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Questo documento tratta della fondazione di Roma, concentrandosi sulle figure leggendarie dei suoi primi re come Romolo. Descrive le fonti primarie e secondarie utilizzate per ricostruire la storia antica della città.

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LA STORIA DI ROMA ——————————————————————————————————————————— LE FONTI SULL’ORIGINE DI ROMA Non è per niente semplice ricostruire la storia del passato di Roma: Come accade spesso per le antiche popolazioni, la storia si mescola con la leg...

LA STORIA DI ROMA ——————————————————————————————————————————— LE FONTI SULL’ORIGINE DI ROMA Non è per niente semplice ricostruire la storia del passato di Roma: Come accade spesso per le antiche popolazioni, la storia si mescola con la leggenda, le tracce non sono interpretabili in modo univoco e le informazioni sono frammentate. Oltre a ciò le informazioni storiche non sono contemporanee alla nascita della civiltà, diverse gure anche del mondo Greco ne narreranno a posteriori. Eccone qualcuna: Marco Porcio Catone, racconta l’origine di Roma partendo da un fondatore mitico Diodoro Siculo (Magna Grecia) Dionisio di Alicarnasso Tito Livio, un autore di Padova, contemporaneo addirittura di Augusto narra la storia di Roma nel suo libro “Ad Urbe condita” Le primissime fonti sono invece gli Annaes Maximi, dei diari ordinati dal Pontifex* che illustrano gli eventi più importanti dell’anno. *massima gura sacerdotale TRA LEGGENDA E STORIA Come spesso accade, il fondatore della civilà viene divinizzato. Nel caso di Roma si tratta di Romolo, glio della mortale Rea Silvia e del dio Marte. Viene abbandonato sulle sponde del Tevere col fratello Remo dalla madre, regina di Albalonga* e viene poi cresciuto da una “Lupa” che gli storici credono essere la moglie di un pastore, ovvero Acca Laurenzia. La Roma Quadrata, costruita da Romolo, viene collocata sul monte Palatino e al suo interno è accettato chiunque. Questa sua caratteristica attrae tutti gli uomini malvoluti dalle città vicine e sorge la prima problematica: non ci sono delle donne che possano permettere la continuità del popolo. Romolo organizza quindi dei giochi a cui sono invitati anche i Sabini. In questo momento di debolezza le donne Sabine vengono rapite. I due popoli si trovano sull’orlo di una guerra ma le donne Sabine riescono a placare le acque proponendo la fusione delle due civiltà in un’unica. L’idea viene accettata e soprattutto possiamo darvi tutt’ora credito: non sarebbe altro che una sineresi tra città, avvenimento molto comune in antichità. Dopo questa unione, al potere si alterneranno capi Sabini e Romani. Romolo che aveva dato le prime istituzioni ad un certo punto svanisce misteriosamente e viene divinizzato, verrà riconosciuto nel dio Quirino e i Romani diventano i Quiriti ovvero i discendenti di Romolo divinizzato. IL CONCETTO DI MONARCHIA PER I ROMANI È DIVERSO DA QUELLO DELLE MONARCHIE ORIENTALI Nonostante Romolo detenesse sia il potere religioso che quello militare, ben presto non sarà più così. I SETTE RE DI ROMA Romolo: - prime istituzioni militari e politiche - sovrano paci co che governa in un momento di stasi Numa Pompilio: (re sabino) - istituzioni religiose e civili - crea i collegi sacerdotali Tullio Ostilio: - riprende la guerra Anco Marzio: - riesce a far espandere il territorio romano no alla costa (sfera d’in uenza degli Etruschi) - rivalità con gli etruschi per le saline fi fi fi fi fi fl Tarquinio Prisco: - comincia a costruire veramente la città - da un ordine a Roma - costruisce i primi acquedotti e strade Servio Tullio: - migliora l’esercito con la cosidetta falange oplitica - esegue la riforma timocratica (in base alla ricchezza) seguendo le orme di Solone - esegue altre riforme motivate dall’aumento numerico dei