Corso di Tecnologia e Legislazione Farmaceutiche I - Appunti PDF

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Questi appunti trattano il corso di Tecnologia e Legislazione Farmaceutiche I, quarto anno. Coprono l'introduzione alle forme di dosaggio, la tecnologia farmaceutica, il destino dei farmaci e i processi LADME. I concetti chiave includono il principio attivo (PA), eccipienti, forme farmaceutiche, e l'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC).

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Corso di TECNOLOGIA E LEGISLAZIONE FARMACEUTICHE I IV ANNO PROF. MATTEO CEREA ANASTASIA ANNA FOPPOLI Appunti di MOHAMED NUR Pag. |1...

Corso di TECNOLOGIA E LEGISLAZIONE FARMACEUTICHE I IV ANNO PROF. MATTEO CEREA ANASTASIA ANNA FOPPOLI Appunti di MOHAMED NUR Pag. |1 INTRODUZIONE Raramente gli API si somministrano da soli come tali. Per API si intende la molecola attiva, il principio attivo, la molecola attiva. [sostanza che possiede attività terapeutica, diagnostica o preventiva] Solo il mannitolo si usa come PA tale e quale, si ricorre infatti praticamente sempre all’impiego di forme di dosaggio [i cui sinonimi sono forma farmaceutica, forma dose, formulazione, preparazione] che sono frutto di operazioni tecnologiche con cui si ottiene il prodotto finale. Con forme di dosaggio si intendono soluzioni acquose come gocce orali, flaconcino o sistemi sofisticati [es. pompe osmotiche] dietro ai quali c’è un design, una progettazione. Sono allestite avvalendosi di eccipienti [sostanze ausiliarie di formulazione] e materiali di confezionamento che non devono possedere attività farmacologica ma specifiche caratteristiche funzionali che favoriscano a] le operazioni di preparazione e b] la performance terapeutica del principio attivo La tecnologia sviluppa prodotti che abbiano una adeguata performance terapeutica. Nel prodotto che contiene il principio attivo, questi eccipienti concorrono a determinarne l’attività. Il prodotto farmaceutico dovrebbe: Produrre specifico effetto legato al PA, alla concentrazione, alla formulazione (ad esempio pronto rilascio o rilascio prolungato), ad esempio un dolore cronico o un dolore acuto sono trattati con lo stesso PA, ma fa la differenza la forma farmaceutica; essere somministrato attraverso la via più accettata → si cercano di formulare compresse, dato che le forme orali risultano più facili da produrre, più stabili e sono le più accettate, ma se ci fosse una specifica esigenza (bisogna ad esempio produrre un prodotto cutaneo o un prodotto biologico) userò altre vie di formulazione e somministrazione (prodotto biologico si somministra per via parenterale). Ad esempio, considerando l’insulina, essa garantisce il controllo glicemico e si produce mediante pompe, sistemi evoluti, ma la somministrazione è ipodermica, invasiva e comporta infezioni. Negli anni ’90-2000 si è arrivati ad un prodotto polmonare che presentava alcune limitazioni perché bisognava somministrarla come una polvere da respirare a base di insulina ma dato che il diabetico si auto-somministra il farmaco, questo metodo tendeva a migliorare l’aderenza alla terapia (compliance). - Minima dose possibile; - Minima frequenza possibile: per evitare di dimenticare l’assunzione - Insorgenze e durate ottimali dell’effetto: dovendo produrre per esempio un prodotto per il dolore, l’insorgenza deve essere più tempestiva possibile. - Minimizzare gli effetti collaterali - Bassi costi e facile da produrre - Eleganza farmaceutica: fare il prodotto che risponda a dei requisiti attesi nella sua forma migliore possibile. Ad esempio, se bisogna sviluppare una compressa del PA del Lorazepam (dosaggio del PA 1 mg), quale sarà il peso della compressa, quanto grande sarà la compressa? Il paziente vorrebbe una compressa piccola, maneggevole, dato che una compressa troppo piccola “potrebbe scappare” dalla confezione. Formulare un PA elegante implica che esso presenti il minimo peso, che sia funzionale, maneggevole, con la minima quantità di eccipienti che gli conferiscono tutte le caratteristiche, ovvero resistente dal punto di vista meccanico, ma che contemporaneamente in vivo dia la performance attesa. Se la compressa fosse effervescente la dimensione non sarebbe più fondamentale, dato che va messa in acqua per ottenere un liquido da bere, eleganza in questo caso implica che deve dare una bella effervescenza, non bisogna avere bolle, spume, pezzi che non si possono vedere in soluzione. Attualmente, si punta all’eleganza, ovvero ad una formulazione semplice, rispetto ad una formulazione inutilmente compressa; - Stabilità chimica e fisica per il periodo di validità: per stabilità chimica si intende che la molecola deve essere integra dato che è possibile che si degradi per processi di idrolisi, ossidazione ecc... Per stabilità fisica si intende invece il mantenimento delle caratteristiche fisiche del PA [poichè il polimorfismo, solvomorfismo, quindi un cambiamento di stato solido, è uno stato di instabilità]. Pag. |2 Instabilità fisica implica che è successo qualcosa per cui da una condizione di sottosaturazione si è arrivati ad una saturazione di solidi. Questo si constata quando aprendo una crema cosmetica, esce dell’olio: si è avuta una separazione di fase Quando si parla di Tecnologia Farmaceutica, occorre considerare che i termini farmaco e medicinale non sono intercambiabili: il farmaco è il principio attivo che svolge l'azione farmacologica, mentre il medicinale è l'oggetto tecnologico che contiene il farmaco; quindi, il medicinale è il prodotto finale derivante da eccipienti, confezionamento primario e secondario. Il medicinale, secondo il Decreto Legislativo 219/06, è così definito: - Ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane (questa definizione si fonda sugli aspetti formali); - Ogni sostanza o associazione di sostanze che possa essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’attività farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica I medicinali possono essere utilizzati industrialmente (AIC/AP) oppure in farmacia: i prodotti industriali sono quei prodotti che hanno un’autorizzazione all’immissione in commercio e sono stati prodotti in officine specializzate, mentre i prodotti allestiti in farmacia non hanno l’AIC ma hanno una fonte di legittimazione. In questi due casi (farmacie o industrie) va rispettata la normativa vigente. Come si riconosce un medicinale da ciò che un medicinale non è, basandosi sulla definizione sopra citata? Il paracetamolo è il PA, un esempio di medicinale a base di paracetamolo è la tachipirina compresse da 500 mg, la tachipirina compressa da 250 mg, oppure il tachi-fludec alla menta, al limone o la supposta. Esistono anche prodotti che contengono paracetamolo che non sono medicinali, come la vitamina C. Da cosa capisco che il prodotto è un medicinale? Perché il medicinale ha una AIC, numero di autorizzazione all’immissione in commercio, viene rilasciato da un ente regolatorio AIFA, con un numero progressivo, con un titolatore dell’autorizzazione all’immissione in commercio (Angelini), con precisazione di dove è la sede legale del titolare dell’AIC. Ad esempio, la tachipirina medicinale ha una certa composizione, ogni bustina contiene PA messi in ordine di quantità. L’integratore invece non ha una composizione ma degli ingredienti. Inoltre, nella composizione del medicinale abbiamo istruzioni per l’uso che riportano le indicazioni terapeutica e le modalità di assunzione. Per l’integratore non abbiamo vere e proprie integrazioni, abbiamo indicazioni senza scritte terapeutiche. Bisogna considerare che registrare un prodotto come medicinale ha costi superiori rispetto ad un prodotto non medicinale. Pag. |3 Per arrivare ad ottenere l'AIC di un medicinale, che in inglese prende il nome di MA (Marketing Authorization), i passaggi di ricerca sono numerosi: - Ricerca NCE (Nuove Entità Chimiche): sintesi organiche, isolamento da piante o modificazioni molecolari (discovery di nuove molecole) - Studi preclinici: fase in cui si valutano le proprietà chimico-fisiche, proprietà farmacologiche, farmacocinetiche e tossicologiche, preformulazione (prime forme di somministrazioni per animali, compatibilità, stabilità del principio attivo). Si parla di studi preclinici perché sono gli studi che si conducono prima di andare sull'uomo. - Studi clinici: sono le fasi I, II e III, così distribuite: Fase I: studio della sicurezza su volontari sani. Fase II: studio della sicurezza e dell'efficacia su pazienti volontari in numero limitato. Fase III: studio della sicurezza e dell'efficacia su pazienti volontari in larga scala. Se il prodotto è in fase III, la probabilità che effettivamente possa arrivare sul mercato è abbastanza alta, ma non si ha la certezza, perché tutti i farmaci possono manifestare problematiche fino alla fine, o talvolta anche in fase post-marketing (ad esempio, la talidomide). - Sviluppo farmaceutico: viene condotto in parallelo agli studi clinici e prevede studi di formulazione, fabbricazione e test di controllo, anche rispetto al packaging e al label desing. - Post-marketing: dopo aver presentato richiesta di AIC e aver ottenuto l'approvazione, il farmaco esce sul mercato. Inizia così la fase IV, che comprende la farmacovigilanza, che controlla le reazioni avverse, ulteriori indicazioni, la product extension line (nuove formulazioni di un prodotto già in commercio). Queste ripercorrono delle ere di sviluppo farmaceutico. Le forme di dosaggio si possono classificare in base: - forma fisica: forma nella quale la forma di dosaggio è presentata (preparata/conservata), che non necessariamente coincide con la dose che assumiamo. Ad esempio, la compressa è la forma di dosaggio equivalente alla forma di somministrazione; ma la tachipirina effervescente possiede una forma di dosaggi solida, ovvero la compressa, ed una forma farmaceutica di somministrazione che è una soluzione dato che la compressa si mette in acqua e si ottiene una soluzione (o sospensione in base al fatto che il PA è solubile o no in acqua) Pag. |4 - via di somministrazione: - modalità di liberazione del principio attivo: pronto rilascio o rilascio prolungato; quindi, si possono avere forme di dosaggio che liberano il principio attivo immediatamente dopo la assunzione, o altre forme programmate per rilasciare il principio attivo in un momento determinato del tempo. La modalità di liberazione risulta convenzionale o non convenzionale, in ogni caso la forma farmaceutica, per definizione, è al centro del controllo della liberazione del PA Quale è il destino del farmaco dopo la somministrazione della forma di dosaggio? Bisogna considerare il destino del PA introdotto nell’organismo attraverso la via di somministrazione. Si considerano per questo motivo i processi LADME grazie ai quali si libera il PA dalla forma farmaceutica. Nel caso della compressa, ad esempio, avviene