Riparazione e Rigenerazione dei Tessuti PDF

Summary

Questo documento descrive i processi di riparazione e rigenerazione dei tessuti, distinguendo fra i due processi. Vengono analizzate le tappe dell'infiammazione e i meccanismi cellulari coinvolti, come la migrazione, l'attivazione e il differenziamento delle cellule. Vengono inoltre descritte le differenze tra i diversi tipi di tessuti in base alla loro capacità rigenerativa.

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RIGENERAZIONE → è la risposta in seguito a un danno che ripristina l’integrità morfo-funzionale del tessuto, che riacquisisce le caratteristiche iniziali. Tutti i tessuti in grado di rigenerare sono detti labili o a rapida capacità rigenerativa; per cui se dopo l’infiammazione viene intrapresa quest...

RIGENERAZIONE → è la risposta in seguito a un danno che ripristina l’integrità morfo-funzionale del tessuto, che riacquisisce le caratteristiche iniziali. Tutti i tessuti in grado di rigenerare sono detti labili o a rapida capacità rigenerativa; per cui se dopo l’infiammazione viene intrapresa questa strada si ha la formazione di nuove cellule che sostituiscono quelle perse (ad es. nelle lucertole la coda persa ricresce con tutte le componenti ossee, nervose e vascolari). RIPARAZIONE → è un processo caratterizzato dalla sostituzione del tessuto danneggiato con tessuto cicatriziale in seguito alla deposizione di matrice extracellulare resistente fatta di collagene 1, creando un tessuto perenne che non ha la stessa resistenza o elasticità del tessuto nativo, per cui si ha la formazione di una cicatrice. Questi tessuti sono detti a lentissima/assente capacità proliferativa con cellule incapaci di proliferare (ad es. le cellule del sistema nervoso). Se l’infiammazione diventa cronica le lesioni tissutali e i processi di riparazione coesistono, e si ha un’eccessiva deposizione di tessuto connettivo definita fibrosi. TAPPE DELL’INFIAMMAZIONE In seguito al danno si ha per prima cosa sanguinamento seguito rapidamente da emostasi, la conseguenza immediata alla rottura di un vaso è l’ipossia con conseguente switch energetico delle cellule alla glicolisi anaerobia. Vengono rilasciate molecole con azione chemiotattica, i DAMPs, e i prodotti di degranulazione delle piastrine che attivandosi liberano granuli contenenti istamina, PAF, serotonina, PDGF ecc. a cui segue l’attivazione del complemento. Per poter riparare il tessuto le cellule si devono poter muovere, per questo emanano pseudopodi che ne permettono lo spostamento; per spostarsi gli spazi del danno devono essere riempiti da una matrice, che in un primo momento è costituita dalla rete di fibrina, questa deriva dall’attivazione del fibrinogeno che viene clivato, e la fibrina attiva va a formare un complesso con fibronectina e integrina creando una prima matrice (resistenza molto bassa) cha fa da supporto per i fibroblasti e consente la migrazione di cellule richiamate dal gradiente chemiotattico. Le cellule che si trovano già nel tessuto iniziano a migrare, mentre quelle all’interno dei vasi devono aspettare i mediatori dell’infiammazione che portano all’apertura di spazi nell’endotelio e ne permettono lo spostamento. Con la vasodilatazione iniziale il flusso all’interno del vaso rallenta, le cellule marginano e iniziano a rotolare sulle cellule endoteliali che quando attivate esprimono proteine d’adesione per i leucociti, questi cambiano forma appiattendosi, e si ha diapedesi leucocitaria (o extravasazione) con migrazione secondo il gradiente chemiotattico. I primi leucociti ad arrivare sono i neutrofili, e quando arrivano (già dal primo giorno) sono già fenotipicamente pronti a fagocitare, però sono essenziali solo in presenza di batteri che dovranno essere rimossi. Dopo 2-3 giorni intervengono i macrofagi (non circolanti ma presenti in sede), questi iniziano il processo differenziativo e possono assumere due diversi fenotipi: M1 o M2. Come cellule circolanti si hanno solo i monociti che devono maturare in macrofagi. DAMPs → “damaged associated molecular patterns”, sono molecole rilasciate dalla cellula durante danno o morte cellulare e vengono riconosciuti dai recettori PRR (tra cui i toll like receptors) dell’immunità innata inducendo una risposta con secrezione di citochine e chemiotassi cellulare (con le cellule che migrano nella zona di danno dove sono localizzate queste molecole). I segnali possono essere rilasciti dalla matrice danneggiata, come frammenti di collagene, di fibronectina ecc. oppure segnali rilasciati dalla cellula danneggiata; i DAMPs inducono quindi la risposta infiammatoria di tipo ASETTICO poiché scatenata da danno tissutale o cellulare senza presenza di batteri. PAMPs → “pathogen associated molecular patterns”, sono molecole o porzioni di molecole caratteristiche di alcuni patogeni, batteri o funghi che vengono identificate come non self dall’immunità innata e inducono una risposta infiammatoria SETTICA o INFETTIVA diretta verso i patogeni stessi. TEMPISTICHE DELLA RIPARAZIONE Primi minuti → attivazione delle piastrine con liberazione di citochine e fattori di crescita, nella zona di danno saranno presenti DAMPs e PAMPs, e per l’interruzione dei vasi l’ipossia porta alla trascrizione di geni tra cui il VEGF che stimola la proliferazione delle cellule endoteliali vasali; Dopo 12 ore → arrivano i LEUCOCITI che permangono per i primi giorni; Prima settimana → con la vasodilatazione si ha la fuoriuscita dei monociti, quelli presenti nel corso della prima settimana esprimono geni per la sintesi di IL-1 e 6, TNF-a; tra i mediatori che portano a vasodilatazione c’è il NO prodotto dall’endotelio dopo stimolazione da TNF-a; viene anche liberata istamina dai mastociti in loco. L’NFkB è un master gene della risposta infiammatoria al danno, il blocco di questo fattore di trascrizione nucleare porta al cambiamento fenotipico dei macrofagi presenti in M1 che vengono convertiti a fenotipo M2 con espressione di IL-4 e 10 che spengono la risposta infiammatoria e promuovono la liberazione di citochine che danno una risposta riparativa da parte dalle cellule mesenchimali ed endoteliali; la citochina principale è TGF1 che promuove la sintesi dei proteoglicani e del collagene. I fattori liberati dai granuli piastrinici agiscono in due modi sulle cellule target: inducono la replicazione agendo come agenti chemiotattici; quando finisce la proliferazione viene indotta l’espressione di proteine di matrice o per il rimodellamento del tessuto (metalloproteasi). Durante i primi giorni della fase riparativa è sintetizzato principalmente collagene 3 che crea maglie che legano piccole proteine di matrice, laminina e fibronectina, essenziali per la migrazione dei fibroblasti. Come risposta fisiologica all’ipossia c’è la liberazione di VEGF, che stimola le cellule endoteliali a formare nuovi capillari che inizialmente sono a fondo cieco; quando questi si uniscono e avviene l’inosculo si ha la ripresa del flusso di sangue alla zona danneggiata, si interrompe il rilascio di VEGF con conseguente riduzione di “gemme vascoalri” molto presenti nel tessuto di granulazione. Dopo una settimana dal danno → si ha una maturazione del tessuto di granulazione con cambiamento del tipo di collagene prodotto, che sarà di tipo 1, ovvero quello di cui è costituita la cicatrice; si chiude così la fase intermedia della riparazione al danno. La fase attiva del processo di guarigione dura almeno 20 giorni, con continua deposizione di collagene 1, le fibre si organizzano in parallelo e contemporaneamente avviene il rimodellamento ad opera delle metalloproteasi. La CICATRICE è un tessuto avascolare, questo tipo di riparazione ripristina l’integrità anatomica ma non funzionale, e il tempo necessario al completamento del processo può arrivare a due anni. RIPARAZIONE DANNO CUTANEO Il tessuto epiteliale guarisce più rapidamente rispetto a quello connettivo; la cute è divisa in epidermide, ipoderma e derma. L’epidermide ha nel suo strato più profondo, che poggia sul derma, cellule che formano la membrana basale, sono pluripotenti e vanno incontro alla maturazione verso l’esterno, allo stadio successivo si arricchiscono di citocheratine diventando cheratinociti, poi cellule dello strato spinoso, negli ultimi due strati le cellule sono ancora vive ma il nucleo non è più riconoscibile, strato granuloso e strato lucido, infine non si vedranno più le cellule ma materiale proteico amorfo detto strato corneo. Quando la cute è integra si ha normale differenziamento asimmetrico, mentre in presenza di un danno il vuoto lasciato dalle cellule perse, nel giro di una settimana nuove cellule epiteliali ricoprono la lesione per via dell’elevata cinetica replicativa. Al momento del taglio, per via delle proteine presenti nel tessuto che sono sottoposte ad una costante forza tensile ai due capi, si ha la separazione e l’allontanamento dei lembi di tessuto e in un secondo momento questi si riavvicinano per via della presenza di fibroblasti che attivati esprimono proteine contrattili che “portano con sé il tessuto” mentre il fibroblasta si muove secondo il gradiente chemiotattico. Se la lesione è profonda quindi coinvolge l’annesso ghiandolare, contenente il compartimento staminale, allora il tessuto riformato non avrà gli annessi cutanei originali (ghiandole sebacee, sudoripare, bulbi piliferi); mentre se la lesione è superficiale e non interessa l’annesso ghiandolare il nuovo tessuto sarà identico a quello nativo. La guarigione può essere: di PRIMA INTENZIONE → se i margini sono a stretto contatto (suture, colle), la matrice necessaria a colmare il danno è minima quindi la cicatrice è poco visibile ed è possibile riformare una continuità ottimale. SECONDA INTENZIONE → quando i margino non sono tenuti vicini c’è alta deposizione di matrice con aumento dei tempi di guarigione e alterazioni del tessuto con formazione di cheloidi, superfici ipertrofiche, aderenze ecc. CONTRAZIONE DELLA FERITA È sostenuta da miofibroblasti che all’interno presentano la proteina actina contrattile ancorata al citoscheletro della cellula. La velocità di migrazione dei fibroblasti va dai 6 agli 11 micron/h; questi producono lamellopodi e integrine che si ancorano alla superficie composta da fibronectina e laminina (rete di fibrina). La guarigione della ferita può essere ostacolata da vari fattori, locali come un danno meccanico, infezioni, ischemie, radiazioni, corpi estranei, fattori regionali come insufficienza venosa o neuropatia, fattori sistemici come malnutrizione, fumo, insufficienza sistemica, e il risultato può essere il distacco dei margini, deiscenza, o una cronicizzazione della ferita, ulcere e piaghe; in questi casi per la mancanza di vasi la ferita non può rimarginarsi e si interviene chirurgicamente per creare un coagulo. CICATRICI CHELOIDI → cicatrici ipertrofiche che si formano dopo particolari lesioni come ustioni da sostanze chimiche oppure in casi di cute iperpigmentata; istologicamente lo spesso dell’epitelio è uguale ad una ferita normale ma cambia la quantità di collagene, il problema oltre ad essere estetico è anche funzionale a seconda della sede di formazione. RIGENERAZIONE DEI TESSUTI I tessuti vengono identificati in: tessuti a forte capacità rigenerativa, a lenta capacità rigenerativa o tessuti a lentissima capacità rigenerativa; in questi tessuti sono presenti elementi cellulari che originano il tessuto maturo andando incontro a differenziamento, la popolazione cellulare in un tessuto è mantenuta dagli elementi staminali. Le cellule adulte in continuo ciclo cellulare sono dette cellule labili (es. epiteliali), altre sono in stato di quiescenza dette cellule stabili e proliferano solo in seguito a stimolazione da fattori specifici (es. gli epatociti), poi ci sono quelle che non sono in grado di proliferare e sono dette cellule permanenti (es. cellule nervose e muscolari). DIFFERENZIAMENTO CELLULARE → nello sviluppo dell’organismo le cellule pluripotenti migrano in posizioni diverse dell’embrione e vanno incontro a pathway differenziativi diversi originando diversi tessuti, quindi alcuni geni vengono espressi, altri silenziati ottenendo fenotipi diversi ma con lo stesso genoma; un cross-talk tra le cellule indica che queste possono influenzarsi a vicenda e che il differenziamento è influenzato dalla localizzazione cellulare. Il modello più usato per studiare il