cittadini e all’estensione della comunità Tarquinio il Superbo: - despota crudele e fondatore di un regime tirannico - è negligente nei confronti del benessere cittadino - viene deposto dal trono nel 509 a.C grazie a una rivolta popolare Il periodo monarchico va dalla fondazione di Roma (753 a.C.) no alla rivolta del 509 a.C. causata dal governo dittatoriale di Tarquinio il Superbo. Si narra che la goccia che ha fatto traboccare il vaso sia stato lo stupro da parte del glio del re (Tarquinio Sesto) di una ragazza di nome Lucrezia. Quando il fatto divenne di pubblica conoscenza Tarquinio il Superbo e i suoi uomini furono chiusi fuori dalla città e nonostante il sovrano avesse chiamato in suo aiuto il re Porsenna, l’assedio non è andato a buon ne (non sono riusciti a conquistare l’acropoli). I due eroi liberatori di Roma sono: Pruto e Collatino (in seguito sono diventati i primi due consoli della Roma repubblicana). CONFRONTO FRA DONNE ROMA ETRURIA proprietà di un uomo (padre, marito, fratello) maggiori libertà (generico) non potevano essere ereditiere non potevano lavorare Il matrimoni a Roma: - monogamico - l’uomo poteva chiedere il divorzio - c’era la possibilità di abortire esistevano tre tipi di matrimonio: - coentio, una compravendita della donna - confarreactio, matrimonio in pompa magna - usus, matrimonio “automatico” dopo che una donna aveva vissuto per una anno in casa di un certo uomo (niente dote) SOCIETÀ C’erano 3 classi sociali: Gentiles, Plebs, Schiavi GENTILES (gentes) chiamati anche patrizi, erano tutti coloro che facevano parte delle famiglie nobili. Potevano partecipare alla vita politica e quindi alla suddivisione del potere, possedevano tutte le terre (almeno in un primo momento), la loro nobiltà era giusti cata dalla discendenza. PLEBS (plebei), anch’essi erano persone libere, non avevano accesso alle cariche pubbliche (all’inizio, vedi “conquiste dei plebei”) e ricoprivano ruoli più umili nell’esercito. SCHIAVI, persone non libere ovviamente. Erano spesso indigeni sottomessi dai latini, uomini indebitati o prigionieri di guerra. Non potevano sposarsi. Potevano in casi eccezionali diventare liberti grazie alla cerimonia del manumissio in cui il padrone gli concedeva la libertà. fi fi fi fi Un’altra classe sociale non u ciale era quella dei CLIENTES (clienti) che o rivano dei servizi a dei patronus in cambio di vitto, alloggio e protezione/difesa. La clientela era un rapporto personale basato sulla des ovvero la ducia. La des era legata alla gura di Giove Fidius. Se un clientes veniva meno ai suoi doveri diventava sacer ovvero consacrato agli dei, un reietto. PRIMI ANNI REPUBBLICANI Dalla rivolta del 509 a.C. no al 430 a.C. Roma era sullo stesso piano di tutte le altre città del Latium con pari possibilità di farcela come potenza emergente e di espansione. Nonostante ci fossero costanti con itti tra le varie città, la rivalità maggiore restò quella con gli etruschi. Queste sono le date più importanti del primo periodo: - 496 a.C., Battaglia del Lago Regillo - 494 a.C. Rivolta dei Plebei e secessione sull’Aventino - 493 a.C. Firma del Foedus Cassianum e formazione della Lega Latina - 490/430 a.C. Guerre contro Volsci e Sabini CONQUISTE DEI PLEBEI (linea del tempo con approfondimento) La secessione sull’Aventino del 494 a.C. con la quale i plebei smettono di lavorare (fondamentalmente scioperano), si risolve grazie a Menenio Agrippa, un senatore amato da ambe le parti (patrizi e plebei). Egli fu l’intermediario tra le due classi e tramite un famoso apologo (metafora delle parti del corpo che non ubbidiscono al capo) riuscì a riportare l’equilibrio. Lo stesso anno venne concesso ai plebei di eleggere due magistrati chiamati tribuni della plebe. Anche il tribunato della plebe era un’istituzione collegiale. I poteri dei tribuni della plebe erano: - intercessio o veto —> potevano bloccare l’iniziativa dei consoli ed erano protetti dalla sacrosanctitas ovvero l’inviolabilità (in modo che potessero parlare senza paura) 451-450 a.C. I plebei ottengono delle leggi scritte anche chiamate “Leggi delle XII tavole”. Vennero scelti degli studiosi che furono mandate in Grecia a studiare la costituzione soloniana. Queste tavole furono esposte nel foro. 445 a.C. Lex Canuleia, permette i matrimoni misti tra Patrizi e Plebei. 