Principi Biologici della Riparazione e Rigenerazione Tissuare PDF

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Questo documento discute i processi biologici alla base della riparazione e rigenerazione dei tessuti. Vengono trattati i diversi stadi, dall'emostasi all'infiammazione, alla formazione del tessuto di granulazione e alla deposizione della matrice extracellulare. Viene inoltre evidenziato il ruolo dei fattori di crescita nel processo di riparazione.

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BASI BIOLOGICHE DELLA RIGENERAZIONE E RIPARAZIONE Lezione 5/03 La riparazione è un processo che porta alla ricostruzione dei tessuti che hanno subito un danno. Il tessuto normale è sostituito da tessuto cicatriziale: quindi la riparazione ripristina una continuità anatomica. Gli organismi viventi d...

BASI BIOLOGICHE DELLA RIGENERAZIONE E RIPARAZIONE Lezione 5/03 La riparazione è un processo che porta alla ricostruzione dei tessuti che hanno subito un danno. Il tessuto normale è sostituito da tessuto cicatriziale: quindi la riparazione ripristina una continuità anatomica. Gli organismi viventi devono ripristinare la continuità anatomica, perché consente di difenderci da insulti di microrganismi, recuperare una funzione che però non sarà come il tessuto sano. Tale cicatrice rende il tessuto rigido ma non avrà la stessa resistenza del tessuto normale. La lesione può derivare da: -traumi -processi infiammatori -necrosi in organi incapaci di rigenerazione La RIPARAZIONE MEDIANTE RIGENERAZIONE comporta la crescita di cellule e tessuti che sostituiscono le strutture perse dello stesso tessuto ripristinando la funzione. Ad esempio negli arti degli anfibi. La RIPARAZIONE CONNETTIVALE è un processo che serve a riparare il tessuto ma avviene su tessuti con la caratteristica di avere una capacità rigenerativa nulla. Lo scopo del processo è quello di riportare un tessuto in condizioni anatomiche quanto più possibile vicine a quelle originali. E’ un tipo di processo che avviene dopo l’infiammazione, la quale è importante per diverse cose: circoscrivere il danno e rimuovere il tessuto leso/necrotico che impedisce la riparazione. Ad esempio, se il tessuto muscolare entra in contatto con l’osso rotto impedisce la guarigione della frattura. Utilizza alcuni meccanismi dell’emostasi. Infatti il processo di riparazione non è separato dall’infiammazione: si ha una sorta compenetrazione dei due fenomeni -> a seguito di un danno tissutale il primo processo che si osserva è la riparazione grazie all’emostasi. Nell’emostasi si ha già un inizio del processo di riparazione. I tessuti che non sono in grado di rigenerare guariscono con una deposizione di cicatrice. A volte si assiste anche ad un fenomeno infiammatorio non in grado di risolversi da solo (infiammazione cronica): quindi avviene un danno tissutale e una riparazione che si prolunga nel tempo -> questo scenario provoca una continua deposizione di matrice extracellulare diffusa all’interno del tessuto/organo. Questo tessuto apparirà di colore più biancastro, con dimensioni ridotte e questo si indica con fibrosi del tessuto. Con tale termine si indica un tessuto ricco di fibre proteiche che nel caso della riparazione sono costituite da collagene di tipo I. A livello di cellule del sangue, epidermide, epitelio del tratto gastrointestinale sono composti da cellule con attività proliferativa (tessuti con alta capacità rigenerativa il tessuto viene sostituito con cellule dello stesso tipo). Invece nei tessuti con cellule a riposo ma che stimolate possono andare incontro a proliferazione (prima chiamati stabili mentre oggi chiamati “a lenta capacità proliferativa”), il tessuto/organo viene ad essere ripristinato. In questo caso, i tessuti vanno incontro ad ipertrofia se le cellule non sono in grado di replicare (es. tessuto muscolare). Se si ha un tessuto non in grado di replicare viene deposta matrice extracellulare e ripristinata la continuità anatomica (formazione cicatrice). Invece se si ha infiammazione cronica, la distruzione tissutale e la riparazione comportano formazione continua di cicatrici nel tessuto/organo che quindi perderà di funzione per fibrosi (ad esempio la tiroide diventa fibrotica e non produce ormoni tiroidei). La fibrosi, infatti, compromette la funzionalità dell’organo. A seguito di danno si osserva una sequenza di eventi: l’emostasi, l’infiammazione (accumulo di leucociti), la formazione di tessuto di granulazione (proliferazione di fibroblasti e cellule endoteliali), deposizione ECM (attività dei fibroblasti), rimodellamento (distruzione enzimatica e ristrutturazione della ECM). Alla fine, tutto si conclude con la formazione della cicatrice. Nell’emostasi si ha l’aggregazione di piastrine e la formazione di fibrina. Nell’infiammazione si ha accumulo di leucociti. Nella terza fase compaiono i fibroblasti e le cellule endoteliali. I fibroblasti poi iniziano a lavorare per deporre matrice. Poi il numero di cellule di riduce progressivamente nel rimodellamento. Dal punto di vista macroscopico si vede la fuoriuscita di sangue -> poi l’arresto del flusso sanguigno -> crosta sotto la quale si ha il tessuto di granulazione-> quando la crosta va via e compare la pelle il tessuto è roseo - > questo a seguito di mesi diventa biancastro. EMOSTASI Coagulazione: si osserva sangue, piastrine che vengono attivate, l’attivazione del complemento e il rilascio di fattori di crescita e citochine che sono all’interno dei granuli piastrinici. Solo quando attivate le piastrine diventano capaci di aderire. Nell’arco di pochi minuti si arresta il sanguinamento e si innescano i fenomeni coagulativi per via estrinseca. Le piastrine attivate rilasciano i fattori di crescita. A cosa servono i fattori di crescita? Ad esempio, il PDGF attira i fibroblasti e ne stimola la replicazione. Quando si verifica un danno (es taglio con lama) nei tessuti a valle del vaso si verifica necrosi perché i vasi vengono interrotti e manca il trasporto di O2 e nutrienti. Quindi da una parte si hanno cellule che muoiono. Tuttavia si hanno i leucociti: quelli che arrivano non sono quelli della zona andata incontro a danno ma provengono solo da vasi integri che si trovano nella zona attorno al danno. La rapidità con cui arrivano dipende da tipo di vascolarizzazione del tessuto: alcuni tessuti hanno capillari maggiormente rispetto ad altri. Ad esempio, un linfocita è 6-7micron. Se il taglio è spesso 1-2mm e la cellula 10 micron, sarebbe 100 volte più grande. Come fanno a migrare da una parte all’altra le cellule per ripristinare un danno? La fibrina funge da ponte e forma una rete sulla quale si attaccano proteine della matrice extracellulare e le cellule possono migrare sulla superficie per spostarsi. La trama di fibrina continua a crescere grazie al fibrinogeno presente nell’essudato infiammatorio e fornisce un supporto ai fibroblasti ed agli epiteli grazie al legame che avviene con la fibronectina fuoriuscita con l’essudato e quella sintetizzata dai fibroblasti attivati. Le cellule che arrivano sono i granulociti nelle prime ore mentre i macrofagi arrivano dopo perché prima sono monociti, non sono in grado di fagocitare, e devono diventare macrofagi. Solo una volta usciti dai vasi e arrivati nei tessuti diventano macrofagi (fagociti) e per questo arrivano dopo almeno 1 giorno. Quindi i granulociti riescono subito a raggiungere quel tessuto grazie alla formazione del coagulo. Nella sede del danno ci sono residui sono chiamati DAMPs (elementi di richiamo), che attivano i fagociti (macrofagi) che iniziano quindi ad eliminare le sostanze necrotiche. I macrofagi, reclutati grazie al riconoscimento dei DAMPs con i TLR, iniziano a secernere citochine che stimolano la risposta infiammatoria. I macrofagi di questo tipo sono definiti di fenotipo M1 e producono TNF-alfa, IL-1 e IL-6. Inoltre rilasciano anche fattori chemiotattici per altre cellule come quelle fibroblastiche, quelle endoteliali. Le proteine idrosolubili riescono a spostarsi per lunghe distanze e quindi in questa fase si osserva la liberazione solo di proteine idrosolubili: tuttavia non si ha una rete di vasi e quindi tali proteine devono diffondere attraverso l’essudato. L’essudato permette la diffusione di queste molecole e guidano lo spostamento delle cellule verso il luogo del danno. Le proteine della matrice extracellulare hanno delle sequenze in grado di interagire con altre proteine come i fattori di crescita: quindi essa è un magazzino di fattori di crescita (per questo motivo si usano a volte frammenti di tessuto per stimolare la riparazione del tessuto). Con il richiamo dei fibroblasti e delle cellule endoteliali si assiste anche alla formazione di nuovi vasi e alla deposizione di una matrice ricca di mucopolisaccaridi (GAGs) e di un tipo di collagene III che polimerizza a formare reticoli che si chiama TESSUTO DI GRANULAZIONE. I proteoglicani sono proteine ricche di glucidi: quindi sono proteine estremamente idrofile che si circondano di acqua e questo conferisce una proprietà alla matrice ricca di proteoglicani. Il legame con l’acqua permette il passaggio più facile delle citochine e dei fattori di crescita, un assorbimento dei traumi maggiore. La matrice viene deposta da cellule mesenchimali come osteoblasti, fibroblasti etc in base alle caratteristiche del tessuto. Una volta depositata la matrice extracellulare definitiva, viene modellata in modo da dare resistenza. L’emostasi: viene attivata la coagulazione per via estrinseca in quanto il sangue viene a contatto con il collagene e si mescola con il fattore tissutale. La trombina stimola i macrofagi e stimola la replicazione dei fibroblasti (quindi l’emostasi fornisce già i segnali per la riparazione). Dalle piastrine vengono rilasciati fattori come PDGF e ci sono 3 isoforme. Questi fattori di crescita stimolano la migrazione e il differenziamento delle cellule stesse. Le cellule (fibroblasti) in fase G0 replicano se ricevono fattori di crescita (1 volta ogni 24 ore) altrimenti no. I fattori liberati dalle piastrine degranulate sono: PDGF, TGF-beta, IGF-1, PAF, PDGEF, fibronectina e serotonina. La fibronectina si attacca alla fibrina, una proteina appiccicosa. La colla di fibrina è utilizzata in chirurgia plastica. La trama di fibrina continua a crescere grazie al fibrinogeno che proviene dall’essudato e fornisce un supporto ai fibroblasti. Questi si muovono e si attaccano alla fibronectina, la quale a sua volta è attaccata alla fibrina, mediante le integrine (sono il recettore per le proteine di matrice). La fibrina è la prima responsabile della resistenza del coagulo (diventa duro e consente si avere una impalcatura forte). Il coagulo ha diverse funzioni: -è una barriera fisica e biologica -è ricco di fibrina e può reclutare fibrinopeptidi che svolgono attività chemiotattica per i macrofagi -ricco di transglutaminasi e transglutaminasi, fattore chemiotattico per macrofagi e fibroblasti, favorisce la fagocitosi -ricco di piastrine che contraendosi liberano fattori di crescita. Il coagulo è il risultato di piastrine+fibrina+fibronectina che è la prima matrice provvisoria. PIASTRINE Ad oggi non si conoscono tutte le proteine rilasciate dalle piastrine: quelle presenti in quantità maggiore sono -> PDGF, VEGF, EGF, FGF, TGF-beta, IGF, KGF e spesso hanno azioni sovrapposte. Le piastrine sono attivate da un danno e quindi devono aver la capacità di poter stimolare la riparazione in tutti i tessuti dove avviene un danno: la piastrina è circolante e sono sempre loro per ogni danno (sono attrezzate per ogni tipo di riparazione). Tali molecole rilasciate saranno attive solo per le cellule che avranno i loro rispettivi recettori: ad esempio a livello osseo EGF non farà nulla ma è presente lo stesso. Le caratteristiche del PRP cambia in base al metodo con cui sono preparate: da 60mL di sangue iniziale si ottengono 6mL di PRP e la concentrazione dei fattori di crescita aumenta. Con il PRP si forniscono molti più fattori di crescita anche se non sempre dare più fattori di crescita è utile. Gli stessi fattori di crescita hanno diversi target e fattori di crescita diversi possono condividere gli stessi target cellulari: quindi la cellula viene bombardata di segnali diversi e questo determina l’espressione di diversi geni. L’azione che emerge è quella di riparazione del tessuto. Questi fattori di crescita sono rilasciati da cellule diverse. Quindi: 1)Più fattori