DIRITTO ROMANO PDF
Document Details
Tags
Summary
Questo documento esplora l'argomento del diritto romano, concentrandosi sulla fondazione di Roma e sui suoi principi fondanti. Analizza la leggenda di Romolo e Remo e gli elementi che hanno contribuito alla formazione di Roma come società.
Full Transcript
DIRITTO ROMANO 1. Contesto e fondazione di Roma Il 21 aprile 753 a.C., sul colle Palatino, venne fondata Roma. Roma nasce dal principio politico-volontaristico di stare insieme e di integrarsi delle varie comunità che vivevano nell’area tiberina. Attenzione però a dire che esisteva una etnia ro...
DIRITTO ROMANO 1. Contesto e fondazione di Roma Il 21 aprile 753 a.C., sul colle Palatino, venne fondata Roma. Roma nasce dal principio politico-volontaristico di stare insieme e di integrarsi delle varie comunità che vivevano nell’area tiberina. Attenzione però a dire che esisteva una etnia romana, le comunità che si stanziarono nei pressi dell’isola tiberina che cominciarono ad ampliarsi sempre di più per via del centro economico che stava divenendo – collegando le comunità pastorali del nord con quelle portuali del sud – per via del commercio del SALE. Queste comunità composte da Latini, Etruschi, Equi ecc. decisero per tanto VOLONTARIAMENTE di unirsi in un’unica comunità, una città, Roma. Gli elementi fondativi di questa città si riassumono in un principio volontaristico, ovvero sia: Associatività = lavoriamo insieme, perseguiamo uno scopo comune. Volontarismo = vogliamo stare insieme, decidiamo deliberatamente di unirci. (iuris consensus) Unione linguistica = parlare la stessa lingua, sarà egemone quella latina. Vediamo che NON nasce una nazione o uno stato, ma vediamo etnie così variegate che nonostante le diversità decidono di unirsi. La fondazione di Roma nasce con l’intento di costruire un populus romanus, che non era in nessun modo vincolato da limiti etnici, sognando quindi di costruire un unico popolo con un comune diritto ed una società aperta. Un popolo che nonostante la complessità dei mores – significa “costumi” o “abitudini” sono delle regole non scritte della comunità che determina moralità ed etica – ha portato ad una assimilazione di tutte queste differenze, anche giuridiche ma adesso ci arriviamo. Consenso nel e del diritto e utilità comune. La Fondazione di Roma è la fondazione di un ordine politico-giuridico. 1.1 Romolo e Remo, la fondazione dell’urbs La famosa leggenda, di cui tutti abbiamo sentito parlare, viene comunque riportata in maniera leggermente diversa. Tito Livio, nella sua opera Ab Urbe Condita, narra il conflitto tra Romolo e Remo come parte del mito della fondazione di Roma. Dopo aver deciso di fondare una città insieme, i due fratelli si trovarono in disaccordo su chi dovesse darle il nome e governarla. Per risolvere la disputa, scelse di affidarsi agli auspici, osservando il volo degli uccelli come segno divino. Remo ne vide per primo sei, Romolo ne vide dodici. Ogni uccello avrebbe simboleggiato un secolo di longevità della città. Per tanto, fu Romolo a governare anche se – sempre riportato da Livio – ci sono state complicanze tra i fratelli ma non così gravi da arrivare alla morte. Il rito dell’aratro, vero e proprio rito fondativo della città, con il quale si delineava il perimetro dell’urbs, era un rito di origine etrusca. Il perimetro che venne scavato con questo aratro formava la cosiddetta “Roma quadrata” (la Roma Romulea), in quanto presumibilmente - a metà tra leggenda e realtà - aveva una forma quadrata. La fondazione del pomerium – letteralmente confine – della città rappresenta anche la sua sacralità dal punto di vista religioso al quale anche le famiglie dovevano mostrare rispetto. Infatti – Livio dice – fu Remo che violò questo sacro confine andando contro il fratello, il quale lo prese e lo uccise, affermando: “Così perirà chiunque