367 a.C. Leges Cignes Sestiae, è in realtà un pacchetto legislativo ideato da due consoli Patrizi (Gaio Licinio Stolone e Lucio Sestio Laterano). Prevedevano la presenza di un patrizio e di un plebeo in ogni coppia consolare e la distribuzione delle terre di nuovo acquisto e dell’ager pubblico anche ai plebei. Viene anche stabilito un limite di 500 iugeri di terreno privato per ogni cittadino. 326 a.C. Lex Petellia Papiria, aboliva la schiavitù per debiti. 300 a.C. Lex Ogulnia, equipara la quantità di terreni alla quantà di denaro posseduto. Nello stesso anno Appio Claudio Cieco fece in modo che l’appartenenza al censo non fosse determinata dal possedimento terriero (niente più aristocrazie terriera, almeno in teoria). Inoltre con questa legge i plebei ebbero la possibilità di diventare massimi ponte ci. 287 a.C. Lex Ortensia, riconobbe i plebisciti (assemblee popolari) come organi di decisione legislativa. IL CURSUM HONORUM E LE CARICHE PUBBLICHE Le magistrature avevano tutte le stesse caratteristiche generali: - Temporaneità, tipicamente i magistrati rimanevano in carica un anno a parte i censori che invece avevano a disposizione 5 anni - elettività, che fossero eletti dal senato o dai comizi i magistrati non ottenevano il potere secondo schemi dinastici - collegialità, i magistrati non agiscono mai da soli a parte nei momenti di crisi con i dittatori - gratuità, il loro lavoro per lo stato non è retribuito. Questo denota un carattere molto importante nell’amministrazione di Roma, essa rimarrà per questo sempre una repubblica aristocratica poichè chi si fa eleggere deve avere la possibilità di mantenersi senza essere pagato dal suo lavoro. Alla ne del loro mandato i magistrati erano tenuti a rispondere delle loro scelte e potevano essere chiamati a giudizio. Prima di parlare del cursus honorum speci chiamo due cose importanti riguardo alle magistrature: - ci si faceva conoscere tramite la carriera nell’esercito - ci si poteva candidare alla magistratura dopo i 30 anni d’età fi fi fl fi fi ffi fi fi fi fi ff IL CURSUS HONORUM 1. Questura, amministrazione del denaro pubblico e retribuzione dei dipendenti statali 2. Edilità, responsabili dell’approvvigionamento sovrintendimento dei mercati, del transito merci e mantenimento dell’ordine pubblico 3. Pretura, funzione giudiziaria sia civile che penale, creazione e decisione di nuove regole adattate al contesto 4. Censura, esecuzione del censimento per suddividere i cittadini in classi di censo 5. Consolato, capi militari, convocazione del senato, dei comizi centuriati, detenzione del potere legislativo, trattative esterne e interne. La guerra con i Volsci aveva portato i Romani a contatto con l'area occupata dai Sanniti, una bellicosa popolazione italica, originaria dell'altopiano del Molise. Sappiamo di una loro federazione che riuniva quattro Stati tribali (Pentri, Caudini, Carricini, Ir-pini), ciascuno dei quali governato da un magistrato di durata annuale che svolgeva funzioni di giudice, di sacerdote e di comandante. Centro di aggregazione dei Sanniti erano i santuari, nei quali venivano prese le decisioni più importanti, come per esempio la scelta di un generale unico in tempo di guerra. Nella seconda metà del V secolo a.C., parte dei Sanniti si espanse in Campania ed entrò in contatto con le colonie greche. Nel 354 a.C. - probabilmente sotto