hanno lo stesso target e 2) lo stesso fattore è rilasciato da diversi tipi di cellule che intervengono nella risposta al danno in momenti diversi (stesso fattore con target diversi). Sinergia di potenziamento: quantità modeste di fattori che agiscono attivando vie (si potenzia l’azione del singolo) e annullano effetti che certe molecole potrebbero attivare. N.B. E’ necessario che questi stimoli avvengono per un periodo di tempo lungo: infatti, una volta degranulate le piastrine poi non liberano più niente. Inoltre le molecole danno un segnale solo oltre una certa concentrazione mentre al di sotto non danno segnale. Se non ci fossero altre cellule che producono le stesse molecole, l’effetto finirebbe troppo velocemente. Quindi queste molecole sono sintetizzate da cellule che vengono in momenti diversi forniranno un effetto per tempo lungo (lungo termine) ma questo può cambiare: stimolano proliferazione o differenziamento. Le cellule che replicano non possono differenziare. I linfociti appartengono all’immunità adattativa, la quale viene costruita in seguito a particolari stimoli antigenici mentre quella innata è una immunità di prima linea ma poco specifica (da questa non si possono avere malattie autoimmuni infatti). I macrofagi sono i registi, ovvero hanno maggiore capacità di recezione degli stimoli (DAMP o PAMP) attraverso i TLR e possono indurre le varie risposte dell’infiammazione: liberare citochine con induzione di febbre o liberazione di proteine di fase acuta. I linfociti intervengono nella parte terminale nella fase di risoluzione. Grazie ad IL-10 prodotta a livello linfocitario i macrofagi subiscono il cambio fenotipico in M2. IL-4 e IL-10 sono citochine antiinfiammatorie. I macrofagi M2 hanno proprietà antiinfiammatorie e cambiano le loro azioni in funzione di produrre un tessuto resistente Nei tessuti ci sono dei macrofagi residenti che vengono reclutati in caso di infiammazione. Lezione 12/03 Nelle fasi iniziali prevalgono gli M1 e nelle fasi tardive gli M2. I dati sui monociti umani sono inferiori rispetto a quelli posseduti per i roditori. I macrofagi umani NON producono NO (ossido nitrico) a differenza di quelli dei roditori quando sono attivati nella fase M1. Nella fase M1, essi aiutano i granulociti neutrofili nella pulizia dell’ambiente dove c’è il danno e partecipano alla uccisione dei batteri. Quando poi i macrofagi, a seguito dei linfociti e delle citochine, diventano M2 sono in grado di produrre altre cose, ovvero determinano produzione di altre citochine che permettono la deposizione di matrice cellulare e il richiamo di cellule mesenchimali per la riparazione del danno. Quando sono attivati dai DAMPs, i macrofagi si attivano in senso pro-infiammatorio mentre da IL4 acquisiscono il fenotipo M2 e smettono di produrre citochine pro-infiammatorie. Attraverso l’analisi dell’espressione genica si possono studiare i vari macrofagi: gli M2a hanno un profilo di espressione indirizzato a sintetizzare ECM, chiusura ferite e l’angiogenesi; M2b sono indirizzati a sopprimere l’infiammazione mediante IL-10. Gli M2c esprimono tanta IL10 e producono anche una elevata quantità di metalloproteasi per il rimodellamento vascolare/di matrice. Gli M2d hanno una espressione di proteine (es VEGF) che stimola fortemente l’angiogenesi. Che ruolo hanno le cellule dell’infiammazione nello stimolare la riparazione tissutale? Le cellule dell’infiammazione in realtà non intervengono nel processo riparativo e alcuni di questi possono ritardarlo come i Th e i T citotossici. Queste cellule dell’infiammazione sono fondamentali ad aiutare la riparazione solo quando c’è una contaminazione: prima deve avvenire l’eliminazione della contaminazione per preparare il tutto alla riparazione. Infatti, la riparazione non può iniziare bene se c’è una contaminazione presente: in quel caso non si avrà una riparazione completa. Il tessuto di granulazione: è un tessuto transitorio specializzato che ha caratteristiche importanti: offre resistenza alle infezioni; ha una elevata cellularità e vascolarizzazione. Inoltre ha una matrice fatta da proteoglicani e proteine che consentono di trattenere acqua (per assumere ed eliminare metaboliti) e ricca di collagene di tipo III (reticolare). Durante la prima fase del processo di guarigione, il tessuto di granulazione è caratterizzato da una intensa attività angiogenetica. Infatti, si passa da una fase di quiescenza ad una di attiva replicazione di queste cellule endoteliali. La fase di formazione dei capillari avviene subito non appena avviene lo stimolo che deriva dalla zona di danno, ovvero una zona ipossica: con ipossia HIF viene traslocato nel nucleo e trascrive il VEGF (ci sono diverse isoforme). I capillari neoformati sono destinati a scomparire nelle fasi successive di formazione della cicatrice (fase fibrogenetica). A 24h dalla lesione si osservano i primi germogli dei capillari (quindi molto veloce) -> in realtà questo tempo è dato anche dal fatto che i fattori devono arrivare in sede di azione nonostante serva poco tempo per la loro produzione (la sintesi di RNA richiede un tempo ridotto, più o meno 10-20s). I fattori che stimolano l’angiogenesi derivano dall’ipossia che stimola la produzione di VEGF e FGF2. La produzione di acido lattico, che deriva dal metabolismo anaerobio, stimola ancora i macrofagi a produrre VEGF (ad esempio nei tumori o nei muscoli poco allenati): tale metabolismo anaerobico è indotto dall’ipossia. L’ipossia stimola la produzione di TNFα dai macrofagi L’angiogenesi si diversifica dalla vasculogenesi. La vasculogenesi è un fenomeno di formazione di nuovi vasi ma non a partire da cellule endoteliali pre-esistenti ma a partire da progenitori endoteliali circolanti EPC. Tali cellule sono anche i precursori di cellule nel sangue sono gli emangioblasti (hanno possibilità di dare origine sia alle cellule ematiche che dei vasi, blasti indica alta replicazione). Le EPC sono rilevanti nel momento dello sviluppo dell’embrione mentre nella vita adulta hanno scarsa rilevanza. Intervengono in caso di lesioni particolari. Nel tessuto di granulazione la componente proteica non è la cosa principale. Fasi dell’angiogenesi: iniziale degradazione della matrice; migrazione delle cellule endoteliali attraverso la matrice; proliferazione delle cellule endoteliali Esperimento: roditore è stato perfuso con una resina che polimerizza a 37gradi. L’animale è stato sacrificato dopo 60ora e il tessuto digerito in una soluzione acida: l’acido ha tolto tutte le cellule/proteine mentre il materiale plastico iniettato nel circolo è emerso. Dato che si ha infiammazione si ha vasodilatazione e quindi il vaso da cui dipartono gli altri è più grosso. La densità di vasi è rilevante a causa di fattori angiogenetici che hanno attivato la crescita delle cellule endoteliali: i fattori di crescita agiscono come fattori chemiotattici attirando la crescita dei vasi. Inoltre sono molti vasi a sfondo cieco e non sono uniti agli altri. Nel trattato sopravviveranno solo i cordoni vascolari che si sono uniti ad alti per permettere la circolazione del sangue: i cordoni che non sono riusciti a unirsi, senza VEGF (perché passando il sangue viene meno l’ipossia) si destabilizzano e iniziano un processo apoptotico. Quindi nel Tg il tessuto è vascolarizzato e i vasi non sono funzionali. Le cellule che crescono sono sia sul versante venoso che arterioso e inizialmente sono indistinguibili e nel momento in cui inizia il circolo cambia il fenotipo cellulare, la permeabilità, la matrice, la produzione di fattori etc..: le cellule si adattano alle condizioni che si trovano. Come riconoscere le cellule emangiopoietiche? Hanno antigeni sia delle cellule endoteliali che di quelle ematopoietiche. L’antigene comune delle cellule che scorrono nel sangue è CD45. Le cellule endoteliali esprimono tutte il CD34. Altri due Ag che caratterizzano questi precursori sono il CD133 che poi viene perso e il CD117 (c-kit) tipico anche della nicchia del midollo Quando arriva lo stimolo proliferativo inizia la maturazione dell’emangioblasto che da origine a precursori ematopoietici che maturano e originano EPC. Inizialmente si possono trovare sia le CD117 che CD133. Le cellule che hanno maturato hanno il VWF. Il CD31 si rinforza mentre il CD34 man mano che matura la cellula viene perso e viene mantenuto soltanto a livello di alcuni capillari. Con queste proteine sulla superficie è possibile differenziare le varie cellule ematiche e non. Ci sono fattori che provengono dalla zona di danno e agiscono a livello midollare per far proliferare gli emangioblasti: la mobilizzazione è stimolata da VEGF, SDS-1 (che si lega a CD117), EPO (che stimola la proliferazione dei proeritroblasti), G-CSF (un fattore di crescita per la serie bianca), le statine, gli estrogeni, esercizio fisico, PPAR-γ. Poi ci sono azioni chemiotattiche esercitate da VEGF e SDF-1 e sono seguite dalla adesione. Cosa media l’adesione di queste cellule a quelle endoteliali? Le integrine β1, β2, αvβ3, αvβ5. Poi c’è la migrazione grazie alle proteasi e il differenziamento di queste cellule da progenitori a endoteliali. -Importanza delle EPC nell’adulto per partecipare alla formazione di nuovi vasi? Si può utilizzare un gene reporter per una proteina fluorescente oppure sfruttando Lac Z. E’ stato messo nel promotore a monte di geni coinvolti nella angiogenesi e si scelse Tie2. Il topo è stato irraggiato e prima ancora che l’animale sia senza cellule si fornisce subito il trapianto. Irradiati, trasfuse le cellule midollari e poi dopo il trapianto è stata fatta una lesione da una parte e dall’altra (in una è stato chiuso il vaso per impedire alle cellule circolanti di arrivare). Si concluse che l’ischemia ritarda il processo di guarigione: l’ischemia danneggia anche i muscoli che vanno incontro a sofferenza ipossica e rilasciano fattori chemiotattici per EPC. Tuttavia troviamo meno EPC nella zona di ischemia e molte di più nella zona non ischemica. LacZ è sotto il promotore di Tie2. Se non si riescono ad avere gruppi omogenei la metanalisi fallisce e non è attendibile Le integrine danno capacità di legarsi in maniera diversa: -αvβ5 e αvβ3 mediano il legame alla vitronectina e sono importanti per il legame al vaso de endotelizzato (privo dell’endotelio); -β2 integrine (CD18/CD11) sono preferenzialmente espresse da cellule emopoietiche/progenitori e mediano il legame con l’endotelio e la migrazione attraverso la parete del vaso (servono alle cellule per uscire dal vaso e si legano al vaso con endotelio); -β1 integrine sono espresse da diverse cellule come endoteli ed emopoietiche mediano l’adesione alla matrice extracellulare; -α4β1 e β2 integrine mediano l’homing delle cellule progenitrici ai tessuti ischemici dove c’è ipossia; Varianti del VEGF-A: il VEGF ha diverse isoforme ciascuna con significato diverso. Importanti sono gli splicing sull’esone 6-7: in questi esoni viene codificata la capacità di legare proteoglicani o glicoproteine (eparin-binding side). Ci sono alcuni VEGF che quindi non sono in grado di legarsi ai proteoglicani della matrice extracellulare nel tessuto di granulazione-> se manca tale sito di legame alla ECM ci sono 2 conseguenze, quali? La matrice diventa un magazzino di VEGF. Inoltre, se si ha un segnale che rimane in loco significa che si ha un segnale chemiotattico verso quella zona anche se la migrazione delle cellule meno orientata in quanto non sarà in grado di legarsi il VEGF alla matrice. Alcune varianti: il VEGF 121 è un peptide solubile, il 165 ha proprietà di legarsi alla matrice e sostiene sia la crescita di vasi venosi che arteriosi. IL VEGF206 è rilasciando quando ECM è degradato Ci sono alcuni VEGF particolarmente attivi sulle cellule endoteliali dei vasi come VEGF-A e VEGF-B e altri attivi sulle cellule dei vasi linfatici. L’azione del VEGF cambia a seconda del tipo di recettore con cui interagisce. Con il legame a VEGFR2 stimola la vasculogenesi e angiogenesi, mentre se viene stimolato solo VEGF1R si stimola la migrazione e non tanto la proliferazione e il differenziamento (con VEGFR3) L’azione del VEGF a seguito del legame con il recettore promuove una serie di azioni tra cui: produzione di NO da parte della cellula endoteliale (aumenta la permeabilità dell’endotelio); permette la sopravvivenza dell’endotelio andando a bloccare segnali pro-apoptotici; riorganizzando i filamenti di actina consente la migrazione delle