsecamente relazionali. ➔ INFANT RESEARCH→ Edward Tronick e l’esperimento della Still face (video). Nonostante la bambina sia molto piccola riesce a esprimere le proprie emozioni e pensa a come richiamare la relazione con la madre. "Siamo cablati per far corrispondere i nostri stati affettivi" → I bambini sono in grado di rispecchiare le emozioni degli adulti intorno a loro. Coordinano le loro emozioni e le loro intenzioni. ➔ NEUROSCIENZE → Esistono circuiti cerebrali che abbiamo dalla nascita e che sono condivisi da tutti i mammiferi e che sono la sede delle emozioni e dei sentimenti affettivi di base. Modelli della psicopatologia dello sviluppo a confronto, quali sono state le teorie principali, come nasce: Modello del tratto → un certo tratto in un dato momento, influenza e permette di prevedere lo sviluppo di un altro tratto in una fase successiva (da vita alla psicopatologia). Tratto che può essere innato o ereditato, ma che si acquisisce anche attraverso l’apprendimento o delle interazioni significative. Non va bene perché: non sempre il legame causale è lineare. Modello ambientale → attribuisce la psicopatologia al contesto, a un ambiente. Non va bene neanche questo: il bambino è passivo, non è solo l’ambiente a influenzare lo sviluppo del singolo. Modello transazionale → modello attuale che prevede che sia la conseguenza tra l’interazione di caratteristiche individuali e ambientali → Modello bio-psico-sociale: ogni condizione di salute o di malattia è la conseguenza dell'interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali/culturali. Psicopatologia dello sviluppo: disciplina che studia le origini e i percorsi dei pattern individuali dei comportamenti disadattivi. Enfatizza la dimensione evolutiva nell’emergere e nello stabilizzarsi dei comportamenti disadattivi o patologici (processi e dinamiche alla base del disadattamento). La possiamo intendere come una deviazione da un normale percorso evolutivo che ci si aspetta. È un prodotto dell’interazione tra aspetti biologici, psicologici e sociali. Non si parla di causalità, ma di probabilità di sviluppo, mantenimento e remissione di un dato processo o comportamento disadattivo. Teniamo conto che però si tratta di una situazione complessa, circolare, multifattoriale e influenzata dalla probabilità. Deviazione da questo percorso normativo, lineare, normale, che prevedere una serie di aree di sviluppo. I diversi percorsi evolutivi possono essere determinati dall’influenza di: Fattori di rischio: condizioni interne come il temperamento del bambino o esterne come lutti o depressione degli adulti che li circondano (sempre nel contesto affettivo di riferimento). Fattori di protezione: caratteristiche individuali o contestuali che possono ridurre l’impatto del rischio e possono potenziare la capacità di resilienza del bambino (ovviamente la deviazione permane ma la si può attenuare e la si può migliorare). Non tutti i bambini esposti a fattori di rischio sviluppano un disagio clinico rilevante. Principio di multifinalità → un evento specifico non conduce necessariamente al medesimo esito (psicopatologico o meno) in ogni individuo. Gli esiti possono differire in funzione di numerose variabili (età, sesso, famiglia, contesto sociale). Principio dell’equifinalità → un ampio range di traiettorie di sviluppo può condurre a un medesimo risultato. (ad es. la depressione può originare da lutto, violenza familiare, ecc.) Elementi centrali della Psicopatologia dello Sviluppo: 1. Importanza delle prime relazioni didattiche all’interno del contesto familiare 2. Transitorietà sintomo evolutivo → spesso dopo un po’ i sintomi scompaiono se ci si lavora 3. Acquisizioni e specificità di ogni tappa di crescita. 4. Importanza di agire preventivamente → i bambini sono delle spugne, tutto quello che gli diciamo ci permette di cambiarli (con gli adulti è più complesso) Principali sistemi diagnostici: DSM-5: Ci descrive come si manifesta un soggetto con un disturbo evolutivo. Non ipoteiiza motivazioni, li descrive soltanto. Non definisce le cause ICD-10: Ha una sezione dedicata all’età evolutiva, il V capitolo è dedicato ai disturbi mentali e del comportamento. La diagnosi avviene attraverso codici numerici Classificazione Diagnostica della Salute Mentale e dei Disturbi di Sviluppo nell’infanzia (DC:05): Problemi dell’infanzia affrontati in termini di vulnerab ilità biologica, storia evolutiva, dinamiche relazionali Ci si interessa sulle specificità e caratteristiche individuali del bambino (motorie, sensoriali, linguistiche, cognitive, affettive, interattive) e sul suo sistema di relazioni (famiglia, contesto,…) Manuale Diagnostico Psicodinamico PDM-2: Considera 3 assi : personalità, profilo di funzionamento mentale e pattern somatici (esperienza soggettiva). È strutturato e orientato secondo fasce d’età. Anche contributi teorici e metodologici. Definizione di Malattia Mentale: "Un disturbo mentale è una sindrome caratterizzata da un disturbo clinicamente significativo nella cognizione, nella regolazione delle emozioni o nel comportamento di un individuo che riflette una disfunzione dei processi psicologici, biologici o di sviluppo alla base del funzionamento mentale.I disturbi mentali sono di solito associati a disagio significativo nella vita sociale, lavorativa o in altre attività importanti. Una risposta prevedibile, o culturalmente approvata, ad un fattore di stress comune o ad una perdita, come la morte di una persona cara, non è un disturbo mentale. I comportamenti socialmente devianti (ad esempio, politici, religiosi o sessuali) ed i conflitti prevalentemente tra l'individuo e la società non sono disturbi mentali a meno che derivino da una disfunzione nell’individuo, come descritto sopra. " DISTURBI DELL’ETÀ EVOLUTIVA AREA DELLO SVILUPPO A ESPRESSIONE SOMATICA DISTURBI PSICOSOMATICI I bambini piccoli inizialmente non parlano, perché il primo strumento di cui si avvalgono è il loro corpo. Lo usano per esprimere i loro malesseri, comunicano così (espressione somatica, rappresentazione del corpo e regolazione fisiologica). È l’espressione più usata quanto il bambino è più piccolo (Louis Kreisler, 1981). Ed è anche la prima matrice relazionale nella quale il bambino e il genitore si incontrano. Primo gradino dello scaffolding genitoriale, base della strutturazione del sè del bambino, della sua salute psico-fisica (Sameroff, 2010), questo attraverso il corpo, la regolazione dei ritmi sonno-veglia, il pianto e l’alimentazione. Man mano che il bambino cresce sarà difficile comprendere se il disturbo psicosomatico è causa o effetto della disarmonia evolutiva che vive. Le manifestazioni del bambino tramite il corpo variano nel tempo, segue lo sviluppo biologico del bambino. Da 0-8 mesi (vomito, coliche, rifiuto del cibo, problemi di addormentamento) 6-12 mesi (rifiuto del cibo, eczema, asma) 1-7 anni (enuresi, cioè emissioni involontarie di urina o encopresi, emissioni involontarie di feci) 7-10 anni (emicrania, insonnia). Ricordiamoci sempre di distinguere il versante medico da quello psicologico. Aree diagnostiche evidenziate da Kreisler → sono delle spie del disagio relazionale. Fattori di protezione Fattori di rischio Cosa potrebbe aiutare nela diagnosi, nel Se i fattori di protezione vengono a mancare si trattamento e per la guarigione ha l’effetto apposto. Relazione genitore-bambino → ricchezza di Non sottovalutare nulla perché potrebbero scambi affettivi, stabilità relazionale, flessibilità essere la spia di altri distrurbi precoci di e adattamenti reciproci sviluppo (ansia, depressione, autismo). Altri possono essere espressione o copertura di abusi e maltrattamenti. Sottovalutarli comporta disagi emotivi profondi, danni organici e dolori psicosomatici. La prognosi → la traiettoria evolutiva dei disturbi psicosomatici regredisce, solo nel caso in cui si prenda in considerazione tempestivamente la situazione. Altrimenti ci possono essere ripercussioni anche nella sfera psicologica. Sia nel momento di valutazione che in quello successivo ci si deve interessare anche dei genitori, della scuola e del rapporto con i pari, provando a coinvolgerli nel processo di osservazione, diagnosi e trattamento. Bisogna comprendere il disagio del bambino tramite l’osservazione, il gioco e volendo anche la narrazione. Classifichiamo ora i principali disturbi psicosomatici: Disturbi della sfera respiratoria Asma Una delle più diffuse. È un disturbo complesso perché non è facile individuare le cause (biologiche, emotive, ambientali), ma non è facile neanche individuare il disagio sotteso che si cerca di manifestare (forse un sovraccarico del rapporto duale con il caregiver primario). Comporta difficoltà respiratorie, fischio, una broncocostrizione reversibile; ma c’è il lato positivo che evolve in una guarigione spontanea in tempo abbastanza brevi. Laringospasmo si presenta in due forme: una cianotica/blu (contrarietà, collera, frustrazione, singhiozzi con forza, respirazione difficile, torace in apnea) e una pallida (dolore, evento traumatico, paura, grido accennato, sincope). Può durare da qualche secondo fino a un minuto. In questi momenti il bambino cerca di difendersi provando a dissociarsi (accezione di Van der Kolk, 2014). Disturbi della sfera cutanea Eczema o dermatite atopica Si presenta a 5-6 mesi con prurito intenso su guance, collo, ma può interessare Subtopic 2tutto il corpo, il bambino inizia a grattarsi in modo insistente dando vita ad un eritema. L’evoluzione è imprevedibile. La prospettiva psicodinamica indica che è una denuncia di una relazione di cura non soddisfacente (la pelle diventa un luogo somatopsichico in cui vanno a finire le angosce e emozioni del bambino). Alopecia È la perdita o assenza di peli (visibile sui capelli), anche se può avvenire ovunque nel corpo. Ne esiste una forma totale (più rara, comporta la caduta di peli e capelli da ovunque) o areata (chiazze circoscritte e delimitate, che presentano infiammazioni e squame). Sembrerebbero manifestarsi nel caso di carenza affettiva, precoce o continuativa, eventi stressanti. Alterazioni del controllo sfinterico Enuresi missione incontrollata di urina oltre i 3-4 anni (quando imparano a trattenere lo stimolo). Può avvenire di giorno, di notte, in entrambi i casi e ne esistono di due tipologie: primaria (subito dopo il periodo di non controllo fisiologico) o secondaria (dopo un periodo di apparente acquisizione). Avviene con bambini estremamente passivi o aggressivi, che vivono in ambienti familiari iperprotettivi o punitivi/rivendicativi. Sono un motivo di forte imbarazzo e rinunce da parte dei bambini, spesso associato al punto successivo, a disturbi del sonno e della regolazione affettiva. Encopresi Emissione volontaria o involontaria delle feci in luoghi e modi inappropriati per il contesto culturale. Insorge dopo l'epoca di acquisizione della routine di pulizia (2-3 anni). Anche in questo caso si divide in: primaria (senza una fase di acquisizione precedente) o secondaria (dopo la fase di controllo sfinterico, con frequenza maggiore). L’emozione prevalente è la vergogna, poeta a voler evitare situazioni sociali che lo espongono a imbarazzo o derisione da parte dei compagni. Anche associata a stress emotivo. Encopresi diurna diversa dall’enuresi. Le cefalee Comunemente chiamato mal di testa, è uno stimolo