una disgregazione della compressa stessa, si verifica poi passaggio in soluzione del PA e il suo assorbimento. Il PA contenuto in una compressa subisce quindi una: ▪ LIBERAZIONE: Passaggio del farmaco dalla forma farmaceutica ai fluidi biologici nel sito di somministrazione. ▪ ASSORBIMENTO: Passaggio del farmaco dal sito di somministrazione al sito di campionamento (compartimento centrale- es. sangue). ▪ Disposizione: Somma di distribuzione ed eliminazione ▪ DISTRIBUZIONE: trasferimento reversibile del farmaco dal sangue ai vari distretti. Solitamente, dal compartimento centrale si distribuisce al sito d’azione per svolgere l’azione terapeutica desiderata, ad esempio per raggiungere il SNC passa la BEE, raggiunge quindi la sede centrale e trova i recettori Pag. |5 su cui agire. Il compartimento di destinazione è in equilibrio con il compartimento centrale; infatti, il farmaco legato a tessuti si distribuisce ai siti non desiderati, questo è responsabile degli effetti avversi collaterali che non si possono evitare dato che il prodotto si distribuisce in sedi che non sono quelle target, nonostante il PA sia formulato per andare sul mio target desiderato. ▪ METABOLIZZAZIONE: perdita irreversibile del PA attraverso reazioni chimiche mediate solitamente da enzimi ▪ ESCREZIONE: perdita irreversibile del farmaco inalterato. Il farmaco come tale si filtra mediante il sistema renale e si trova nelle urine, se si trova invece come prodotto di degradazione allora significa che nel compartimento centrale è stato metabolizzato e i suoi metaboliti sono escreti nelle urine. ▪ Eliminazione: perdita irreversibile del nell’organismo, dovuta a qualsiasi fenomeno che porta al venire meno del PA come tal nella circolazione sia escreto come tale o escreto-trasformato in un metabolita Ricapitolando, una volta che la forma di dosaggio è stata somministrata, il destino del farmaco è controllato dai processi di LADME. Questo prevede diversi passaggi. La liberazione è il passaggio dalla forma farmaceutica ai fluidi biologici nel sito di somministrazione. Vi sono poi assorbimento, disposizione, distribuzione, metabolizzazione, escrezione ed eliminazione. Per la somministrazione orale il sito di assorbimento risulta il tratto GI; infatti, il farmaco passa nel torrente circolatorio per poi esser eliminato, anche se una parte del farmaco si elimina direttamente senza passare nel sangue. Può anche accadere che non si assorbe una parte per ragioni di scarso assorbimento, come accade per certi antibiotici o farmaci poco solubili che si ritrovano nelle feci, dato che non sono riusciti a passare insoluzione ed essere assorbiti. Tutte le vie di somministrazione devono essere viste secondo questo schema, ma quale è il destino di un farmaco depositato in una certa sede nella via sublinguale, rettale ecc…? Si considerano i processi LADME alla forma fisica è importante la via di somministrazione - orale: il PA si introduce nel tratto GI → il sito dove si assorbe il prodotto è il tratto GI. La somministrazione avviene per deposizione, infatti si applica su un sistema che è una membrana che può essere sfruttata per un’azione locale o per avere un azione sistemica del farmaco [ad esempio nella membrana oro-faringea il prodotto si somministra nella cavità buccale ed è destinato ad avere un’azione locale ad azione anti-infiammatoria rispetto ad un prodotto applicato sulla gengiva che ha un PA con effetto sistemico oppure anche i farmaci vaginali sono o ad azione locale oppure applicati sulle mucose avranno un effetto sistemico. - endovena-intravenosa: il farmaco si pone nel sistema circolatorio - intramuscolo-sottocutanea (subcutanea): queste sono somministrazioni iniettive come risulta iniettiva la somministrazione intravenosa. Inoltre, sono vie di somministrazioni invasive e che danno problemi di stabilità, ma prevedono una fase di assorbimento → si deposita nel tessuto muscolare ipodermico e da qui il farmaco passa nel torrente circolatorio; - transmucosale: in essa troviamo rettale, vaginale ecc. - transdermica: l’applicazione avviene non sulla mucosa ma sulla pelle; Pag. |6 Quindi si può constare che non c’è niente di meglio dell’endovena (il farmaco raggiunge subito il circolo sanguigno), ma la compliance è scarsa. La più utilizzata è la via orale che ha una buona compliance, ma ha una minor efficacia (il farmaco interagisce con il tratto gastro-intestinale, per poi andare in circolo, essere metabolizzato ed arrivare al bersaglio). Il problema inoltre è che tante persone si dimenticano di prendere le compresse. La mancata aderenza alla terapia è causa di morte. Attualmente va molto di moda anche il polmonare e il nasale. La via rettale non ha mai avuto molto successo, ha successo nei paesi mediterranei e in Germania, ha comunque una sua validità soprattutto nei bambini Perché sono pochi i principi attivi particolarmente solubili? I principi attivi per essere assorbiti devono passare le membrane. Se avessi una molecola solubile significa che è polare e non passerà mai la membrana Pag. |7 BIOFARMACEUTICA Il successo di un trattamento farmacologico non dipende soltanto dalla scelta del principio attivo e dalla dose somministrata ma anche da una sua corretta formulazione dal punto di vista tecnico e biofarmaceutico, conta quindi la formulazione del PA dal punto di vista tecnico e biofarmaceutico Considerando molte pubblicità, è possibile notare che sono presenti molti richiami di carattere biofarmaceutico, ovvero come la formulazione determina una certa prestazione farmaceutica. Il prodotto deve agire in fretta quando ho mal di testa. Il prodotto in figura è uno dei tanti contenenti ibuprofene analgesico, ma il fatto di avere un’insorgenza più rapida dell’’effetto terapeutico è esclusivamente un risultato della formulazione. Il moment è sempre ibuprofene, viene declinato in tante formulazioni come quella rosa adatta ai dolori mestruali oppure quella blu più generica. La biofarmaceutica allora risulta quella disciplina che si interessa delle relazioni fra la forma farmaceutica e la disponibilità del PA in vivo. Nasce negli anni ’70, è quindi una scienza relativamente giovane rispetto ad altre discipline nell’area dello sviluppo del farmaco. Prima della biofarmaceutica bastava che il PA ci fosse e fosse in una certa dose; essa invece pone l’attenzione sull’influenza che i caratteri dei materiali possono avere: PA, eccipienti, confezionamento, l’influenza del processo di fabbricazione della forma di dosaggio, come faccio la compressa, la modalità e la via di somministrazione. Questi appena elencati sono parametri che influenzano la liberazione del PA e giocano un ruolo importante sulla relazione fra liberazione e assorbimento del PA Le parole-chiave della biofarmaceutica sono dipendentemente della via e della forma considerate: disgregazione, dissoluzione, transito, assorbimento, rilascio, biodisponibilità e bioequivalenza ecc Tutte collegate alle proprietà delle forme di dosaggio: qualità, sicurezza ed efficacia sono i requisiti imprescindibili da dimostrare affinché un prodotto sia un medicinale. Per avere l’AIC azienda deve presentare un dossier con dati a supporto della richiesta che emette, questi dati devono dimostrare: Efficacia: fornisce evidenze chimiche che il prodotto agisce e fa quello che è elencato nel dossier Sicurezza: dimostrata con dati riproducibili che dimostrano che alle condizioni d’uso il prodotto non nuoce alla salute, non dà ad esempio tossicità cardiaca, renale, problemi di teratogenesi ecc… Dati di qualità: componente del dossier in cui l’azienda dà dimostrazione del fatto che produce il medicinale in modo riproducibile, controllando che abbia i requisiti di qualità necessari. È di qualità quando la compressa ha lo stesso peso, non ci sono prodotti di degradazione, essa libera il PA sempre nello stesso modo ecc. Lo scopo della biofarmaceutica è portare al miglioramento della prestazione terapeutica, ovvero dato un PA ed una dose, la formulazione deve garantire al meglio possibile la prestazione terapeutica In passato, prima dello sviluppo dell’analitica, la valutazione dell’efficacia della preparazione era basata su una valutazione soggettiva [ancora però presente, oggi, per certi aspetti]. Considerando un antidolorifico, ad esempio, in uno studio clinico, valuto la risposta del soggetto alla risposta clinica. Questa visione è sempre più demandata, grazie allo sviluppo dell’analitica, ad una valutazione oggettiva basata su parametri farmacocinetici valutando le concentrazioni ematiche raggiunte dal PA somministrato in una certa forma farmaceutica (parametri farmaco-cinetici). Pag. |8 Non ha senso parlare di parametri farmacocinetici del PA, a meno che il PA non sia somministrato con una somministrazione endovena. Si parla di parametri farmacocinetici non della molecola, ma parametri farmacocinetici misurati dopo la somministrazione della preparazione → determinati quindi dalla preparazione (interesse del farmacotecnologo). Il primo che ha compiuto questa osservazione per la biofarmaceutica è stato Levy, il quale ha deciso di acquistare-valutare varie preparazioni presenti sul mercato contenti acido acetil salicilico confrontandone i profili di escrezione urinaria nei soggetti che assumevano questi preparati. Questo è risultato il primo studio nel quale per valutare la bontà di prestazione di compresse differenti di aspirina si fa uno studio oggettivo, ovvero quanta aspirina c’è nelle urine. I dosaggi urinari attualmente sono poco usati, oggi al contrario si usano i prelievi ematici, così si confrontano i profili di preparati differenti che assumono i vari soggetti trattati. I profili appaiono non equivalenti, dato che le curve sono differenti. Questo studio per primo evidenzia come, in modo oggettivo mediante una misura obsoleta analitica, (raccogliendo facilmente, concentrando ed analizzando alti volumi di urine) avere un dato oggettivo farmacocinetico per descrivere la performance della preparazione Idealmente, per valutare la performance, ossia quanto la nostra preparazione è performante nella liberazione e nel determinare la disponibilità del PA, dobbiamo dosare il farmaco nella biofase recettoriale dove deve agire (ciò è praticamente impossibile). è difficile identificare-valutare la biofase per un farmaco che deve per esempio passare la BEE e la barriera placentare, mentre nel ratto questo è fattibile nell’uomo no. La biodisponibilità si definisce come la velocità di comparsa della quantità di farmaco direttamente nel sito d’azione, definendo così la disponibilità biologica: più farmaco ho dove deve agire e più il sistema funzionerà. Tuttavia, se non raggiungo nel tessuto target la concentrazione opportuna non avrò un preparato efficace (esempio degli antitumorali devono agire selettivamente e in modo concentrato nel tessuto tumorale). Dato che la concentrazione tissutale è in equilibrio