cellule ma promuove anche la proliferazione attraverso la PKC e l’ingresso di calcio nella cellula. Le angiopoietine collaborano con il VEGF per la formazione dei vasi (da solo il VEGF non spiega la formazione di nuovi vasi). Le cellule endoteliali possono esprimere 2 recettori diversi Tie1 e Tie2. Le angiopoietine sono 2 diverse: la angiopoietina2 sembra sia un antagonista della angiopoietina1 sul recettore Tie2. Il recettore Tie1 è presente ma non si sa bene a cosa serva, invece Tie2 promuove la stabilizzazione della cellula endoteliale, la sua sopravvivenza e questa funzione la svolge quando lo lega l’angiopoietina 1: è una sorta di segnale di quiescenza della cellula endoteliale. Invece, quando interviene l’angiopoietina 2 la cellula si destabilizza, si attiva e inizia a proliferare e migra. Quando interviene angio2 blocca l’effetto della 1 e se la cellula è stimolata dal VEGF inizia a migrare, replicare e questo consente la migrazione dei nuovi vasi (questo solo se si ha anche lo stimolo del VEGF oltre all’angiopoietina2 altrimenti queste cellule vanno incontro ad apoptosi se abbiamo la stessa condizione di stimolo della angiopoietina 2, ma non c’è il VEGF). Nel momento in cui c’è infiammazione/ipossia l’angiopoitina2 impedisce il legame di 1 e aumenta la sua concentrazione sulla cellula endoteliale per cui in presenza di VEGF la cellula endotelio prolifera. Se però si hanno stimoli che inducono angiopoietina 1 o 2 e non si hanno più VEGF/FGF si avranno segnali che attivano le vie apoptotiche e i vasi si disgregano. [La 1 è prodotta normalmente dalle endoteliali quiescenti che stanno bene, è una angiopoietina dell’endotelio che impedisce alla cellula di proliferare. Quando c’è un danno, le citochine infiammatorie stimolano il rilascio della angiopoietina 2 che blocca l’interazione della 1 con il recettore Tie2] Quando le cellule endoteliali, di due estremità a fondo cieco, si toccano si forma una cavità e rinizia una circolazione -> avviene l’inosculazione e quindi si forma un vaso completo e riinizia la circolazione. Quindi succede che circola sangue e quindi ossigeno, la zona non è più ipossica e quindi i vasi non completi si disgregano in quanto viene meno il VEGF. I vasi intorno vanno incontro a morte programmata e le cellule endoteliali si disgregano. La matrice extracellulare all’inizio svolge un ruolo di riempimento e poi ha il ruolo di magazzino dinamico di fattori di crescita. Quindi si ha un numero elevato di fattori di crescita, hanno un ruolo ridondante e questo crea sinergia nell’attivazione delle cellule; si ha l’espressione temporale dei vari recettori e si ha anche molteplicità di recettori (es VEGFR1 CHE MEDIA LA MIGRAZIONE E VEGFR2 LA PROLIFERAZIONE E IL DIFFERENZIAMENTO) Il tessuto di granulazione fornisce un tessuto giovane con tanti vasi. L’orientamento è ancora irregolare mentre nel tessuto maturo (cicatrice) si ha una quantità di collagene elevata ed è compatta: i vasi si sono ridotti di numero e nella ECM ci sono meno cellule rispetto al tessuto di granulazione; vasi grossi dilatati sono presenti in numero molto ridotto. Quindi se avviene una lesione della cicatrice non possono avvenire tutti i processi descritti perché mancano i vasi. Lezione 18/03 La rigenerazione si caratterizza dalla capacità di recuperare anche le funzioni perse perché vengono sostituiti i tipi cellulari danneggiati e non si ha l’interposizione della cicatrice. Quali sono i tessuti dove avviene? Quelli dove ci può essere duplicazione cellulare. I tessuti si dividono a capacità replicativa o ad assenza di questa capacità. Le cellule che hanno capacità di rigenerare sono chiamate cellule staminali Le cellule dei tessuti presentano fenotipi diversi e hanno funzioni diverse: per fare questo loro esprimono solo una parte del loro potenziale presente nel genoma che possiedono. Il genoma è lo stesso in tutte le cellule dell’organismo ma nell’adulto le cellule sono diverse per funzione e caratteristiche. Questo perché avviene? Perché alcuni geni non vengono resi più trascrivibili (silenziati) e altri più trascrivibili. Questa possibilità dipende dall’acetilazione degli istoni ma anche la metilazione: una regione metilata è estremamente compatta ed è difficile separare catene con basi metilate e anche questo controlla la trascrivibilità. La possibilità di trascrivere geni è influenzata enormemente dall’ambiente: la trascrivibilità dipende da fattori di crescita/ormoni che agiscono sui promotori dei geni rendendoli trascrivibili, metaboliti, matrice extracellulare ma anche molecole che sono in grado di regolare l’mRNA come i miRNA. Le cellule infatti producono molecole (miRNA) che consentono di portare alla degradazione dell’mRNA. Come queste molecole giungono ad una cellula vicina? Attraverso gli esosomi. Da tempo si sa che mettendo una cellula non differenziata in coltura con cellule differenziate, prendeva le caratteristiche delle altre, grazie a vescicole che contengono molecole capaci di influenzare l’espressione genica. Nel medium ci sono tante vescicole rilasciate da cellule che contengono tante molecole che forniscono un segnale PLANARIA. La planaria è un verme piatto facilmente allevabile, carnivoro e nella sua anatomia presenta organi di senso, fotocettori, tessuto muscolare, un sistema nervoso rudimentale. E’ possibile amputarla e ogni porzione è in grado di rigenerare un organismo intero. Per questo è sfruttata come modello di studio della rigenerazione, per la sua capacità di autorigenerarsi. Sono presenti cellule non differenziate, i neoblasti, che sembrano dei linfociti e hanno un nucleo molto grande. La loro caratteristica è che queste cellule sono sparse in tutto l’organismo della planaria. La proteina piwi caratterizza queste cellule ed è infatti distribuita in tutto l’organismo. Quando l’animale viene amputato, c’è una migrazione dei neoblasti verso la zona di amputazione a formare il blastema. Il blastema è una zona di nuovo tessuto in cui trovano le cellule non differenziate che vanno incontro poi a successivo differenziamento. La planaria deve seguire un cammino differenziativo che ha una sua polarità: se si prende la porzione della centrale, coda o testa dovranno rigenerare le parti restanti fino a riavere un nuovo verme con la massa dell’originario (in 14 gg si rigenera un nuovo verme dalla massa originale). Pertanto ci si è chiesti quale fosse la quantità più piccola di tessuto in grado di rigenerare l’organismo intero: 1/279 esimo di tessuto (es come se fosse un orecchio per l’uomo) contiene 10.000 cellule e sembra dare origine al processo rigenerativo -> al di sotto non sembra in grado di rigenerare, esiste quindi un numero critico. La planaria può dare origine ad altre situazioni particolari come due teste. Piwi è espresso anche in alcune cellule dell’uomo e di altri mammiferi: si sta cercando di capire se abbia la stessa funzione che ha in planaria. Inoltre è una proteina che conferisce staminalità alla cellula ma anche che nella cellula che differenzia regola il differenziamento. Quindi quale è il suo ruolo durante il processo del differenziamento? Se piwi-1 non c’è e la staminale si inserisce nella zona dove manca, non differenzia e va in apoptosi. Nella formazione dell’embrione di hanno tante cellule staminali attive che poi fanno incontro ad apoptosi (es per formare le dita e permettere di essere separate). Quindi cosa sono questi segnali che regolano il processo differenziativo? Se si colora la faringe si nota una sorta di tubo con le ciglia. La faringe è una sorta di tubo che risucchia il nutrimento e quello non digerito viene risputato. Se è vero che la planaria è utile per capire come avviene il processo rigenerativo, si osservano differenze con i vertebrati: la perdita della capacità rigenerativa dei vertebrati a seguito dell’evoluzione. Inoltre nella planaria ci si chiede se la cellula staminale si divide per dare origine a cellule figlie. Nei vertebrati si osserva che la cellula staminale ha una divisione asimmetrica e questo aiuta a mantenere un pull anche se nei vertebrati si osserva una perdita della potenza delle cellule staminali. Nella planaria NON si è sicuri di questa divisione asimmetrica. La formazione del blastema è un evento fondamentale della rigenerazione del tessuto: a livello di planaria si forma, da un ammasso di cellule indifferenziate, da cui poi origina il differenziamento e si è anche visto come Wnt guida e fornisce un orientamento rostro-cefalico del differenziamento cellulare. Ci sono anche altri geni coinvolti che partecipano a definire il tipo cellulare richiesto. Il momento in cui si separano i tessuti, devono portare a rilasciare segnali che determinano la rigenerazione SOLO della parte mancante: ad esempio due teste con una coda (la coda integra non rilascia segnali che determinano una rigenerazione). Quindi il segnale indotto dall’amputazione è molto importante per far rigenerare la parte percepita come mancante (si deve ancora definire come e perché) Un altro animale capace di rigenerare è la salamandra, che però ha limitate capacità rigenerative, e non ha cellule come neoblasti. Essa può rigenerare gli arti attraverso la formazione di un blastema che non è costituito da cellula staminali ma da cellule mesenchimali che vanno origine ad un processo di dedifferenziamento, cioè riacquisiscono caratteristiche embrionali. Questo perché essendo mesenchimali, hanno già raggiunto un commitment differenziativo. Il tessuto mesenchimale deriva dal mesoderma e si differenzia da quello ematopoietico. -Il blastema è formato da due compartimenti: un foglio superficiale di cellule di origine epiteliale che ricoprono l’intero moncone ed un sottostante foglietto di cellule di origine mesenchimale. Questo tipo di rigenerazione coinvolge innanzitutto l’epidermide: l’epidermide, come prima risposta, ricopre il moncone amputato inizialmente e nell’arco di poche ore viene chiusa la ferita (nella salamandra). Quindi si ha la crescita dell’epitelio che va a coprire il moncone a seguito di una retrazione di tessuto muscolare. A questo punto il processo di guarigione è tutto sotto-epiteliale. Si osserva a formazione di un nervo che si mette a contatto con l’epitelio attraverso la giunzione neuroepidermica (se si rompesse questa giunzione si interrompe la rigenerazione dell’arto). Inoltre questa unione permette l’espressione di alcuni geni e si ha la produzione di una proteina che guida la rigenerazione: ad si sotto di questo cappuccio epiteliale si osservano tante cellule mesenchimali che stanno proliferando. Queste sono cellule non differenziate che derivano dal de-differenzamento di cellule mesenchimali preesistenti. Il nervo produce una proteina che arriva nel blastema e favorisce la rigenerazione. Con il flap epiteliale si altera il processo rigenerativo.. NRG1 e ErbB2 sono persi con la denervazione: in particolare NRG1 è il ligando del recettore ErbB3 che favorisce sopravvivenza, proliferazione (sembra che ci sia una correlazione ma non si sa ancora quanto). Tale ligando è presente anche nei nervi periferici e nel blastema. ErbB2 è un recettore presente nel blastema. L’aggiunta di NRG1 in un arto denervato porta alla rigenerazione ma rigenerano senza nervo! Le beads sono delle piccole strutture porose che vengono imbevute della molecola che si vuole testare e inserite all’interno della lesione. In questo caso sono imbevute di NRG1 in modo tale che venga rilasciato nel tempo. Questo consente un rilascio per tempi prolungati ed è un modo per veicolare farmaci all’interno di una situazione che si vuole andare a regolare La denervazione, come detto, impedisce la formazione di blastema. Ma la presenza di un fattore di crescita NRG1 prodotto dai nervi ma anche dalle cellule del blastema sotto stimolo dei nervi consente la proliferazione delle cellule mesenchimali e formazione di blastema. Quindi è fondamentale la presenza di un fattore neurotrofico (NRG1) per far crescere l’arto Il tessuto muscolare si retrae e quello che fuoriesce è l’osso. A 7 giorni dall’amputazione si è formato il cappuccio epiteliale, è cresciuto il nervo e si ha la formazione del blastema costituito da cellule in attiva replicazione. All’interno dell’arto si hanno tessuti che vengono ad essere riassorbiti come l’osso. A 14 giorni si ha il cappuccio epiteliale, il blastema, cresce il nervo. A 18 giorni non si trova ancora un differenziamento cellulare ma si hanno ancora frammenti