Appunti di Diritto Pubblico PDF
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Questi appunti trattano concetti di diritto pubblico, come il potere politico, la legittimazione dello stato, la sovranità e la cittadinanza. Approfondiscono la definizione di stato e le sue forme storiche. Descrivono i vari tipi di potere sociale, e la loro interazione. Infine, discutono le diverse teorie sulla sovranità e le tendenze attuali in materia.
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Il potere politico Definizioni Il diritto costituzionale si occupa di potere e dei suoi limiti, nei gruppi capita che qualcuno faccia prevalere la propria idea anche quando gli altri ne sono contrari: questo è il potere sociale, cioè la capacità di influenzare il comportamento di altri individui. A...
Il potere politico Definizioni Il diritto costituzionale si occupa di potere e dei suoi limiti, nei gruppi capita che qualcuno faccia prevalere la propria idea anche quando gli altri ne sono contrari: questo è il potere sociale, cioè la capacità di influenzare il comportamento di altri individui. A seconda di come si esercita tale influenza ci sono tre tipi di potere sociale: Potere economico: si avvale di certi beni necessari, o percepiti come tali, in una situazione di scarsità per indurre coloro che non li posseggono a seguire una determinata condotta Potere ideologico: si avvale del possesso di determinate conoscenze, dottrine, religioni; per esercitare un’azione di influenza sui membri inducendoli a compiere o all’astenersi da determinate azioni Potere politico: è quella specie di potere sociale che permette a chi lo detiene di imporre la propria volontà ricorrendo alla forza legittima La legittimazione L’uso della forza è sempre una risorsa estrema e ciò che realmente conta è l’astratta possibilità del suo impiego. Normalmente non si obbedisce al comando di chi detiene il potere solo per paura che quest’ultimo può usare la forza, bensì perché ci si sente moralmente obbligati e chi ha dato determinato ordine è moralmente autorizzato a farlo. Il potere politico quindi non si basa esclusivamente sulla forza ma anche su un principio di giustificazione dello stesso, che si chiama legittimazione. Però come si fa a evitare che l’uso della forza si ingigantisca a tal punto da limitare la libertà delle persone? Il costituzionalismo ha avuto la funzione di dare una risposta a questo problema attraverso la sottoposizione dello stesso potere politico a limiti giuridici. I sistemi politici che attuano questi mezzi si chiamano “stato di diritto”. Con il tempo la legittimazione del potere non era abbastanza ma si ricercava anche il consenso da parte della popolazione; da qui sono derivati nuovi problemi e nuovi compiti per il diritto costituzionale. Per prima cosa ha predisposto i mezzi giuridici per far si che il potere politico derivasse dal popolo sovrano, che ne rispecchi le esigenze e le aspirazioni, evitando al contempo che finisse prigioniero dei conflitti tra i numerosi interessi sociali; come seconda si sono escogitate nuove tecniche istituzionali attraverso cui scongiurare il pericolo che il consenso popolare legittimasse un nuovo assolutismo: la tirannia della maggioranza. In questo quadro si inseriscono i tanti istituti che caratterizzano il costituzionalismo contemporaneo, tra cui: la rigidità costituzionale, la giustizia costituzionale, i diritti sociali, i referendum, le tecniche organizzative di rafforzamento del potere di governo, la regolamentazione dei mercati, l’indipendenza del giudiziario e di alcune amministrazioni indipendenti. Lo stato Definizione Stato è il nome dato ad una particolare forma storica di organizzazione del potere politico, che esercita il monopolio della forza legittima in un determinato territorio e si avvale di un apparato amministrativo La nascita dello stato moderno Lo stato è il nome dato ad una particolare forma di organizzazione del potere politico, che esercita il monopolio della forza legittima in un determinato territorio e si avvale di un apparato amministrativo. Con il tempo si accentua il grado di dispersione del potere di comando a causa di diversi fattori, ad esempio, il vassallo che cedeva una parte del proprio feudo a uno o più vassalli inferiori, che non instauravano un rapporto diretto con il signore proprietario del terreno, questo porta chiaramente ad una mancanza di appoggio sull’effettiva fedeltà nei confronti di quest’ultimo. Un altro elemento accentuava il policentrismo dell’organizzazione sociale e politica che storicamente ha preceduto il sorgere dello stato, la società non era composta da individui, bensì da comunità minori tra loro variamente combinate: quelle familiari, quelle economiche, quelle religiose e quelle politiche. Ciascuna comunità si sforzava di avere garanzie dei diritti e dei privilegi conquistati, nel corso del tempo, nei confronti dei signori di livello più elevato. Ne derivano due implicazioni, in primo luogo non esisteva un diritto unico per tutti, bensì una molteplicità di sistemi giuridici, uno per ciascuna comunità; in secondo luogo, le comunità principali operavano come “custodi” delle “leggi tradizionali” fatte per lo più di accordi e consuetudini. La dispersione del potere ed il grande scisma religioso che sconvolse la cristianità furono i principali propellenti delle guerre civili e di religione che sconvolsero l’Europa del sedicesimo secolo. Da qui fu un continuo susseguirsi di saccheggi, guerre e miserie. Sovranità La sovranità ha due aspetti: Sovranità interna: consiste nel supremo potere di comando in un determinato territorio, che è tanto intenso da non da non riconoscere nessun altro potere al di sopra di sé. Sovranità esterna: consiste nell’indipendenza dello Stato rispetto a qualsiasi altro Stato Chi esercita effettivamente il potere sovrano? 1. Lo Stato come persona giuridica, cioè come vero e proprio soggetto di diritto, titolare della sovranità. Serviva a dare una legittimazione di carattere “oggettivo” allo Stato e quindi era utile al rafforzamento di ancora deboli identità nazionali 2. La sovranità della nazione è stata una delle invenzioni più importanti del costituzionalismo francese del 1789. L’articolo 3 della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino affermava infatti che “la sovranità appartiene alla Nazione da cui emanano tutti i poteri” 3. Entrambe le teorie richiamate hanno tentato di contrastare l’affermazione di un altro principio, quello della sovranità popolare. Il principio della sovranità popolare sfociava in una visione iper-democraticistica dell’organizzazione politica, per cui il popolo doveva esercitare direttamente la sua sovranità, senza ricorrere alla delega di potere decisionale ai suoi rappresentanti, che è il presupposto di un sistema rappresentativo. Tuttavia, c’è almeno un elemento che accomuna le diverse teorie sulla sovranità passate in rassegna: il rifiuto di qualsiasi “legge fondamentale” capace di vincolare il sovrano, Re o popolo che fosse Nuove tendenze della sovranità Il costituzionalismo del Novecento, ed in particolare quello del secondo dopoguerra, ha visto la generalizzata affermazione del principio della sovranità popolare. Seppur con formulazioni diverse, il principio della sovranità popolare è consacrato da quasi tutti i documenti costituzionali moderni. Dall’altra parte però la sovranità del popolo ha perduto quel carattere di assolutezza che aveva nel secolo precedente e ciò principalmente a causa di tre circostanze: 1. La prima è che la sovranità popolare non si esercita direttamente ma viene inserita in un sistema rappresentativo basato sul suffragio universale. L’esercizio del potere politico da parte delle istituzioni rappresentative deve svolgersi sulla base del consenso popolare, che diventa la condizione preminente di legittimazione dello Stato 2. La seconda circostanza è la diffusione di Costituzioni rigide, che hanno un’efficacia superiore alla legge e possono essere modificate solamente attraverso procedure molto complesse. Inoltre, la preminenza della Costituzione viene, di regola, garantita dall’opera di una Corte costituzionale. Di conseguenza i titolari della sovranità, nell’esercizio dei loro poteri, incontrano limiti giuridici difficilmente superabili. Tutto ciò costituisce una risposta ad un problema posto all’affermazione del pluralismo politico e sociale. Perciò il sistema di limiti ed i principi previsti dalla Costituzione, che si sostanziano nelle garanzie delle minoranze e nei diritti fondamentali, devono prevalere sulla volontà di chi detiene il potere politico. 3. La terza tendenza, che concorre a limitare la sovranità, è costituita dall’affermazione di organizzazioni internazionali. Sovranità e organizzazione internazionale Dopo le guerre mondiali si è sviluppato un processo di limitazione giuridica della sovranità “esterna” degli Stati, con la finalità principale di garantire la pace e tutelare i diritti umani. Il 26 giugno 1945 è stato istituito l’ONU, con la finalità del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. La limitazione della sovranità statale diventa invece molto più evidente ed intensa con la creazione in Europa di Organizzazioni sovrannazionali, come la Comunità economica europea, la Comunità europea del carbone e dell’acciaio e della Comunità europea per l’energia atomica; tutte e tre riunite a partire dal trattato di Maastricht, nella Comunità europea ed ora nell’Unione europea. Gli Stati membri hanno trasferito a tali organizzazioni poteri rilevanti, attribuendo loro sia la competenza a produrre, in determinati ambiti, norme giuridiche, nonché il potere di adottare in certi campi (es. politica agricola o politica monetaria): queste decisioni erano prima affidate ai singoli Stati. Va comunque precisato che le organizzazioni sovrannazionali non possono sostituirsi integralmente allo Stato. Territorio La sovranità è esercitata dallo Stato su un determinato territorio. Secondo la concezione tradizionale, la sovranità implica che lo Stato eserciti il supremo potere di comando in un determinato ambito spaziale, se un altro soggetto volesse esercitare il proprio potere nel medesimo ambito spaziale, sarebbero messe in discussione la sovranità e la stessa esistenza dello Stato. La precisa delimitazione del territorio è condizione essenziale per garantire allo Stato l’esercizio della sovranità e per assicurare agli Stati l’indipendenza reciproca. Oggi, peraltro, tutta la terraferma (ad eccezione dell’Antartide) è divisa tra gli Stati. Perciò il diritto internazionale ha elaborato un corpo di regole che servono a delimitare l’esatto ambito territoriale di ciascuno Stato. Secondo queste regole il territorio è costituito da: terraferma, acque interne comprese entro i confini, dal mare territoriale, piattaforma continentale, spazio atmosferico sovrastante, navi e aeromobili battenti la bandiera dello Stato quando si trovano in spazi non soggetti alla sovranità di alcuno Stato, sedi delle rappresentanze diplomatiche all’estero. Oggi giorno lo Stato ha perso il controllo di alcuni fattori presenti sul suo territorio e la possibilità che tali fattori superino, in entrata o in uscita, i confini non dipende dalla sua volontà. Ciò è particolarmente evidente se si pensa al mercato unico europeo in cui hanno trovato piena attuazione la libera circolazione delle merci, dei capitali, dei servizi e delle persone tra gli Stati della UE. Lo Stato ha perso il potere di trattenere entro i propri confini alcuni fattori produttivi come i capitali o di impedire od ostacolare l’ingresso ai beni prodotti in un altro Paese. Perciò ormai tra i paesi dell’Unione europea si è creato uno “spazio senza frontiere interne” ispirato al principio di un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza. Cittadinanza La cittadinanza è uno status in cui la Costituzione riconnette una serie di diritti (come ad esempio i diritti politici, l’elettorato attivo e passivo) e di doveri (ad esempio dovere di difendere la Patria, concorrere alle spese pubbliche, fedeltà alla Repubblica e osservanza della Costituzione e delle leggi). La