la spinta della comune paura dei Galli - Sanniti e Romani strinsero un'alleanza che stabiliva al ume Liri (che scorre tra gli attuali Abruzzo, Lazio e Campania) il con ne tra i loro territori; tuttavia, nell'arco di un decennio la volontà espansionistica di entrambi li portò a infrangere il trattato e a scontrarsi in tre con itti, che sono noti come guerre sannitiche. Nel 343 a.C. la città italica di Teano fu attaccata dai Sanniti e chiese aiuto a Capua, che a sua volta invocò l'intervento di Roma. La richiesta pose la Repubblica di fronte a un dilemma: da un lato, infrangere l'alleanza con i Sanniti avrebbe portato a violare la pace con gli dèi, chiamati a testimoni in ogni patto; dall'altro, la rinuncia all'intervento avrebbe spianato ai Sanniti la strada per la conquista dell'intera Campania. Furono i Campani a sbloccare la situazione di stallo sottomettendosi spontaneamente alla sovranità di Roma; quell'atto di resa (deditio), incorporando giuridicamente i Campani nello Stato romano, trasformava una guerra di aggressione in una guerra di difesa, ossia in un bellum iustum, una "guerra giusta", nel senso di conforme al diritto (ius) e pertanto approvata dagli dèi. La prima guerra sannitica si combatté in Campania e fu caratterizzata da scontri di breve durata. Nel 341 a.C., i Romani riportarono una vittoria determinante, dopo la quale, per motivi non chiari, rinnovarono il trattato con i Sanniti, lasciandoli così liberi di occupare Teano. Le vittorie conseguite accrebbero le mire espansionistiche dei Romani nei confronti della Campania e quindi portarono a un nuovo scontro con i Sanniti, che, essendo in forte espansione demogra ca, erano alla ricerca di nuove terre verso la costa campa-na. Appro ttando di discordie politiche scoppiate nella città greca di Napoli, i Sanniti vi introdussero una guarnigione. Sollecitata dalle proteste degli aristocratici loro- mani di Capua, Roma assediò Napoli e la strappò ai Sanniti; tale evento innescò la guerra, perché il controllo di Napoli garantiva l'accesso al mare. Il con itto iniziò nel 326 a.C. e si svolse in due fasi intervallate da una tregua. Dopo aver inutilmente tentato una manovra di accerchiamento, Roma portò la guerra tra le montagne del Sannio, probabilmente con l'intento di prendere Boviano (oggi Bojano), centro dei Pentri, la più bellicosa fra le tribù sannitiche. Il compatto ordinamento a falange della legione la rendeva tuttavia inadatta a combattere in territorio montagnoso. Questa debolezza tattica portò al disastro delle Forche Caudine (321 a.C.). L'esercito romano fu attirato con l'inganno in una stretta gola nei pressi dell'odierna Benevento. fl fi fi fl fi fi fi I consoli e tutti i soldati romani dovettero subire l'umiliazione di passare chini sotto un giogo formato da due lance con ccate nel terreno e unite in alto da una terza lancia. La disfatta spinse i Romani a indire una leva straordinaria per raddoppiare il numero delle legioni, che passarono da 2 (una per ogni console) a 4, per un totale di 12.000 uomini. Per ottenere una maggiore mobilità su terreno accidentato si divise poi la fanteria pesante in 30 unità tattiche, i manipoli; inoltre si adottò come arma da getto un giavellotto dal puntale in ferro (pilum), che consentiva lanci in rapida successione. Nel 315 a.C. si ricominciò a combattere. I Romani ripresero la strategia dell'accerchia- mento, stringendo alleanze con i popoli con nanti, e l'anno successivo riportarono che avvenne nel 305 a.C. la prima vittoria, ma la guerra terminò solo con la presa della roccaforte di Boviano,Il trattato di pace lasciò integro il territorio sannita, ma Roma aveva ormai esteso il suo dominio sulle regioni attorno al Sannio, stipulato alleanze con i popoli dell'Italia centrale e ottenuto il controllo della Campania. I Sanniti, scon tti ma non