ossei e man mano che il blastema si forma si vede nel tempo una comparsa di abbozzi cartilaginei che danno origine alla struttura ossea. A 42 giorni dall’amputazione si vede una struttura in cui sono riconoscibili le falangi, si iniziano ad apprezzare le dita e continua la formazione dell’omero. NRG1 era stata chiamata all’inizio nAG: questa proteina induceva la formazione del blastema a seguito di denervazione. Induce la formazione di blastema anche in un arto che è stato denervato. [Nella salamandra osserviamo la rigenerazione di un intero arto, se prendiamo la lucertola la zampa resta amputata perché rigenera solo la coda. Hanno scoperto che viene prodotta una proteina a livello della giunzione neuroepidermica che originerà blastema che è detta nAG, questa proteina è fondamentale per la formazione del blastema. Se viene distrutto il nervo, non si ha produzione della proteina nAG dalle cellule epiteliali che formano il cappuccio, se usiamo anticorpi contro nAG non si forma il blastema e non si ha rigenerazione dell’arto.] Accanto a questo studio, ci son altri modelli di studio come zebrafish utilizzato per studiare la rigenerazione cardiaca e ossea. Gli esperimenti prevedono l’amputazione della pinna e lo studio della crescita della pinna. I raggi della pinna sono fatti da ossa e dopo 10 giorni dopo amputazione si ha la nuova pinna e anche in questo caso si forma il blastema A cosa è servito studiare la rigenerazione qui? Capire i fattori osteogenetici che intervengono durante la formazione dello scheletro. Hanno scoperto che ci sono e vengono prodotte alcune proteine che se vengono prodotte con una scala temporale particolare danno origina alla formazione dell’osso. E’ importante il recettore per il fattore di crescita di tipo I per i fibroblasti FGF1, la cui produzione aumentava nella zona di amputazione. A seguito dell’attivazione di FGFR1 viene espresso un fattore Shh (Sonic Hedgehog) che induce l’espressione di ptc1 che a sua volta agisce sulla produzione delle BMP di tipo 2b. Una volta espressa la bone-morfogenic proteine vengono espressi i fattori trascrizionali Runx2a e 2b e anche Sox9 e ColX (fase del condroblasta ipertrofico) che darà origine agli osteociti successivamente. Per capire la sequenza temporale sono stati fatti esperimenti di inibizione: ad esempio inibendo FGFR1, si inibiva la via ma si formava lo stesso l’osso e quindi significava che c’era una altra via indipendente che dava formazione di osso. Infatti si è scoperto che cera una altra BMP che poteva intervenire e indure lo stesso osteogenesi ed era BMP6. Però se blocchiamo le BMP si ha una struttura cartilaginea che non si mineralizza e quindi si rimane con uno scheletro cartilagineo che non va incontro a calcificazione. Se si bloccano le BMP si ha una espressione normale di shh e ptc1: non c’è un circuito di retroazione. Inoltre se si attiva in modo massivo Shh si ha non solo la calcificazione ma anche la calcificazione ectopica. Per cui queste proteine sono strettamente controllate e quindi intervenire farmacologicamente può creare problemi degenerativi. Modelli di mammifero con capacità di rigenerazione: MRL mouse. Lezione 19/03 Il modello del topo Spallanzani o anche chiamato MRL mouse aiuta a studiare la rigenerazione: è stato involontariamente conosciuto come topo capace di rigenerare in quanto era utilizzato per fare la chirurgia essendo di dimensioni maggiori. Si era osservato che guarivano le lesioni sull’orecchio che erano prodotte al fine di identificare i topi con un numero: le lesioni però scomparivano dopo un periodo di tempo. Quindi ci si è chiesti se il topo fosse capace di rigenerare altre parti: rigenerava la coda, le dita delle zampe, anche il fegato, e anche il muscolo cardiaco. Questa proliferazione cellulare e riparazione NON si accompagnava alla deposizione di cicatrice. Il processo di guarigione presentava caratteristiche simili a quelle osservate negli anfibi. Quindi si è provato ad utilizzare le cellule di topo MRL in un animale immunocompromesso in cui era stata creata una lesione cardiaca: è stato osservato che l’infarto guariva senza produzione di cicatrice. Tuttavia se si creano lesioni più grosse di 4mm non riescono a guarire: quindi c’è capacità rigenerativa ma c’è una limitazione. Si sono studiati i geni coinvolti e hanno identificato una ventina di geni molti dei quali sono coinvolti nel rimodellamento della lesione (metalloproteasi). Non è ancora molto chiaro come questo topo sia in grado di rigenerare ma una possibile spiegazione è data dal fatto che tale topo abbia un SI che non funziona molto bene Un altro topo oggetto di studio è l’Acomys (o topo delle sabbie): Ha una cute poco adesa alla superficie e questo gli permette di sopravvivere: se gli viene strappata la pelle questo è in grado di rigenerarla. La sua cute quindi è fragile. Tuttavia rigenerano anche i follicoli, le ghiandole sebacee, sudoripare. In questo topo, oltre a ripresentare queste caratteristiche, guarisce per lesioni all’orecchio superiori a 4mm ma rigenera anche il midollo spinale quando viene interrotto parzialmente, anche i reni quando vanno incontro a necrosi, rigenera anche il tessuto muscolare che va incontro a necrosi Questo topo è un tipo di modello su cui si lavora da una quindicina d’anni. Dopo un mese scompare tutto nel processo di guarigione e si ha rigenerazione completa La chiusura dell’epitelio avviene nell’arco di un giorno (in genere impiega 1 giorno). I tempi di guarigione sono più rapidi rispetto al topo per quanto riguarda l’epitelio. Infatti dopo 24h il 50% della superficie è coperta da epitelio. Un’altra cosa che si osserva è la comparsa dei peli e dei follicoli piliferi: a livello dei follicoli c’è espresso un gene LEF1 e l’attivazione della via Wnt (tale gene è down- stream di Wnt). Formazione dei follicoli -> sulla cute si osservano delle piccole zone dove si formano addensamenti cellulari che poi si approfondiscono nel derma: questi sono chiamati placoidi e le cellule proliferando si approfondiscono. Ci sono diversi tipi di mantelli che si osservano in questi roditori: peli con colorazioni di tipo diverso e nel processo rigenerativo si generano tutte queste varianti. Le ultime a rigenerare sono le ghiandole sebacee che si osservano dopo 1 mese dalla lesione e alla fine del mese si osserva anche la rigenerazione dei muscoli lisci capaci di determinare l’erezione del pelo. Dal punto di vista fisiologico si osserva la migrazione dei fibroblasti che vanno verso la zona di tessuto persa per ricostruire la matrice extracellulare: però la ECM ha una densità minore rispetto a quella del topo. Infatti si ha una minor deposizione di fibre di collagene che si dispongono in modo diverso rispetto a quello che si osserva in un topo: nel topo comune sono più compatte e a fasci paralleli mentre qui sono più disperse. Il ColXII è un collagene di connessione che stabilizza i vari fasci: nell’Acomys, più che una riduzione di ColI, è molto ridotto ColXII, che è un collagene di connessione tra le fibre di ColI e questo spiega la fragilità della cute di questo roditore. Poi ci sono differenze nell’espressione di metalloproteasi -> nell’Acomys sono iperespresse come la MMP12 e MMP9 mentre nel topo comune sono espresse le proteine inibitori delle metallo proteasi. Osserviamo quello che avviene nel rene di un Acomys rispetto ad un B6: il peso nel topo B6 si riduce e si vede come è differente la quantità di collagene deposta nel topo normale. Poi c’è un modo istologico che colorano la ECM. Ad esempio cyrus red è un colorante che colora il collagene -> con il tempo già dal terzo giorno c’è una differenza significativa. Anche valutando la fibrosi dal 3 giorno c’è una differenza significativa. Invece sulla idrossiprolina non c’è differenza significativa al 3 giorno: questo perché la deposizione di collagene che forma la cicatrice parte dalla fine della prima settimana in poi e per questo sono simili..Poi diventa abbondante nel B6 e ridotto nell’Acomys -E’ stato osservato che nel tessuto i macrofagi M1 sono quasi assenti dopo qualche giorno e inoltre hanno fatto esperimenti dove hanno depleto i macrofagi, hanno creato la lesione all’orecchio e questa lesione non guariva bene come normalmente succede nell’Acomys. Quando si uccidono i macrofagi, si eliminano anche gli M2 che sono al contrario molto abbondanti nella lesione che si crea nell’Acomys. Quindi a differenza del topo normale dove si osserva. Nell’Acomys si hanno pochi M1 e tanti M2: quindi ancora una volta il sistema immunitario non ha una risposta di tipo classica. Inoltre anche i GN in prima giornata sono quasi assenti a differenza del topo normale. Considerazioni: sapendo che dal punto di vista evolutivo abbiamo un SI che cambia ma il sistema adattativo dell’immunità non è presente nella planaria, è ridotta nella salamandra mentre nei mammiferi è molto importante. Quindi considerando cosa è stato osservato come risposta dei macrofagi a seguito della lesione, sembra che con l’evoluzione dell’immunità adattativa si sia persa contemporaneamente la capacità rigenerativa. Le salamandre rigenerano meglio ma sono immunodeficienti se paragonati ad una rana: le salamandre non hanno capacità di produrre IgG e se si fa un trapianto la reazione di rigetto avviene molto lentamente. Inoltre è stato studiata anche il fare lesioni negli embrioni di topo: si osserva che l’embrione guarisce e non c’è cicatrice. Invece dal 16 giorno in poi l’embrione guarisce ma rimane una cicatrice: infatti dal 16 giorno inizia a svilupparsi il sistema dell’immunità adattativa. Quindi le lesioni dal 16 in poi causano una risposta infiammatoria mentre prima no e dal 16 giorno in poi la lesione guarisce con una cicatrice mentre prima no. Pertanto è evidente la perdita della capacità rigenerativa che è una perdita di funzione: ci sono state diverse ipotesi sul vantaggio di avere questa perdita di capacità… uno di questi può essere che la vita dei mammiferi è più lunga rispetto a quella delle salamandre; inoltre la biologia delle cellule tumorali è molto simile a quella delle staminali; nei mammiferi sono molto più frequenti tumori che origine da epiteli rispetto a quelli di origine mesenchimali proprio perché le cellule epiteliali sono in grado di rigenerare Le cellule epiteliali sono cellule capaci di rigenerare mentre quelle muscolari no. La perdita della capacità rigenerativa può essere un vantaggio in questo senso: i tessuti che presentano scarsa capacità rigenerativa sono tessuti in cui è più difficile che si sviluppi tumore (> danno genotossico?) La risposta dell’immunità adattativa offre una difesa più mirata e funzionale rispetto al sistema dell’immunità innata. Perché questa fa perdere la capacità rigenerativa? E’ la presenza della cicatrice che inibisce il fenomeno rigenerativo. La formazione della cicatrice è data d TGF-B3 Se si osserva la presenza di TGF-b1 e b2 sono poco espresse inizialmente mentre molto più spesso TGF-b3 mentre dopo il 16 giorno si inverte la situazione e TGF-b1 e 2 sono più espressi. Avevamo visto che TGF-b3 veniva prodotta nella fase di rimodellamento della ferita quando è terminata la deposizione di collagene. La cicatrice nel derma impedisce la formazione del blastema, una struttura importante nel momento rigenerativo. Quindi se c’è qualcosa che impedisce la migrazione cellulare sotto il cappuccio endoteliale il blastema non si può formare. Si ha una scarsa e assente TGF-b1 e b2 mentre TGF-b3 è elevato nella fase embrionale. Negli adulti si ha una alta produzione di TGF-B1 e 2 mentre è bassa TGF-B3. Unendo queste informazioni, si è constatato che se si inibisce con un anticorpo anti-TGF-B3 si formano cicatrici esuberanti mentre se si inietta TGF-B3 al termine della prima settimana si ha la formazione di una cicatrice molto piccola. Quindi TGF-b3 potrebbe essere usata per evitare la formazione di cicatrice importante. Come avviene il fenomeno rigenerativo? Da cosa è guidato? L’espressione di certi geni viene indotta da fattori di crescita e citochine presenti nella zona della lesione. Si parla di una “rigenerazione attraverso l’induzione”. Si può stimolare la rigenerazione attivando vie di trasduzione del segnale: nella salamandra avviene il de-differenziamento delle mesenchimali mentre nei mammiferi non avviene il de-differenziamento oppure avviene un fenomeno diverso legato a cellule staminali che vanno incontro ad un differenziamento