Costituzione italiana stabilisce che nessuno può essere privato della cittadinanza per motivi politici (articolo 22). La cittadinanza italiana può essere acquisita in diversi modi: Ius sanguinis: il figlio, anche adottivo, acquisisce la cittadinanza di uno dei genitori qualsiasi sia il luogo di nascita Ius soli: chi nasce in Italia da genitori stranieri o apolidi non riceve la cittadinanza dei genitori sulla base delle leggi degli Stati cui appartengono Lo straniero nato in Italia che vi abbia risieduto legalmente senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età diviene cittadino se entro un anno dichiara di voler acquisire la cittadinanza italiana Su istanza dell’interessato, con un contributo di 200 euro al sindaco del Comune di residenza, può ottenere la cittadinanza a condizione che: -coniuge di un cittadino italiano qualora ricorrano determinate condizioni (risiedere in Italia per almeno due anni dopo il matrimonio o che siano decorsi tre anni dalla data di matrimonio, le date si dimezzano in caso di presenza di figli) -lo straniero abbia un genitore o un ascendente in linea retta di secondo grado che sia cittadino italiano per nascita -lo straniero che sia stato adottato da cittadino italiano, abbia raggiunto la maggiore età e che sia residente da almeno cinque anni nella nazione -lo straniero che ha prestato servizio per lo Stato per almeno cinque anni -il cittadino di un Paese di uno stato membro dell’UE dopo quattro anni di residenza nel territorio della Repubblica -l’apolide abbia vissuto almeno cinque anni nello Stato -lo straniero dopo almeno dieci anni di regolare residenza in Italia La cittadinanza dell’Unione europea Con l’integrazione europea il rapporto tra lo Stato ed i propri cittadini cessa di avere quel carattere di esclusività che aveva in passato. La cittadinanza dell’Unione completa la cittadinanza nazionale ma non la sostituisce. Tant’è che il cittadino dell’Unione può agire nei confronti dello Stato di cui possiede la cittadinanza per far valere i diritti che gli spettano in forza della cittadinanza comunitaria. Tali situazioni comprendono il diritto di petizione, la libera circolazione tra Stati membri, tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro. Ma l’aspetto più importante della disciplina in esame è l’attribuzione al cittadino del l’Unione del diritto di elettorato attivo e passivo. Inoltre l’Unione si impegna a rispettare i diritti fondamentali quali sono sanciti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e del cittadino. Lo status di cittadino dell’Unione potrà essere ulteriormente arricchito di nuovi contenuti man mano che diventerà più stretta l’integrazione europea. Lo stato come apparato Lo stato si differenzia da altre organizzazioni politiche che pure hanno realizzato il monopolio della forza legittima in un determinato territorio per la presenza di un apparato organizzativo servito da una burocrazia professionale. L’organizzazione è stabile nel tempo ed ha carattere impersonale perché esiste e funziona sulla base di regole predefinite. Il funzionamento dell’apparato presuppone la presenza di una burocrazia professionale, che è formata di soggetti che “per vivere” prestano la loro opera professionale a favore dello Stato, eseguendo compiti amministrativi nel rispetto di determinate regole tecniche. Lo Stato come persona giuridica La persona giuridica è la figura soggettiva cui l’ordinamento attribuisce la capacità di agire in modo giuridicamente rilevante e di costituire centri di imputazione di effetti giuridici. Oltre alle persone fisiche, l’ordinamento giuridico può attribuire la “soggettività giuridica” a entità immateriali. Le associazioni riconosciute e le società commerciali sono esempi di persone giuridiche. Anche oggi spesso si dice che lo Stato ha la personalità giuridica, tuttavia si tratta di un’affermazione che non corrisponde interamente alla realtà. Sul piano internazionale non c’è dubbio che lo Stato agisca come “persona”; su quello interno, invece, lo Stato agisce tramite i suoi enti (per esempio i Comuni) o i suoi organi, come un certo ministro, il prefetto, il dirigente o un’altra parte dell’apparato. Così pure la responsabilità civile riguarderà sempre un determinato organo, piuttosto che lo Stato in quanto tale. Perciò, se si vuole descrivere la realtà correttamente, meglio appare definire lo Stato come “un’organizzazione disaggregata”, cioè come “un congiunto organizzato di amministrazioni diverse”. Gli enti pubblici Gli enti pubblici possono essere definiti come quegli apparati costituiti dalle comunità per il perseguimento dei propri fini, i quali sono riconosciuti come persone giuridiche o comunque come soggetti giuridici. Essi sono tenuti distinti rispetto alle persone giuridiche private, le quali sono strumenti offerti all’autonomia privata delle persone fisiche per meglio perseguire i propri interessi leciti, quali che siano. Invece gli enti pubblici sono istituiti con legge per il soddisfacimento degli interessi ritenuti comuni ad una determinata comunità, cioè sugli interessi pubblici. Si è creata così una situazione in cui esistono numerosissimi interessi pubblici, spesso tra loro in conflitto. Per cui si parla di eterogeneità degli interessi pubblici. Dall’altra parte, ad alcuni enti rappresentativi delle collettività territoriali (in Italia ad esempio: Regioni, Province, Comuni) viene riconosciuta l’autonomia politica. I loro organi sono eletti direttamente dai cittadini e possono esprimere maggioranze e indirizzi politici diversi da quelli dello Stato, con l’osservanza dei limiti previsti dalla Costituzione. La potestà pubblica Lo Stato e gli enti pubblici, di regola, sono collocati dalle norme giuridiche in una posizione di supremazia rispetto ai soggetti privati. Le leggi, i provvedimenti amministrativi e le sentenze producono effetti nei confronti dei loro destinatari, anche se questi non vi hanno prestato alcun consenso e persino se dissentono dal loro contenuto. Questo potere di determinare unilateralmente effetti giuridici nella sfera dei destinatari dell’atto prende il nome di potestà pubblica o di potere di imperio. Le potestà pubbliche però, a partire dall’affermazione dello Stato di diritto, devono essere attribuite dalla legge e devono essere esercitate in modo conforme al modello legale. Ben diversa è la posizione dei soggetti privati che sono collocati su un piano di parità giuridica e possono provvedere da sé e liberamente a disciplinare i propri rapporti, nel rispetto dei limiti stabiliti dalla legge; perciò, si parla di principio di autonomia privata. Uffici ed organi Ognuno degli apparati minori in cui si articola l’organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici può essere configurato come una “macchina organizzativa” che è congegnata in modo tale da soddisfare gli interessi pubblici per la cui cura è stata creata. Perciò opera secondo regole prestabilite che delineano un particolare disegno organizzativo. L’unità strutturale elementare dell’organizzazione si chiama ufficio. Il disegno organizzativo prefigura l’ufficio come un servizio prestato da persone, ma questo servizio è considerato in astratto, prescindendo dalle persone fisiche che vi sono concretamente preposte. Naturalmente ciascun apparato per adempire ai suoi compiti deve poter instaurare rapporti giuridici con altri soggetti. A tal fine l’apparato deve servirsi di una particolare categoria di uffici che prendono il nome di organi. Degli organi si usano fare molte classificazioni; una prima classificazione consente di distinguere gli organi rappresentativi, i cui titolari sono eletti direttamente dal corpo elettorale o che comunque sono istituzionalmente collegati ad organi burocratici, cui sono proposte persone che professionalmente prestano la loro attività in modo pressoché esclusivo a favore dello Stato o di altri enti pubblici, senza alcun rapporto con il corpo elettorale. Un’altra distinzione è quella tra organi attivi, consultivi e di controllo; i primi decidono per l’apparato di cui sono parte, i secondi danni dei consigli ai primi, i terzi devono verificare le conformità alle norme. È opportuno aggiungere che i pareri espressi dagli organi consultivi si distinguono a loro volta in: parere facoltativo, parere obbligatorio, parere vincolante. Organi costituzionali Ai nostri fini la figura più importante è costituita dagli organi costituzionali, essa è stata elaborata dalla dottrina per indicare gli organi dotati delle seguenti caratteristiche: Sono elementi necessari dello Stato Sono elementi indefettibili dello Stato La loro struttura di base è interamente dettata dalla Costituzione Ciascuno di essi si trova in condizione di parità giuridica con gli altri organi costituzionali. Forme di stato “Forma di stato” e “forma di governo”: definizioni Con l’espressione “forma di stato” si intende il rapporto che corre tra le autorità dotate di potestà di imperio e la società civile, nonché l’insieme dei principi e dei valori a cui lo Stato ispira la sua azione. Invece con l’espressione “forma di governo” si intendono i modi in cui il potere è distribuito tra gli organi principali di uno Stato-apparato e l’insieme dei rapporti che intercorrono tra essi. La nozione “forma di stato” si riferisce al modo in cui si strutturano i rapporti tra lo Stato e la società. Tra forma di governo e forma di stato esiste un “rapporto di strumentalità” Le classificazioni e i modelli Le diverse specie di forma di stato e di forma di governo elaborate dalla dottrina costituzionalistica sono degli idealtipi, cioè dei modelli ricavati attraverso la comparizione di più esperienze costituzionali e l’individuazione di alcuni elementi comuni a tali esperienze, ritenuti caratterizzanti le stesse. Il modello è un concetto riassuntivo di tratti ricorrenti in una pluralità di sistemi costituzionali concreti, che si sono realizzati in tempi e luoghi diversi. Lo Stato assoluto Lo Stato assoluto è la prima forma dello Stato moderno, si caratterizza per l’esistenza di un apparato autoritario separato e distinto dalla società e per l’affermazione di un potere sovrano attribuito interamente al Re o, meglio, alla Corona. Questa si distingue dal Re perché non è una persona fisica ma un organo dello Stato, dotato quindi dei requisiti dell’impersonalità e della continuità. Lo Stato assoluto è quel modello di Stato in cui il potere sovrano è concentrato nelle mani della Corona, che è titolare del potere esecutivo e legislativo; quello giudiziario è esercitato da Corti e Tribunali formati da giudici nominati dal Re. La volontà del Re è la fonte primaria del diritto e, quindi, ciò che egli vuole ha efficacia di legge. Il suo potere assoluto non incontrava limiti legali. La nascita dello Stato liberale I caratteri strutturali che definiscono la forma di stato liberale sono: la base sociale ristretta ad una sola classe; il principio di libertà e di autonomia dei privati; il principio rappresentativo; lo “Stato di diritto”. La crisi dello Stato assoluto fu dovuta soprattutto a ragioni finanziare, connesse ai costi crescenti del suo funzionamento che portarono ad un peso fiscale ritenuto insopportabile soprattutto dalla nuova classe borghese, ed all’indebolimento della sua legittimazione politica, derivante dalla sua incapacità di far coesistere la sfera della sovranità del Re con il riconoscimento di una sfera di libertà alle varie componenti della società. Stato liberale ed economia di mercato Un altro importante fattore che ha promosso l’organizzazione del potere politico tipica dello Stato liberale è stato l’avvento di un’economia di mercato connessa ad un modo di produzione capitalistico. L’economia di mercato si basa sul libero incontro tra domanda ed offerta di un determinato bene. Lo Stato assoluto ostacolava la nuova economia. In primo luogo, va sottolineata l’assenza di unitarietà e di coerenza delle leggi vigenti all’interno di ciascuno Stato, che è stata indicata con l’espressione particolarismo giuridico. Le nuove modalità di produzione della ricchezza e l’esigenza di garanzia della libertà contro le tentazioni assolutistiche