con quella plasmatica, il plasma compartimento centrale è il serbatoio da cui si verificherà la distribuzione del farmaco nei tessuti e così posso più facilmente e realisticamente monitorare la concentrazione plasmatica e definire la biodisponibilità come concentrazione di farmaco nel compartimento centrale Si assume che la [ ] plasmatica sia in equilibrio con le [ ] degli altri distretti (tessuti) e il suo andamento nel tempo, relativamente semplice da determinare, diventa generalmente il vero descrittore della performance delle forme di dosaggio Quali sono i passaggi e i fattori coinvolti nel valutare la biodisponibilità, assumendo che il trasferimento del farmaco dal sito di assorbimento al torrente circolatorio avviene superando le varie barriere biologiche? Andamento del profilo di concentrazione plasmatica vs tempo che si ottiene in seguito ad una somministrazione extravascolare (qualunque essa sia, come orale o intramuscolare). Il farmaco, con assorbimento dal tessuto, passa nel torrente ematico, da qui si distribuisce ed è oggetto di metabolizzazione. Ogni somministrazione extravascolare ha un profilo a campana, si parte da 0 (momento di assunzione), poi c’è una fase ascendente e poi C max (massima concentrazione raggiunta in un tempo t max), e poi fase discendente. AUC, area sottesa alla curva, è il valore che si ottiene facendo l’integrale di questa curva avendone la funzione, o con altri metodi matematici→ è il valore che otteniamo come area sottesa dal profilo farmacocinetico. (sapere definizione di profilo farmacocinetico e concentrazione!!) Pag. |9 L’obiettivo della formulazione e della prestazione terapeutica è far sì che liberazione del PA sia tale da determinare il raggiungimento di una concentrazione minima efficace (CME) e il mantenimento nel tempo desiderato di una concentrazione sopra quella minima efficace e al di sotto di quella max tollerata (CMT) →la zona utile nel profilo farmacocinetico ai fini terapeutici è quella compresa tra CME e CMT. CME e CMT sono valori stabiliti in seguito a sperimentazione clinica per correlare l’insorgenza dell’effetto e l’insorgenza di effetti indesiderati con la Conc ematica. Profilo di un farmaco in seguito a somministrazione extravascolare, nella realtà. L’andamento è fisiologicamente variabile, somministrando a 20 soggetti lo stesso prodotto riproducibile dal punto di vista qualitativa, ogni soggetto origina un suo profilo farmacocinetico in funzione della sua molteplicità di fattori che influenzano il processo ADME. Per ogni t di campionamento ematico dello studio si fa la media e la deviazione std della conc misurata a quel tempo per il n di soggetti che hanno assunto il prodotto. il profilo farmacocinetico è sempre la media di più soggetti che hanno assunto quel preparato. Alcuni farmaci hanno un assorbimento ematico variabile fra soggetti differenti e variabile nello stesso soggetto da momento a momento → bisogna considerare ciò e quindi nei limiti del possibile minimizzare le fonti di variabilità, es se una fonte di variabilità è assunzione del cibo, nel foglietto illustrativo indico di assumete il farmaco a stomaco vuoto. Come anticipato, dato che i farmaci raramente possono essere somministrati come tali, cioè in uno stato non formulato, è nata la necessità di forme di dosaggio. La forma di dosaggio deve avere un profilo di liberazione ideale dal punto di vista dell’insorgenza (insorgenza dell’effetto è il momento in cui concentrazione ematica raggiunge CME). - Se il PA deve avere una pronta insorgenza dell’effetto terapeutico, come nel caso di antidolorifici o antianginosi, la forma farmaceutica deve determinare una liberazione che determini rapida insorgenza dell’effetto, compatibilmente con l’assorbimento. - Se assumo il prodotto cronicamente, l’insorgenza non è un requisito fondamentale per lo sviluppo farmaceutico del prodotto: la durata dell’effetto è lunga, ma l’insorgenza no (durata = t in cui la conc si mantiene al di sopra della CME). Se ho un ipnotico sedativo con breve durata d’azione posso somministrare ripetutamente più forme con breve durata d’azione o una forma che garantisca una maggior durata dell’effetto. Questo effetto è dovuto alla forma farmaceutica, ma c’è anche un effetto dovuto all’emivita (non confondere questi due effetti!). Un barbiturico a breve durata d’azione si usa come sedativo ipnotico, quello a lunga durata di azione si usa come antiepilettico, ma sono due molecole differenti; in questo caso sto parlando di una molecola che grazie alla formulazione con cui la sviluppo può dar luogo ad una durata d’azione più o meno lunga, la molecola sarà sempre la stessa ma la durata dell’effetto è determinata dalla scelta di formulazione. Intensità dell’effetto: dipende dalla conc che realizzo, più farmaco ho nella biofase e più inteso è l’effetto, più molecole di ipotensivi si legano ai recettori e maggiore sarà l’effetto ipotensivo. Non è un concetto generalizzabile, anche se riguarda la maggior parte dei casi. Ad esempio, un antidolorifico moment act ha dose doppia rispetto al moment normale, per un dolore più o meno intenso. I livelli di concentrazioni che si possono realizzare sono influenzati dalla forma farmaceutica. P a g. | 10 Classificazione delle forme farmaceutiche → Forme farmaceutiche convenzionali Sono progettate per determinare una pronta e totale liberazione del principio attivo, cioè per renderlo immediatamente disponibile all’assorbimento. La velocità di comparsa del principio attivo nel torrente circolatorio dipende esclusivamente dalle sue proprietà chimico-fisiche (solubile e non solubile, permeabile e non permeabile) e dalle caratteristiche della membrana che deve attraversare (stomaco, intestino o una serie di barriere che offrono una certa resistenza). Le caratteristiche complessive di design della forma farmaceutica, per definizione, non devono rappresentare lo step limitante della velocità di assorbimento (il design è un attore passivo, se compressa è fatta bene lascia fare tutto al PA). Design = scelta degli eccipienti e scelta della forma di rilascio (+ importante parlare di design per le forme non convenzionali). Cosa accade ad una forma farmaceutica convenzionale per via orale? Una capsula o compressa raggiunge lo stomaco, si disgrega, si liberano così particelle solide dell’ordine di qualche centinaio di micron (particelle di AP, formulazione ed eccipienti), poi AP passa in soluzione e diventa un sistema disperso a livello molecolare, solo in questa forma passa le membrane e permea mediante un processo di assorbimento grazie al quale si ritrova nel torrente circolatorio. → Forme non convenzionali: Progettate per rilasciare il principio attivo e renderlo disponibile all’assorbimento secondo tempi e velocità tali da permettere raggiungimento di obiettivi terapeutici non ottenibili con farmaceutiche convenzionali destinate alla stessa via di somministrazione. La velocità di comparsa del principio attivo nel torrente circolatorio, per definizione, deve dipendere dal pattern di rilascio. La velocità di rilascio rappresenta lo step limitante della velocità di assorbimento. Si passa da compressa con rivestimento gastro-protettivo che serve esclusivamente a protegger il PA dalla degradazione in ambiente gastrico, alla pompa osmotica, al sistema gastro ritentivo, alla matrice a rilascio prolungato che, con un design specifico della forma farmaceutica (come compressa rivestita), consente di ottenere obiettivi terapeutici non diversamente ottenibili. Nel caso della gastro-resistenza, se do il prodotto in una forma convenzionale il prodotto si degrada e non sarà biodisponibile. Per sistemi complessi come forme a rilascio prolungato, se è una forma once a day con un’unica somministrazione ho una copertura farmacologica giornaliera senza dar luogo a fluttuazioni di concentrazione che avrei somministrando più volte al giorno una forma convenzionale. Lo step limitante controlla a monte ciò che avverrà a valle, una forma che rilascia lentamente sarà motivo di lento assorbimento perché il rilascio diventa lo step limitante (saper definire cos’è step limitante!) P a g. | 11 Come controlliamo il rilascio in una forma non convenzionale? Per un PA somministrato oralmente, il controllo avviene in termini di - Velocità: la cessione del PA ai fluidi GI è controllata rallentandone la velocità la liberazione rispetto a una forma convenzionale/ controllata attraverso i fast release aumentando la velocità e quindi l’effetto terapeutico insorge prima rispetto alla forma convenzionale. - Tempo: rispetto ad una f convenzionale che libera il AP tutto e subito si può fare in modo che la forma farmaceutica rilasci il principio attivo dopo un certo intervallo di tempo dalla somministrazione, poi più volte a intervalli dilazionati nel tempo e così via. - Sito: il sito di rilascio viene controllato dalla forma farmaceutica come nei sistemi gastro-ritentivi e a rilascio colonico. I sistemi a rilascio modificato sono spesso la line extension di molti prodotti nati e messi sul mercato come prodotti convenzionali, in questo modo si dà una nuova vita alla molecola. C’è ricerca sui drug delivery → le aziende vogliono mantenere il loro mercato su molecole che stanno uscendo di brevetto per dar loro nuova vita. La performance biofarmaceutica in generale dovrebbe tendere a diminuire passando da soluzione, a sospensione a forme solide. Un farmaco per poter essere assorbito deve trovarsi in soluzioni nei fluidi GI, ovvero trovarsi allo stato molecolare. Soluzioni acquose: somministrando un fialoide o gocce orali, il farmaco è già in soluzione nella forma farmaceutica, viene diluito nei fluidi gastrici e, allo stato molecolare viene assorbito e passa nei capillari che irrorano i tessuti del tratto GI. Tuttavia, anche dando un farmaco in soluzione può avvenire una precipitazione: se esso è un elettrolita debole, poiché ha solubilità dipendente dal pH, in ambiente gastrico con pH acido, l’acido forte sposta il sale, ottengo il PA in forma indissociata che è meno solubile e potrebbe precipitare dando una sospensione di particelle al sito di assorbimento che dovranno avere una nuova dissoluzione per avere stato molecolare e assorbimento → avere precipitazione comporta un passaggio in più; tuttavia, se la precipitazione avviene in forma molto finemente suddivisa e se i cristalli si formano nel fluido gastrico, il quale è molto viscoso e contiene tensioattivi, il processo di dissoluzione (equazione di Noyes Whitney) è veloce e il PA in soluzione è pronto per esser assorbito. Rispetto a una soluzione, una sospensione ha maggior criticità dal punto di vista biofarmaceutica perché richiede che avvenga questa dissoluzione. Non c’è ragione di preferire una sospensione rispetto ad una soluzione, dato che la sospensione una volta assunta libererà le particelle nei fluidi GI e il PA per essere assorbito deve passare in