successivo. Osservando cosa avviene, nelle cellule si nota una fosforilazione di PKA che provoca la trascrizione di diversi fattori di diversi geni: alcuni di questi geni sono a loro volta codificanti per fattori trascrizionali che attivano a valle la trascrizione di un altro tipo di programma. Nel processo di rigenerazione vengono attivate numerose cascate di segnale che portano ad una parte all’inizio di fenomeni proliferativi e poi la cessazione di questi e l’acquisizione da parte delle cellule di nuovi fenotipi IL FENOMENO PROLIFERATIVO NON SI ASSOCIA MAI A QUELLO DIFFERENZIATIVO NELLA STESSA CELLULA: il differenziamento può avvenire solo quando non replica più e in caso contrario andrebbe incontro a morte. CELLULE STAMINALI: il processo di riparazione della cute senza cicatrizzazione è la rigenerazione e si avvale su cellule dette staminali. Tali cellule devono essere capaci di autorinnovarsi e quindi questa cellula deve dare origine ad una cellula che prende il suo posto; inoltre deve essere in grado di proliferare dando origine ad una popolazione più grande. Inoltre deve essere in grado di differenziare. Inoltre deve essere in grado di migrare per differenziare dove si è creata la lesione. Le cellule staminali di topo in coltura spontaneamente davano origine a cellule con caratteristiche fenotipiche diverse: cellule differenziate in cardiomiociti con capacità di contrarsi con ritmi diversi, altre cellule esprimevano ciglia, altre esprimevano vacuoli al loro interno, altre producevano assoni e dendriti. Successivamente si è scoperto che queste cellule possono essere mantenute allo stato indifferenziato grazie ad una proteina LIF. Le prime cellule staminali identificate nell’uomo sono quelle dell’embrione: se coltivate su un substrato cellulare che fornisse loro un ambiente favorevole alla sopravvivenza, riuscivano a sopravvivere. LIF blocca la loro differenziazione ma mantiene la capacità di autorinnovamento e quella di proliferare. Le cellule staminali sono in grado di: divisione simmetrica (cellula staminale + staminale), differenziazione asimmetrica (origina dei progenitori che hanno iniziato il cammino differenziativo), asimmetrica (cellula staminale + progenitore). Si sta ancora studiando la capacità di intraprendere una o l’altra strada Autorinnovamento: è stato dimostrato attraverso la capacità di far sopravvivere topi che hanno subito un irraggiamento letale. Il numero di cellule è minore ma le cellule si sono duplicate, hanno mantenuto la capacità differenziativa e hanno permesso al topo di sopravvivere. Le cellule proliferano e se continuassero si comporterebbero come le cellule tumorali: infatti il motivo del danno di questi tumori è causato dalla loro proliferazione incontrollata. Evidentemente una volta iniziato il cammino proliferativo le cellule staminali sono in grado di ricevere segnali che bloccano la loro proliferazione e ricevere il differenziamento -> queste cellule sono in grado di entrare in quiescenza Le cellule staminali non tutte sono uguali ma diverse a seconda della fase della vita: -Cellule totipotenti come le cellule della morula: una cellula di questo tipo può dare origine sia ai tessuti embrionali che extraembrionali come cordone ombelicale placenta e liquido amniotico. -Cellule pluripotenti: cellule della massa cellulare interna. Nel momento della blastocisti si hanno cellule staminali che formano un addensamento che si chiama massa cellulare interna e queste cellule non sono più in grado di dare origine ai tessuti extraembrionali ma soltanto al corpo dell’embrione. -Cellule multipotenti: cellule dei foglietti embrionali. Quindi le cellule della blastocisti si hanno dal 5 al 14 giorno poi nella massa interna si ha la suddivisione delle cellule nei foglietti embrionali (meso- endo-ectoderma): con questa divisione è iniziato un commitment ovvero quelle del mesoderma daranno origine ai connettivi. Se le cellule hanno subito tale commitment hanno perso la capacità di rigenerare tutti i tessuti e prendono il nome di multipotenti: danno origine ai tessuti che derivano dal differenziamento del foglietto embrionale a cui appartengono (a tutte le cellule del sistema nervoso etc) Le cellule staminali non si trovano solo nell’embrione ma anche nel tessuto adulto e a seconda della localizzazione sono state chiamate in base al tessuto di origine: del tessuto adiposo, epatiche, del midollo osseo, pancreatiche etc. Nel tempo la nomenclatura dei vari tipi di cellule è cambiata a seconda di chi le ha isolate Problemi legati alle cellule staminali? 1) La sorgente in quanto sono cellule rare e nell’adulto non è stata dimostrata la possibilità di un de-differenziamento come avviene nella salamandra. Oltre ad essere rare sono difficili da identificare (è difficile identificare una cellula non differenziata); sono difficili da isolare e sono difficilmente accessibili. Le cellule staminali dell’embrione sono facilmente ottenibili, però bisogna sottoporre l’embrione ad una dissociazione delle cellule in modo meccanico o enzimatico ma il problema rimane nel fatto che l’embrione è distrutto (problema etico). 2)Una volta isolate delle cellule bisogna valutare le caratteristiche proprie delle cellule staminali per sapere se lo sono: devono poter proliferare ed essere capaci di divisione simmetrica e asimmetrica, quindi anche capaci di differenziare. Questo (differenziamento) si può fare con due approcci: quello in vitro è il più semplice ma meno efficace e bisogna creare condizioni attraverso induzione di geni tale per cui conferiscano un fenotipo particolare (farle differenziare in un tessuto osseo, nervoso etc). In vivo invece c’è già un ambiente con cellule già differenziate che può stimolare l’ulteriore differenziamento: in vivo si possono introdurre queste cellule in un ospite immunosoppresso in modo tale da non permettere la distruzione delle cellule dal SI. In questo caso si osserva lo sviluppo di tumori particolari che sono i teratomi. I teratomi sono tumori di origine embrionaria e sono masse al cui interno si formano tessuti diversi (contengono tessuti derivati da tutti e 3 i foglietti embrionali). Si hanno tessuti che assomigliano ad un mezzo di intestino/muscolo/polmone etc. E’ un tessuto complesso in cui sono avvenuti casualmente fenomeni differenziativi nelle cellule: questo permette di riconoscere tessuti fenotipicamente diversi tra di loro Per la formazione di teratomi si ricorre a topo SCID e le cellule vengono iniettare (sotto la capsula renale, nel muscolo della gamba, nel testicolo) e si fa l’analisi dopo 8-12 settimane. Cosa induce la plasticità in queste cellule? Nel nostro genoma ci sono geni chiamati master switch perché codificano fattori trascrizionali importanti nel regolare il differenziamento della cellula. Ad esempio PPAR-gamma è il master gene del differenziamento adipocitario (se non viene espresso gli altri geni non possono esserlo). Oppure Runx2 per il tessuto osseo. Questi master gene possono essere indotti con citochine, farmaci. Per tanti anni, la plasticità, cioè la capacità differenziativa delle cellula è stata considerata in modo errato proprio per come è stata studiata. In particolare si ha: il transdifferenziamento (meccanismo per cui la cellula staminale contribuisce a tipi cellulari di diversa origine -> è quando una cellula può dare origine a cellule che appartengono a due foglietti embrionali diversi); il de-differenziamento (una cellula differenziata diventa indifferenziata e ridifferenzia dando origine ad un diverso tipo cellulare); una cellula staminale pluripotente che da origine a progenitori che a loro volta differenziano, oppure cellule staminali multiple, quindi cellule staminali diverse ognuna delle quali da origine ad una popolazione. Inoltre una % elevata di cellule staminali miocardiche nell’uomo sono cellule che hanno 2 nuclei e quindi 4 corredi genici perché derivano da fusioni cellulari: ci sono molti epatociti con due nuclei, e anche cellule del tessuto muscolare. Per tale motivo si riteneva che le cellule staminali miocardiche non ci fossero ma che si avessero solo cellule derivate da fusione cellulare. Il trasdifferenziamento è la vera plasticità mentre gli altri sono fenomeni di plasticità apparente CELLULE STAMINALI EMBRIONALI Nel giorno 1 l’oocita viene fertilizzato; nel giorno 2 si hanno 2 cellule e al giorno 4 si ha una morula. Dopo il 4 giorno inizia la formazione di una cavità nella morula e si forma la blastocisti. Nella blastocisti si ha la formazione di una massa interna e del trofoblasto. Poi si ha la formazione di un polo di cellule fino al 14 giorno e dopo di questo darà origine ai foglietti embrionali che sono la premessa del differenziamento tissutale. Si possono prelevare queste cellule della massa interna, si prendono queste cellule e si usa un enzima per staccarle. Queste cellule vengono poi coltivate su una piastra dove sono state fatte crescere cellule di fibroblasti fetali murini che vengono irraggiati. Le cellule staminali dell’embrione hanno capacità differenziativa diversa. Inoltre c’è una zona dell’uomo che ha cellule con una capacità maggiore di riprodurre linee diverse e sono le cellule che si trovano nelle gonadi. Queste cellule hanno un profilo di metilazione molto basso rispetto a quello delle restanti cellule somatiche Le linee cellulari NON sono uguali le une alle altre: le caratteristiche di plasticità delle cellule cambiano e non si hanno gli stessi risultati. Questo rende l’utilizzo delle cellule derivate da embrioni sempre da affrontare con cautela. Nelle prime fasi vengono fatte con una asportazione meccanica della inner cell mass, e una volta isolata vengono separate tra loro. Dopo di che si inducono i vari differenziamenti. Come riconoscere cellule umane da murine? Da antigeni presenti sulla superficie. Nell’uomo SSEA-1 non viene espresso dalle cellule embrionarie umane in stato non differenziato mentre nel topo sì. Le cellule embrionarie umane l’SSEA-1 (glicoproteina)lo esprimono quando hanno iniziato un processo differenziativo. Quando viene espresso significa che le cellule hanno già iniziato un cammino differenziativo. …Quando l’anticorpo interagisce con l’antigene nessuna di quelle selezionate riesce a differenziare? I marcatori espressi dalle cellule in entrambi gli stadi sono: SSEA-3, SSEA-4, Oct-4A (isoforma A), fosfatasi alcalina, TRA-181, TRA-160. Oct-4, la fosfatasi alcalina è un enzima intracellulare ed è espressa non solo dalle cellule staminali. Anche TRA-181 e 160 sono presenti su queste cellule. OCT-4 è un fattore trascrizionale: la proteina proviene da un gene Pou5f1 e tale gene presenta diversi splicing alternativi e questo fa sì che si possa trovare una positività di Oct-4 ma in realtà avrà un ruolo diverso da quello di marker di staminalità. L’Ab anti-Oct4 agisce sulle varie forme di Oct-4: OCT4A e B è espresso nelle cellule staminali mentre OCT4B1 è espresso nelle cellule differenziate. Alcune di queste isoforme sono espresse sulle cellule tumorali e altre su non tumorali: quindi usare Ab anti-oct4 e dire che la cellula positiva è staminale non è corretto. E’ stata studiata la localizzazione e l’espressione di Oct4 durante le prime fasi dello sviluppo dell’embrione e si è provato a vedere cosa esprimevano le cellule dell’inner cell mass e del trofoectoderma. L’espressione di OCT4 cambia all’interno della morula verso il 4 giorno e a seconda del livello di espressione le cellule prendono un commitment diverso. Se Oct4 non viene ad essere espresso, si perde la pluripotenza e le cellule della morula che non lo esprimono più danno origine a trofoectoderma (struttura che da origine alla placenta). Invece l’aumento di OCT4 a livello della ICM da origine all’endoderma primitivo e al mesoderma. Quindi la modulazione dell’espressione di questo gene nelle fasi precoci dello sviluppo dell’embrione va già a separare il destino delle cellule embrionali tra le cellule che andranno a formare l’organismo e le cellule che daranno origine alla placenta. Come avviene il processo differenziativo delle cellule staminali embrionali? Bisogna farle crescere in sospensione per qualche giorno. Stando in sospensione dopo 4 giorni si raccolgono e mettono in una piastra rivestita con collagene. Aderiscono e si iniziano a vedere cellule fuoriuscire dalla massa che abbiamo inserito. Dopo alcune settimane si vedono cellule allungate e appiattite. Bisogna fare i passaggi cellulari quando si ha un 50-60% di superficie libera della piastra: [non devono avere una confluenza elevata, la crescita elevata consente la trasmissione di segnali che perdono la capacità differenziativa] Come caratterizzare queste cellule staminali embrionali? Mediante antigeni che si identificano con anticorpi. Vengono caratterizzate attraverso l’espressione di markers di superficie cellulare (SSEA-3 e SSEA- 4 le hESC, SSEA-1 le mESC (topo). Vengono caratterizzate attraverso l’identificazione di fattori trascrizionali legati alla pluripotenza come Oct4, Sox2, Nanog e Rex1. Inoltre da una elevata attività telomerasica. In coltura le cellule staminali sono instabili: molte linee cellulari di cellule staminali in commercio hanno un cariotipo normale. La loro pluripotenza si valuta in vitro con altri approcci o in vivo con per la loro capacità di formare teratomi. Il fatto di selezionare cellule XY è più semplice rispetto ad XX perchè vengono caratterizzate più facilmente. L’unica differenza tra topo e uomo risiede in SSEA-1 -Alcune sostanze sono utili per indurre il differenziamento di ES: acido retinoico seguito da trattamento con insulina e ormone tiroideo consente il differenziamento delle cellule embrionarie in adipociti. Invece un trattamento unico con epo (eritropoietina) e c-kit consente di produrre eritrociti. IL3/IL1 e M-CSF -> macrofagi; acido retinoico e db-AMPc (analogo dell’AMPc) consente di produrre cellule che esprimono l’actina del muscolo liscio. FGF2 seguito da FGF2+EGF seguito da FGF2+PDGF consentono di ottenere oligodendrociti e astrociti I trattamenti sono diversi non solo nel tipo di sostanze e concentrazioni utilizzate ma anche nello schema di trattamento Problemi delle cellule staminali embrionali. 