oserà oltrepassare le mie mura” (Sic deinde, quicumque alius transiliet moenia mea). Si può interpretare l'uccisione di Remo da parte di Romolo come un simbolo dell'importanza del bene comune e dell'ordine sociale, anche a discapito dei legami familiari. Questo mito, come narrato da Tito Livio, riflette la tensione tra l'individuo e la collettività, nonché il valore supremo attribuito all'autorità e al rispetto delle regole condivise all'interno della comunità. Al momento della fondazione Livio dice che Romolo dà al popolo gli “Iuras”, quando descrive i primi momenti di cittadinanza. Romolo definì le strutture legali e sociali che trasformarono Roma da un semplice insediamento a una comunità organizzata, dotata di un sistema di leggi condivise e una chiara identità civica, dando la cittadinanza a rifugiati, esiliati ecc. Ma perché tutto questo? Perché studiare il diritto romano? Il diritto romano è un fortissimo strumento di critica per le strutture giuridiche moderne, ad oggi il diritto non vuole migliorare le cose, ma si insinua nella legalità a favore dei singoli. Per comprenderne il diritto dobbiamo levarci di testa concezioni moderne perché Roma integra, salvaguarda le specificità. Nazione (natio): implica una comunità di persone che si riconoscono nella stessa lingua, che ha gli stessi costumi, e che popola un determinato territorio. Questo spiega come il fondamento politico-giuridico è stato poi il seme che ha dato come risultato il frutto più longevo fino all’età moderna. Catone diceva: siamo stati creati generazione dopo generazione, non con l’apporto di uno, ma di tutto. La repubblica, Roma è una conquista della storia. Conflittualità e tensione sono sempre stati metabolizzati all’interno della forma politico-giuridica. Mentre nell’età moderna tendiamo a concentrarci sull’aspetto formale (il diritto come forma) piuttosto che quello attualizzato (principi e valori che non rispecchiamo la società). 1.2 Le critiche al diritto romano La titanica influenza storica e culturale di questo diritto ha portato nel corso della storia a diverse critiche, che vedevano in questo diritto un modello sbagliato di valori da trasmettere, in quanto considerati ingiusti, e vediamo tra questi: Karl Marx = nella sua critica al diritto romano in chiave liberista, andando contro la successione ereditaria, la proprietà privata e il lavoro salariato. Adolf Hitler = per via del fatto che voleva sostituire il diritto romano perché non è fatto dai Tedeschi e che serviva una legge Tedesca in Germania Hans Kelsen = normativismo giuridico, dove si percepisce il diritto romano come “contaminato” dalla politica, dalla religione e dalla società, per tanto non può considerarsi una scienza pura, quindi per lui bisognava creare un diritto rigido, fedele alla norma vigente, guarda al contenitore e non al contenuto. Ma dunque, come possiamo definire il diritto oggi e all’epoca? Concezione Kelsiana del diritto = esso è formale, astratto e statico. Il diritto odierno si considera rappresentato nella forma della norma giuridica, allora il diritto risulta tale solo nella sua rappresentazione formale validamente posta e non per il contenuto che le norme giuridiche hanno. Concezione Romana del diritto = è concreta, sostanziale e dinamica. Essa è basata dalla consuetudine che corrisponde al costume sociale, per tanto proviene dal basso. I romani erano abili conoscitori del diritto, dal momento in cui essi lo producevano, lo interpretavano e infine applicavano. 