molto frequente nei bambini in età scolare. Può essere primaria (assenza di deficit strutturali alla base del disturbo) o secondaria (causa organica, come ad esempio tumori cerebrali). La ricerca associa questo fenomeno a disturbi d'ansia e depressione, oppure disturbi del sonno o ADHD. Spesso hanno fondamento in problemi scolastici, familiari e di socializzazione. Non si deve cadere nell'errore di sottostimarlo, perché il bambino potrebbe sentirsi confuso, irritato e a volte apatico (è un sintomo non chiaramente identificabile). Dolori addominali ricorrenti Dolori addominali con ricorrenza mensile, per almeno 3 mesi consecutivi, di durata inferiore a 3h, ma che modificano le normali attività del bambino. Comunissimo insieme alla cefalea in età pediatrica (picco tra 4 e 6 anni o nella pre adolescenza). Meno del 10% di questi bambini presenta una causa organica, medica. Spesso si associa a cefalea, mal di schiena e dolore agli arti. Ed è un dolore invalidante, tanto che blocca la vita quotidiana e li obbliga a letto. Disturbi del sonno L’organizzazione e la gestione del ciclo del sonno si modifica e si evolve nel corso dello sviluppo del soggetto. Secondo l’attaccamento, il facile addormentamento prevede che ci si trovi in una situazione di “base sicura” (è un test utile). Ma sul problema del sonno incidono diversi fattori, come vediamo dall'immagine qua a fianco. Sin dai primi momenti di vita, il sonno insieme all'area dell'alimentazione sono la principale fonte di rassicurazione/preoccupazione dei genitori. Un disturbo precoce del sonno è spesso visto come un allarme per le famiglie; che in situazioni di vulnerabilità psichica genitoriale può ostacolare il processo di transizione alla genitorialità. Questo può avere effetti deleteri in diversi campi: Sviluppo cognitivo: l'apprendimento e le funzioni esecutive Regolazione dell'umore: irritabilità e scarsa regolazione affettiva Sviluppo comportamentale: aggressività, iperattività e scarso controllo degli impulsi Qualità della vita in generale sia per il bambino che per il nucleo familiare. È uno dei disturbi più comuni e più rappresentativi della prima infanzia; ma in ogni età è un disturbo che esprime un malessere psicologico (rappresentati in tutti i manuali di classificazione dei disturbi psichiatrici). Tali disturbi si possono suddividere secondo la classificazione DC:05 in: Disturbo dell’addormentamento Se il bambino necessita di più di 30 minuti per addormentarsi, non ha altri disturbi, i sintomi influiscono dul funzionamento del bambino e della famiglia in uno dei seguenti modi: causano stress interferiscono con le relazione limitano la partecipazione del bambino alle attività o alle routine attese limitano la sua capacità di apprendere e di sviluppare nuove competenze Il bambino deve avere almeno 6 mesi e i sintomi si devono presentare per almeno 4 settimane Disturbo da risveglio notturno Multipli o prolungati risvegli nel corso della settimana, anche in questo caso non ci sono altri disturbi e anche in questo caso influiscono sul funzionamento del bambino o della famiglia nello stesso identico modo del disturbo precedente. Il bambino deve avere almeno 8 mesi e i sintomi si devono presentare per almeno 4 settimane Disturbo da risveglio parziale Si può presentare come ◦ Terrore nel sonno: frequenti risvegli improvvisi, spesso associati a pianto e stess, palpitazioni, aumento della frequenza respiratoria e sudorazione. Specie nelle prime ore di sonno ◦ Sonnambulismo: alzarsi, camminare senza essere responsivi. Al mattino il bambino non ne ha memoria. Inoltre le problematiche sono sempre le stesse di prima. Il bambino deveve avere almeno 12 mesi e i sintomi si devono presentare per almeno 4 settimane Disturbo da incubi notturni Brutti sogni, risvegli improvvisi a metà sonno, non causati da altri problemi. Le problematiche rimangono sempre le stesse delle altre volte. Il bambino deve avere almeno 12 mesi e i sintomi si devono prolungare per almeno 4 settimane Disturbo da pianto eccessivo Pianto ore al giorno per almeno 3 giorni, per 3 settimane (Regola del 3). Pianto che non si associa a nessuna condizione medica e che causa stress e limitazioni alla vita e all’apprendimento/sviluppo. Pianto: segno vocale di sofferenza fisica e emotiva essenziale alla sopravvivenza specie nel primo periodo di vita. È un disturbo se diventa un sintomo psicopatologico, nel momento in cui continua incessantemente a persistere dopo che il genitore ha risposto adeguatamente agli stimoli. Alessitimia Mancanza di parole per le emozioni (Nemiah e Sifneos, 1970). Gli aspetti fondamentali sono essenzialmente: Difficoltà a identificare i sentimenti; Difficoltà a discriminare un sentimento dall’altro e i sentimenti da sensazioni non emozionali; Difficoltà a comunicare ad altri i propri sentimenti; Processi immaginativi coartati (capacità di immaginare limitata). È un deficit che è considerato come il comune denominatore tra tutti i malesseri di natura espressiva somatica. In ogni caso è un concetto molto difficile da definire, perché specie nei bambini è un argomento molto plastico, che si sviluppa nel tempo. Tuttavia la ricerca conferma l’esistenza di questo fenomeno, specie quando il fenomeno si sviluppa ulteriormente in età evolutiva. Un rapporto sia con la patologia fisica che con quella mentale, come nel caso di alterazioni dell’umore o del versante comportamentale. DISTURBI ALIMENTARI INFANTILI È un disturbo complesso e problematico perché il piccolo paziente è impossibilitato a comunicare e a rendere comprensibili le proprie difficoltà. Ma nonostante la complessità si distingue: 1. Discontinuità dello sviluppo temporano/ disagio momentaneo : specie nei bambini piccoli nel passaggio alla dentazione e al cibo solido o quelli grandi nell’adattarsi a contesti sociali diversi 2. Disturbo psicopatologico: complesso con delle caratteristiche specifiche La letteratura scientifica ci dice di porre attenzione alle manifestazioni comportamentali del bambino, che nonostante la disponibilità di cibo, non si nutre in maniera adeguata (troppo poco o troppo). E attenzione anche ai possibili aspetti disadattivi della relazione caregiver-bambino (porta a quadri clinici). Una situazione complicata in questa relazione può essere un fattore di rischio potenziale all’origine di un disturbo alimentare e/o del mantenimento. Inoltre specie in età evolutiva si deve porre la massima attenzione poiché possono diventare elementi predisponenti per successivi disturbi clinici in adolescenza e età adulta. Il disturbo alimentare è una sindrome caratterizzata da segni molto diversi tra loro, come il rifiuto o meno, il vomito, la ruminazione, ecc… Proviamo a classificarli seguendo il DSM 5: Pica Persistente ingestione di sostanze alimentari non commestibili (almeno 1 mese). È un’ingestione inappropriata rispetto allo stadio di sviluppo, cioè oltre i 18-24 mesi. Se tale fenomeno si presenta in corrispondenza di un altro disturbo mentale (disabilità intellettiva, autismo) o di un’altra condizione medica, è sufficientemente grave da destare attenzione clinica. Altri casi sono invece se si presenta da sola o se si ha un disturbo intellettivo, ma il fenomeno si presenta troppo poco per essere pica. Disturbi da ruminazione Ripetuto rigurgito del cibo per almeno 1 mese, che sia poi rimasticato, ringoiato o sputato. Disturbo non attribuibile a una condizione gastrointestinale o a altre condizioni mediche. È un disturbo che non si manifesta solo con altre patologie che vedremo dopo. Anche in questo caso se si manifestano insieme a un disturbo mentale occorre prestare attenzione clinica. Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo È la persistente incapacità di soddisfare le necessità nutrizionali e energetiche, associate a un calo ponderale (non si raggiunge/mantiene il peso atteso, crescita instabile) e/o una carenza nutrizionale e/o la dipendenza da supplementi nutrizionali orali. Un comportamento non spiegabile dal fatto che non manca cibo e che non è una pratica culturalmente sancita. Non avviene solo in caso di anoressia/bulimia nervosa e non è attribuibile a una condizione medica concomitante. Anoressia nervosa Restrizione del rapporto energetico di cui si ha bisogno, che porta a un basso peso, a una evoluzione fisica minore rispetto a quanto atteso nella normalità dei bambini e degli adolescenti. È un disturbo collegato alla grande paura di ingrassare e prendere peso. Si tratta di un’anomalia nel modo in cui è percepito il peso e la forma del proprio corpo; che va a intaccare l’autostima. Ne esistono due sottotipi: con restrizioni negli ultimi 3 mesi con abbuffate/condotte di eliminazione negli ultimi 3 mesi. Bulimia nervosa Ricorrenti episodi di abbuffata, caratterizzati da: Mangiare in un periodo (esempio due ore) una quantità di cibo significativamente maggiore rispetto alla media di un individuo, nello stesso tempo, in circostanze simili. Sensazione di perdere il controllo durante l’episodio (non riuscire a smettere o a controllarsi). Ricorrenti condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso, come il vomito autoindotto o l’abuso di lassativi, diuretici, altri farmaci, digiuno o attività fisica eccessiva. Tali condotte si presentano in media almeno 1 volta a settimana per 3 mesi. Anche in questo caso i livelli di autostima sono influenzati dalla forma del corpo e dal peso. Disturbo da binge-eating Ricorrenti episodi di abbuffate, quantità maggiore, controllo. Episodi che sono associati a tre o più dei seguenti aspetti: mangiare molto rapidamente, fino a sentirsi sgradevolmente pieni, grandi quantità di cibo anche se non ci si sente affamati, da soli a causa dell’imbarazzo di quello che si sta mangiando, sentirsi disgustati verso sé stessi, depressi o in colpa per l’episodio. È presente un marcato disagio verso questi avvenimenti. Il tutto avviene almeno 1 volta a settimana per 3 mesi. Non è associata a condotte compensatorie come nel caso della bulimia. AREA DELLO SVILUPPO RELAZIONALE Oggi ci occuperemo delle aree mancate nella relazione con il caregiver. Il bambino è, sin dalla nascita, inserito in un mondo di relazioni affettive significative all'interno delle quali si svilupperà la sua personalità e si consoliderà la sua capacità di regolare le emozioni. È grazie alla relazione con il caregiver che imparo a regolare le mie emozioni e che imparo a stare in relazione anche con gli altri (tutto deriva dal contesto primario di attaccamento, la matrice). Nasciamo con un sistema di attaccamento, la predisposizione innata di cercare vicinanza e protezione quando ci sentiamo vulnerabili. È qualcosa che riguarda tutti, che ci portiamo “dalla culla alla tomba”. Avere un tipo di attaccamento insicuro non per forza porta ad avere una psicopatologia e viceversa, se è sicuro non per forza sarò sano. Non ha a che fare né con la biologia né con il genere; il prodotto finale dell’attaccamento è la relazione. Il corrispettivo da parte dei genitori è il sistema di accudimento. Anche questo è innato, più nelle madri che nei padri, perché ci si rende conto che la figura affettiva di riferimento è indispensabile per lo sviluppo armonico del bambino. La qualità dell’attaccamento genitori-bambino è fortemente predittiva del comportamento e dell’atteggiamento futuro dell’adulto. Se i due non vanno di pari