differenziamento e la rigenerazione è la planaria, un verme piatto che quando tagliato in pezzi ognuno di questi può rigenerare un intero organismo, a seconda di dove si taglia i tempi di rigenerazione sono diversi; per la rigenerazione di un intero corpo sono necessarie almeno 10.000 cellule, ma non tutte le parti della planaria rigenerano ad esempio la parte rostrale e la faringe se staccate dal corpo muoiono. NEOBLASTI → le cellule responsabili della rigenerazione in planaria, sono distribuite in tutto l’organismo (tranne faringe e zona rostrale) ed esprimono il gene piwi-1. Queste cellule possono dare origine sia ad una atra cellula uguale che a cellule che poi differenziano nei vari tessuti; è stato osservato che il trapianto di un singolo neoblasto in una animale depletato delle cellule staminali ripristina completamente la sua capacità rigenerativa. RIGENERAZIONE IN SALAMANDRA La salamandra è in grado di rigenerare gli arti amputati, ma non per la presenza di neoblasti ma con il de- differenziamento di cellule mesenchimali; le cellule de-differenziate danno origine al blastema, con un foglio superficiale di cellule epiteliali che ricoprono il moncone e un foglio sottostante di cellule mesenchimali che poi ridifferenziano dando origine ai tessuti persi. Il nuovo assone del nervo tagliato prende contatto con il cappuccio epiteliale, giunzione neuro-epidermica, se si impedisce il contatto non avviene la rigenerazione. A 48 ore → la proliferazione dell’epitelio riveste il moncone dell’osso. A 7 giorni → l’epitelio ha chiuso completamente il moncone e il tessuto osseo e muscolare danneggiato è stato in parte riassorbito e si è formato il cappuccio epiteliale a chiusura del moncone. A 14 giorni → l’osso non è più in contatto con l’epitelio e la proliferazione di cellule mesenchimali va a riempire lo spazio formando il blastema; queste cellule di natura mesenchimale si ritiene si formino per de- differenziazione di altre cellule mesenchimali. A 18 giorni → inizia la crescita del nervo. A 24 giorni → compaiono aree cartilaginee con cellule simili ai condroblasti che si organizzano a formare abbozzi di strutture più riconoscibili. A 40 giorni → le falangi e il carpo sono evidenti, e le dita sono delineate insieme alla membrana palmare. Si è osservato che oltre al blastema si formava un nervo che esprimeva la proteina nAG, espressa anche nelle cellule epiteliali del blastema; questa proteina espressa nella giunzione neuro-epidermica è fondamentale per la formazione del blastema e la rigenerazione dell’arto (somministrata ad un arto de- innervato la rigenerazione riprendeva). PATHWAY RIGENERAZIONE OSSEA → sono stati definiti due pathway per l’induzione della crescita e formazione dell’osso, uno dipendente da sonic hedgehog e uno indipendente da shh e governato da BMP6. MODELLI PER LA RIGENERAZIONE Nell’animale da esperimento si crea la lesione, si rendono tracciabili tramite marker le staminali che poi vengono iniettate nel modello; un esperimento è stato fatto usando epatociti isolati da topo Spallanzani e iniettate nella vena caudale di un topo normale, dopo l’attecchimento si è creata una lesione cardiaca che ha rigenerato senza cicatrice; finora nel topo Spallanzani sono stati identificati 20 geni coinvolti nella rigenerazione tra cui geni per metallo-proteasi in numero superiore rispetto ad altri topi. Spiny mouse (Acomys) → ha una pelle estremamente fragile (77 volte più di un topo da lab), ripara la cute con velocità superiore ad altri topi oltre che al midollo spinale, padiglione auricolare, danni renali, danni muscolari e da ischemia. È in grado di riepitelizzare velocemente, rigenera papilla dermica, ghiandole sebacee, muscolo erettore del pelo, follicoli piliferi; vi è la formazione del blastema e la matrice generata dai fibroblasti nel derma ha una cellularità inferiore rispetto al tessuto di granulazione di altri topi. A seguito di danno muscolare da miotossina è in grado di rigenerare il muscolo in modo continuo (capacità che si esaurisce nell’uomo). In questo roditore c’è una ridotta presenza di cellule dell’infiammazione, di fibroblasti e una diversa composizione della matrice con riduzione di fibre collagene. Una cosa in comune con il topo Spallanzani è che entrambi hanno un sistema immunitario meno efficiente (anche le salamandre sono immunodeficienti), per cui c’è una correlazione tra capacità rigenerativa e risposta immunitaria, infatti nell’uomo dato che si è sviluppata un immunità adattativa per proteggerci da replicazioni incontrollate (neoplasie) e aumentare l’aspettativa di vita, abbiamo perso la capacità di rigenerare poiché la riparazione cicatriziale impedisce la formazione del blastema e quindi il processo rigenerativo. FORMAZIONE CICATRICE I macrofagi producono TGF-b che legandosi ai fibroblasti porta alla sintesi di collagene; ce ne sono tre tipi: TGFb-1 e 2 → sono quelli normalmente prodotti nell’adulto da macrofagi e cellule mesenchimali, e portano a guarigione con cicatrice; TGFb-3 → prodotto in grandi quantità nell’embrione (che produce poco beta 1 e 2) e la guarigione avviene senza cicatrice, mentre nell’adulto si osserva nelle fasi finali di rimodellamento della ferita e porta a cicatrice ridotta. I topi KO per il tipo 3 esprimono cicatrice anche a livello embrionale; per cui se si cerca di rigenerare cartilagine umana con il TGFb-1 si ottiene fibrocartilagine mentre con TGFb-3 cartilagine ialina. CELLULE STAMINALI Devono avere determinate caratteristiche, capacità di autorinnovamento, di rigenerazione e differenziamento, ma oltre a queste capacità non tutti gli animali hanno cellule staminali con le stesse caratteristiche; nel topo ad esempio le cellule che circondano le nicchie staminali producono la citochina LIF che blocca la proliferazione delle cellule leucemiche, questa impedisce il differenziamento e mantiene la capacità proliferativa, le cellule umane invece non possono essere bloccate da LIF. Si possono dividere attraverso: divisione simmetrica → dove si originano due staminali divisione asimmetrica → una staminale e un progenitore differenziamento asimmetrico → si originano due progenitori, cellule committed verso una linea specifica. AUTORINNOVAMENTO → è il principio del trapianto di midollo, dopo irraggiamento per eliminare le staminali neoplastiche vengono infuse staminali in grado di replicare, se queste sono in grado di ricostruire la popolazione distrutta allora sono effettivamente staminali; devono anche poter mantenere un pool staminale per il continuo rinnovo di cellule ematiche, e limitare la loro proliferazione a differenza delle cellule tumorali, questa è controllata da continui scambi di segnali tra la cellula e il microambiente (nicchia staminale), uno dei meccanismi di controllo è l’espressione della proteina sdf1 che si lega al recettore c-kit e fa si che le staminali nella nicchia non proliferino. Cellule totipotenti: danno origine a tutte le cellule del corpo dell’individuo, e a placenta e annessi placentari, le troviamo fino allo stadio di morula (3gg). Cellule pluripotenti: non possono più formare gli annessi fetali ma tutti gli altri tessuti dell’organismo si, le troviamo nell’inner cell mass della blastocisti (5-14 gg). Cellule multipotenti: differenziano nelle cellule di un solo foglietto embrionale, le troviamo nel tessuto fetale e nel sangue cordonale. Cellule unipotenti: sono estremamente specializzate, differenziano in un solo tipo cellulare. PLASTICITA’ È la capacità differenziativa di una cellula staminale, questa viene sempre più limitata con lo sviluppo dell’embrione, anche la capacità di automantenersi viene meno andando incontro a senescenza con accorciamento dei telomeri. Per capire quali cellule sono effettivamente staminali per prima cosa si guarda se possono formare colonie, cioè gruppi con più di 50 elementi che originano da una singola cellula espansa in modo clonare; per vedere se possono differenziare in vari tipi cellulari e quindi la plasticità si osserva la formazione di teratomi in vivo, mentre in vitro abbiamo la generazione di corpi embrioidi con i 3 foglietti germinali. Per evitare che in terapia le cellule trapiantate diano origine a un teratoma si deve fare un pre- commissionamento in vitro, per le cellule umane si usano protocolli di differenziamento per la stimolazione di geni “master switch”, questi sono attivati da fattori di crescita e citochine con medium specifici, questi vanno a regolare altri geni a valle che portano a un commitment specifico della cellula. PLASTICITA’ APPARENTE → è il fenomeno del de-differenziamento, la cellula torna indietro nel programma differenziativo per poi ridifferenziare in una cellula diversa da quella originale; è un falso transdifferenziamento (plasticità vera e propria) perché la cellula regredisce a cellula immatura per poi differenziare. STADI DELL’EMBRIOGENESI Giorno 1 → l’oocita viene fertilizzato e inizia lo sviluppo dell’embrione Giorno 2 → è allo stadio di due cellule, zigote. Giorno 3-4 → si ha un embrione multi-cellulato, la morula, fino a questo stadio le cellule sono totipotenti; Dal 5 giorno → si forma la blastocisti che cresce e contiene a un polo un ammasso di cellule, l’inner cell mass, queste cellule sono pluripotenti poiché non sono in grado di dare origine al trofoblasto Dall’ 11 giorno → inizia il differenziamento tissutale. ISOLAMENTO STAMINALI EMBRIONARIE UMANE Utilizzando la tecnica dell’immunosurgery si isola la zona pellucida con una soluzione acid tyroid, poi con anticorpi specifici si provoca la lisi delle cellule del trofoblasto (con struttura simil-epiteliale che circondano la blastocisti) e si procede al prelievo delle cellule dell’inner cell mass. Una volta ottenute si procede alla frammentazione meccanica (approccio che consente il maggior numero di cellule funzionalmente utili), poi i frammenti vengono messi su feed-layers dove iniziano a crescere consentendo ulteriori frammentazioni. MARCATORI DELLE CELLULE EMBRIONARIE Fosfatasi alcalina: espressa nelle cellule staminali SSEA-1: nel topo è sempre espresso in cellule embrionali non differenziate, mentre nell’uomo in cellule che hanno già iniziato un commitment differenziativo. SSEA-3, SSEA-4: espresse nelle cellule staminali embrionali umane, quindi non differenziate. Oct-4: fattore trascrizionale con ruolo nello sviluppo embrionale precoce e la regolazione della sua espressione è necessaria per mantenere la pluripotenzialità, un aumento di due volte della sua espressione induce le cellule della ICM a differenziare in endoderma primitivo e mesoderma, se invece è completamente inattivato la pluripotenza viene persa e le cellule si differenziano in trofoectoderma. CARATTERISTICHE DELLE ESC (staminali embrionali) Sono pluripotenti, possono essere fatte crescere in sospensione a formare strutture rotondeggianti in piastre senza superficie adesiva, dove si aggregano in strutture dette corpi embrioidi; una volta isolate vengono trasferite in piastre di adesione per il differenziamento, il corpo embrioide si disorganizza e le cellule formano il monostrato. In vivo differenziano spontaneamente nei tre foglietti germinali dando origine ad un teratoma (somministrate sotto la cute dorsale del topo), in vitro invece si deve indurre il differenziamento con l’aggiunta di altre molecole. Con l’aggiunta di T3 e insulina è favorito il differenziamento in adipocita, mentre con l’acido retinoico l’effetto cambia in base alla concentrazione, eritropoietina e c-kit per gli eritrociti, per cellule vascolari muscolari si combinano acido retinoico e AMPc, però ancora nessuno dei protocolli è ottimale. Tra i problemi c’è il pericolo che diventino tumorali dando origine a un teratoma, e se trapiantate potrebbero essere rigettate perché non compatibili con il ricevente. RIPROGRAMMAZIONE NUCLEARE Serve per rendere più trascrivibili i geni presenti all’interno di una cellula somatica, tramite il cambiamento dell’addensamento della cromatina controllato dall’acetilazione degli istoni e dalla metilazione dei nucleotidi, e consentire alla cellula di esprimere caratteristiche diverse. Gli approcci tentati sono: - Trasferimento nucleare, - Fusione cellulare, - Estratti cellulari, - Riprogrammazione nucleare indotta da terreno di coltura particolare. TRASFERIMENTO NUCLEARE PER GENERARE CELLULE SOMATICHE Con la tecnica di clonaggio SCNT (somatic cell nuclear transfer) si