1.3 Come si è formato il diritto Romano? Possiamo dire che il periodo di formazione del diritto romano nel corso della storia, riceve diversi assestamenti e miglioramenti, l’inizio è nel 753 a.C. e termina con il Corpus Iuris Civilis nel 528 d.C. i punti cardine del diritto romano provengono dalla giurisprudenza – non è come la intendiamo oggi, è la dottrina dei giudici e i loro pareri come fonte del diritto – e anche dal diritto del pretore – anche detto ius onorarium – e la creazione del diritto è considerata dai Romani come un’arte ma non come la intendiamo noi, ma nel senso che l’uomo è artifex – artefice – che eleva il diritto a scienza, come studio della realtà. Come può Roma a rimanere per così tanto tempo in piedi – sapendo gestire le innumerevoli etnie con le rispettive tradizioni e culture – e ad essere così efficiente? Giustiniano scriveva: IURA et ARMA (con il diritto prima che con le armi). Giorgio La Pira, giurista, romanista e politico, dice che Roma conquistava sì con le armi, ma prima con il diritto mediante contratti, trattati ma anche mediante la volontaria sottomissione dei popoli vicini. C’è anche da portare alla luce, la volontà da parte dei Romani nel volere conservare le differenze tra le etnie, portando ulteriormente attenzione alle loro religioni (che venivano immesse nel Pantheon) e sia alle loro leggi (integrate mediante apposite istituzioni), di conseguenza notiamo questa “armonizzazione del diritto”, che non è uniformità ma si ha la consapevolezza della presenza di diversi modelli e si cerca di farli coesistere. A differenza del diritto moderno che appiattisce le differenze e sono saldamente ancorate ad una territorialità. Con l’editto di Caracalla nel 212 d.C. darà l’estensione della cittadinanza ad ogni cittadino dell’impero, cancellando addirittura la figura dello straniero. 2. Conflittualità nel diritto Ormai Roma è stata fondata, ma ora come si muove? Come opera? Brevemente, la Roma arcaica è la Roma monarchica dove il re non era assoluto ma era fiancheggiato da una aristocrazia, posta nel senato (erano consiglieri del re, era governata dai patrizi, famiglie nominate da Romolo stesso nel ruolo di senatori, carica chiusa ed ereditaria) e i comizi curiati (famiglie riunite in assemblee popolari al fine di ratificare leggi e scelte del re). Il re aveva dei cittadini, non dei sudditi. Il REX era considerato rappresentante della città in ambito civile, militare e religioso (augurium), considerato come “il primo tra i padri”. Con la caduta della Monarchia per colpa dei comportamenti di Tarquinio il Superbo, si dà avvio alla Repubblica Romana. Fermi però, nonostante la cacciata dei re (509 a.C.) e prima della repubblica vera è propria bisogna introdurre nel contesto un’importante faccenda: 2.1 Conflitto patrizio-plebeo Mentre i patrizi erano famiglie nobili, fondatrici e detentori del senato, i plebei invece erano quelle famiglie esiliate, venute dopo o comunque erano i lavoratori manuali che rappresentavano la larga fetta della popolazione è che hanno sofferto spesso di problemi di non rappresentanza. La storia di questo conflitto è la storia dello sviluppo della costituzione romana, dove il popolo non vedeva di buon occhio il passaggio dalla monarchia ad una aristocrazia, la quale era l’unica a detenere il “monopolio pontificale” e di fatto unici interpreti del diritto, civile e religioso. Lo scontro, portò ad un ammutinamento da parte della plebe che nel 494 a.C. si separò dalla città per fondare una loro città, in quello che verrà ricordato come “L’esodo di Monte Sacro” arrivando alla formazione di figure istituzionali chiamati Tribuni della plebe. Ma cosa chiedevano? Equiparazione giuridico-politica tra patrizi e plebei = riconosciuta fu l’inviolabilità del tribuno e l’organizzazione di un’assemblea plebea, i concili (plebisciti), come forza di indipendenza plebea, seguendo il principio di autonomia collettiva. Verrà accettata. Possedimento delle terre = la maggior parte di essere erano incolte, volevano avere e possedere le terre che lavoravano per qualcun altro. Sarà rifiutata. Matrimoni misti = tra patrizi e plebei, una lotta sociale che verrà rifiutata. Poveri ed oppressi avevano visto la loro condizione migliorare, ma come potevano avere garanzie, quando erano consoli e magistrati a conoscere le leggi? 