passo nasce il disturbo. Vediamo quali sono i principali modelli di attaccamento: ➔ Sicuro ◦ Attaccamento: Ho fiducia in me stesso e mi sento libero di esplorare l’ambiente. Sono bambini che sono liberi di farlo perché sanno che se cercheranno la mamma, lei ci sarà sempre nelle mie situazioni di vulnerabilità. C’è sicurezza interna, che mi permette di entrare meglio in relazione con gli altri. ◦ Linea evolutiva: Migliore adattamento alla scuola materna, minore dipenderza dali insegnanti e maggiore competenza sociale con i pari. ◦ Strategie di regolazione emotiva: Riconoscono le emozioni, le vivono, le regolano, le gestiscono, le comunicano ➔ Evitante ◦ Attaccamento: Non ho fiducia nell’adeguata risposta materna. Evita il contatto con lei, tutto è concentrato sul gioco e sull’esplorazione. Interessato ad altro, perché non è sicuro che mamma ci sarà per lui (evita sentimenti dolorosi e evita di andare incontro a dei rifiuti). ◦ Linea evolutiva: Verso i pari sono bambini aggressivi che si lamentano spesso, hanno sfiducia nei pari e si isolano (mamma non c’è quindi neanche gli altri ci saranno). Minore competenza nel problem solving ◦ Strategie di regolazione emotiva: da solo mi basto, ce la posso fare. Nego l’importanza degli altri e nego le emozioni come rabbia, paura, tristezza. Esternano dei disturbi come aggressività, oppositivo provocatorio, ecc. ➔ Ambivalente ◦ Attaccamento: Madre non sentita come base sicura, ma manca anche l’inclinazione ad esplorare. Sentimenti amplificati, perché se mi arrabbio tanto mamma arriverà ma se mi arrabbio poco non lo so. Figura del caregiver inconsistente ◦ Linea evolutiva: Monitoraggio continuo dei genitori, bambini timorosi, irritati, nervosi, ansiosi, ambivalenti. ◦ Strategie di regolazione emotiva: emozioni amplificate, non riescono a gestire le difficoltà. Bambini meno competenti, più propensi alla depressione ➔ Disorganizzato ◦ Attaccamento: Casi di contesti maltrattanti o in cui è il bambino ad occuparsi della madre. Situazioni particolari, spesso si ha paura del caregiver. Non hanno strategie di regolazione emotiva, i comportamenti sono contradditori e atipici. ◦ Linea evolutiva: Nella prima infanzia rimangono immobili, poi man mano accudiscono i genitori e per finire diventano oppsitivi, aggressivi, difficili nella relazione con i pari. ◦ Strategie di regolazione emotiva: assente totalmente, specie per le emozioni forti. Persone borderline, con disturbi dissociativi, impulsivi. Solo le classificazioni della prima infanzia tengono conto della considerazione dei Disturbi Relazionali (DC:0-5). Disturbi Specifico della relazione nell’Infanzia Bambino può presentare: comportamenti oppositivi, aggressivi, oppositivi, paura, autolesivi, rifiuto di cibo o di dormire, con ruoli inappropriati con il genitore. Bisogna specificare con quale del caregiver ha questo disturbo (si presenta solo con lui/lei). L’impatto non riguarda solo il bambino ma tutta la famiglia nel complesso, causando stress generale. Sintomi presenti per almeno 1 mese, senza restrizioni di età. Disturbi dell’attaccamento Non si collegano ai tipi di attaccamento in maniera fissa, non centra, sono più profondi. Li vediamo tramite il DSM 5 che li inserisce nei Disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti. Per questi disturbi il fattore eziologico, cioè l’assenza di un accudimento adeguato è un requisito indispensabile. I disturbi correlati a eventi traumatici e stressanti sono : 1. Disturbo da stress post-traumatico 2. Disturbo reattivo dell’attaccamento 3. Disturbo da impegno sociale disinibito 4. Disturbo da stress acuto 5. Disturbi dell’adattamento. DC:0-5 ha inserito una propria classificazione dei disturbi. In questo caso però esperienze traumatiche o di grande deprivazione non comportano necessariamente l’emergere di un disturbo in tutti i bambini (fattore eziologico). I disturbi da trauma, stress e deprivazione sono: 1. Disturbo da stress post-traumatico 2. Disturbi dell’adattamento 3. Disturbo da lutto complicato 4. Disturbo reattivo dell’attaccamento 5. Disturbo da impegno sociale disinibito 6. Altri disturbi da trauma, stress e deprivazione. Stranamente i due documenti sono d’accordo, perché i dati coincidono, nonostante i manuali siano molto diversi. Essendo simili vediamo il DSM-5: Disturbo reattivo dell’attaccamento Comportamento inibito nei confronti del caregiver. Cerca raramente confronto in caso di disagio, perché mamma anche se cerca di confortarmi non ci riesce. Poca responsività verso gli altri, poche emozioni positive, più rabbia, tristezza, paura, molta irritabilità, timore, ecc… Comportamenti che avvengono con tutti i soggetti con cui il bambino entra in relazione, non solo con il caregiver come prima. Bambini che hanno vissuto cure insufficienti: trascuratezza, deprivazione sociale, mancanza di soddisfazione dei bisogni emotivi, ripetuti cambiamenti dei caregivers primari, allevamento in contesti insoliti (come gli istituti). Sono difficoltà che si manifestano prima dei 5 anni e i bambini devono avere un’età evolutiva di almeno 9 mesi. Disturbo da impegno sociale disinibito Comportamento disinibito del bambino nei confronti di sconosciuti, anche eccessivamente familiare. Disponibilità ad allontanarsi con adulti sconosciuti senza avere nessuna esitazione (impulsività). Anche in questo caso ha vissuto cure insufficienti da parte del caregiver come prima. Il bambino deve avere un’età evolutiva di almeno 9 mesi. L’area maggiormente compromessa per questi bambini è quella delle relazioni interpersonali e le conseguenze a lungo termine sono: carenza di regolazione affettiva scarso controllo degli impulsi iperattività scarsa tolleranza alla frustrazione comportamenti violenti disturbi di personalità significative difficoltà scolastiche. Fattori di rischio→ relazione genitore-bambino, genitorialità a rischio (giovani senza supporto), contesti deprivanti e maltrattanti, genitori che non sono pronti ad essere tali. I contesti di caregiving problematici sono condizioni necessarie ma non sufficienti per l’emergere di questi disturbiu: non tutti i bambini che crescono in questi contesti sviluppano disturbi. Gli effetti della deprivazione possono essere differenti a seconda dei fattori di vulnerabilità e delle condizione che perpetuano il rischio. Si sono svolte ricerche recenti sul modello di suscettibilità differeneziale di interazione tra gene e ambiente nei bambini esposti a deprivazione. L’esperienza relazionale precoce ha un impatto sui processi maturativi del cervello (Schore, 2009). Le ricerche hanno evidenziato che: Gli effetti neurobiologici della deprivazione sui bambini vissuti in istituzione per periodi prolungati di tempo, possono essere riscontrati sia nella struttura che nel funzionamento cerebrale In questi bambini è stata riscontrata una riduzione del volume di materia bianca e grigia, ridotta attività elettrica nelle alte frequenze e aumento di attività elettrica nelle basse frequenze Strumenti di valutazione: per valutare la qualità della relazione genitore-bambino e i disturbi relazionali, vi sono diverse procedure osservative standardizzate : Strange situation → procedura di osservazione più famosa e standardizzata per questa situazione (Mary Ainsworth, 1978). Si usa per i bambini dai 12 ai 18 mesi. Come funziona? 1. Bambino accompagnato da una figura di attaccamento e introdotto in una stanza 2. Bambino esplora la stanza in cui è solo con la madre 3. Entra uno sconosciuto che parla con i due 4. Il genitore dopo poco esce e si osservano le reazioni del bambino alla separazione 5. Il genitore ritorna e conforta il bambino. Il comportamento del bambino alla separazione e alla riunione descrive dunque la forma assunta dal sistema di attaccamento. Attaccamento che si attiva alla separazione e si disattiva al ricongiungimento. I vari attaccamenti danno esiti diversi. Tipo di attaccamento Separazione Riunione Evitante Non protesta Evita qualsiasi forma di contatto Sicuro Protesta Si calma subito Ambivalente Protesta Resiste al conforto offerto, non si calma Disorganizzato Comportamenti contraddittori Comportamenti contraddittori simultaneri simultanei AREA DELLO SVILUPPO DEL COMPORTAMENTO REATTIVO Oggi vediamo i disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta, tra cui abbiamo: disturbo oppositivo provocatorio (DOP) disturbo esplosivo intermittente disturbo della condotta disturbo antisociale della personalità piromania cleptomania ◦ con altra specificazione ◦ senza specificazione. Possiamo anche vedere i disturbi del neurosviluppo che vedremo nell’altra materia e che contengono: disabilità intellettiva disturbi della comunicazione disturbi dello spettro dell’autismo disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) disturbo specifico dell’apprendimento disturbi del movimento disturbi da tic. Problema della valutazione diagnostica in età evolutiva: Transitorietà del sintomo Confine delicato tra espressione normale o malessere patologico Il quadro diagnostico dei Disturbi dirompenti, del controllo degli impulsi e della condotta, più di qualsiasi altro può assumere caratteri di minimizzazione ( bambino capriccioso o viziato) o esasperazione (disagio che possa giustificare l’impotenza che comporta il trattare questi bambini). L’oppositività è una normale tappa della crescita funzionale dell’identià del bambino. Sono casi clinici molto frequenti, che hanno a lungo termine esiti molto gravi e spesso sono molto resistenti al trattamento. In ambito famigliare questo disturbo viene vissuto in maniera difficilie dai genitori, si entra spesso in conflitto e si crea un circolo vizioso di negatività e di pesantezza. Genitori allarmati dai comportamenti che diventano conflittuali. Questi disturbi hanno anche un impatto forta a livello sociale → adulti con condotte antisociali, violente, rischiose, con azioni criminali. Se questi disturbi hanno il loro esordio nella fase di neurosviluppo avranno conseguenze più gravi nella fase adulta. Caratteristica patognomica → (centrale, primaria). In questi casi prima le manifestazioni avvengono nei confronti dei genitori per poi passare ai pari e agli insegnanti Caratteristica prodomica → (che anticipa) è l’inarrestabilità, ha esiti nel lungo termine. Un circolo vizioso di provocazione in cui tutti noi cambiati. Se non compreso adeguatamente, non siamo in grado di bloccarlo. Disturbi Oppositivo Provocatorio (DOP) Almeno 6 mesi per essere considerato tale, durata lunga per non patologizzare cosa non esiste. Un umore collerico e irritabile, si arrabbiano per qualsiasi cosa, sono permalosi e facilmente contrariabili. Hanno comportamenti polemici e provocatori. Ci sfidano e si rifiutano di accettare le nostre regole, non ci stanno. Attribuiscono il loro comportamento a cause esterne, “è colpa sua!”