Codice Deontologico Psicologi PDF

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Summary

Il documento fornisce un riassunto del Codice Deontologico per gli psicologi. Esplora la legislazione italiana e le norme che regolano la professione psicologica, includendo le varie fonti normative, i diritti inviolabili dell'uomo e l'importanza del consenso informato. Il documento inoltre spiega l'ordinamento della professione di psicologo, la legge 56/89 e le successive modifiche.

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Codice Deontologico – Libro Titti D’Amato CAP.1 Psicologo: figura professionale che ha la funzione principale di favorire benessere e miglioramento qualità della vita delle persone/gruppi/comunità. Legislazione: insieme delle norme che regolano determinati aspetti della vita civile e sociale. le...

Codice Deontologico – Libro Titti D’Amato CAP.1 Psicologo: figura professionale che ha la funzione principale di favorire benessere e miglioramento qualità della vita delle persone/gruppi/comunità. Legislazione: insieme delle norme che regolano determinati aspetti della vita civile e sociale. legislazione professionale per gli psicologi  norme giuridiche cui lo psicologo deve attenersi; include leggi, regolamenti, decreti, ordinanze e codice deontologico. Insieme di norme di uno Stato = ordinamento giuridico. In Italia ci sono diverse fonti normative, importante sapere le diverse prevalenze tra di loro  gerarchia fonti – una fonte non può contenere disposizioni che contrastano con norme di gerarchia superiore; fonti disposte secondo scala gerarchica. In ordine dal più alto gerarchicamente: 1- costituzione e leggi costituzionali 2- fonti primarie; comprendono leggi ordinarie (Codice civile e di procedura civile, codice penale e di procedura penale), leggi di conversione dei decreti-legge, leggi regionali, decreti legislativi 3- fonti secondarie; regolamenti e atti amministrativi. Costituzione della Repubblica italiana (1948) riconosce quali principi fondamentali i diritti inviolabili dell’uomo: - nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità (art. 2) - pari dignità sociale senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali (art. 3) - inviolabilità della libertà personale (art. 13) - diritto alla salute e divieto trattamenti sanitari senza consenso dell’interessato se non per disposizione di legge (art. 32) Art. 13 e 32 costituiscono basi fondanti del consenso informato. Art. 3 ispira il dovere deontologico di rispettare le differenze, valorizzare la diversità Art. 2 e 13 ispirano tutto l’impianto del Codice Deontologico. Leggi ordinarie, in particolare è rilevante la legge sull’ordinamento della professione di psicologo (si vedrà in seguito). Importante ricordare alcuni provvedimenti legislativi che si sono riflessi nell’esercizio della professione di psicologo: legge Bersani sulle liberalizzazioni, ha abolito minimi tariffari e divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti. Ha reso possibile l’adozione di “parcelle negoziabili” tra le parti, ha permesso di concordare l’obbligazione di risultato (il debitore si libera solo con il conseguimento del risultato stesso, ossia adempie se all'esito dell'attività svolta ottiene appunto il risultato). Art. 23 del codice deontologico introduce una versione alleggerita e parziale dell’obbligazione di risultato: il compenso deve essere adeguato a natura e complessità dell’attività professionale, sottolineando che in ambito clinico esso non possa essere condizionato all’esito o risultati dell’intervento. Questa legge inoltre ha abolito il divieto di pubblicizzare i titoli e le specializzazioni professionali, le caratteristiche del servizio offerto e il prezzo delle prestazioni. Infine, ha previsto la possibilità di creare società professionali composte da professionisti di diverse discipline (es. studi associati di psicologi, psicoterapeuti) + abolito divieto di fornire all’utenza servizi professionali interdisciplinari. legge Monti (“Cresci Italia”), ha introdotto l’abrogazione dei massimi tariffari e ha posto in capo al professionista due obblighi: - pattuizione compenso con la formulazione di un preventivo di massima con tutte le voci di costo per prestazione (spese, oneri, contributi) - indicazione dei dati della polizza assicurativa per i danni provocati nell’esercizio dell’attività professionale. legge Lorenzin, la professione di psicologo è divenuta una professione sanitaria; la legge ha reso più severe le misure contro l’esercizio abusivo delle professioni ed è quindi richiesta l’abilitazione dello Stato. Stabilisce inoltre, per chi abusa della professione per la quale è richiesta abilitazione dello stato, una pena che va dalla reclusione 1-5 anni + multa da 15mila-75mila euro. Uno psicologo che convince un soggetto non abilitato a svolgere atti tipici della professione potrebbe essere punito più severamente.  agli psicologi, ora professione sanitaria, sono stati applicati diversi provvedimenti legislativi, tra cui legge 219/2017 sul consenso informato: art. 1, persona destinataria di un trattamento sanitario ha dirito di essere informata su modalità, benefici, eventuali effetti collaterali, rischi. art. 3, minori o persone interdette il consenso informato va dato da chi ha responsabilità genitoriale o tutela, tenendo conto della volontà del minore, avendo come scopo la tutela della sua salute. Le norme deontologiche: norme giuridiche che rientrano nell’ordinamento giuridico professionale. Procedimento disciplinare può avere inizio su impulso del procuratore della Repubblica, le deliberazioni dei Consigli regionali o provinciali possono essere impugnate dall’interessato con ricorso alla magistratura ordinaria (tribunale competente per territorio). La natura giuridica di queste norme è confermata dalla legge 58/89. Il Codice Deontologico ha il pregio di costituire l’elemento di identità della professione, strumento cui il professionista deve rifarsi per orientare scelte di comportamento e rapporti con clientela. Esso ha 4 finalità: 1- tutela cliente 2- tutela professionista nei confronti dei colleghi 3- tutela del gruppo professionale 4- responsabilità nei confronti della società Queste finalità si possono raggiungere attraverso 4 imperativi: meritare la fiducia del cliente, rapporto professionale fiduciario; condotta dell’operatore deve essere tale da consentire competenza di poter confidare che tale condotta sarà dettata dall’obiettivo dell’interesse del cliente. possedere una competenza adeguata a rispondere alla domanda del cliente, consapevolezza dei limiti del proprio sapere. usare con giustizia il proprio potere, dato il rapporto asimmetrico nella relazione psicologo- cliente/paziente; non provocare danno, rispettare autonomia/dignità del cliente, mantenere condotta consona. difendere l’autonomia professionale contrastando tentativi di altri professionisti di compere atti che appartengono allo psicologo. CAP.2 Il percorso della legge 56/89. Adriano Ossicini  promotore di una battaglia culturale, politica, sindacale terminata il 18 febbraio 1989 con l’approvazione della legge n.56, “Ordinamento della professione di psicologo”. Provvedimento contrastato dall’ordine dei medici che vedevano minacciata la propria area di competenza, dalle società psicoanalitiche e da una parte della sinistra parlamentare. La situazione post-legge Basaglia e chiusura dei manicomi (1978) non spianò la strada al riconoscimento della figura autonoma dello psicologo. Ossicini riuscì nel suo intento grazie alle prestigiose cariche istituzionali ricoperte. Era riuscito a trovare un accordo su tre punti: 1- pratica delle psicoterapie condivisa tra medici e psicologi 2- formazione in psicoterapia svolta presso scuole di specializzazione universitarie o istituti riconosciuti 3- “salvataggio” delle pregresse attività private di coloro che si erano formati alla psicoterapia anni prima della legge Art. 1: definisce le attività dello psicologo; uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per prevenzione, diagnosi, attività di abilitazione-riabilitazione e sostegno in ambito psicologico rivolte a persona/gruppo/organismi sociali/comunità, attività di sperimentazione/ricerca/didattica. Osserviamo i termini chiave: strumenti conoscitivi; modelli concettuali con cui psicologo interpreta i fatti (comportamenti, emozioni, pensieri delle persone). strumenti di intervento; basati su parola e relazione, come il colloquio. prevenzione; impedire manifestazione o ridurre probabilità insorgenza situazione problematica diagnosi; valutazione di comportamenti, sintomi e processi mentali e affettivi anormali che risultano disadattivi e/o fonte di sofferenza attraverso classificazione in un sistema riconosciuto + individuazione meccanismi e fattori psicologici che li hanno originati e li mantengono attività di abilitazione-riabilitazione; attività che lo psicologo mette in atto per aiutare persone a superare particolari momenti di difficoltà esistenziale. abilitazione = acquisizione abilità mai posseduta. riabilitazione = recupero funzione compromessa. sostegno; aiutare persona a mantenere l’impegno richiesto dalle sfide della vita per preservare buon adattamento, stimolando capacità e utilizzo risorse. persona, gruppo, organismi sociali e comunità; Art. 2: requisiti per l’esercizio dell’attività di psicologo; laurea in psicologo, tirocinio pratico, abilitazione (esame di Stato) e iscrizione all’apposito albo professionale. Art. 3: disciplina l’attività psicoterapeutica; riconosciuto il titolo di psicoterapeuti agli psicologi e ai medici iscritti ai rispettivi albi professionali che abbiano acquisito una specifica formazione quadriennale presso scuole di specializzazione universitarie o istituti idonei. Art. 35: ha stabilito fino al 1994, in deroga dell’art.3, l’esercizio di attività psicoterapeutica sarebbe stato consentito a psicologi e medici iscritti ai rispettivi albi, laureati da almeno 5 anni e in possesso di una specifica formazione documentata da curriculum scientifico, formativo e professionale. Fa parte delle norme transitorie, scopo di sanare situazioni preesistenti all’entrata in vigore della legge. Art. 4: istituisce l’Albo degli Psicologi e assoggetta essi al segreto professionale (come previsto da art. 662 Codice penale). I successivi articoli trattano la disciplina ordinistica. Gli iscritti all’albo costituiscono l’ordine degli psicologi (un ordine professionale, per professioni che necessitano laurea + esame di abilitazione; altrimenti si definisce collegio professionale) = organo strutturato a livello regionale e provinciale (Trento e Bolzano). Possibile costituire ulteriore sede se nella stessa regione ci sono più di 1000 iscritti e ne facciano richiesta almeno 200 residenti in province diverse. Tale ordine è l’istituzione di autogoverno di una professione riconosciuta dalla legge e ha il fine di garantire qualità delle attività svolte. Ha il compito di tenere aggiornati albo e codice deontologico. Gli ordini professionali sono enti pubblici posti sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia. Tale ordine è vigilato dal 2008 dal Ministero della Salute, costituito dagli iscritti all’Albo, ogni 4 anni questi ultimi devono votare per rinnovo del Consiglio che poi eleggerà Presidente, Vicepresidente, Segretario e Tesoriere. Presidenti regionali e provinciali = compongono Consiglio Nazionale, sede Roma. Art. 7: stabilisce quali sono le condizioni per potersi iscrivere all’Albo degli Psicologi essere cittadino italiano o Stato membro UE non aver riportato condanne penali per delitti che comportino interdizione della professione essere in possesso dell’abilitazione all’esercizio della professione avere la residenza in Italia o, per cittadini italiani all’estero dimostrare di lavorare come psicologi per enti o imprese nazionali che operino fuori dallo Stato Art. 26: l’iscritto all’Albo che si renda colpevole di abuso o mancanza nell’esercizio della professione, a seconda della gravità del fatto, può essere inflitta da parte del consiglio regionale dell’ordine una delle seguenti sanzioni: (immagine