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31 5. Età del format: è un prodotto che va in onda da 10 anni -> avrà sicuramente un pubblico fidelizzato, ma magari sta scendendo lentamente -> posso aspettarmi che scender...

31 5. Età del format: è un prodotto che va in onda da 10 anni -> avrà sicuramente un pubblico fidelizzato, ma magari sta scendendo lentamente -> posso aspettarmi che scenderà ancora; 6. Meteo: tipicamente nel cinema e nella televisione -> meteo brutto + ascolto, meteo bello - ascolto; 7. Indice di zapping del programma e del target: ogni programma, quando viene interrotto dalla pubblicità, diminuisce nell’ascolto. Arrivati a un numero dell’ascolto di programma, dovrò sottrarre un numero che è l’indice di zapping. LO ZAPPING VARIA IN FUNZIONE DI: 1. Fascia oraria: la mattina si fa meno zapping della sera -> se vendo un prodotto serale, dovrò essere più attento all’indice di zapping; 2. Genere: le donne fanno meno zapping rispetto agli uomini; 3. Età: lo zapping aumenta con l’età (fino a un certo punto) -> i bambini e gli anziani non fanno zapping -> è un’enorme opportunità per i pubblicitari; 4. Integrazione con il contenuto editoriale: quali sono le pubblicità che non ti fanno cambiare canale? Es. se sto guardando il gran premio di formula 1 e vedo la pubblicità Napisan, non sarò interessato (non c’è integrazione). Se invece arriva pubblicità sulle moto, qualcuno sarà sicuramente interessato; 5. Controprogrammazione editoriale e pubblicitaria: es. Sanremo -> gli anni scorsi Mediaset dichiarava che avrebbe mandato in onda qualcosa di classico perché sapeva che la gente avrebbe guardato Sanremo. Controprogrammazione forte = zapping alto / controprogrammazione debole = zapping basso. LO ZAPPING È LA FLESSIONE DELLA CURVA DELL’ASCOLTO RISPETTO AI 10 MINUTI LIMITROFI Lo zapping non è mai a caso. È calcolato sempre rispetto ai 10 minuti prima e ai 10 minuti dopo. Tipicamente, un break abbassa l’ascolto di un 30%. Testa e coda del break costano di più, perché ovviamente avranno più visibilità. La prima è sicuramente la più potente, per una questione di tempismo. Riassumendo: L’indice di zapping è la percentuale che dice di quanto si abbassa la curva dell’ascolto durante il break pubblicitario. Si calcola con l’ascolto del break parametrato 10 minuti prima e 10 minuti dopo. Le percentuali vengono studiate programma per programma. Es. 4 hotel comporta tipicamente un indice di zapping di X%. Ogni programma ha la sua stima all’ascolto e il suo indice di zapping. Arrivo quindi al PRICING -> L’ufficio stime mostrerà l’ascolto stimato. L’ascolto verrà poi moltiplicato per un altro numero, e il risultato sarà il pricing. È quindi un passaggio puramente matematico -> il LISTINO viene così portato a termine. VENDITA: Le concessionarie sono diventate estremamente brave a fare le stime, perché si tratta di statistica. Tuttavia, nel caso in cui si sbagli la stima, la concessionaria ci perde. Es. la concessionaria stima 1.000.000 -> il programma va in onda e farà 900.000 ascoltatori. Significa che ho venduto più caro lo spot -> alle 10 di mattina del giorno dopo escono i dati di ascolto, il cliente lo vede, il centro-media fa i conti e chiama la concessionaria lamentandosi. La concessionaria dovrà regalare 10 passaggi gratis al cliente (ad esempio). Se invece la concessionaria stima un caso superiore, sarebbe il cliente a dover ridare i soldi alla concessionaria -> ma il cliente è il cliente, quindi la concessionaria forse chiamerà il cliente solo per “compiacersi”. A volte si fanno delle strategie -> es. si sottostima appositamente per far portare il cliente a fare un’altra campagna. I centri-media sono nate per migliorare le performance di acquisto dei clienti, che mettendosi insieme hanno un potere d’acquisto maggiore. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 32 BRANDING. FARE MARCA Walter Landor -> fondatore di una delle agenzia più importanti specializzate nel branding -> ci lascia una frase importante “PRODUCTS ARE MADE IN THE FACTORY BUT BRANDS ARE CREATED IN THE MIND”. IL BRANDING è un’attività che sta al confine tra marketing e pubblicità e si occupa di mantenere il brand dell’azienda: in ogni azienda c’è un settore che fa branding -> quando l’azienda, ad esempio, decide di rifare il proprio logo, se ne occupa il settore branding. Il settore branding lavora sempre, infatti si occupa anche di fare la manutenzione del logo a lungo termine -> questo perché possono nascere anche dei sottobrand, e quindi ci sarà il bisogno di declinazioni del logo principale. C’è sempre da verificare come usare il proprio logo, a questo serve il settore branding. La gestione del logo, anche se esso non cambia, deve essere controllata continuamente. Ad esempio, Nike ad oggi utilizza il logo sui prodotti in posizioni che prima non venivano considerate (prima questo non succedeva, è stata una decisione del branding). Esempio: le caramelle le fa un’azienda, la Perfetti, che contiene le altre marche -> sono tutti brand italiani. Volutamente, questa cosa non è comunicata, perché giocano sull’equivoco di non essere italiani, quando in realtà lo sono (Brooklyn, Vigorsol, BigBabol). Ferrero e Ricola sono invece a parte B = Brand P = Prodotto C = Comunicazione BRAND = PRODOTTO + COMUNICAZIONE La differenza tra un pane qualsiasi e il pane del Mulino Bianco la fa la comunicazione. Essa ha un ruolo fondamentale -> es. il pan Bauletto ha una forma stondata, in modo che poi si possa comunicare chiamandolo “Pan Bauletto”. La comunicazione decide poi come impacchettarlo, con quali colori, etc. Il Pan Bauletto sarà differente dal Pan Carrè, e la differenza è parte del lavoro della comunicazione. È il caso del prodotto brandizzato -> potrò venderlo a 0,50 in più rispetto al prodotto non brandizzato (anche se in realtà i prodotti sono simili o uguali). Le differenze di prezzo sono dovute alla comunicazione. Tra marca e prodotto si inserisce il valore della comunicazione, valore irrazionale, di passione, ma anche valore economico, perché è il valore che consente di poter alzare il prezzo del prodotto. LE IDENTITÀ DI MARCA BRAND PROFILE: descrizione delle caratteristiche della marca; BRAND POSITIONING: è il posizionamento; come l’azienda vuole che noi consumatori percepiamo il brand; BRAND IDENTITY: è l’effetto del brand positioning -> come le persone hanno realmente in testa quel determinato brand (immagine costruita nel tempo); BRAND AWARENESS: dato quantitativo -> è la notorietà della marca. Quante persone conoscono il brand. Dipende da come l’azienda vuole misurare il dato: in genere, si misura con due fattori -> i due fattori che si misurano sono top of mind (prima cosa che viene in mente alle persone) e ricordo suggerito (propongo più marche -> quale di queste conosci?). BRAND LOYALTY: è la fedeltà alla marca. Fatto un acquisto, in quanti casi si ha un secondo acquisto? La loyalty è ormai davvero difficile perché mettiamo spesso in discussione le marche. Le persone estremamente legate a un singolo brand sono sempre meno e sono diventate delle nicchie specifiche. BRAND EQUITY: è IL VALORE della marca. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 33 Anni ’68: crisi petrolifera -> prima caduta della pubblicità. Primo storico momento in cui si mette in discussione il concetto di marca. Boom anni ’80: boom del concetto di marca; 2000: fenomeno “no logo” e diffusione del web. Da questo momento in poi non c’è più stata una curva che sale e scende poiché il fenomeno è stato “parcellizzato” = ci sono settori che hanno forza e altri meno, è tutto più frammentato. IL MODELLO DI AAKER Aaker è un economista statunitense, infatti il suo modello parte da concetti di economia. Secondo lui, il brand (quindi la marca) si sovrappone al prodotto come fosse un moltiplicatore. Questo moltiplicatore può portare attività o passività. Il brand rispetto al prodotto interviene aggiungendo passività o attività, come in un conto economico. È strano pensare che un brand aggiunga passività al prodotto, perché nessuna crea un brand per deprezzare un prodotto, ma può succedere involontariamente (es. scandali). Un prodotto X potrebbe essere messo in vendita a 100€, ma sarà il brand con la sua comunicazione ad aumentare il prezzo di vendita. Per quanto riguarda la passività, è importante dire che nessun brand lavorerebbe per deprezzare i propri prodotti, creando passività. Ci sono casi involontari in cui questo però accade, come ad esempio nei momenti di crisi o di scandali legati al