trasferisce il nucleo diploide di una cellula somatica all’interno di un oocita denucleato da donatore, per valutare se gli elementi presenti nella cellula uovo avessero le capacità di modificare l’epigenetica della cellula somatica. Questa tecnica permette di clonare una cellula somatica ottenendo un organismo al 99% identico, mentre l’1% è dato dai mitocondri della cellula uovo; durante il processo di formazione dell’embrione si è osservato il cambiamento del pattern di metilazione della cellula somatica. L’operazione di trasferimento viene fatta spesso in metafase in modo che il DNA sia condensato per cui è più facile identificare il nucleo da rimuovere con luce UV; per iniziare la divisione cellulare una volta trasferito il nucleo è necessario applicare una differenza di potenziale (la depolarizzazione è essenziale anche durante la fecondazione). A seconda dello sviluppo della cellula formata si ha: Clonaggio terapeutico → lo sviluppo embrionario viene bloccato ai primi giorni e si procede con il prelievo delle cellule (pluripotenti) che verranno fatte differenziare in vari tessuti. Particolarmente utile in terapia poiché le cellule sono perfettamente compatibili con il donatore. Clonaggio riproduttivo → si permette lo sviluppo dell’embrione fino al termine (ad esempio trasferendolo in utero) con la nascita di un clone. L’embrione viene impiantato in utero allo stadio di morula, ma è una tecnica con bassissima efficienza (0.1- 3%). La prima sperimentazione di clonaggio riproduttivo di successo è stata fatta tra la cellula somatica da ghiandola mammaria di una pecora Finn Dorset (muso bianco) e l’oocita di una Scottish black face (muso nero, per avere la certezza che il clone fosse effettivamente della muso bianco). È stato necessario indurre un ovulazione multipla tramite l’uso di GnRH, gli oociti ottenuti si sono bloccati in metafase per l’identificazione e aspirazione del nucleo; nel mentre vengono prelevate le cellule della ghiandola mammaria di Finn Dorset, coltivate in vitro e arrestate in fase G0. Dopo la fusione gli zigoti vengono coltivati in vitro fino allo stadio di morula e poi impiantate in madri surrogate di razza black face (preparate con GnRH per accettare le uova fecondate), in ogni pecora vengono inseriti più oociti, nella madre di Dolly ad esempio ne erano stati impiantati 13 (dei 29 embrioni che si avevano in origine solo uno è stato portato a termine). Biologicamente le cellule di Dolly non erano uguali ad un agnello normale, avevano i telomeri più corti dell’80%, lunghezza pari a quella della cellula somatica adulta da cui è derivata; un altro particolare è che all’analisi del genoma mitocondriale questi provenivano dalla cellula uovo della black face, per cui tecnicamente Dolly non è un clone al 100% ma un ibrido. Perciò in un unità NT rispetto ad un embrione avremo: l’epigenoma diverso perché il livello di demetilazione del DNA non è uguale; i telomeri hanno lunghezze diverse; la placenta è più piccola del normale e ha caratteristiche morfologiche diverse; in vitro hanno esigenze metaboliche diverse rispetto ad embrioni normali quindi i terreni usati sono diversi. CELLULA SOMATICA OTTIMALE → le cellule donatrici con maggior successo sono le cellule del cumulo, del follicolo epiteliale, fibroblasti. A seconda della combinazione di vari tipi di elettrodi e di impulso dato cambia la % di blastocisti ottenute. Per migliorare la procedura si è visto che sono utili gli inibitori delle deacetilasi istoniche, tra cui tricostatina. Preparazione cellule per fusione → le cellule somatiche vengono piastrate in DMEM con siero fetale bovino almeno 10 giorni prima dell’esperimento cosicché si raggiunga la confluenza, poi si riduce la concentrazione di siero per avere le cellule in G0. Gli oociti invece vengono isolati 35 ore dopo l’induzione dell’ovulazione e tenuti a 37°C con citocalasina b. CHIMERA → si ottiene con il nucleo di una cellula somatica inserito all’interno di un oocita di una specie diversa; un esempio è stato il prodotto tra uno zebrafish e un medaka, pesci sparati da 320 milioni di anni di evoluzione, e benché abbiano velocità di sviluppo dell’embrione diversa hanno osservato che le cellule adottavano lo sviluppo della specie che agiva da “surrogato” (zebrafish), per cui il microambiente è stato in grado di indurre il differenziamento delle cellule del medaka che si integravano con lo zebrafish. PARTENOGENESI → è una riproduzione asessuata che non richiede fecondazione, però è comunque sessuale perché richiede l’uso di gameti (in questo caso femminili), è tipica dei rettili e occasionalmente negli squali. Nei mammiferi non è presente ma si è provato ad indurla in topi, e le cellule staminali embrionali ottenute sono immunologicamente simili all’oocita che però non è vitale, quindi non è in grado di svilupparsi e dare origine a un individuo, questo potrebbe essere dovuto al conflitto tra i due cromosomi X (spesso uno viene perso, aberrazione) e le cellule risultano aneuploidi; la perdita è dovuta alla riduzione di metilazione che non permette la condensazione della cromatina del cromosoma X e la sua inattivazione (che in genere avviene casualmente in tutte le cellule di un individuo). IPSC (Induced Pluripotent Stem Cells) Sono cellule ottenute artificialmente in laboratorio a partire da cellule somatiche, non sono totipotenti quindi non possono dare origine a un embrione; si è partiti dall’idea di usare dei vettori per trasdurre le cellule somatiche con alcuni geni per riprogrammarle ad avere un potenziale simile alle cellule embrionali, e si è concluso che i geni sufficienti erano 4: Oct4 → fattore trascrizionale espresso nella morula e nella blastocisti (ICM) e la sua espressione è down regolata nelle cellule del trofoblasto (che formano la parte esterna della blastocisti). Sox2 → non è espresso nelle cellule post-mitotiche, quindi, è un gene che si spegne rapidamente. Klf4 e c-Myc → sono fattori trascrizionali che modificano la cromatina rendendola più trascrivibile e quindi consentendo a oct4 e sox2 di promuovere la trascrizione dei geni target e favorire la staminalità. Sono due protooncogeni per cui un mancato controllo della loro espressione porta a neoplasie; Klf4 ha un ruolo fondamentale nell’impedire la senescenza e apoptosi cellulare. RIPROGRAMMAZIONE NUCLEARE CON AGENTI VIRALI Per ottenere cellule con caratteristiche embrionarie sono stati introdotti i retrovirus in modo da consentire l’espressione di fattori trascrizionali per la pluripotenza, uno svantaggio di questa tecnica è la conversione dell’RNA in DNA, e quindi aumentando il numero di protooncogeni nella cellula normale aumenta la probabilità di avere cellule tumorali. L’efficienza di trasduzione dipende anche dal tipo di vettore e dalle caratteristiche proliferative della cellula, i retrovirus hanno bisogno di cellule in grado di replicare attivamente, mentre i lentivirus possono anche infettare cellule a bassa capacità replicativa. Le sperimentazioni hanno dimostrato che la comparsa di cellule pluripotenti richiedeva molto tempo, non c’era un’efficienza del 100%, ed era presente il rischio di comparsa di neoplasie e aberrazioni cromosomiche. Perfezionamento tecnica → i progressi dell’uso di questa tecnologia sono stati la riduzione del numero di fattori trascrizionali, eliminando myc/klf4 con l’aggiunta di inibitori delle acetilasi istoniche, e anche sox2 soppiantato dall’uso di altre molecole. Poi si è vista l’importanza di attivare la via wnt, il TGFb e avere basse tensioni di ossigeno. Anche i vettori hanno un ruolo importante, inizialmente si usavano vettori non inducibili che avevano il gene sotto un promotore forte, adesso si è passati a vettori con promotori inducibili da farmaci o temperature; altri tipi di vettori in uso sono i lentivirus o retrovirus (si integrano nel genoma), adenovirus (non si integrano), poi sistemi vector-free e proteine ricombinanti. FUSIONE CELLULARE Tecnica in cui si parte da due cellule con caratteristiche divergenti per ottenere un sincizio, così che una cellula supporti il processo differenziativo dell’altra, però si creano cellule tetraploidi che in alcuni tessuti già con poliploidia non creano problemi (fegato, osteoclasti) ma in altri sì. L’obbiettivo era quello di utilizzare una cellula embrionaria e fonderla con una somatica, in modo che la prima induca il differenziamento desiderato nell’altra, però sembra che predomini il fenotipo embrionario su quello somatico differenziato e ci sono problemi di sicurezza per la formazione di teratomi. Per questo si è pensato di usare solo gli elementi che favoriscono la fusione senza però fondere due citoplasmi nella stessa cellula, usando quindi un estratto cellulare per dedifferenziare la cellula somatica. Esponendo una cellula somatica umana ad estratti di cellule embrionarie murine avremo che la cellula somatica per via di questi fattori inizia ad esprimere geni pluripotenti come Sox2, Oct4 e Nanog; per cui le cellule embrionarie staminali hanno nel loro citoplasma degli elementi che possono favorire la riprogrammazione cellulare. Il successo del processo di riprogrammazione dipende soprattutto dal limite che è la membrana cellulare; si cerca quindi di aumentare l’affinità dell’ambiente esterno per accogliere le molecole delle pluripotenti, e questo suggerisce che anche l’ambiente in cui sia ha la riprogrammazione sia fondamentale per via dei segnali paracrini provenienti dalle cellule dell’ambiente embrionario. Tra i mediatori molecolari di riprogrammazione per far acquisire la pluripotenza abbiamo: - fattori che rimodellano la cromatina: come proteine polycomb (reprimono pathways di differenziamento) o inibitori delle acetilasi istoniche. - Fattori che modificano DNA. In vitro la pluripotenza può essere mantenuta con segnali extracellulari come STAT3, BMP, WNT, o intracellulari come i fattori di trascrizione Oct4, Nanog e Sox2. CELLULE STAMINALI DEL MIDOLLO OSSEO Sono principalmente di due tipi: quelle indirizzate al lineage ematopoietico per originare cellule ematiche, e le staminali mesenchimali che sono cellule multipotenti in grado di dare origine solo a cellule di tessuti del lineage mesenchimale. Il mesenchima è il tessuto connettivo embrionale derivato dal mesoderma; i tessuti in cui differenzia la staminale mesenchimale comprendono l’osseo, il cartilagineo, l’adiposo, il muscoalre, cardiaco e il connettivo del BM. Dato che le MSC isolate da midollo non sono in grado di dare origine ad un intero organismo si può parlare di cellule stromali multipotenti; infatti ci sono differenze funzionali tra quelle di origine umana e murina, è critico il terreno di coltura usato e i metodi come il tipo di superficie di aderenza o la ECM. Visto che nel midollo sono presenti anche staminali ematopoietiche è importante sapere le condizioni ideali per separarle e definire una popolazione pura; questo è possibile grazie all’identificazione di marcatori specifici del lineage mesenchimale; i marcatori obbligatori sono tre: CD29, CD44, CD105; e devono essere negative per i marcatori delle cellule ematopoietiche. Questi marker però indicano solo che la cellula appartiene al fenotipo mesenchimale e non è necessariamente staminale, anche perché sono antigeni che troviamo anche sulle stromali midollari non staminali, sui fibroblasti e gli osteoblasti. Per cui per accertare la staminalità si ricorre ai metodi già osservati, come la capacità di dare origine almeno a tre diversi tessuti mesenchimali, a livello delle cellule embrionarie dare teratomi (però con le cellule staminali adulte questo non avviene). La selezione mediante anticorpi, come il CD105, non è molto sicura infatti ripetendo l’esperimento più volte otteniamo che circa il 79% delle cellule è CD105 positivo, però più della metà erano cellule già differenziate nelle linee endoteliale e leucocitaria; quindi attraverso l’identificazione delle cellule CD105+ in grado di formare colonie (tipico delle staminali) avremo inizialmente che su 100.000 cellule solo 6 sono in grado di formare colonie, e dopo la purificazione otteniamo che la quantità di staminali è 1,1 x 10^5 su ml (quantità estremamente bassa). Nelle colture di staminali è fondamentale non arrivare a confluenza ad esempio dell’80% (100.000 cellule per cm2) poiché iniziano a differenziare in fenotipo fibroblastoide e perdere plasticità, per cui in genere vengono passate con confluenza intorno 50-60% (8.000 cell per cm2). SEPARAZIONE DELLE CELLULE CLONAGGIO → si presta bene per linee continue e cellule tumorali però non è efficiente con le staminali; si isolano le cellule ad una densità tale da poter selezionare le colonie, si può fare con piastramento a bassa densità in pozzetti multipli con massimo 2 cellule per pozzetto, oppure coltivandole in una piastra unica isolandole poi con cilindri in plastica, si aspira prima il medium, poi si posizionano i cilindri come se fossero una diga, si usa tripsina per staccare le cellule (diventano rotondeggianti) e si prelevano per poi risospenderle in una falcon con medium nuovo. Non è ideale per le staminali perché può esserci ridotta capacità di piastramento oppure alla densità clonale le cellule non ricevono gli stimoli nutrizionali per crescere. SEPARAZIONE PER GRADIENTE DI DENSITÀ → la sedimentazione isopicnica avviene tramite centrifugazione delle cellule in un medium particolare che ha un gradiente di densità o una densità predeterminata, le cellule quindi in base al loro peso specifico si posizionano all’interno del medium in un punto all’equilibrio tra la densità del medium e il loro peso specifico; inoltre il medium deve esercitare una piccola pressione osmotica per opporsi al rigonfiamento cellulare. I medium usati sono soluzioni di albumina, Ficoll, Percoll ecc. La procedura di separazione può avvenire in due modi diversi: 1. Si può centrifugare ad alta velocità la soluzione di Percoll + medium alla quale vengono aggiunte delle biglie che al termine della centrifugazione migrano in diverse posizioni in base alla densità mostrando dove sono le bande di gradiente. È un sistema un po' complesso anche per via del tipo di centrifughe da usare. 