. Sono dispettosi e vendicativi. Più o meno grave a seconda di in quanti ambienti si comporta così. Disturbo della condotta Comportamenti che violano i diritti fondamentali degli altri o le principali norme sociali, minacce, prepotenza, scontri, uso di armi (mattoni, bastoni), crudeltà fisica con gli altri, costrizione di attività sessuale agli altri. Presenza di aggressione a persone e animali. Ma anche distruzione di proprietà, appiccando anche fuoco. Frode o furto. Gravi violazioni di regole anche prima dei 13 anni, marinare la scuola, scappare di casa. Disturbi Esplosivo Intermittente Accessi comportamentali ricorrenti di aggressività verbale o fisica, ma non danneggiano volontariamente gli altri o le cose altrui. Comportamenti di reazione di fronte a un episodio che ci sembra eccessivo. Una reazione esplosiva, esagerata rispetto a una cosa piccola. Difficoltà a stare nella rabbia. Non sono cose premeditate. Esplosioni che causano un disagio clinicamente significativo. Bambini che devono avere almeno 6 anni. Traiettoria di rischi dei disturbi comportamentali 1. Irritabilità / difficoltà di gestione delle emozioni negative 2. Aggressività manifesta e compulsiva 3. Impulsività / provocazione 4. Condotte delinquenziali Principio della multifattorialità→ caratteristiche psicologiche e costituzionali del bambino (temperamento, vulnerabilità biologica, funzioni cognitive), il legame di attaccamento, lo stile educativo familiare e variabili ecologiche (stress sociali, variabili economiche). Anche in questo caso abbiamo dei fattori di rischio di vario tipo: più ci sono fattori di rischio, più è alta la probabibilità di una psicopatologia Fattori di rischio → l’eziologia multifattoriale per i disturbi comportamentali abbraccia ad ampio raggio i fattori biologici, ambientali (raltivi soprattutto alle relazioni famigliari) e psicologici (credenze, opinioni e agiti dell’altro). Correlati neurobioloici → Disturbi che stanno tutti nello stesso circuito cerebrale, la corteccia prefrontale mediale, la sede del decision- making che permette di agire nel contesto esterno, di pianificare e controllare le azioni (nonché anche di frenare l’impulsività). Sono bambini che dunque non riescono a controllare la loro impulsività e le loro reazioni. Strumenti di valutazione STRENGHTS AND DIFFICULTIES QUESTIONNAIRE (SDQ) → questionario che indaga la relazione a scuola, che comprende 25 item. 2 questionari, uno per i genitori e uno per gli insegnanti. CHILD BEHAVIOR CHECKLIST (CBCL) → questionario che compiliano gli insegnanti o i genitori. Una parte di risposte chiuse e alcune aperte. Indaga aree diverse dei disturbi. C’è anche una parte in cui si richiede di descrivere gli aspetti migliori del bambino, i suoi punti di forza. Disturbi legati allo stress e al trauma I due terzi della popolazione giovanile entro i 16 anni hanno vissuto almeno un evento di natura traumatica nella loro vita. Non è tanto l’evento traumatico in sé, ma come viene vissuto e percepito dal singolo soggetto. Attiva circuiti di allarme e fa parte dell’area dello sviluppo del comportamento reattivo (vedi anche dopo). Un evento in ambito psicopatologico è stressante per tre caratteristiche: Durata: acuta o cronica Timing: periodo evolutivo in cui avviene il trauma Natura: stimoli fisici o interpersonali (terremoto o violenza dal genitore) Incidono qui il temperamento, lo sviluppo cognitivo, l’età, la presenza di disturbi psicopatologici, legami di adattamento, la coesione della famiglia, tutti elementi che possono mediare come percepiamo il trauma in un senso positivo o negativo. In ambito infantile si è pensato che i bambini non potessero sviluppare disturbi legati a traumi (per un fattore culturale), li si pensava come disturbi prettamente agli adulti (come quelli dei veterani di guerra). Dagli anni 90 inizia anche la considerazione degli effetti sui bambini, non tanto la definizione l’evento traumatico in sé, ma la risposta del bambino allo stesso. Dc:0-5 e DSM 5 li individuano, dando dei criteri diagnostici molto simili, analizziamoli tramite il secondo manuale: Disturbo da stress post-traumatico è l’esposizione a morte reale o minaccia, ha assistito a un evento accaduto ad altri (papà che ha ucciso mamma), lutto, morte di qualcuno a cui hanno assistito, vissuti di eventi traumatici (primi pompieri alla caduta delle torri gemelle), esperienza ripetuta di eventi crudi (abusi su minori). Continuano ad avere flash e immagini mentali di quell’evento, ricorrenti sogni spiacevoli (specie per i piccoli), ritiro sociale, rifugio in condotte di dipendenza alcolica o di droghe. Disturbo raro nei bambini, ma può esistere, specie se l’evento traumatico avvenuto riguarda i loro caregiver primari. Si sviluppa una difficoltà a concentrarsi, a dormire, provano rabbia, paura, terrore, vergogna, non riescono ad essere felici, avvengono dei flash che richiamano il trauma stesso, pensieri intrusivi, esperienze di gioco ripetitivo in merito a quell’avvenimento, fanno anche talvolta difficoltà a ricordare cosa è accaduto. Provano insomma un’intensa e prolungata sofferenza psicologica rispetto a tutti gli eventi che assomigliano anche solo a quello traumatico Si attiva l’asse HPA (ipotalamo-ipofisi-corticosurrene) che attiva il fight or flight (o combatto o fuggo). Rapida reazione a un avvenimento. Inoltre gli studi hanno evidenziato che le conseguenze di eventi traumatici portano a una riduzione delle dimensioni dell’amigdala/ippocampo. AREA DELLO SVILUPPO AFFETTIVO Comprende disturbi d’ansia, ossessivo-compulsivi e fobie. L’ansia è un’alterazione di un segnale affettivo adattivo in situazioni generiche, anche non di pericolo. A differenza la paura presenta una serie di caratteristiche che per me sono minacciose. Naturalmente rispondiamo a potenziali pericoli fisici (attacco o fuga), fa parte di tutti gli esseri viventi compresi gli animali. È una reazione che ci permette di sopravvivere e di capire se siamo di fronte a una minaccia; grazie a questo riusciamo ad affrontarla al meglio. La paura ha dunque una funzione positiva indispensabile alla sopravvivenza dal punto di vista evolutivo-biologico (ci rende vigili). Paura e ansia sono le emozioni più comuni del normale pathway evolutivo di tutti i bambini. Paura di animali, del buio, di perdere i genitori, ecc… Questi timori sono parte integrante del bisogno di protezione sul quale si struttura il legame di attaccamento. Molte paure infantili sono fisiologiche ed universali, indipendentemente dalle reali esperienze di pericolo. Vediamone alcune in base alle età: Prima infanzia: tuoni, lampi, fuoco, acqua, buio, incubi, animali 4 e 5 anni: morte delle persone 6 e 7 anni: suono strano, rumore improvviso, fantasmi, streghe, cose soprannaturali, ferite del corpo, separazione dei genitori, vengono lasciati soli, stare soli la notte, essere rifiutati a scuola 7 e 8 anni: buio, catastrofi naturali, timore di stare fuori dalla famiglia o scuola, ferirsi, rifiuto a scuola 8 e 9 anni: umiliazioni personali, fallimenti a scuola o nel gioco, comportarsi male, dire bugie, vittime di violenza fisica, litigi dei genitori e separazioni o ferimenti 9 e 11 anni: insuccesso a scuola/sport, diventare povero, paura dell’altezza (vertigini), paure di killer e molestatori 11 e 13 anni: insuccesso a scuola o sport, essere visto o considerato strano, minacce di morte, sesso, essere offeso o umiliato. Tuttavia, si definiscono patologiche quando sono amplificate e non corrispondono a eventi contestuali (ansia per le performance scolastiche anche se sono bravi). O quando non sono coerenti con il livello di sviluppo. Nell’adattamento evolutivo esistono delle ansie normali e transitorie, ma solo se persistono dopo il periodo di evoluzione si possono definire come patologiche. Frequenza e intensità della reazione Incontrollabilità (il fatto che non riescono a calmarsi) Inadeguatezza rispetto al periodo evolutivo Congruità dello stimolo ansiogeno Persistenza (per più di 1 mese) Il fatto che tale ansia ha delle conseguenze La risposta si trova anche nell'osservazione del comportamento del piccolo: se l'ansia interferisce con le attività giornaliere, le rende più complesse e sofferenti, durante la scuola/a casa/in compagnia di altri coetanei. Inoltre, dato assai significativo, il disturbo d’ansia nel bambino piccolo è spesso manifestato con sintomi quali cefalea, vomito e dolori addominali (tutti disturbi somatici). Sintomi dell’ansia: ➔ Fisiologici: tachicardia, palpitazioni, sudorazioni, tremori, ecc. ➔ Psicologici: paura di morire, paura di impazzire, paura di perdere il controllo, ecc. ➔ Comportamentali: evitamento, fuga, freezing, reazioni eccessive a stimoli innocui, comportamenti complessi,ecc. Le diverse impostazioni diagnostiche (DSM, DC:05, PDM) convergono nel distinguere le normali manifestazioni d'ansia come affetto fisiologicamente espresso davanti a situazioni di pericolo sulla base di 3 caratteristiche essenziali: allarme > evitamento > paura. DISTURBI D’ANSIA Seguiamo dunque la classificazione del DSM 5 dei disturbi d’ansia: Disturbi d’Ansia da Separazione Paura o ansia eccessiva rispetto allo stadio di sviluppo che riguarda la separazione dalla figura di attaccamento. Già quando prevede che ci sarà una separazione o quando lo si sperimenta. Paura che a loro accada qualcosa di dannoso, morte, ferite, catastrofi, ecc… Eccessiva preoccupazione rispetto al fatto che prima o poi mi separerò. Rifiuto di uscire di casa, di stare senza di loro, rifiuto di dormire fuori casa, incubi notturni, lamentele somatiche (ansia, mal di pancia, ecc…). Devono essere persistenti per almeno 4 settimane per bambini e adolescenti, 6 mesi o più in adulti. Il disturbo deve interferire con il funzionamento del soggetto in ambito sociale, lavorativo, ecc… Disturbi d’Ansia Sociale paura e ansia rispetto all’esposizione al possibile esame degli altri. Avere una conversazione con qualcuno, parlare in pubblico, mangiare in pubblico, incontrare persone sconosciute, essere osservati (non solo con gli adulti, ma anche con i pari). Essere presi di mira, imbarazzati, umiliati. Tali situazioni temute per ansia e paura di solito vengono evitate dai bambini. O anche espressioni come pianto, freezing, scoppi di collera, ritiro, ecc… Paura e ansia sono sproporzionate rispetto alla minaccia (congruità rispetto allo stimolo). Tale ansia/evitamento deve durare almeno 6 mesi o più, non vale ad esempio per bambini che si stanno inserendo a metà anno in una nuova classe in una nuova città. Ansia che compromette il funzionamento in ambito sociale, lavorativo, scolastico. Disturbi d’Ansia Generalizzata non si riconduce a nulla di specifico, ma è generale, attività di qualsiasi tipo. Ansia e preoccupazioni eccessive, per la maggior parte del giorno, per almeno 6 mesi. Un criterio tra questi sintomi per la diagnosi: alterazione del sonno, tensione muscolare, irritabilità, difficoltà a concentrarsi e vuoti di memoria, facile affaticamento, irrequietezza o tensione “nervi a fior di pelle”. Tali individui hanno difficoltà a controllare la loro preoccupazione. Sono bambini che scattano per ogni minima cosa. Mutismo Selettivo è un disturbo molto frequente. Ansia nel parlare in situazioni sociali specifiche, con qualcuno parlano, con altri no (ad esempio parlare con i compagni e non con le maestre). Vale anche il parlare a una cerchia ristretta di persone. Non è responsabilità dell’altro il fatto che non parlino, in alcuni casi è una scelta del tutto casuale. Questo nonostante sia perfettamente in grado di parlare in altre situazioni. Durata di almeno 1 mese, non patologizziamo/etichettiamo subito. Non mettere accento su eventuali parole dette. AIMUSE → associazione. Disturbo di panico attacchi di panico inaspettati. Il panico è caratterizzato da sudore, palpitazioni, tremori fino a sentire grandi scosse, tachicardia, sensazione di