brand. LA MARCA PER AAKER Il valore della marca è fondamentale. Gli elementi che lo determinano sono: - La fedeltà; - La notorietà; - Il nome; - La qualità percepita; - Valori -> es. sostenibilità - Altre risorse -> es. i brevetti, singole specificità che può avere quel singolo prodotto. Tutti questi elementi si possono modificare per far aumentare il proprio valore della marca. Il valore della marca si fotografa in una cosa, cioè il logo. Per accrescere il valore della marca posso lavorare sulle leve descritte precedentemente: sulla fedeltà (chi è già cliente), sulla notorietà, sulla qualità percepita (lavorare sul prodotto e sulla comunicazione) IL MODELLO DI JACQUES SÉGUÉLA È un pubblicitario francese. Nasce da una famiglia borghese di origini catalane. Si laureò in farmacia. Nel 1958 partì con un suo amico per fare il giro del mondo a bordo di una Citroen e tornò un anno dopo. A un certo punto della sua vita volle dare forma a un suo giornale, ma fallì e finì di dedicarsi alla pubblicità, diventando pubblicitario di successo. È stato il pubblicitario di Citroen, Carrefour, e molti altri brand francesi. Tra i suoi annunci più famosi ricordiamo “La force tranquille”, bodycopy per rendere presidente Mitterrand. È stato uno dei primi a rivoluzionare la pubblicità in ambito politico. Séguéla nasce quindi come copy parigino, e si oppose fin da subito all’idea della reason why -> sì, bisogna rispondere alla domanda ma non in termini razionali -> non si deve parlare di reason why ma di passion why. Qual è l’elemento di passione che spinge il consumatore ad acquistare quel prodotto? Ovviamente non esclude il concetto di reason, ma la sua creatività era molto più basata sull’elemento irrazionale. Queste sue idee si concretizzano in un modello che fa diventare la marca una star -> secondo lui bisogna sempre aumentare il valore della marca, senza pensarla in termini di passività o arttività, ma pensandola come fosse una star da costruire. Quando le persone pensano il brand dovranno pensarla come una star, come fosse Marylin Monroe. Per questo motivo la sua strategia è definita star-strategy. Le star sono “lontanissime ma Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 34 vicinissime” -> lontana nel senso che è quasi irraggiungibile, ma vicinissima perché fa parte della nostra vita quotidiana (la conosciamo, empatizziamo con lei). Séguéla dice che non bisogna lavorare in termini di reason why ma di passion why. Bisogna dunque cercare di creare brand che siano vicini ma lontani. DICOTOMIA TRA VICINANZA E LONTANANZA (la lontananza è necessaria perché il mistero fa appassionare, deve sembrare irraggiungibile). Secondo Séguéla, la marca si basa su tre elementi, su cui si può lavorare per creare passion why: FISICO -> Come si vede. fa parte del lavoro di pubblicitario, posso interagire e lavorarci per creare passion why. STILE -> Come si comporta. posso applicarlo al brand. Es. stile Balenciaga, anche se non visualizziamo il prodotto abbiamo in mente qualcosa; CARATTERE: Come è. Questi tre elementi vivono anche sul brand, oltre che sulle star. Con la comunicazione si può lavorare su questi aspetti molto concreti. I LOGHI La faccia della marca è il logo. I primi loghi vengono chiamati “protologhi” ed erano utilizzati per trasmettere valori. Il logo inteso in senso moderno nasce con la pubblicità. LOGOTIPO: è il nome dell’azienda scritto. Ma come lo scrivo? Dipende da cosa voglio comunicare. Tipicamente, oggi c’è la tendenza a lavorare con font senza grazie (ghirigori). La grazia è un segno ortogonale rispetto al segno della lettera. Oggi è molto più utilizzato il senza grazie perché dà più idea di modernità e non di tradizione. C’è un po’ di comunicazione anche nel logotipo, ad esempio se voglio comunicare carattere utilizzerò una scritta bold o un colore particolare. LOGOMARCHIO: UNISCE LOGOTIPO E PITTOGRAMMA. Il pittogramma è l’immagine simbolica che l’azienda sceglie per rappresentarsi. Il pittogramma comunica qualcosa. Ad esempio, Leroy Merlin ha un logotipo che sta su un triangolo -> idea di casa, protezione, costruzione. Due loghi fortissimi che vivono solo in pittogramma sono APPLE E NIKE. La mela è morsa per renderla AUTENTICA, PERCHÉ SE PROVASSI A COPRIRE IL MORSO DELLA MELA POTREBBE SEMBRARE UN POMODORO, UNA CILIEGIA O UN ALTRO FRUTTO. Come si arriva ai loghi? Tutti partono dal logo, che è più complicato. Poi storicamente, capiscono che è meglio o orientarsi verso il logomarchio, o togliere il pittogramma e utilizzare solo il font. RICORDA: La scelta del font è fondamentale -> cosa voglio comunicare? Il font diventa una conseguenza della mia scelta. Dalla scelta arrivo a determinare le diverse famiglie di font che poi posso utilizzare. Meglio un font più semplice che sia chiaro, piuttosto che uno più articolato che risulta meno chiaro. Dopo aver scelto il font si fanno dei lavori a mano, per aggiustare i caratteri (es. accorciare gli spazi tra i caratteri). Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 35 BRAND ELEMENTS Il lavoro del branding di un’azienda è racchiuso all’interno di un manuale (manuale di immagine coordinata o manuale di utilizzo del logo), che non lascia margine di interpretazione. Es. Mercedes-Benz -> La stella in 2d è usata nelle riproduzioni (in comunicazione), la stella in 3d nelle riproduzioni fisiche (es. cofano mercedes). La stella deve stare in alto, il logotipo in basso. Rispetto al logotipo, la stella deve essere sempre centrata. Se non fossero rispettare queste regole, le persone non avrebbero più una chiara brand identity. UNITÀ DIDATTICA: IL DIGITAL (R)EVOLUTION Il mondo digital ha cambiato molte cose, ma ha soprattutto rappresentato un’evoluzione di ciò che fa la pubblicità classica. Esiste il falso mito che sostiene che la pubblicità classica sia “vecchia” e che non serva più -> in realtà il digital ha solo aggiunto delle possibilità. La pubblicità si è adattata e riconfigurata, mantenendo però ben salde le proprie regole. L’unica rivoluzione è stata nel modo di pagare la pubblicità: il digital ha inventato delle nuove metriche di misurazione a pagamento e annullato il calcolo del GRP (solo sull’online). La USP funziona molto di più -> sul digital scegliamo noi quanto tempo concedere alla pubblicità, in TV no. Lo IAB (Interactive Advertising Bureau) è l’ente che standardizza la pubblicità digital. È creato da tutti, dentro ci stanno editori, concessionari, agenzie, ed è l’unico ente al mondo che dà gli standard ai formati. I clienti sono ormai abituati agli standard dello iab. Quando nacque il web, tutti pensarono che la pubblicità efficiente sarebbe stata quella interattiva, che si sarebbe totalmente contrapposta alla passività della pubblicità classica in televisione -> da qui nacque lo IAB. L’esperienza della pubblicità interattiva è durata poco, finche si sono resi conto che alle persone non interessava molto interagire con la pubblicità, perché a stento la sopportavano -> ma il nome dello iab non fu mai cambiato. SI PUÒ FARE PUBBLICITÀ SU GOOGLE? SÌ COME SI FA? Comprando parole chiave -> poi ci pensa Google a riempire la creatività. I macro-formati della pubblicità digital sono 3: DISPLAY ADVERTISING 1. Display advertising: sono tutti quei formati grafici che compaiono nei siti sulle pagine social, nelle app o nei siti. Ad esempio, il macro-gruppo dei banner è il primo tipo di pubblicità digital che è esistito. Banner significa “striscione”. Intersitial: formati grafici che compaiono mentre aspettiamo che arrivi ciò che abbiamo richiesto. BANNER; POP UP: FORMATI GRAFICI CHE COMPAIONO SOPRA IL SITO CON UNA FINESTRA CHE SI SOVRAPPONE E CHE DEVONO ESSERE CHIUSI MANUALMENTE POP UNDER: STESSA COSA MA APPAIONO QUANDO SI CHIUDE IL SITO POP UP e POP UNDER ono un po’ in disuso sia perché i browser li bloccano, sia perché sono molto invasivi e danno fastidio agli utenti. La battaglia odierna è quella di tutelare chi naviga, quindi iab da un lato promuove le aziende, dall’altra cerca di standardizzare formati che non disturbino troppo le persone. Ogni formato grafico ha delle dimensioni. Sono tutti rettangoli più o meno stretti, lunghi, alti o bassi. SKIN: SPONSORIZZAZIONE SULLO SFONDO DELLA PAGINA Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 36 BANNER ESPANDIBILI: FORMATI BANNER CHE SI ESPANDONO MODIFICANDO LA DIMENSIONE OVERLAY: ANNUNCIO CHE COMPARE AL DI SOPRA DELLA PAGINA PER 7 SECONDI INTERSTITIAL: ANNUNCIO CARICATO NEI PASSAGGI TRA UNA PAGINA E L’ALTRA. COMPARE A TUTTO SCHERMO PRIMA CHE ARRIVI QUELLO CHE ABBIAMO RICHIESTO Le linee guida della pubblicità display, secondo lo Iab, devono essere molto user-friendly: quindi, le pubblicità online certificate dovrebbero essere 1. LEGGERE: meglio colori piatti e non gradienti in modo da non essere pesanti; 2. CON TUTTI GLI STANDARD DI SICUREZZA; 3. IN LINEA CON LE OPZIONI DI SELEZIONE DELLA PUBBLICITÀ; 4. NON INVASIVE 2. Video Advertising: è anch’esso una forma di display, pubblicità in pagina grafica, ma invece di immagini ci sono video. IL RETARGETING: 2%, siti che convergono alla prima visita Solo il 2% dei siti che offrono in vendita qualcosa convergono alla prima visita. Es. su 100 persone che cercano un prodotto, solo 2 lo comprano al primo colpo. Le altre 98 forse lo faranno in un secondo momento. Il retargeting è un algoritmo che fa sì che vengano riproposte alle persone che hanno visualizzato un articolo, pubblicità display di quello stesso articolo ma a posteriori. Non si parla quindi di potenziali clienti, ma di clienti specifici che hanno già mostrato interesse verso un determinato prodotto. Le campagne di retargeting si intensificano a fine mese, quando arrivano gli stipendi. 