2. Uno strumento meno costoso è il gradient former con 2 serbatoi collegati tra loro da un tubicino, con un’elica che per il mescolamento e la formazione del gradiente, per separare le cellule queste vanno seminate sopra il gradiente altrimenti potrebbe cambiare il loro peso specifico. Un esempio di separazione per gradiente si ha per l’isolamento delle cellule mononucleate dal sangue intero tramite gradiente di Ficoll; si ottiene una stratificazione con gli eritrociti sul fondo, lo strato di ficoll con sopra l’anello di cellule mononucleate (quello che andrà isolato per aspirazione) sormontato da uno strato di plasma. TECNICHE BASATE SU ANTICORPI Immune panning → tecnica simile all’ELISA, in una piastra con anticorpi adesi si mettono le cellule (che non devono crescere in adesione) lasciate incubare per 10 minuti poi si aspirano quelle che non hanno aderito, si lavano, si cambia il terreno e si continua la coltivazione. Separazione immunomagnetica → con la tecnica MACS si utilizzano sfere paramagnetiche di ossido di ferro di dimensioni nanometriche (50nm), che vengono incubate in una soluzione di anticorpi specifici che verranno coniugati alla superficie delle sfere; queste vengono incubate con le cellule che devono essere separate, si fanno vari passaggi di centrifugazione e lavaggi con PBS per eliminare gli anticorpi non legati, dopodiché vengono fatte eluire attraverso una colonna in un campo magnetico che trattiene le cellule legate alle sfere eliminando la frazione negativa; le cellule poi vengono separate dalle sfere e risospese in medium per la coltivazione. È anche possibile dopo una prima selezione positiva utilizzare un secondo anticorpo per isolare una sub-popolazione. TERRENI DI COLTURA PER MSC Le MSC possono essere coltivate su diversi medium in base al tipo di differenziamento voluto: DMEM → è quello principalmente usato per le mesenchimali staminali, di solito è riportato come LG- DMEM per indicare la bassa concentrazione di ossigeno, gli si aggiunge glutammina, antibiotici e FBS. IMDM → è proposto per la co-coltura di staminali ematopoietiche e staminali mesenchimali, contiene più glucosio sempre addizionato con FBS e antibiotici. Quando le cellule mesenchimali vengono messe in coltura ci sono più popolazioni di diversa morfologia: le renewing cells (piccole con sottili prolungamenti, molto replicanti), e le slow replicating cells (più grosse che replicano pochissimo); quelle a lenta replicazione sono circondate da quelle a rapida replicazione implicando che le slow replicating creino un microambiente simile alla nicchia fornendo fattori di crescita. COMMITMENT OSTEOBLASTICO Inizialmente il differenziamento è comune ai condroblasti con l’espressione di runx2 per la maturazione da mesenchimale staminale a progenitore osteo-condrocitario caratterizzato dall’espressione di collagene 1 e ALP, qui i destini si separano e con l’espressione di b-catenina e osterix si passa ad un osteoprogenitore tardivo che non può più andare verso la linea condrocitaria ed esprime osteopontina, al passaggio successivo si ha il pre-osteoblasta che esprime sialoproteina ossea e infine l’osteoblasta che esprime osteocalcina, questo successivamente matura in osteocita con produzione di sclerostina. Per quanto riguarda le condizioni di coltura è necessario fornire alle cellule prolina per la sintesi di collagene per cui si preferisce usare come terreno l’alfa-MEM addizionato con glutammina, FBS e antibiotici. Altri fattori addizionati sono i fosfati e il calcio, che devono essere in alte concentrazioni per permettere la mineralizzazione della matrice; il donatore di fosfato usato è il beta-glicerolfosfato di cui non si consiglia di superare la concentrazione di 2.5 mM (o si ha la precipitazione spontanea di cristalli di fosfato di calcio diversi dal pirofosfato). La vitamina C è importante per l’idrossilazione della prolina e lisina per la sintesi di collagene, per cui si aggiunge ascorbato-2-fosfato; il desametasone è sempre presente nei medium di differenziamento a diverse concentrazioni, si ipotizza induca il differenziamento riducendo la metilazione del DNA e favorendo il commitment indotto dagli altri fattori. Il commitment osteogenico si valuta con la colorazione Alizarin red, ed è considerato soddisfacente quando è positivo per almeno il 50% di superficie. COMMITMENT CONDROCITARIO Nel differenziamento condrocitario l’espressione di Sox9 è fondamentale perché considerato il master gene del differenizamento condroblastico portando o la staminale mesenchimale o il progenitore immaturo osteo-condrocitario a condroblasta caratterizzato dalla produzione di collagene 2 e aggrecano che poi matura grazie a Sox5 e Sox6 in condrocita che sintetizza collagene 9 (tipico della cartilagine insieme al 2). Il medium usato è il CDM ad alta concentrazione di glucosio per soddisfare l’esigenza di ambiente ipertonico dei condrociti; anche qui sono addizionati desametasone, ascorbato, prolina, piruvato, mix di insulina, transferrina e selenite per sostituire il siero, e TGF-b per il differenziamento condrocitario di cellule umane. Prima di differenziare in condrociti le cellule mesenchimali devono passare per la condensazione mesenchimale, passaggio promosso tramite: - L’uso di una matrice polisaccaridica per tenere vicino le cellule, come alginato di potassio. - Sistema hanging drop, dove le cellule sono sospese ad alta densità in gocce di medium adese al coperchio di una piastra sopra il rispettivo pozzetto contenente medium. - Sistema delle micromasse, si ha una sospensione cellulare che viene centrifugata per ottenere un pellet cartilagineo che in 2-3 giorni diventa sferico e raggiunge una dimensione massima di 1-2 mm dopo tre settimane; è un sistema utile per lo studio di farmaci attivi per il differenziamento condrogenico, lo svantaggio è che sulle sferette non si possono applicare molte tecniche. COMMITMENT ADIPOCITARIO La cellula mesenchimale matura a adipoblasta, per poi passare a pre-adipocita con espressione di LPL, poi prosegue a adipocita immaturo contenente goccioline di trigliceridi intorno al nucleo centrale ed esprimente la proteina FABP-4 (binding protein per gli acidi grassi), infine si arriva, grazie al fattore PPAR gamma, a adipocita maturo che esprime adiposina e ha una goccia di trigliceridi che occupa tutto il citoplasma. Il medium usato è l’FDM addizionato di IBMX per aumentare la produzione di cAMP, indometacina e desametasone. Le cellule si seminano su piastra con densità di 1000 cell/cm2 incubate per 21 giorni, la valutazione è fatta con la colorazione lipofila Red Oil O, e per poterle colorare devono prima essere fissate in formalina; un differenziamento è adeguato quando almeno il 30% del monostrato è colorato. MSC DA TESSUTO ADIPOSO Il tessuto adiposo è una sorgente di cellule mesenchimali multipotenti con caratteristiche molto simili a quelle del midollo osseo, inoltre è molto più accessibile ed è presente in abbondanza. ISOLAMENTO CELLULE Il tessuto può essere isolato tramite biopsia o liposuzione, ottenendo in entrambi i casi frustoli di tessuto che andranno incontro a vari passaggi: DIGESTIONE → del tessuto con collagenasi, per avere la dissociazione delle cellule ma non la loro distruzione ogni 30 minuti si fa una colorazione tripan blu per la vitalità. Si può fare usando un medium come il DMEM ad alte concentrazioni di glucosio perché l’azione ipertonica aiuta a mantenere la morfologia delle cellule e le loro funzioni metaboliche. FILTRAZIONE → con maglie da 100 micrometri, per trattenere eventuale DNA fuoriuscito da cellule danneggiate. CENTRIFUGAZIONE → porta alla rottura degli adipociti maturi con formazione di uno strato oleoso che viene rimosso, si fa poi una separazione con Ficoll per ottenere le mononucleate lasciando quindi solo le cellule stromali e vascolari. PIASTRAMENTO → le cellule staminali impiegano più tempo ad aderire, mentre i macrofagi, le cellule endoteliali e i fibroblasti aderiscono subito, perciò il giorno dopo il piastramento viene recuperato il sovranatante e messo in una altra piastra dove si lasciano le cellule in sospensione per circa una settimana fino alla formazione di colonie. ISOLAMENTO STAMINALI A CAPACITÀ CLONOGENICA Le colonie formate vengono isolate con i “cloning ring”, anelli di polistirene con una superficie adesiva, poi si aggiunge tripsina per dissociare le cellule che poi vengono trasferite in una piastra da 24 (prima estrazione); si usano diversi medium per vari fenotipi. La comparsa di adipociti inizia a 21 giorni, e dopo una settimana di differenziamento si verifica se è avvenuto un commitment valutando i fattori trascrizionali e i geni specifici per gli adipociti come la leptina espressa nel pre-adipocita, e il trasportatore di glucosio insulino-dipendente GLUT4. STAMINALI MESENCHIMALI DA LIQUIDO AMNIOTICO E SANGUE CORDONALE Sono state trovate cellule staminali nel liquido amniotico, questo perché il feto deglutisce il liquido che raccoglie le cellule che si staccano dalle vie aeree, digerenti, dalla cute, dalle vie urinarie, e anche dalla membrana amniotica che fa parte degli annessi fetali. Il liquido può essere ottenuto tramite amniocentesi nel secondo trimestre di gravidanza; in 2 ml di liquido si trovano circa 20.000 cellule con rapidi tempi di replicazione (20-24h) e con morfologia identica a quella di tessuto adiposo e midollo. Queste cellule mantengono una forma tondeggiante per circa una settimana, non aderiscono subito infatti vanno lasciate incubare cambiando il medium 1-2 volte a settimana, e una volta che iniziano a proliferare in vitro possono fare più di 300 duplicazioni. Si è visto che non esprimevano telomerasi, però esprimono antigeni propri delle cellule pluripotenti embrionali come Oct4, Sox2 e Nanog, e in piccole percentuali anche SSEA3 e 4 (anche se nel tempo vengono progressivamente persi), inoltre non sono tumorigeniche come quelle embrionali, quindi, sono sicure da usare in terapia. Le cellule fresche, non indotte, esprimono marcatori presenti negli epatociti e nelle cellule dei dotti biliari, ciò dimostra che sono cellule con una plasticità maggiore rispetto alle mesenchimali. Provando a farle differenziare in osteoblasti, mioblasti, adipoblasti, cellule endoteliali, epatiche e nervose, si vista la comparsa dei marcatori tipici dei vari lineage (con dei dubbi per quanto riguarda il nervoso). Hanno anche caratteristiche mesenchimali perché immunomodulatorie, dato che né il feto né l’embrione vengono rigettati dalla madre anche se sono corpi estranei; infatti le mesenchimali sia adipose che di midollo possono spegnere la risposta