seguente) C’è un elevato grado di discrezionalità dell’ordine nell’attribuire a una certa condotta la qualifica di infrazione e nella determinazione della sanzione disciplinare da infliggere. Il procedimento disciplinare è regolato dagli articoli 12, 26 e 27 della legge 56/89 e dai regolamenti disciplinari adottati dagli ordini regionali. Art. 27: il consiglio regionale/provinciale dell’ordine inizia il procedimento disciplinare d’ufficio o su istanza del procuratore della Repubblica; nessuna sanzione disciplinare può essere inflitta senza la notifica all’interessato (può avvalersi di un legale); deliberazioni sono notificate entro 20 giorni all’interessato ed al procuratore; irreperibilità  comunicazioni 2 e 3 (in ordine nell’elenco) avvengono mediante affissione del provvedimento per 10 giorni nella sede del consiglio dell’ordine a albo del comune dell’ultima residenza dell’interessato. Procedimento così diviso, 4 fasi: 1- istruttoria 2- dibattimento 3- decisione 4- notificazione. Una volta vagliata la segnalazione la Commissione può archiviare immediatamente o andare ad accertamenti preliminari (es. audizione interessato, testimoni). Dopo la fase istruttoria. La Commissione propone archiviazione o apertura procedimento disciplinare, vi è poi la deliberazione del Consiglio. Art. 29 legge 31/2008: ha modificato l’art. 29 della legge 58/89 spostando l’alta vigilanza sull’Ordine Nazionale degli Psicologi dal Ministro della Giustizia a quello della Salute. CAP.3 Deontologia: insieme di valori, principi, buone consuetudini che diventano regole condivise da un gruppo professionale e alle quali ogni appartenente dovrebbe ispirarsi nell’esercizio della propria professione. Codice Deontologico: stabilisce e definisce le norme deontologiche, le regole di condotta da rispettare nell’esercizio dell’attività professionale. In vigore 16 febbraio 1998. Esso comprende: norme di tipo “imperativo”, sanciscono divieti e obblighi norme di tipo “permissivo”, concedono possibilità di svolgere attività o assumere comportamenti senza che divengano obbligatori Ha subito modifiche e integrazioni nel 2006 e nel 2013, completamente riformulata a seguito del referendum del 21-25 settembre 2023. Quest’ultimo, riformulato, è entrato in vigore dal 25 ottobre 2023. Psicologhe e psicologi sono chiamati a rispettare, diffondere e ispirarsi a 4 principi etici fondamentali: 1- rispetto e promozione dei diritti e dignità delle persone e animali; operano per promozione della libertà, autonomia e benessere psicologico 2- competenza; essa è data sia da conoscenze teoriche sia da una pratica sottoposta al confronto tra pari e alla supervisione di colleghe o colleghi esperti, assicurano e mantengono alti standard di formazione, riconoscono limiti competenze, formazione in continuo aggiornamento. 3- responsabilità; responsabilità professionale e scientifica verso le persone che a loro si rivolgono, verso comunità e società in cui vivono e lavorano, verso ambiente che li circonda. Responsabilità della scelta di metodi, strumenti, tecniche e loro applicazione. 4- onestà e integrità, lealtà e trasparenza; operano affinché loro interventi e attività professionali siano sempre ispirati da onestà intellettuale, integrità professionale, lealtà umana. Importante esplicitare gli strumenti utilizzati e informare sulle prestazioni e interventi. Il tempo della comunicazione è tempo di cura. CAPO I – PRINCIPI GENERALI Art. 1, campo di applicazione: (1 comma) “le regole del presente Codice Deontologico sono vincolanti per tutte le iscritte e tutti gli iscritti all’Albo. (2 comma) Tutte/i sono tenuti alla loro conoscenza e l’ignoranza delle medesime non esime dalla responsabilità disciplinare. (3 comma) Le stesse regole si applicano anche nei casi in cui le prestazioni vengano effettuate a distanza, via internet o con qualunque altro mezzo elettronico e/o telematico.” L’ignoranza del diritto non può essere invocata come scusa per eludere l’applicazione delle norme. Il terzo comma è stato aggiunto a seguito del referendum del 2013. Esempi infrazione: ammettono dinanzi alla Commissione Deontologica di appartenenza di non conoscere contenuti/esistenza del CD degli Psicologi Italiani. Art. 2, procedure disciplinari e sanzioni: “la psicologa e lo psicologo non mettono in atto azioni e comportamenti che ledono il decoro e la dignità professionale. L’inosservanza dei precetti stabilità nel presente CD, ogni azione od omissione contrarie al corretto esercizio della professione sono puniti secondo quanto previsto dall’art. 26, comma 1, legge 56/89.” Questa è una norma deontologica di chiusura  previsione normativa che consente di includere nel novero di tutte le condotte sanzionabili anche quelle non espressamente descritte nel Codice. Esempi di infrazione: non accoglie bisogni sanitari dell’utente, mal gestisce la relazione asimmetrica, delega a terzi la pubblicizzazione di un corso tenuto da lei/lui omettendo qualsiasi forma di controllo, dando gestione ad un’agenzia la sua e-mail, titolo del corso, contenuti senza visionarne nulla. Art. 3, principio di responsabilità: “la psicologa/lo psicologo considerano loro dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo/gruppo/comunità. In ogni ambito professionale operano per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stesse e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. La psi/lo psi sono consapevoli della responsabilità sociale derivante dal fatto che possono intervenire significativamente nella vita delle altre persone. Pertanto, devono prestare particolare attenzione a fattori personali/sociali/culturali/organizzativi/finanziari/politici per evitare uso inappropriato della loro influenza e non utilizzare indebitamente fiducia e situazioni di dipendenza di committenti. La psi/lo psi sono responsabili dei loro atti professionali e delle loro prevedibili e dirette conseguenze.” Nella nuova formulazione la “vita delle persone” ha sostituito la generica dizione “vita degli altri”: utilizzare il termine “persona” vuole dare una nuova accezione alla relazione tra psi-interlocutore, considerato su alcuni aspetti di pari livello. Vuole eliminare qualsiasi riferimento passivizzante delle prestazioni. Esempi infrazione: scorretta diagnosi iniziale procedendo poi ad un lavoro psicoterapeutico con strumenti usati per nevrosi in presenza di struttura psicotica; collude acriticamente con il cliente lasciandosi manipolare; ha ascoltato un minore su presunto abuso sessuale senza averne competenze specifiche, verificarne attendibilità né competenze cognitive. Art. 4, principio del rispetto e della laicità: (1 comma) “la/o psi, nella fase iniziale del rapporto professionale, forniscono all’individuo/gruppo/istituzione/comunità (utenti o committenti) informazioni adeguate e comprensibili su prestazioni, finalità e modalità, grado e limiti giuridici della riservatezza. (2 comma) Riconoscono le differenze individuali di genere e culturali, promuovo inclusività, rispettano opinioni e credenze, si astengono dall’imporre il proprio sistema di valori. (3 comma) Utilizzano metodi, tecniche e strumenti che salvaguardano tali principi e rifiutano la collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. (4 comma) Quando sorgono conflitti di interesse utente-istituzione dove psi opera, lo psi deve esplicitare alle parti i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli professionali.” Quando lo psi effettua prestazioni di carattere non sanitario (es. psi scolastica) sono comunque chiamati a fornire all’utenza e committenza le informazioni adeguate e comprensibili circa: prestazioni finalità e modalità delle stesse grado e limiti giuridici della riservatezza Quando erogano prestazione sanitaria, l’attività informativa è disciplinata dagli art.24 e 31 del CD e prende forma del consenso informato sanitario. Il 2 comma sancisce il principio della laicità della professione psicologica = indipendenza da rigidi sistemi di credenze e pregiudizi; ciò che distingue, sostanzia e qualifica una condotta psicologica da una non psicologica è proprio il calibrarsi sulla soggettività della persona. Importante il rapporto professionale con il/la migrante, dove si aprono problematiche su nuovi paradigmi culturali, sociali, antropologici, valoriali. Altro contesto delicato in tale ambito è quello carcerario: l’obbligo dello psi di rispettare le credenze del detenuto rischia di essere messo a dura prova (es. cultura mafiosa). Il 4 comma disciplina le situazioni dove possono sorgere conflitti di interesse tra utente e istituzione dove psi opera. Gli obblighi previsti dall’art. 4 del CD sono: obbligo di informazione rispetto delle differenze individuali, di genere e culturali rispetto delle opinioni e credenze dell’utente utilizzo di metodi, tecniche e strumenti che salvaguardino i principi di rispetto e laicità chiara esplicitazione delle proprie responsabilità e dei vincoli in caso di conflitti di interesse tra le esigenze dell’utente e quelle dell’istituzione o dell’organizzazione presso cui psi opera Esempi infrazione: esprimere affermazioni che prescindono dal carattere di laicità prescritto dal CD; inserisce nel rapporto terapeutico l’argomento religioso con modalità non rispettose delle convinzioni del paziente; accetta l’invito di un genitore ad intervenire sul minore omosessuale per fargli cambiare idea sull’orientamento. Art. 5, competenza professionale: “la/lo psi sono tenuti a mantenere un livello adeguato di preparazione e aggiornamento professionale, con particolare riguardo ai settori nei quali operano. La violazione dell’obbligo di formazione continua determina un illecito disciplinare che è sanzionato sulla base di quanto stabilito dall’ordinamento professionale. Riconoscono i limiti della loro competenza e usano solo strumenti teorico-pratici per i quali hanno acquisito adeguata competenza e autorizzazione. Impiegano metodologie delle quali sono in grado di indicare le fonti e riferimenti scientifici e non suscitano aspettative infondate.” Invariato dalla sua versione precedente, riformulato e sottoposto a referendum nel 2013. Serve a garantire che il professionista non abbia semplicemente ricevuto l’abilitazione una tantum, ma che sia anche adeguatamente aggiornato. La terminologia “con particolare riguardo ai settori nei quali operano” mira ad introdurre una formazione a più ampio spettro. Art. 6, autonomia professionale: “la/lo psi accettano unicamente condizioni di lavoro che non compromettano la loro autonomia professionale ed il rispetto delle norme del presente codice e, in assenza di tali condizioni, informano il loro Ordine regionale. Salvaguardano la loro autonomia nella scelta dei metodi, delle tecniche e degli strumenti psicologici; sono responsabili della loro applicazione ed uso, dei risultati, valutazioni e interpretazioni che ne ricavano. Nella collaborazione con professionisti di altre discipline esercitano la piena autonomia professionale nel rispetto altrui.” Sancisce che lo/la psi hanno diritto e dovere di esercitare la propria professione in modo indipendente, senza compromessi o condizionamenti che possano limitare la loro libertà di giudizio e azione. Art. 7, validità dei dati e delle informazioni: “nelle attività di ricerca, nelle comunicazioni dei risultati e in ogni altra attività professionale, nonché nelle attività didattiche, di formazione e supervisione, la/lo psi valutano attentamente il grado di validità/attendibilità/accuratezza/affidabilità dei dati, informazioni e fonti su cui basano le conclusioni raggiunte; espongono le ipotesi interpretative alternative ed esplicitano i limiti dei risultati. Esprimono valutazioni e giudizi professionali solo se fondati su conoscenza professionale diretta o su una documentazione adeguata, coerente con tema oggetto di valutazione”. Esempi di infrazione: esprimere giudizio professionale su stato di personalità di un soggetto in termini assolutistici, basandosi su audio registrazioni di colloquio tra paziente e soggetto in questione (suo marito); redige relazione riportando giudizi sul padre di una paziente minore senza averlo mai incontrato. Art. 8, tutela della professione e contrasto dell’esercizio abusivo: “la/lo psi contrastano l’esercizio abusivo della professione come definita dagli art. 1, 3 della legge 56/89 e segnalano al Consiglio dell’ordine i presunti casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui vengono a conoscenza. Utilizzano il loro titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti.” L’esercizio abusivo di una professione costituisce reato, secondo l’art. 348 del Codice penale: 1- chiunque abusivamente esercita una professione per la quale è richiesta abilitazione dello Stato, punito con reclusione 6 mesi-3 anni + multa 10mila-50mila euro. 2- condanna comporta la pubblicazione della sentenza e confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e trasmissione sentenza al competente Ordine, albo o registro per interdizione 1-3 anni dalla professione o attività regolarmente esercitata. 