1)Possono diventare tumorali. Inoltre non esprimono MHCII e hanno una bassa espressione di HLAI che però aumenta molto quando differenziano. Quindi utilizzare cellule embrionali per la terapia rigenerativa non ha molto senso perché qualora dovessero essere trapiantate, potrebbero essere rigettate, perché non compatibili con il ricevente Come si ottengono tali cellule ES da embrioni umani? Si preleva una cellula da un embrione al 5/6 giorno e a questo punto si prende, si amplifica e si fa differenziare. Per gli americani si utilizzano embrioni congelati destinati alla distruzione. In inghilterra esiste una legge apposita per la formazione di embrioni ex-novo con la fertilizzazione in vitro per la sperimentazione. Problemi dell’uso di ESC clonate. Quanti degli oociti fecondati danno origina a una linea cellulare? Solo un 25% degli oociti fecondati diventa un embrione quindi estremamente bassa. Ogni 100 embrioni solo 1 riesce a generare una linea cellulare di ESC. Queste cellule embrionali che si trovano in commercio, queste diverse linee hanno delle anomalie cromosomiche (aberrazioni sia di numero che di forma). Inoltre queste cellule devono iniziare il cammino differenziativo prima con una serie di induttori in vitro. Quindi l’uso di cellule embrionali come “farmaco sicuro” viene messo in discussione da questi fatti. Confronto SC embrionali e adulte. Le cellule embrionali sono pluripotenti mentre quelle dell’adulto multipotenti. Nelle staminali dell’adulto sono meno stabili e hanno una limitata capacità di self- renewal in quanto invecchiano e non mantengono le caratteristiche proprie della staminalità. Non danno problemi etici ma sono più difficili da isolare nei tessuti adulti. Una possibilità di rigetto delle embrionali è possibile mentre no da parte dell’adulto. Le embrionali hanno un alto potenziale tumorigenico mentre le adulte sono più sicure nel loro sviluppo --- RIPROGRAMMARE IL NUCLEO: indurre cambiamenti funzionali o molecolari in cellule che in tal modo andranno incontro ad un destino diverso. Questo tipo idea è stata sviluppata in diversi modi. Il primo è stato il trasferimento nucleare e si è considerato il fatto che le cellule gonadiche permettono la formazione di un embrione e questo avviene quando nell’oocita entra il nucleo dello spermatozoo. Quindi nel citoplasma dell’oocita ci deve essere un microambiente che favorisce la trascrizione dei geni nel nucleo al fine di dare origine ad un organismo completo. Si può inserire un nucleo e fare il modo che il nucleo vada incontro a modificazioni, tali da renderlo assimilabile a quello di cellule staminali, come ad esempio ridurre il profilo di metilazione. Quindi utilizzare il nucleo della cellule somatica e inserirlo in oocita (1 modo) Un altro modo era fondere tra loro 2 cellule in modo che il citoplasma di una cellula possa influire sul nucleo dell’altra oppure indurre la programmazione inserendo dei geni che normalmente non vengono trascritti Durante la fecondazione quando entra il nucleo dello spermatozoo si ha una alterazione del potenziale di membrana e si è cercato di fare questo applicando uno shock elettrico. SCNT: si è usata sulla pecora. L’idea è di avere un oocita derivante da donatrice privato di nucleo, prendere una somatica da cui prendere il nucleo per trasferirlo nell’oocita e attivare la trascrizione nucleare attraverso uno schock elettrico. Osservando il profilo di metilazione si osserva una bassa metilazione: quindi questa procedura funziona nel rimuovere i blocchi alla trascrizione del genoma. Questo ambiente ipometilante nel citoplasma dell’oocita è un ambiente che non si trova in altre cellule dell’adulto. Con questa idea si è cercato di far avvenire un trasferimento nucleare per generare cellule staminali: per facilitare l’asportazione del nucleo si fa in modo che le cellule siano illuminate con luce UV per visualizzare il nucleo. Una volta che il nucleo viene attivato succede che le cellule iniziano a dividersi: l’embrione non va oltre un certo grado e deve essere inserito in utero per completare lo sviluppo Nel ‘96 è nata la prima pecora clonata. la prima sperimentazione di successo è stata fatta prelevando una cellula somatica da una ghiandola mammaria di una pecora Finn Dorset il cui nucleo è stato trasferito all’interno di un oocita che proveniva da una pecora con caratteristiche fenotipiche diverse, hanno infatti prelevato l’oocita da una Scottish black face (sono pecore con il muso nero). Le cellule uovo sono state arrestate durante la seconda divisione meiotica. È stato necessario indurre la produzione di molti oociti grazie all’impiego di gonadrotropine, in particolare la pecora è stata trattata con GnRH (ormone di rilascio delle gonadotropine) che determina rilascio di gonadotropine che inducono ovulazione di numerosi oociti; questi oociti sono stati poi arrestati nella metafase della seconda divisione meiotica che ha consentito l’identificazione e aspirazione del nucleo (che non serve). Nel contempo erano state prelevate delle cellule dalla ghiandola mammaria della Finn Dorset, queste cellule sono state coltivate in vitro e arrestate nella fase G0. Poi è stato prelevato il nucleo delle cellule, trasferite nell’oocita e la fusione cellulare è stata promossa da un impulso elettrico che ha indotto le cellule a dividersi, le cellule sono state coltivate in vitro sino alla produzione della morula. Partire da questo punto gli oociti sono stati trasferiti in nucleo di tante madri surrogate di razza Black Face: da tutti questi trasferimenti solo 1 embrione è riuscito a sopravvivere. Questo si è sviluppato nel numero esatto di giorni necessari per la pecora. Un problema può essere la placentazione: infatti la placenta è diversa e risulta più piccola Si è partiti da 277 cellule, 1/10 sono diventati embrioni e a sviluppo completo ne è arrivato 1 su 277. Risulta che la possibilità di dare origine ad agnello a seguito di questa procedura è stato lo 0,361%. In natura la % di uova fertilizzate che si sviluppano è del 33-50%, molto più alta. Il 3,44% è la percentuale che si ottiene calcolando il fatto che un embrione è stato portato a termine su 29 e gli altri 28 non si sono sviluppati. La pecora dolly è una pecora fertile però: le caratteristiche dei telomeri (erano più corti rispetto a quelli di una pecora neonata) e quindi era biologicamente più vecchia però i telomeri della sua progenie avevano la stessa lunghezza di quelli ottenuti da fecondazione naturale. Quindi i telomeri della cellula somatica non si sono completamente rigenerati quando il nucleo è stato trasferito alla cellula uovo: la telomerasi è stata attivata e ha aumentato la lunghezza dei telomeri ma senza ripristinare quella originaria. Altro caso particolare di Dolly è che dall’analisi del genoma mitocondriale si è visto che i mitocondriali provenivano dalla Black face Dopo la clonazione di Dolly sono partite una serie di clonazioni di altri animali Il SCNT ha elevati costi. Dal pdv di utilità a cosa serve? In questo processo di SCNT ci sono alterazioni negli embrioni nati? Lo hanno provato a vedere in maiali ottenuti con questa procedura e hanno documentato e pubblicato che le placente risultano più piccole e sono diverse nell’aspetto, ci sono anche differenze nel profilo di espressione che si documenta nella placenta di embrioni al 26esimo giorno Efficienza di clonaggio di vari tipi cellulari (donatori di nucleo): ci sono cellule che più facilmente danno origine allo sviluppo di un embrione che viene portato a termine come le cellule embrionali. Poi ci sono cellule con % di successo bassissima come i linfociti: anche se facilmente ottenibili non si riesce a produrre embrioni. Altre cellule che danno buoni risultati sono cellule che provengono dalle gonadi. Cellule staminali come i precursori ematopoietici, anche questi hanno una bassa % di successo. Queste osservazioni suggeriscono che riprogrammare una cellula somatica sia altamente inefficiente Durante la procedura di trasferimento somatico c’è stata una riduzione della metilazione e inoltre OCT-4, SSEA, TRA1-60, TRA1-81 sono positivi. Non c’erano aberrazioni a livello cromosomico Come aumentare il processo di fusione? Mediante elettrodi a punta, piatti, conici per vedere anche il tipo di corrente. A seconda della combinazione dei vari elettrodi hanno provato a vedere la % di fusioni ottenute e la % di blastociti che si ottenevano; in effetti a seconda del tipo di cellula, del tipo di donatore e a seconda del tipo di impulso dato, il numero e % di blastocisti ottenuta è stata diversa. Lezione 20/03 [Video: la ialuronidasi si usa per disgregare le cellule. Il bicarbonato viene aggiunto alla BSA deionizzata in modo da mantenere un pH neutro (deve funzionare da tampone dato che si deve lavorare a pH fisiologico): se non si fa le cellule muoiono. Il pH non si misura con un pHmetro perché non ci sono ioni nel caso di una soluzione deionizzata ma si può usare la cartina tornasole. La dissezione del topo prevede l’apertura della parete addominale e per accedere agli oociti bisogna spostare l’intestino. A differenza dell’uomo, nel topo c’è un ovidotto in cui si trovano le diverse uova (non è come l’ovaio umano): dove ci sono i rigonfiamenti nell’ovidotto ci sono i cumuli di oociti. Dopo il trattamento con ialuronidasi, le cellule di accumulo possono essere rimosse con successivi lavaggi in modo da separare le cellule del cumulo dagli oociti. L’aggiunta di un inibitore delle deacetilasi istoniche riesce a far passare un 3% ad un 89% la formazione del blastomero. Infatti l’acetilazione, trasferimento dell’acetile dall’acetilCoA sulle Lys. Con l’acetilazione le cariche delle Lys vengono neutralizzate e in questo modo si priva l’istone delle cariche che presenza che gli permettono di legarsi al DNA. Attraverso la neutralizzazione delle cariche dell’istone questo si stacca dal DNA e questo diventa più trascrivibile: l’acetiltrasferasi trasferisce il gruppo acetile e l’istone deacetilasi rimuove il gruppo acetile. Gli inibitori delle deacetilasi istoniche impediscono che venga rimosso il gruppo acetile dalle Lys e il risultato è una maggiore trascrivibilità. L’acido valproico e la tricostatina A sono inibitori delll’isotone deacetilasi] Esperimento: gli inibitori delle deacetilasi istoniche aumentano la % di individui nati dopo trasferimento nucleare somatico. Se sono cellule che provengono da gonadi le % sono superiori mentre inferiori se provengono da altri tessuti. Ha un ruolo anche il tipo di PROTOCOLLO UTILIZZATO nella procedura. ->Preparazione cellule somatiche. Il contatto delle cellule fa uscire le cellule dal ciclo e vanno in G0: è essenziale che le cellule non stiano costruendo DNA