infiammatoria cambiando il fenotipo dei macrofagi da M1 a M2 e riducono l’interferone gamma. SANGUE CORDONALE → è un tessuto di scarto, nel quale sono presenti staminali mesenchimali ed ematopoietiche con le stesse caratteristiche di quelle isolate da midollo, e possono essere usate in modo autologo o allogenico, però la difficoltà sta nell’isolamento per via del quantitativo ridotto, infatti viene prelevata una quantità di sangue tra i 50 ei 130 ml, dai quali poi verranno isolate le mononucleate che poi venivano selezionate con varie metodiche (es. citofluorimetria, o biglie paramagnetiche). Si è così stabilito che le migliori condizioni di estrazione erano quando il sangue veniva processato entro 4 ore dal parto e il volume di sangue superiore ai 90 ml dava la migliore % di staminali vitali. ISOLAMENTO CELLULE DA CORDONE E PLACENTA Tra i tipi di cellule isolate dal cordone troviamo le staminali mesenchimali (MSC), le staminali ematopoietiche (HSC), le staminali somatiche illimitate, le cellule progenitori multipotenti cordonali (CB- MPC) e le staminali cordonali simil-embrionali (CBE). All’analisi dei marker è stata trovata in alcune una positività per i marcatori ematopoietici, e in tutte la presenza di marcatori tipicamente embrionali, per cui nasce il dubbio se queste cellule del cordone provengono dal feto o da un'altra zona degli annessi fetali (come la placenta). Le cellule mesenchimali della vena ombelicale sono positive per marcatori mesenchimali e hanno l’antigene di istocompatibilità HLA-ABC, mentre sono negative per HLA-DR (marker di stimolazione immunitaria) e per i marker del lineage ematopoietico; gli antigeni ABC sono i principali antigeni di istocompatibilità coinvolti nelle reazioni antirigetto, la loro bassa espressione conferisce un’accettazione della cellula da parte di un sistema immunitario diverso. L’espressione di HLA si usa per distinguere le mesenchimali fetali dalle adulte, ad esempio l’HLA-DR è sempre negativo nelle cellule di origine fetale e sempre positivo in quelle adulte. Protocollo isolamento cellule placenta → è possibile separare la parte epiteliale della membrana da quella stromale semplicemente tirando la membrana amniotica come se fosse una pellicola; la placenta è sterile e pronta all’uso se viene eseguito un cesareo, mentre se si ha parto naturale andrà prima lavata con betadine cgirurgico e PBS. Tra il parto e l’isolamento delle cellule è ottimale non far passare più di 6 ore, la procedura di isolamento richiede 3-4 ore di lavoro, per cui dopo le 6 ore la qualità delle cellule isolate diminuisce sensibilmente. I pezzi di tessuto vengono dissociati enzimaticamente dopo essere stati frammentati, nella digestione con collagenasi ogni mezz’ora l’enzima viene tolto e le cellule vengono risospese in enzima fresco per avere una digestione più completa del tessuto, con le fiasche di digestione contenenti delle ancorette magnetiche, la digestione può essere protratta durante la notte, è anche utile aggiungere al terreno glucosio per aiutare le cellule a non rigonfiarsi. Un altro metodo è quello di mettere direttamente i frammenti di tessuto in piastra e aspettare che le cellule fuoriescano spontaneamente; comunque, solitamente le colture che provengono da digestione enzimatica sono caratterizzate da cellule che proliferano più rapidamente. CARATTERIZZAZIONE → le condizioni colturali devono essere tali da privilegiare le cellule a rapida crescita, ovvero quelle immature ad alto potenziale staminale; più i passaggi aumentano più aumenta la quota di cellule di origine fetale rispetto a quella materna. Si è visto che le cellule trovate nella giunzione tra cordone ombelicale e placenta sono più rapide nella proliferazione e vanno avanti per un numero di passaggi superiori; inoltre esprimono maggiormente il CD106 rispetto alle cellule del sangue cordonale, che ha carattere immunomodulatorio. Queste staminali mesenchimali sono state usate per vedere la loro capacità di rigenerazione oligodendrocitaria stimolando la produzione di mielina in topi su si produceva un danno motorio tramite immunizzazione con ab anti-mielina. Queste cellule mostravano la classica positività ai marker mesenchimali e la negatività a quelli emopoietici, la somministrazione in alte dosi riduce la risposta all’immunizzazione contro la proteina mielinica prodotta dagli oligodendrociti, e questi topi non vanno incontro alla paralisi degli arti causata dalla malattia autoimmune indotta. In un secondo esperimento la capacità immunosoppressiva è stata valutata tramite la capacità di queste cellule di spegnere la risposta linfocitaria e ridurre l’attivazione dei linfociti CD3+. Perciò sarebbe possibile usare queste cellule in terapie contro malattie demielinizzanti autoimmuni. Tra i problemi però dell’uso in terapia di queste cellule c’è la variabilità legata al metodo di isolamento, che influenza la proliferazione e il potenziale differenziativo, la sorgente, la composizione del medium, il microambiente che si crea in coltura, anche l’età del donatore influenza la stabilità genetica; inoltre per avere un numero di MSC adeguate all’uso clinico serve un’espansione importante, ma se la cellula cambia ad ogni passaggio non avrò un prodotto con caratteristiche fenotipiche stabili che vengono mantenute. STAMINALI DA VILLI PLACENTARI Queste cellule sono di origine fetale (il sangue materno non penetra nei capillari dei villi poiché c’è la barriera del trofoblasto); il prelievo è stato eseguito sia dalla porzione centrale che quella periferica e dall’amnios, analizzando i marcatori di staminalità e si è vista la presenza di progenitori ematopoietici come il CD34 che è molto più espresso rispetto alla GAP deidrogenasi (gene housekeeping) nella porzione periferica e molto meno nell’amnios, stesso tipo di espressione di altri marker, per cui queste cellule sono da ricercarsi nella placenta piuttosto che nell’amnios. Sono state anche trovate all’interno dei villi cellule c- kit positive, queste cellule isolate sono poi state piastrate, a 7 giorni le cellule sono separate e a 30 le colonie sono evidenti. Procedendo con il differenziamento, le cellule placentari esposte a medium osteogenico presentano scarsa deposizione di matrice minerale, se invece si coltivano già su matrice amorfa costituita da osso deproteinizzato la deposizione di Sali di calcio aumenta molto, perciò la combinazione di un medium osteogenico e di matrice aumenta l’espressione di geni per la formazione di matrice osteoide mineralizzata; per quanto riguarda il differenziamento in senso adipogenico, nelle cellule mesenchimali è scarso (si osserva la produzione di leptina e di FABP4 (fatty acid binding protein); se nel medium viene addizionato T3, FGF2, NGF e acido retinoico si osserva il differenziamento in senso neuronale. GUARIGIONE FRATTURE OSSEE Ci sono diverse fasi per la guarigione in seguito a frattura: EMATOMA → si ha come prima cosa la rottura della componente vascolare e sanguinamento che ristagna in prossimità del danno. L’ematoma va incontro a coagulazione, con questo processo si osserva la formazione della rete di fibrina che funge da impalcatura per la migrazione delle cellule; inoltre la presenza dell’ematoma permette di gonfiare il periostio fungendo da manicotto che tiene immobili i capi ossei. FASE CATABOLICA/ INFIAMMAZIONE → nelle prime 24h dal danno si ha un elevata presenza di mononucleate e un’intensa produzione di anticorpi contro il TNF-a in caso di frattura con contaminazione, se non c’è esposizione all’ambiente esterno non sarà presente il TNF-a; è associata la rimozione dei frammenti ossei e delle cellule danneggiate per dar spazio ai processi di guarigione. FASE DI RIPARAZIONE → durante lo stadio infiammatorio si avvia la formazione di tessuto di granulazione con deposizione di matrice non mineralizzata, formando il CALLO SOFFICE. RIMODELLAMENTO → le cellule depositano una matrice fibrosa formando il CALLO FIBROSO. FASE TARDIVA → inizia la mineralizzazione del tessuto cartilagineo deposto dando origine al CALLO DURO. La formazione di nuovo osso è affidata alle cellule mesenchimali ad alta capacità proliferativa e differenziativa localizzate in due posizioni, all’esterno dell’osso nello strato più profondo del periostio, e nella zona interna dell’osso a contatto con il midollo, l’endostio. MECCANISMI DI FORMAZIONE DI NUOVO TESSUTO CONI DA TAGLIO o cutting cones → meccanismo tipico di fratture senza distanziamento dei capi, microfratture, si hanno gli osteoclasti nella parte anteriore a cui seguono gli osteoblasti che iniziano a depositare tessuto; il cutting cone attraversa la linea di frattura guarendola. OSSIFICAZIONE INTRAMEMBRANOSA → è una crescita per apposizione e serve all’accrescimento in larghezza delle ossa lunghe, non coinvolge la formazione di cartilagine. I pre-osteoblasti si differenziano in osteoblasti deputati alla produzione di osteoide, si formano lacune ricche di matrice che mineralizza e intrappola le cellule che l’hanno prodotta; all’interno di queste lacune gli osteoblasti sintetizzano proteine che vanno a bloccare la produzione di matrice osteoblastica. Le cellule nelle lacune sono osteoclasti che vanno incontro a quiescenza metabolica diventando osteociti. La formazione del tessuto osseo è controllata dalla sclerostina che evita un eccessivo ispessimento del tessuto. OSSIFICAZIONE ENDOCONDRALE → meccanismo per la crescita in lunghezza delle ossa, i condroblasti nella piastra di accrescimento maturano in condrociti e spostandoci nella zona pre-ipertrofica questi maturano in fenotipo ipertrofico fino alla degenerazione e calcificazione della matrice cartilaginea. La modalità di guarigione dipende dalla distanza dei capi ossei, la guarigione PRIMARIA, o diretta o corticale, riguarda i capi ossei vicini e riprende i meccanismi di riparazione di prima intenzione, quindi non si ha la formazione di un callo cartilagineo; è il meccanismo di riparazione che avviene in ambito chirurgico. Nella guarigione SECONDARIA, detta anche indiretta o spontanea, non c’è l’uso di sistemi di riduzione per via della formazione del callo fibrocartilagineo. STABILIZZAZIONE MECCANICA DELLE OSSA → la stabilizzazione precoce, tramite placche e viti, favorisce il processo di riparazione e permette la formazione dei vasi. FASE INFIAMMATORIA Raggiunge il massimo dell’intensità a 48 ore dopo la frattura e permane per circa 1 settimana; la fuoriuscita di sangue è più prolungata poiché nell’osso non avviene vasocostrizione. Il danno dei vasi ematici ossei e la trombosi locale porta alla morte degli osteociti per mancanza di nutrienti, per questo l’estremità della frattura è priva di cellule vive. Il microambiente che si crea è ipossico, e questo porta all’attivazione di fattori angiogenetici (mediati da HIF) e ad uno switch metabolico ad anaerobio con produzione di acido lattico; l’ipossia e l’ambiente acido sono favorevoli all’attività degli osteoclasti e dei macrofagi che rimuovono l’osso necrotico e altri cataboliti. FASE DI RIPARAZIONE I vasi periostali sono i primi a rigenerarsi, e grazie alla nuova irrorazione le cellule di origine mesenchimale, sotto azione di BMP, differenziano in osteoblasti che depongono matrice nella zona dove c’è l’ematoma. Se è contenuta dalla membrana periostale si definisce CALLO PERIOSTALE (più irrorato del callo esterno e prevale il tessuto cartilagineo), se invece la matrice si depone fuori dal periostio è definita CALLO ESTERNO, se si deposita nel canale midollare prende il nome di CALLO MIDOLLARE. Nel frattempo, l’aumento di ossigeno stimola la proliferazione cellulare e la sintesi di matrice extracellulare, e la deposizione di nuove proteine di matrice consentono al callo di diventare più fibrotico. Il callo fibroso poi va incontro a calcificazione, partendo dalle estremità più vascolarizzate verso l’interno; man mano che l’irrorazione raggiunge anche le parti più interne i condrociti diventano ipertrofici e inizia la deposizione di cristalli di calcio fino alla formazione di CALLO OSSEO. FASE DI RIMODELLAMENTO Il processo avviene solo dopo la completa mineralizzazione del tessuto fibroso, solitamente dopo un mese e mezzo, ed è stimolata dal carico pressorio; l’osso infatti segue la legge di Wolff che dice che si adatta al carico a cui è sottoposto, e quando il carico aumenta si rimodella per resistere al sovraccarico (la corticale esterna