soluzione per passare le membrane. P a g. | 12 ▪ Domanda: se somministrassi un sale sodico in soluzione, potrei evitare la precipitazione? La precipitazione dovuta ad un equilibrio di dissociazione si evita solo cambiando il pH dello stomaco. Sarebbe quindi possibile solo se bevessimo un bicchiere di ammoniaca, ma non è possibile → non si può modificare l’ambiente gastrico per mantenere in soluzione il PA!! Come faccio ad ottenere una soluzione acquosa? Un medicinale in gocce orali normalmente è una soluzione, ma se il PA non è solubile in acqua si agisce nel seguente modo: - se è un elettrolita debole si può scegliere il pH dove si solubilizza (col rischio che al pH gastrico il prodotto precipiti) - si scelgono co-solventi consentiti come etanolo (poco, sennò il paziente si ubriaca), glicole, alcol isopropilico (poco entro certo limiti) Quando il Pa è troppo poco solubile sono costretto ad una sospensione. Capsule e compresse: sono forme solide convenzionali, in seguito a disgregazione danno luogo a liberazione di aggregati o granuli e per ulteriore separazione di queste particelle solide originano particelle più fini che poi danno dissoluzione (la complessità aumenta). Emulsione = sistema bifasico fatto da 2 fasi immiscibili interdisperse l’una con l’altra. Un PA liposolubile si può veicolare in questo sistema: possono dare precipitazione o dare rottura/micellizzazione, dando rispettivamente una sospensione e una soluzione. I drug delivery sistem (forme a rilascio modificato), sono sistemi che direttamente senza disgregare determinano con un meccanismo di controllo la liberazione del è PA e l’ottenimento al sito di assorbimento della soluzione del farmaco. Questo schema è valido per tutte le vie di somministrazione, la situazione più complessa è quella della os Con quali procedimenti di trasferimento e quale sequenza temporale si determina un profilo di concentrazioni vs tempo con la tipica forma a campana? Il profilo rappresenta una grande variabilità di comportamento → perché si origina questa forma? Usiamo modelli compartimentali che mettono in relazione i processi LADME. Come sono in relazione i processi LADME? La liberazione è un elemento neutrale nelle forme convenzionali, ma è un elemento attivo per le forme non convenzionali in cui il controllo della liberazione è a monte di tutti i passaggi ed è determinante per la forma del profilo. Per comprendere i processi LADME useremo un modello dei compartimenti rappresentati come una serie di vasche in sequenza: si considera tutto il processo LADME come la sequenza di processi che avvengono contestualmente. Ho tre vasche in serie, ciascuna con un rubinetto aperto: la prima vasca rappresenta il PA nella forma farmaceutica che porterà il farmaco ad arrivare nei fluidi GI. La liberazione è il passaggio dell’acqua dalla prima alla seconda vasca. La seconda vasca rappresenta il farmaco nel compartimento GI. L’assorbimento, ovvero il passaggio nel compartimento centrale è il riempimento della terza vasca attraverso l’apporto di acqua dalla seconda vasca. Il sangue (compartimento centrale) riceve il farmaco dal tratto GI per assorbimento ma contestualmente determina la fuoriuscita di acqua mediante processi di eliminazione, si allontana il farmaco dal torrente circolatorio mediante eliminazione (escrezione e metabolizzazione) → questo fa capire come si determinano i vari profili farmacocinetici. P a g. | 13 Ma come si descrive la curva? - nella fase ascendente l’ingresso del farmaco è determinato dall’assorbimento e porta ad una curva crescente, ma contestualmente all’assorbimento abbiamo la metabolizzazione e l’eliminazione → il fatto che la curva salga vuol dire che V di ass > V di eliminazione; in questa fase entrano più molecole rispetto a quelle allontanate dagli organi untori e quindi la concentrazione aumenta. - Raggiungendo la C max i due processi sono all’equilibrio, sono in una situazione istantanea o mantenuta nel tempo in cui V di entrata = V di eliminazione. - In fase discendente (andando oltre alla C max), i processi di allontanamento sono più veloci, V di eliminazione > V di assorbimento. Magari sono in una fase in cui non c’è più assorbimento: la compressa assunta avanza nel canale alimentare, a un certo punto tutta la dose viene assorbita; quindi, non ho più assorbimento ma solo eliminazione, oppure il PA è arrivato in una zona del canale alimentare dove non è assorbito o poco assorbito (per es nel colon), oppure la forma farmaceutica o ciò che ne rimane è stata espulsa con le feci. Quindi tutti i processi sono concatenati e dipendono dalla V relativa di uno rispetto all’altro → la liberazione, dissoluzione del PA, assorbimento ed eliminazione sono tutti processi del I ordine. Cinetica di ordine primo = la velocità dipende direttamente dalla concentrazione dei reagenti, quando ho più reagenti la reazione procede più velocemente. ELIMINAZIONE = è un processo del I ordine perché la V con cui questo processo avviene (che equivale alla V di svuotamento della terza vasca) dipende dalla concentrazione del PA nel plasma (che nel modello rappresenta il livello di liquido nella vasca). Più ho pressione idrostatica, più la vasca si vuota velocemente; man mano che la concentrazione diminuisce anche la V di eliminazione tende a diminuire. Da cosa dipende la velocità con cui avviene la diminuzione e che profilo di svuotamento si avrà? Aprendo il rubinetto di una vasca piena la quantità di liquido nella vasca diminuisce con un andamento esponenziale→la V sarà maggiore all’inizio, la vasca si vuota molto più rapidamente all’inizio rispetto alla fine quando rimane poca acqua. Livello di liquido in una vasca dipende da: - P idrostatica; il livello dell’acqua è in continua diminuzione, quindi V in continua diminuzione - Apertura del rubinetto; se il diametro del rubinetto è maggiore, l’andamento è molto più veloce (caratteri del rubinetto) Considerando l’eliminazione al pari dello svuotamento della vasca, l’andamento della concentrazione plasmatica nel tempo diminuisce in modo esponenziale, la V punto a punto è la tangente alla curva [la pendenza delle tangenti diminuisce e diventa 0 quando non ho più eliminazione] L’eliminazione dipende da: - concentrazione presente ad ogni tempo; se concentrazione diminuisce, diminuisce anche la V di eliminazione - costante di velocità di eliminazione Ke (è l’equivalente del rubinetto); nei processi farmacocinetici esprime la capacità degli organi emuntori di depurare il sangue dal farmaco, Ke è diversa per ogni farmaco, diversa tra i soggetti [rapid o poor condizioni patologiche → (es insufficienza renale)] P a g. | 14 La V di eliminazione è la derivata della variazione della concentrazione in funzione del tempo, Cp = Conc istantanea, ke = cost di eliminazione, la V ha segno – dato che diminuisce e per convenzione si mette il segno -. Questa equazione descrive la V, cioè il processo cinetico. Per descrivere la concentrazione rimasta uso la funzione esponenziale → decresce secondo un ramo di iperbole. Con una trasformata bilogaritmica naturale (ln Cp = - Ket + lnCpo) diventa una retta, in ordinata ho logCp e in ascissa ho t. la ke è la pendenza della retta ottenuta che esprimeva i miei dati. In questo modo conosco la Ke della molecola. Questo concetto è collegato alla clearance e al concetto di t1/2 (saperli definire!!) La "clearance" di un farmaco si riferisce alla velocità con cui il corpo elimina il farmaco dal sistema circolatorio o lo metabolizza. In altre parole, rappresenta la capacità del corpo di rimuovere il farmaco in modo da mantenerne una concentrazione adeguata nel sangue. Il "t 1/2" o "emivita" di un farmaco rappresenta il tempo necessario affinché la concentrazione del farmaco nel sangue si riduca della metà dopo l'assunzione. In altre parole, è il tempo che impiega il corpo per eliminare o metabolizzare la metà della dose di un farmaco. Ke ha dimensioni di tempo-1 perché indica la frazione di molecola eliminata nell’unità di tempo. Quando un PA ha una Ke di 0,2 h-1 significa che ogni ora ho eliminato il 20% del farmaco presente, ovvero ogni ora la concentrazione si è ridotta del 20%. Con Ke = 0.5, ogni ora la conc dimezza, da conc di 100 dopo 1h ho 50 dopo 2 h ho 25, 12.5 ecc. La Ke è fondamentale per l’aggiustamento delle dosi, per paziente affetti da diverse patologie o per pazienti che hanno un metabolismo accelerato o enzimi specifici in grado, per esempio, di degradare il principio attivo più velocemente. Posso avere una Ke apparente se a monte del processo di eliminazione modifico a livello del rilascio la velocità di comparsa del PA nel sangue. Se ottengo due curve a campana per l’assorbimento significa che ho dato due somministrazioni oppure che ho una forma farmaceutica a rilascio pulsante (forma che rilascia prima una frazione della dose e dopo un po’ di tempo ne rilascia un’altra). ASSORBIMENTO: è un processo di solito del I ordine che avviene considerando un processo di diffusione passiva (secondo gradiente di concentrazione), che è il processo più comune di assorbimento dei farmaci. Il farmaco realizza una concentrazione C1 nel sito di assorbimento (compartimento donatore); quando il farmaco passa nei capillari (il sangue è il compartimento accettore) che irrorano la parete gastrica o i villi o microvilli intestinali avrà una concentrazione C2. P a g. | 15 Questo è un processo di I ordine. La V di comparsa di farmaco nel sangue = dc/dt = Ka (C1 - C2 e) Ka è la costante di velocità di assorbimento. Maggiore è la concentrazione al sito di assorbimento rilasciata dalla forma farmaceutica, maggiore sarà la v di assorbimento. Una forma che rilascia piano a piano il PA determina una V di assorbimento molto bassa→ per aumentare la V di assorbimento, posso solo aumentare la concentrazione al sito di assorbimento (poiché la Ka è immodificabile). Quando assumo un PA, la concentrazione al sito di assorbimento (fluidi gastrici o intestinali) sarà maggiore che nel sangue e il farmaco passa dal sito di assorbimento al torrente circolatorio secondo gradiente di concentrazione. KA ha dimensioni di tempo-1, è tipica di un certo PA in un certo distretto e indica la frazione di farmaco assorbita nell’unità del tempo. Ka dipende da: - caratteristiche di permeabilità complessiva del sito di assorbimento rispetto a quel determinato farmaco (l’assorbimento a livello gastrico, rispetto all’intestino, rispetto al colon è diverso, in quanto la possibilità che la molecola ha di permeare in questi distretti è differente, perché i distretti sono fisiologicamente diversi) - caratteristiche specifiche del farmaco - tipo di membrana (spessa per il gastrico, con tanto muco o liscia) - area disponibile per lo scambio (presenza di microvilli a livello del tenue che aumentano la possibilità di scambio, mentre nel colon non è così) - tipo di principio attivo; Un farmaco ben assorbito lungo tutto il tratto GI