Saggio Introduttivo di Gianfranco Contini PDF
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Gianfranco Contini
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Il saggio introduttivo di Gianfranco Contini analizza l'opera di Gadda, evidenziando elementi autobiografici e psicologici. L'autore esamina la complessità del romanzo 'La Cognizione', mettendo in luce la nevrosi e la prospettiva del narratore attraverso un testo critico.
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Gianfranco Contini – Saggio introduttivo Gianfranco Contini apre il saggio introduttivo su La cognizione del Gadda sottolineando quanto nell’opera dello scrittore milanese compaiano tratti della figura di Mademoiselle Vinteuil, personaggio che compare nella Recherche di Proust. Nell’eccesso di ques...
Gianfranco Contini – Saggio introduttivo Gianfranco Contini apre il saggio introduttivo su La cognizione del Gadda sottolineando quanto nell’opera dello scrittore milanese compaiano tratti della figura di Mademoiselle Vinteuil, personaggio che compare nella Recherche di Proust. Nell’eccesso di questi personaggi, secondo Contini è individuabile qualcosa che va oltre le semplici proiezioni autobiografiche; esso, manifestandosi in infrazioni come l’oltraggio alla figura paterna, diventa plausibile e credibile solo nell’esperienza stessa del soggetto. Più semplicemente, se di proiezioni autobiografiche si tratta – Proust nella figura di Mademoiselle -, l’autore ha avuto cura di mascherarsi per bene. Don Gonzalo Pirotubirro, agente (non in prima persona) della Cognizione presenta così tanto i caratteri del reduce di guerra che ha perso anche il fratello, dell’ingegnere elettronico nonché aspirante scrittore – tratti autobiografici tra l’altro presenti anche in scritti come Castello di Udine -, che parlare di romanzo a chiave (che verte intorno a personaggi o fatti realmente accaduti, ma camuffati a tal punto da renderli irriconoscibili) appare piuttosto riduttivo. Insomma, se c’è una chiave è una chiave che spalanca lucchetti, più che chiuderli. Si tratta certamente di confessioni, ma senza che vi sia una esibizione del proprio stato di degradazione. Una prima considerazione dell’opera è che Gadda riveste i luoghi della villeggiatura milanese con tratti tutti sudamericani – provenienti, in particolare, dal suo soggiorno in Argentina. Il Serruchòn è “qualcosa di simile, per il nome e più per l’aspetto, al manzoniano Resegone”, o ancora sottolineando quanto le luci d’autunno “in quella regione del Maradagàl, così simile, per molti aspetti alla nostra perduta Brianza, parevano le luci dei laghi di Brianza”. Non ci vuole, dunque, chissà quale analisi per capire che, se i Pirobutirro possedessero una villa nei dintorni della capitale morale di Pastrufazio, probabilmente sceglierebbero un comune come Eupili. L’epifania del nome-chiave, però, rivela già un indizio dello snodo del libro, poiché rivestita della dolente e retrospettiva simpatia dell’autore. Ad essere protagonista in Gonzalo, infatti, è il sentimento dell’astio verso la famiglia – che si traduce, peraltro, nei maltrattamenti nei confronti della madre e nel rito dei ritratto paterno calpestato. Se non si fa poesia né con i buoni sentimenti, ma neppure con quelli cattivi in quanto tali, ogni qualvolta si manifesta il rancore di Gonzalo, si reputa indispensabile il ricorso ad una estetica teodicea, cioè caratterizzata dalle giustificazioni dello stesso. Tuttavia, le giustificazioni al suo rancore sono insufficienti o futili; per tanto non nascondono un trauma infantile dovuto alla carenza d’affetto. Quell’amore, che nei suoi confronti veniva misurato, veniva al tempo stesso elargito ai più casuali beneficiari, e al risentimento di Gonzalo si accompagnano grottesche considerazioni: dallo sperpero familiare per la villa in campagna all’indulgenza della mamma nei confronti dei parassiti domestici. Non c’è dubbio, quindi, sul fatto che ci sia una nevrosi che preesiste, le cui cause sono interpretate sempre in maniera provvisoria e misera; così come non c’è dubbio che tale nevrosi persiste, come un meccanismo di autoconservazione che ha lo scopo di proteggere l’ammalato. L’opera de La cognizione prevede due parti: nella prima, v’è