condussero all’affermazione di una società civile distinta e separata dallo Stato. Lo Stato assoluto rendeva la società interamente oggetto di gestione politica; invece, lo Stato liberale doveva riconoscere e garantire la capacità della società civile di autoregolarsi e di sviluppare autonomamente i propri interessi. In questa prospettiva si può cogliere il collegamento tra due tendenze giuridiche tipiche dello Stato liberale; le codificazioni costituzionali e le codificazioni civili e penali. Da una parte, la tendenza degli Stati liberali a consacrare in un unico documento costituzionale i principi sulla titolarità e sull’esercizio del potere politico. Dall’altra, la tendenza a racchiudere in un Codice civile le regole sui rapporti tra privati, in modo che esse formassero un corpo sistematico e coerente di regole dotate dei requisiti di generalità, astrattezza e certezza. Il modello di questo nuovo modo di legiferare era il Codice napoleonico. I caratteri dello Stato liberale Il modello “Stato liberale” è caratterizzato dai seguenti tratti essenziali: 1. Da una finalità politico costituzionale garantistica. Lo Stato è considerato uno strumento per la tutela delle libertà e dei diritti degli individui, in primo luogo del diritto di proprietà. Si afferma così il principio secondo cui la finalità principale dello Stato è quella di garantire i diritti ed in modo strumentale rispetto a tale finalità garantistica deve strutturarsi l’organizzazione costituzionale (attraverso il principio della separazione dei poteri) 2. Dalla concezione dello Stato minimo. Se lo scopo dello Stato liberale è esclusivamente quello di garantire i diritti, allora deve trattarsi di uno Stato limitato, che assuma solamente le funzioni necessarie all’adempimento della finalità garantistica. Uno Stato quindi che, a differenza dello Stato assoluto, si astiene dall’intervenire nella sfera economica, affidata alle relazioni ed alle autoregolazioni dei soggetti privati. 3. Dal principio di libertà individuale. Lo Stato riconosce e tutela la libertà personale. La proprietà privata, la libertà contrattuale, la libertà di pensiero e di stampa, la libertà religiosa, la libertà di domicilio, ma si tratta di libertà riferite esclusivamente all’individuo. Il pieno sviluppo dei traffici commerciali e l’autonomia che si intende garantire al singolo individuo, fanno sì che lo Stato liberale escluda qualsiasi diaframma tra sé e i singoli cittadini, definendo un sistema giuridico che presuppone una società formata da individui eguali di fronte alla legge. 4. Dalla separazione dei poteri, il potere politico viene, cioè, suddiviso tra soggetti istituzionali diversi, che si controllano reciprocamente 5. Dal principio di legalità, la tutela dei diritti è affidata inoltre alla legge. La sua caratterizzazione come Stato di diritto significa, infatti, che ogni limitazione della sfera di libertà riconosciuta a ciascun individuo deve avvenire per mezzo della legge. Questa funzione garantistica della legge si basa su due premesse: -la prima è che la legge abbia i caratteri della generalità e dell’astrattezza; quindi, nessuna restrizione della sfera di libertà potrà avvenire contro qualcuno se non ricorrano le condizioni dettate in via preventiva della legge -la seconda premessa è che la legge sia formata dai rappresentanti della Nazione ai cui membri essa si applica. Lo Stato Liberale si basa perciò sul principio rappresentativo 6. Dal principio rappresentativo. Quest’ultima caratteristica è molto importante, la legislazione elettorale di questa forma di stato attribuisce il diritto di voto solamente a cittadini ritenuti particolarmente “capaci e affidabili” e in quanto tali realmente interessati alla buona gestione della cosa pubblica. Il diritto di voto, pertanto, è circoscritto a coloro che hanno un adeguato livello di istruzione e di reddito. In conclusione, lo Stato liberale ha una base sociale ristretta, tendenzialmente circoscritta alla classe borghese e pertanto viene qualificato come Stato monoclasse. La nascita dello Stato di democrazia pluralista Lo Stato di democrazia pluralista si afferma a seguito di un lungo processo di trasformazione dello Stato liberale, che porta all’allargamento della sua base sociale. Lo Stato monoclasse si trasforma così in Stato pluriclasse, che si fonda sul riconoscimento e sulla garanzia della pluralità dei gruppi, degli interessi, delle idee, dei valori che possono confrontarsi nella società ed esprime la loro voce nei Parlamenti. L’elemento determinante per l’approdo di questa forma di stato è il suffragio universale. Tre trasformazioni che hanno determinato il modo di essere dello Stato di democrazia pluralista sono: 1. L’affermazione dei partiti di massa 2. La configurazione degli organi elettivi come luogo di confronto e di scontro di interessi eterogenei 3. Il riconoscimento di diritti sociali come strumenti di integrazione nello Stato dei gruppi sociali più svantaggiati I partiti politici di massa I partiti nello Stato liberale erano ristretti gruppi di persone, legati da grande omogeneità economica e culturale. L’estensione del diritto di voto, invece, ha richiesto che venisse organizzata la partecipazione politica di milioni di elettori, portando a conoscenza di questi ultimi i candidati ed i loro programmi. Sono nati così i moderni partiti di massa, caratterizzati da una solida struttura organizzativa che ha consentito loro di essere radicati nella società e di diventare strumenti di mobilitazione popolare e di integrazione delle masse nelle istituzioni politiche. C’è un altro fenomeno che ha condotto all’affermazione dei partiti di massa, ed è costituito dalle caratteristiche del conflitto sociale del Novecento. I partiti ed i sindacati sono diventati organizzazioni di lotta per il miglioramento delle condizioni di vita delle classi economicamente più deboli o addirittura per preparare l’avvento di una società nuova basata sull’eguaglianza sostanziale tra tutti gli uomini e tutte le donne. I partiti politici, dunque, diventano capaci di controllare e dirigere l’azione del Parlamento e del Governo. Tali trasformazioni sono divenute particolarmente evidenti soprattutto dopo la Prima guerra mondiale, allorché i partiti di massa hanno avuto una considerevole crescita a scapito delle tradizionali forze politiche liberali. Crisi delle democrazie di massa e nascita dello Stato totalitario In altri Paesi, come la Germania e l’Italia, invece, l’affermazione dei nuovi partiti di massa non si è accompagnata alla comune accettazione di una democrazia pluralista da parte dei principali partiti politici. La Germania, uscita sconfitta dalla Prima guerra mondiale, rimosse l’Imperatore e diede vita ad una Repubblica basata sulla Costituzione di Weimar del 1919, con la quale si tentava una profonda democratizzazione delle strutture dello Stato. Anche in Italia si è verificata una situazione analoga. La frammentazione politica della giovane democrazia di massa, la prevalenza e di forze che non accettano pienamente i valori della democrazia pluralista e l’arroccamento delle forze economiche che temevano gli effetti del suffragio universale determinarono una forte instabilità, insieme al deficit di legittimazione delle istituzioni costituzionali, innescando una crisi gravissima che culminò nell’avvento dello Stato fascista. Le alternative allo Stato di democrazia pluralista nel XX secolo Nei Paesi in cui l’avvento della democrazia di massa non si era accompagnato alla diffusa accettazione dei valori del pluralismo e della tolleranza da parte delle forze politiche ed alla trasformazione delle istituzioni liberali, la crisi di queste ultime sfociò nell’affermazione di forme di stato basate sulla negazione del pluralismo e sull’identificazione del partito unico con lo Stato. In Italia ed in Germania si dava una risposta consistente nella soppressione del pluralismo politico e nell’unificazione politica della società attraverso le istituzioni dello Stato totalitario. Lo Stato fascista in Italia è stato organizzato in contrapposizione al modello liberale ed a quello di democrazia pluralista; concentrava tutto il potere politico in un unico organo, che sommava la funzione legislativa e quella esecutiva, cioè il Capo del Governo. Il partito unico si integrava con l’organizzazione costituzionale dello Stato, diventandone elemento costitutivo ed organo. Lo Stato assumeva l’attributo della totalitarietà, nel senso che si riteneva che la collettività nazionale si integrasse in modo totale nello Stato, che pertanto poteva occuparsi di tutti gli aspetti della vita sociale ed individuale, anche grazie alla soppressione delle tradizionali libertà liberali. L’esperienza fascista combinata con la dottrina elaborata da Hitler portarono alla formazione dello Stato nazionalsocialista. Esso si basava sull’idea secondo cui lo Stato doveva essere uno degli strumenti dei quali si avvaleva, per la realizzazione dei suoi fini, l’unico movimento politico ammesso, il movimento nazionalsocialista. Il movimento era considerato sovra ordinario rispetto alla base comunitaria ed allo Stato; il soggetto posto alla guida del movimento era considerato in posizione di supremazia e nei suoi confronti la base sociale si poneva come seguito indifferenziato. Un’altra alternativa alla democrazia pluralista è stata rappresentata dallo Stato socialista. La crisi irreversibile del “socialismo reale” ha portato al dissolversi di Stati multinazionali, come l’URSS e la Jugoslavia, da cui sono nati nuovi Stati che adottano costituzioni basate sui principi della democrazia pluralista. Consolidamento della democrazia pluralista e affermazione dello Stato sociale I principi dello Stato di democrazia pluralista hanno trovato conferma al termine del secondo conflitto mondiale in tutte le aree di influenza politica e culturale delle potenze alleate diverse dall’URSS. La fase costituzionale descritta vede garantire dal diritto, insieme alle libertà “liberali”, cioè alle tradizionali “libertà negative”, anche le diverse manifestazioni del pluralismo politico, sociale, religioso, culturale; in particolare essa riconosce il ruolo costituzionale dei partiti politici. Inoltre, si assiste al generalizzato riconoscimento costituzionale dei diritti sociali, che comportano la pretesa a prestazioni positive dei poteri pubblici da parte dei cittadini più svantaggiati. Affinché questi diritti siano tutelati, gli Stati devono realizzare un insieme variegato di interventi nella società e nell’economia. Tuttavia, chi non è libero dal bisogno economico, non si trova nelle condizioni materiali per godere delle libertà liberali (per esempio il diritto di proprietà), il cui valore si restringe perciò ad una parte soltanto della società. Gli ordinamenti democratici, pertanto, sono sottoposti al rischio di perdere il consenso da parte dei gruppi sociali economicamente svantaggiati, che non possono partecipare ai benefici economici e che possono materialmente godere delle libertà liberali. Il problema principale che gli Stati di democrazia hanno dovuto affrontare è stato quello di “tenere insieme una società”, o come si usa dire, mantenere la coesione sociale). Il compromesso politico su cui si è costruito lo Stato sociale è il seguente: da una parte vengono riconosciuti e garantiti l’economia di mercato ed i diritti su cui essa si fonda; dall’altro lato, questi diritti sono limitati e l’economia di mercato è corretta attraverso interventi pubblici finalizzati a ridurre le diseguaglianze materiali, in modo tale da integrare in un comune ordinamento democratico le classi economicamente più deboli. Da tutto ciò, è derivato un ruolo dello Stato che è profondamente diverso da quello tipico dello Stato liberale, e che ha fatto parlare di Stato sociale o di Stato del benessere o, ancora, di Welfare State. In questo modo, lo Stato supera l’individualismo liberale e sviluppa forme di solidarietà tra gli individui e tra i diversi gruppi sociali. Pertanto, lo Stato di democrazia pluralista ha visto, sia pure con intensità diversa da Paese e Paese, lo sviluppo di forme variegate di intervento