ha una buona Ka in tutti i distretti, ma potremmo avere farmaci non ben assorbiti a livello del colon che hanno una Ka trascurabile a livello colonico. Regio specificità di assorbimento: è la capacità del farmaco di essere assorbito preferibilmente in alcuni tratti del tratto GI per la presenza di un ambiente più favorevole. Un esempio è la presenza di trasportatori attivi, specifici per un determinato PA, maggiormente concentrati a livello del duodeno. Valuto l’andamento del farmaco nell’organismo andando a seguire come cambia nel tempo la % della dose: - rispetto al sito di assorbimento avremo un andamento decrescente secondo la cinetica del primo ordine dato che dipende dalla concentrazione, - nel sangue avremo la curva a campana poiché avremo contestualmente sia assorbimento che eliminazione del PA (la curva prima sale e poi scende). - Per valutare l’escrezione, contestualmente al profilo farmacocinetico, il profilo di concentrazione urinaria è una cumulativa che cresce: man mano che il farmaco viene assorbito ed eliminato, esso compare nelle urine con una concentrazione progressivamente maggiore, più passa il tempo più la frazione nella dose delle urine tende ad aumentare. P a g. | 16 Attraverso programmi di simulazione, posso simulare cosa accade in vivo ad un farmaco di cui conosco Ka e Ke se cambio la costante di rilascio, ovvero se vado a fare formulazioni che rilasciano in modo diverso. Posso quindi studiare come variare le K e le conseguenze: prevedere quindi se il profilo farmacocinetico rimanga alla concentrazione minima efficace, oppure ecceda, prevedere quindi la curva farmacocinetica. Curve farmacocinetiche e costanti sono molto orientativi per lo sviluppo di una futura forma farmaceutica Biodisponibilità: ❖ è la velocità ed entità (quantità/efficienza) di assorbimento dal sito di somministrazione al circolo sistemico. Si riferisce sia alla quantità assorbita (extent) che alla velocità (rate) con la quale il farmaco entra nel torrente circolatorio. Un farmaco è considerato essere completamente disponibile a seguito di una somministrazione endovena (bolo o infusione lenta) → si parla di biodisponibilità totale del prodotto così somministrato. Quantità e velocità sono gli elementi che concorrono a determinare l’andamento della curva: se ho una bassa quantità assorbita, quindi la curva ha l’area ridotta, il rischio è che una bassa biodisponibilità non consenta il raggiungimento o il mantenimento della concentrazione minima concentrazione efficace per un tempo accettabile (duration). C max e T max sono descrittori della velocità di assorbimento, tanto più il farmaco è rapidamente assorbito e tanto maggiore sarà il valore di C max nella curva farmacocinetica raggiunto e minore il valore di t max. Per una somministrazione all’aumentare della velocità di assorbimento mi aspetto di vedere un profilo che tende ad innalzarsi e spostarsi verso sinistra: questo è l’effetto della velocità di assorbimento (C max e tmax) AUC, come già accennato, è un descrittore della quantità assorbita. Tanto è maggiore questa aerea tanto maggiore è l’assorbimento. Non esprime la quantità di principio attivo assorbito ma mi dice che l’aerea sotto la curva è proporzionale alla quantità assorbita. [utile nel momento in cui faccio un confronto dopo aver apportato una modifica al farmaco]. Non riesco ad avere il valore quantitativo perché si tratta di un processo dinamico e inoltre non ho l’equazione della curva che mi consente di ricavare l’aerea sottesa alla curva attraverso l’integrale. Per estrapolare l’AUC uso il metodo dei trapezi: la curva è data dall’unione dei punti ottenuti dai prelievi ematici nel tempo dopo somministrazione del preparato, ogni punto ha il suo valore medio e deviazione standard. Se divido la curva in tanti piccoli trapezi, conosco l’area di ciascun trapezio, data dalla somma delle basi (valori di concentrazione) del trapezio rettangolo, per l’altezza (intervallo temporale tra i due prelievi), diviso due. In questo modo le unità di misura dell’area sotto la curva (richiesta d’esame) saranno quelle di una concentrazione moltiplicata per un tempo [mg/ml x h]: è infatti una somma di basi per altezza. L’area non è quindi una quantità → se fosse la quantità assorbita avrebbe un’unità di misura rappresentante la massa. Infatti come detto, l’AUC ma è una grandezza proporzionale alla quantità assorbita. Se ho un prodotto liberamente assorbito ad una certa dose, con una certa AUC e somministro una dose doppia, mi aspetto che AUC raddoppi, ma non conosco in assoluto quanto ne è stato assorbito. P a g. | 17 AUC dipende dalla velocità di assorbimento: se ho un prodotto che non viene completamente assorbito nel tratto di alimentare e aumento la velocità di assorbimento riesco ad aumentare di conseguenza quantità di assorbimento [ovviamente entro i limiti fisiologici]. Per aumentare la velocità lo posso fare solo aumentando la concentrazione del principio attivo nel sito di assorbimento (dato che non posso cambiare la Ka) ◼ lo scopo della formulazione e quello di rendere il principio attivo disponibile in tempo utile al sito di assorbimento → devo lavorare per lasciare il farmaco il tempo più alto possibile nella zona di assorbimento specifico La quantità è descritta dall’AUC che è un parametro descrittivo proporzionale alla quantità assorbita, si ottiene facendo il calcolo dell’area con il metodo di approssimazione dei trapezi, ha l’unità di misura della concentrazione che moltiplica un tempo - relazione tra Cmax e Tmax a parita’ di Auc [completo assorbimento] Considerando la velocità di assorbimento, per un farmaco liberamente assorbito l’AUC è la stessa, se ottengo una maggiore velocità di assorbimento con una certa forma farmaceutica, cambia la tipologia e la forma della curva. Se ho un prodotto che dato per via orale ha una buona AUC con un certo profilo farmacocinetico di questo tipo, cambiando con la forma farmaceutica la velocità di assorbimento cambiano quindi cambiano anche C max e T max, ma non cambia AUC (stessa AUC poiché l’area sottesa sotto la curva è uguale all’area sottesa dall’altra curva). L’andamento del profilo è diverso, ma l’integrale è lo stesso, questo impatta perché il farmaco potrebbe avere una certa C max tollerata in un certo punto, ma aver aumentato la V di assorbimento comporta l’aver superato i livelli di max concentrazione tollerata. Esempio assunzione di alcol: con una stessa quantità assunta tutta in colpo (one shot) ci si ubriaca, perché l’alcol viene ben assorbito dallo stomaco e determina un picco ematico al di sopra della C max tollerata. Mentre, con la stessa quantità assorbita gradualmente nel tempo, un sorso alla volta, la quantità di assorbimento è la stessa ma la velocità di assorbimento con cui si assorbe limitando l’intake è tale da mantenere concentrazioni ematiche sempre al di sotto della soglia di tollerabilità → questo perché i processi di assorbimento ed eliminazione sono concomitanti. Se assumo una grossa quantità avrò forte assorbimento, non compensato da un’altrettanta veloce eliminazione; se invece assumo gradualmente il prodotto genero delle concentrazioni ematiche frutto di un compromesso tra velocità di eliminazione ed assorbimento. L’esposizione sistemica all’alcol/farmaco è la stessa in termini quantitativi, ma non in termini di velocità e questodetermina differenti effetti. Valutando la performance della forma farmaceutica attraverso la biodisponibilità, occorre valutare sia quantità che velocità di assorbimento. Se con una forma convenzionale ottengo un certo assorbimento nello stomaco e se l’assorbimento dovesse esser possibile solo a livello dello stomaco (come accade per alcuni antinfiammatori), una volta che il prodotto viene svuotato dallo stomaco non viene più assorbito [il prodotto passa in soluzione e viene assorbito nello stomaco]. Questo farmaco avrà un’AUC che corrisponde alla frazione di dose che è riuscita ad essere assorbita finchè il PA era in soluzione nei fluidi gastrici, una volta svuotato il resto è stato eliminato con le feci. Se genero una forma più prontamente (aumento la V di liberazione) solubile a livello gastrico, rispetto alla forma di prima che mi aveva generato una certa concentrazione C, ottengo un maggiore assorbimento, quindi una concentrazione maggiore (C*), che dipende dall’aumento della velocità di assorbimento (infatti la V di P a g. | 18 assorbimento è un processo di primo ordine, aumento la conc ed aumento la V di assorbimento) → ho sfruttato meglio la finestra di assorbimento stomaco nel momento in cui l’assorbimento è possibile solamente nello stomaco. In questo modo ho reso disponibile, nel sito di assorbimento, una maggiore concentrazione di PA. La situazione cambia nel momento in cui l’assorbimento non è limitato ad un solo determinato sito del canale alimentare. C max e t max → maggiore è la velocità, maggiore C max, minore è t max. Biodisponibilità assoluta: è l’indice calcolato come rapporto tra AUC ottenuto in seguito a somministrazione extravascolare del PA (es. mediante la via orale) diviso AUC in seguito a somministrazione endovenosa eventualmente corretto in funzione delle dosi. 𝑨𝑼𝑪 𝒆𝒙𝒕𝒓𝒂𝒗 𝑩𝒂 𝒂𝒔𝒔𝒐𝒍𝒖𝒕𝒂 = 𝑨𝑼𝑪 𝒊𝒗 Parametro specifico della molecola non della forma farmaceutica. Si tratta di una grandezza adimensionale. Non posso intervenire per apportare una modifica sulla biodisponibilità assoluta. Si ottiene somministrando il PA attraverso una soluzione endovenosa e descrivendo il profilo farmacocinetico: ottengo la curva a profilo esponenziale e calcolo la curva con la regola dei trapezi. Somministrando lo stesso prodotto, con possibilmente la stessa formulazione (tolgo impedimenti legati alla forma farmaceutica), ed ottengo un profilo a campana della somministrazione extra vascolare. Somministrando il PA in soluzione, la biodisponibilità assoluta permette di vedere la criticità della via scelta e ottenere informazioni sull’influenza che la via di somministrazione ha sulla biodisponibilità del PA. Se somministro una soluzione, il risultato che ottengo non può dipendere da una cattiva formulazione o da una compressa che disgrega male. Siccome per via endovenosa abbiamo per definizione la massima biodisponibilità, il rapporto è necessariamente compreso tra 0 e 1 → qualsiasi somministrazione extravascolare avrà una serie di impedimenti all’assorbimento. Tanto più il valore è vicino ad 1 e tanto più questa via di somministrazione consente un’esposizione sistemica ed una buona biodisponibilità del PA; se il valore è molto basso vuol dire che con quella via di somministrazione ho consistente perdita di dose del farmaco che non raggiunge il torrente circolatorio. Non esiste un valore al di sotto del quale non convenga utilizzare la forma orale → l’importante è che la porzione non assorbita non provochi danni all’organismo (per esempi che non generi metaboliti dannosi) e che sia