3. SEO & SEM (SEARCH ENGINE OPTIMIZATION E SEARCH ENGINE MARKETING) I motori di ricerca sono la porta di accesso al mondo digitale. I motori di ricerca lavorano continuamente, hanno un proprio “database” costruito scansionando i siti presenti online. Il SEO non è compito nostro. Il SEM è l’attività di pubblicità per far sì che il mio sia uno dei primi risultati. IL SEO Nel caso del SEO parliamo di ottimizzazione dei siti ai fini della targatura da parte del motore di ricerca -> è una procedura che applicano i programmatori di siti/pagine sociale, etc., non è attività di comunicazione, marketing e pubblicità. Quando si crea un sito, soprattutto se è un sito di business, il proprietario vorrebbe che avesse molta visibilità su Google -> per far sì che google proponga il mio sito tra i primi risultati, bisogna costruire bene il sito dal punto di vista tecnico: gli elementi devono essere ben configurati in modo che google veda il sito in modo chiaro. Google analizza costantemente tutto quello che esiste in rete, partendo dai grandi domini, arrivando a tutti i metadati inseriti meccanicamente nel sito e il testo degli stessi. Se faccio un buon sito riuscirò a scavalcare i competitors, che riottimizzeranno il loro sito per riscavalcarci: per questo motivo il SEO va costantemente monitorato, aggiornato e riprogrammato. Pagherò il mio consulente che mi crea il sito ma in termini di comunicazione non pagherò nulla. A google non darò niente. La società mi garantirà un’attività di SEO per tot tempo -> il mio budget sarà destinato solo a loro. Il SEO non prevede attività creative, concessionaria, editore, cliente, ecc = NON È PUBBLICITÀ. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 37 IL SEM È un’attività di marketing vera e propria. Può anche essere chiamato SEA, perché si tratta di Advertising pubblicitario sui motori di ricerca. In questo caso non pago il mio programmatore del sito, posso pagare invece un’agenzia di comunicazione che mi aiuta a fare quest’attività e pagherò anche Google -> è un’attività di pubblicità che prevede scambi di denaro tra cliente ed editore che ospita la creatività. È meglio usare Google Ads o Facebook Ads? Non c’è una risposta, dipende dall’obiettivo. Sono due approcci totalmente diversi -> cosa ti serve? Su Google le persone scrivono quello che stanno cercando. Esempio: se le persone di una determinata zona scrivono “parrucchiere” su Google, significa che stanno cercando un parrucchiere. Torna utile il modello AIDA per dirci che noi, che offriamo quel servizio, non ci dobbiamo preoccupare di usare ADV per intercettare quelle persone. Questo perché le persone hanno già deciso che hanno bisogno di quel servizio. Google ADS è uno strumento razionale > andiamo a intercettare persone che razionalmente stanno cercando quello che noi vendiamo. Non abbiano bisogno di creare desiderio; dobbiamo solo fargli scegliere noi invece del nostro competitor. Quando si lavora si Google ADS si lavora sulla testa, su elementi razionali. Devo quindi essere nel posto giusto al momento giusto, per essere presente nel momento in cui la persona sta cercando quel determinato servizio. Nel caso in cui invece io debba far nascere il desiderio del mio prodotto a persone che non stanno pensando al mio prodotto, dovrò fare un’attività di advertising più classica: posso farla sui social, lavorando più sulla parte emotiva e sulle ADV, partendo però da un pubblico profilato. Sono quindi due strumenti totalmente diversi: da un lato vado a intercettare la domanda nel punto in cui c’è la domanda, dall’altra vado a conquistare i clienti (Google ADS = testa; Facebook ADS = pancia). Se non esistesse il SEM, Google ci mostrerebbe solo i risultati organici/naturali, cioè i risultati che il motore di ricerca ci mostra in modo del tutto “onesto”. Sono il risultato di un buon SEO, perché Zalando, che precede Scarpamondo avrà fatto un SEO migliore. Quelli sopra sono invece annunci pubblicitari (SEM). COME FACCIO PUBBLICITÀ SU GOOGLE? Nel modo più simile a Google COME FACCIO PUBBLICITÀ SU INSTAGRAM? Nel modo più simile a Instagram (post) COME FACCIO PUBBLICITÀ SU TIKTOK? Nel modo più simile a TikTok (video) A differenza del modello classico in cui per prendere l’attenzione devo andare da un’altra parte, sul digital è l’esatto opposto -> mi devo rendere più simile possibile al mezzo in cui mi trovo, devo camuffarmi. Non devono sembrare pubblicità -> NON È CONTRO LA LEGGE, perché è comunque dichiarata (con la scritta “annuncio”). un’altra cosa bella del digital advertising è che, mentre in televisione si pagano somme altissime e non abbiamo certezza di chi guarderà lo spot, sul digital si possono fare campagne molto mirate, partendo da quanti soldi voglio spendere. Google Ads, in base al tuo obiettivo, ti propone diversi budget in base ai temi delle parole chiave e alla geolocalizzazione. I consigli su di esso aiutano l’attività a rimanere competitiva rispetto ad altre che cercano di raggiungere gli stessi clienti. SOCIAL ADVERTISING Instagram e Facebook sono piattaforme collegate. Quindi se voglio fare pubblicità su entrambi i social, potrò creare una campagna direttamente su Facebook e indirizzarlo anche su Instagram. I formati sono molto simili ai post che troviamo sui social, ad esempio post grafici a effetto carosello. La differenza con i post normali è che è segnalata la sponsorizzazione. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 38 Anche su TikTok c’è lo stesso concetto: le pubblicità sono impaginate come qualunque contenuto editoriale, ma sono sponsorizzate. Sono sempre quindi simili ai contenuti classici editoriali. Su Facebook si utilizza Facebook Ads -> è tutto guidato. La stessa cosa vale per Google -> Google Ads. ATTENZIONE: Se un cliente è disposto ad offrire tanto per una parola chiave, ma il contenuto non è pertinente, Google NON lo prenderà in considerazione. Se nessuno fa click su quel risultato, il cliente non paga -> Cost per click. Se nessuno clicca l’annuncio, non è un bene per il cliente: mentre su social posso avere come unico obiettivo la visibilità, se pianifico su Google Ads il mio obiettivo sarà quello di portare traffico sul mio sito -> se non arriva nessuno, fallisco il mio obiettivo. Si imposta il budget, si stima il tempo in cui quel budget verrà esaurito, ma il tempo potrebbe variare. Google Ads propone diversi budget in base all’obiettivo, oppure si può decidere autonomamente. Anche su Instagram Ads è tutto guidato -> viene tutto composto con grafiche, sintassi, e inserzione delle immagini desiderate. Il cuore del social advertising è la targettizzazione dettagliata -> per le aziende è molto più importante sapere quali sono i valori delle persone con cui parlano piuttosto che i loro dati socio- demografici. I social permettono di prendere i profili che dichiarano, in modo indiretto, di avere quei valori (attraverso le interazioni). Ogni volta che mettiamo like a qualcosa veniamo profilati e inseriti in certi “scatoloni” in base a parole chiave. Un metodo di sponsorizzazione diffuso su Instagram prevede l’accordo del brand con un influencer, che parlerà del prodotto sul suo profilo. Le sponsorizzazioni sono sempre pertinenti -> funziona anche temporaneamente, in base a una ricerca fatta in precedenza, anche se non è un valore che ci contraddistingue. Nessuno vedrà mai annunci che non gli interessano: questo è il vero valore del social, perché c’è pochissima dispersione e molta più pertinenza rispetto agli altri mezzi. Sul mondo social riesco sempre a prendere le persone giuste. Il tasso di conversione sui social è molto più alto proprio perché gli annunci sono mirati, quindi sarò o felice di vederli o quantomeno non ne sarò infastidito -> c’è meno redemption. Per quanto sia efficace, il social advertising ha da poco superato l’advertising classico -> la quota tra online e offline di spesa in tutto il mondo di tutti i clienti pubblicitari è sempre stata maggiore sull’offline, solo negli ultimi due anni si è arrivati a un 50%/51% online e un 50%/49% offline. Questo perché non tutto il mondo è social. Una cosa interessante è che la quota su Facebook Ads è maggiore rispetto a quella di Instagram Ads -> le persone più grandi di età hanno maggiore disponibilità economica e quindi riescono a fare più pubblicità; i più giovani hanno meno disponibilità economiche. Inoltre, le persone più grandi sono meno refrattarie alla pubblicità televisiva, e hanno un tempo di risposta maggiore rispetto ai giovani. I mezzi offline sono ancora utilissimi per creare desiderio, attesa, posizionamento, etc, mentre quelli online sono più “tattici” -> catturo la tua attenzione, ti faccio comprare. L’online non basta da solo -> può bastare da solo solo quando è pubblicità estremamente tattica. COMUNICAZIONE INTEGRATA Televisione lavora e ottiene risultato 1 + Internet lavora e ottiene risultato 1 Se li uso separatamente il mio risultato sarà 1, se li mixo il risultato sarà maggiore della somma dei due addendi. Se unisco più mezzi ottengo un risultato che va oltre la somma dei singoli mezzi -> 1 + 1 = 3 -> questa regola può valere se i singoli mezzi lavorano in modo differente, attivando zone cerebrali diverse (tv = visione, radio = suono. Unione di aree che riescono a massimizzare il risultato). SE USO BENE LA CREATIVITÀ, OTTERRÒ UN RISULTATO MOLTO POTENTE. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 39 APPROFONDIMENTO: PAOLO ETTORRE Paolo Ettorre stato un pubblicitario italiano, CEO della Satchy&Satchy, dal 1993 è stato figura di riferimento nel mercato della comunicazione italiana. Ettorre inizia a lavorare nella sede di Roma, ma poi si trasferisce nella sede Satchy&Satchy di New York, per lavorare sul più importante cliente dell’agenzia: Procter&Gamble. Al rientro dagli Stati Uniti diventa direttore generale di Satchy Italia, successivamente presidente e amministratore delegato della sede italiana. Nel 2002 viene nominato Chairman europeo, la più alta carica mai ricoperta da un pubblicitario italiano all’interno di un vertice internazionale. È l’unico pubblicitario italiano che ha davvero fatto successo nel mondo, ma viene ancora oggi dimenticato. Da una collaborazione con la banca di Roma, nel ’92 nascono gli spot con Paolo Villaggio (attore) e Federico Fellini (regista) -> gli spot vinsero anche il Leone d’oro. Nel 1990 Ettorre ebbe l’intuizione di impegnare a titolo gratuito la Satchy&Satchy nell’area della comunicazione sociale -> voleva fare consulenze a enti che non dovevano vendere nulla ma solo promuovere cose importanti (Es. Unicef, WWF, etc.). Questa sua tendenza ad aiutare e sostenere gli enti no-profit fece sì che nel 2008, a un anno dalla sua morte, sua moglie e i figli fondarono una nuova associazione, Socially Correct, che aveva l’obiettivo di creare un senso di responsabilità sociale nei giovani talenti, sensibilizzando l’opinione pubblica su uno specifico problema sociale. RICORDA: - La pubblicità SEM lavora sulla testa, sull’ultimo miglio del processo AIDA (intercettiamo persone che stanno cercando razionalmente un prodotto -> faccio corrispondere domanda e offerta). Non faccio vedere il prodotto, dico solo che io ho quello che cerchi; - Il mondo social è più vicino alla pubblicità tradizionale -> deve persuadere: faccio vedere un prodotto che le persone non conoscono e cerco di convincerle che è quello giusto per loro, creando un desiderio -> il social advertising rimette in gioco tutto il modello AIDA e per farlo lavora soprattutto sulla parte emotiva (non ha bisogno solo del testo ma anche del visual -> immagine, carosello, video, ecc. + audio sarebbe perfetto). - Il social ADS riesce a targettizzare in maniera quasi “chirurgica” -> la targettizzazione non avviene solo su parametri socio-demografici, ma sopratutto su gusti, valori, interessi -> le aziende possono crearsi dei gruppi di pubblico distinti sulla base dei loro interessi. VIDEO ADVERTISING Il video advertising ha due modalità di utilizzo: 1. All’interno del display advertising: la display adv. comporta l’acquisto di uno spazio, in quello spazio anziché di una grafica statica posso inserire un video; 2. Nelle piattaforme video: video su piattaforme video (YouTube, editori video come Netflix, RaiPlay etc.) -> apriamo YouTube, decidiamo cosa guardare, prima che parta il video troviamo un pre-roll = video advertising. Lo spot in pre-roll è il più venduto e utilizzato nel mondo digitale. Oppure mid-roll -> il video pubblicitario interrompe il video editoriale che stavo guardando. Il mid-roll viene utilizzato nei video un po’ più lunghi -> c’è sempre il rischio che il mid-roll faccia uscire dal video (che è un danno sia per il video sia per il mid-roll stesso). Il digital advertising è un cambiamento che non riguarda solo budget, fatturati e tecnologie ma anche, e soprattutto, il modo in cui le marche DIALOGANO con le PERSONE. “Le marche dialogano con le persone” -> questo è il vero impatto del digital advertising. Le marche, inizialmente, persuadevano unidirezionalmente e raccontavano cose ai target. Oggi invece, grazie al mondo digital, le marche e le persone possono dialogare tra loro: la profanazione digital è stata fondamentale in questo. Il digital advertising impatta su: 1. PERSONE: ESPERIENZE -> CONDIVISIONI -> GRUPPI: nel mondo digital, tutto parte dall’esperienza. Ad esempio, oggi abbiamo la possibilità di fare il reso perché le aziende Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 40 sanno quanto l’esperienza abbia un ruolo fondamentale. Se la nostra esperienza è positiva o negativa, lo diremo almeno a una persona (condivisione). Dalla condivisione si creerà un gruppo. È un meccanismo totalmente nuovo di approcciare al mercato che parte proprio dall’experience. Le aziende sono ormai disposte a “sprecare” prodotti pur di far fare esperienza alle persone. Il consumatore non compra perché persuaso, ma perché sposa le dimensioni di identità, senso e appartenenza a una comunità. - Cerca il miglior rapporto qualità/prezzo - Difende i propri diritti - Valuta ed esprime giudizi - È immune da adv. Martellante - Per ogni acquisto riattiva il processo CONSUMER EMPOWERMENT: POTENZIAMENTO DEL CONSUMATORE -> i consumatori hanno acquistato talmente tanto potere che potrebbero addirittura far fallire i brand. La user experience diventa patrimonio del gruppo. 2. BRAND 3. MEDIA BRAND Rispetto al passato, i brand sono cambiati. Fino al pre-digital, i brand ci raccontavano un’utilità oggettiva e assoluta -> ci raccontavano qualcosa di oggetti (es. Dash lava e sbianca). È stato così per tantissimi anni fino agli anni ‘2000: oggi, se i brand si ponessero allo stesso modo fallirebbero velocemente perché non risulterebbero più credibili. Quindi, le aziende oggi ci raccontano opportunità, soggettività legata a experience e relazione. I brand oggi si devono identificare con il target, devono parlare con il proprio target e gestire con esso un rapporto. In passato i brand erano totalmente separati dal target e non vi gestivano un rapporto, poiché l’unico loro obiettivo era la persuasione. L’experience è in grado di influenzare il soggetto. Nel corso del tempo, il concetto di cos’è il prodotto è cambiato radicalmente: 1. Il prodotto è le sue caratteristiche / brand features (Lucky strike, it’s toasted) 2. Il prodotto è ciò che fa / brand benefits (Lavazza, più lo mandi giù e più ti tira su) 3. Il prodotto è ciò che ti fa sentire / brand experience (anni ’90, lacca libera e bella -> fissa libera…fissa bella -> è un meccanismo per dire che se la usi ti senti libera e bella) 4. Il prodotto è ciò che ti fa diventare / brand id (Ferrarelle, vivi effervescente -> Ferrarelle ti fa diventare effervescente) 5. Il prodotto è ciò che condivide con te / brand inclusion (MINI -> Now with even more oxygen -> parla della nuova cabrio e ci parla di un mondo all’aria aperta, libero, pieno di ossigeno). ES. NIKE BY YOU -> le aziende ci permettono di personalizzare i prodotti perché il rafforzamento del consumer empowerment ha portato alla nascita del prosumer che co-costruisce il prodotto -> che porta a una co-costruzione della brand Equity. Ogni volta che compriamo un prodotto NON PERSONALIZZATO, non stiamo facendo molta pubblicità. Se invece personalizziamo molto un prodotto, stiamo facendo pubblicità a quel prodotto personalizzato. Il prosumer diventa sempre di più un ambassador. -> chi personalizza il prodotto sarà felice di dirlo in giro e quindi le aziende ci guadagnano. Si innesta un meccanismo di orgoglio nel dire che hai personalizzato qualcosa. KEVIN ROBERTS - CEO - SAATCHI & SAATCHI I brand fanno pubblicità. È quindi naturale chiedersi come sia cambiata la loro creatività nel corso del tempo. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 41 Kevin Roberts ha studiato il concetto di creatività e brand, che si sposa perfettamente con il mondo digital. È stato CEO di S & S, e ha scritto “lovemarks (the future beyond brands)” -> il concetto di lovemark è stato inventato da Roberts: è stato un pubblicitario e ha fatto creatività per tutta la sua vita. Tutto nasce da una sua riflessione sulla storia del brand -> esistono prodotti non brandizzati (es. chiodi), eppure ci sono fabbriche che li producono. I proprietari di quelle aziende sono felici di non brandizzare perché il costo di comunicazione è uguale a 0. NON TUTTI DEVONO DIVENTARE BRAND. Il prodotto può diventare un trademark, ossia un marchio registrato, in modo tale che nessun’altra possa usare quel nome. Un trademark diventa il brand quando il prodotto diventa brand (P = B + C). Roberts si è posto una domanda e ha capito che il brand non è più una garanzia. Oggi ci sono persone che comprano brand a vita, ma sono sempre di meno perché c’è tantissima offerta. La forza del brand si sta esaurendo, non è più una garanzia. Per sopravvivere, è necessario un altro passaggio. Kevin Roberts dice che se tu hai un brand in via di esaurimento puoi fare due cose: 1. Fallire 2. Diventare un lovemark, cioè un brand che la gente ama e che quindi amerà a prescindere dagli elementi razionali che lo caratterizzano. Queste sono le differenze che Roberts ci descrive tra brand e lovemark. Il lovemark è un po’ avvolto nel mistero -> è rivoluzionario rispetto al mondo di MadMan, perché lascia qualcosa di non detto, invece il brand ci dice tutto. COMMODITIES: quei prodotti per cui non abbiamo né amore né rispetto (es. il mouse del computer; es. le penne Bic); FADS: “fiammate” (es. quando ci piace un cantante per un breve periodo) BRAND: non lo amiamo particolarmente ma nutriamo un forte rispetto; LOVEMARK: forte amore e forte rispetto. DECOMMODIFICAZIONE: ROBERTS dice che, in creatività, per creare un lovemark devo togliere gli elementi di commodity. Bisogna togliere l’utilità, il motivo per cui quel brand può essere utile. Non devo più raccontare cosa fa quel prodotto per me, ma devo raccontare il mondo a cui appartiene. FATHER AND SON: “Keep in touch” -> ci parla dell’importanza di rimanere in contatto, ma nella pubblicità non c’è nessun elemento di commodity, cioè singoli elementi concreti che fanno diventare comodo quel prodotto o quel servizio. Togliendo questi elementi si può trasformare un brand in lovemark -> non è semplice ed è anche rischioso. LE LEVE DEL LOVEMARK (SECONDO ROBERTS) Secondo Roberts si possono usare queste 3 LEVE per creare un lovemark: 1. MYSTERY: devo creare del mistero: c. Great stories -> es. Father and son; d. Inspiration: uno spot deve essere motivazionale per noi, deve cercare di ispirare gli altri e. Myths and icons: parlare di miti e icone f. Past present and future: unire passato presente e futuro; g. Taps in dreams: inserire elementi relativi al mondo dei sogni; 2. SENSUALITY: per essere sensuale, uno spot deve mettere a mente la sensualità servendosi dei sensi -> bisogna tirarli fuori ed evocarli a. Sound b. Sight c. Scent d. Touch e. Taste Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 42 3. INTIMACY: rapporto di relazione a. Commitment b. Passion: qualcosa che prenda dal punto di vista emotivo c. Empathy: introduco elementi di empatia (es. foto di padre e figlio) Il digital ha rivoluzionato le persone, i brand e i media. Abbiamo già parlato di persone, con la nascita del prosumer, e di brand, che passano da persuasione a relazione). I media non rimangono di certo a guardare: in passato, il media imponeva pratiche attraverso una struttura narrativa persuasiva in grado di coinvolgere lo spettatore e la sua rete sociale. Con il tempo, si è passati anche in questo caso dalla persuasione alla relazione. La pubblicità aveva certe caratteristiche, il digital advertising ne ha altre (anche se alcune sono rimaste le stesse) -> in particolare, ha 3 elementi che la pubblicità tradizionale non aveva: 1. Engaging: il digital advertising vuole essere engaging, vuole portarci a interagire. Questa è una caratteristica che in realtà anche la pubblicità tradizionale ambiva ad avere (es. Carosello). in passato l’engaging era “ti prendo? O si, o no”, oggi invece consente comunque di partecipare anche se non si arriva alla fine (es. si clicca sul banner ma non si compra); 2. Basato su dati: nel digital posso sapere in tempo reale quante persone cliccano o semplicemente visualizzano il mio banner; 3. Personalizzabile: Il digital, al contrario della pubblicità tradizionale, permette di poter cambiare la creatività e di indirizzarla alle persone giuste. I SISTEMI DI REMUNERAZIONE -> COME SI PAGA LA PUBBLICITÀ ONLINE? Il fatto che la pubblicità sia basata su dati, fa pensare che anche il modo in cui si paga sia basato su quei dati. In realtà non è così. La pubblicità classica si paga sul GRP -> STIMA DELLA COPERTURA E STIMA DELLA FREQUENZA. Tutti i mezzi si calcolavano con GRP (televisione, radio, cinema, affissione): con la nascita del digital, i centri media hanno provato a calcolare il GRP del digital, ma era fuori-norma. Fare il conto del GRP non aveva senso sul digital, perché c’erano già degli ad-server che fornivano tutti i dati necessari istante per istante. Si è quindi deciso che il digital non si calcola con il GRP, ma con altre metriche su cui poi viene applicato il prezzo. Il digital esce dalle classiche metriche di misurazione e non si parla di costo x GRP, perché ci sono altre misure. Il digital si paga prevalentemente in 2 modalità: 1. COSTO PER IMPRESSION (CPM) -> si chiama CPM e non CPI perché le impression si comprano a pacchetti di mille. 2. COSTO PER CLICK (CPC): nel mondo del SEM si paga per CPC, costo per click. In genere è più caro, è la modalità di acquisto tipica del SEM. Finche non si fa click, il cliente non paga. REAL TIME BIDDING E PROGRAMMATIC È un mondo nuovo ma estremamente presente, il senso è quello di vendere pubblicità con i meccanismi dell’asta. Tutto nacque dalle grandi concessionarie quando incominciarono ad approcciare il digital. Di tutto quello che viene messo in vendita, c’è sempre una parte invenduta, che corrisponde a dei soldi persi (es. Amici, 80’000 a spazio -> se me ne rimane uno vuoto, potrei anche accontentarmi di qualcuno che lo paga di meno, perché è sempre meglio di niente). Si è pensato quindi di inserire questo meccanismo in un paniere automatico, che permettesse di vendere gli spazi come fossero delle vere e proprie aste. È una vendita della pubblicità all’asta, in tempo reale. Tutti i clienti/ CENTRI MEDIA possono offrire denaro e comprare, all’ultimo minuto, degli spazi che normalmente avrebbero pagato molto di più. Al giorno d’oggi le concessionarie utilizzano i programmati non solo per gli invenduti, ma anche per i prodotti TOP, cioè per prendere i clienti che spendono di più. È una piattaforma software a cui accedono centri media e concessionarie, che gestisce da un lato gli spazi che vengono messi sui programmati, dall’altro accedono i clienti facendo offerte. Oggi è talmente consolidato che tutti i clienti decidono in partenza quanti soldi al mese mettere sui programmati. PERCHÉ L’ADV CLASSICO NON BASTA PIÙ? Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 43 Ogni tanto l’adv classico non è più sufficiente per vari motivi principali: - Sovraffollamento - Target volatili -> il target è molto meno definito - Interazioni -> tutti noi siamo abituati a interagire con le ricerche, i prodotti, etc. - La pubblicità classica viene spesso bloccata, o dai software o dagli adblocker aggiuntivi, o dai filtri mentali o fisici. Ci sono delle strade di marketing non convenzionale che si sono esplorate per cercare di aggirare questi ostacoli: - Guerrilla -> modalità che non si preoccupa di non essere lecita, pur di prendere l’attenzione. Non è però detto che l’effetto sia sempre positivo. - Viral - UGC -> User generated content -> in pubblicità non ha mai portato grandi benefici - Influencer - Social LA RICETTA PER I VIDEO VIRALI Mondo viral e mondo influencer sono il presente: non c’è cliente che non voglia lo spot virale o un influencer che lo aiuti a “sfondare”. LA VIRALITÀ Non esiste una ricetta per fare uno spot virale. Virale significa che le persone si girano il video commerciale tra di loro senza che il cliente paghi. Un filmato pubblicitario, per diventare virale deve superare tre step: - Attivare la visione: per farlo -> (1) il titolo deve essere semplice, chiaro, diretto, comune; (2) deve portarti una sorpresa subito (era la regola dei 5 secondi della pubblicità); (3) oltre alla sorpresa deve ingaggiarti, cioè portarti dentro al video e deve parlare di una cosa sola (usp). - Far vedere fino in fondo: è impossibile che una persona inoltri un video che non ha visto fino in fondo. Perché un video sia viralizzato deve essere visto fino alla fine. (1) Deve rispettare le regole dello storytelling; (2) devono esserci emozioni alternate, altrimenti mi annoio; (3) deve utilizzare un linguaggio universale/filo conduttore orizzontale, su cui vengono poi inserite delle linee verticali (altrimenti mi annoio); (4) deve essere messa in atto una decommodificazione; (5) uso della musica (ad esempio è importante nei video brevi, anche per accompagnare lo storytelling). - Far condividere: (1) lo spot deve essere affine a noi, perché saremo più propensi a condividerlo; (2) decommodificazione -> se vedo un video che è troppo legato al brand, non tenderò a condividerlo; (3) making of -> un video che inizia a viralizzarsi può avere un booster in più se subito dopo pubblico il suo making of. INFLUENCER MARKETING DIFFERENZA TRA TESTIMONIAL E INFLUENCER: Il testimonial è un personaggio famoso (attore, calciatore, sportivo, cantante..) che presta la sua immagine sotto compenso a un cliente, brand, prodotto. Viene contrattualizzato per fare l’”attore” -> es. Ibrahimovic è il testimonial di verymobile; Clooney per Nespresso.. -> sono persone note a cui la gente dà fiducia, che vengono assoldate per fare gli attori di un determinato spot. I contratti si fanno solitamente in esclusiva merceologica -> Ibrahimovic può fare pubblicità ad un altro prodotto che non sia di telefonia. Altri clienti decidono di avere il testimonial in esclusiva totale -> Ef. Fabio Fazio con il gioco del lotto. Il meccanismo è “se l’ha detto lui, mi convinco”. L’influencer è una persona che è esperta in un determinato settore. Questa esperienza gli viene riconosciuta dalle persone, cresce in termini di follower e visibilità. Il brand deve fare attività verso l’influencer, deve prima identificarlo e poi fare attività di brand nei suoi confronti (come se fosse un target). Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 44 1. Identificazione degli influencer e loro classificazione in ordine di importanza; 2. Azione di marketing rivolte agli influencer per aumentare la conoscenza dell’azienda nelle loro comunità; 3. Azioni di marketing tramite gli influencer per aumentare la conoscenza dell’azienda sul mercato e le community; 4. Conversione degli influencer in ambasciatori dell’azienda. L’influencer non ha un copione come il testimonial -> l’influencer è libero di trattare il tema a modo suo, altrimenti perderebbe la sua credibilità come tale. Al brand questo piace perché altrimenti sarebbe pubblicità palese e non funzionerebbe più. I 4 fattori che vengono considerati per la scelta dell’influencer: 1. Reach: numero di follower a cui un influencer si rivolge attraverso i social; 2. Relevance: grado di affidabilità attribuito dalla propria audience; 3. Resonance: capacità di evocare sentimenti, emozioni o valori condivisi; 4. Relationship: chiarezza di rapporto fra brand e influencer. Ci sono dei tools per selezionare automaticamente gli influencer grazie all’incrocio tra il brief di un cliente e i contenuti, interazioni degli influencer (incrocio tra domanda e offerta). Un esempio è BUZZOOLE. UNITÀ DIDATTICA: SOTTO LA SOGLIA Per fare bene lo storytelling (raccontare storie in modo tale che la gente le ascolti) c’è bisogno dell’incrocio di diverse linee narrative, una orizzontale (qualcosa che porta dall’inizio alla fine, la trama) e altre verticali che si intersecano. L’apoteosi deve essere in chiusura. La storia di base deve essere interrotta da “micro-storie” verticali. Ci sono molti altri modi di fare storytelling. SOUND BRANDING E PUBBLICITÀ SUBLIMINALE: COME SUPERARE I FILTRI RAZIONALI Subliminale: dal latino, “sotto la soglia” -> si parla della soglia della percezione cosciente, cioè tutto quello che noi vediamo ascoltiamo e percepiamo lo decodifichiamo coscientemente. Ci sono però delle cose che percepiamo e non siamo consapevoli di aver percepito. Si può fare pubblicità in modo che le persone assimilino le pubblicità senza che se ne accorgono? Si può fare pubblicità subliminale sotto la soglia della percezione cosciente? La risposta è no. Se mai esistessero pubblicità del genere, sarebbero illegali. La pubblicità deve essere sempre esplicita e il ricevente deve essere consapevole di star subendo un attacco pubblicitario in modo tale da potersi difendere. Questo vale in tutto il mondo e in tutti i formati. Esistono però dei formati o delle tattiche che superano i filtri della coscienza? L’audio logo ci trasmette valori, identity, emozioni, proprio perché l’audio passa attraverso il cervello quasi di nascosto. L’audio logo deve avere un obiettivo ben preciso (cosa deve trasmettere? Es. BMW vuole trasmettere il posizionamento -> potenza, velocità, scatto). Il suono non è un accessorio. Il suono è una leva emozionale. Il suono crea brand identity. IVAN PETROVIC PAVLOV (1897) Medico, fisiatra, studioso del corpo umano. Pavlov è stato lo scopritore e normalizzatore del riflesso condizionato. Prese un cane e del cibo; diede il cibo al cane che vedendolo incominciò a salivare dalla bocca -> successivamente, in un altro caso, fa suonare una campanella e il cane non reagisce -> nel terzo caso, gli dà del cibo mentre fa suonare la campanella -> nel quarto caso, il cane incomincia salivare solo sentendo il suono della campanella = riflesso condizionato. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 45 Se la pubblicità funzionasse come una campanella potrei arrivare al punto in cui le persone iniziano ad avere voglia del mio prodotto soltanto vedendo la pubblicità. Packard parlò di queste teorie nel suo libro “I persuasori occulti”, dicendo di fare molta attenzione a questi meccanismi. James Vicary, il 12 settembre 1957, decise di provarci. Ha fatto due cose -> in un cinema di Fort-lee, nel New Jersey, durante l’introduzione del film Picnic inserì delle pubblicità che esortavano a mangiare pop corn e bere Coca-Cola. Queste immagini venivano mostrate in lassi di tempo davvero brevi, a tal punto che le persone non si accorgevano neanche di averle viste. L’esperimento consisteva nel testare l’impatto di questi messaggi rivolti direttamente all’inconscio. Successivamente, Vicary pubblicò un rapporto dicendo che l’acquisto di coca cola nel cinema era aumentato del 18%, di popcorn del 57% = la pubblicità subliminale funzionava. Il governo americano minacciò di ritirare la licenza a qualsiasi organizzazione che usasse questo tipo di pubblicità. Nel 1962, Vicary confessò su una rivista che si era inventato tutto, e che l’esperimento non era mai stato fatto. Tutti gli stati evoluti che fanno pubblicità vietano la pubblicità subliminale, e impongono che la pubblicità sia dichiarata ed esplicita. Esistono anche delle leggende metropolitane riguardo a delle grafiche che conterrebbero delle pubblicità subliminali. AMAZON E FEDEX: DUE CASI DICHIARATI Amazon trasmette con la sua iconografia che vende tutto, dalla A alla Z. In FEDEX c’è una freccia tra la E e la X. SOMMINISTRAZIONE CONTESTUALIZZATA La somministrazione di pubblicità deve essere sempre contestualizzata e dosata -> non deve diventare palese altrimenti crea l’effetto opposto nelle persone. RIASSUMENDO: si può fare pubblicità subliminale? NO, ma la ricerca di formati che entrino dichiaratamente in modo pubblicitario ma senza disturbare è il pane quotidiano della comunicazione odierna. UNITÀ DIDATTICA: FUORI O DENTRO La pubblicità oggi si può fare in due modi: 1. In modo sorprendente; 2. In modo contestuale. A questo bivio si è arrivati solo oggi. Da quando è nata la pubblicità come tecnica fino alla fine del ‘900, è sempre esistita unicamente la pubblicità sorprendente. La pubblicità contestuale è molto più attuale. Abbiamo detto che il primo obiettivo del pubblicitario è quello di catturare l’attenzione dello spettatore; l’attenzione è un filtro umano selettivo che fa sì che alcuni stimoli vengano percepiti e altri ignorati -> questo è il concetto storico e classico di attenzione, che la descrive come una forma di selezione. La pubblicità ha sempre avuto l’obiettivo di infilarsi in quello sguardo e quindi di sorprendere. C’è però un nuovo concetto di attenzione che attualmente si sta facendo strada -> faccio una cosa, sono attento a una cosa, ma contemporaneamente sono parzialmente attento anche ad un’altra cosa. L’esempio più tipico è lo smartphone: sono attento a qualcosa ma contemporaneamente il 10% della mia attenzione sta sul telefono e i messaggi che mi arrivano. Quindi non è un’attenzione selettiva, ma c’è una compenetrazione dei due mondi. Oggi l’essere umano è cambiato fisiologicamente: è sempre meno basato sul concetto di attenzione selettiva, e lo è sempre di più sul concetto di attenzione parziale continua. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 46 Ad esempio, gli anziani hanno una forma basata molto di più sull’attenzione selettiva: il cervello delle scorse generazioni è sempre stato così; le nuove generazioni sono invece molto più sbilanciate sul concetto di attenzione parziale continua, siamo abituati a stare attenti a più cose contemporaneamente. Questo, ai fini pubblicitari, cambia tantissimo -> nel primo caso, una pubblicità deve entrare nel mondo in cui la persona è attenta e fare i fuochi d’artificio. Nel secondo mondo può invece entrare in modo più soft, delicato, con poca somministrazione, in modo da non disturbare e da accendere e stimolare poco a poco l’attenzione parziale continua. Se riesco a fare in questo modo, evito il disturbo -> i fuochi d’artificio possono funzionare ma è come un’entrata a gamba tesa (sto guardando un film e all’improvviso arriva la pubblicità del detersivo) che tenta di portare l’attenzione da un’altra parte; se invece riesco a entrare con una piccola “scintilla”, in modo da non disturbare e conducendo lo spettatore stesso a voler guardare quello che io gli sto propinando, il disturbo sarà eliminato. - FUORI: COMUNICAZIONE SORPRENDENTE -> è la pubblicità per antonomasia, inventata in America, che esiste tutt’ora in modo predominante. Deve sorprendere, entrando nella mente del ricevente per OPPOSIZIONE. Deve lavorare per divergenza. Esempio: tu stai guardando il film romantico, ti devo portare fuori, ti devo far divergere raccontandoti un’altra storia. Come si fa? Andando ad analizzare: d. Aspettative: quali sono le aspettative del pubblico in quel preciso momento? Analizzo le aspettative e dico l’opposto; e. Contesto: qual è il contesto? Lavoro in opposizione e cambio ambientazione; f. Tone of voice: qual è il tono? Es. sussurrato, devo creare sorpresa -> urlo. P.S. queste non sono tecniche della pubblicità, ma tecniche dello storytelling. I più bravi a utilizzare le tecniche della sorpresa sono quei brand che non hanno nulla da dire -> es. Vigorsol: ci vuole dire solo che esiste, ci ricorda di prendere vigorsol in tabaccheria piuttosto che un’altra marca. È una creatività che lavora proprio sul creare l’effetto sorpresa. ANALISI PUBBLICITÀ VIGORSOL Lui, nel massimo dello stereotipo, entra con i fiori e trova per terra indizi del fatto che la sua donna si è spogliata. Sale al piano di sopra e trova lei a letto -> chi sta vedendo si aspetta di vedere un altro uomo, invece arriva un koala (mascotte di Vigorsol) = EFFETTO SORPRESA. ANALISI PUBBLICITÀ VIVIDENT Ci sono più pause per creare sorpresa nello spettatore. Ci aspettiamo che venga raccontata una storia (es. che sia stato adottato), invece dice tutt’altro (primo momento sorpresa) Secondo momento sorpresa -> anche io ho qualcosa da dirti.. + tormentone (sono una marionetta) Parte istituzionale di copy -> sorpresa nella sorpresa -> è vestito come un bravo conduttore ma di nuovo effetto sorpresa perché sta sul tetto di un grattacielo, su cui poi atterra una balena e non un elicottero. C’è una continua ricerca della sorpresa. CASE HISTORY: INTERVALLO 2.0 Negli anni ’70-’80, in Rai le trasmissioni si interrompevano del tutto. Era una cosa molto frequente e il televisore andava in nero, dopodiché appariva un annuncio in cui c’era scritto “ci scusiamo per l’interruzione”. Se durava troppo tempo, partiva l’intervallo -> una successione di cartoline dell’italia, con il nome della città e musica caratteristica classica in sottofondo. In quegli anni era molto frequente, e quindi quella musica e quelle immagini erano un po’ come il Carosello, erano diventati parte dell’immaginario collettivo (anche se in realtà era un problema). È nata quindi l’idea di creare l’intervallo 2.0, per raggiungere quei clienti che non avevano lo spot e non si avvicinavano alla televisione perché non avevano abbastanza soldi -> è nata quindi l’idea di chiedere a questi clienti 3-4 foto del prodotto in affissione o del catalogo, lavorandole poi sotto forma di intervallo, scrivendo una frase e inserendo la musica dell’intervallo. Tutto ciò con 2.000 di montaggio e poi la pianificazione. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 47 Dalle ricerche qualitative venne fuori che molti rimanevano sorpresi, cosa che in realtà non era stata minimamente presa in considerazione. Era un formato nato a fini commerciali, con l’obiettivo di far spendere poco ai clienti. Pensavano di raggiungere il pubblico più anziano -> che si sarebbe ricordato l’intervallo. Tuttavia dalle ricerche è uscito l’effetto sorpreso. In realtà era il tone of voice che creava l’effetto sorpresa: prima e dopo c’erano altri spot “normali” che erano molto urlati: abbassare il tono creava molta sorpresa. - DENTRO: COMUNICAZIONE CONTESTUALE -> deve lavorare per rilevanza, entrando nella mente del ricevente per analogia. Esempio: tu stai guardando il film romantico, ti devo raccontare di cioccolatini, gioielli, fiori, devo entrare in quella storia, in quel testo. Da qui discende il concetto di advertising. Per lavorare in analogia, anche in questo caso devo analizzare i tre elementi, ma invece di andare in opposizione devo lavorare in continuità: a. Aspettative: cosa si aspetta lo spettatore? Lavoro in continuità b. Contesto: es. contesto rilassato -> rilassato c. Tone of voice: qual è il tono? Sussurrato -> prodotto che sussurra David Ogilvy, nel 1983, disse: “Non c’è nessuna legge che dice che la pubblicità debba sembrare pubblicità. Se tu la fai sembrare una pagina di stampa editoriale, attrarrai più persone”. La legge dice che la pubblicità deve essere palese, ma nessuno dice che non possa essere simile ad altro. I formati che lavorano in questa direzione (sempre nel mondo contestuale - dentro) sono: 1. Product placement (inserimento di prodotto): È il posizionamento di un prodotto a fine pubblicitario, in modo contestuale, all’interno della storia. Il prodotto si deve integrare bene nella storia. Es. programma di cucina, Alessandro Borghese usa lo Scottex per pulire l’aceto balsamico. Non è uno spot, nessuno dice nulla sul prodotto, ce lo fanno vedere unicamente nel suo utilizzo. Se fatto bene, il product placement è molto più efficace della pubblicità persuasiva (che cerca di convincere a parole). Da qui si scatena anche un mondo di valori: se Brad Pitt utilizza la 500, avremo una concezione valoriale più alta di quell’auto (in base a quello che pensiamo del suo testimonial). Normalmente viene distinto in 3 modalità: d. Screen placement: è l’inserimento visuale, es. inserimento bottiglia d’acque in un film; e. Script placement: è l’inserimento verbale. È meno utilizzato perché è molto più difficile, e se utilizzato male diventa pacchiano. Es. “passami l’iPhone”, detto in un film; f. Plot placement: è una forma di product placement talmente integrata alla storia da diventare esso stesso storia. Es. Benvenuti al Sud, in cui tutto ruota tutto attorno all’ufficio postale (Poste Italiane). Se tolgo il cliente, devo riscrivere l’intera storia. Due esempi importanti sono “Colazione da Tiffany” e “Il diavolo veste Prada” -> il placement è così evidente che entra addirittura nel titolo. LE