3- per professionista che ha determinato altri a commettere reato abbiamo 1-5 anni reclusione + multa 15mila-75mila euro. Incorrerebbe in questo reato: soggetto che esercita attività art. 1 legge 56/89 (prevenzione, diagnosi ecc.) senza averne diritto in quanto non psicologo; psicologo e/o medico che esercita attività di psicoterapia senza il corso di specializzazione previsto dall’art. 3 legge 56/89. Art. 9, consenso informato nella ricerca: “nella loro attività di ricerca la/lo psi sono tenuti ad informare adeguatamente le persone coinvolte rispetto a scopi, procedure, metodi, tempi, rischi, modalità trattamento dati personali per poterne acquisire il consenso. Devono fornire adeguate informazioni su nome, status scientifico e professionale del ricercatore e istituzione di appartenenza. Devono garantire piena libertà di concedere, rifiutare o ritirare il consenso. Nel caso in cui la ricerca non consenta di informare preventivamente completamente, hanno l’obbligo di fornire alla fine dell’attività sperimentale e/o ricerca le informazioni dovute per l’autorizzazione all’uso del materiale e dati. Persone non sono in grado di esprimere validamente il loro consenso, questo deve essere dato da coloro che esercitano responsabilità genitoriale o tutela; richiesto anche assenso delle persone stesse. Deve essere tutelato in ogni caso il diritto delle persone alla riservatezza, alla non riconoscibilità e anonimato.” Tale articolo è diviso in due parti: 1- consenso informato  informare su: scopi, procedure, metodi, tempi, rischi, modalità trattamento dati, nome ricercatore/status scientifico/istituzione. 2- diritto dei soggetti alla riservatezza, non riconoscibilità e anonimato È un articolo che rappresenta un passo avanti nella tutela dei diritti dei partecipanti alla ricerca. Art. 10, attività professionali con gli animali: “quando le attività professionali, inclusa ricerca, hanno oggetto il comportamento animale, la/lo psi si impegnano a rispettarne la natura ed evitare loro sofferenze”. Principio etico del rispetto della natura del soggetto animale; riconosce l’animale in quanto soggetto avente diritto di essere rispettato nella sua natura specifica. Art. 11, segreto professionale: “la/lo psi sono strettamente tenuti al segreto professionale; pertanto, non rivelano notizie/fatti/informazioni apprese in ragione del loro rapporto professionale, né informano circa le prestazioni professionali a meno che non ricorrano ipotesi previste dai seguenti articoli”. Tale articolo introduce la serie di norme deontologiche (11-17 del CD) dedicate al tema del segreto e della riservatezza. Il professionista è tenuto al segreto professionale nel rispetto, in primis, di fonti legislative ordinarie: legge 56/89 (art. 4) estende agli iscritti all’Albo la disciplina dell’art. 622 del Codice penale (“chiunque avendo notizia di un segreto, per ragione del proprio stato o ufficio o professione, lo rivela senza giusta causa o lo impiega a proprio profitto, è punito se dal fatto può derivare nocumento con reclusione fino ad 1 anno e multa 30-516 euro”). A rafforzare l’obbligo giuridico è intervenuto il CD, il segreto non riguarda informazioni delle quali si è venuti a conoscenza accidentalmente o in contesti diversi da quello professionale. Giusta causa di derogare obbligo al segreto: in quando un interesse prevalente rispetto a quello messo in pericolo dalla divulgazione può essere garantito solo con rivelazione segreto. Quindi, quando violazione segreto è inevitabile e costituisce strumento per tutela di un diritto o interesse legittimo. Ipotesi di giusta causa secondo Codice penale: caso fortuito o forza maggiore costringimento fisico errore determinato dall’altrui inganno legittima difesa stato di necessità Art. 12, testimonianza: “la/lo psi si astengono dal rendere sommarie informazioni o testimonianza su quanto conosciuto per ragione della propria professione. Possono derogare obbligo al segreto professionale in presenza di un valido e dimostrabile consenso della persona destinataria della prestazione; valutano, comunque, opportunità di fare uso di tale consenso considerando preminente la tutela psicologica della persona destinataria della prestazione. In assenza del consenso e salvi i casi in cui hanno l’obbligo di riferirne all’autorità giudiziaria, devono astenersi dal rendere informazioni e in caso di testimonianza devono rimettersi alla motivata decisione del giudice.” La/lo psi non devono violare il segreto professionale neanche in occasione di una testimonianza processuale, a meno che non sia stato autorizzato a farlo dal destinatario della prestazione. Tale determinazione deontologica è giustificata dall’art. 200 del Codice di procedura penale. Il consenso per testimoniare deve essere valido (prestato da persona in grado di giudicare e decidere) e dimostrabile (dichiarazione scritta o documentabile). Ci si può anche astenere nonostante il consenso, poiché prevale l’interesse della tutela psicologica rispetto all’attività giudiziaria. Nel caso delle “sommarie informazioni” (dichiarazioni rilasciate durante indagini preliminari su convocazione come persone informate sui fatti) gli psi devono sempre appellarsi al segreto professionale. Art. 13, casi di referto o denuncia o deroga alla riservatezza: “nel caso di obbligo di referto o denuncia, la/lo psi limitano a quanto strettamente necessario il riferimento di quanto appreso in ragione del rapporto professionale, ai fini della tutela psicologica della persona. Negli altri casi, valutano con attenzione la necessità di derogare totalmente o parzialmente la riservatezza, qualora si sospettino gravi pericoli per vita o salute della persona/terzi.” L’obbligo del segreto professionale cede dinanzi a due obblighi: 1- referto 2- denuncia Nel caso in cui psi svolga attività in un contesto privato si applica disciplina art. 365 Codice penale dove chiunque, avendo nell’esercizio di una professione sanitaria (essendo psi un professionista sanitario) prestato assistenza in casi che possono presentare i caratteri di un delitto per il quale si debba procedere d’ufficio, omette o ritarda di riferirne all’Autorità Giudiziaria, è punito con multa fino a 516 euro. Questa disposizione non si applica quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Nel contesto privato l’atto del riferire è il referto  dichiarazione scritta che il professionista sanitario è tenuto a presentare entro 24 ore all’autorità giudiziaria o polizia quando abbia ravvisato la sussistenza di un reato perseguibile d’ufficio (a prescindere dalla querela o se non si vuole che il colpevole venga processato; es. maltrattamenti in famiglia, minaccia con armi, lesione personale, mutilazione organi genitali, estorsione, violenza sessuale, stalking verso minore o disabile, omicidio). Nel contesto pubblico, il verbo utilizzato è denunciare: chiunque mentre sta esercitando una professione sanitaria in veste di pubblico ufficiale, viene a conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio, è sempre obbligato a farne denuncia all’AAGG (Polizia Giudiziaria/Procura Repubblica) redigendo un rapporto. L’obbligo decade nel caso di reati non perseguibili d’ufficio. Nel caso del libero professionista: in caso di conoscenza di un reato perseguibile d’ufficio, è obbligo a farne denuncia all’AAGG redigendo un referto; al contrario del rapporto (contesto pubblico), il referto non è obbligatorio: - se espone paziente a rischio di procedimento penale - se espone il libero professionista ad un possibile danno nel fisico, nella libertà o nell’onore proprio o proprio congiunto Esempi e quesiti sul segreto/denuncia/referto: psi assistono privatamente un paziente vengono a conoscenza che esso ha commesso un reato  non sono obbligati a denunciarlo all’AAGG perché il referto esporrebbe paziente a procedimento penale. Nel caso di contesto pubblico, sono sempre obbligati a redigere rapporto e denunciare all’AAGG. psi che assiste privatamente una 14enne e viene a conoscenza di un abuso su di lei, deve redigere referto denunciando all’AAGG perché il referto non espone paziente al rischio di procedimento penale, poiché vittima. per convocazione come persona informata sui fatti si ha l’obbligo al segreto professionale, ma si ha anche l’obbligo di comparizione dinanzi l’Autorità. il giudice può ordinare la deposizione allo psi nonostante il segreto professionale. se chiamati per testimonianza, si ha l’obbligo di presentarsi specificando che si è vincolati dal segreto professionale e per cu si asterrebbero dal rendere testimonianza. ci si può opporre anche nel caso in cui il paziente ci chiami come testimoni, lo psi valuta attentamente. info chieste su paziente da CTU/Perito/CT  tenuti a mantenere segreto professionale. genitore chiede info su figlio minorenne  si possono fornire informazioni agli esercenti responsabilità genitoriale che hanno prestato il consenso informato, valutare le info da fornire in base all’età e alla maturità del paziente. In caso di figlio adulto si ha l’obbligo al segreto professionale. terapia di coppia, uno dei due chiede relazione, l’altro si oppone  lo psi è tenuto a mantenere segreto professionale e non redige la relazione. in caso di rivelazione di abuso su minori (paziente è colpevole) lo psi che lavora privatamente valuta attentamente, poiché esporrebbe il paziente a procedimento penale. in caso di intenzioni suicidarie  non vi è obbligo di referto, poiché sono intenzioni, ma si valujta la necessità di derogare propria riservatezza (denunciando o refertando) qualora si prospettino gravi pericoli per vita o salute del soggetto/terzi. differenza tra denuncia, querela e referto: - denuncia è atto formale con il quale si dà notizia all’Autorità Giudiziaria di un reato procedibile d’ufficio - querela è un atto formale con il quale si dà notizia all’Autorità Giudiziaria di un reato a querela di parte che si ritenga di aver subito - referto è un atto formale di chi esercita professione sanitaria con il quale si dà notizia all’Autorità Giudiziaria di un reato procedibile d’ufficio. la differenza tra querela e reato procedibile d’ufficio: - reati procedibili d’ufficio  quelli più gravi per cui appena appresa notizia dall’Autorità Giudiziaria, si deve procedere senza la necessità che persona offesa esponga querela - reati a querela di parte sono meno gravi ed è necessaria querela da parte di persona offesa (es. reato di stalking). Denuncia o referto vanno trasmessi esclusivamente all’Autorità Giudiziaria. nel caso di paziente che riferisce di subire percosse da parte del convivente ci sono caratteri di un delitto per il quale si procede d’ufficio, per cui vige obbligo referto. durante colloquio terapia familiare  m, p, f. F rivela che il padre (p) abusa sessualmente di lui. Lo psi sarebbe obbligato a refertare, ma esporrebbe la persona assistita (p) a procedimento penale. Ciò nonostante, è pacifico ritenere che in tale situazione debba prevalere obbligo di referto con la consapevolezza che genitore potrebbe querelare o segnalare al Consiglio dell’Ordine lo psi per violazione del segreto. Art. 14, interventi professionali su gruppi: “nel caso di intervento su o attraverso gruppi, la/lo psi hanno il compito di