l’approssimativo punto di vista degli altri sull’argomento, con dei brani quasi a difesa del diretto interessato; nella seconda parte, anche qui come in altre opere rimasta incompleta, grossomodo il punto di vista della madre. Se questa incompiutezza dell’opera ha un significato letterario, è anche vero che qui coincide quasi con un istinto biologico di legittima difesa. La “Signora”, contrapposta alla figura del “figlio”, è certamente una figura in negativo: approfondirla avrebbe minato il forte individualismo dell’autore, nonché la propria nevrosi che, seppur precaria, si manifesta come protezione. Gadda trova così la soluzione, non nella contemplazione dei veri, quanto in una umoristica icasticità rappresentativa che si traduce in un riso liberatorio; è quest’ultimo a sottrarlo dal vortice dei rimorsi. La prima parte si contraddistingue, come detto, dal punto di vista degli altri, calato in contesti eroicomici; mentre la seconda alterna, alla sostanziale figura della madre, le anomalie di comportamento e le immaginazioni irrompenti del figlio, fino a creare il paradosso dell’arte macheronica che si esercita sulla materia freudiana e di una sindrome dolorosa che si cura con ricette di comicità. L’opera, in quanto frammento narrativo trova la sua ragion d’essere più radicale nella qualità lirica del temperamento, si “chiude” con versi ricavati da un antico fascicolo di “Solaria”, sede tra l’altro tutta milanese, dal titolo Autunno – e questo conferma la simpatia del Gadda verso il paese delle vacanze. E questo significa pure che una certa interpretazione dell’autore è da ricercare proprio in questo ambiente, per il quale la sua narrativa sembra avvicinarsi di più al poema in prosa che al romanzo tradizionale. Tuttavia, non manca ne La cognizione un aspetto che lo avvicina agli altri scrittori europei, come ad esempio la Woolf. Essi sono padroni di uno “spazio” temporale da governare – in questo caso del passato – che si riaffaccia sul presente attraverso i meccanismi della memoria o dell’evocazione. Nel caso di Gadda, però, il solo spazio è il presente che viene maneggiato in tutte le facce della sua espressività, con materiali utili da ogni orizzonte – non il tono, ma il colore, sottolinea Contini. L’autore milanese non ha da raccontare le vicende degli altri, ma soltanto la propria: gli estremi di un’avventura non vengono contornati, e il reale appare sempre più appetibile. Sebbene Contini porti avanti questa tesi della rappresentazione, afferma che al momento del rappresentare dovrebbe piuttosto prevalere la nostalgia del perduto, espressa da frasi intervallate se non interrotte (come un singhiozzo) dai punti di sospensione. Questo è, però, distintivo di un certo ordine lineare, che sembra quasi contraddire il modo in cui il presente esplode all’autore. Se è vero che la rappresentazione nasce da una predisposizione retrospettiva, nel caso di Gadda essa è priva di vere immagini – non è un caso che Autunno parli di tàcite immagini della tristezza dal plàtano al prato. Eppure, se in questo primo caso si può immaginare si tratti delle foglie, a seguire si manifesta l’intraducibilità tipica del simbolismo. L’apparizione del Gadda si situa in sommarie coordinate a cui vale, qui, la pena accennare, e che lo rendono, da scrittore d’anteguerra, un personaggio letterario piuttosto rappresentativo. Non c’è dubbio che in Europa, nel periodo che intercorre tra le due guerre, manipolazioni espressivistiche – lessicali, ma proprio dello strumento linguistico – fossero all’ordine del giorno. Nella maggior parte dei casi, però, il dialetto non era uno strumento di mìmesi, bensì una lingua privata. Nell’opera del Gadda, però, c’è qualcosa di ben caratterizzato. Il ricorso alle manifestazioni dialettali non sono, come per il Joyce, messi al servizio soltanto di una introversione – che nel caso in questione si traduce in un monologo interiore -; il mondo de La cognizione, infatti, è un mondo esterno, motivo per il quale il suo espressionismo, in questo senso, può considerarsi naturalistico. Tutto questo, naturalmente, non prescinde dalla considerazione che la letteratura nazionale italiana faccia corpo in maniera viscerale con la produzione dialettale. Specie negli ultimi