NORMATIVE CHE DEFINISCONO IL PRODUCT PLACEMENT L’Italia è stato il primo paese a normare il product placement con il decreto Urbani nel 2004: la presenza di marchi e prodotti deve essere palese, veritiera e corretta e si deve integrare nello sviluppo dell’azione, senza costituire interruzioni, e, comunque, deve essere coerente con il contesto narrativo. Vi è l’obbligo di inserire un avviso nei titoli di coda con la specifica indicazione delle ditte inserzioniste. Il mancato adempimento comporta l’esclusione dall’elenco delle imprese per il periodo di due anni. La legge UE del 2008 dice invece che l’inserimento dei prodotti è sempre vietato nei programmi per bambini o per tabacco e medicinali (negli anni ’70 era pieno di film in cui si vedevano pacchetti di sigarette e alcolici, perché non si poteva più fare pubblicità alle sigarette e quindi si utilizzava questo tipo di product placement che però non era normato); è ammesso nei film per il cinema e le tv, nelle fiction, nelle serie tv, nei programmi sportivi e nei programmi di intrattenimento leggero. Il testo unico del 2010 raccoglie tutte le informazioni sul product placement e supera le precedenti normative. Specifica che l’avviso di inserimento di product placement va inserito all’inizio del programma, alla ripresa dopo ogni break e in coda con i loghi. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 48 Perché il product placement è così utilizzato? Perché è diventato un modello di business estremamente fruttuoso -> per il cliente, se fatto bene, è un modo per fare pubblicità in modo intelligente. Costa parecchio, forse anche di più della pubblicità normale. È diventato un modello di business per chi fa il prodotto editoriale: es. chi fa un film deve sostenere un costo enorme e un introito che dovrà essere maggiore del costo e che arriverà molto dopo. Nel ‘900, quando non c’erano piattaforme di streaming, la Warner Bros spendeva 10 milioni di euro per fare un film -> dopo un anno il film è pronto -> va nelle sale e inizia a incassare -> nel frattempo sono passati 2 anni. Ecco perché le società di film sono grandi case, per essere in grado di sostenere i costi dopo tanto tempo. Con il product placement, ancora prima di girare i film, gli agenti pubblicitari, con lo script del film, vanno a cercare i clienti. Si inizia a produrre con il product placement già venduto. Mentre giro quindi starò già incassando i soldi del PP. È questo il motivo per cui al giorno d’oggi non c’è programma che non abbia un product placement al suo interno. Si deve però inserire in maniera naturale, non deve essere forzato: se non ci fosse, farei comunque la storia in quel modo? Inoltre, è importante ricordare che è talmente vincolante il fatto che sia palese, che nel caso in cui non ci sia PP, è obbligatorio nascondere il marchio. 2. Branded content (contenuto brandizzato): è un contenuto prodotto da un cliente pubblicitario, con l’obiettivo di pubblicizzare sé stesso, raccontando i propri valori e usandoli come leva per incrociarli con i nostri. Il contenuto non deve necessariamente essere una promozione per il brand. È un contenuto fatto dal cliente (brandizzato). Come nel product placement, meno lo brandizzo e meglio è. Abbiamo detto che il PP, se fatto bene, non disturba. Il branded content, se fatto bene, piace al punto tale che le persone lo cercano di loro spontanea volontà. Per il cliente, sono soldi spesi bene, per l’editore è un modello di business, perché se un prodotto è fatto dal cliente vuol dire che non lo devo fare io, quindi per l’editore avere un branded content vuol dire risparmiare la produzione di qualcos’altro. Tutto ciò che va in onda sul mondo digital costa, se c’è un contenuto fatto dal cliente, nella migliore delle ipotesi il cliente mi paga ma anche se non mi paga sto risparmiando soldi per produrre altre cose. I branded content sono quasi sempre in serialità, messi sul digital. Il modello è “ti racconto i valori del mio brand senza parlarti del mio brand; faccio storytelling e ti racconto una storia che tu vuoi seguire a prescindere che sia fatta o meno da me". Es. io faccio caffè -> sai che per fare il caffè noi mettiamo insieme delle aziende familiari in giro per il mondo? Ti racconto una storia e ti parlo dei miei valori. Se fatto bene, se il prodotto c’è e non c’è, io creo la storia delle piantagioni di caffè, la metto su YouTube e le persone vanno a cercarla. Tutto il mondo della pubblicità vive con l’obiettivo di rubare l’attenzione; in questo caso addirittura faccio arrivare le persone a cercare la mia pubblicità, perché è il racconto di una storia che li ha appassionati. Il brief perfetto di un branded content è una sola parola, un solo valore (USP). Deve affascinare e interessare le persone invogliandole ad andarselo a cercare. È la rivoluzione della pubblicità. Il branded content può nascere dal cliente, ma può nascere anche da agenzie o creativi (freelance a cui viene in mente un filone e lo presentano). I branded content possono essere estremamente valorizzati, decommodificati, con il brand quasi nascosto (es. Garofalo) oppure parlano tanto del prodotto fino a farlo diventare oggetto del branded content ma non a livello pubblicitario, piuttosto su come è fatto (es. Audi). ILLY Illy racconta una storia che diventa una serie, ma è pubblicità. È fatto da Illy, ma allo spettatore non disturba che sia fatto da lui. È un contenuto fatto dal brand che ci vuole portare a casa sua, ma invece di parlarci del prodotto ci parla dei suoi valori. GAROFALO Dovendo lavorare sull’amicizia, sono partiti da due potenziali nemici -> tifosi di squadre avversarie. Il meccanismo è far diventare amiche due tifoserie avversarie. Hanno organizzato con persone vere delle partite di pallone, per strada, e poi li hanno portati a vedere la partita vera delle rispettive squadre. La squadra che perde avrebbe dovuto ripulire lo stadio. La pasta non appare se non in un’inquadratura. Ci vogliono raccontare il mondo dell’amicizia. Il concept creativo da cui sono partiti è l’ospitalità in campo. Garofalo è l’alone che emerge da queste storie -> non è comunicazione diretta, il brand compare solo sul camioncino ma diventa la firma dell’operazione e si lega ai valori. Storie orizzontali + storie in verticale = storytelling ben fatto. Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 49 AUDI Non si parla di Audi in termini commerciali, ma in termini di sguardo al futuro, dei loro progetti e dei prototipi a cui stanno lavorando. Questo tipo di filmati nascono dalle aziende stesse e sono più semplici, perché non hanno bisogno di creativi -> si spera di raggiungere il target specifico di appassionati di design, di auto, di Audi; invece nel caso di Illy o Garofalo si poteva raggiungere chiunque. Questo di Audi è un filone più standard. BARILLA Branded content sulla storia della carbonara -> cercano di intercettare un pubblico a cui probabilmente non interessa Barilla, ma forse la storia della carbonara sì. Il filmato, messo su YouTube gratuitamente, ha fatto 6,7 MLN di visualizzazioni. Non è “compra Barilla”, ma è “vediamoci insieme un film”. Il rapporto che si instaura è totalmente diverso -> è come se brand e pubblico stessero guardando insieme il contenuto. LEVISSIMA (FATTO MALE) Non c’è storytelling, non racconta nulla. La musica non è adatta. Non ci sono valori. Il brand è troppo evidente, soprattutto perché appare all’inizio. Alla fine sarebbe stato più corretto. 3. Native advertising (pubblicità nativa): È la versione web di questo mondo, meno utilizzato. CONCETTI DA SAPERE (domande d’esame) - Comunicazione sorprendente o contestuale? - Il piano media - Dal palinsesto al palbreak - I flight - Lovemarks - Il programmatic - I manuali di immagine coordinata - La marca e il prodotto - Le fasi storiche del logo - Consumer empowerment - Gli influencer - La guerrilla - I sistemi di remunerazione digital - La pubblicità subliminale - Google ADS - Il modello di Aaker - Il GRP - Il branded content - Le stime di ascolto - Il product placement - Le impression - L’attenzione parziale continua - La color emotion guide - L’affollamento pubblicitario - Il modello di Séguéla - Il retargeting - Il branded content - Seo/Sem Tecniche della pubblicità Paola Piccardi (Prof. M. Lanzarone) Document shared on https://www.docsity.com/it/tecniche-della-pubblicita-sbobinature-domande-d-esame/10907757/ Downloaded by: desoooo ([email protected]) 50 - Il sound branding BUONA FORTUNA

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