2.2 Le XII Tavole 451-450 a.C. vengono pubblicate nel periodo di transizione tra monarchia e res pubblica, dove rimangono ancora in carica i consoli – magistrati supremi – e i pretori e giuristi (ogni carica veniva eletta dal popolo con un mandato di un anno) ed esse sono una “fotografia” del diritto reggente e sono la fonte del diritto pubblico e privato. Adesso le leggi sono pubblicate a tutti – anche se esse vanno a favore dei patrizi – e rappresentano un processo di pubblicizzazione del diritto ma anche di laicizzazione del diritto togliendo il monopolio dell’interpretatio pontificia. La funzione delle 12 tavole però non limitano i giuristi, il cui ruolo diventerà ricognitivo sempre conservando una matrice creativa, e noi ci chiediamo, che significa? Ricognitivo = mantenere fede ai “verba legis” – significa “parola delle legge” – dà certezza del diritto, dà limiti all’interpretazione, interpretazione letterale dalle 12 tavole, alla LEX. Creativo = il giurista deve fornire delle “responsa” – giudizi legali – che servivano a spiegare la norma ma anche nell’ adattarla al contesto sociale più appropriato. L’interpretatio – interpretazione delle leggi – chiariva il significato di una norma e la adottava a seconda delle circostanze, mantenendo fede ai valori dell’equità e della giustizia (talvolta poteva essere utilizzata anche a favore di un singolo) ed è estensione dello IUS. Giustamente, vi chiederete cos’è questo IUS, lo IUS non è altro che l’intero sistema normativo, giuridico e morale che regolava la società, non sono solamente leggi o regole scritte ma era anche l’idea di giustizia ed equità, fonte del diritto. Ad ogni modo, è giusto mettere in chiaro che prima delle 12 tavole le leggi venivano tramandate ORALMENTE e i pontefici ovviamente potevano plasmare il loro diritto a loro piacimento. Vediamo le funzioni creative della giurisprudenza che vanno a cercare una copertura nella legge, l’interpretazione trova ora legittimità. Questo evento ha poi ricevuto a distanza di anni determinate interpretazioni ed è stato anche soggetto a critiche e problematiche, in che senso si può sostenere che la Lex abbia dato impulso e in che misura all’interpretazione nel Ius? Rudolf von Jhering (1818-1892) = lui ci dice che le dodici tavole rappresentano un cambio radicale nella giurisprudenza, legislatori e giudici per portare avanti i loro interessi adattano l’interpretazione ad una copertura della legge. Fritz Schulz (1879-1957) = individua tre momenti all’interpretazione, la prima – è la interpretatio libera – la seconda – è più legata nel verba legis – la terza invece è meno formalistica. Feliciano Serrao (1922-2009) = interpreta il tutto sotto un’ottica prettamente politica, l’interpretazione sia libera – voluta dai plebei – che formulistica – voluta di patrizi – ed essa rappresenta il conflitto tra i due ‘ordini’ Romani. Rimane comunque da precisare che l’interpretatio non ha un’intenzione nel formare un nuovo diritto, il diritto si va a creare di pari passo con le esigenze e sulla volontà del popolo. Ad esempio i “Decemviri” erano dieci uomini incaricati di formare queste 12 tavole e che vennero destituiti in seguito alla loro non convergenza con le esigenze dei Romani. Vediamo ulteriori evoluzioni in questo periodo grazie a diverse altre importanti leggi come: Leggi Valerie Orazie del 499 a.C. = Rafforzavano ulteriormente l’inviolabilità del tribuno della plebe e si stabilisce la figura del CONSOLE, solo due persone potevano esserlo. Leggi Licinie Seste del 367 a.C. = Imponeva che uno dei due consoli dovesse essere necessariamente PLEBEO, da queste leggi arriviamo alla fine del conflitto tra i due ordini. Vediamo anche l’ingresso di una nuova forma di magistratura, che affiancherà i consoli nella gestione della giustizia, si chiama “pretore”. Il pretore era una carica che veniva eletta dal popolo e il suo mandato durava un anno, si eleggeva mediante un editto – ius pretorum uno strumento giuridico flessibile emanato da un magistrato – dove spiegava il suo programma. Il pretore è rivestito dallo IUS HONORARIUM, diritto che portava la sua carica a paralizzare lo ius civile, si coesiste con esso senza eliminarlo, nessuno impone dell’alto il diritto. La lex ha un ruolo residuale perché la legge scritta interviene solo per regolare ciò che non è già disciplinato dalle consuetudini e dalle pratiche sociali esistenti. 2.3 La tripertita di Sesto Elio La ‘tripartita’ di Sesto Elio è una importantissima opera che serve per far luce sul rapporto tra IUS e interpretatio ma anche per spiegare il rapporto tra la giurisprudenza e la lex. In essa vi erano tre istanze principali: Testo delle XII tavole = prima parte, ormai erano considerate come base del diritto civile, riconosciuta anche da Sesto Elio come base fondamentale. Interpretazione giuridica = la seconda parte era una interpretazione e commento delle leggi delle XII Tavole. Qui, Sesto Elio spiegava il significato delle singole norme, chiarendo ambiguità e offrendo delle spiegazioni che aiutavano i giuristi e i magistrati nell'applicazione delle leggi. Formule processuali (strumenti e azioni) = la terza parte fornisce le formule legali necessarie per avviare procedimenti giudiziari. Strumento pratico indispensabile per cittadini e giuristi che volevano far valere le loro azioni in giudizio. Notiamo che questa opera porta ad un passo avanti sulla chiarificazione del diritto e delle sue interpretazioni, questa opera è comunque importante perché si tenta di organizzare il diritto in modo accessibile e comprensibile, fungendo la funzione di strumento didattico e pratico per cittadini e giuristi ma specialmente, offre spunto e influenza altri giuristi nella produzione di vere e proprie opere giuridiche. Questa opera verrà poi definita come “culla del diritto”. 2.4 Moderno contro antico, adattabilità del diritto romano Notiamo che nel nostro ordinamento le nostre leggi, le nostre norme vengono dall’alto – c’è lo stato he legifera e controlla il rispetto delle leggi – mentre nell’ordinamento romano vediamo una pluralità dei diritti, degli IURA, che vengono integrati ed armonizzati e migliorati da pretori e dalla giurisprudenza, si nota la capacità del diritto romano a resistere ai continui cambiamenti sociali, politici ed economici. Il diritto romano è umano, non isola il diritto dalla morale, dalla politica e dalla religione. La dottrina pura del diritto diventa il fondamento del costituzionalismo rigido. La formalità della legge. 3. IUS CIVILE Ulpiano ci parla delle “partizioni” dello IUS e il primo tra essi è: Lo Ius civile = è il DIRITTO DEI CITTADINI ROMANI e non è creato dai giuristi. Lo ius civile è il più poderoso strumento di armonizzazione del diritto, tra le molteplici consuetudini/mores delle diverse comunità pre-fondatrici che diedero vita alla civiltà romana. Lo ius civile non è un diritto nazionale, ma è il diritto proprio della cittadinanza romana, che regola i rapporti tra gli uomini, in funzione di un eguagliamento nel diritto di una comune cittadinanza. Tutti i mores appartenenti alle comunità romane vengono affiancati, lasciando ai cittadini la scelta di usare il costume o l’istituto che prediligono. Questa cosa comporterà due effetti, il primo è che assistiamo ad una componente “democratica” del diritto in quanto, nasce dal basso e permette ad ogni mores di usare il diritto che più aggrada. Ma d’altra parte vediamo anche la complessità del diritto per via della quantità dei mores presenti. Qui di seguito porterò due esempi di ius civile, tuttavia non è corretto tradurlo come “diritto civile” in quanto