mancanza di aria, asfissia (petto che esplode), nausea, disturbi addominali, sensazione di vertigini, svenimento, brividi, formicolio pensieri come “sto morendo”, paura di perdere il controllo o di impazzire, ecc… Sintomi di attacchi di panico seguiti da 1 mese o più da preoccupazione e alterazioni. Almeno uno degli attacchi è seguito da: preoccupazione persistente in merito all’insorgere di altri attacchi di panico (circolarità) o significativa alterazione del comportamento (mi è venuto un attacco al supermercato, non ci vado più). Anche qui evitamento a volte. Importantissimo intervenire dopo il primo attacco, per fare in modo che non insorga la paura di averne altri. Non molto frequente con i bambini della primaria. Possiamo provare a portare l’attenzione su altro durante l’attacco di panico, a distogliere il pensiero. Si impara a convivere con quelle emozioni lì. Agorafobia paura relativa a utilizzo di trasporti pubblici, trovarsi in spazi aperti o chiusi, stare in fila tra la folla o essere fuori casa da soli. Anche in questo caso abbiamo l’evitamento, poiché sono situazioni che provocano sempre ansia e paura. Tutto spropositato rispetto al reale pericolo.Durano tipicamente 6 mesi o più. Fobia specifica paure o ansie marcate verso un oggetto specifico o una situazione (volare, sangue, animali, ecc…). Paure che si esprimono con scoppi di collera, freezing, ecc… Provocano quasi sempre paura o ansia immediata. Anche qui evitamento di quell’oggetto/situazione, nonostante la reazione sia spropositata rispetto al reale pericolo. Sono paure persistenti e durano tipicamente 6 mesi. I disturbi d’ansia sono i più comuni nella popolazione in generale insieme ai disturbi dell’umore. Sono i più frequenti nella popolazione evolutiva (tra 9 e 20%). Il decorso può essere vario, durare in età adulta e si trasforma anche in disturbi come uso di sostanze (per calmare l’ansia). Oppure diventano altri disturbi d’ansia o altri disturbi dell’umore. Viene anche associato a difficoltà scolastiche e di adattamento sociale nell’età evolutiva. Fattori di rischio → c’è un discorso di vulnerabilità genetica, il carico è molto alto di ereditare qualcosa dai genitori (sfortuna dalla nascita). Stessa cosa anche per i disturbi dell’umore, come la depressione, è una questione di funzionamento biologico e dopo diventa di fattore ambientale (che amplifica quello che ci potrebbe già essere biologicamente). Fattori di rischio associati: depressione o ansia materna, patologia ansiosa e psicotica dei genitori, attaccamento ansioso- resistente (mamma torna e mi consola ma io non mi calmo) e stili genitoriali iper-coinvolti emotivamente o coercitivi. Correlati neurobiologici: ipersensibilizzazione nuclei amigdala, eccesso circolazione noradrenalina, deficit di circolazione dopamina, ridotta capacità di legame dei recettori del GABA Strumenti di valutazione: colloqui diretti con il bambino, con i genitori (importante fare tante domande e cercare di capire cosa sta accadendo anche a casa), con entrambi, osservazione del bambino, delle sue sezioni di gioco e CBCL (children behavior checklist) nelle due versioni: genitori e insegnanti. In questo caso ci sono tutta una serie di item che corrispondono a una psicopatologia specifica. DISTURBO OSSESSIVO-COMPULSIVO E DISTURBI CORRELATI Uno dei disturbi più difficili da cui guarire. Ricordiamoci che un comportamento ossessivo non è patologico. Non lo è rivedere film, mettere in sequenza, dividere per colore, rileggere la stessa fiaba, ecc… è composto da Ossessioni → pensieri, impulsi e immagini ricorrenti, vissute in qualche momento come intrusive e indesiderate, che causano ansia e disagio marcati. Anche se il soggetto tenta di ignorare e reprimere questi pensieri/impulsi/immagini, non riesce a neutralizzarli se non tramite la compulsione. Compulsioni → comportamenti ripetitivi o azioni mentali che il soggetto si sente obbligato a mettere in atto in risposta a una determinata ossessione. Comportamenti volti a prevenire o ridurre ansia e disagio, sono convinti di doverlo fare (non collegati al mondo reale, si vede che sono chiaramente eccessivi). Ricordiamoci sempre che i bambini piccoli possono non essere in grado di spiegare le ragioni del loro comportamento. Tali tipologie di disturbi nella classificazione del DSM 5 contengono: disturbo ossessivo-compulsivo disturbo di dismorfismo corporeo disturbo da accumulo tricotillomania (capelli) disturbo da escoriazione. Disturbo Ossessivo-Compulsivo ossessioni o compulsioni o entrambe, che fanno perdere tempo (più di un’ora nell’arco della giornata). Causano disagio e compromettono il funzionamento del soggetto. DISTURBI DEL TONO DELL’UMORE Sono riconosciuti in ritardo come specifica entità rispetto ad altri quadri diagnostica, questo è un problema perché c’è comorbidità con altri disturbi. Le abilità emozionali sono un elemento importante dello sviluppo socioaffettivo del bambino, poiché è proprio nell’apprendimento delle strategie per fronteggiare le frustrazioni, la paura, lo sconforto, la rabbia che egli potrà sviluppare le risorse utili per affrontare le avversità e per stabilire relazioni di fiducia. I deficit dell’espressione affettiva ed emozionale possono esprimersi in forme subdepressive che possono essere ricollegate all’evoluzione sfavorevole della capacità di interiorizzazione del disagio dei bambini. Panksepp e Biven: Gli affetti emotivi primari sorgono da anticgi circuiti neuronali situati in regioni del cervello che stanno sotto la volta pensante neocorticale. Individuano 7 sistemi affettivi di base: Ricerca Desiderio sessuale Paura Gioco Collera Cura Panico/sofferenza La modulazione di questi sistemi nei D.U. nell’infanzia offre un’espazione clinicamente rilevante della comprensione della patologia in fasi precoci dello sviluppo e un’intersezione a più livelli. Disturbi depressivi Alterazione del tono dell’umore, in senso depressivo e irritabile, che viene espressa con agiti somatici e comportamentali. Alcuni tratti ricalcano in linea generale quelli espressi dagli adulti, tristezza e anedonia, e altri tratti distintivi del disturbo nella prima e seconda infanzia come quelai l’irritabilità e l’aggressività. La depressione infantile e adulta hanno quindi tratti comuni e alcuni tratti molto diversi, perché gli stadi di sviluppo sono differenti e alcune aree non sono ancora complete nei bambini. Le manifestazioni cliniche del disturbo dell’umore in età evolutiva variano in base alle diverse fasi maturative dello sviluppo cognitivo, sociale e fisiologico del bambino. Il modo di percepire gli effetti e gli stati d’animo corrispondente variano quindi in base alla fascia d’età e al grado di sviluppo raggiunto: In fase precoce , il bambino tradurrà inizialmente in agiti somatici e comportamentali le prime modulazioni della disregolazione affettiva Successivamente saràin grado di sviluppare una maggiore consapevolezza dei propri stati d’animo, traducendoli in sentimenti di tristezza e melanconia che caratterizzano significativamente i quadri diagnostici dell’adulto Sono disturbi molto frequenti che hanno un impatto significativo nella vita della persona, finiscono per intralciare tutti i campi dello sviluppo. Possono avere caratteristiche anche molto diverse nei soggetti: stanchezza e anedonia (non aver piacere di fare le cose) inibizione della motricità, no esplorazione dell’ambiente circostante deficit e ritorno all’inizio nell’uso del linguaggio manifestazioni somatiche varie (perdita di appetito, sonno) comportamenti auto-aggressivi (mordersi e sbattere la testa) iperattività tendenze oppositive instabilità e labilità delle attività. La depressione può essere un disturbo transitorio, un sintomo o un vero e proprio disturbo. Anche nei manuali diagnostici è entrata tardi: PDM e DC:0-5 per i bambini. Il DSM inserisce tra i disturbi depressivi: disturbo depressivo maggiore disturbo da disregolazione dell’umore dirompente disturbo depressivo persistente disturbo disforico premestruale disturbo depressivo indotto da farmaci/sostanze disturbo depressivo dovuto ad altra condizione medica. Per quanto riguarda invece il DC:0-5 abbiamo: disturbo depressivo della prima infanzia disturbo da disregolazione della rabbia e aggressività altro disturbo dell’umore della prima infanzia. Disturbi depressivo della Prima Infanzia A. Umore depresso e irritabilità per più giorni, per almeno 2 settimane, per indicazioni dirette (sono triste) o per cose osservate da altri. B. Anedonia, non voglia di fare qualcosa, mancanza di reciprocità e responsività, sempre per 2 settimane. C. Due o più dei seguenti sintomi: cambiamento significativo di peso e appetito, insonnia, agitazione psicomotoria, fatica o perdita di energia. Autocritica, sentirsi incapaci, in colpa, preoccupazione rispetto alla morte. D. I sintomi del disturbo o gli aggiustamenti del caregiver in risposta ai sintomi influiscono significativamente sul funzionamento del bambino e su quello famigliare in una o più delle seguenti modalità (causano distress al bambino, interferiscono con le relazioni del bambino, limitano la partecipazione del bambino alle attività o alle routine attese per il suo livello di sviluppo, limitano la la partecipazione della famiglia nelle attività o routine di ogni giorno , limitano la capacità del bambino di apprendere e sviluppare nuove competenze o interferiscono con il suo progresso evolutivo) Quando tristezza e irritabilità sono predominanti nei bambini piccoli, specialmente nel caso in cui siano presenti sintomi vegetativi come insonnia, riduzione dell’appetito e diminuzione del livello di attività: Disturbo depressivo della prima infanzia Disturbi da disregolazione della rabbia e dell’aggressività A. Il bambino mostra un pattern pevasivo e persistente dell’umore e della disregolazione del comportamento come evidenziato da almeno 3 sintomi in ciascuno dei 4 clusters: 1. Rabbia sostanziale e disregolazione comportamentale a. il bambino ha difficoltà a calmarsi per più giorni b. il bambino si arrabbia facilmente ed è irritabile per più giorni c. il bambino fa capricci temperamentali intensi o estremi o ha reazioni di rabbia per la maggior parte del tempo d. il bambino è aggressivo verbalmente e fisicamente nei confronti di sé stesso e gli altri in risposta a una frustrazione o a una limitazione del setting 2. Non conformità e infrazione delle regole a. Il bambino discute con adulti per la maggior parte del tempo b. Il bambino sfida gli adulti per la maggior parte del tempo c. Il bambino non segue le indicazioni abituali che ha la capacità di rispettare per la maggior parte dei giorni d. Il bambino infrange le regole se l'adulto lo sta guardando, almeno ogni giorno e. Il bambino prende gli oggetti di altre persone o li sottrae nei negozi 3. Reazioni aggressive a. colpire, mordere, dare pugni ai caregivers, almeno 1 volta a settimana b. colpire, mordere, dare pugni, tirare oggetti ad altri bambini e fratelli, almeno 1 volta a settimana c. rompere di proposito gli oggetti, almeno 1 volta a settimana 4. Aggressività diretta a. spesso (almeno 1 volta a sett.) il bambino è coercitivo e controllante nel gioco con i pari (ad es. esclude i compagni dal gioco) b. Il bambino dice o fa cose che feriscono i sentimenti altrui (solo se è in grado di comprenderlo) c. Il bambino minaccia fisicamente