economicamente conveniente [evito di usare tanta sostanza costosa se poi quello che assorbo è poco]. Considerare quindi anche l’aspetto farmacoeconomico. Esempio: L’insulina è ancora a somministrazione ipodermica, ma si sta cercando la somministrazione orale, che ha biodisponibilità assoluta per via orale con 100 mg di particelle fini è stato possibile ottenere un profilo biofarmaceutico soddisfacente. E’ importante che il processo di dissoluzione garantisca che il PA sia reso disponibile in tempo utile per l’assorbimento. “Tempo utile” significa che deve essere reso disponibile per l’assorbimento nel momento in cui attraversa il tratto nel quale esso viene assorbito e per tutta la durata del transito del PA in un determinato tratto GI, la quale varia da distretto a distretto. Se il PA viene assorbito lungo tutto il tratto alimentare, il tempo utile all’assorbimento sarà di 24h, che è il tempo di transito attraverso tutto il canale alimentare. Questa necessità si accentua nel momento in cui il PA è assorbito in una zona del tratto GI che presenta un transito molto veloce. L’obiettivo è lavorare gli attivi poco solubili in modo tale da renderli disponibili in tempo utile per l'assorbimento. Sarà più critico assicurare un buon assorbimento sistemico a livello delle alte vie gastrointestinali (stomaco e duodeno; quelle basse sono il tenue e il crasso): se non garantiamo un buon assorbimento in questa parte, il prodotto passerà oltre senza essere assorbito perché il tempo di transito in questa parte è breve e dipende sia dalla quantità e dalla qualità del cibo ingerito che dalle dimensioni della forma farmaceutica: se sto considerando un prodotto a pronto rilascio, avrò una compressa disgregante e non gastroresistente. P a g. | 39 Con una compressa disgregante, la permanenza del PA in forma solida nello stomaco dipende dalle dimensioni della forma farmaceutica: se non c’è un ostacolo dimensionale, tutto ciò che ha dimensioni inferiori all’apertura del piloro in stato di quiescenza passa (3 mm) ed entra subito nel duodeno, il transito può essere di pochi minuti. Se un prodotto è assorbito nello stomaco o nel duodeno, è fondamentale assicurare una pronta dissoluzione, perché se la dissoluzione avvenisse a valle dell’assorbimento, il prodotto, per definizione, non avrebbe biodisponibilità. Nel caso dell’intestino tenue e del colon questa problematica è meno evidente perché anche se il PA non si solubilizza immediatamente ha comunque a disposizione del tempo per solubilizzarsi prima di arrivare in questi due distretti. C’è tutta una serie di aziende che hanno delle tecnologie proprietarie, ovvero dei sistemi brevettati che propongono alle aziende che lavorano con PA poco solubili per formulare le loro molecole. Queste tecnologie hanno nomi fantasiosi come nanoedge, smeds. Non sono altro che degli stratagemmi che permettono di formulare un PA in modo da determinarne una pronta dissoluzione una volta introdotto nel canale GI. Questi approcci non convenzionali sono tecnologie che spingono la dimensione particellare a livello nanometrico, in modo da renderle più prontamente solubili. Rispetto ad una tecnica tradizionale come macinazione o micronizzazione con molini, si utilizzano sistemi di macinazione spinta, a volte anche ad umido, in modo da ottenere particelle nanometriche. Le particelle nanometriche dovranno poi essere supportate su qualcosa, non possono essere semplicemente tirate a secco, e ciò costituisce una tecnologia su cui alcune aziende hanno sviluppato dei brevetti e le propongono alle aziende che sviluppano molecole con grossi problemi di solubilità. Tali tecniche permettono di non abbandonare molecole interessanti che presentano dei problemi di solubilità nel momento in cui è possibile, con una strategia formulativa ad hoc, riuscire a portarla ad avere la biodisponibilità minima necessaria per avere l’efficacia terapeutica. Non è necessario raggiungere una biodisponibilità del 100%, ma si vuole ottenere con la somministrazione extravascolare l’esposizione sistemica, cioè dei livelli farmacocinetici, e il mantenimento di tali livelli di concentrazione per permettere di ottenere l’efficacia terapeutica desiderata. P a g. | 40 FORME di DOSAGGIO SOLIDE ORALI – SCHEMA di PREPARAZIONE Lo schema sotto riportato è molto importante e verrà visto molto spesso durante le prossime lezioni: Le polveri sono la base delle ricette che vedremo più avanti. Si parte sempre da PA originati da sintesi, oppure da estrazione, e nella maggior parte dei casi si tratta di solidi. Esistono anche dei PA liquidi ma sono rarità che nel nostro settore rappresentano delle complicazioni, in quanto molto spesso devono essere comunque convertiti in solidi per allestire le forme farmaceutiche più diffuse, ovvero quelle per via orale. I liquidi possono essere usati anche in caso di emergenza o nel caso di pazienti in coma, ai quali non si possono somministrare forme solide. In generale, come abbiamo visto, la forma solida è quella preferenziale. I solidi presentano molti vantaggi a livello sia logistico che produttivo. Le polveri grossolane hanno granuli di grosse dimensioni (es granulometria dei grani di sale grosso) e provengono, nella maggior parte dei casi, da sintesi. Le polveri grossolane sono sottoposte a processi di macinazione per ottenere delle polveri fini (es granulometria dei grani di sale fino). Per arrivare a polveri calibrate le polveri fini in grado di essere sottoposte a processi tecnologici, le polveri subiscono un processo di vagliatura (setacciate) in modo da selezionare particelle dalle dimensioni particellari utili per la formulazione che ci interessa. In questo modo le polveri vengono calibrate. Vogliamo selezionare polveri che esprimano proprietà utili per poter rendere disponibili queste polveri per l’assorbimento o che abbiano delle specifiche particle size ottimali per la dissoluzione. Questi aspetti sono fondamentali, come abbiamo visto prima, per l’assorbimento di molecole non molto solubili. È possibile spingere la macinazione fino a limiti di micronizzazione (granulometria vicina al micron). Una volta ottenute le polveri calibrate, esse dovranno subire processo di mescolazione per poter miscelare e rendere omogenea la massa di PA da andare a uniformare con gli eccipienti. Ciò renderà possibili tutti i processi tecnologici seguenti. Gli stessi concetti si ripetono per gli eccipienti delle forme farmaceutiche, i quali però spesso vengono forniti della granulometria corretta da parte di altre aziende. Ciò, chiaramente, comporta dei costi maggiori. Le polveri dovranno subire un processo di mescolazione per rendere omogenea la massa di PA con gli eccipienti, i quali renderanno possibili le operazioni tecnologiche. P a g. | 41 In ambito medico gli eccipienti vengono definiti come “la componente inutile della forma farmaceutica” in quanto non ha alcun effetto terapeutico, ma in realtà svolgono la fondamentale funzione di veicolare, proteggere e rendere disponibile il PA. È necessario accertarsi di aver ottenuto una buona miscela di PA + eccipienti, e ciò è facilitato dal fatto di avere queste due componenti della medesima granulometria. Una volta accertato questo, si può procedere con le fasi successive. Si ha la ripartizione, ovvero la suddivisione in volumi e pesi uguali della polvere. Questo è importante perché quando andremo a realizzare delle forme di dosaggio utilizzeremo delle metodiche che sfruttano la ripartizione di volumi uguali della nostra miscela. La ripartizione volumetrica non è effettuata manualmente, ma attraverso delle macchine automatizzate che ripartiscono volumi di prodotto all’interno della confezione riferendosi al peso corrispondente a quel volume. Tutti i volumi di prodotto ripartito devono quindi avere la stessa massa. In particolare, se la polvere è ben omogenea, all’interno di ciascuna confezione si avrà anche la medesima dose di PA. Se le polveri scorrono bene avremo anche una buona ripartizione di massa. Possono esser per esempio inserite nelle capsule con un’operazione di incapsulazione, oppure sottoposte ad un processo di compattazione (compressione, al fine di realizzare le compresse). Tutte queste forme farmaceutiche (capsule e compresse) sono molto spesso sottoposte ad un processo di rivestimento, che può essere spesso zuccherino (confettatura) oppure di filmatura (rivestimento sottile filmogeno di materiale polimerico in grado di conferire caratteristiche di protezione in funzione delle caratteristiche del polimero scelto), le formule rivestite si chiameranno capsule/compresse rivestite o confetto (nel caso della confettatura). Il confezionamento consente di ottenere il prodotto finito, include anche la presenza del foglietto illustrativo per definire il medicinale. Il confezionamento potrebbe esser per conto terzi, si tratta infatti di fasi di lavorazioni autonome che potrebbero esser allestite da un’azienda competente. La linea delle ripartizioni: la miscela delle polveri ha le caratteristiche adatte per scorrere facilmente ed esser incapsulate o compresse direttamente dalla miscela allestita. Quando le polveri non hanno queste caratteristiche si deve passare attraverso un processo che le renda adatte alla ripartizione: - granulazione a secco, realizzazione di granuli mediante compattazione e sgranatura - granulazione ad umido, utilizzando soluzioni leganti, le polveri saranno impastate, poi granulate, essiccate, per ottenere un granulato che sarà poi sottoposto alla ripartizione Pellets o beads sono una forma di granuli più elegante, sono forme farmaceutiche specifiche ad unità multiple che veicolano farmaci prevalentemente a rilascio modificato. Si tratta di sferette formulate con eccipienti particolari, rivestiti con film in grado di conferire delle cinetiche di rilascio particolari per ottenere l’attività desiderata. Unità che si osservano per esempio nelle capsule trasparenti di antiacidi o gastro-protettori. Vengono somministrati con forme di dosaggio a dose unica che rilasciano subunità di pellets lentamente nello stomaco. P a g. | 42 Polveri Una polvere è un sistema eterogeneo composto da particelle individuali casualmente interdisperse con spazi riempiti con aria: le due fasi considerate sono appunto la fase solida e l'aria. Si tratta di un sistema eterogeneo costituito da tante particelle individuali, ma per comodità si considera la proprietà della polvere in toto. È impossibile da caratterizzare individualmente ogni particella della polvere considero quindi le proprietà complessive della massa. Le caratterizzazioni delle polveri sono empiriche, semi-quantitative: danno misure imprecise, dovute alle caratteristiche complessive che compongono la massa delle polveri. Analizzando lo stesso campione più volte si otterrebbero valori diversi, che nell’ambito della variabilità dei dati sono importanti per ricavare informazioni utili per il loro