domati, cercarono nuove alleanze con Etruschi, Umbri, Sabini e Galli Senoni, e nel 298 a.C. ripresero la guerra; per la prima volta, dunque, Roma si trovò ad affrontare una coalizione di popoli. Grazie a nuovi arruolamenti, però, nel 295 a.C. i Romani riportarono un'importante vittoria nella battaglia di Sentino (Sassoferrato, nelle Marche): Umbri ed Etruschi si arresero, mentre i Senoni furono costretti a venire a patti. Con i Sanniti la guerra proseguì invece no al 290 a.C., anno che li vide de nitivamente scon tti in Irpinia; Roma impose loro forti restrizioni territoriali. La vittoria sui Sanniti ebbe effetti rilevanti. Innanzitutto, nel 290 a.C. fu annessa la Sabina (nell'entroterra laziale), sia per evitare il ricrearsi di alleanze pericolose sia per l'importanza strategica della regione, attraversata da strade commerciali e milita-ri. In secondo luogo, la classe dirigente romana strinse con quella di Capua un accordo che aprì l'accesso al senato alle grandi famiglie dell'aristocrazia campana, il cui interesse per l'espansione marittima in ui sulle successive scelte in politica estera. In ne, l'espansione portò Roma in contatto con le città greche della Magna Grecia, culturalmente ed economicamente ricche, che di li a poco avrebbero attratto il suo interesse. Nel 284 a.C. i Galli Sènoni ricominciarono a compiere scorrerie in Etruria, ma Roma li fermò in iggendo loro una disastrosa disfatta; il loro territorio fu annesso in gran parte e su di esso venne fondata la colonia costiera di Sena Gallica (Senigallia). Fino allo scontro decisivo con i Sanniti, Roma aveva mantenuto buoni rapporti con le città della Magna Grecia e aveva sempre rispettato un patto siglato con Taranto alla ne della seconda guerra sannitica, che la impegnava a non superare capo Lacinio (Oggi capo Colonna). La situazione mutò quando ebbe raggiunto il controllo dell'Italia centrale e annullato il pericolo rappresentato dai Galli. Probabilmente, a indurre il senato a violare quel patto furono le pressioni esercitate dai plebei che facevano parte della classe dirigente, i quali, nutrendo interessi commerciali, miravano al controllo dei porti del Sud Italia. Così, quando Thurii (città sulla costa occidentale del golfo di Taranto), minacciata dai Lucani, chiese ai Romani l'invio di un presidio, Roma appro ttò dell'occasione per installare guarnigioni anche in altre città (Crotone, Locri, Reggio); per giunta inviò una squadriglia di navi a ormeggiarsi di fronte a Taranto, violando apertamente il trattato. La reazione di Taranto non si fece attendere: le navi vennero distrutte. Consapevole di non avere forze suf cienti per opporsi a Roma, Taranto invocò l'intervento di Pirro, sovrano del regno ellenistico dell'Epiro, una regione della Grecia settentrionale (oggi Albania meridionale) situata di fronte alle coste pugliesi. Egli accolse quella richiesta come l'occasione per crearsi un dominio nel Sud Italia, avendo perso la possibilità di ampliare il suo regno durante le guerre dei diâdochi (- pp. 262-263). Nel 280 a.C. Pirro sbarcò in Italia e ottenne una prima vittoria a Eraclea (oggi Policoro), in Lucania, grazie alla forza d'urto della falange macedone e agli elefanti da guerra, animali sconosciuti ai fi fl fl fi fi fi fi fi fi fi fi fi Romani che seminarono il terrore tra i legionari. Marciò poi in direzione di Roma, nella speranza di provocare ribellioni nelle città della Campania e del Lazio, che però rimasero fedeli all'alleanza con i Romani. Non disponendo di forze suf cienti per attaccare l'Urbe, Pirro cercò di trattare, ma i Cartaginesi, intenzionati a tenerlo lontano dalla Sicilia, dissuasero i senatori dallo scendere a patti con lui, promettendo in cambio l'invio di navi e denaro. In quell'occasione (278 a.C.), Roma e Cartagine rinnovarono per la terza volta il patto di alleanza (il primo