si ispessisce), una completa astinenza dalle forze meccaniche porta a indebolimento osseo con fratture frequenti. DISTANZA DEI MARGINI NELLA GUARIGIONE → se i margino sono vicini tra loro (spazio < 0.5 mm) si ha una guarigione per contatto con formazione di tessuto di riparazione costituito da osteoclasti e osteoblasti che depongono nuovo tessuto, si ottiene osso di tipo lamellare (questo si forma tra la linea di frattura per estensione degli osteoni. Se invece i margini sono molto distanziati la riparazione è caratterizzata da deposizione di tessuto osseo fibroso (non calcificabile) che può dare origine a tessuto cartilagineo. Incapacità di guarire la frattura → se la guarigione avviene troppo lentamente si parla di guarigione differita o ritardo di consolidazione, se invece si è formato un callo troppo voluminoso si parla di non unione ipertrofica e si forma una pseudoartrosi. FATTORI DI REGOLAZIONE DELLA GUARIGIONE Tra i diversi fattori di crescita coinvolti nella guarigione dell’osso ci sono quelli provenienti dal macrofago M2, e quelli liberati localmente dalle cellule secernenti la matrice. FAMIGLIA TGF-b → è una superfamiglia che agisce sui recettori tirosin chinasici promuovendo la proliferazione e il differenziamento dei precursori mesenchimali in osteoblasti e condroblasti, quindi sia l’ossificazione endocondrale che membranosa. BONE MORPHOGENETIC PROTEINS → superfamiglia che contiene numerose proteine con diverse funzioni, alcune sono osteoinduttive, altre regolano la produzione di matrice. Vengono espresse in momenti diversi della guarigione, perciò non è utile usare un solo tipo di BMP mantenendo la sua concentrazione costante, come può succedere usando uno scaffold medicato. BMP-3: regola negativamente la densità ossea, evita la calcificazione ipertrofica durante la guarigione, a livello condrocitario riduce l’espressione del collagene 1 e 2, aumenta la sintesi delle metalloproteasi, accelerando quindi la degradazione e inibendo la sintesi di ECM; a livello delle cellule mesenchimali stimola l’attivazione di sox9 (lineage condroblastico) e implementa l’espressione di BMP4 accelerando la guarigione. BMP-2: è fortemente osteogenica, ha attività chemiotattica, e viene espressa dai primi giorni fino a 3 settimane dalla frattura. Un suo antagonista è Noggin. BMP-4: aumenta l’espressione del tessuto soffice precocemente fino al quinto giorno; in vitro stimola la migrazione delle cellule monocitarie e regola i vari switch tra i tessuti da callo fibroso a callo cartilagineo. BMP-7: espressa nelle ultime due settimane può avere attività di controllo nella regolazione dell’ossificazione del callo. FAMIGLIA FGF → uno di questi fattori stimola l’angiogenesi, FGF-2, aumentando la vascolarizzazione nella frattura, stimolano la proliferazione di condrociti e osteoblasti, e aiutano la formazione del callo. PDGF → platelet-derived growth factor, stimola la crescita di cellule mesenchimali, la sintesi di collagene 1 per via dell’aumento di osteoblasti; il PDGF-BB stimola il riassorbimento dell’osso con aumento di osteoclasti. FATTORE DI CRESCITA INSULINO-SIMILE → sono due tipi: IGF-1 e IGF-2, stimolano la sintesi di collagene e matrice osteoide, inibiscono la degradazione degli osteoblasti riducendo l’azione delle metalloproteasi. Nel fegato la produzione di IGF1 è stimolata da GH. LE CITOCHINE INFIAMMATORIE Interleuchina 1 → la sua produzione non è limitata alle prime ore dell’infiammazione, ma è importante nel rimodellamento dell’osso, fase in cui la concentrazione aumenta, stimolano il riassorbimento dell’osso necrotico, l’angiogenesi e promuove la formazione del callo cartilagineo; la sua espressione è ridotta dagli estrogeni. Interleuchina 6 → è prodotta solo durante la fase infiammatoria, induce angiogenesi e produzione di VEGF, promuove il differenziamento di osteoblasti e osteoclasti. ORMONI Estrogeni → stimolano la sintesi di ECM da parte degli ostoblasti, e modulano il rilascio di inibitori per IL-1. Ormoni tiroidei → stimolano l’attività osteoclastica, quindi il riassorbimento osseo. Glucocorticoidi → inibiscono il riassorbimento del calcio causando un aumento di paratormone e quindi riassorbimento osseo da parte degli osteoclasti; in concentrazioni tra 10 e 100 microM stimolano il differenziamento dei progenitori degli osteoblasti e delle cellule mesenchimali midollari. Ormone della crescita → attraverso IGF1 stimola la formazione del callo, mentre in vitro sugli osteoblasti sembra ci sia una sintesi di ECM. Ormone paratiroideo → ad attività intermittente stimola gli osteoblasti con formazione di osso, se ha attività prolungata attiva gli osteoclasti con demineralizzazione della matrice. Gli effetti che si ottengono da una somministrazione sono l’aumento delle dimensioni del callo, aumento della massa dell’osso e del suo contenuto minerale, quindi è in grado si stimolare l’unione delle fratture. Tra i fattori che compromettono la guarigione della ferita c’è l’interruzione di apporto ematico, l’interposizione di tessuto soffice tra i capi della frattura, tra i fattori sistemici rientrano la malnutrizione con ridotto apporto calorico e vitaminico, che riduce l’attività proliferativa e di sintesi delle proteine di matrice con ritardo nella formazione del callo. Il fumo, che inibisce le attività osteoblastiche e porta a vasocostrizione, e il diabete mellito con modificazione nella sintesi di proteine di matrice. GUARIGIONE LESIONI DEL CAVO ORALE Gli esperimenti fatti si basano sul seguire il precesso di guarigione dopo l’estrazione di un incisivo da un topo tramite tomografia micro-computerizzata, in modo da poter studiare l’animale in tempi diversi con soggetto vivo. I dati ottenuti danno parametri sul volume di tessuto che si forma (TV), volume di osso neoformato (BV), quale % di osso sul volume di tessuto sintetizzato (BV/TV), lo spessore delle trabecole nell’osso neoformato (Tb.Th), il numero di trabecole (Tb.N), e lo spazio tra una trabecola e un’altra (Tb.Sp). A differenza della riparazione del tessuto mesenchimale nel derma, dove si ha la formazione della cicatrice, nel cavo orale si ha la rigenerazione del tessuto per cui non c’è la formazione di cicatrice; quando la lesione interessa le creste del palato queste non si riformano ma c’è comunque assenza di cicatrice. Nel topo le lesioni al cavo orale guariscono molto velocemente, con riepitelizzazione completa dopo le 24 ore, mentre in un maiale le tempistiche sono simili a quelle umane. Si è fatto uno studio anche sulla saliva, eliminando la salivazione in un topo si è visto che i tempi di guarigione erano più lenti; contiene peptidi oppioidi che la rendono analgesica, promuove l’emostasi per via dell’ormone angiotensina che favorisce la vasocostrizione, ha un’attività antimicrobica, contiene inibitori delle proteasi e fattori di crescita che variano tra le specie. La dimensione delle fibre collagene e la loro densità è maggiore nella cute rispetto al cavo orale, per questo richiede più tempo per la guarigione; i fibroblasti vengono attivati in entrambe le sedi, il TGF-b nel cavo orale aumenta dopo le 12 ore per poi diminuire, mentre nella cute resta uguale (maggiore risposta infiammatoria). Modificando il segnale TGF-b si modifica il profilo di guarigione, in topi KO per Smad3 (traduce il segnale di TGF-b) si è visto che i danni cutanei guarivano più velocemente. PROCESSO DI GUARIGIONE A LIVELLO DI DENTE E GENGIVA A seguito dell’estrazione si verifica sanguinamento gengivale che riempie lo spazio tra dente e mucosa, nel corso della prima giornata il sangue coagula, incollando la mucosa danneggiata alla dentina e impedendo l’ingresso di saliva o materiale; si forma una rete tra cellule e fibrina e la chiusura si completa entro un’ora circa. Subito dopo arrivano i polimorfonucleati che distruggono la matrice provvisoria formata dopo la coagulazione, fagocitando eventuali batteri e residui nucleari; solo verso il terzo giorno compaiono i monociti. A questo punto il processo riparativo prosegue come in altre sedi: comparsa del tessuto di granulazione, presenza di fibroblasti richiamati dalle citochine e chemochine rilasciate dai monociti. Difetto periodontale supra-alveolare di dimensioni critiche → interessa il periodonto ma non la parte ossea che trattiene le radici; per vedere l’utilità del coagulo ai fini della guarigione il dente è stato avvolto da una matrice contenente eparina, si osserva che nel tessuto dove c’è eparina non si forma il coagulo e la gengiva non aderisce bene alla dentina. Questo modello è stato anche usato per valutare quali sostanze nella saliva possono accelerare il processo di guarigione, le resolvine proteggono contro i batteri e così riducono il rischio di periodontiti, in particolare la resolvina E1 è in grado di ridurre la produzione di superossidi da neutrofili, sopprimere la produzione di citochine pro-infiammatorie e stimolare l’attività macrofagica. Quindi usando le resolvine si ha il blocco dell’attività osteoclastica e l’aumento della deposizione del tessuto connettivo con formazione di nuovo osso e nuovi vasi. Guarigione tessuto osseo dopo estrazione → subito dopo la rimozione del dente l’alveolo lasciato si riempie di sangue, con formazione di coagulo che si riassorbe progressivamente in 7 giorni, durante questo periodo c’è la comparsa del tessuto di granulazione, che sostituisce completamente il coagulo intorno al quattordicesimo giorno. Nelle prime ore si osserva la comparsa dei polimorfonucleati, poi di macrofagi e linfociti nella prima settimana, macrofagi e linfociti ormai M2 alla seconda settimana. La proliferazione delle mesenchimali è massima nella prima settimana per la presenza delle citochine che stimolano al riempimento dello spazio vuoto, dopodiché differenziano e diventano quiescenti per regolare la dimensione dell’osso rigenerato; la deposizione del collagene inizia al terzo/quarto giorno in modo disorganizzato; anche i fibroblasti raggiungono un massimo al settimo giorno poi si riducono fino a diventare quiescenti, gli osteoblasti seguono lo stesso andamento. L’ipossia e la necrosi stimolano l’angiogenesi nel tessuto di granulazione, callo fibroso, e già a 14 giorni sono presenti vasi di medio/grosso calibro rapportati tra loro, favorendo la mineralizzazione e l’ossificazione; dal quattordicesimo giorno in poi c’è la fase di consolidamento e rimodellamento osseo data dagli osteoclasti, gli osteoblasti producono matrice osteoide diventando osteociti che rimangono inglobati nella matrice mineralizzata. A 21 giorni non c’è più aumento del numero di trabecole, ma un incremento nel loro spessore, e si può osservare una struttura di osso lamellare con al centro il vaso. Pattern di espressione → tra gli andamenti temporali che hanno un picco intorno al settimo giorno e poi si riducono ci sono: BMP-2,4,7; VEGF; TNF-a; IL-10; massima sintesi di collagene; MMP1 (molto espressa nelle fasi iniziali). Invece FGF-2 e le metalloproteasi 1 e 9 hanno il picco intorno al quattordicesimo giorno. Mentre per quanto riguarda i marcatori ossei, runx2 (stimola il collagene) aumenta progressivamente fino al quattordicesimo giorno e poi si ha un crollo, mentre la fosfatasi alcalina continua fino a stabilizzarsi; quando sost è alto la fosfatasi non cresce più e runx viene downregolato. Senza un carico meccanico a stimolare la riparazione ossea, cosa che non può avvenire senza il dente, si va incontro a un processo di rimodellamento e assottigliamento dell’osso sottostante rendendo più difficile l’impianto di una protesi, dopo 12 mesi si ha una riduzione fino al 50% rispetto allo spessore di partenza. CELLULE STAMINALI TROVATE NEL CAVO ORALE Sono stati riscontrati diversi tipi di cellule in diverse sedi: nella polpa dentale (DPSC), nei denti decidui (SHED), nei legamenti periodontali (PDLSC), nei follicoli dentali (come il dente del giudizio) DFSC, nel germe del dente, nella papilla apicale. Sono tutti tessuti che provengono dalla cresta neurale, perciò mostrano marcatori embrionali (nanog, oct4, sox2, ssa3, ssa4), neuronali (nestina, vimentina) e mesenchimali (CD34, 117, 105). Sono cellule facilmente accessibili e hanno una plasticità interessante, le cellule ricavabili non sono tante (2-10 cellule dalla polpa di un molare) ma hanno una grande capacità replicativa. Isolamento cellulare → dopo l’estrazione si taglia la corona e si toglie la polpa eliminando