formare, nella fase iniziale, circa le regole che governano tale intervento. Devono altresì impegnare, quando necessario, le persone componenti del gruppo al rispetto del diritto di ciascuna alla riservatezza”. L’espressione “su o attraverso i gruppi”  perché gruppo può essere oggetto dell’intervento o strumento attraverso il quale si interviene per finalità diverse. Il primo periodo riafferma l’obbligo dell’art. 4 ovvero fornire informazioni adeguate e comprensibili su ogni aspetto (prestazioni, finalità ecc.). Il secondo periodo pone in capo allo psi il dovere di stimolare concrete istanze di riconoscimento reciproco tra i partecipanti del gruppo al diritto di riservatezza. Art. 15, collaborazioni interprofessionali e condivisione delle informazioni: “nel caso di collaborazione con altre figure professionali parimenti tenute al segreto, la/lo psi, previo consenso della persona destinataria della prestazione, possono condividere soltanto le informazioni strettamente necessarie in relazione al tipo di collaborazione”. E’ una forma di deroga all’obbligo del segreto invocabile nei casi in cui lo psicologo debba collaborare con altri professionisti parimenti tenuti al segreto. Vi è però necessità del consenso della persona interessata. Caso particolare: cartella clinica (atto pubblico istituzionale e documento comprovante storia clinica della presa in carico del paziente, multiprofessionale per consentire ad ogni specialista di avere riscontri)  ogni specialista deve riportare ciò che è indispensabile al collega per coordinare azione terapeutica di ognuno. Art. 16, salvaguardia dell’anonimato: “la/lo psi redigono le comunicazioni scientifiche in modo da salvaguardare in ogni caso l’anonimato delle persone destinatarie della prestazione”. Omettendo nomi dei destinatari delle prestazioni cui si fa riferimento, ricorso a sole iniziali/sigle/nomi fantasia. Omettere qualsiasi particolare che possa condurre all’individuazione dell’identità del destinatario della prestazione. Esempi infrazione: presenta caso clinico senza ricorrere a sigle o nomi di fantasia; comunicazione scientifica nella psicoterapia di coppia fa riferimento a un suo paziente fornendo alcuni dati anamnestici che consentono l’individuazione del destinatario della prestazione. Art. 17, protezione di dati e documenti: “la riservatezza delle comunicazioni deve essere protetta e garantita anche attraverso la custodia e il controllo di appunti, note, scritti o registrazioni di qualsiasi genere e sotto qualsiasi forma, che riguardino il rapporto professionale. Tale documentazione deve essere conservata per almeno i cinque anni successivi alla conclusione del rapporto professionale, fatto salvo quanto previsto da norme specifiche. La/lo psi che collaborano alla costituzione e uso di sistemi di documentazione si adoperano per la realizzazione di garanzie di tutela delle persone interessate.” La segretezza delle comunicazioni deve essere protetta anche attraverso la custodia e il controllo di appunti/note/scritti/registrazioni. La nuova normativa sulla privacy alla luce del GDPR (General Data Protection Regulation): 25 maggio 2018 è entrato in vigore il Regolamento Europeo 2016/679 noto con acronimo GDPR. Insieme di disposizioni con obiettivo di ampliare la tutela dei diritti delle persone fisiche in occasione del trattamento dei loro dati da parte di organizzazioni, enti o singoli professionisti. Alla base vi è il principio della responsabilizzazione del professionista, chiamato a effettuare preventivamente un’analisi della propria attività di trattamento dei dati per valutare rischio e prevedere misure di sicurezza. Tali info devono essere raccolte nel documento Registro delle attività di trattamento, conservato dal professionista dove solitamente esercita l’attività. Esempi di misure di sicurezza adeguate: cifratura dei dati (es. password) ripristinare tempestivamente disponibilità e accesso dei dati personali procedure per testare e verificare regolarmente efficacia delle misure di sicurezza Fondamentale la distinzione tra dati personali del paziente e dati professionali prodotti dallo psi; entrambi sono soggette al GDPR ma: - dati personali  sempre dovuti in caso di richiesta del paziente/cliente - dati professionali  non sono dovuti. I dati sensibili (es. salute, orientamento sessuale) devono essere sempre criptati o anonimizzati. Il GDPR afferma che per ottenere consenso, il professionista deve fornire info adeguate su: oggetto del trattamento finalità trattamento modalità trattamento criteri di accessibilità dei dati eventuale comunicazione/diffusione dei dati diritti dell’interessato e modalità di esercizio degli stessi dati e contatti del titolare del trattamento, del responsabile e degli incaricati. L’obbligo di informativa su trattamento dati personali affianca gli obblighi di informativa sul trattamento sanitario, sulla trasmissione spese al sist. Tessera sanitaria e informativa su misura del compenso. Il GDPR ha abolito obbligo di preventiva notifica del trattamento di dati sensibili al Garante per protezione dei dati personali, ma nel caso di Data Breach (violazione dati personali) lo psi ha l’obbligo di inviare una notifica al Garante entro 72 ore dal momento in cui ne viene a conoscenza. La notifica all’Autorità deve contenere: - natura della violazione dei dati personali, categoria e numero degli interessati - comunicare nome e dati di contatto cui ottenere maggiori info su violazione - descrivere probabili conseguenze di tale violazione - descrivere misure adottate per porre rimedio o attenuare effetti negativi. Nel caso di rischio elevato per diritti e libertà dell’interessato, esso va informato. Art. 18, rispetto della libertà di scelta: “in ogni contesto professionale la/lo psi deve adoperarsi affinché sia il più possibile rispettata la libertà di scelta, da parte dell’ente o della persona cliente e/o paziente, della professionista/o cui rivolgersi.” Ad esempio in caso di invio di cliente/paziente a uno psichiatra per trattamento farmacologico  necessario che la libertà di scelta della persona sia rispettata e che questa sia informata sulle ragioni della richiesta di intervento di un altro professionista. Art. 19, contesti valutativi: “la/lo psi che presta sua opera professionale in contesti di selezione e valutazione è tenuto a rispettare esclusivamente i criteri della propria specifica competenza, qualificazione o preparazione e non avallano decisioni contrarie a tali principi.” Ad esempio per lavorare in ambiti forensi, non basta essere abilitati come psicologi ma avere competenze specifiche. Art. 20, attività di docenza e formazione psicologica: “nella loro attività di docenza, didattica e formazione la/lo psi stimola in studentesse/ti e tirocinanti l’interesse per i principi deontologici, anche ispirando ad essi la propria condotta professionale”. Ciò può avvenire ad esempio con lezioni sulla deontologia, creazione di materie universitarie sulla deontologia, corsi di preparazione della prova pratica per l’abilitazione. Art. 21, insegnamento di metodi, tecniche e strumenti professionali: “la/lo psi anche attraverso l’insegnamento, in ogni ambito e ad ogni livello, promuovono conoscenze psicologiche, condividono e diffondono cultura psicologica. Tuttavia, costituisce grave violazione deontologica l’insegnamento a persone estranee alla professione psicologica dell’uso di metodi, tecniche e di strumenti conoscitivi e di intervento propri della professione stessa. Costituisce aggravante il caso in cui l’insegnamento di metodi ecc. abbia come obiettivo quello di precostituire possibili esercizi abusivi della professione.” Ha come obiettivo il contrasto dell’esercizio abusivo della professione e alla formazione di non- psicologi alla pratica professionale. Vi è posta la differenza tra generico insegnamento di conoscenza psicologiche (lecito) e quello di strumenti e tecniche conoscitive e di intervento della professione dello psicologo (grave violazione). CAPO II – RAPPORTI CON L’UTENZA E LA COMMITTENZA Art. 22, condotte non lesive: “La/lo psi adottano condotte non lesive per le persone di cui si occupano professionalmente, e nelle attività sanitarie si attengono alle linee guida e alle buone pratiche clinico-assistenziali. Non utilizzano il loro ruolo ed i loro strumenti professionali per assicurare a sé o altri indebiti vantaggi.” Mentre la tutela concreta dell’utente è operata dai codici dello Stato, la norma deontologica si riferisce alla condotta professionale che può rivelarsi lesiva ai diritti dell’utente. Condotta lesiva quando: non vengano scelte ed applicate metodologie e strumenti in coerenza con modelli teorici riconosciuti ed accreditati scientificamente si configuri estranea alla natura della professione di psicologo e alla sua definizione formale e cioè art.1 della legge professionale e art. 3 del CD potere conferito dal ruolo professionale non sia esercitato esclusivamente per le finalità connesse al mandato ricevuto, al contratto definito dalle parti e al benessere psicologico del soggetto. Linee guida = documenti che forniscono raccomandazioni su come svolgere determinati interventi basate su prove scientifiche. Buone pratiche clinico-assistenziali = procedure e modalità di lavoro che si sono dimostrate più efficaci nel garantire la qualità e la sicurezza delle cure. Questo articolo è stato adeguato a: - art. 5 legge 24/2017, che prevede che gli esercenti professioni sanitarie si attengono a linee guida elaborate da enti, istituzioni pubblici e privati, società scientifiche. - art. 590 sexies Codice Penale che esclude la punibilità del professionista sanitario quando sono rispettate raccomandazioni previste da linee guida o, in mancanza di esse, le buone pratiche c-a. Esempi infrazione: la/lo psi che utilizza strumenti o tecniche non adeguati rispetto al problema dell’utente; acquisizione info da cliente nel contesto professionale per effettuare vantaggiose operazioni economiche; essere soci d’affari del proprio cliente; accettare valori o beni aggiuntivi al corrispettivo professionale legittimo. Art. 23, compenso professionale: “nella fase iniziale del rapporto professionale, la/lo psi pattuiscono quanto attiene al compenso. In ogni caso, la misura del compenso deve essere adeguata alla natura e alla complessità dell’attività professionale. In ambito clinico tale compenso non può essere condizionato all’esito o ai risultati dell’intervento professionale.” La legge Bersani (248/2006) abolì i minimi tariffari e il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti  ha permesso ai professionisti di concordare l’obbligazione di risultato (= responsabilità di un professionista di ottenere un determinato risultato nel trattamento o nella consulenza di un individuo o di un gruppo. Questo tipo di obbligazione è diverso dall’obbligazione di mezzi, che si concentra sull’uso della diligenza e della competenza professionale nel fornire un servizio, senza garantire un particolare esito. Il professionista si impegna a raggiungere un obiettivo specifico, come ad esempio la guarigione di un paziente, la risoluzione di un problema specifico o l’incremento delle abilità di un individuo. Il paziente o il soggetto che riceve il servizio, si aspetta che il professionista raggiunga questo obiettivo e che il suo comportamento professionale sia orientato verso questo fine). La legge Monti (27/2012, “Cresci Italia”) ha abolito anche i massimi tariffari e lasciato libera la pattuizione del compenso, ha confermato che essa sarebbe dovuta avvenire all’inizio del rapporto professionale e in relazione all’importanza dell’opera. Tra psi-cliente vige un contratto d’opera intellettuale, regolato dal codice civile art. 2229-2238. L’obbligo che il professionista assume nell’ambito clinico è definito un’obbligazione di mezzi = professionista si impegna a porre al servizio la sua scienza, garantisce che si adopererà per ottenere risultato desiderato, ma non potrà mai assicurare esito  in caso di mancato raggiungimento, psi non può essere considerato inadempiente se ha agito secondo criteri di correttezza e competenza. Art. 24, consenso