o verbalmente gli altri d. Il bambino inizia a litigare fisicamente con altri bambini e. Il bambino usa o minaccia di usare oggetti per ferire gli altri B. I sintomi devono essere presenti in contesti diversi e in relazioni diverse C. I sintomi non sono meglio spiegati dagli altri dell’asse I D. I sintomi del disturbo, o gli adattamenti del caregiver in risposta al sintomo, influiscono sul funzionamento del bambino e della famiglia nei seguenti modi: 1. causano distress al bambino 2. interferiscono con le reazioni del bambino 3. limitano la partecipazione del bambino alle attività o alle routine attese per il suo livello di sviluppo 4. limitano la partecipazione della famiglia nelle attività o routine di ogni giorno 5. limitano la capacità del bambino di apprendere e sviluppare nuove competenze o interferiscono con il suo progresso evolutivo Quando irritabilità è cronica ed è associata alla depressione: Disturbo della disregolazione della rabba e dell’aggressività (DDAA) Altro disturbo dell’umore della Prima Infanzia Tutti i seguenti criteri devono essere presenti A. Il bambino ha 1 o più dei sintomi persistenti ma non presenta tutti i criteri per il disturbo depressivo della prima infanzia o il DDAA B. I sintomi non sono già racchiusi in un altro disturbo C. I sintomi del disturbo, o gli adattamenti del caregiver in risposta ad essi, influiscono sul funzionamento del bambino e della famiglia Fenomenologia dei disturbi depressivi lungo la linea evolutiva: una delle variabili che incidono maggiormente sulla fenomenologia depressiva è la fase di sviluppo in cui esordisce il disturbo Linee guida SINPIA diagnostiche terapeutiche-gestionali: Quadri clinici in relazione all’età di sviluppo La variazione espressiva della sintomatologia è in stretta relazione con lo svilupppo fisico, cognitico, comunicativo e sociale proprio del periodo temporale nel quale il bambino si trova ◦ Epoca precoce: il disagio viene espresso principalmente utilizzando il canale comunicativo del corpo ◦ Avanzare dell’età: maggiore variazione comunicativa, espressa direttamente dal bambino nel gioco ◦ Periodo scolare: maggiormente sintonizzato su tono depressivo ad ampio raggio tramite canali comunicativi più disparati Sintomi depressivi in relazione all’età – SINPIA < 3 anni 3-5 anni 6-11 anni Pianto eccessivo, Lamentele somatiche Pensieri di morte irritabilità Apatia Lamentele somatiche Disturbi del sonno Dipendenza e ansia Rallentamento, Alterazione delle Enuresi/encopresi goffaggine abitudini alimentari Alterazione della motricità Decremento Alterazione della Gioco monotono e ripetitivo rendimento scolastico motricità Disturbi del sonno e dovuto a difficoltà di rallentamento o dell’alimentazione concentrazione/attenzio irrequietezza Alterazione del tono ne, stanchezza, bassa Disturbi psicosomatici dell’umore (tristezza, autostima , autocritiche Scarso contatto visivo irritabilità. Appiattimento Ritiro sociale Scarsa esplorazione affettivo) Maggiore capacità di Auto/eteroaggressività verbalizzare il proprio stato d’animo che emerge dai sogni e dai giochi Fattori di rischio→ l’importanza dell’ambiente familiare nella genesi della depressione è assodata in tutta la letteratura scientifica. Fattori predisponenti: disordini psichici dei genitori, depressione post-partum, separazioni conflittuali, morti improvvisi, maltrattamenti fisici e abusi, esperienze traumatiche. Nell’interazione tra genitore e bambino il comportamento disfunzionale può a sua volta provocare risposte negative da parte del genitore. Spesso in questi casi si ha un’inversione di ruolo, come la presa di posizione al posto della mamma (se mamma piange non sono io a dovermi prendere cura di lei). Comportamenti controllanti o punitivi. Intaccata la buona crescita del bambino. Correlati neurobiologici: i traumi nella regolazione affettiva deficitaris tra bambino e caregiver contribuiscono all’iper o iporegolazione delle risposte allo stress mediata dall’asse LHPA (asse limbo-ipotalamo-ipofisi-surrene) Le evidenze scientifiche: Ruolo svolto dalla disfunzione dell’asse LHPA nella patogenesi dei disturbi depressivi in relazione al ruolo degli ormoni corticosteroidi nella modulazione della neurotrasmissione Ridotto volume ippocampo Ipotesi genetica LE EMOZIONI UN QUADRO INTRODUTTIVO «La classe è come una piccola galassia piena di stelle! Le stelle rappresentano ogni piccola sfumatura emotiva e comportamentale che va a formare la costellazione. Ecco, ogni alunno è una costellazione. In ogni alunno, come in ogni costellazione, risiede la differenza. La differenza è il valore aggiunto e non il problema. Ciò che fa parte dello studente, problematiche comprese, è competenza della scuola, contesto principe nel quale egli passa gran parte del tempo di ogni singola giornata. La scuola è molto più della scuola! La scuola ha a che fare con le emozioni: le emozioni a scuola » Culturalmente educare alle emozioni sembra una perdita di tempo a scuola, si dovrebbe insegnare a leggere, a scrivere e non ad altro. «Chi non sa sillabare l'alfabeto emotivo, si muove nel mondo pervaso da un timore inaffidabile, e quindi con vigilanza aggressiva, spesso non disgiunta da spunti paranoici che inducono a percepire il prossimo come un potenziale nemico da temere o da aggredire » (Galimberti). Oggi educare alle emozioni è una necessità sociale; la nostra società promuove un’educazione rivolta alla cura del corpo e dell’intelligenza, trascurando l’interesse per la scoperta dell’emotività. Nel dare forma alla nostra visione del mondo, le emozioni ci consentono di valutare ummediatamente le variazioni più o meno improvvise dell’ambiente e di reagire di conseguenza. Cosa sono le emozioni? Sono movimenti corporei che includono sempre un coinvolgimento visceral e Impulsi ad agire in base a improvvise variazione dell’habitat Risposte adattive all’ambiente dai tratti perlopiù inconsci, che quando vengono percepite coscientemente si trasformano in sentimenti Dare un nome alle emozioni significa riconoscerle e viverle consapevolmente. Per farlo è necessario partire dal corpo, dall’osservazione delle reazioni e delle risposte fisiologiche del nostro organismo, ovvero si deve avere la possibilità di comprendere: Quando ci succede Cosa ci succede Come succede Emozioni, stati d’animo e sentimenti: 3 componenti della vita affettiva Dimensioni principali della vita affettiva: dalle emozioni di base agli atteggiamenti cresce e cambia qualitativamente il ruolo dei processi di pensiero e dei valori esistenziali Eventi attivanti → eventi in grado di stimolare un processo affettivo, che attivano cioè un qualche livello di reazione o che innescano una serie di azioni affettive. Possono essere interni o sterni alla persona: l’interazione tra percezione e vissuti è velocissima. Non è facile, soprattutto per i mabini Emozioni di base → sin da piccolissimi, anche appena nati (reagiscono all’odore e alla voce della mamma). La rispsota emotiva pura costituisce la parte più arcaica, istintiva , innata delle nostre reazioni affettive, con le sue forti componenti fisiologice e comportamentali che dura pochi secondi. Reagiamo quindi a delle specifiche situazioni emotive un po' prima di elaborarle consciamente Il valore biologico adattativo di queste risposti è oggi riconosciuto dagli studiosi ma l’essere umano ha sviluppato reazioni affettive molto più complesse, ricche di pensiero, autostima e memoria e di valori. Stati d’animo-umore → le nostre esperienze hanno plasmato alcune caratteristiche che rimangono abbastanza stabili nel tempo. Inoltre, il nostro temperamento e la nostra personalità continuano a incidere sulle nostre azioni, accanto all’esperienza e alla memoria della nostra storia. Quindi lo stato d’animo viene alimentato da: eventi attivanti pensieri/interpretazioni vissuti di stima di sé Variabili temperamentali-fisiologiche Affiormaneti dalla memoria Sentimenti →la direzione e il controllo dell’attività affettiva sono esercitati principalemnte dai valor, motivazioni, obiettivi e oggetti del desidro, dai sogni e dalle speranze. Sono delle tensioni verso qualcosa, delle spinte motivazionali e valoriali. Orientano le nostre vite. Gli atteggiamenti → qui rientrano giudizi e pregiudizi. Si basano sulla valutazione anche errata di qualcosa; non possiamo fare a meno di giudicare. Ci costruiamo pregiudizi su qualsiasi cosa anche non volendo. A livello pedagogico per avvicinarsi il più possibile a un modo di pensare e atteggiarsi sufficientemente buono, abbiamo bisogno di capire quanto e come le idee entrino in rapporto reciproco con le basi affettive della nostra mente. Le opinioni → Il livello delle idee, opinioni e giudizi formulati prevalentemente per via razionale e logica, senza un contributo della vita affettiva, delle emozioni, stati d’animo e sentimenti. Disturbi emotivi Autostima Valutazione individuale della discrepanza fra immagine di sé e il sé ideal; gli insegnanti sono in una posizione privilegiata per influenzare l’autostima del bambino. Valutazione Osservazione informale Osservazione diretta: questionari Disegno su come vorrei essere e come mi sembra di essere: si valuta la discrepanza Test TMA/ valutazione dell’autosima: per bambini sopra i 9 anni Intervento tenere le aspettative a un livello adeguato alle potenzialità reali e realisticamente valutate dall'alunno e aumentare le sue opportunità e la sua percezione di successo. Per fare questo, prerequisito cognitivo dell'insegnante: L'autostima non sta dentro il ragazzo, ma dipende dai pensieri e dalle aspettative del ragazzo stesso, dal suo modo di vedere le cose e dai suoi rapporti con l'ambiente (dunque anche con l'ins.) In questo modo, l'insegnante comincerà a rendersi conto che una modificazione di questi pensieri e dell'ambiente potrà produrre una modificazione dell'autostima. Vediamo gli step per lavorare sull’autostima: 1. Creare un rapporto di fiducia → instaurare una relazione di alleanza con l’alunno: essere in grado di ascoltarlo, farlo parlare e cercare di comprendere se, quando e per quali motivi abbia standard e aspettative inappropriati 2. Lavorare sulle aspettative → Non tenere le aspettative di un ragazzo artificiosamente basse per salvaguardare la sua autostima: assumere sin dall'inizio atteggiamento equilibrato a proposito; portando un alunno ad accontentarsi di risultati molto inferiori alle sue possibilità, continuando a proporgli compiti molto facili, senza stimolarlo a provare/superare un ostacolo nuovo riduciamo drasticamente le sue opportunità di progresso dal punti di vista scolastico e conseguentemente cognitivo, sociale ed emotivo. 3. Evitare il confronto con gli altri → Non insegnare a un alunno, ancor più se soffre di disabilità, a definire i suoi obiettivi confrontandosi con gli altri: tutti abbiamo capacità diverse. Dal momento che siamo tutti diversi e che ciascuno ha le sue capacità e le sue carenze, il confronto più utile da fare è quello con se stessi, piuttosto che con gli altri. Un obiettivo ragionevole non sarà allora imparare a leggere come il compagno di banco, ma piuttosto imparare a leggere meglio del mese scorso! Di conseguenza → se un alunno impara a definire le sue aspettative sulla base di un confronto con se stesso e con i suoi progressi, anche il vissuto di successo risulterà migliore! 