pubblico nell’economia e nella società, che danno luogo ad un sistema ad economia mista. Omogeneità e differenze tra gli Stati di democrazia pluralista Nella seconda metà del Novecento si formarono un complesso di ordinamenti costituzionali ispirati a principi sostanzialmente uniformi, tipici delle cosiddette democrazie occidentali. Essi recepiscono gran parte della tradizione costituzionale liberale, i cui principi vengono reinterpretati alla luce delle nuove esigenze della democrazia pluralista. La sufficiente omogeneità di questi ordinamenti, consente di elaborare il modello “Stato di democrazia pluralista”. Tutto ciò non deve fare sottovalutare come tra gli Stati riconducibili al modello, insieme alle tante affinità, permangono alcune differenze. Una delle più significative è quella relativa al ruolo dei partiti politici. Infatti, mentre in Europa, come si è visto, l’esperienza politica e costituzionale è rimasta contrassegnata dal fondamentale ruolo dei partiti politici di massa, gli Stati Uniti hanno conosciuto un modello diverso di partito. I partiti americani si sono trasformati fondamentalmente in “macchine elettorali” al servizio di un candidato, privi di una precisa identità ideologica e di significative differenze programmatiche. La loro attività si concentra nelle campagne elettorali e così dopo le elezioni essi perdono gran parte del loro ruolo e non sono in grado di controllare l’attività degli eletti. Ciò significa che parlamentari eletti nei due partiti alternativi (repubblicani e democratici) possono occasionalmente convergere nella maggioranza che approva una legge. Lo sviluppo politico-istituzionale americano. Ha visto il graduale rafforzamento della Presidenza che ha acquisito canali autonomi, rispetto ai partiti, di legittimazione e di gestione dell’apparato. La debolezza organizzativa dei partiti politici americani non equivale in alcun modo ad una riduzione del ruolo del principio pluralistico. Al contrario, si caratterizza per la sua massima esaltazione. Un’altra importante differenza è l’omogeneità o l’eterogeneità della cultura politica. Una terza differenza di notevole importanza riguarda la modalità dell’intervento dello Stato nell’economia e nella società. In alcuni Paesi questo intervento si è attuato in modo tale da restare a livelli moderati mantenendo una “dominanza privatistica” nei rapporti economici e sociali (per esempio Stati Uniti, Svizzera, Giappone), prevalere di finalità sociali (in generale gli Stati dell’Europa occidentale ed in particolare l’Italia) Stato di democrazia pluralista tra società post-classica e globalizzazione Alle sue origini lo Stato di democrazia pluralista aveva come sua base materiale una società divisa in classi sociali ben individuate, di cui cerca di rassicurare la coesistenza pacifica. I partiti politici di massa rappresentano le diverse classi che dividono la società, e trasferiscono nell’ambito della politica le contrapposizioni ideologiche. In questo contesto ogni individuo poteva fare facilmente riferimento per tutti i suoi interessi. La crisi delle ideologie ha aumentato le difficoltà dei partiti di tenere uniti milioni di individui entro una stabile identità collettiva. L’ideologia era un’importante risorsa organizzativa nelle mani del partito; ma da quando l’appartenenza di classe non ha più un valore assorbente e gli interessi si moltiplicano e creano conflitti tra gruppi che un tempo appartenevano alla stessa classe; l’ideologia è in crisi e diminuisce considerevolmente la capacità dei partiti di dare ordine agli interessi ed alle domande. Senza la mediazione dei partiti, i singoli gruppi sociali tendono a riversare le loro domande particolaristiche sugli organi costituzionali, ed in particolare sui parlamenti, chiedendo provvedimenti favorevoli ai loro interessi. Quasi sempre la misura legislativa richiesta da un determinato gruppo ha un costo che inevitabilmente grava sul bilancio dello Stato, gonfiando la spesa pubblica. A partire dagli anni ’70 si è parlato di crisi fiscale dello Stato, per indicare il fenomeno della crescita della spesa pubblica, per coprire la quale la pressione fiscale ha raggiunto livelli così elevati da determinare la ribellione dei ceti più colpiti. Si è aggiunta poi la globalizzazione e tre conseguenze ne conseguirono: In primo luogo, per evitare che capitali e imprese si spostino altrove, lo Stato deve limitare la pressione fiscale; In secondo luogo, lo Stato deve cercare di avere una finanza pubblica sana, evitando disavanzi di bilancio eccessivi, perché gli eccessi di liquidità creano inflazione, mentre l’aumento dell’indebitamento sottrae risorse al settore privato; In terzo luogo, le imprese chiedono sempre maggiore flessibilità, che significa minori vincoli legali soprattutto sul terreno della disciplina del rapporto di lavoro e sui costi della protezione sociale dei lavoratori. Tutte queste spinte hanno una comune origine, cioè l’esigenza di non far perdere competitività al sistema economico nazionale. Con l’avvio dell’Unione economica e monetaria gli Stati hanno accettato vincoli predefiniti al rapporto tra il loro debito pubblico ed il Prodotto interno lordo e il disavanzo ed il PIL. l'esigenza di maggior rigore finanziario conduce alla ricerca di forme di razionalizzazione e riordino dello Stato sociale. Si assiste al tentativo di adeguare lo Stato alle esigenze della competitività internazionale, trasformandolo in Stato sociale competitivo. Tra le strade possibili che alcuni ordinamenti stanno cercando di seguire per razionalizzare lo Stato sociale si segnalano le seguenti: In primo luogo, si tende a superare il carattere universalistico di alcuni servizi erogati dallo Stato sociale, per cui servizi come la sanità non vengono resi gratuiti a tutti i cittadini indipendentemente dal loro reddito, ma solamente ai soggetti meno abbienti, mentre gli altri concorrono alla spesa in relazione al livello di reddito di cui godono (ad esempio il ticket) In secondo luogo, si fa leva sul principio di responsabilità individuale, per cui il singolo si impegna a mettere da parte, con il risparmio, le risorse che potranno essere utili per affrontare i rischi della vita, come le malattie e la vecchiaia, mentre lo Stato crea regole che incentivano questi comportamenti; In terzo luogo, c’è il ricorso al “principio di sussidiarietà” che si sviluppa lungo due direttrici: -la prima consiste sia nel trasferire la gestione di certi servizi pubblici agli enti locali (sussidiarietà verticale), -la seconda consiste nell’attribuire certi compiti tradizionalmente propri dello Stato sociale ad alcune formazioni sociali che non hanno scopo di lucro e che costituiscono il terzo settore, in grado di fornire servizi tipici dello Stato sociale ad un costo minore e con una qualità migliore di quelli erogati dalle burocrazie delle amministrazioni pubbliche (sussidiarietà orizzontale); Infine, c’è il tentativo di attrarre ad un livello sovranazionale alcuni dei compiti propri dello Stato sociale. Si è assistito però alla crescita delle diseguaglianze economiche nelle principali democrazie pluralistiche, soprattutto negli USA. Questo fenomeno è stato ulteriormente accentuato dalla perdita di quote di mercato delle imprese occidentali a favore delle imprese asiatiche, soprattutto cinesi, ed anche dalla rivoluzione tecnologica basata sul digitale, la robotica e l’intelligenza artificiale, che hanno reso sempre meno richieste le tradizionali competenze degli operai e del ceto medio, riducendo i loro redditi o provocando la perdita di posti di lavoro a favore di chi è dotato di competenze professionali legate all’impiego delle nuove tecnologie. Stato unitario, Stato federale, Stato regionale La separazione dei poteri ed i limiti alla regola di maggioranza possono realizzarsi non solo a livello orizzontale, cioè nel rapporto tra i rapporti dello Stato, ma altresì a livello verticale, attraverso la distribuzione del potere di indirizzo politico e delle funzioni pubbliche tra lo Stato centrale ed altri enti territoriali. Perciò si suole distinguere tra Stato unitario e Stato composto: nel primo il potere è attribuito al solo Stato centrale, nel secondo il potere è distribuito tra lo Stato centrale ed enti territoriali da esso distinti che sono titolari del potere di indirizzo politico e delle funzioni legislativa e amministrativa in determinate materie, ed agiscono mediante organi rappresentativi che sono espressioni delle popolazioni locali. Da alcuni anni in Europa ha avuto successo lo Stato composto, nelle sue due varianti di: Stato federale e Stato regionale. Di regola i caratteri tipici dello Stato federale vengono individuati nel modo seguente: L’esistenza di un ordinamento statale federale, dotato di una Costituzione scritta e rigida, e di alcuni enti politici territoriali dotati di proprie Costituzioni La previsione da parte della Costituzione federale di una ripartizione di competenze tra Stato centrale e Stati membri con riguardo alle tre tradizionali funzioni, con la conseguenza che, per modificare questa ripartizione, deve essere seguito il procedimento di revisione costituzionale L’esistenza di un Parlamento bicamerale, in cui cioè esiste una Camera rappresentativa degli Stati membri La partecipazione degli Stati membri al procedimento di revisione costituzionale e la presenza di una Corte costituzionale in grado di risolvere i conflitti tra Stato federale e Stati membri Lo Stato regionale, di regola, è distinto da quello federale, nell’ampio genere dello Stato composto, per i seguenti caratteri: La presenza di una Costituzione statale che riconosce e garantisce l’esistenza di enti territoriali dotati di autonomia politica, cioè capaci di darsi un proprio indirizzo politico e dotati di propri statuti L’attribuzione costituzionale alle Regioni di competenze legislative e amministrative; una partecipazione assai limitata all’esercizio di funzioni statali ed in particolare a quella di revisione costituzionale; la mancanza di una seconda Camera rappresentativa delle Regioni; l’attribuzione ad una Corte costituzionale del compito di risolvere i conflitti tra Stato e Regioni In realtà, la distinzione tra Stato federale e Stato regionale, nella concreta esperienza costituzionale, è difficile da tracciare. La distinzione fondamentale, perciò resta quella tra Stato unitario e Stato composto e tra Stati a forte decentramento politico e Stati a decentramento politico limitato. Altra distinzione che è molto importante per comprendere il funzionamento di uno Stato composto è quella tra federalismo duale e federalismo cooperativo: il primo vede una forte divisione tra lo Stato federale e gli Stati membri; il secondo si caratterizza per la presenza di interventi congiunti e coordinati nelle stesse materie da parte dello Stato centrale e degli Stati membri o delle Regioni. La Costituzione Significato di “Costituzione” Il termine “Costituzione” indica gli elementi che caratterizzano un determinato sistema politico, così come esso di fatto è organizzato e funziona. Il termine è quindi usato in funzione descrittiva, per riassumere i “tratti somatici” che caratterizzano quindi questi sistemi politici, il modo in cui essi organizzano il potere, la sua distribuzione tra organi diversi o tra cento e periferia, i rapporti che sono istituiti tra il Palazzo e i cittadini, il ruolo e le garanzie assicurati a quest’ultimi, i modi in cui si producono regole vincolanti l’intera comunità, ecc. Il fatto è che la Costituzione è anche un testo normativo, una fonte del diritto da cui derivano diritti e doveri, obblighi e divieti giuridici, attribuzione di poteri e regole per il loro esercizio. È questa la Costituzione che applicano i giudici e a cui noi tutti facciamo richiamo quando rivendichiamo i nostri diritti fondamentali e quando commentiamo i gesti dei protagonisti della vita politica. I giuristi ovviamente guardano alla Costituzione come ad un testo normativo. Non serve a loro per spiegare un sistema politico o la sua origine storico-filosofica, ma per decidere se un determinato atto o comportamento sia conforme o difforme rispetto