informato sanitario nei confronti di persone adulte capaci: “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge. L’acquisizione del consenso informato è un atto di specifica ed esclusiva responsabilità della/lo psi. Il consenso informato, acquisito nei modi e con gli strumenti più consoni al contesto e alle condizioni della persona, è documentato in forma scritta o attraverso videoregistrazione o, per la persona con disabilità, attraverso dispositivi che le consentano di comunicare. La/lo psi informano la persona interessata in modo comprensibile, completo e aggiornato sulla finalità e sulla modalità del trattamento sanitario, sull’eventuale diagnosi e prognosi, sui benefici e sugli eventuali rischi, nonché riguardo alle possibili alternative e alle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento sanitario.” Il consenso informato è l’espressione del diritto della persona di scegliere, accettare o rifiutare i trattamenti, dopo essere stata esaurientemente informata su diagnosi, decorso e rischi. L’istituto giuridico trova le sue fonti nella Costituzione, nella legge 219/2017 e nel CD: art. 2 Costituzione, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e richiede adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. art. 13 Costituzione, garantisce inviolabilità della libertà personale. art. 32 Costituzione, nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge. legge 219/2017 (norme si applicano anche agli psi dall’entrata in vigore della legge Lorenzin), tutela il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione della persona e stabilisce che nessun trattamento sanitario possa essere iniziato o proseguito se privo di consenso libero dell’interessato. Consenso adeguatamente informato è necessario: - soggetto sia ed appaia in grado di comprendere la materia su cui presta consenso - informazioni espresse in modo chiaro e comprensibile - informazioni pertinenti, rilevanti e complete - non ottenuto attraverso minaccia o violenza. Art. 25, uso degli strumenti e comunicazione dei risultati: “la/lo psi non usano impropriamente gli strumenti di diagnosi e di valutazione di cui dispongono. Nel caso di interventi commissionati da terzi, informano le persone circa la natura dell’intervento professionale, e non utilizzano, se non nei limiti del mandato ricevuto, notizie apprese che possano recare ad esse pregiudizio. Nella restituzione e comunicazione dei risultati dei loro interventi diagnostici e valutativi, la/lo psi sono tenuti ad adattare e regolare tale comunicazione anche in relazione alla tutela psicologica delle persone a cui essa è destinata/si riferisce.” Esempi di uso improprio degli strumenti di diagnosi e valutazione: loro utilizzo fuori dal contesto professionale; somministrazione di test quando non è necessario per ragioni tecnico-professionali, ma per esigenze di altra natura senza che il soggetto ne sia debitamente informato. Art. 26, principio dell’astensione: “la/lo psi si astengono dall’intraprendere o dal proseguire qualsiasi attività professionale ove propri problemi o conflitti personali, interferendo con la natura e l’efficacia delle loro prestazioni, le rendano inadeguate o dannose alle persone cui sono rivolte. La/lo psi evitano di assumere ruoli professionali e di compiere interventi nei confronti di altre persone, anche su richiesta dell’Autorità Giudiziaria, qualora la natura di precedenti rapporti possa comprometterne credibilità ed efficacia.” Ad esempio trattare tematiche analoghe alla propria vita come una separazione coniugale in cui si è fortemente investito e/o coinvolto  si attivano interferenze disturbanti sul piano della corretta prestazione professionale. Infrazioni: psi che svolge attività clinica con paziente che gli ha chiesto di diventare CTP nel procedimento penale/civile che lo vede coinvolto; psi diventa CTP nel procedimento di separazione di un componente della coppia con la quale ha svolto attività clinica anni prima. Art. 27, interruzione del rapporto professionale: “la/lo psi valutano ed eventualmente propongono l’interruzione del rapporto professionale quando constatano che la paziente o il paziente non trae alcun beneficio dall’intervento psicologico e non è ragionevolmente prevedibile che ne trarrà dal proseguimento dello stesso. Ove necessario, forniscono alla paziente/al paziente le informazioni idonee a ricercare altri e più adatti interventi.” Tra le ipotesi di giusta causa per interruzione del rapporto professionale: elementi interni o esterni al rapporto che hanno fatto venir meno la fiducia del professionista nel cliente, situazioni oggettive quali malattia o inabilità protratta. In caso di assenza di beneficio dall’intervento, vi è l’obbligo deontologico di non decidere unilateralmente l’interruzione, ma proporre e discutere con utente. Art. 28, commistioni tra ruolo professionale e vita privata: “la/lo psi evitano commistioni tra ruolo professionale e vita privata che possano interferire con l’attività professionale o comunque arrecare nocumento all’immagine sociale della professione. Costituisce grave violazione deontologica effettuare interventi diagnostici, di sostegno psicologico o psicoterapia rivolti a persone con le quali hanno intrattenuto o intrattengono relazioni significative di natura personale, in particolare rapporto affettivo-sentimentale e/o sessuale. Parimenti costituisce grave violazione deontologica instaurare suddette relazioni nel corso del rapporto professionale. Alla/lo psi è vitata qualsiasi attività che, in ragione del rapporto professionale, possa produrre per loro indebiti vantaggi diretti o indiretti di carattere patrimoniale o non, ad esclusione del compenso pattuito. La/lo psi non sfruttano la posizione professionale che assumono nei confronti di colleghe e colleghi in supervisione e di tirocinanti, per fini estranei al rapporto professionale.” Scopo di limitare condizionamenti, contaminazioni e confusione di ruoli in un rapporto già di per sé asimmetrico e influenzato da dinamiche transferali e controtransferali. Esempi di violazione: intraprendere rapporto professionale con persona con cui ha o abbia avuto relazioni significative; entrare in possesso di informazioni e utilizzarle per acquistare, vendere o compiere operazioni; continui riferimenti alla vita privata con toni affettuosi e mostrando eccessiva disponibilità. Art. 29, condizioni preliminari all’intervento: “la/lo psi possono subordinare il loro intervento ad altri trattamenti e alla condizione che la paziente/il paziente si rivolga a determinati presidi, istituti o luoghi di cura soltanto per fondati motivi di natura scientifico-professionale.” Vieta allo psi di commercializzarsi sul sintomo/malattia del cliente/paziente e di subordinare il proprio intervento a condizioni, esercitando in tal modo qualche forma di limitazione dell’autodeterminazione del paziente a meno che non ricorrano legittime e motivabili opzioni scientifiche. Esempi violazione: psi condiziona accettazione di un cliente al suo riferirsi, per accertamenti diagnostici o percorsi riabilitativi, unicamente ad un determinato centro di riabilitazione con cui esso ha accordi di scambio di favori. Art. 30, proporzionalità tra intervento e compenso: “nell’esercizio della loro professione alla/lo psi è vietata qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali.” Art. 31, consenso informato sanitario nei casi di persone minorenni o incapaci: “i trattamenti sanitari rivolti a persone minorenni o incapaci sono subordinati al consenso informato di coloro che esercitano sulle medesime la responsabilità genitoriale o tutela. La/lo psi tengono conto della volontà della persona minorenne o incapace in relazione alla sua età e grado di maturità nel pieno rispetto della sua dignità. Nei casi di assenza in tutto o in parte del consenso informato di cui al primo comma, ove la/lo psi ritengano invece che trattamento sanitario sia necessario, la decisione è rimessa all’Autorità Giudiziaria. Sono fatti salvi i casi in cui il trattamento sanitario avvenga su ordine dell’autorità legalmente competente o in strutture legislativamente preposte.” La regola generale dell’art. 316 del codice civile stabilisce che entrambi i genitori hanno responsabilità genitoriale esercitata di comune accordo  psi necessiterebbe del consenso di entrambi i genitori. L’affidamento esclusivo a uno solo di essi non comporta esclusione dell’altro da questioni di maggiore interesse per il figlio, tra cui la salute. Solo nei casi di “affidamento super esclusivo” le decisioni di maggior interesse spettano solo al genitore affidatario. In assenza del consenso informato da uno dei due genitori, ove psi ritiene che trattamento è necessario, la decisione è rimessa all’Autorità Giudiziaria. Novità: minore ascoltato e spronato ad esprimere sua volontà; psi può incontrare minore senza consenso dei genitori per ascoltarlo e tenere conto della sua volontà. nel contesto scolastico, ove si svolgono attività non sanitarie (prestazioni psicologiche senza una finalità sanitaria), la/lo psi sono svincolati dall’obbligo di acquisire consenso dei genitori/tutore. la nuova versione dell’art.31 ha sostituito l’obsoleta “potestà genitoriale” (esercizio di potere su minore) con “responsabilità genitoriale” (responsabile in relazione ai diritti dei figlio minorenne). Alcuni quesiti: - se genitore chiede info su condizioni di salute del figlio minorenne, psi può fornire informazioni agli esercenti responsabilità genitoriale che hanno prestato consenso informato, valutando che info fornire. - anche se viene assicurato che anche l’altro genitore è d’accordo, la terapia necessita comunque il consenso di entrambi. - in presenza di dissenso sulla terapia psicologica tra i genitori, interviene il Giudice Tutelare al quale il genitore favorevole può rivolgersi. - nel caso di sportello d’ascolto in istituto scolastico, importante acquisire consenso informato da chi esercita responsabilità genitoriale/tutela. Art. 32, prestazione richiesta da un committente: “quando la/lo psi acconsentono a fornire una prestazione professionale su richiesta di un committente diverso dalla persona destinataria della prestazione stessa, sono tenuti a chiarire con le parti in causa la natura e finalità dell’intervento. In tutti i casi in cui la persona destinataria della prestazione stessa, sono tenuti a chiarire con le parti in causa la natura e la finalità dell’intervento. In tutti i casi in cui la persona destinataria ed il committente non coincidano, la/lo psi tutelano prioritariamente la persona destinataria dell’intervento stesso.” E’ doveroso che lo psi chiarisca all’inizio la natura e finalità dell’intervento valutando quanta eventuale distanza cognitiva vi sia tra gli interlocutori e, nel caso, risolvendola. Lo psi in questi casi di triangolazione si pone in modo strategico, chiarisce e disciplina. Fondamentale tutelare l’utenza rispetto al rischio che la scienza psicologica possa essere utilizzata ai fini di un occulto controllo o manipolazioni dei destinatari. Esempi violazione: occulta in una definizione generica la precisa finalità dell’intervento. CAPO III – RAPPORTI CON LE COLLEGHE E I COLLEGHI Art. 33, principio di colleganza: “i rapporti fra le/gli psi devono ispirarsi al principio del rispetto reciproco, della lealtà e della colleganza. La/lo psi appoggiano e sostengono le colleghe e i colleghi che, nell’ambito della loro attività, quale che sia la natura del loro rapporto di lavoro e la loro posizione gerarchica, vedano compromessi la loro autonomia ed il rispetto delle norme deontologiche.” Le relazioni tra psicologi dovrebbero essere orientate alla consapevolezza di un bene e di un valore comune. Il principio di colleganza è fondato sulla comunione dei principi e valori che definiscono non solo l’identità del singolo psicologo, ma quella collettiva della professione e qualsiasi identità sociale è data dal sentimento di appartenenza ad una unità superindividuale. Il fine della norma è superare una prospettiva egocentrica della/del professionista. Art. 34, contributo allo sviluppo delle discipline psicologiche: “la/lo