utilizzo. Le proprietà delle polveri, allora, si distinguono a seconda che si considerino le polveri come particelle individuali o come particelle nel loro insieme, cioè in bulk: - Le proprietà della singola particella sono: forma (si osserva attraverso il microscopio ottico che permette di ingrandire la particella fino a 200 ingrandimenti, oppure elettronici per vedere a livello della dimensione atomica la superficie delle particelle e come le molecole interagiscono: questo serve per capire se le particelle hanno caratteristiche complicate → risulta più semplice in termini di scorrevolezza gestire la forma sferica, tuttavia non è sempre quella che si ottiene, a volte occorre sforzare con tecniche differenti l’ottenimento di una determinata forma. Polveri con elevata area superficiale sono vantaggiose nel caso in cui serva aumentare la velocità di dissoluzione delle particelle; quindi, risulta più efficace la forma aghiforme), dimensione, porosità, area superficiale - Le proprietà della polvere in bulk sono: distribuzione dimensionale, scorrevolezza (proprietà di flusso, importante per quanto riguarda la ripartizione volumetrica), area superficiale specifica (ASS, proprietà importante per valutare la dissoluzione) e densità apparente (in realtà nelle polveri abbiamo più di un tipo di densità, esiste quella vera, impaccata, apparente a seconda delle sollecitazioni a cui viene sottoposta la polvere. Quando si parla di densità si pensa al peso specifico, ma non si considera che la sostanza all’interno possa avere degli spazi vuoti, le polveri nel loro insieme invece contengono molti spazi d’aria e anche l’aria nella polvere avrà una sua rilevanza → pur essendo inerte, la quantità di aria presente all’interno delle polveri comporterà una serie di conseguenze per quanto riguarda le proprietà tecnologiche) Interfaccia solido-aria Alla superficie le polveri presentano atomi che non hanno legami chimici con corrispondenti atomi-molecole. Il reticolo molecolare al di sotto della superficie è contornato da atomi legati ad altri atomi, in superficie invece non è presente l’intorno di soli atomi → sono quindi disposti ad interagire con eventuali atomi presenti a distanze intermolecolari di altre particelle. L’esigenza degli atomi di legare con altri atomi adiacenti è l’origine delle caratteristiche d’interazione particella-particella. Si tratta di interazioni deboli (elettrostatiche, VdW, legami a idrogeno) che si riassumono nella definizione di energia libera superficiale, per cui le forze di attrazione non soddisfatte tendono ad estendersi all’esterno della superficie per interagire con ioni/atomi situati sulle superfici diverse. Quindi, a livello dell'interfaccia solido-aria, è come se ci fosse un'energia libera superficiale a causa della forza di attrazione molecolare "non soddisfatta", perché non bilanciata in modo uguale su tutti i lati, che tende anche ad estendersi per piccole distanze verso l'esterno. Quando le particelle sono sufficientemente vicine possono interagire con questo tipo di interazione, vale a dire tra due particelle, ma anche tra particella e superficie (per esempio del contenitore, quindi anche la natura del materiale di confezionamento può determinare delle interazioni). In particolare, si parla di forze di coesione per indicare l'interazione tra particelle dello stesso tipo e di adesione per indicare l'attrazione tra particelle di tipo diverso (materiali diversi) P a g. | 43 La presenza di queste forze di legame ha delle conseguenze sulla resistenza al movimento delle particelle; quindi, danno luogo ad una proprietà intrinseca della polvere in bulk, che è la scorrevolezza, ovvero la resistenza al movimento differenziale delle particelle che la costituiscono: sarà influenzata direttamente dai dispositivi di alimentazione, dalle tipologie di meccanismi, avrà conseguenza sulle proprietà di mescolazione delle polveri con altre masse di polveri (PA o eccipienti). Tanto maggiore saranno le forze di attrazione particella-particella e tanto più complicate saranno le proprietà di flusso. L'influenza diretta di questi aspetti si esplica a livello di: - Scorrimento: ciò è importante per i dispositivi di alimentazione e riempimento. - Miscelazione: se la scorrevolezza della polvere non è ottimale, risulta difficoltosa anche la miscelazione. Elevate proprietà coesive delle polveri (perché esprimono elevata area superficiale o elevata energia superficiale libera), conferiranno maggiore resistenza alla movimentazione → le polveri fini che esprimono elevata area superficiale sono quelle con maggiori problematiche di maneggiamento. - Compressione. La resistenza al movimento relativo delle particelle è influenzata anche da: - Sviluppo di forze elettrostatiche: creano delle frizioni interne. Le polveri quando si movimentano generano cariche elettrostatiche [possono anche avvenire delle esplosioni involontarie, perché si generano cariche interne] - Strato di umidità assorbita. La presenza di acqua superficiale sulle particelle ha un’influenza fondamentale sulle caratteristiche di scorrevolezza. ▪ agisce a livello della dissipazione delle cariche elettrostatiche, perché essa può favorire l'allontanamento delle cariche elettrostatiche, quindi favorire la scorrevolezza ▪ ma può in altri casi formare dei ponti liquidi (legami) tra una particella e l'altra, che impediscono il movimento delle particelle, quindi complicare quella che è la scorrevolezza delle particelle. Le proprietà delle polveri sono influenzate dalle proprietà delle polveri stesse, ma anche dalle apparecchiature che vengono utilizzate. ad esempio, grosse tramogge che movimentano farine e mangimi presentano all’esterno un dispositivo vibrante che permette di sollecitare le polveri al fine di favorirne lo scorrimento all’interno della tramoggia, si tratta di sistemi di liberazione che incentivano la rottura dei legami tra le particelle, fornendo energia, e favorendo la forza di gravità che permette la movimentazione delle polveri dall’alto verso il basso. La movimentazione è un equilibrio tra somma delle forze di coesione Fc (contrastano la movimentazione, sono l’adesione e coesione, impediscono scorrimento) e somma delle forze di scorrimento Fs (gravità, densità, inclinazione del piano, agiscono sulle particelle sulla base del loro peso, forma, disposizione sul piano). Σ 𝐹𝑠 = Σ 𝐹𝑐 Questi contributi non possono essere valutati distintamente, ma esistono tecniche sperimentali per “quantizzare” la resistenza delle particelle al movimento. I metodi sperimentali per valutare la resistenza delle particelle al movimento possono essere divisi in due categorie: - Metodi statici o indiretti: misurano un determinato parametro quando la polvere ha raggiunto una posizione di stasi. Danno informazioni sulla scorrevolezza sulla base di dati acquisiti con test che non prevedono la movimentazione delle polveri. Quando versata all’interno di un contenitore la polvere raggiunge un determinato volume. In base al volume raggiunto si riesce a capire quanto scorre bene o male: le particelle, se si tratta di sfere di vetro, si dispongono nel contenitore in modo da occupare il minimo volume possibile senza lasciare spazi vuoti e scorrono quindi bene. Gli spaghetti spezzati invece scorrono male e lasciano tanti spazi vuoti. Se si sottopone il contenitore con le biglie alla sollecitazione meccanica, esse rimangono nella loro posizione. Scuotendo le biglie, il volume occupato non cambia. Scuotendo gli spaghetti spezzati essi diminuiscono progressivamente il loro volume, occupando lo spazio vuoto disponibile fino a P a g. | 44 raggiungere un certo equilibrio. In funzione della riduzione del volume si ricavano informazioni indirette sulle proprietà di scorrimento. - Metodi dinamici o diretti: misurano un determinato parametro quando la polvere è in movimento. METODI INDIRETTI → Angolo di riposo. Dà risultati variabili, si tratta della valutazione dell'angolo di riposo. Esso si misura quando si versa una quantità di polvere su un piano. La farina, per esempio scorre male, crea un cono piuttosto alto con angolo aperto, viceversa lo zucchero o sale grosso scorre lateralmente sul piano, l’angolo sarà piuttosto stretto. Si ricava dalla tangente del valore di due volte l’altezza diviso il diametro del cono, questa equazione ci dà la misura del valore dell’angolo formato dal piano e l’inclinazione del cono. Si standardizzano questi test caricando una certa quantità di polvere. I valori di angoli di riposo stanno tra i 25 e 40 gradi, quando il valore si avvicina a 25 la polvere avrà buone proprietà di scorrimento, a 40 gradi avremo proprietà di scorrimento scarse. Questa misura è in funzione delle proprietà coesive e frizionali di un letto di polvere sottoposto a piccoli carichi esterni (riempimento di capsule, mixing ecc.). Non sempre è possibile applicare questo tipo di test, alcune polveri non creano un cono, ma formano agglomerati/palloni, non si ottiene quindi una misura sufficiente. Il fatto di non poter eseguire il test è già un’indicazione chiara delle scarse proprietà di scorrevolezza. Le polveri coesive hanno un elevato angolo di riposo. Quindi, questo metodo è attendibile solo per le polveri di facile scorrimento, e non è particolarmente riproducibile a causa degli urti tra le particelle, che influiscono sulla forma del cono. → Indice di compressibilità (compressibility index). Questo metodo, nonostante il suo nome potrebbe trarre in inganno, non ha nulla a che fare con le compresse, perché in inglese "compression" non significa propriamente compressione, ma indica la riduzione di volume. È indice di come la polvere si impacca a seguito di sollecitazioni, con riduzione degli spazi d’aria. Quando si ha una polvere di cui si riduce volume poco per volta, non applicando forze importanti, l'unica cosa che si fa è allontanare l'aria: quindi, la compressione è la riduzione del volume apparente totale per allontanamento dell'aria, cioè l'eliminazione degli spazi vuoti. Il cilindro graduato di 100mL permette l’inserimento di una certa quantità di polvere, fino ad arrivare ad un certo volume, (la quantità caricata non è importante: essa dipende dalla scorrevolezza e dalla densità espresse dalla povere nel cilindro) ci si annota il valore di volume al versamento, poi aziono il motore, questo fa muovere la puleggia che fa fare un salto di 2 cm al cilindro, il quale si muove solidale insieme alla polvere che subisce queste sollecitazione → questo consente l’impaccamento progressivo della polvere, riducendo la massa di aria. La densità sarà quindi maggiore, in quanto si ottiene un volume inferiore a parità di massa. Valuterò così la differenza del volume della polvere (rapporto tra volumi, percentuale), ottengo un indice standardizzabile per valutare la proprietà di scorrevolezza. Misuro quindi quanto una polvere tende a modificare il suo volume se sottoposta a