alla Costituzione, se sia qualificabile come legittimo o meno. Ma, per usare un testo come premessa di una decisione, bisogna primo interpretarlo, cioè attribuire alle sue formulazioni scritte un significato utile alla qualificazione dello specifico atto o comportamento che si deve giudicare. Nell’opera dell’interpretazione, anche la descrizione del funzionamento concreto del sistema e la ricostruzione della sua genesi storica possono fornire informazioni molto utili. Ma talvolta il giurista è indotto a confondere il suo ruolo con quello del politologo o dello storico, ingenerando un’intollerabile confusione: la confusione tra ciò che è il sistema politico e ciò che deve essere il comportamento dei suoi attori, cioè tra la descrizione del sistema e la prescrizione, la norma contenuta in Costituzione. Potere costituente e potere costituiti Se tutti i sistemi politici hanno una costituzione in senso descrittivo, non tutti hanno anche un testo normativo chiamato Costituzione. La Costituzione come documento scritto è un fenomeno relativamente recente, frutto di un movimento filosofico e politico, il “costituzionalismo”. Attraverso il potere politico tende a consolidarsi, strutturarsi, dotarsi di un insieme di regole fondamentali a cui dovrà soggiacere. Come si sia instaurato il potere politico, è qualcosa che sta prima del diritto costituzionale: può essere che ciò sia avvenuto con la forza bruta delle armi, o magari attraverso forme quasi legali, sfruttando cioè gli strumenti e i procedimenti già previsti dall’ordinamento passato. Dall’emanazione della Costituzione, dunque, segna il passaggio tra due fasi storiche e tra due situazioni giuridiche diverse. Con la Costituzione si esaurisce il potere costituente ed inizia il potere costituito. Nel linguaggio giuridico, il potere costituente, è definito come un “potere libero”, anzi come “l’unico potere libero”. Il potere costituente è un potere è un potere libero perché non è regolato da leggi: è una situazione di fatto in cui non valgono né giudici né legalità, ma solo i rapporti di forza. La rivoluzione, la guerra civile, la caduta di un regime politico e la presa del potere da parte dei suoi oppositori sono le condizioni in cui si esercita il potere costituente. Anche se non è sempre vero che esso sia del tutto privo di vincoli giuridici. Tanto è vero che questo limite si ritrova “trascritto” nell’ultimo articolo della Costituzione del 1948, in cui, dopo aver disciplinato il procedimento di revisione costituzionale (Art. 138), si vieta di modificare con gli stessi strumenti della revisione costituzionale, la forma repubblicana (Art. 139). Qualcuno tra i monarchi aveva immaginato che si potesse aggirare l’ostacolo compiendo due passi: con il primo si sarebbe abrogato l’Art.139. con il secondo si sarebbe potuto poi sostituire legittimamente le istituzioni repubblicane con quelle monarchiche. Ma questo è un ragionamento capzioso e formalistico, perché la decisione costituente assunta dal popolo con il referendum istituzionale non può essere rinnegata senza rompere la “legalità costituzionale”, senza compiere cioè una rivoluzione. Ma i condizionamenti di cui risente il potere costituente sono di natura essenzialmente politica. Il nuovo regime politico deve infatti ottenere il consenso. Innanzitutto, il consenso interno, perché nessun regime politico può durare a lungo con i soli strumenti della coercizione e della violenza. Questo significa che le regole del gioco politico, che si intende introdurre nella Costituzione, devono essere condivise dalla maggioranza. Non meno importante è poi il consenso esterno, quello degli altri Stati, che si esprime attraverso la pratica di riconoscimento internazionale. Attraverso la pratica del riconoscimento internazionale, lo Stato acquisisce l’approvazione degli altri Stati, o quantomeno la constatazione della sua esistenza di fatto come Stato sovrano. Anche per il diritto internazionale, l’affermarsi e la legittimazione di uno Stato è un fenomeno non spiegabile in termini di diritto: lo Stato si legittima da sé. Insomma, il nuovo regime deve fornire garanzie e stanno scritte nella Costituzione. Naturalmente queste regole servono da garanzia, nei confronti delle forze pubbliche, alle quali deve essere assicurata parità di armi nella lotta politica ed eguale possibilità di giungere al governo; garanzie nei confronti dei cittadini e delle loro libertà, dei loro beni e dei loro diritti di partecipazione politica. Costituzioni flessibili e costituzioni rigide La distinzione tra le due è generalmente spiegata così: sono flessibili le costituzioni che non prevedono un procedimento particolare per la loro modificazione, ma consentono che questa avvenga attraverso la normale attività legislativa; sono rigide invece quelle che dispongono un procedimento particolare, più gravoso di quello previsto per la formazione delle leggi ordinarie. Costituzione flessibile Le costituzioni dell’800 segnavano la fine del potere assoluto; infatti, erano per lo più concesse dal sovrano, che giurava solennemente di rinunciare ad esercitare il potere da solo e di sottoporsi alla legge che non sarebbe stata più semplice e diretta espressione della sua volontà, ma il prodotto di un procedimento formale. L’unica norma veramente fondamentale in quelle costituzioni era quella che regolava il modo in cui sarebbero state prese le decisioni future, cioè il procedimento legislativo. Diritti e libertà erano solennemente professati, dall’altro però il consenso delle Camere e del Re poteva plasmarli a piacimento. Stabilito che, da quel momento in poi, erano la legge il suo procedimento di formazione la fonte legittima dell’autorità, la Costituzione aveva esaurito la sua funzione normativa. Le costituzioni flessibili avevano una funzione di “manifesto”, erano rivolte alla conquista del consenso; ma non possedevano una particolare forza regolativa, se non quella di vietare le restrizioni delle libertà che non siano consentite dalla legge. Costituzione rigida Le costituzioni rigide pretendono che tutte le loro disposizioni abbiano forza regolativa e siano trattate come regole inderogabili. Bisogna preoccuparsi di limitare il potere legislativo, impedendo che le scelte compiute da una occasionale maggioranza parlamentare cambino le regole del gioco politico. Il che significa che ogni Costituzione rigida è frutto di un compromesso, che è necessariamente lunga perché ogni componente accetta l’accordo a condizione che i suoi interessi siano garantiti da regole costituzionali, che è necessariamente garantita da un giudice a cui è attribuito il compito di assicurare il rispetto del compromesso. Le garanzie della rigidità costituzionale La Costituzione rigida è dunque una Costituzione garantita: è garantita la prevalenza delle sue regole rispetto a qualsiasi altra regola. Le garanzie sono di due tipi: il procedimento di revisione è sempre più gravoso del normale procedimento legislativo. Se per fare una legge basta una risicata maggioranza parlamentare, per modificare la Costituzione bisogna raggiungere consensi più ampi: vanno realizzate condizioni simili a quelle che hanno prodotto il compromesso iniziale, che ha reso possibile l’approvazione della Costituzione. Ma nessuna Costituzione è rigida a tal punto da non ammettere alcun cambiamento: sarebbe un invito alla rivoluzione, alla rottura della legalità per adeguare le regole ai mutamenti storici. Ma l’introduzione di un procedimento gravoso per cambiare la Costituzione non avrebbe senso se non vi fosse un’autorità capace di verificare che quelle procedure siano rispettate e che i cambiamenti non siamo introdotti di soppiatto dalla legislazione ordinaria. È infatti necessario che questa autorità sia estranea ai giochi politici, non abbia carattere rappresentativo, non risponda al principio di maggioranza. Disposizioni, norme, regole, principi, valori, interessi “valori” e “interessi” stanno fuori dal diritto, nel senso che sono gli obiettivi che muovono il legislatore. Ogni norma cerca di proteggere qualche valore o qualche interesse, anzi essa cerca di fissare il punto di equilibrio tra valori e interessi contrastanti. Questo significa che i valori e gli interessi stanno fuori e prima del mondo delle norme: in questo essi entrano di solito nella forma di principi. I principi sono un tipo di norma giuridica, che si distingue dalle regole per il fatto di essere dotato di un elevato grado di genericità e di non essere circostanziato. I principi sono affermazioni assolute: i modi e le circostanze con cui i principi operano, si adeguano alla convivenza e al bilanciamento con altri principi, e vengono applicati sono definiti nelle regole. Principi e regole sono norme giuridiche cioè costruzioni che gli interpreti fanno per dare un senso coerente a quello che il costituente o il legislatore hanno scritto, alle loro disposizioni. Le disposizioni sono dunque parte del testo, enunciati scritti dal legislatore; le norme giuridiche sono il significato che a tali disposizioni attribuiscono gli interpreti. La Costituzione italiana: genesi e contenuti La Costituzione italiana repubblicana entrò in vigore il 1° gennaio 1948. Essa fu approvata dall’Assemblea costituente, eletta contemporaneamente al referendum istituzionale. La nostra è una Costituzione “lunga” ed “aperta”, nel senso che non pretende di individuare il punto di equilibrio tra i diversi interessi, ma si limita ad elencarli, lasciando alla legislazione successiva di individuare il punto di bilanciamento. La Costituzione italiana afferma valori opposti, a volte conflittuali, senza dire quale dovrà prevalere. Questa è una caratteristica ricca di conseguenze positive, perché il carattere “aperto” della Costituzione sta a indicare anche la sua natura pluralista: è una Costituzione che ci dice quali valori non possono essere totalmente sacrificati, ma non quelli che devono necessariamente prevalere. Da ciò la Costituzione trae anche una notevole dinamicità, una notevole capacità di adattarsi ai tempi. Tutte le costituzioni, nascendo dalla crisi del precedente regime, guardano al loro passato prossimo e cercano di dare le risposte necessarie ad evitare che si riproducano le cause che hanno provocato quella crisi. E poi tutte le costituzioni hanno come loro obiettivo tipico mettere dei limiti e delle regole dell’esercizio del potere: esse valgono sempre come limite, ma non possono garantire il buon esercizio del potere: esse valgono sempre come limite, ma non possono garantire il buon esercizio del potere: esse valgono sempre come limite, ma non possono garantire il buon esercizio del potere. È quantomeno fuorviante incolpare la Costituzione del cattivo funzionamento delle istituzioni politiche. La Costituzione italiana del 1948 si compone di parti diverse. Inizia con i “principi fondamentali”: 12 articoli che contengono un complesso di norme di principio non collegate tra loro, ma poste l’una accanto all’altra. Rappresentano alcune delle premesse ideologiche e politiche che i costituenti hanno trascritto traendole dai loro diversi manifesti politici, con la consapevolezza che i loro ideali sarebbero stati destinati a coesistere e bilanciarsi, senza possibilità che uno soverchi gli altri. Una seconda sezione della Costituzione, Parte prima-Diritti e doveri dei cittadini, pone le garanzie delle libertà individuali, dei diritti sociali e delle libertà economiche, nonché i modi in cui il popolo esercita la sua sovranità. Segue poi una parte, Parte seconda-ordinamento della Repubblica, dedicata alla “organizzazione costituzionale dello Stato”, cioè al Parlamento, al Presidente della Repubblica, al Governo e ai loro rapporti reciproci e alla disciplina della pubblica amministrazione e della magistratura, delle Regioni e delle autonomie locali e delle “garanzie costituzionali”, cioè la Corte costituzionale e la revisione della Costituzione. Le forme di governo La monarchia costituzionale Le forme di governo conosciute dallo Stato liberale sono la monarchia costituzionale, il governo parlamentare e il governo presidenziale. La monarchia costituzionale è la forma di