in esso vi erano componenti del diritto pubblico, costituzionale, penale, processuale e civile. Numa Pompilio e la legge regia sull’omicidio = “se qualcuno dia la morte con dolo, ovvero con la volontà di darla, ad un uomo libero, sia questo parricida”. Parricida vuol dire che se ucciso un pater, questo comportava un potenziale scontro tra le gentes e per questo il re interviene, in quanto vuole eliminare a monte potenziali scontri. Ponendo così sullo stesso piano, eguagliando, l’omicidio di un qualsiasi uomo libero, con quello di un patres. Le unioni matrimoniali = la “conferratio” che rappresenta un momento giuridico- religioso tra due partner. Al contrario dell’usus il quale esprime un’idea di unione uomo-donna fondata sul senso profondo della convivenza, bisogna vivere insieme almeno un anno – dopo il quale scattano gli effetti tipici del matrimonio – ma l’atto può evitarsi da parte della donna dormendo tre notti fuori la casa familiare. 4. IUS GENTIUM E SOCIETAS VITAE La seconda partizione di Ulpiano è data dallo IUS GENTIUM. Lo Ius gentium = è il DIRITTO DELLE GENTI sarebbero degli schemi giuridici che i giuristi pensano siano comuni ad ogni popolo e non solo a quello romano – attenzione a non definirlo come un diritto internazionale, la cosa più vicina ad essa era lo ius speziale – e in essi vi rientrano anche i contratti. Era un diritto pratico e flessibile, creato per risolvere questioni legate ai rapporti internazionali, come il commercio, i contratti e le controversie tra Romani e stranieri. Gaio afferma che lo ius gentium è fondato sulla RATIO NATURALIS = ragione naturale. Lo ius gentium regolava aspetti fondamentali come il commercio internazionale, i contratti, il diritto di proprietà e le obbligazioni tra individui di diverse nazionalità. La sua applicazione permetteva agli stranieri di intrattenere rapporti giuridici con i Romani senza dover seguire le rigide formalità del ius civile in funzione economica e sociale. I contratti, nel sistema contrattuale romano il tutto nasce come necessità nel rapporto tra gli uomini, anche stranieri. 4.1 Diritto consuetudinario e contratti consensuali Il diritto consuetudinario è un insieme di norme non scritte, sono pratiche e consuetudini condivise dalla comunità del tempo, si estende come “diritto universale” nello ius gentium. Mentre, il contratto consensuale era una categoria di accordo, che si convalida con il CONSENSO DELLE PARTI, ma senza la necessità di una particolare formalità – “stipulatium” – e aveva a sua volta altri contratti, ma con calma. Però calma, ovviamente il contratto moderno a cui siamo abituati – è monolitico, offre un modello per facilitare gli scambi tra due o più parti basato su identificazione del contratto e del suo accordo – non è lo stesso al quale pensavano e adoperavano i romani, che si basava su una PLURALITA’ DI MODELLI. Giuseppe Grosso nel 1945 pubblica un corso di studi fondamentali per comprendere il sistema romano dei contratti, affermando che il sistema contrattuale romano è composto da una grande “tipicità” – intende dire i contratti erano rigidamente tipizzati, ovvero solo determinati tipi di contratti, definiti dalla legge, erano riconosciuti come validi. Ogni contratto doveva rientrare in una specifica categoria giuridica – e su questa particolarità hanno costruito un vincolo tra le parti in determinate forme (“conventio”). Di che forme si parla però? È meglio definirle come 4 modalità: RE (contratti reali) = contratti che si formano mediante trasferimento di materiale, è un contratto che si perfeziona alla consegna della cosa, come nella vendita. VERBIS (contratti verbali) = contratti verbali, si formano attraverso la parola, si richiede una stipulazione verbale, una dichiarazione di esplicita volontà spesso dettata da una formula. LITTERIS (contratti letterali) = contratti