i nervi e i vasi, questa poi si può in un primo caso mettere in piastra senza terreno, si preme con copri oggetto e poi si aggiunge il medium in modo che le cellule escano dal tessuto; oppure si inizia una digestione con collagenasi per intaccare la matrice, si lava con PBS, e in una eppendorf con medium o PBS si centrifuga, si elimina il surnatante e si risospende; questo poi viene piastrato e applicando un peso si aspetta che le cellule passino dal tessuto alla piastra. Le cellule in generale si possono recuperare dalla polpa, dall’apice del dente o dal midollo sottostante. Le staminali hanno le stesse caratteristiche di quelle del midollo di ossa lunghe, ma in questo caso la quantità di sangue prelevato è molto ridotta (0.5ml). Sono cellule con più capacità differenziativa data la presenza anche di marcatori neuronali, anche se non è paragonabile come intensità, ad esempio quello in senso adipogenico e condrogenico è molto ridotto, infatti differenziano meglio nelle cellule del tessuto di provenienza (odontoblasti). Sono cellule con potenzialità di essere usate in clinica perché possono raggiungere un numero elevato anche in vitro; quelle dei denti decidui e della polpa hanno un potenziale replicativo superiore. CARTILAGINE È un tessuto connettivo di sostegno di origine mesodermica, funziona da protezione per le sue caratteristiche di forza e rigidità unite a un modulo elastico, protegge la laringe da traumi e consente la formazione del suono, a livello delle coste per l’espansione della gabbia toracica, e consente lo scorrimento dei capi ossei nelle articolazioni. È di diversi tipi, nei dischi intervertebrali abbiamo cartilagine fibrosa, sulla superficie articolare cartilagine ialina e infine la cartilagine elastica costituita da fibre elastiche. È una struttura avascolare priva di nervi e linfociti, formata da condrociti, e ad eccezione della cartilagine articolare è rivestita da un foglietto connettivale, il pericondrio, costituito da condroblasti nel versante cartilagineo, e da fibrociti sul versante opposto, questo permette la crescita per apposizione grazie alla proliferazione delle cellule nel pericondrio. Nella cartilagine ialina viene ad essere prodotta una matrice in cui è presente principalmente collagene 2, poi proteoglicani che trattenendo l’acqua permettono alla cartilagine di essere elastica e assorbire gli urti, oltre che permettere lo scambio di molecole. È un tessuto immuno-privilegiato, poiché data la sua avascolarità le cellule immunitarie non riescono a raggiungerlo. CARTILAGINE ARTICOLARE → è quella che va maggiormente incontro a lesioni, si trova all’interno della capsula articolare tra i due capi ossei, è lubrificata dal liquido sinoviale prodotto dai sinoviociti; ha la funzione di rendere omogenee le superfici e facilitarne lo scorrimento reciproco durante il movimento, ammortizza anche il peso che viene scaricato sulle articolazioni. L’acqua trattenuta dai proteoglicani rappresenta il 60-80%, l’ECM oscilla tra il 20 e 40% e infine le cellule sono presenti per l’1-5%. ECM → la maggior parte delle proteine di matrice sono collagene 2, poi è presente una percentuale di proteine non collageniche, proteoglicani e glicoproteine; ci sono diversi proteoglicani come acido ialuronico, decorina, fibromodulina. Nella cartilagine si identificano varie zone, in quella superficiale le fibre sono parallele tra loro e con la superficie, nella zona di transizione troviamo le cellule impilate a formare colonne, nella zona profonda le fibre collagene si organizzano perpendicolarmente alla superficie creando delle arcate, infine troviamo il tidemark, linea di demarcazione che separa l’osso subcondrale più compatto dall’osso midollare. Le lesioni della cartilagine vengono classificate con una scala di valutazione: primo grado→ rammollimento della cartilagine; secondo grado→ frammentazione o fessurazione con diametro inferiore a pochi mm, si estende alla zona intermedia; terzo grado→ la lesione supera il diametro di mezzo pollice e raggiunge le zone profonde ma senza interessare l’osso; quarto grado→ la lesione interessa anche l’osso subcondrale. OSTEOCONDRITE DISSECANTE L’eziologia della patologia è poco chiara, probabilmente originata da microtraumi ripetuti, comune tra gli sportivi, mentre in età pediatrica o adolescenziale può essere dovuta a difetti nell’accrescimento osseo per ridotto apporto nutrizionale, frequente nei ragazzi con crescita accelerata. Si osservano lesioni a livello del condilo mediale e laterale, e si ha interessamento della concavità tra i due condili, mentre le lesioni da trauma interessano di solito la parte a contatto con la cartilagine articolare del segmento osseo complementare. Quando la lesione è superficiale si osserva una replicazione condrocitaria come tentativo di riparazione anche se la guarigione non può essere completata poiché il tessuto è avascolare; se la lesione interessa il tidemark si ha guarigione con deposizione di fibrocartilagine, questo perché la lesione interessando l’osso subcondrale permette la migrazione di cellule mesenchimali dal midollo, la cartilagine risultante è meno elastica e molto più rigida. L’infiammazione è chiamata OSTEOARTRITE e altera il profilo della cartilagine di accrescimento che viene fessurata. STRATEGIE TERAPEUTICHE → non portano al recupero del quadro anatomico del tessuto cartilagineo ma permettono di ridurre il dolore con: FANS: farmaci antiinfiammatori non steroidei, insieme a questi vengono somministrati steroidi, come i cortisonici, per ridurre l’infiammazione; Iniezioni di HA: per aumentare la viscosità del liquido sinoviale, poiché il liquido di una cartilagine infiammata diventa più acquoso e meno lubrificante, per questo HA ha funzione di visco-supplementazione Somministrazione di glucosammina-solfato e condroitin-solfato Infiltrazioni intra-articolari di fattori di crescita I trattamenti alleviano solo il dolore ma non permettono la guarigione anatomica della cartilagine, fermano l’avanzare del danno senza però ripararlo, perciò diventano necessari interventi chirurgici tra cui: debridement (pulizia del danno per permettere guarigione), microfrattura (creazione di tante piccole fratture per mettere in comunicazione il midollo con la cavità articolare), mosaicoplastica (prelievo piccole tessere di cartilagine da zone di non carico e spostamento dove c’è la lesione). Per valutare la guarigione della cartilagine senza l’utilizzo di modelli animali uno studio ha presentato una piattaforma per valutare ex-vivo la riparazione del tessuto usando tre condizioni colturali diverse: 1. Un primo tassello viene incluso in agarosio in modo che sporga solo il piatto cartilagineo 2. Un altro tassello viene messo in transwell con lo stesso medium nei due compartimenti per nutrire sia l’osso che la cartilagine 3. Il provino viene messo in una transwell con due medium diversi (uno per cartilagine e uno per osso) RISULTATI → per individuare i glicosamminoglicani si fa una colorazione con safranin-0, per il provino in agarosio la concentrazione di GAG scende molto dopo 14gg, mentre è più contenuta per quello coltivato in medium condrogenico, invece si sono mantenute le caratteristiche ottimali quando sono stati usati due medium diversi, cosa ancora più evidente a 28gg. Per quanto riguarda la quantità di idrossiprolina invece non c’è differenza tra le varie condizioni colturali, così come per il quantitativo di DNA (cellularità). La coltura è stata portata sino a 84gg per vedere se fosse possibile coltivare frammenti di tessuto osteocondrale per lunghi periodi, si ha un buon segnale fino a 42gg poi si segnala una riduzione di GAG. Nei provini sono state poi create lesioni con diametri diversi, valutando poi i tipi di guarigione osservati in tempi diversi. È stata simulata una lesione di classe 3 (non c’è fessurazione nel piano osseo), e si vede che a 28gg non si è formato abbastanza tessuto da poter coprire completamente la lesione, ma si osserva una migrazione di cellule cartilaginee che stanno rivestendo l’area e depositando GAG. MICROFRATTURA Si fa quando la lesione non è ancora al quarto stadio, per cercare di accelerare i tempi di guarigione mettendo in comunicazione la cartilagine con tessuto sottostante permettendo l’ingresso delle cellule mesenchimali dal midollo, che però differenziano dando tessuto fibrocartilagineo; il tipo di collagene principale è il tipo 1, con minore resistenza e più rigidità, inoltre è un tipo di cartilagine che si usura con il tempo dando un buon successo per questo approccio fino ai 2 anni. In una pubblicazione si parla dell’individuazione di una piccola molecola chiamata Kartogenina, in grado di indurre runx1 (induce condrogenesi) grazie alla sua capacità di sequestrare la filamina A in modo che si legasse al nucleo e inducesse trascrizione di runx1. In un esperimento con microfrattura al canale tra i condili di coniglio, dopo un mese non c’è ancora riparazione del difetto, ma dopo 12 settimane nel ginocchio in cui è stata usata kartogenina il tessuto ha caratteristiche più simili ad una cartilagine ialina, con la quasi scomparsa dei limiti tra la lesione e la cartilagine sana, rispetto al controllo dove è più evidente la demarcazione tra la cartilagine sana e la zona lesionata. La kartogenina porta inoltre le cellule a produrre prevalentemente collagene 2 (cartilagine ialina) mentre in sua assenza il trattamento con microfratture porta a produrre tessuto ricco di collagene 1 (fibrocartilagine). TRAPIANTO AUTOLOGO DI CONDROCITI (OAT) o MOSAICOPLASTICA Si usa questo approccio quando la lesione è più grande e le microfratture sarebbero inefficaci, i risultati migliori si ottengono per lesioni articolari inferiori a 2 cm quadri; si prelevano frammenti di tessuto da zone della cartilagine non sottoposte a carico, si prelevano in genere delle porzioni il più possibile circolari, e gli spazi lasciati vuoti vengono riempiti di tessuto fibroso; tra le limitazioni della tecnica c’è il danno creato dalla rimozione del tessuto, la quantità massima di tessuto da poter prelevare, che cambia a seconda della zona ma è comunque minima, e infine la cartilagine da prelevare deve essere perfettamente sana. In genere si preleva nel solco intercondilare o ai margini dei condili, gli approcci chirurgici variano in base alla difficoltà di accesso al sito, alla profondità del sito di donazione e della tasca del ricevente (che deve essere 2mm più corta rispetto al tassello da inserire), in genere si esegue artrotomia laterale. Trapianto da donatori → quando le lesioni superano i 4 cm si usa un donatore come fonte di condrociti (cadaveri o organi amputati), gli svantaggi sono ovviamente trovare un match tissutale e se si usa tessuto vitale (prelevato entro 28gg dal donatore) i tempi sono ristretti, per questo si può usare anche tessuto congelato. TRAPIANTO AUTOLOGO DI CONDROCITI o ACI Usato in difetti con dimensioni comprese tra 3,5 e 10 cm2, consiste nel coltivare cellule del paziente su una membrana proveniente dal paziente stesso. Si esegue in due step: Stage 1: con artroscopia si prelevano 200-300 mg di tessuto cartilagineo, questo viene sottoposto a digestione enzimatica per eliminare la matrice extracellulare, i condrociti vengono poi coltivati ed espansi (ad esempio in gel di agarosio), per avere un numero adeguato ci vogliono circa 6 settimane. Stage 2: il chirurgo prepara la zona d’impianto, regolarizza i margini e procede con l’inserimento tramite due tipi di approccio: le cellule possono essere inserite in una matrice o idrogel che poi viene rivestito da una membrana e chiuso, oppure viene suturata una membrana, come il periostio, sopra la lesione in modo da formare una tasca dove vengono poi iniettati i condrociti, chiudendo il tutto con colla di fibrina. Il periostio generalmente viene prelevato dalla tibia del paziente, questa deve essere più larga del difetto per avere spazio per la sutura; il periostio inoltre contiene cellule mesenchimali pluripotenti e fattori condrogenici, però la cartilagine che si forma non è ialina ma simile alla fibrocartilagine. I risultati ottenuti da questo approccio sono positivi, anche a 7 anni di distanza dall’intervento. MACI È uno sviluppo della tecnica ACI, è un trapianto autologo matrix assisted, dove i condrociti una volta espansi vengono seminati su membrane biologiche, sulle quali crescono per 3-4 settimane