psi si impegnano a contribuire allo sviluppo delle discipline psicologiche e a comunicare i progressi delle loro conoscenze e delle loro tecniche alla comunità professionale, anche al fine di favorirne la diffusione per scopi di benessere umano e sociale.” Si ritiene deontologicamente doveroso che vi sia una diffusione, all’interno della comunità professionale, delle acquisizioni sia nel campo tecnico che in quello applicativo, in modo che divengano patrimonio comune e non restino confinate nell’ambito delle conoscenze del singolo professionista. Art. 35, indicazione delle fonti: “nel presentare i risultati delle loro ricerche scientifiche e attività professionali, la/lo psi devono indicare gli altrui contributi e le relative fonti.” Art. 36, giudizi sull’operato di colleghe e colleghi: “la/lo psi non esprimono pubblicamente su colleghe e colleghi giudizi negativi relativi alla loro formazione, alla loro competenza o comunque giudizi lesivi del loro decoro e della loro reputazione professionale. Costituisce aggravante il fatto che tali giudizi negativi siano volti a sottrarre clientela alle colleghe e ai colleghi. Qualora ravvisino casi di scorretta condotta professionale e metodologica che possano tradursi in danno per le persone o enti destinatari o per il decoro della professione, la psicologa e lo psicologo devono darne tempestiva comunicazione al Consiglio dell’Ordine competente.” Tale norma ha da una parte la finalità di scoraggiare i comportamenti omertosi (il dovere di non criticare i colleghi non implica il soprassedere a qualsiasi valutazione negativa del loro comportamento), dall’altra vuole facilitare l’esercizio dell’attività disciplinare dell’Ordine. Art. 37, accettazione del mandato: “la/lo psi accettano il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle loro competenze. Qualora l’interesse della persona o dell’ente richiedente la prestazione comporti il ricorso ad altre competenze specifiche, la/lo psi propongono l’invio ad altro collega o professionista.” Lo scopo è da una parte tutelare l’utenza rispetto al rischio di non ricevere prestazioni professionali adeguate ai propri bisogni e alle proprie necessità, dall’altra tutelare l’immagine della professione rispetto al rischio di scadere in relazione all’offerta di prestazioni professionali inadeguate. Altra finalità è tutelare i professionisti in relazione all’indebita sottrazione di lavoro da parte di concorrenti sleali in aree di loro specifica competenza. Esempi di violazione: psi non formato all’esercizio della psicoterapia accetta di prendere in carico un rapporto psicoterapeutico; non propone consulenza medica in presenza di disturbi che hanno anche valenza organica; intervenendo in ambito clinico e peritale e riscontrando una specifica necessità di valutazione diagnostica per la quale occorre competenza specifica  non invii a un collega qualificato. Art. 38, dignità professionale e decoro: “nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresentano pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, la/lo psi sono tenuti a uniformare la propria condotta ai principi della dignità professionale e del decoro.” Richiama l’art. 2, incrocia l’etica attiva dal momento che promuove un profilo decoroso e dignitoso della figura professionale dello psi + non comportare immagine negativa della professione in caso di esponente di essa. Esempi violazione: nel corso di un pubblico dibattito, psi mantiene un comportamento volgare/ridicolo; esprime giudizi o valutazioni azzardate e scientificamente infondate-svalutative della psicologia; sostiene pubblicamente posizioni contrarie all’autonomia e indipendenza della professione. CAPO IV – RAPPORTI CON LA SOCIETA’ Art. 39, presentazione professionale: “la/lo psi presentano in modo corretto ed accurato la propria formazione, esperienza e competenza. Riconoscono quale loro dovere quello di aiutare la comunità, le clienti e i clienti, a sviluppare in modo libero e consapevole giudizi, opinioni e scelte.” Descrive lo psicologo come produttore e facilitatore di chiarezza e genuinità nell’informazione, comunicazione e nel comportamento. Scopo: tutelare sia il decoro, dignità e immagine della promozione sia la collettività in relazione al rischio di essere influenzata da informazioni non veritiere. “Gonfiare” propria formazione è un imbroglio che può comportare responsabilità giuridiche e deontologiche, ma impedisce orientamento mirato degli utenti verso adeguata risposta alla propria domanda. Esempi di violazione: qualificarsi come “docente di psi sociale” sul proprio biglietto da visita, quando si conduce un corso per infermieri professionali; invitare gli utenti a leggere solo dei giornali specifici perché più coerenti a ciò che egli ritiene posizioni politico-culturali giuste. Art. 40, pubblicità professionale: “la/lo psi, indipendentemente dai limiti posti dalla vigente legislazione in materia di pubblicità, non assumono pubblicamente comportamenti scorretti e finalizzati al procacciamento della clientela. Può essere svolta pubblicità informativa circa titoli e specializzazioni professionali, caratteristiche servizio offerto, prezzo e costi complessivi secondo criteri di trasparenza e veridicità del messaggio il cui rispetto viene verificato, ove necessario, dai competenti Consigli dell’Ordine. Il messaggio deve essere formulato nel rispetto del decoro professionale, conformemente ai criteri di serietà scientifica ed alla tutela dell’immagine della professione. La mancanza di trasparenza e veridicità del messaggio pubblicizzato costituisce violazione deontologica.” A seguito della legge Bersani (248/2006 – abolizione divieto pubblicizzare titoli e specializzazioni, servizio offerto e prezzo) tale articolo è stato modificato per poter eseguire questo tipo di pubblicità, con necessità di richiesta del nulla osta  quest’ultima cosa è decaduta dopo indicazioni dell’Antitrust (non vi è necessità di mandare proprio materiale pubblicitario all’Ordine). Non sono però specificati termini e modi in cui il rispetto dei criteri di trasparenza e veridicità sono verificati dall’Ordine. CAPO V – NORME DI ATTUAZIONE Art. 41, osservatorio permanente sul CDPI: “è istituito presso la Commissione Deontologica dell’Ordine degli Psicologi ‘l’Osservatorio permanente del Codice Deontologico’ regolamentato con apposito atto del Consiglio Nazionale dell’Ordine. L’Osservatorio ha il compito di raccogliere la giurisprudenza in materia deontologica dei Consigli regionali e provinciali dell’Ordine e ogni altro materiale utile a formulare le proposte che la Commissione dovrà portare in Consiglio Nazionale dell’Ordine ai fini della revisione periodica del CD.” Tale articolo è quello più disatteso; i vari Consigli Nazionali succedutisi nel tempo avrebbero dovuto rinnovarne la composizione e invece ci sono state lunghe latenze e spesso l’Osservatorio è stato ricostituito di tanto in tanto solo in base a soggettivi metabolismi politici o psicologici alla vigilia dell’entrata in vigore di alcuni provvedimenti, es. legge Bersani, legge Monti, legge Lorenzin. Si sceglie di raggruppare revisioni e sottoporle assieme al vaglio referendario  questo però ha conservato nel Codice per tempi troppo lunghi, a rischio di generare confusione, articoli superati dalle norme generali. Art. 42, entrata in vigore del CDPI: “il presente Codice deontologico entra in vigore il trentesimo giorno successivo alla proclamazione dei risultati del referendum di approvazione, ai sensi dell’art.28, comma 6, lettera c) della Legge 18 febbraio 1989, n. 56.” Il referendum 21-25 settembre 2023 e riforma del CD: con la deliberazione del 28 aprile 2023, il CNOP (Consiglio Nazionale Ordine Psicologi) ha sottoscritto all’unanimità il testo di una proposta di revisione del CD che, sottoposta al referendum di psi italiani 21-25 settembre, è stata approvata con 9mila voti a favore e 7mila contrari. Tale riforma si è resa necessaria a seguito del mutare del sentire sociale, analisi della giurisprudenza ordinistica intervenuta negli ultimi 20 anni e di precisi dettati normativi come la legge Lorenzin sul riordino delle professioni sanitarie che ha reso applicabili alla nostra professione la legge sul consenso informato (n. 219/2017) e altri provvedimenti. Le principali novità introdotte dal nuovo CD in vigore dal 1 dicembre 2023: adeguamento al linguaggio di genere; tutti gli articoli si riferiscono alle psi e agli psi. titolazione degli articoli; consenso informato; lo spostamento del primo comma del vecchio art.24 al nuovo art.4 ha la funzione di differenziare il consenso informato sanitario dalle informazioni che gli psi hanno il dovere di fornire in tutte le loro prestazioni professionali. Si è voluto precisare che esistono prestazioni (quelle sanitarie) che necessitano di consenso informato specifico (art.24 consenso informato su persone adulte capaci - e art.31 consenso informato nei confronti dei minori o persone con disabilità). riformulazione art.21, indica più chiaramente ciò che è consentito prevedendo una deroga e un’aggravante. segretezza e testimonianza. Linee guida prestazioni psicologiche via internet e a distanza (realizzate da commissione Atti Tipici del CNOP e approvate dal CNOP maggio 2017): etica; principi etici e norme del CD si applicano anche nei casi di prestazioni effettuate con supporto di tecnologie di comunicazione a distanza. adeguatezza; responsabilità dello psi valutare l’adeguatezza dello strumento (intervento on line) in base a caratteristiche dell’intervento e dei soggetti coinvolti. competenza; fornire servizi online entro i limiti della propria competenza derivata da formazione, esperienza di tirocinio, istruzione o altre esperienze professionali, possesso di competenza per utilizzare la tecnologia adeguata. aspetti legali; psi dovranno rispettare tutte le leggi e i regolamenti, rispettare i confini giurisdizionali e/o internazionali riservatezza; psi devono prendere precauzioni per proteggere e mantenere la riservatezza dei dati e delle informazioni relative ai propri pazienti, così come usare sistemi hardware e software che prevedano efficienti sistemi di protezione dei dati. consenso; devono ottenere e documentare accuratamente il consenso informato, in particolare su privacy, struttura e durata dei servizi, rischi, limitazioni dei mezzi di comunicazione utilizzati, affidabilità della connessione online, regole di partecipazione e termini e politiche di cancellazione. gestione delle crisi; gli psi dovrebbero fornire riferimenti a strutture cliniche nella posizione geografica del cliente in caso di emergenza, prima di iniziare l’intervento online. Formazione continua in psicologia: Formazione continua = ogni attività di accrescimento e approfondimento delle conoscenze e competenze professionali, nonché il loro aggiornamento mediante la partecipazione ad iniziative culturali nel campo della psicologia. L’obbligo di formazione decorre dal 1° gennaio dell’anno successivo a quello di iscrizione all’Albo, il periodo di valutazione della formazione continua ha durata triennale, l’unità di misura è il credito formativo. Ogni iscritto deve conseguire nel triennio 150 crediti formativi, di cui almeno 40 conseguiti in ogni singolo anno formativo. Ogni iscritto sceglie liberamente gli eventi e le attività formative, in relazione ai settori di attività professionale esercitata; almeno 5 crediti devono avere come oggetto l’ordinamento professionale e previdenziale e la deontologia. Terapia Multigenerazionale CAP 1 – LE RADICI DELLA PSICOLOGIA RELAZIONALE La psicologia relazionale affonda le sue radici nella cultura statunitense degli anni ’50; questo nuovo approccio olistico-interdisciplinare offrì un terreno fertile allo sviluppo di scienze sociali come antropologia e sociologia. Nel campo della psicologia: teorie neofreudiane introdussero uno spostamento dall’osservazione dei soli fattori intrapsichici a un’esplorazione dei fenomeni interpersonali e dei contesti culturali/sociali in cui si dispiegavano. Minuchin indicò il gruppo neofreudiano composto da Sullivan, Fromm, Horney e Thompson come il vero precursore del