4. Aumentare le opportunità di successo →Dopo aver chiarito e "corretto" le aspettative di successo dell'alunno, cercare di aumentare sia le opportunità obiettive di successo dell'alunno che la sua soggettiva percezione del successo stesso. COME? ◦ Metodi di modellamento, rinforzo, l'insegnamento basato sull'aiuto, l'attenuazione dell'aiuto e l'apprendimento senza errori ◦ Modificazioni dell'ambiente: ad es. abbattimento di una barriera architettonica che aumenti la possibilità di movimento autonomo di un ragazzo in sedia rotelle; uso di un pc in classe che dia maggiori opportunità di comunicare a uno studente con disturbi dell'articolazione verbale o difficoltà nella scrittura ◦ Modificazione dell’ambiente dal punto di vista sociale: ad esempio insegnare agli alunni a interqagire in modo più corretto e costruttivo con un compagno disabile. Sono utili i programmi per l’insegnamento delle abilità di comunicazione, autocontrollo e problem solving attraverso esercizi di simulazione e role- playing. ◦ Tuttavia: l’intervenyp più importante è quello cognitivo sulla percezione del successo dell’alunno. L’insegnante dovrà fare in modo che l’alunno impari a percepire gli aspetti positivi della sua prestazione , a pensare che non è obbligatorio eccellere sempre e comunque e che tutti, in certi momenti, possiamo aver bisogno di aiuto per raggiungere una meta e così via. 5. Lavorare sugli stili di attribuzione ◦ considerare lo stile di attribuzione: lo stile di attribuzione è un processo cognitivo attraverso cui si cerca di attribuire una causa agli eventi. ◦ Insegare all’alunno a distinguere gli stili adattativi e disattativi: i primi servono a vivere meglio con noi stesi, ad affrontare le situazioni e migliorarci a differenza dei secondi che servono solo a creare dentro di noi disturbi emozionali e la convinzione che tanto “non c’è nulla da fare” 6. Importanza del feedback: far notare i successi e i miglioramenti “La mia autostima”, volume di Plummer e favole o storie come quella del Brutto Anatroccolo. Ansia Intervento L’intervento sui disturbi d’ansia è molto complesso e richiede quasi sempre la collaborazione dello psicologo o del neuropsichiatra infantile. Innanziatutto è necessario la struttruazione di un forte rapporto empatico con l’alunno, finalizzato a comprenderlo e aiutarlo. Di fronte a situazioni ansiogene specifiche può essere utile l’esposizione graduale. Gradualità dell’intervento: stabilire situazione che, come nello shaping, si avvicinano progressivamente all’obiettivo prestabilito. e ad es., l'obiettivo è leggere a voce alta di fronte a tutta la classe (x ansia da prestazione, non DSA), la gerarchia delle situazioni ansiogene sarà: 1) Fare una lettura silenziosa alla presenza del solo insegnante di sostegno 2) fare una lettura a voce alta alla presenza del solo insegnante di sostegno; 3) fare una lettura a voce alta alla presenza di un insegnante di classe; 4) fare una lettura a voce alta alla presenza dell'insegnante di sostegno e di un gruppo composto da 2/3 compagni; 5) fare una lettura a voce alta in classe, quando molti compagni sono impegnati in un'altra aula per un'altra attività; 6) fare una lettura a voce alta in classe alla presenza di tutti i compagni Indicazioni: Ricordarsi di rinforzare il raggiungimento di ogni obiettivo parziale Sempre in stretta collaborazione con lo psicologo/neuropsi Lavorare con la classe sui temi dell'educazione razionale emotiva Nel limite del possibile, tutto l'ambiente e in particolare i compagni, dovrebbero essere coinvolti (imparano ad evitare di assumere atteggiamenti supercritici/punitivi) L'insegnante dovrà accantonare il suo ruolo più tradizionale e preoccuparsi soltanto di aiutare l'alunno a superare la difficoltà emotiva (il fatto che abbia eventualmente letto male verrà preso in considerazione in un altro momento) Modellamento: andare a scuola accompagnati da papà sereno e no mamma ansiosa (nel caso di ansia da separazione) Capita spesso che quando si affrontino aspetti clinici degli alunni, l'insegnante sia portato a pensare che gli argomenti possono anche essere interessanti, ma che poi, in pratica, non sia suo compito usare gli strumenti descritti. L’insegnante non può usare metodi terapeutici classici, ma ci sono degli strumenti di cui si può avvalere (shaping, modellamento,… ) Simulazioni e Role playing → se l’esposizione a certe situazioni o l’imitazione di un modello genera troppa ansia. In questi casi è necessaria una supervisione psicologica o un intervento diretto sul bambino. Esempio: ha paura di cantare alla recita, i compagni interpretano il pubblico, così io inizio a immaginarmelo. Oltre all’esposizione graduale c’è anche l’intervento sui pensieri. Tali pensieri irrazionali, distorsioni cognitive possono essere suddivisi in 5 categorie: 1. Doverizzazione assolute 2. Insopportabilità 3. Pensieri catastrofizzanti 4. Bisogno assoluto 5. Valutazioni globali Lavorare su questi pensieri anche a livello linguistico. Vediamo come intervenire: 1. Distinguere i pensieri razionali da quelli irrazionali: quelli buoni da quelli cattivi. Farli riflettere se sono veramente fondamentali o no, è un esercizio che può essere fatto e continuato con i bambini ogni giorno in modo da abituarli. 2. Riconoscere se i propri pensieri sono razionali o irrazionali: i nemici nella testa che ci fanno stare male, dare loro la caccia. 3. Riconoscere che i pensieri razionali ci aiutano a superare meglio le difficoltà, mentre quelli irrazionali servono solo a peggiorare la situazione: perché dare la caccia ai pensieri irrazionali? Perchè sono cattivi e non ci aiutano, sercono solo a metterci nei guai. Meglio avere pensieri razionali che ci fanno stare più calmi, che ci abbattono e che alla fine permettono di stere meglio Educazione Razionale Emotiva (Di Pietro, 1992): È un percorso didattico che deriva dalla Terapia Razionale Emotiva. Permette agli alunni di diventare consapevoli dei propri stati emotivi, dei meccanismi cognitivi che li influenzano (da applicare nella vita di tutti i giorni). Tra gli obiettivi più importanti abbiamo: 1. Favorire accettazione di sé e degli altri 2. Aumentare la tolleranza alla frustrazione 3. Saper esprimere in modo costruttivo i propri stati d’animon 4. Imparare il rapporto tra pensieri ed emozioni 5. Incrementare la frequenza e l’intensità di stati emotivi piacevoli 6. Favorire l’acquisizone di abilità di autoregolazione del proprio comportamento Esiste un manuale intitolato “L’educazione razionale-emotiva”, che propone 3 modalità: approccio informale (lavoretti sulle emozioni) lezioni strutturate (preparo una lezione sulla gestione delle emozioni) integrazione delle materie curricolari (tramite un brano ad esempio). Libro “ABC delle mie emozioni” Di Pietro (anche per disturbi comportamentali). → ogni senzione di lavoro fa sì che l’alunno di attivi direttamente con riflessioni, auto riflessioni, autoesplorazioni, problem solving interpersonale, strategie di autoregolazione, automonitoraggio e oltre Perché fare educazione emotiva? Ci porta un esempio di altre due ricerche che ne hanno sottolineato l'importanza a scuola: Di Pietro, Morosini, Agostini (1999) → l'apprendimento e l'adattamento scolastico sono direttamente influenzati dagli stati d'animo e dalle emozioni che l'allievo vive. Se il bambino impara a riconoscere e autoregolare le proprie emozioni, avrà più possibilità di migliorare anche in ambito didattico. Celi, Conte, Monasta (2000) e Nova e Celi (2005) → miglioramenti più significativi ottenuti controllando le reazioni ansiose e diminuendo gli aspetti depressivi. Queste sono ricerche svolte in situazione reale e portate avanti direttamente dagli insegnanti, sia pure con la collaborazione e supervisione di psicologi. Così, altri insegnanti possono replicarli nelle loro classi. Vediamo anche come un altro esempio l’intervento COPE (Dacey e Fiore): C: Calmare il sistema nervoso → esercizi fisici e mentali per rilassare il sistema nervoso. Proporre esercizi fisici e/o mentali per rilassare il sistema nervoso O: organizzare un piano fantastico → stimolare il bambino a pensare in modo creativo con alcuni esercizi e giochi Stimolare il bambino a pensare in modo più creativo con alcuni esercizi e giochi (inventare storie, drammatizzare problemi) P: Persistere nonostante ostacoli e insuccessi → attività di gioco che stimolano ad assumersi dei rischi moderati e a persistere Proporre attività di gioco che lo stimolino ad assumersi dei rischi moderati e altre che accrescano l’abilità del persistere E: esaminare, valutare e perfezionare il piano → valutare la diminuzione e il livello d’ansia per vedere se il piano funziona o meno. Valutare la diminuzione e il livello dell’ansia sia durante il piano sia alla fine per vedere se funziona o se apportare modifiche È dunque importante e soprattutto possibile educare all'affettività a scuola. Vediamo anche una ricerca di Ianes in collaborazione con Demo, Modello centrato sulle 3 componenti principali della vita affettiva, emozioni, stati d’animo e sentimenti (2007). Questo modello si può atturare in modo: Formale: applicare attività più strutturate, programmate. Interventi che hanno obiettivi specifici. Informale: educazione informale all’affettività non è meno importante di quella formale e l’insegnante può attuarla attraverso una particolare attenzione alle quotidiane dinamiche di insegnamento-apprendimento, alla relazione di aiuto di cui un allievo può avere bisogno in momenti emotivamente difficili e all’elaborazione in gruppo di temi sensibili dal punto di vista affettivo.Consiste nella capacità da parte dell’insegnante di cogliere in un’occasione utile per lavorare in gruppo. In che modo ◦ che emozioni avete provato ◦ proviamo a confrontare le emozioni ◦ chi prova invidia/… ◦ come superare questa invidia/… I giochi → gioco da tavolo con l’obiettivo di arricchire la propria vita interiore. Gioco di Di Pietro e Dacomo (2007) con tabellone, dado e carte. Oltre che i libri di Sunderland, la Favola di Minuscolino e la Storia della casa. Disturbi Emozionali di tipo Depressivo Intervento L’intervento dovrebbe prevedere dei metodi per informare il personale scolastico e le famiglie sulla depressione per sviluppare tra essi una modalità collaborativa di rete di lavoro. La scelta delle strategie da usare per l’intervento su alcuni alunni depressi dovrebbe basarsi sulle conclusioni tratte dall’analisi delle informazioni raccolte sul caso specifico. Le strategie devono essere adeguate ai livelli di sviluppo e di funzionamento cognitivo, emozionale e comportamentale dello studente, focalizzandosi sull’area cognitivo comportamentale. 1) Relazione di aiuto: Impostare una relazione di aiuto con l’alunno, in un rapporto di calore e fiducia, con una comunivazione aperta ed equilibrata. Inizialmente icncoraggiare la libera esperessione dei sentimenti, anche se alcuni sono disturbati e disturbanti. Talvolta capita di bloccare, più o meno consapevolmente, questa libera espressione. 2) Ascolto: l’alunno, probabilmente, ha bisogno di poter continuare a parlare, tirare fuori la sua difficoltà chiaritci e chiarirsi i motivi di questa sofferenza. Mettersi in una posizione di ascolto, di accettazioni di tutto quello che viene detto, di interesse e partecipazione empatica positiva per quanto ci viene comunicato, Esserci: far capire che abbiamo compreso, che quanto ci ha detto ci interessa e che faremo di tutto per aiutarlo. 