scritti, formalizzati in documenti scritti, è necessaria per la vendita o l’acquisto di beni immobili. CONSENSUS (contratti consensuali) = è il principio fondamentale in cui ogni contratto si forma tra il consenso delle parti, elemento essenziale di validità. Notiamo quindi che per le prime tre tipologie esiste una formalità di qualsiasi tipo dove il CONSENSO E’ NECESSARIO MA NON SUFFICIENTE, a differenza invece dei contratti consensuali, dove semplicemente l’accordarsi tra le parti porta AD UNA OBBLIGAZIONE NEL RISPETTO DELLE PARTI. C’è bisogno di un contratto commerciale, più veloce e meno formale, ecco che l’accordo diventava unica formalità, ora direte: “vabbè ma non c’era nessuna garanzia?” Beh per i romani la garanzia era dato dal principio della ex fide bona, questo concetto richiamava al fatto di doversi comportare lealmente fino alla conclusione del contratto, il legame è anche visto come responsabilità giuridica e morale, giusto per la società. Nel tempo autori che già abbiamo sentito, tornano a lasciarci commenti: Savigny = nel 1840 elabora un sistema di diritto privato basato su una visione “organica” dei rapporti giuridici – intende dire che il diritto si sviluppa e si crea dalle coscienze e non è un qualcosa di imposto, di non naturale che viene dall’alto – mentre scrive contro al diritto privato in Germania. Laband = riconosce l’obbligatorietà della codificazione del diritto perché molti dei rapporti privati si basano sulle “sedimentazioni” del diritto consuetudinario, ovvero che il diritto è nato dall'accumulo di norme e pratiche che, nel tempo, si sono integrate e modificate. Queste visioni però trascurano l’artificialità del diritto, ovvero quella pratica nella selezione delle pratiche e della loro codificazione. Il principio consensualistico è ancora vivo nel diritto moderno, dove il solo accordo è sufficiente alla stipulazione del contratto. Abbiamo esempi anche sulla common law inglese o nel diritto medievale. Quinto Mucio Scevola quando parla di questi contratti, descrive il consenso come “nudus” – nudo – perché non è previsto un “vestito” di formalità insito come per gli atri tre tipi di contratto. Ma udite udite, il contratto consensuale ha in sé altre QUATTRO TIPOLOGIE DI CONTRATTO: Emptio Venditio = la vendita, era il contratto di compravendita, si consolidava con l’accordo sul prezzo della merce, senza bisogno di pagamento immediato. Locatio Conductio = la locazione, riguarda la locazione di beni o servizi come affitti per beni immobili o mobili, bastava l’accordo tra le parti per consolidarlo. Societas = la società, riguarda la formazione di una società commerciale o di altro tipo, le parti si impegnavano nella cooperazione e nella condivisione di debiti e profitti. Mandatum = il mandato, contratto dove un mandante incaricava una persona di compiere un atto giuridico per suo conto, il consenso dipendeva dalle azioni concordate. Ma vi era in qualche maniera una figura di riferimento nell’applicazione o comunque nella gestione di tutte queste forme contrattuali? 4.2 Prassi commerciale e ius peregrina Per rispondere alla domanda di sopra, bisogna notare che il crescere della civitas ha portato anche a problemi a livello giuridico e commerciale, per tanto nel 242 a.C. venne istituito il “pretor peregrinus” un pretore che affiancava quello urbano ma che doveva esercitare la iurisdictio – esercitare la giustizia – tra romani e forestieri. Il pretore urbano non riesce più da solo a gestire tutte le situazioni e viene quindi creata questa nuova carica specializzata. Guardando indietro nella storia, notiamo però che non furono i romani i primi a ricorrere a queste forme contrattuali, derivate principalmente dalla società ellenistica, Gaio, ad esempio, ci riporta l’utilizzo di singrafi e chirografi (sintetizzando, paragonabili ai nostri scontrini, si vedeva mediante