movimento di terapia familiare. La teoria generale dei sistemi fu sistematizzata nel 1968  interesse dell’osservatore su “complessità organizzate”. La prospettiva sistemica applicò un obiettivo grandangolare alla sua visione del mondo: interdipendenza e interrelazione tra fenomeni osservati; tale paradigma di riferimento fu definito sistema  questo modello consentiva all’osservatore di cogliere le caratteristiche comuni a tutti i sistemi, intesi come “un insieme di unità interagenti che sono in relazione tra loro”. Introduzione prospettiva sistemico-cibernetica (mutarono concetti e terminologia delle teorie della comunicazione utilizzate negli studi sul comportamento animale e scienze computazionali, es. output, feedback): chiave d’accesso alla famiglia (vista come sistema autocorrettivo) è data dal disagio psichico individuale che si traduce in una distorsione della comunicazione. Teorizzarono che l’organizzazione del sistema familiare fosse caratterizzata da una tendenza a preservare lo status quo (omeostasi), attraverso precise regole di comunicazione e interazioni. Questo modello, proposto da Palo Alto, si concentrava su aspetti osservabili dei comportamenti/comunicazioni nel qui e ora. Verso la metà degli anni ’50 la teoria del doppio legame (Bateson, Jackson, Haley et al.) fornì la cornice teorica entro cui comprendere e trattare forme di comunicazione disfunzionali tipiche delle relazioni diadiche. Tentativo di spiegare le patologie psichiatriche maggiori in termini di causalità circolare per poi collegarle al tipo di interazioni tra i diversi membri della famiglia  Palo Alto non comprese la complessità del pensiero di Bateson, rimasero ancorati al modello meccanicistico. Sottostavano ancora ad un modello medico: portava a ritenere una comunicazione disfunzionale tra individui coinvolti in un legame emotivo significativo portasse, inevitabilmente, a una manifestazione di patologia. In sintesi la teoria dei sistemi si fondava su un nuovo modo di guardare alla famiglia basato su alcuni concetti fondamentali: famiglia considerata come un sistema. ogni comportamento e cambiamento è visto come funzione della relazione, comprendendo gli effetti e le reazioni che tale comportamento sollecita negli altri e contesto in cui si manifesta. introduzione del concetto di contesto nello studio delle relazioni familiari, aspetto cruciale del modello proposto da Watzlawick, Beavin e Jackson; contesto considerato come la cornice che definisce e significa ciò che accade al suo interno. Contesto definito dallo spazio fisico e dagli aspetti di relazione che qualificano la comunicazione non verbale e definiscono il livello di contenuto. è stato poi dimostrato come i diversi livelli della comunicazione si influenzino l’un l’altro costantemente, non solo il livello di relazione definisce il contesto attraverso cui interpretare aspetti di contenuto di una comunicazione, ma il contenuto in sé acquisisce una dignità relazionale, andando a modificare il contesto. il sintomo assume nuovo significato  non più solo la manifestazione di un disagio individuale o malattia, ma esprime un malfunzionamento nell’organizzazione di un sistema considerato nella sua totalità. Persona sintomatica come portatore del sintomo anche a nome degli altri componenti del sistema familiare. Haley (Palo Alto)  ebbe la prima intuizione sulla triade come unità di osservazione di base dei fenomeni relazionali, che portò alla modalità delle “domande circolari” per raccogliere informazioni. Le configurazioni triadiche disfunzionali venivano definiti triangoli perversi; questa intuizione lo portò all’allontanamento dal gruppo di Palo Alto. Sul versante orientale degli stati uniti diversi teorici e terapeuti (Bowen, Boszormenyi-Nagi, Whitaker, Minuchin) lavoravano su presupposti psicodinamici differenti dal gruppo di Palo Alto. Cercavano di dare valore all’individuo e ai suoi processi di sviluppo personale, ampliando l’osservazione agli aspetti legati alla storia familiare e agli eventi di vita. A questi autori dobbiamo le teorie e i concetti che hanno inaugurato uno studio pioneristico della famiglia secondo prospettiva storica e intergenerazionale: - differenziazione del Sé dalla famiglia di origine e di processi di trasmissione intergenerazionale dell’immaturità (Bowen) - lealtà invisibili e debito e credito intergenerazionali (Boszormenyi-Nagy e Spark) - approccio intergenerazionale al lavoro con le coppie (Framo) - studio dei miti e dei salti temporali (Whitaker) - famiglie invischiate e disimpegnate (Minuchin) - bambino come capro espiatorio dei conflitti infantili, utilizzando la triade primaria come modello per l’osservazione e l’intervento degli scenari familiari (Ackerman) - genogramma familiare (Bowen) che diventò la mappa trigenerazionale della famiglia, un grafico fondamentale utilizzato dai terapeuti all’interno del quale osservare la composizione della famiglia nell’arco di almeno tre generazioni. L’individuo viene sollecitato a riparare antichi tagli emotivi, riconnettersi o differenziarsi da legami di dipendenza tra le diverse generazioni, vivere pienamente il presente e le relaioni attuali. Vediamo una contrapposizione tra puristi dei sistemi: es. Haley, Hoffman; studiavano la famiglia come sistema di interazioni, evitando ogni forma di coinvolgimento personale e/o risonanza emotiva adottando approccio cognitivo. conductors: es. Ackerman, Satir, Bowen, Andolfi; utilizzavano Se stessi con tutta la loro personalità, incluse risposte emotive, intuizioni e creatività, come strumenti per formare un’alleanza terapeutica con la famiglia e come guida dell’intervento  tendevano alla creazione di un terzo pianeta (Andolfi), ovvero spazio terapeutico condiviso con la famiglia che favorisce crescita e cambiamento. La riscoperta della soggettività ha promosso un’evoluzione del modello sistemico. Il soggetto è attivo e non meramente reattivo, in grado di rappresentare se stesso e di costruire una realtà esterna in base ai propri costrutti, premesse, sistemi di credenze. Intenzioni, progetti, credenze, sentimenti ed emozioni si strutturano e si modificano attraverso l’interazione sociale. L’osservatore è costantemente connesso al sistema che osserva, implica che non esiste alcuna descrizione di un fenomeno che si possa considerare oggettiva  il Sé dell’osservatore entra interamente nella realtà che sta osservando, fondamentale la capacità autoriflessiva e una visione del mondo che consentano di fare delle connessioni tra persone ed eventi della vita attraverso una serie di comparazioni tra propria esperienza e quella degli altri. La relazione terapeutica diventa un processo di conoscenza e crescita in cui da entrambe le parti si partecipa attivamente per creare una nuova narrativa di eventi familiari e di significati relazionali. CAP 2 – IL CICLO VITALE DELLA FAMIGLIA E LA DIMENSIONE MULTIGENERAZIONALE La teoria del ciclo vitale della famiglia: modello teorico che contempla l’evoluzione familiare come processo dinamico caratterizzato da determinati stadi di sviluppo che implicano un cambiamento e una riorganizzazione del sistema familiare. I diversi stadi hanno carattere universale e sono segnati da eventi specifici, in particolare vediamo sei momenti di transizione: 1- separazione dalla famiglia d’origine e prima età adulta 2- formazione nuova coppia 3- famiglia con bambini piccoli 4- famiglia con figli adolescenti 5- uscita dei figli da casa e riorganizzazione coppia genitoriale 6- fase dell’invecchiamento dei genitori presenza di nipoti, morte di uno dei due partner Essi sono considerati eventi normativi del sistema familiare, ciò nonostante non rappresentano necessariamente transizioni facili; alcune di queste transizioni possono causare stress o dolore e spesso la richiesta di terapia avviene proprio per le difficoltà insite nel passaggio da una fase evolutiva alla successiva. I sintomi individuali (spesso bambini e adolescenti) sono spesso un segnale della complessità che una famiglia si ritrova ad affrontare nei cambiamenti e nella ridefinizione di ruoli e funzioni. Il modello del ciclo di vita permette al terapeuta di orientarsi e identificare la fase che la famiglia sta attraversando, come pure di esplorare e valutare il cambiamento e il processo di riorganizzazione familiare nel passaggio da una fase ad un’altra. Esistono però diverse tipologie di famiglie rispetto a quelle definitive “tradizionali” come le famiglie ricomposte, monogenitoriali, interculturali, migranti, omoparentali. Critiche del modello: definizione di eventi normativi e paranormativi; situazioni come separazione coniugale e divorzio, estremamente diffusi, non possono essere classificate come eventi “non inerenti al funzionamento familiare normale”. Alcuni studiosi suggeriscono di abbandonare il concetto deterministico di ciclo di vita, in favore di una concezione più dinamica “corso della vita” descritta come carriera familiare (Rogers). Le trame invisibili familiari: trame che rinsaldano il senso di appartenenza di ogni generazione a un unico tempo familiare; il risultato è che ogni individuo partecipa per la sua parte alla messa in scena di un “copione familiare” (lettura degli eventi e della realtà che si costruisce nel corso di almeno 3 generazioni nel proprio contesto culturale) in cui ciascuno nasce con un determinato ruolo ed è tenuto a soddisfare implicitamente una serie di aspettative e a sottostare, in modo più o meno consapevole, a norme, valori, comportamenti trasmessi attraverso generazioni. Le lealtà invisibili (Boszormenyi-Nagy): l’individuo, interiorizzando regole e ingiunzioni implicite presenti nel sistema, sviluppa una serie di lealtà nei confronti della famiglia, le quali si trasmettono da una generazione all’altra e a cui non è facile sottrarsi. Ogni relazione all’interno di una famiglia viene infatti influenzata da lealtà e rispetto per trame e mandati multigenerazionali. L’adulto che si prende cura del bambino diviene a sua volta creditore di una serie di “debiti” che il bambino dovrà ripagare; debiti esistenziali del figlio nei confronti dei genitori, non facilmente estinguibili in breve tempo  rappresentano gli elementi fondanti delle connessioni transgenerazionali. A volte i nuovi legami di lealtà verso il coniuge sono percepiti dai genitori come una forma di slealtà nei propri confronti. Esigenza di bilanciare e conciliare vecchi e nuovi “doveri”. Conquista autorità personale (Williamson): processo di individuazione ed estinzione dei debiti, conquista che non consente compromessi tra le generazioni. Solo quando un individuo raggiunge questo grado di intrinseca autorevolezza potrà percepire pienamente il proprio essere adulto. Secondo Williamson autonomia e autorità personale sono conquiste cruciali per ridefinire l’equilibrio intergenerazionale; affinché ciò avvenga i genitori dovranno rinunciare al livello gerarchico della relazione con i figli per assumere una posizione egualitaria nei loro confronti. I figli potranno sostituire il senso del dovere e dell’obbligo intrinseco nel concetto stesso di rispetto per i genitori. Tale conquista può avvenire solo se il giovane adulto smette di temere la propria libertà, se si assume le proprie responsabilità nel presente con coraggio e fiducia e risolve problemi connessi alla sua dipendenza emotiva dai genitori. Miti familiari: la storia delle generazioni precedenti trasmette nel tempo una serie di significati e valori, che arrivano ai più giovani attraverso ricordi, vicende, tradizioni sociali e rituali dei loro genitori/nonni, informandoli su relazioni e schemi di comunicazione del passato. Identità culturale di una famiglia composto da valori e credenze, amplificato da norme e costumi di un contesto sociale specifico e trasmesso nelle generazioni influenzando i ruoli familiari e come affrontare eventi di vita. Il mito, schema attraverso cui si interpreta la realtà e in cui elementi fantastici e reali coesistono, diventa una “matrice di consapevolezza” fungendo da elemento di unione e fattore di coesione per coloro che credono nella sua verità. La creazione di un mito implica la