3) Educazione emotiva: programmare educazione emotiva intesa come insegnamento della capacità di risolvere le proprie emozioni. Ristrutturazione cognitiva per insegnarli che le attribuzioni sbagliate, i pensieri distorti, irrazionali , disadattivi, responsabili delle sue sofferenze emotive, possono essere modificati e sostituiti con pensieri migliori. Obiettivi ▪ imparare a riconoscere le properi idee irrazionali e disadattive ▪ Imparare a metterle in discussione ▪ Imparare a elaborare interpretazioni alternative ▪ Imparare a pensare, di fronte a una situazione difficile: “che cosa succederà?” ▪ Imparare a cambiare i propri comportamenti, dopo aver cambiato i propri pensieri Altre procedure applicabili 4) automonitoraggio: osservazione del proprio comportamento e annotazione in schede apposite 5) programmazione di attività piacevoli: programmare sistematicamente attività quotidiane → favorire un aumento delle attività gradevoli/costruttive e incrementare la tendenza a soffermarsi sui pensieri positivi 6) messa in discussione delle idee irrazionali: mettere alla prova le modalità disfunzionali di valutazione della realtà dell’alunno 7) modificazione dello stile attributivo: rendere coonsapevole delle sue attribuzioni disfunzionali, trasformarle per renderle più obiettive e realiste. 8) Autovalutazione: Sul piano cognitivo: l’alunno tende a effettuare valutazioni distorte dei propri comportamenti → deriva dall’abitudine a porsi standard molto elevati di prestazione, difficili da conseguire → allenare i bambini a valutare in modo corretto il loro comportamento e porsi livelli di prestazione più accessibili 9) Autorinforzo : alunno apprende modalità di autoricompensa contingenti per comportamenti adeguati. Insegnante può aiutare l’alunno a individuare specifici compiti da eseguire, quando il comportamento è eseguito correttamente può essere rinforzato. 10)immaginazione positiva: L'insegnante chiede all'alunno di immaginare una scena in tutti i suoi particolari: chiudendo gli occhi, cercando di calarsi in modo dettagliato nella scena che gli verrà descritta Le scene devono essere direttamente collegate all'obiettivo del cambiamento. 11)Apprenimento cooperativo: facciamogli sentire che ci siamo, accogliamolo, “vediamo cosa possiamo fare assieme”, “vediamo cosa non hai capito bene”, programmando anche attività non competitive (esperienze di gruppo anche per cooperare). Collera Intervento Il primo passo ancora una volta è informare, perché tutti i bambini provano in modo più o meno accentuato sentimenti di rabbia (è una cosa normale se non interferisce con apprendimento e socializzazione). 1) Stabilire se il bambino è pronto: Dobbiamo valutare se il bambino è pronto in base all’età (non di solito sotto 8-9 anni) o coloro che hanno un ritardo lieve o sono fortemente oppositivi (estendere l’intervento a tutta la classe). L’alternativa in questo caso è educare alle emozioni in tutti i casi in cui non possiamo intervenire. 2) Insegnare a riconoscere la rabbia: la rabba è un’ emozione spiacevole ma naturale. Cosa li fa arrabbiare? Quanto spesso? E nel farlo stabiliamo anche il grado, l’intensità, da 0 a 10. Oltre che chiedere di descrivere situazioni di frustrazione o furia. La rabbia è come se invadesse il nostro corpo, ci sentiamo sopraffatti, come se fossero un “mostro” per i bambini. La capacità di comprendere cosa sta avvenendo dentro di lui/lei può avere la funzione di interrompere il circolo vizioso di rabbia – paura – aggressività – paura di chi è vicino – rabbia a questa aggressione – paura e così via. 3) Insegnare a riconoscere i segnali della rabbia: far si che il bambino capisca cosa gli succede e quali sono i segnali, su tre livelli: Corpo → aumento respiro, frequenza cardiaca, sudorazione, rossore in faccia, tensione muscolare, tremolio, sensazione di corpo accaldato. Mente (pensieri) → non lo sopporto, ti odio, muori, ho voglia di spaccare qualcosa, mi arrendo, non ne faccio una giusta, sono stupido. Comportamento (azione) → dare pungi/battere, urlare, piangere, minacciare, correre, ritirarsi. Step 1: Compilazione lista Step 2: Discussioni di situazioni in cui tali segnali possono essere riconosciti Step 3: esercizi di simulazione per mostrare come si reagisce quando si è arrabbiati Quando il bambino ha appreso come identificare il momento in cui comincia a provare rabbia, si può mostrare come si reagisce quando si è arrabbiati 4) Insegnare il rilassamento, tramite 4 modi a seconda delle età e delle caratteristiche dei bambini: respirazione profonda addominale: insegnare respirazione diaframmatica si può usare insieme a tecniche di visualizzazione. Visualizzazione: Il bambino deve imparare a immaginare una scena rilassante. tecnica della bambola di pezza/robot ◦ Comunicare al bambino di tendere tutti i muscoli del corpo e ◦ immaginare di essere un robot ◦ Far mantenere questa tecnica per 15'' ◦ Comunicare al bambino di rilassarsi e immaginare di essere una bambola di pezza con tutti i muscoli sciolti ◦ Far mantenere questo stato per 15'' procedura sistematica di tensione/rilassamento dei muscoli: far s’p che l’alunno crei una tensione in gruppi di fasci muscolari, uno alla volta. Tendere la muscolatura per 5-10” e quindi rilassarla per 5-10”, ripetere per tutti i gruppi muscolari. Alla fine il corpo sarà rilassato. 5) Poi possiamo insegnare loro a usare il dialogo interno. A darsi delle autoistruzioni verbali, frasi che ci diciamo per guidare il nostro comportamento (specie per controllare le emozioni intense). Frasi come “posso controllarmi”, “cerco di rimanere calmo”, “non permetterò alla rabbia di controllarmi”, “è fastidioso quello che mi hanno detto, ma sono parole sciocche”. Anche con esercizi di modellamento e giochi di simulazione. Fare esempi con i bambini e condividere esperienze di noi, ci ascoltano tantissimo (mostriamo che anche noi proviamo emozioni negative come rabbia, tristezza, paura, ecc…). 6) Insegnare ad agire efficacemente, la fase finale dell’allenamento, agire effettivamente, andare su dei comportamenti. Esprimere lo stato d’animo o rispondere in maniera assertiva, allontanarsi dalla situazione, chiedere l’aiuto di qualcuno. 7) In tutto questo dobbiamo aiutare il bambino a mettere in pratica tutto questo. Allenarlo a fare questo e ricordargli di applicare l’autocontrollo nella vita di tutti i giorni. Esempio: uso del Promemoria per affrontare la rabbia, da compilare insieme all’insegnante. Domande: Cosa posso dire a me stesso prima di affrontare la situazione? Mentre? Dopo? Se lo vediamo frustrato mostrare la scheda, mostrare come non comportarsi e consigliare sempre l’utilizzo del dialogo interno. Sunderland (2008) la Favola di Odilla. COPING POWER SCUOLA La classe è l'ambiente naturale dei bambini e un intervento che voglia agire a livello preventivo non può prescindere da questo contesto. Le problematiche di comportamento si manifestano nell'ambiente scolastico e si esprimono soprattutto nella difficoltà di stare alle regole della classe e nel mettere in atto comportamenti che possono creare danni a sé e agli altri. Le “classi difficili” sono quelle con scarso rispetto delle regole, comportamenti oppositivi, difficoltà di autocontrollo, non capacità relazionali, ecc… La maggior parte delle energie delle docenti in queste classi viene assorbita dal gruppo problematico e di conseguenza scende l’apprendimento, aumenta il rischio di dispersione e così via. Se non si interviene tempestivamente sulle problematiche di condotta, si rischia di peggiorare il funzionamento del bambino in ambito scolastico, familiare e sociale. La scuola è il contesto ideale in cui intervenire, perché dopo la famiglia è il luogo più significativo per lo sviluppo del bambino. Inoltre a scuola c’è la possibilità di lavorare in gruppo (dinamiche cooperative e relazionali), oltre che lavorare sulla prevenzione/riduzione di marginalizzazione e stigmatizzazione sociale. Per percepire positivamente l'ambiente scolastico, è necessario starci bene: diffondere un clima sereno per facilitare l'apprendimento, sviluppare la solidarietà e curare la formazione di tutti! Qualsiasi docente sa quanto sia difficile insegnare quando gli studenti non sono in grado di stare bene insieme, di collaborare e di rispettare le regole. Il Coping Power Scuola nasce nel 2009 come programma di prevenzione per la primaria (Erickson in Italia, ma Lochmann e Wells, 2002), per poterlo attuare bisogna seguire il corso ed essere formati o essere seguiti da un esperto che ha seguito il corso di formazione. Può essere applicato anche in : Può essere applicato anche in contesti educativi extrascolastici come ad esempio: doposcuola, centri aggregativi, comunità per minori. Può essere applicato dagli insegnanti, formati dai Trainer Coping Power Scuola, o con la collaborazione di un esperto esterno. Coinvolge tutti gli alunni di una sezione per la durata di un anno scolastico Il programma prevede il potenziamento di una serie di abilità e competenze prosociali e di autoregolazione; è integrato nella didattica della classe e rispetta i principi dell'educazione inclusiva. Prevede attività di vario tipo: attivo-esperienziali (come il role playing, il circle time) e didattiche (come le attività metacognitive e l’interdisciplinarietà) È suddiviso in 6 moduli: I. Intraprendere obiettivi a breve e a lungo termine II. Consapevolezza delle emozioni e dei livelli di intensità III. Gestire le emozioni con l’autocontrollo IV. Risolvere adeguatamente le situazioni conflittuali (social problem solving) V. Riconoscere il punto di vista altrui (prespective talking) VI. Riconoscere le proprie ed altrui qualità Sono state elaborate per rispondere il più possibile ai criteri della didattica inclusiva, attraverso esperienze di apprendimento significativo e cooperativo. Utilizzo di diverse tipologie di linguaggi e strumenti per favorire i diversi stili di apprendimento. Il programma si è dimostrato efficace come modello di prevenzione primaria, essendo in grado di ridurre in modo significativo i comportamenti problematici, in particolare disattenzione e iperattività, aumentare le condotte pro-sociali, oltre a migliorare il rendimento scolastico della classe (Muratori, Bertacchi, Giuli et. al., 2015;). Tali risultati si mantengono a distanza di un anno dall’applicazione del programma Disturbi emotivi Intervento Terapia relazionale emotiva comportamentale (REBT) In qualche modo è la teoria di fondo di tutto quello che abbiamo visto fino ad adesso. Negli ultimi anni la comprensione della vita emotiva dei bambini si è notevolmente ampliata. Sappiamo con certezza che assumono un ruolo attivo nella costruzione della realtà (provano emozioni e le sentono come noi). L’insegnante non può lavorare sulle emozioni con un bambino senza conoscerne bene il funzionamento. Più padroneggiamo meglio le nostre emozioni, meglio riusciremo anche a trasmettere questa cosa ai bambini (conoscerle e saperle gestire su di noi). L’educazione razionale emotiva è un percorso didattico che deriva proprio da questa terapia. Si tratta di vero e proprio lavoro di alfabetizzazione emozionale. Insegnare al bambino l’ABC delle proprie emozioni. I pensieri che creano problemi: Pensiero assolutistico → devo sempre e assolutamente