durante gli esperimenti e quindi si aspetta che arrivino a confluenza. Quelle che sono in fase di sintesi non daranno origine ad un embrione. Con la desossiuridina (EdU) che si incorpora nel DNA, si può calcolare la quantità di cellule in sintesi. Se abbiamo una percentuale uguale od inferiore al 0,5% allora si può iniziare contrariamente si deve aspettare. In questo modo il protocollo sarà efficace ->Manipolazione oociti: Gli oociti vengono isolati 35h dopo l’induzione dell’ovulazione (si usa GnRH), vengono prelevati con tecniche diverse dal topo al suino (che ha un ovaio più simile a quello umano). Gli oociti isolati devono essere tenuti a 37 gradi. In particolare, si crea un buco all’interno della zona pellucida (con il laser o con una pipetta in base alle tecnologie) in modo tale da far entrare la micropipetta che va a togliere il nucleo. In questo caso gli oociti sono trasferiti in un medium che contiene la citocalasina B: è un farmaco che blocca la separazione dei cromosomi che hanno formato la piastra equatoriale e quindi disaggrega il fuso (inibitore del fuso). La cellula si disgrega in questa fase per vedere meglio il nucleo ed evitare di usare gli UV. Una volta visto il fuso, prelevato il nucleo e allontanano la citocalasina prima di aggiungere il nucleo della cellula somatica perché altrimenti inibirebbe la fusione Avviene un rimodellamento del nucleo della cellula somatica quando viene riattivato dalle procedure utilizzare per l’attivazione del nucleo. Ci sono delle differenze tra l’embrione che si ottiene attraverso trasferimento nucleare o attraverso una fecondazione in vitro/vivo. Una cosa che cambia è l’epigenoma perché il livello di demetilazione del DNA non è uguale: quello per SCNT è più demetilato e più acetilato rispetto ad un embrione che si forma attraverso fecondazione. Inoltre è sufficiente che il nucleo dello spermatozoo entri nell’oocita per iniziare il processo di differenziazione cellulare mentre nel SCNT è necessaria una molecola chimica per poter indurre la attivazione del nucleo della cellula somatica in modo che inizi la divisione, o addirittura serve una scarica elettrica. In aggiunta le proteine che vengono trascritte non sono uguali a quelle che si trovano nella fase di attivazione di un embrione che si forma con un processo di fecondazione (profilo genico diverso). In più le richieste nutrizionali sono diverse: negli embrioni ottenuti da trasferimento nucleare somatico è un medium diverso da quelli usati per la fecondazione in vitro (esigenze metaboliche diverse). Una delle differenze osservate è che la morfologia degli embrioni è diversa dopo l’attivazione delle cellule così come diversa è la formazione delle placente. Inoltre le unità che si ottengono da TN (trasferimento nucleare) sono identiche alle cellule somatiche e quindi mantengono le stesse caratteristiche immunologiche mentre in un embrione ottenute per fecondazione le caratteristiche immunologiche sono diverse sia da quelle dell’individuo che dona l’oocita e lo spermatozoo. E’ per questo che il prodotto del trasferimento nucleare somatico è interessante dal pdv terapeutico perché le cellule staminali che possono essere ottenute presentano le stesse caratteristiche del donatore del nucleo. L’attività telomerasica ridotta in queste cellule porta ad avere telomeri ridotti: tanto l’obiettivo non è avere un embrione completo ma interrompere la sua crescita al 13 giorno. Ci sono anche ALTRE PROCEDURE per dare origine al trasferimento nucleare. I biotecnologi si chiesero se fosse possibile trasferire un blastomero (cellula embrionale) all’interno di un altro embrione per vedere se si riuscisse ad ottenere una chimera magari con specie diverse tra loro: lo scopo è cercare di produrre un animale con geni umani. Se si ha un animale con geni umani, se si prendono i tessuti e si trasferiscono nell’uomo, questi possono funzionare (infatti lo xenotrapianto presenta molti problemi). Esperimento di chimera tra 2 pesci: In particolare hanno usato i blastomeri (si formano dalla prima divisione dell’oocita fecondato, a circa 5 gg dalla fecondazione) e hanno inserito queste cellule di medaka nell’embrione di uno zebrafish. I tempi di sviluppo delle cellule fecondate sono diversi nelle 2 specie perché sono molto diversi tra loro (distano 300.000 anni di evoluzione). L’organismo si è adattato alle proteine embrionali del medaka e le cellule embrionali del medaka che sono integrate nello sviluppo dello zebrafish: ad esempio hanno trovato cellule della cute/cuore del medaka nello zebrafish, identificate con fluorescenza. La cosa interessante è la presenza dei guanofori, cellule quiescenti per la presenza di cristalli di guanina: nel medaka questi guanofori possono riflettere nel verde/rosso. Si notano cellule del medaka che hanno contribuito a costruire gli occhi nello zebrafish. Il calendario di sviluppo delle cellule embrionali del medaka è stato riprogramato dal microambiente dello zebrafish e hanno seguito lo sviluppo delle cellule dello zebrafish -> quindi l’orologio biologico può essere modificato da una interazione con l’ambiente. Si nota infatti che il microambiente creato dalle cellule dello zebrafish riusciva a indurre il differenziamento delle cellule del medaka che si andavano ad integrare con le cellule dello zebrafish Queste cellule sono state integrate in altri organi come il cuore: questo embrione ha un cuore formato sia da cellule medaka (rosso e verde) e zebrafish. Successivamente è stata fatta una indagine molecolare per vedere l’espressione dei geni del medaka in questa chimera: hanno utilizzato primer che vanno in una regione comune del medaka e zebrafish e questo fornirà una idea della % di espressione delle cellule del medaka nel tempo. Hanno usato la beta-actina come housekeeping ma con primer che fosse in grado di amplificare sia RNA dell’actina prodotta dal medaka e che RNA dell’actina prodotta dallo zebrafish. [Nella chimera vi è l’espressione di eed, gfap, myf5 (fattore trascrizionale cardiaco), beta-actina, mitif1, quindi vi è l’espressione di geni di medaka.] -In un altro studio hanno valutato il trasferimento nucleare di embrioni tra specie molto diverse tra loro come ovini e bovini e anche tra quaglia e anatra cinese. -SNCT da nucleo della cellula di scimmia in un oocita di bovino: l’idea è sempre quella di utilizzare un primato come donatore di nucleo e questo tipo di embrione ha cessato di svilupparsi nello stadio della morula e non si è arrivati a formare una blastocisti. Nel 2011 si è arrivati a formare una blastocisti utilizzando come donatore di nucleo i fibroblasti di un macaco: il nucleo di macaco è stato trasferito in cellula uovo di bovino (Corea) Un’altra tecnica per produrre tecniche embrionarie è la tecnica della PARTENOGENESI: è stata osservata nei rettili ed è una tecnica in cui l’uovo si sviluppa e forma un embrione senza che venga fecondato. E’ una riproduzione asessuata non anfigonica perché non richiede la presenza di un gamete sessuale del donatore. E’ possibile stimolare farmacologicamente l’oocita a dividersi in vitro utilizzando la ionomicina+dimetilaminopurina: in questo modo si stimola l’oocita, prima che abbia espulso il corpo polare, a dividersi e ad avere cellule embrionarie simili all’oocita. L’oocita con 46 cromosomi viene stimolato ad indurre la divisione e la formazione di uno zigote: tuttavia non si arriva alla formazione di un mammifero adulto. E’ stato osservato che i feti ottenuti hanno difetti di crescita, di differenziamento e si ha aborto precoce. Si ritiene che nei mammiferi, a differenza dei rettili, questo avviene perché non c’è regolazione dell’imprinting genomico. Hanno comunque provato a studiarle e si è visto che si possono mantenere come linee cellulari embrionali per un periodo di tempo piuttosto prolungato e si è visto che sono cellule instabili perché è facile che diano origine ad aberrazioni cromosomiche. Quello che avviene è la perdita di un cromosoma X. Il fatto che ci sia perdita di metilazione è associabile alla perdita di stabilità del cromosoma X e ne favorisce l’eliminazione. Alcuni autori hanno provato ad ottenere la partenogenesi in primati non umani, hanno ottenuti embrioni da cui hanno prelevato cellule (cyno-1), differenziano ma con formazione di teratomi. Quindi sono stati ottenuti embrioni da cui hanno prelevato cellule che sono state chiamate Cyno-1. I processi differenziativi sono stati provati per vedere se isolandole precocemente si potessero ottenere cellule sviluppate di sistema nervoso. Si è usato un medium particolare dopo aver iniziato lo stimolo delle cellule con Sonic Hedge Hog e l’FGF8. Queste cellule sono state fatte crescere prima come rosette in sospensione e poi sono state fatte differenziare in un nuovo medium M2 che contenesse oltre Shh e FGF8 anche BDNF e acido ascorbico (arricchito). Poi è stato tolto SHH ed è stato aggiunto il GDNF, il dibutirrilAMPciclico e il TGF-beta3. Quindi da qui si osservò che le PGES erano capaci di fare teratomi; esprimevano gli antigeni caratteristici di una cellula staminale embrionale; possedevano un cariotipo normale ed erano in grado di differenziare A seconda delle sostanze utilizzate come inducenti è possibile modificare il fenotipo cellulare delle cellule embrionarie. Da solo dbcAMP è in grado di variare il fenotipo verso il nervoso di qualunque cellula, è una condizione artificiosa che non modifica il genoma. Quindi queste cellule ottenute per partenogenesi possono essere differenziate fino a dare origine a neuroni. Il limite è il fatto che in vitro si differenziano anche in altre cellule (no popolazione pura) ma l’obiettivo è raggiungere una popolazione più omogenea possibile. Lezione 26/03 CELLULE PLURIPOTENTI INDOTTE Cellule differrenziate adulte che attraverso l’espressione di alcuni geni che vengono introdotti acquisiscono delle proprietà simili a cellule con SCNT piuttosto che cellule embrionali. Il primo annuncio su tali cellule è stato fatto da Yamanaka. Le cellule sono portate a de-differenziare e formano colonie tipiche delle cellule embrionali e sono quindi identificabili e isolabili dalle altre che non sono state trasfettate dai virus N.B. Per permettere la sopravvivenza delle cellule riprogrammate bisogna cambiare il tipo di medium perché altrimenti vanno incontro a morte. Ci sono diversi trial clinici con l’uso di iPSC. Il vantaggio di queste cellule è che non richiedono la distruzione di un embrione per essere utilizzate e quindi a livello di etica ci vengono in aiuto. I candidati di Yamanaka sono diversi: sono tutti fattori trascrizionali. I geni sufficienti a produrre cellule iPSC a partire da cellule somatiche sono: Oct-4: fattore trascrizionale che mantiene le ESC ed è espresso a livello di morula. La sua differente espressione influenza lo sviluppo in ecto (se diminuisce), endo e mesoderma (questi se aumenta) Sox2: smette di essere espresso nelle cellule post-mitotiche. Anche Sox1 induce le iPSC ma anche Sox3, 15 e 18. Klf4: fattore utilizzato che aumenta molto la sopravvivenza perché blocca la via apoptotica. E’ un fattore trascrizionale antiapoptotico. c-myc è un fattore trascrizionale ed è un oncogene. La sua espressione porta a differenziazione cellulare. Si è visto che il 25% di topi iniettati di cellule iPSC produceva teratomi maligni (dei teratosarcomi). Quindi riassumendo, c-myc è essenziale per evitare l’apoptosi e senescenza mentre Oct4 per mantenere l’efficienza di riprogrammazione L’efficienza di riprogrammazione fino al 2009 era molto bassa e quindi si è cercato un modo di aumentare l’efficienza e ridurre il rischio tumorale. L’approccio meno sicuro ma più efficiente prevede una integrazione del gene nel genoma della cellula infettata. Poi ci sono sistemi meno efficienti ma che non prevedono integrazione e quindi meno soggetti a mutagenesi. Quelli usati da Yamanaka erano vettori retrovirali e poi sono stati utilizzati vettori lentivirali. -Vettori retrovirali: sono stati i primi ad essere utilizzati nella generazione delle iPSC. Hanno la caratteristica di integrarsi nel genoma dell’ospite. Alla fine del processo di riprogrammazione i fattori di Yamanaka vengono silenziati ma resta la possibilità di esprimere nelle cellule di riserva (con capacità di divisione asimmetrica). Inoltre, non sempre sono efficaci perché viene attivata la metiltransferasi istonica e questo porta ad una scarsa efficienza del processo di trasformazione. Nel