risaliva al tempo della monarchia) con l'impegno di non stipulare una pace separata con Pirro. La guerra dunque riprese, e la battaglia combattuta nel 279 a.C. presso Ascoli Satria-no vide ancora una volta Pirro vincitore. Egli subi tuttavia perdite tanto pesanti che pare abbia replicato così a uno dei suoi uf ciali che si congratulava con lui: «Ancora un'altra di queste vittorie sui Romani e saremo spacciati». Da questa frase, riportata dallo scrittore greco Plutarco, derivò la locuzione "vittoria di Pirro", usata per indicare una vittoria che comporta gravi perdite per il vincitore e lo pone in condizioni di precarietà. Nonostante avesse ricevuto aiuti da Sanniti e Lucani, Pirro non riuscì a crearsi una solida base d'appoggio in Italia; nel 278 a.C. decise pertanto di passare in Sicilia, chiamato dai Siracusani, in lotta con i Cartaginesi. Battuti i Cartaginesi, fu acclamato re, ma ben presto perse l'appoggio della popolazione locale per le richieste forzate di forniture militari; di conseguenza ritornò in Italia. Scon tto de nitivamente nel 275 a.C. a Malevento, ribattezzata in quell'occasione Benevento, si ritirò in Grecia e tre anni dopo morì ad argo in un combattimento. I popoli che avevano defezionato dall'alleanza con Roma subirono pesanti ripercus-sioni: la confederazione sannitica fu sciolta, ai Lucani fu con scato il territorio di Posidonia per stabilirvi la colonia di Paestum, mentre in Apulia venne fondata la colonia di Brundisium (Brindisi). Taranto mantenne lo status di città libera, ma dovette accogliere una guarnigione e mettere a disposizione di Roma gran parte della sua otta. Da quel momento, il nome Italia, che prima aveva designato il Bruzio (Calabria) e poi la Magna Grecia, venne progressivamente esteso all'intera penisola, ormai quasi tutta sotto il controllo di Roma: mancava solo il Settentrione. Il contatto con le città della Magna Grecia che usavano monete d'argento indusse Roma, che no ad allora aveva battuto monete in bronzo (assi), a coniare il denarius con quel metallo, allo scopo di favorire gli scambi commerciali. In un primo tempo si servi di zécche (of cine specializzate) campane, poi allesti la sua prima zécca presso il tempio di Giunone Moneta ("che dà consigli"); di qui il termine italiano "moneta". La conquista dell'Italia pose Roma di fronte alla necessità di controllare i territori as- soggettati, di regolamentare le popolazioni sottomesse, di ottenere il consenso delle aristocrazie locali per scongiurare il rischio di nuove rivolte e, non secondariamente, di distribuire terre da coltivare ai cittadini romani e latini. Per rispondere a tali esigenze furono individuate soluzioni diverse, essibili ed ef caci, che diedero origine a una nuova organizzazione statale, la cosiddetta "confederazione italica" Si creò una nuova forma di comunità cittadina, il municipium (il termine deriva da munera capere, ossia "godere di diritti e assumere oneri"), a cui fu concessa la cittadinanza senza diritto di voto (civitas sine suffragio). I suoi abitanti, iscritti in una delle tribù, godevano del diritto latino (ius Lati), ossia degli stessi diritti che erano stati riconosciuti ai Latini dopo lo scioglimento della Lega (338 a.C.): il diritto di matrimonio (ius conubit) e di commercio (ius commercii) con i Romani. Quanto ai doveri, erano tenuti a fornire truppe e a sostenere oneri in denaro o in natura. Ogni municipio aveva un se-nato, assemblee e magistrati propri, poteva adottare il diritto romano o continuare ad applicare le proprie norme giuridiche, ma a stabilire il grado di autonomia era sempre e soltanto Roma. Con il tempo, molti municipi vennero pienamente incorporati nello Stato romano attraverso la concessione del diritto di voto (ius suffragii). fi fi fi fi fl fi fi fi fi fl

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