decenni, inoltre, la storiografia va ammettendo un valore uguale a quello canonico, e senza restrizione, di poeti italiani come Porta, Belli, andando a ritroso fino a Basile. Se è vero che la patria di quella che è chiamata letteratura dialettale riflessa, nata in antitesi a quanto ormai venisse riconosciuto dalla media nazionale, sia il Seicento – beninteso insieme alla reazione barocca -, non bisogna commettere l’errore di fare altre considerazioni: e cioè che il bilinguismo tra una poesia illustre ed una dialettale sia, in realtà, assolutamente originario e costitutivo della letteratura italiana. A partire, ad esempio, da quel Cecco Angiolieri le cui sfumature dialettali furono un po’ offuscate dalla patria toscana. E v’è di mezzo anche Dante che, seppure non il punto di partenza, è comunque un punto importante che si pone sulla linea gaddiana. La sola lingua, di conseguenza, che si possa considerare democratica pare essere quella di Leopardi, verso il genere umano, e quella del Manzoni, verso la società umana. Eppure è proprio con quest’ultimo che accade qualcosa di paradossale: nella sua ricerca di una lingua che, topograficamente e socialmente, potesse essere al grado zero, molti connazionali vi ritrovarono comunque un taglio differenziativo; e in esso v’è il seme di quello che Gadda definisce “ribobolo”, cioè impasto più elaborato. E’ questo, comunque, se non la fonte letterale dello scrittore milanese, l’ambiente la linea sulla quale lo si potrebbe collocare. E se è vero che assume i tratti del conservatore, in linea alla tradizione italiana, è anche vero che Gadda orienta la sua rappresentazione anche al mondo linguistico del secondo dopoguerra, uscendo spesso fuori dalla media. Questo è stato spesso interpretato come segno di una crisi, di una rottura, alla quale lo scrittore non pone rimedio; la presenta così com’è, senza che, manzonianamente, presenti uno stile idealistico che possa superarla. In questo, la sua espressione dialettale diventa simbolo di una realtà non pacificata, e in questo modo sembra porsi anche sulla scia di una certa letteratura di sinistra, con premesse rivoluzionarie tutte dalla parte del dialetto; sulla scia di una ripresa zoliana e verghista del primo verismo. Al di fuori di questa dimensione dialettale, o si prosegue la scia di uno stile illustre, oppure si scende sotto la superficie del convenzionale letterario, con la scrittura che diventa una testimonianza di un assurdo esistenziale quotidiano – ma, in queste, non prosegue la linea manzoniana. Certo è che la popolarità del Gadda è legata al romanesco del Pasticciaccio. Non sembra azzardato sottolineare quanto i Racconti romani di Alberto Moravia si rivestano dell’alone lasciato dall’opera gaddiana, sebbene nella direzione opposta per cui il romanesco, più che per l’espressività, vale per la mìmesi di una delle serie di manichini e automi. Altre origini ha il romanesco di Pier Paolo Pasolini, quello di Ragazzi di vita e di Una vita violenta, con l’intento di perseguire una lingua inedita, “che più non si sa”, dice Contini. Ancor di diversa natura è l’ingrediente del vernacolare nel neoverismo che si riconduce a Cesare Pavese, e la sua compenetrazione nel monologo interiore è apparsa a Emilio Cecchi, un importante recensore di Paesi tuoi, come un ricorso ai Malavoglia, ma fecondati dal verismo francese. Pavese, però, si distingue per qualcosa che non era presente nel verismo verghiano: una corresponsabilità che avvicina la sua narrativa alla salute della sua anima. Nell’opposizione, presente in opere come Paesi tuoi o La luna e i falò, tra vita cittadina e vita di campagna, e cioè tra il mondo dei diritti e quello dei goffi, provoca il monologo come tentativo di identificazione in quei linguaggi segreti. In questo caso il linguaggio, privo di sperimentazioni, è il tentativo di adattarsi alla società. Certo non si può pretendere che dalla scrittura di Gadda escano tutte queste influenze, ma Contini sostiene che lo scrittore milanese è come il capoluogo di un paese dai dintorni divergenti, ma che riconosce proprio in quella “capitale” un punto di riferimento. Nell’Italia linguistica contemporanea, in conclusione, tutto ciò che è attorno a lui è una gran camera di risonanza.