sollecitazione. Le palline in vetro già dal primo versamento hanno acquisito il loro minimo volume, dopo sollecitazione rimangono sempre allo stesso livello. Minore è l’indice di compressibilità e migliore è la scorrevolezza. La polvere costituita dalle palline di vetro avrà I=0. V volume del campione sottoposto a “tapping” standard Vo volume del campione prima del “tapping” I < 15% I > 25% buone caratteristiche di flusso cattive caratteristiche di flusso P a g. | 45 METODI DIRETTI → Angolo dinamico. In questo metodo, si considera un tubo in vetro da cui sono state rimosse le cariche superficiali per evitare fenomeni di adesione (il tubo deve essere trasparente per vedere all’interno e la plastica non è utilizzabile perché genera forze di attrazione elettrostatica che andrebbero a modificare le caratteristiche delle polveri) al cui interno è inserita la polvere. Quando il tubo ruota lungo il suo asse, la polvere tende ad assumere una certa posizione, perché scivola lungo le pareti interne. Misuro l’angolo tra piano della polvere in rotazione e il piano dell’orizzonte. Un basso angolo dinamico indica buona scorrevolezza → con scarsa scorrevolezza la polvere tende a legare la superficie interna del cilindro e generare un angolo più alto. - Angolo < 40° indica polveri che hanno proprietà di flusso discreto, - Angolo più o meno di 50° scorrimento difficoltoso. - Raramente le polveri farmaceutiche hanno angolo < 20°. È una misura abbastanza empirica (operatore con goniometro), si standardizzerebbe con una fotografia, ma la valutazione dell’operatore è sufficiente per dare l’informazione relativa alla scorrevolezza. Metodo rapido, sensibile, riproducibile, evidenzia inoltre problematiche di diverso particle size o di presenza di impurezze nelle polveri. → Velocità di flusso. (Q) Per velocità di flusso si intende la quantità di polvere che si muove nell'unità di tempo. Viene valutata la resistenza al movimento delle particelle attraverso un orifizio circolare (imbuto) → calcolo il tempo che la polvere, in una certa quantità, impiega per scorrere. La Q è influenzata dalle dimensioni delle particelle, presenza di contaminanti, distribuzione superficiale delle particelle e anche dal materiale del contenitore. Per miscele costituite da diverse frazioni granulometriche, dal momento che la polvere è sempre costituita da una miscela di particelle di dimensione e forma diversa tra di loro, esiste spesso un rapporto ottimale che conduce alla massima velocità di flusso [anche una piccola quota di polvere fine può influire sulle proprietà di scorrimento della miscela] Il grafico riportato mostra come cambia la velocità di flusso di una polvere grossolana (0.561 mm) all'aggiunta di percentuali via via maggiori di polveri fini di diversa dimensione. All’aumentare di quantità di polvere fine nella miscela ho un aumento della velocità di flusso che raggiunge un massimo in funzione delle tipologie di polvere inserite, poi progressivamente si scende. Con solo polvere fine ho il minimo di scorrevolezza. Polveri fini generano alta area superficiale specifica, quindi, generano alte forze di coesione, ma queste polveri fini aggiunte a polveri grossolane possono migliorarne la scorrevolezza: il meccanismo è legato alla riduzione degli attriti tra particelle (le energie libere creano attriti che impediscono rotolamento) → le polveri fini in miscela facilitano lo scorrimento, riducendo l’attrito. In certi casi le particelle sono sferiche, vengono rivestite superficialmente da particelle più fini e questo riduce le rugosità superficiali che tenderebbero a creare attriti P a g. | 46 Tra zucchero e zucchero a velo, scorre meglio lo zucchero. Aggiungendo una piccola quantità di zucchero a velo nello zucchero granulare è probabile che la miscela delle polveri abbia un miglioramento in termini di scorrevolezza. N.B imparare a leggere i grafici. Cosa dovrei dire per descrivere questo grafico? Nel caso di evidenze sperimentali, questo è l’esperimento in cui sono state eseguite misure di flusso a partire da miscele in cui cambiavano le proporzioni tra le frazioni granulometriche, ogni punto è la velocità di flusso messa in relazione con la composizione. L’andamento descrive come c’è un aumento della velocità per basse frazioni di polvere fine, ma c’è un decadimento della velocità per eccesso di polvere fine. Relazioni massa-volume: Massa facilmente determinabile / Volume più difficilmente determinabile Esistono diversi vuoti all’interno della polvere: - Interparticellari, tra le particelle - Intraparticellari, presenti all’interno di ogni singola particella, costituiscono la porosità particellare. Esistono spazi vuoti aperti (verso l’esterno) e spazi vuoti chiusi (all’interno delle particelle) Per questo motivo, una polvere può avere tre diversi volumi, di cui i più importanti sono: - il volume vero (true volume – Vt), volume totale delle particelle di solido che esclude gli spazi più grandi delle dimensioni molecolari. È legato al peso specifico (peso della massa di materiale a porosità 0). Valore caratteristico per ogni materiale - bulk volume (Vb) volume occupato dall’intera massa di polvere sottoposta a particolari condizioni di impaccamento (includendo vuoti intra e interparticellari). Dipende dal metodo usato - il volume granulare (Vg) volume cumulativo totale occupato dalle particelle che include i vuoti intraparticellari (non quelli interparticellari) → è il volume costituito solo dalle particelle e dai pori interni. Dipende dal metodo usato per la sua determinazione A parità di massa avremo quindi diversi tipi di densità (vera, granulare e del bulk). Determinazione Vt (volume vero) Esistono due metodi per misurare il volume vero: → Si realizza un compatto con una forza tale da avere una buona probabilità di avere una porosità pari a 0: in questo caso, il volume vero è quello che si osserva, che quindi viene calcolato in funzione della forma dell'oggetto. Il volume vero della spugna per esempio si ottiene comprimendo, distruggendo la struttura macroscopica della spugna al fine di ottenere un solido del volume e peso e densità vera. Il metodo quindi più efficace è creare un compatto con una pressa in grado di sviluppare P elevate (porosità 0) e misuro le dimensioni del compatto cilindrico, il volume geometrico ottenuto sarà il volume vero della massa di polvere. Esistono anche altri metodi come sfruttare gas che penetrano i pori anche chiusi per ottenere il volume occupato dalla sola massa escludendo gli spazi vuoti, sarà importante rimuovere l’aria per sostituirla con il gas. → Il metodo compendiale (descritto in farmacopea) che si utilizza normalmente prevede l'utilizzo del picnometro a elio. Questo strumento è dotato di un portacampione in cui verrà posto il campione da misurare; inoltre, ci sono un sistema che misura la pressione all'interno della camera, un sistema per creare il vuoto (degasatore) e un sistema che permette di immettere elio nella camera. Nella camera viene posto il campione di polvere e poi si crea il vuoto, sottraendo tutta l'aria presente; a questo punto, si introduce una quantità nota di elio (definito in termini di volume). In questo modo, nella camera si sviluppa una certa pressione, che sarà maggiore o minore rispetto ad uno standard di calibrazione, in funzione del volume occupato dal campione → maggiore è il volume occupato dal campione e minore è quello che avrà a disposizione l’elio per espandersi, maggiore sarà la pressione. Il sistema deve essere ovviamente calibrato e costruendo una retta di calibrazione posso ricavare il volume vero del mio campione per estrapolazione. P a g. | 47 Eseguo una calibrazione con due sfere di acciaio liscio non poroso dei quali conosco perfettamente il volume. Ne inserisco una alla volta, risalgo alla P generata, creo una retta di taratura/calibrazione a due punti e ricavo il volume incognito con l’interpolazione. Il volume relativo è dato dal rapporto del volume ottenuto con diversi metodi sperimentali e il volume vero. Se il metodo è stato efficace nell’eliminare l’aria, il rapporto sarà uguale ad 1. La presenza dei vuoti può essere più significativa che non gli stessi componenti solidi  Es. importante la rete capillare (capillary network) di vuoti (pori) nello studio dell’entrata dell’acqua nelle capsule e compresse  DISGREGAZIONE GRANULOMETRIA DELLE POLVERI La scienza che si occupa della determinazione delle dimensioni delle particelle (di piccole dimensioni, stiamo parlando di polveri) si chiama Micromeritics. Le polveri in ambito farmaceutico sono molto varie in termini di dimensioni, vanno dai micron ai mm. Per ottenere granulometria più grossolana si possono unire le particelle di polveri, vengono agglomerate ottenendo i granulati, con dimensioni che vanno verso il mm. Le polveri più piccole, vicino al micron (0,5-10 micron), sono dette micronizzate e si ottengono dal processo di micronizzazione. Le dimensioni spesso si indicano anche in mesh (=rete), indicazione anglosassone per indicare le dimensioni delle polveri in base ai setacci usati per la loro selezione (classificazione piuttosto che caratterizzazione). Il numero di mesh diminuisce all’aumentare delle dimensioni Dipenderà anche dal diametro del filo usato per le dimensioni delle maglie. Questi tipi di setacci sono standardizzati, in base alla dimensione delle maglie e dell’apertura che corrisponderà alla distanza tra una maglia e l’altra, tra un filo e l’altro che compone la maglia quadrata del setaccio. Tutto ciò, anche il materiale del filo, è codificato da manuali della farmacopea ufficiale. La polvere è un insieme di particelle diverse per dimensione, è un SISTEMA POLIDISPERSO, generato solitamente per processi di cristallizzazione, o macinazione, o evaporazione (processo di essiccamento). Sono caratterizzate da forma irregolare, con diversa superficie, e soprattutto da un intervallo dimensionale (particle size distribution). Non esiste un metodo conosciuto per determinare una particella irregolare in termini geometrici. Quando parliamo di particelle solide parliamo di aggregati di molecole → a livello microscopico gli atomi o molecole sono agglomerati a comporre un solido. Abbiamo già parlato del fatto che alcuni solidi hanno delle molecole e degli atomi che esprimano delle energie superficiali libere non soddisfatte, ma dobbiamo distinguere bene le dimensioni a cui si sta facendo riferimento → è fondamentale capire la differenza tra dispersione molecolare/atomica e digressione particellare. la dispersione molecolare/atomica riguarda le interazioni tra atomi o molecole a livello microscopico, mentre la digressione particellare riguarda il comportamento di particelle o oggetti in un flusso o processo, spesso a una scala macroscopica Le molecole o gli atomi si trovano nella forma distinguibile atomica o molecolare solo quando

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