retrovirus si possono mettere i geni sotto i promotori (es promotore del CMV): aumentano l’efficienza ma aumentano anche il rischio di trasformazione. Inoltre, questi virus non sono in grado di infettare cellule quiescenti: possono infettare solo le cellule che si dividono e questo è un limite. Per cui sono stati sviluppati altri sistemi come i lentivirus: sono più potenti perché capaci di trasfettare anche cellule quiescenti e non. Inoltre, essendo virus a ssRNA, una volta entrato deve essere retrotrascritto. Aumenta l’efficienza però aumenta il rischio di mutagenesi inserzionale ma anche di integrazione provirale multipla che possono portare a splicing alternativi anomali e a trascritti non corretti Si è pensato di mettere a monte del gene che si vuole esprimere un promotore doxiciclina sensibile: quando la doxiciclina non viene più data la trascrizione cessa (è un antibiotico). E’ un sistema efficiente e consente l’uso di cassette di espressione policistronica e questo per evitare di infettare con 4 tipi di lentivirus con geni diversi come avveniva per i retro ma inserire questi 4 geni all’interno di un unico lentivirus. Poi allora si è pensato a vettori che non si sappiano integrare come gli adenovirus: se da una parte possono ospitare nel loro capside molto materiale genico, non sono molto efficienti nella trasformazione della cellula e servono infezioni virali multiple (+ esposizioni) Ad esempio, il virus Sendai è un virus ssRNA non integrativo. È molto efficiente nel trasfettare le cellule somatiche e la difficoltà è andarlo a silenziare: rappresenterebbe un limite. L’efficienza degli adenovirus è ancora molto bassa. Più promettente è il Sendai virus e con i metodi recentemente sviluppati c’è stata una riduzione del rischio di tumorigenesi utilizzando questo tipo di approccio. Infatti, sono state seguite le iPSC con numerosi passaggi e li hanno trovati sicuri. Ci sono anche sistemi che non prevedono nè virus ne integrazione: mediante vettori o plasmidi o trasferimenti di RNA per aumentare la sicurezza. I vettori episomici sono DNA extracromosomici in grado di replicare nelle cellule in modo indipendente dal DNA presente nel cromosoma. Sono più tranquilli da utilizzare e il rischio è nullo per l’operatore e l’ambiente. Sono stati utilizzati ma si sono avute rese scarse di iPSC. 5 anni fa sono aumentate molto le ricerche per trasdurre cellule somatiche cono metodi non integrativi e non virali appunto. [video: quando si inserisce un gene, questo deve essere trascritto e tradotto -> più la poliadenilazione è breve e più mRNA ha vita breve pertanto si sfrutta la SV40 polyA. Le cellule vengono indirizzate a formare corpi embrioidi. Si osservano colonie che compaiono molto velocemente e altre dopo 2-3 settimane di coltura. La formazione di corpi embrioidi era molto più alta nelle colonie dopo 2-3 settimane. Infatti in quelle precoci, non erano completamente riprogrammate e non c’era l’espressione di tutti e 4 i fattori (nelle precoci) invece in quelle tardive utilizzavano meno bene il terreno di coltura ma presentavano tutti e 4 i fattori de-differenzianti espressi e presentavano un fenotipo molto più simile alle staminali embrionali rispetto alle prima] Problemi delle iPSC: uso di vettori virali per l’induzione; una riprogrammazione poco efficiente; il rischio di sviluppo di neoplasie; necessari protocolli di differenziamento Sono stati fatti progressi sia sull’uso di vettori che di fattori per riprogrammare il nucleo: infatti si è tolto c-myc; poi si è tolto Sox2 e al suo posto si è aggiunto un inibitore di GSK-3; al posto di Klf4 si è aggiunto acido valproico (inibitore delle deacetilasi istoniche) per aumentare la trascrivibilità della cromatina; altri autori hanno tolto Sox2 e Myc aggiungendo altre sostanze. Si è riusciti ad ottenere la riprogrammazione nucleare di cellule somatiche anche sostituendo a questi geni, sistemi basati su molecole di natura biologica/chimica. Visto che avevano identificato che i fattori trascrizionali andavano a stimolare/inibire determinati pathway hanno provato se TGF-b, inibizione di p53, ipossia etc potesse indurre le iPSC e incrementare l’efficienza. Anche la FUSIONE CELLULARE è una strada in cui si sono fuse cellule somatiche con il citoplasma di cellule hES. Un metodo per modificare l’epigenetica della cellula somatica rendendola più trascrivibile. Queste cellule ibride acquisiscono caratteristiche di cellule embrionali e possono formare teratomi Attualmente ci sono vari approcci per la riprogrammazione nucleare: quello che nei laboratori risulta più efficiente/efficace per promuovere il differenziamento cellulare è la formazione di iPSC Lezione 8/04 Cellule mesenchimali che provengono da midollo: hanno una derivazione mesodermica. Il tessuto mesenchimale è il tessuto connettivo dell’embrione e deriva dal foglietto intermedio (mesoderma) che da origine oltre al mesenchima anche al tessuto ematopoietico. Finito lo sviluppo della blastocisti, dopo il 14 giorno inizia la specificazione delle varie cellule che formeranno tessuti e organi. A quel punto non si ha più il mesoderma ma un nuovo tessuto embrionale che si chiama mesenchima: può differenziare i vari tipi cellulari diversi che però sono sempre tessuto connettivo. Queste cellule sono state trovate anche nell’adulto: non ci sono grosse differenze con quelle trovate a livello embrionale. Queste cellule nell’adulto sono quindi cellule staminali multipotenti e non più pluripotenti ma comunque capaci di differenziare in molti tipi cellulari diversi. Queste cellule si trovano nel tessuto adiposo, muscolare, osso, negli annessi fetali (amnios, cordone ombelicale e placenta). Queste cellule differenziano nei vari connettivi: tessuto adiposo, osso, cartilagine, tendini, muscolo e stroma. Le MSC NON differenziano in tessuto ematopoietico! Il problema è che non si riesce a trovare uno scaffold idoneo per far crescere queste cellule e farle differenziare in modo che formino un tessuto: quando queste cellule una volta espanse in vitro si mettono sugli scaffold muoiono e non sopportano la crescita. Il problema è quello di unire uno scaffold biocompatibile e permettere la crescita dei vasi (spesso i tessuti li percepiscono come corpi estranei) Ci sono differenze tra le cellule MSC che derivano dal midollo osseo di uomo e topo e queste possono dipendere dai metodi di coltura utilizzati: si è notato che la composizione dei terreni e il materiale su cui le cellule aderiscono sia fondamentale nella loro propagazione e differenziamento. Nell’uomo viene fatto un ago aspirato: viene aspirato il sangue midollare o si effettua la biopsia osteo-midollare. Nei topi le MSC sono ottenute dal canale midollare femorale...Così facendo si prende anche l’endostio e c’è il rischio di contaminazione da parte degli osteoblasti della popolazione staminale. Secondo alcuni studi lo 0.1% ma altri dicono che è lo 0.001% di MSCs nel midollo osseo. Le molecole del microambiente influenzano molto queste cellule e quindi inizialmente si coltivavano con altre cellule unipotenti, ora si usano cocktail di citochine o diversi fattori di crescita Le cellule producono una serie di fattori di crescita che possono essere liberati nel terreno di coltura liberi o all’interno di vescicole (esosomi). Il midollo osseo è anche sede delle cellule ematopoietiche. Come si fa a separare le ematopoietiche o quelle mesenchimali? Utilizzare terreni diversi, in quanto un terreno per mesenchimali non consente la crescita delle staminali ematopoietiche. Un altro modo è riconoscere antigeni espressi sulla superficie espressi solo da un tipo cellulare e utilizzando Ab monoclonali si può arricchire la coltura o depletare dalle cellule non necessarie. Accanto all’indagine citofluorimetrica bisogna anche vedere se i cloni espansi sono cloni che hanno multipotenza. Quali sono gli Ag tipici delle mesenchimali e quelli delle ematopoietiche? Le ematopoietiche presentano vari Ag a seconda del loro lineage: CD14 i macrofagi, CD19 sui linfociti, CD38 su ematopoietiche, CD45 (espresso su tutti i leucociti), CD34 (precursori ematopoietici) e CD31. Le mesenchimali presentano positività per il recettore dell’acido ialuronico CD44, CD29, CD105, esprimono CD73 e CD90. Poi a seconda dal tessuto da cui vengono isolate esprimono isoforme dal CD49 (diverso se da midollo o dal tessuto adiposo ad esempio). Stro1 non è espresso in quelle umane mentre nei modelli murini si Le mesenchimali sono negative per CD45, CD34, CD14, CD11 ma anche CD18, CD56 (tipico delle neuronali), CD31 etc. Le cellule MSC sono Lin- e significa che manca CD2, CD3, CD14, CD16, CD19, CD24, CD56, CD66b e la glicoforina A. Lineage-: si parla di lineage in riferimento al lineage ematopoietico. Granthos nel 94’ identificò Stro1 come marker di progenitori mesenchimali. …… Quando queste cellule vengono ottenute in coltura normalmente si usava del siero fetale al 10%, mentre adesso si cerca di usare meno siero sostituendolo con citochine e fattori di crescita minimizzando il differenziamento spontaneo che il siero fetale può indurre: questo perché non tutti i fattori sono noti, ne sono noti molti ma non tutti. Queste cellule non replicano subito a differenza di altre cellule; e questo viene utilizzato per eliminare le contaminazioni. Dopo un intervallo di tempo dalle 12 alle 24 ore…solo successivamente al giorno dell’isolamento queste cellule aderiscono e iniziano a proliferare formando colonie. Diversi autori sono arrivati a contare 500 duplicazioni e affinchè in terapia possa funzionare bisogna espandere le cellule in vitro dato che per rigenerare un tessuto serve almeno un pull di 10milioni circa. Per l’uomo si hanno una serie di regolamenti abbastanza ristretti: per manipolare cellule che derivano dall’uomo non si può usare nessuna proteina animale non di origine umana (anche le pipette devono essere certificate per uso umano). Sono infatti strutture molto costose Isolamento di cellule con anticorpi: CD73 e CD105 ad esempio. Ha confrontato i prelievi isolati con Ab e quelli non purificati. Il midollo osseo ha fibre nervose e l’aspirazione è sopportabile solo per un breve periodo. Si trovarono circa 14 milioni di cellule mononucleati mentre le 105+ il numero è di 250.000 ovvero il 2/3%. Visto che le mesenchimali esprimono il CD105 si è provato a vedere quante tra queste cellule esprimono effettivamente il CD105 e sono il 79%: significa che una parte sono state isolate ma non erano quelle volute. Inoltre un 36% sono CD45 positive. Quindi è molto importante interpretare correttamente i dati per citofluorimetria. Che esprinomo il CD31 che sono sulle endoteliali e non esprimono il CD45. Quindi le cellule effettivamente staminali che formano colonie quante sono? Se si prendono i mononucleati non purificati si ha una colonia su 100.000 cellule. Da una prima analisi si vede che purificare con CD105 arricchisce le staminali. In realtà per mL quante cellule staminali ci sono nel sangue midollare? Se c’è una cellula staminale ogni 100.000 cellule mononucleate e se i mononucleati sono 14 milioni per mL quante staminali ci sono per mL di sangue midollare? 14mln/100.000= 140 MSC/mL di BMblood. Invece per le CD105 si hanno 6 cell/100.000 cellule CD105+: se 6 sono su 100.000 su 250.000 (le CD105 isolate dal BM) saranno 6x2.5=15 MSC. Quindi utilizzando gli anticorpi ne isoliamo soltanto 15: è vero che con le biglie magnetiche si ha un arricchimento ma si perdono tante cellule che possono essere terapeuticamente importanti Caratterizzazione citofluorimetrica: sugli assi viene indicata la positività a vari CD. In base alla fluorescenza vengono rappresentate cellule come puntini. La citofluorimetria può analizzare moltissime cellule per analisi. Utilizzando fluorofori diversi si possono vedere segnali diversi: in realtà si ha uno spettro di emissione. Chi valuta l’emissione dovrebbe valutare i segnali che lo strumento riceve quando le cellule incubate con Ab non specifici passano attraverso il rilevatore. Si osserva solo uno 0.1% di cellule più luminose. Si osserva che è presente un numero di cellule 105+ che esprime CD34+….. Inoltre si può avere la visualizzazione con le nubi o con gli istogrammi: l’istogramma in basso a dx fa vedere come il modo in cui vengono coltivate cambia le caratteristiche fisiche delle cellule (la forma) Come si presentano le colonie? Quando le cel

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