governo che si afferma nel passaggio dallo Stato assoluto a quello liberale. Questa forma di governo si caratterizza per la netta separazione dei poteri tra il Re (potere esecutivo) e il Parlamento (potere legislativo). Tra questi due non esiste alcun tipo di raccordo, anche se il Re resta titolare di prerogative che scaturivano la sua collocazione al vertice dello Stato, che gli consente di partecipare all’esercizio della funzione legislativa, giurisdizionale, ed inoltre può nominare i ministri, i suoi diretti collaboratori; nonché il potere di sciogliere il Parlamento se quest’ultimo aveva un orientamento politico contrario a quello del Re. Il Parlamento era il titolare del potere legislativo, con cui approvava le norme, regolava i poteri dell’amministrazione nonché i tributi, attraverso i quali il potere esecutivo otteneva le risorse indispensabili per la conduzione dello Stato. C’è da ricordare però che le leggi non entrano in vigore senza l’approvazione del Re. La monarchia costituzionale si basa perciò sull’equilibrio tra due centri di potere, ciascuno dei quali si baserebbe su un diverso principio di legittimazione politica e sull’appoggio di differenti classi sociali: il Re sul principio monarchico-ereditario, condiviso dalla nobiltà; il Parlamento sul principio elettivo, sia pure circoscritto ai cittadini abbienti e istruiti. Pertanto, il dualismo dei centri di autorità rifletteva un equilibrio sociale ed era destinato a mutare man mano che cambiava l’equilibrio e si rafforzava il ruolo sociale e politico della classe borghese, che trovava nel Parlamento la tutela dei suoi interessi. In questa prospettiva si spiega la graduale evoluzione della monarchia costituzionale che si è trasformata in forma di governo parlamentare. Nel governo parlamentare, tra il Re e il Parlamento si è inserito un terzo organo: il Governo; che ha acquisito progressivamente autonomia del Re ì, cercando invece il consenso del Parlamento. Ciò che caratterizza la forma di governo parlamentare è appunto il rapporto di fiducia che lega il Governo al Parlamento, il quale può costringerlo alle dimissioni votando la sfiducia. Parlamentarismo dualista e parlamentarismo monista Il sistema parlamentare delle origini era un parlamento dualista, dotato dei seguenti caratteri: Il potere esecutivo era ripartito tra il Capo dello Stato e il Governo Il governo doveva avere una doppia fiducia, quella del Re e quella del Parlamento Garanzia dell’equilibrio tra potere esecutivo e potere legislativo, al Capo dello Stato era riconosciuto il potere di scioglimento anticipato del Parlamento, che fungeva da contrappeso alla responsabilità politica del Governo. Il dualismo rifletteva ancora quell’equilibrio sociale che era stato tipico già della monarchia costituzionale: da una parte, il monarca, che costituiva il punto di riferimento delle classi aristocratiche, e dall’altra parte il Parlamento, che rappresentava gli interessi della borghesia. Questo equilibrio però si è progressivamente modificato a vantaggio della classe borghese, che ha preteso di incarnare gli interessi dell’intera nazione ed ha avuto la forza politica di circoscrivere notevolmente il ruolo del Re a favore del Parlamento, legando sempre di più il Governo a quest’ultimo. Questa seconda fase ha visto l’affermazione del parlamentismo monista, in cui il Governo ha un rapporto di fiducia esclusivamente con il Parlamento ed il Capo dello Stato è relegato in un ruolo di garanzia, e perciò assolutamente estraneo al circuito di decisione politica. Le forme di governo nella democrazia pluralista ed il sistema dei partiti Nello Stato di democrazia pluralista, il funzionamento della forma di governo è influenzato dalla presenza si una pluralità di partiti e gruppi organizzati, che costituiscono l’elemento maggiormente caratterizzante questa forma di Stato. Quando parliamo di sistema dei partiti, intendiamo riferirci essenzialmente al numero dei partiti ed al tipo di rapporto che si instaura tra di essi. Vi sono partiti disponibili al compromesso e quindi al formare coalizioni, altri che sono molto ideologizzati, spesso perché riflettono società ancora attraversate da profonde divisioni sociali, ideologiche, ecc. Quando è molto elevata la distanza ideologica tra i partiti si dice che il sistema politico è ideologicamente polarizzato. In questo caso, diminuiscono le possibilità di aggregazione tra i partiti, e addirittura ve ne sono alcuni che non possono essere aggregati in nessuna coalizione in quanto percepiti, per la loro ideologia, come partiti nemici per l’ordinamento democratico (partiti antisistema). Pertanto, il sistema funziona basandosi su una molteplicità di poli politici (sistema multipolare). In questo caso, a livello elettorale, difficilmente può operare la regola di maggioranza per la formazione del Parlamento e del Governo, in quanto i radicali antagonismi tra i partiti esporrebbero quelli che perdono le elezioni al rischio che i partiti vincitori utilizzino lo Stato per eliminarli. Diversa è la situazione in quei sistemi politici in cui le distanze ideologiche tra i partiti sono ridotte, con la conseguenza che ciascuno di essi ha un elevato potenziale di coalizione. In questo caso, anche se il sistema è pluripartitico, esso finisce per imperniarsi su due poli (sistema bipolare). Di conseguenza, la competizione elettorale è vissuta come competizione tra due poli politici tra loro alternativi. Quindi, dalle elezioni emerge con chiarezza la coalizione di partiti che ottiene la maggioranza e che pertanto esprimerà il Governo. L’assenza di radicali contrapposizioni ideologiche, poi, fa sì che il partito che assume il controllo del potere di governo non utilizzerà tale potere per eliminare gli avversari politici, ma si sottoporrà alle critiche di quelli e, alla scadenza prestabilita, al giudizio elettorale. Le principali forme di governo che esistono nelle democrazie pluraliste sono tre: sistema parlamentare, sistema presidenziale e sistema semipresidenziale. Il sistema parlamentare e le sue varianti La forma di governo parlamentare si caratterizza per l’esistenza di un rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento: il primo costituisce emanazione permanente del secondo, il quale può costringerlo alle dimissioni votandogli contro la sfiducia. Se il Parlamento è bicamerale, occorre distinguere i sistemi costituzionali in cui la sfiducia può essere votata da ciascuna Camera (come in Italia), da quelli in cui il rapporto di fiducia intercorre con una sola Camera, la “Camera politica” (come in Germania) Parlamentarismo maggioritario e parlamentarismo compromissorio Per comprendere il funzionamento della forma di governo e differenziare le diverse specie di parlamentarismo c’è da fare una distinzione fondamentale da fare, tra parlamentarismo maggioritario e parlamentarismo compromissorio: A. il parlamentarismo maggioritario si caratterizza per la presenza di un sistema politico bipolare con due partiti, ciascuno formato da più partiti, fra loro alternativi. In questo modo le elezioni permettono di dare vita ad una maggioranza politica, il cui leader va ad assumere la carica di Primo ministro che gode della forte legittimazione politica che deriva dall’investitura popolare ed il Governo ha il sostegno di una maggioranza politica che, di regola, lo sostiene per tutta la durata della legislatura. Il Governo dispone dell’appoggio della maggioranza, che può dirigere per ottenere l’approvazione parlamentare dei disegni di legge che propone. Al partito o alla coalizione di partiti che costituisce la maggioranza politica, si contrappone il partito o la coalizione di partiti di minoranza, che costituisce l’opposizione parlamentare. Quest’ultima si caratterizza in quanto esercita un controllo politico sul Governo e sulla maggioranza, al fine di poterne prendere il posto nelle successive elezioni. Perciò il sistema si contraddistingue per la pratica politica dell’alternanza ciclica dei partiti nei ruoli di maggioranza e di opposizione. Il parlamentarismo maggioritario è diffuso in numerosi Paesi, esso può funzionare in presenza di una cultura politica omogenea, che pertanto può consentire una democrazia maggioritaria. Diversa è la situazione nelle società divise da fratture profonde, di tipo prevalentemente ideologico, nelle quali deve essere ricercato l’accordo tra le parti politiche sull’indirizzo politico e sulle sue realizzazioni. In tale tipo di democrazia, si è adottata una forma di governo parlamentare diversa, che prende il nome di parlamentarismo a prevalenza del Parlamento e che può arrivare a essere un parlamento compromissorio B. il parlamento a prevalenza del Parlamento è caratterizzato da un sistema politico che opera seguendo un modulo multipolare, in presenza di numerosi partiti, tra cui esistono profonde differenze ideologiche e, quindi, reciproca sfiducia. Le elezioni non consentano all’elettore di scegliere né la maggioranza né il Governo; sono i partiti, dopo le elezioni, a concludere accordi attraverso cui si forma la maggioranza politica e si individuano la composizione del Governo e la persona che dovrà guidarlo. Il Governo può contenere esponenti di tutti i partiti che fanno parte della maggioranza (Governo di coalizione), oppure può avere l’appoggio esterno dei partiti che gli votano la fiducia, mentre i ministri provengono da un solo partito. In ogni caso la stabilità del Governo dipende dal mantenimento degli accordi tra i partiti della maggioranza, ciascuno dei quali ha un potere di pressione e di ricatto; se gli accordi vengono meno, si apre la crisi di Governo. Questo tipo di sistema parlamentare si caratterizza quindi, per la debolezza e l’instabilità del Governo. In certi sistemi la procedura parlamentare è regolata in modo tale da favorire la ricerca del compromesso tra maggioranza e minoranza. Attraverso il compromesso parlamentare, l’espressione di ideologie in radicale contrasto può coesistere pacificamente e, a lungo andare, costruire, poco alla volta, quella fiducia reciproca che inizialmente non esisteva. In questo caso il sistema può essere denominato parlamentarismo compromissorio. Questo tipo di Parlamento comporta la garanzia del pluripartitismo e la competizione fra i partiti durante la campagna elettorale; le elezioni servono a contare il consenso di cui ciascun partito gode nel Paese e, quindi, ad individuarne la forza politica. Dopo le elezioni però i partiti tendono all’accordo compromissorio sull’indirizzo politico e sulle leggi, sicché manca una vera e propria opposizione; il Parlamento è la sede privilegiata della ricerca del compromesso. Presidenzialismo La forma di governo presidenziale è quella in cui il Capo dello Stato (chiamato Presidente) è: eletto dall’intero corpo elettorale nazionale non può essere sfiduciato da un voto parlamentare durante il suo mandato, che ha una durata prestabilita presiede e dirige i Governi da lui nominati l’esperienza in cui la forma di governo presidenziale ha avuto la sua realizzazione di maggior successo è quella degli Stati Uniti d’America. Qui il presidente ed il Vicepresidente sono eletti per un mandato di quattro anni, attraverso una procedura particolare: in ogni Stato sono eletti gli “elettori presidenziali” (in numero eguale a quello dei deputati e dei senatori dello Stato medesimo), i quali successivamente sono riuniti in un collegio ad hoc (l’Electoral College) che procede alla scelta del Presidente e del Vicepresidente. Poiché i due grandi partiti (repubblicano e democratico) hanno già in precedenza individuano i propri candidati alle due cariche, attraverso apposite convenzioni nazionali, quando gli elettori votano per gli “elettori presidenziali”, sanno che questi ultimi si limiteranno a votare per i candidati scelti dai rispettivi partiti. Il Presidente degli Stati Uniti gode della forte legittimazione politica che deriva dall’investitura popolare diretta. Il Presidente ì, in quanto capo dell’esecutivo, ha alle sue dipendenze l’amministrazione dello Stato federale e nomina i suoi collaboratori, che non possono essere membri del Parlamento. Non esiste neppure