e poi vengono impiantate; ad esempio si può avere una membrana di collagene con i condrociti adesi, che verrà poi tagliata dal chirurgo per combaciare con la lesione, dopo l’inserimento si fissa con colla di fibrina che viene posizionata direttamente sulla lesione, su questa infatti poggerà la faccia della membrana con le cellule adese, in modo da simulare i processi di riparazione naturali, con proliferazione e sintesi di matrice, con formazione di tessuto che ha caratteristiche della cartilagine ialina. Il tipo di collagene usato per la membrana è di tipo 1 o 3, perché quello di tipo 2 crea un’infiammazione (probabilmente perché attiva i sinoviociti che avviano l’infiammazione). Per consentire la proliferazione dei condrociti ci vogliono circa 6-12 settimane, durante le quali le cellule migrano dalla membrana, riempiono il difetto e iniziano a depositare matrice; dopo le 12 settimane c’è la fase di rimodellamento nel tessuto dove i condrociti producono collagene 2, aggrecano e GAG; tra i 6 mesi e i 3 anni si ha la maturazione del tessuto e si può parlare di recupero di funzione con integrazione del graft con il tessuto circostante. INGEGNERIA TISSUTALE Prevede l’uso combinato di scaffold (naturali o sintetici), cellule (staminali adulte o embrionali, somatiche) e fattori di crescita (per la proliferazione, differenziazione e il drug delivery). Le fonti principali di MSC sono il midollo, il tessuto adiposo e il cordone ombelicale; per quanto riguarda i metodi di coltura le cellule espanse possono raggiungere un numero alto partendo da piccoli frammenti di tessuto, però vanno incontro a dedifferenziamento, mentre quelle non espanse hanno un profilo di espressione migliore per i geni condrocitari ma bisogna prelevare più tessuto (in genere da donatori). Gli scaffold devono essere biocompatibili, biodegradabili (senza rilascio di sostanze tossiche), avere una porosità adeguata alla diffusione di nutrienti e per consentire la proliferazione e il differenziamento, inoltre devono avere proprietà meccaniche per sopportare la crescita del nuovo tessuto. Tra i polimeri sintetici vengono usati acido lattico glicolico, caprolattone, poliuretano; tra i polimeri naturali ci sono il collagene, la colla di fibrina, la gelatina, l’acido ialuronico, condroitin solfato e chitosano. I fattori di crescita usati vengono scelti in base all’osservazione di quali fattori sono coinvolti nei processi riparativi della cartilagine in vivo, alcuni di questi sono: il TGF-b che sui condrociti stimola la sintesi di ECM e riduce l’attività catabolica, a livello dei sinoviociti promuove proliferazione e fibrosi, induce chemiotassi e formazione di osteofiti, mentre sulle mesenchimali stimola produzione di ECM, e a seconda delle condizioni colturali stimola o down regola l’espressione di collagene; la BMP-2 stimola sintesi di ECM e la proliferazione delle mesenchimali; la BMP-7 riduce la degradazione della cartilagine inibendo l’espressione di metalloproteasi e aggrecanasi a livello della sinovia; l’FGF-2 protegge i condroblasti da dedifferenziamento a fibroblasti. Cellule embrionarie per dare origine a cartilagine → attraverso studi ed esperimenti si è potuta definire l’espressione genica osservata durante il differenziamento cartilagineo. Inizialmente le cellule embrionarie vanno incontro a condensazione mesenchimale a dare origine ad aggregati sferici, in vitro questo è favorito da una coltura ad alta densità, per favorire poi il differenziamento cartilagineo si usa desametasone e TGF-b aggiunti al medium, fino al 40 giorno si ha una progressiva deposizione di ECM (aggrecano e coll-2), ma dal 40 giorno in poi si ha la sostituzione del tessuto cartilagineo con l’osseo. Si è cercato allora di individuare i master genes responsabili della regolazione del processo, il primo individuato è MyoD del tessuto muscolare, quelli del processo cartilagineo sono stati poi sox9, sox5 e sox6. Quando le cellule vanno in ipertrofia si ha l’aumento dell’espressione di collagene 10, insieme al fattore runx2, e quando le cellule sono mature sintetizzano osteocalcina. Tra i fattori che impediscono la maturazione della mesenchimale a condroprogenitore c’è l’attivazione di Notch, mentre per sostenere il differenziamento condroblastico inibendo l’osteogenico è importante HIF-1, stimolato dall’ipossia, poiché induce sox9 che stimola la sintesi di collagene 2 e aggrecano. L’ipossia inibisce anche l’espressione di runx2, collagene 10, metalloproteasi e fosfatasi alcalina. Per cui con aumento di tensione di ossigeno si ah down regolazione di HIF e passaggio verso condrocita ipertrofico e formazione di cartilagine calcificata e osteofiti. RIPARAZIONE DEL MUSCOLO SCHELETRICO Fase degenerativa/infiammatoria → si ha rottura e necrosi delle miofibre, la formazione di un ematoma, e l’avvio di una reazione infiammatoria; i macrofagi M1 pro-infiammatori agiscono nei primi giorni dopo la lesione e contribuiscono alla lisi cellulare, alla rimozione dei detriti e stimolano la proliferazione di mioblasti, mentre gli M2, macrofagi antiinfiammatori, agiscono 2-4 giorni dopo la lesione attenuando la risposta infiammatoria e favorendo la riparazione con la formazione di miotubi. Fase di rigenerazione → si ha la fagocitosi del tessuto danneggiato, seguita dalla rigenerazione delle miofibre che porta all’attivazione delle cellule satellite; la rigenerazione inizia 4-5 gg dopo l’infortunio con un picco a 2 settimane e poi diminuisce gradualmente 3-4 settimane dopo l’infortunio. Fase di rimodellamento → si ha la maturazione delle miofibre rigenerate con recupero della funzionalità muscolare, ma anche fibrosi e formazione di tessuto cicatriziale; nella fase iniziale la fibrosi è benefica, stabilizza il tessuto e fa da impalcatura per la rigenerazione delle miofibre, ma un eccessiva sintesi di collagene spesso si traduce in un aumento delle dimensioni del tessuto cicatriziale che nel tempo può impedire la normale funzione muscolare. La riparazione è completa quando le miofibre danneggiate sono completamente rigenerate e innervate, il contatto sinaptico tra il motoneurone e la sua fibra bersaglio avviene in un sito specifico, la giunzione neuromuscolare; la terminazione assonica della fibra motoria prende contatto con un punto del sarcolemma nella fibra muscolare, una volta stabilito il contatto i recettori muscarinici (per l’acetilcolina) presenti sulla membrana vengono internalizzati per essere degradati, lasciandoli solo nel punto di contatto tra terminazione assonica e fibra, a questo punto la fibra risponderà agli stimoli eccitatori provenienti dal nervo; NMJ di nuova formazione si osservano entro 2-3 settimane dopo il danno muscolare. Quando il tessuto viene danneggiato c’è l’attivazione del complemento con infiltrazione di neutrofili e macrofagi nella zona di lesione, c’è l’attivazione di cellule residenti del tessuto connettivo, le mast cell, coinvolte nelle risposte allergiche e anafilattiche, con granuli contenenti istamina e altre molecole rialsciano citochine pro-infiammatorie come TNF-a e IL-1 che richiamano altre cellule come neutrofili e macrofagi; i macrofagi residenti del tessuto muscolare assumono il fenotipo M1 e iniziano a secernere anche loro citochine pro-infiammatorie, i neutrofili aumentano di numero tra le 6 e 24 ore per poi ridursi, infatti in terza/quarta giornata non sono più riscontrabili. Danni nel modello animale → dato che è difficile studiare le fibrocellule in vitro vengono creati danni muscolari in animali sperimentali con vari meccanismi: congelamento (si usa uno stiletto in azoto liquido che viene appoggiato nella zona da lesionare), tossine iniettate nel muscolo, uso di cloruro di bario. FATTORI DI DIFFERENZIAZIONE Le cellule muscolari rilasciano molecole capaci di stimolare la transizione da G0 a G1 delle cellule satellite, queste sono quiescenti (non esprimono le proteine contrattili) che si trovano sotto al sarcolemma in contatto con le miofibre, hanno capacità di divisione asimmetrica, ma possono anche proliferare e differenziare una volta attivate; i fattori trascrizionali espressi da queste cellule sono pax7, pax3, C-met, sox8 e sox15; le cellule in attiva replicazione esprimono poi MyoD e vanno incontro a un differenziamento dove esprimono proteine legate al sistema contrattile come miogenina, FGFR4 che provoca maturazione delle fibre con conformazione di miotubi, alla quale si associa l’espressione delle catene pesanti della miosina. In vitro si possono osservare le cellule satellite che esprimono proteine contrattili e si organizzano in miotubi, queste cellule inizialmente hanno un solo nucleo, quando formano i miotubi si fondono tra loro formando fibre polinucleate. Esperimento → è stato asportato un muscolo di topo dal quale si è ottenuto un estratto muscolare (contiene cellule diverse non solo muscolari), questo è stato messo in coltura per 24 ore con miofibre isolate dallo stesso animale; guardando l’espressione di pax7 e MyoD (cellule satellite attivate) si è osservato che se in coltura non è presente un estratto di fibrocellule danneggiate non si ha l’attivazione di cellule satellite che continuano ad esprimere pax7 ma non MyoD. Per sapere se le cellule sono proliferanti ci sono due indici: Ki67 che identifica le cellule in ciclo cellulare, e EdU che indica quelle che stanno sintetizzando DNA; si è visto che anche Ki67 aumenta con i miotubi incubati con fibre danneggiate, mentre nelle stesse condizioni non c’erano cellule che esprimevano EdU, per cui le fibrocellule danneggiate rilasciano sostanze che inducono l’espressione di MyoD; quindi, le cellule entrano nel ciclo cellulare ma non si ha la sintesi di DNA. È stato dimostrato che i miotubi danneggiati sono importanti per le cellule satellite ma da soli non sono sufficienti ad indurre la proliferazione; per capire quali altri fattori stimolano la proliferazione si è sperimentato in diverse condizioni colturali analizzando poi le proteine presenti nel terreno, prima nel medium da solo, poi in quello miofibre intatte e in quello con miofibre danneggiate. Nel medium da solo era presente solamente paralbumina, nei terreni con le fibrocellule intatte sono state identificate una serie di proteine con attività enzimatica coinvolte nell’utilizzo del glucosio: creatina chinasi, adenilato chinasi, fosfoglicerato mutasi, triosofosfato isomerasi, e aggiungendole al terreno di coltura con miofibre intatte effettivamente aumentava la % di cellule satellite attivate. Per escludere che l’effetto dipendesse da un prodotto del catabolismo del glucosio, ma da un moonlighting delle proteine, si è ripetuto l’esperimento usando un medium privo di glucosio e le cellule satellite hanno comunque espresso pax7 e MyoD. Trattando un topo con danno da cloruro di bario con GAP deidrogenasi si è osservato un aumento di cellule satellite MyoD+, indicando che GAPDH permette alle cellule di entrare in G1 e in grado di rispondere ai segnali di crescita a livello del muscolo. MACROFAGI → il fenotipo predominante nella prima settimana di lesione è l’M1, il differenziamento dei monociti in macrofagi è scatenato dall’interazione tra il ligando CCL2 con il recettore CCR2 che si trova sui monociti circolanti; i macrofagi collaborano con i neutrofili nel debridement locale. TNF-alfa → è importante nella rigenerazione muscolare, infatti i topi KO per la molecola o il recettore hanno difetti nel processo di guarigione. Ha un’azione chemiotattica e di stimolazione della proliferazione delle cellule muscolari attivando il fattore trascrizionale NFkB. Se si blocca l’azione di TNF-a si ha ridotta espressione di MyoD, miogenina e miosina. INTERLEUCHINA-6 → è prodotta dai macrofagi e dalle cellule T, stimola il differenziamento e la migrazione delle staminali muscolari, lavorando insieme a TNF-a, però se viene inibita non si ha un blocco della differenziazione dei mioblasti ma una riduzione nella velocità. OSSIDO NITRICO → non è prodotto dai macrofagi umani ma da quelli murini, e un’alta concentrazione porta a morte per apoptosi delle cellule danneggiate, e questo dà ulteriore stimolo alla liberazione di cellule per la fagocitosi. Una riduzione nella produzione di NO porta a riduzione delle staminali muscolari e riduzione di deposizione delle fibre collagene. LINFOCITI T → costituiscono la seconda ondata cellulare

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