trasposizione di una serie di eventi e comportamenti reali in una trama narrativa accettata da tutti, in cui ogni individuo recupera una chiave di lettura interpretativa della propria esperienza quotidiana e del significato della propria vita. La creazione di un mito è connessa all’amplificazione, nel tempo, di tratti e comportamenti peculiari di un individuo all’interno di una determinata famiglia e specifico contesto culturale. Valori mitici (vincoli o risorse nel processo di individuazione): condividere un mito può contribuire a rafforzare un’interdipendenza affettiva tra membri di una famiglia e a favorire la continuità di particolari tradizioni culturali nel tempo, affinché ciò accada però gli elementi che lo costituiscono non devono essere troppo rigidi e funzionare come meccanismi prescrittivi. Durante le fasi di transizione nel ciclo vitale di una famiglia, copioni familiari e miti possono essere messi in discussione o rifiutati da uno/più membri familiari, segnalando un forte disagio relativo ad una modalità di appartenenza non più proponibile. La differenziazione del sé: Bowen descrisse il triangolo come unità minima relazionale stabile e il movimento triangolare (non usò mai il termine triangolazione) che si attiva quando l’inevitabile quota d’ansia in una diade trova una detenzione nel coinvolgimento di una terza parte vulnerabile che finisce per stabilire un’alleanza parziale o garantire abbassamento ansia. Bowen sviluppò il concetto di differenziazione del Sé dalla famiglia d’origine  alto livello di fusionalità emozionale all’interno della famiglia impedisce ai singoli una percezione chiara di sé come individui. Il risultato di questo processo di separazione, attraverso sforzo costante di definizione di sé come individui, sarà noto con termine di differenziazione. Esso deve intervenire al livello delle rispettive famiglie d’origine per conquistare un certo grado di libertà. Tale processo è influenzato da diversi fattori, es. stress emotivo nel nucleo familiare, processi maturità/immaturità trasmessi nelle generazioni ecc. Scala di differenziazione  vari livelli di coinvolgimento emotivo all’interno della famiglia su un continuum che va da una fusionalità estrema a una totale differenziazione del Sé. Punto più basso: individui che funzionano in una posizione fusionale con massa indifferenziata dell’Io familiare, cercheranno nella vita di stabilire connessioni caratterizzate da forte dipendenza. Al punto più alto: totale differenziazione del Sé. Taglio emotivo: la ricerca di un equilibrio tra appartenenza e separazione rappresenta un processo difficile che accompagna l’intera esistenza di un individuo; rappresentano due posizioni emozionali, entrambe necessarie ai fini della differenziazione. Spesso invece di venire percepite come fasi, sono vissute come due concetti mutuamente escludenti. Fusione  appartenenza che non tollera alcuna separazione. Taglio emotivo  l’improvviso distacco fisico/emotivo, spesso conflittuale, di una persona dai propri legami familiari ed emozionali; condizione di profondo estraniamento agita da uno/più membri di una famiglia per “proteggersi” da un confronto su una questione in sospeso e dal sentimento di disconnessione da legami familiari importanti. Questa modalità relazionale può generare blocchi evolutivi e sentimenti di incompiutezza emotiva negli adulti, generando disagio nel singolo, nella coppia e nella relazione con i figli. Spesso nasce dall’idea illusoria che si possa conquistare indipendenza semplicemente lasciando la casa dei genitori e rifiutando contatto con famiglia d’origine. Per completare un processo di differenziazione è necessario diventare adulto e riconnettersi- riconciliarsi con il passato mediante elaborazione di perdite, traumi, conflitti aperti. Il figlio cronico: definizione utilizzata da Andolfi per descrivere un adulto che non è riuscito ad assumere un ruolo maturo all’interno della sua famiglia, restando imprigionato in una posizione infantile, di dipendenza emotiva dai genitori/partner/fratello maggiore. Soprattutto a livello delle coppie è emerso un pattern disfunzionale dove uno dei due partner gioca il ruolo della madre/padre per l’altro che sembra emotivamente bloccato a uno stadio evolutivo precedente. Tale difficoltà e immaturità sembrerebbe strettamente connessa con l’incapacità/inabilità di prendere posizione di fronte ai propri genitori. Intimidazione intergenerazionale (Williamson)  processo che arresta l’acquisizione di autorità personale necessaria per raggiungere maturità psicologica. Esiste uno stadio nel ciclo vitale familiare in cui avviene il superamento dei limiti gerarchici nella relazione genitore-figli adulti per approdare a una prospettiva più egualitaria, una ridefinizione della relazione. ELENCO DI TECNICHE UTILIZZATE IN TERAPIA FAMILIARE Scultura: introdotto da V. Satir (1972); La scultura è una tecnica attiva e non verbale, attraverso cui è possibile giungere ad una “ricostruzione familiare”. Consiste nel chiedere al membro della famiglia che ha una visione più chiara delle relazioni familiari, o, in alternativa, ad ogni membro della famiglia, di immaginare di essere uno scultore e di rappresentare la situazione relazionale familiare disfunzionale di difficoltà attuale, posizionando gli altri membri nello spazio e facendo loro assumere pose e posizioni determinate. In questo modo i membri della famiglia vengono “plasmati” a rappresentare la situazione di impasse: ogni membro plasma gli altri come creta determinandone la postura, i gesti, lo sguardo, la vicinanza e la distanza affettiva per come lui la percepisce, e inserendosi nella rappresentazione. Una volta terminata la creazione di ogni scultura, i membri della famiglia vengono invitati a rimanere qualche minuto fermi in quella posizione a contatto con i vissuti e le sensazioni che provano. Il terapeuta assume poi il ruolo di osservatore e commentatore a-giudicante, ponendo domande per indagare tali vissuti. Una volta effettuate tutte le sculture rappresentanti la situazione di difficoltà, è possibile chiedere ad ogni componente di rappresentare con una scultura la famiglia che vorrebbe, ossia la famiglia “ideale”. Domande relazionali: ricerca sull’eziopatogenesi della malattia  causalità circolare (processo di domanda e risposta volto a ricercare le differenze e ad analizzare il complesso sistema di significati all’interno del quale inquadrare i comportamenti). Funzioni conoscitiva, avere informazioni, creare legame con interlocutore. Qualsiasi domanda dovrà includere 3 poli relazionali: il terapeuta potrà porsi come terzo polo oppure da esterno potrà attivare i diversi triangoli. domanda diretta: domanda posta ad A su qualcosa che lo riguarda rispetto a B o alla relazione domanda indiretta: si chiede ad A di mettersi nei panni di B (utile per gap generazionali o rapporti conflittuali) domanda di comparazione: prima-dopo per indagare nel tempo la variazione di uno stato emotivo in relazione a modalità relazionali o contestuali, fornire due o più opzioni di risposta in merito a sé o dimensioni relazionali. domande “come se”: domande ipotetiche, si propongono di uscire fuori dalla logica, stimolando creatività e fantasia nelle risposte. domande metaforiche: una delle migliori modalità di stringere alleanza terapeutica. domande intergenerazionali. Genogramma: è uno strumento grafico che ci permette di risalire al carattere di una persona ed analizzare l’origine di alcuni disagi o difficoltà relazionali partendo dalla analisi delle storie familiari. Ci aiuta a ricostruire l’evoluzione storica della famiglia nel tempo, connettendo tra loro gli eventi significativi. Nello specifico bisogna considerare: - la storia della famiglia - la tipologia dei legami emotivi ed affettivi - le abitudini trasmesse nelle generazioni - il contesto in cui la famiglia vive - i riti ed i miti familiari - la trasmissione dei valori di appartenenza - la posizione dei membri della famiglia nella genealogia familiare Per la sua costruzione si utilizzano tra tipi di informazioni importanti  demografiche (numero componenti, genere, età, se coniugati, figli), funzionali (tipologia legami affettivi, eventuali separazioni), eventi critici. IPOTESI TEST UTILIZZABILI CON FAMIGLIE E COPPIE Il Family System Test (FAST) è uno strumento diagnostico introdotto nel 1993 da Thomas M. Gehring che consente di rilevare la percezione che ciascun individuo ha delle proprie relazioni familiari. I primi studi pilota per la taratura del FAST furono condotti dall’autore nei primi anni ’80 presso i servizi ambulatoriali del Dipartimento di psichiatria per bambini e adolescenti dell’Università di Zurigo. Il test è stato concepito per quei professionisti interessati alle tematiche evolutive della famiglia e del singolo individuo, allo scopo di offrire un supporto al processo di studio e verifica di ipotesi sul significato di problematiche e sintomi che emergono all’interno di una famiglia, così da facilitare la concettualizzazione e la valutazione degli interventi clinici. L’obiettivo primario è quello di descrivere i problemi psicosociali (relativi alla famiglia) e facilitare, di conseguenza, la pianificazione, la realizzazione e la valutazione degli interventi terapeutici. Al soggetto viene chiesto di “pensare” a un’esperienza familiare e di rappresentarla nello spazio attraverso l’uso del materiale fornito. In questo modo la persona trasla sul piano concreto (in questo caso su una scacchiera) le rappresentazioni simboliche, astratte, analogiche e altamente soggettive riguardanti le proprie percezioni delle relazioni familiari. Ciò che ne deriva è una rappresentazione simbolica basata sulla percezione che ogni membro ha delle proprie relazioni familiari e di come queste possano variare sulla base delle interazioni tra i vari membri. Consente di organizzare le informazioni riguardanti la struttura familiare in riferimento ai diversi momenti del ciclo di vita della famiglia e la capacità della stessa di organizzarsi per far fronte a situazioni di stress, così da formulare ipotesi sistemiche in termini diagnostici e di intervento State-Trait Anxiety Inventory (STAI) suddiviso in due scale (Y1 e Y2), che valutano rispettivamente l’ansia di stato, tramite domande riferite a come il soggetto si sente al momento della somministrazione del questionario, e l’ansia di tratto, con domande che indagano come il soggetto si sente abitualmente. E’ possibile in tal modo operare una prima discriminazione tra l’ansia intesa come sintomo e l’ansia espressa come modalità abituale di risposta agli stimoli esterni. Parental Bonding Instrument (PBI) è uno strumento che misura due distinte dimensioni riferibili al costrutto dell'attaccamento: l'accudimento e l'iperprotettività in persone che abbiano compiuto almeno il sedicesimo anno di età. Tale strumento è sotto forma di questionario autosomministrato dove l'adolescente deve ricordare la relazione con i propri genitori, concentrandosi in particolare su tale relazione fino al compimento del sedicesimo anno di età. Experience in Close Relationship Scale (ECR-S) è un questionario self-report di 12 item sullo stile di attaccamento adulto incentrato sulle relazioni strette. Basato sulla letteratura di Ainsworth sugli stili di attaccamento infantile, questa scala misura l'attaccamento disadattivo in età adulta che si trova in una relazione romantica. Adult Attachmen Interview (AAI) questionario semi-strutturato in cui si registrano le interviste che saranno classificate secondo diversi parametri. L’ Adult Attachment Interview ha permesso di definire tre modelli rappresentativi interni del sé e delle figure di attaccamento in età adulta e conseguentemente consente una classificazione degli adulti in altrettante categorie: - Adulti Distanzianti - Adulti Preoccupati - Adulti Irrisolti - Adulti Sicuri - Non Classificabile X PREPARARSI - in maniera breve i primi due capitoli “La terapia Multigenerazionale”  genogramma, utilizzo del sé in terapia, teoria del ciclo vitale della famiglia, modelli rapporto intergenerazional

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