un “organo” chiamato Governo: i collaboratori (chiamati “segretari di Stato”), quando sono riuniti, formano il cosiddetto Gabinetto, privo di qualsiasi rapporto con il Parlamento. Di fronte al Presidente vi è il Parlamento, che prende il nome di Congresso ed ha struttura bicamerale. Le due camere sono: il Senato, formato da due rappresentanti per ogni Stato membro, rinnovati parzialmente ogni due anni; la Camera dei rappresentanti, formata su base nazionale, in modo proporzionale alla popolazione degli Stati, da deputati con mandato biennale. Il Congresso è titolare del potere legislativo; approva il bilancio annuale, necessario affinché l’amministrazione sia autorizzata a spendere; può mettere in stato di accusa (impeachment) il Presidente per tradimento, corruzione o altri gravi reati. Presidente e Congresso sono indipendenti l’uno dall’altro, anche se esistono meccanismi costituzionali di controllo reciproco. In particolare: il Presidente ha il potere di veto sospensivo delle leggi approvate dal Congresso, il quale può superare l’opposizione presidenziale solamente tramite un’ulteriore deliberazione approvata con la maggioranza dei due terzi; il Congresso ha il potere di approvare le nomine presidenziali ad alcune alte cariche pubbliche. Il sistema si caratterizza, dunque, perché il Presidente, capo del Governo, trae la sua legittimazione direttamente dalla collettività nazionale, così come succede per il Parlamento. A questa pari legittimazione politica, corrisponde una disciplina costituzionale dei rapporti tra i poteri, che consacra e garantisce la separazione tra i due stessi poteri: il Presidente è separato dal sostegno parlamentare, visto che non esiste il voto di sfiducia, con la conseguenza che resta in carica indipendentemente da questo sostegno; di contro, il Presidente non ha strumenti giuridici per superare l’ostilità del Parlamento, in quanto non dispone del potere di scioglimento anticipatamente. Di conseguenza, si determina un dualismo paritario tra Presidente e Parlamento; sono quindi le vicende politiche a determinare lo spostamento dell’equilibrio del sistema. Semipresidenzialismo La forma di governo semipresidenziale si caratterizza per i seguenti elementi costitutivi: 1. il Capo dello Stato (chiamato Presidente) è eletto direttamente dal corpo elettorale dell’intera nazione e dura in carica per un periodo prestabilito 2. il Presidente è indipendente dal Parlamento, perché non ha bisogno della sua fiducia, tuttavia non può governare da solo, ma deve servirsi di un Governo, da lui nominato 3. il Governo deve avere la fiducia del Parlamento In tale sistema c’è una struttura diarchica o bicefala del potere di governo, che infatti, ha due teste; il Presidente della Repubblica e il Primo ministro. Quest’ultimo fa parte di un Governo che deve avere la fiducia del Parlamento, mentre il Presidente trae la sua legittimazione direttamente dall’elezione popolare, e perciò non ha bisogno della fiducia parlamentare. Sistemi costituzionali riconducibili al modello semipresidenziale hanno tra loro notevoli differenze, con la conseguenza che è opportuno distinguere: forme di governo semipresidenziali a presidente forte (come, ad esempio, la V Repubblica francese) forma di governo semipresidenziali a prevalenza di Governo (come l’Austria, Irlanda, Islanda) Se consideriamo sinteticamente la Costituzione della V Repubblica francese, vediamo come il Presidente goda di importanti poteri, molti dei quali, possono essere esercitati senza bisogno della controfirma del Governo. In particolare, egli: nomina il Primo ministro e, su proposta di quest’ultimo, nomina e revoca i ministri sottopone a referendum ogni progetto di legge concernente l’organizzazione dei pubblici poteri può sciogliere l’Assemblea nazionale può inviare messaggio al Parlamento può deferire al Consiglio costituzionale una legge prima della sua promulgazione, affinché questo organo controlli la legittimità costituzionale di essa nomina tre membri del Consiglio costituzionale presiede le riunioni del Consiglio dei ministri può adottare le misure necessarie, quando l’indipendenza della Nazione, l’integrità del territorio o l’esecuzione degli impegni internazionali siano minacciati in maniera grave ed immediata Nei sistemi semipresidenziali in cui prevale la componente parlamentare -governativa, il ruolo del Presidente si riduce a quello di garanzia. Ciò è dovuto. Più che a precise scelte costituzionali alle caratteristiche del sistema politico ed alle regole convenzionali che esso ha prodotto e particolarmente: alla bipolarizzazione del sistema politico ed alla connessa competizione elettorale che, di fatto, vede due coalizioni alternative i cui leader sono i candidati alla carica di Primo ministro alla coincidenza nella medesima persona della carica di Primo ministro e del ruolo di leader della maggioranza alla regola convenzionale per cui i partiti candidano alla Presidenza personalità politiche di secondo piano Chiamare questi sistemi semipresidenziali è dunque un po’ fuorviante. In essi, infatti, l’elezione diretta del Presidente della Repubblica non comporta uno scostamento reale delle regole del regime parlamentare, Altre forme di governo contemporanee FORMA DI GOVERNO NEOPARLAMENTARE Si caratterizza da: il rapporto di fiducia tra Governo e Parlamento l’elezione popolare diretta dal Primo ministro l’elezione contestuale di Primo ministro e Parlamento il “Governo di legislatura” Quella neoparlamentare è una forma di governo elaborata dalla dottrina con l’intenzione di raggiungere quei risultati che nel Regno Unito sono stati raggiunti per mezzo di una progressiva evoluzione storica. Sul rendimento concreto di tale forma di governo possiamo dire poco perché di essa mancano le realizzazioni concrete o, meglio, l’unico esempio storico è Israele. Tuttavia li, a differenza dei modelli elaborati dalla dottrina, manca la contestualità dell’elezione del Primo ministro e del Parlamento; inoltre, viene conservato un sistema elettorale proporzionale, che favorisce il mantenimento della frammentazione politica FORMA DI GOVERNO DIRETTORIALE È adottata solamente dalla Confederazione svizzera che si caratterizza per la presenza, accanto al Parlamento (l’Assemblea federale), di un direttorio (il Consiglio federale); questo è formato da sette membri ed è eletto ma non revocabile. Questa forma di governo si spiega alla luce delle particolari caratteristiche della Svizzera, che comprende una pluralità di comunità etniche, linguistiche e religiose. Ciò impone che Governo e Capo dello Stato abbiano una struttura collegiale, in cui siano rappresentate le diverse componenti entiche e linguistiche che convivono nell’ambito della Confederazione. I sistemi elettorali Il sistema elettorale è il meccanismo attraverso cui i voti espressi dagli elettori si trasformano in seggi. Il sistema elettorale si compone in tre parti: 1. il tipo di scelta che spetta all’elettore, che può esprimere solamente una scelta secca (come nel collegio uninominale oppure un ordine di preferenze come nel cosiddetto voto trasferibile) 2. la dimensione del collegio, che è l’ambito preso in considerazione per la ripartizione dei seggi in base ai voti (si chiama anche circoscrizione elettorale, se l’ambito è territoriale). Si distingue in: a) il collegio unico, che si ha quando esiste un solo collegio che serve a ripartire tra i candidati tutti i seggi in palio, come avviene in Israele dove, per l’elezione del Parlamento, il Paese forma un unico collegio elettorale b) la previsione di più collegi, ciascuno dei quali eleggerà un certo numero di parlamentari. Possiamo distinguere ancora tra il collegio uninominale, in cui risulta eletto un solo candidato, e il collegio plurinominale, in cui vengono eletti due o più candidati 3. la formula elettorale, che è il meccanismo attraverso cui si procede alla ripartizione dei seggi tra i soggetti che hanno partecipato alla competizione elettorale. Tenendo conto della formula elettorale, i sistemi elettorali si distinguono in maggioritari e proporzionali. A. Nei sistemi elettorali maggioritari, il seggio in palio è attribuito a chi ottiene la maggioranza dei voti. Nell’ambito dei sistemi maggioritari occorre poi fare due distinzioni: a) Se è richiesta la maggioranza assoluta per essere eletti occorre avere ottenuto almeno la metà più uno dei voti validi. Se nessun candidato la raggiunge si va al secondo turno, che a seconda delle scelte fatte nei diversi sistemi elettorali, accedono i due candidati più votati al primo turno; al secondo turno è eletto il candidato che ottiene più voti b) Se è richiesta la maggioranza relativa è eletto semplicemente chi ottiene più voti, anche se questi non raggiungono la metà più uno dei voti validi B. I sistemi elettorali proporzionali sono quelli in cui i seggi in palio sono distribuiti a seconda della quota di voti ottenuta da ciascuna lista in competizione. Perciò si tiene conto, ai fini della ripartizione dei seggi, di tutte le liste di candidati che abbiano ottenuto una quantità di voti almeno pari ad una percentuale minima, che prende il nome di quoziente elettorale. Una volta attribuiti i seggi a ciascuna lista, si passa a vedere quali candidati di ciascuna lista sono stati eletti. Allo scopo possono essere seguiti due metodi: 1. Se l’elettore può esprimere, oltre al voto per la lista, una o più preferenze per i candidati della lista, sono eletti i candidati con numero di preferenze più elevato 2. Se manca la possibilità di esprimere preferenze, i seggi sono attribuiti seguendo l’ordine dei candidati nella lista (la cosiddetta lista bloccata, che attribuisce grande potere ai dirigenti di partito, perché questi scelgono l’ordine dei candidati) Un sistema maggioritario ha un effetto selettivo, nel senso che l’accesso alle aule parlamentari viene consentito esclusivamente a chi ottiene più voti nei collegi, e quindi solamente alle forze politiche maggiori. Viceversa, i sistemi proporzionali garantiscono l’accesso al Parlamento anche alle minoranze politiche, avendo come obiettivo quello di fotografare la realtà politica del Paese, sicché si può dire che essi hanno un effetto proiettivo; ciò significa che il sistema elettorale influenza il numero dei partiti che compongono il sistema politico. Il sistema di elezione del Parlamento in Italia Sino al 1993 in Italia le due Camere del Parlamento erano elette con un sistema proporzionale. La legge elettorale proporzionale assicurava a tutte le forze politiche garanzie di sopravvivenza, evitava la concentrazione di troppo potere nelle forze maggioritarie, incentrava in un Parlamento in cui nessun partito aveva la maggioranza assoluta dei seggi ed in cui le forze di opposizione avevano assicurata una consistente rappresentanza parlamentare. Le trasformazioni della società italiana hanno prodotto una spinta verso una democrazia maggioritaria, che ha avuto il momento di più alta tensione politica con il referendum elettorale del 1993, che ha avuto una delle più elevate percentuali di sì dell’intera storia del referendum in Italia. Con il referendum il corpo elettorale esprimeva un chiarissimo indirizzo politico a favore di una trasformazione maggioritaria del sistema elettorale. Ma, a causa di dissidi interni ai partiti tradizionali della democrazia, il Parlamento incontrò grosse difficoltà nell’approvare una riforma elettorale. Per l’elezione della Camera e del Senato hanno previsto un sistema misto, prevalentemente maggioritario, in cui il 75% del totale dei seggi viene attribuito ai collegi uninominali con il maggioritario a turno unico, mentre il restante 25% è ripartito con metodo proporzionale. Tuttavia, nel 2005 il sistema elettorale maggioritario è stato abbandonato. Al suo posto è stato introdotto una legge elettorale proporzionale, con liste bloccate, preventiva indicazione del capo della coalizione, clausola di sbarramento e premio di maggioranza, diretto a garantire che comunque la coalizione o la lista singola più votata abbia la maggioranza. Le elezioni del Parlamento europeo Le elezioni del Parlamento europeo sono svolte, a partire dal 1979, sulla base di leggi elettorali diverse per ciascuno Stato. I seggi attribuiti all’Italia sono attualmente 72 ed essi sono ripartiti nell’ambito di cinque grandi circoscrizioni in cui è stato diviso il territorio nazionale. Ai fini della loro ripartizione fra le liste concorrenti che abbiano superato la soglia di sbarramento, si opera nel modo seguente: 1. Il totale dei voti validi ottenuti dalle liste ammesse alla ripartizione dei seggi è diviso per il numero dei seggi da attribuire, ottenendo così il quoziente elettorale nazionale 2. Si divide la cifra elettorale di ciascuna lista ammessa 3. Il risultato di quest’ultima divisione indica il numero dei seggi che spettano a ciascuna lista 4. I seggi che eventualmente rimangono ancora da attribuire vanno rispettivamente alle liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti. Si passa quindi alla fase successiva, che consiste nell’assegnazione dei seggi alle diverse circoscrizioni. A questo scopo si opera nel modo seguente: 1. Si calcola il quoziente elettorale di lista, che è ottenuto dividendo la cifra elettorale nazionale di lista per il numero dei seggi ad essa assegnata 2. Si calcola la cifra circoscrizionale di lista, che è eguale al numero dei voti validi ottenuti da ciascuna lista nelle singole circoscrizioni elettorali 3. Si divide la cifra circoscrizionale di lista per il quoziente elettorale di lista 4. Il risultato indica il numero dei seggi attribuiti a quella lista nella singola circoscrizione 5. Ove alcuni seggi non risultino assegnati, si applica il metodo dei più alti resti Nelle elezioni europee si può esprimere il voto di preferenza plurimo per i candidati della lista, indicando il proprio gradimento fino a tre candidati. L’organizzazione costituzionale in Italia La disciplina del rapporto di fiducia e la maggioranza politica Secondo l’Art. 94 Cost. la razionalizzazione costituzionale del rapporto di fiducia è diretta a garantire la stabilità del Governo, cioè la sua durata nella carica, attraverso la previsione di alcuni procedurali che dovrebbero rendere più difficoltosa l’approvazione di una mozione di sfiducia. Sempre secondo l’Art. 94 Cost. la mozione di sfiducia è l’atto con cui il Parlamento interrompe il rapporto di fiducia con il Governo, obbligandolo alle dimissioni; al pari della fiducia che viene data inizialmente, deve essere motivata e votata per appello nominale (i parlamentari sono chiamati uno alla volta ad esprimere il proprio voto). La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere discussa per almeno tre giorni dalla presentazione per far si che si abbia tempo di riflessione ed evitare i cosiddetti assalti alla diligenza. La mozione di fiducia invece prevede che il Governo entro dieci giorni dalla sua formazione si presenti alle Camere per ottenere la fiducia che viene accordata o respinta. Il procedimento di formazione del Governo termina positivamente solo se entrambe le Camere votano la fiducia al Governo. I principi costituzionali sull’amministrazione I principi costituzionali sull’amministrazione sono i seguenti: 1. la legalità della pubblica amministrazione e la riserva di legge in materia di organizzazione. Il principio di legalità può definirsi come la sottoposizione dell’amministrazione alla legge, nel seno che l’amministrazione può fare solo ciò che è previsto dalla legge e nel modo da essa indicato 2. l’imparzialità della pubblica amministrazione, che vieta di effettuare discriminazioni tra soggetti non sorrette da alcun fondamento razionale 3. il buon andamento della pubblica amministrazione che richiede un’attività amministrativa efficiente ed efficace 4. il principio del concorso pubblico per l’accesso al rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, per cui, salvo i casi stabiliti dalla legge, agli impiegati con le amministrazioni pubbliche si accede mediante concorso. Si tratta di un principio di imparzialità che pone il merito personale come criterio per selezionare i soggetti con cui le amministrazioni instaurano rapporti di lavoro 5. il dovere di fedeltà, che è sancito in termini generali per tutti i cittadini e che si specifica nel dovere di adempire le pubbliche funzioni con disciplina e onore, prestando giuramento nei casi previsti dalla legge. La stessa Costituzione attribuisce alla legge la competenza ad introdurre limiti al diritto di iscrizione ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero 6. il principio di separazione tra politica e amministrazione, secondo cui gli organi di governo determinano obiettivi e programmi e gli organi burocratici hanno la titolarità dei poteri di gestione amministrativa, in modo tale da evitare ingerenze della politica nelle puntuali e specifiche scelte amministrative 7. la responsabilità personale dei pubblici dipendenti, che esclude ogni forma di immunità per gli atti da essi compiuti in violazione dei diritti Il Parlamento La struttura del Parlamento Il bicameralismo paritario La struttura dei Parlamenti moderni può essere bicamerale o monocamerale. La Costituzione italiana ha optato per l’articolazione del Parlamento in due Camere: la Camera dei deputati e Senato. Con il termine bicamerale ci si riferisce ai sistemi costituzionali i cui Parlamenti sono costituiti da due Camere. Si distingue, a questo proposito, tra bicameralismo perfetto e imperfetto. Il primo, detto anche paritario, è quello nel quale le due Camere sono dotate delle medesime funzioni. Nel secondo, le due Camere presentano una composizione differente e sono dotate di poteri diversi. Nei sistemi a bicameralismo imperfetto è, spesso, previsto che solo una camera possa accordare e/o revocare la fiducia parlamentare al Governo L’organizzazione interna del Parlamento italiano Con l’espressione Organizzazione del Parlamento si intende fare riferimento al complesso degli organi e degli organismi che operano all’interno delle Camere. Tra gli organi e gli organismi che operano all’interno delle Camera sono: i Presidenti di assemblea, gli uffici di Presidenza delle due Camere, le commissioni parlamentari, le Giunte parlamentari, i Gruppi parlamentari, la conferenza dei capigruppo. Le funzioni assegnate dal Parlamento La Costituzione della Repubblica assegna al Parlamento un vasto e articolato complesso di funzioni e poteri. La funzione legislativa non è, infatti, l’unica funzione assegnata al Parlamento. Tra le altre funzioni: la funzione consultiva, la funzione di controllo, la funzione di autogoverno, l’autonomia contabile, l’autodichia, la funzione di inchiesta e le funzioni del Parlamento in seduta comune. Lo status dei parlamentari Con l’espressione status dei parlamentari si allude al complesso delle posizioni giuridiche che discendono dall’acquisto della qualifica di Parlamentare della Repubblica. In quanto tale, ciascun deputato o senatore beneficia, infatti, delle c.d. immunità parlamentari (l’insindacabilità per i voti espressi e le opinioni date e l’inviolabilità, ex art. 68 Cost.), oltre che di altre prerogative (tra cui il diritto all’indennità parlamentare e, al ricorrere delle condizioni di legge, la percezione dell’assegno vitalizio). Presidente della Repubblica Il capo dello Stato nella forma di governo Nei sistemi parlamentari, il Capo dello Stato, organo di vertice dell’ordinamento costituzionale, consiste in una carica dal ruolo variabile. In alcuni sistemi, il Capo dello Stato è prevalentemente un organo di garanzia costituzionale, tendenzialmente estraneo alla definizione dell’indirizzo politico, a cui è riservata la vigilanza sul corretto funzionamento del sistema costituzionale. In altri sistemi, questa stessa figura può essere ammessa a esercitare, in parte, funzioni rilevanti per ciò che concerne il Governo. L’elezione in Parlamento Nell’ordinamento italiano, i delegati regionali, eletti dai Consigli regionali delle Regioni in numero di tre per ogni Regione (a eccezione della Valle d’Aosta, che ne esprime uno solo) integrano il Parlamento riunito in seduta comune per l’elezione del Presidente della Repubblica. La loro presenza nel collegio che elegge il Capo dello Stato rafforza la rappresentatività del Presidente della Repubblica quale rappresentante dell’unità nazionale. La controfirma Originariamente, l’azione del controfirmare gli atti del Capo dello Stato, svolta dai membri del Governo, aveva la sola funzione di attestare l’avvenuta espressione della volontà del Monarca. In seguito, la controfirma è, però, divenuta l’istituto giuridico attraverso il quale la responsabilità politica derivante dagli atti formalmente imputati al Capo dello Stato, ma sostanzialmente ascrivibili alla volontà governativa, è trasferita ai membri del governo, che controfirmano, appunto, gli atti già adottati e sottoscritti dal Capo dello Stato. Irresponsabilità presidenziale Con l’espressione irresponsabilità presidenziale, riferita al Presidente della Repubblica, si indica la particolare condizione nella quale si trova il Presidente della Repubblica, il quale, per gli atti compiuti nell’esercizio delle proprie funzioni, può rispondere delle sole condotte criminose che possono giustificare la sua messa in stato d’accusa, da parte del Parlamento riunito in seduta comune (si parla, al riguardo, di alto tradimento e attentato alla Costituzione). Crisi di governo parlamentare Parlamentare è la crisi di governo che si registra a seguito dell’approvazione di una mozione di sfiducia, prevista e disciplinata dall’art. 94 Cost. Regioni e governo locale Le regioni nella storia istituzionale italiana L’organizzazione costituzionale italiana prevede un complesso sistema di autonomie regionali e locali. La Costituzione italiana del 1948 aveva previsto infatti uno Stato regionale e autonomista, basato su Regioni dotate di: autonomia politica (art. 114 Cost.), cioè sulla capacità di darsi un proprio indirizzo politico, anche diverso da quello dello Stato; autonomia legislativa (art. 117) e amministrativa nelle materie espressamente indicate dalla Costituzione (art. 118) autonomia finanziaria (art. 119 Cost.), cioè l’attribuzione di risorse finanziarie necessarie per esercitare le loro competenze, anche attraverso tributi regionali e la partecipazione ai proventi di tributi statali, nonché la libertà di stabilire come e in quali settori spendere le risorse che affluiscono nei loro bilanci. Le Regioni, cui si doveva applicare la disciplina prevista dalla Costituzione, erano quindici. Ad esse si aggiungevano altre cinque regioni dotate di un’autonomia differenziata, più ampia di quella delle altre regioni, e definita nei suoi contenuti dallo statuto di ciascuna di queste regioni, approvato con legge costituzionale. Mentre le regioni disciplinate direttamente dalla Costituzione sono state denominate regioni ordinarie, le altre sono chiamate regioni speciali. Condizioni di particolare autonomia, paragonabili a quelle delle Regioni speciali, sono state pure riconosciute alle Province autonome di Trento e Bolzano. Inoltre, il documento costituzionale riconosceva anche l’autonomia di enti territoriali riguardanti un’area più piccola di quella regionale, cioè i Comuni e le Province. L’autonomia di questi “enti locali” doveva essere definita da leggi generali dello Stato. Nonostante la previsione costituzionale, le regioni ordinarie sono state istituite concretamente solo nel 1970. L’esercizio effettivo delle funzioni da parte delle regioni richiedeva che lo Stato, con legge o con atto equiparato (decreti di trasferimento) trasferisse loro le funzioni amministrative, insieme con il personale necessario per esercitarle. Si è trattato però di un trasferimento parziale, perché i ministeri hanno conservato numerose competenze nell’ambito delle materie che la Costituzione affidava alle Regioni. Nel 2001 il Parlamento ha approvato una legge costituzionale, ha disegnato una Repubblica delle autonomie, articolata su più livelli territoriali di governo (Comuni, Città metropolitane, Province, Regioni), ciascuno dotato di autonomia politica costituzionalmente garantita. La ripartizione delle competenze tra Stato, Regioni ed enti locali Il nuovo testo dell’art. 114 Cost. pon