contratto debiti e obblighi da rispettare). In sostanza, i rapporti commerciali ora erano regolamentati da questa nuova carica, dove il solo “nudo” consenso era sufficiente per la tutela del contratto che poteva essere anche scritto, sotto stipulatio o in qualsiasi altra metodologia straniera, in conclusione il nudus consensus porta a: - Formazioni di obblighi senza formalità, diminuendola e rendendo più agibile il commercio - Promuovere una società che si basa sulla fiducia, lealtà e correttezza ponendo come principio universale la BONA FIDES. Con la lex Silla avvenuta nell’81 a.C. anche se non era il suo vero obiettivo, porterà ad una affermazione totale ed universale della bona fides, estesa a chiunque. 4.3 “Societas vitae” in Quinto Mucio Scevola Cicerone, nel De Officis, parlerà della bona fides di Scevola notando che questo principio va ad influenzare i rapporti dello ius gentium, ma anche quelli dello ius civile. Questa fonte ci arriva dal “DIGESTA” nel codice del corpus iuris civilis. Ma come può questo principio intaccare anche lo ius civile? Il filo che lega lo ius civile e ius gentium è il fatto che BISOGNA GARANTIRE LA PAROLA DATA IN PRINCIPIO DEL BENE COMUNE TRA LE PARTI. Il verbo “OPORTERE” che si affianca a questo principio esprime il vincolo obbligatorio tra debitore e creditore, ma cosa accade quando una persona non rispettava la parola data? Nella comunità romana si viveva per riflesso dell’individuo nei confronti della collettività, per tanto mancare la parola data porta ad una “estorsione” del diritto, e si doveva ricorrere alla figura di un pretore e di un giudice, accordato da entrambe le parti di scegliere un PRIVATO CITTADINO. Quinto Mucio Scevola dice: “Così come qualcosa si CONTRAE, allo stesso modo deve essere SCIOLTA e viceversa” questo arcaico principio, chiamato PRINCIPIO DELL’ATTO CONTRARIO è una corrispondenza tra la costituzione e lo scioglimento dell’atto. Vediamo allora come i contratti consensuali possono sciogliersi, sempre con il consenso tra le parti. Mentre per “Societas vitae” Scevola ci dice che rappresenta una "società di vita" basata su valori morali, che unisce gli individui in una relazione duratura e solidale. 5. IUS NATURALE L’ultima partizione dello ius per Ulpiano è lo IUS NATURALE Lo Ius naturale = è quello che la natura insegna a tutti gli esseri animati: infatti, questo diritto non è proprio del genere umano, ma di tutti gli esseri animati. Questa definizione è data da Ulpiano nel primo libro del digesto, la prospettiva Ulpianea sicuramente non è ANTROPOCENTRICA, il concetto di diritto naturale ha avuto molte interpretazioni, noi ora analizzeremo diverse fonti per capire le loro trasformazioni: 5.1 Prima fonte di Gaio 2° libro delle istituzioni “Non solamente le cose diventano nostre per consegna, si acquistano a noi secondo una ragione naturale (naturalis ratio), anche per occupazione […] quelle che erano di nessuno, come ogni animale che venga catturato in terra, in mare, in cielo.” In tutto questo, si intende che ogni cosa potenzialmente può diventare nostra affinché rimanga bloccata sotto la nostra custodia. Quando un animale vi si sottrae dalla nostra custodia, ritorna alla sua naturale libertà (libertas naturalis), questo accade quando l’animale fugge e non siamo in grado di riprenderlo, ma anche se quest’ultimo decide di non tornare più e perde l’istinto a tornare. Riacquistando il titolo di “Occupante”. Secondo questa logica ANCHE CIO’ CHE SI SOTTRAE AI NEMICI DIVENTA NOSTRO. Gaio riflette sulle RES – le cose – e sui modi di acquisti del dominio, dove una cosa che è di nessuno può potenzialmente essere di chiunque. Notiamo quindi tre cose secondo questa fonte: Lo stato di natura è mutabile = anche se un animale viene catturato, non perde la sua libertà, essa viene solamente compressa. Infatti quando parla di un animale che ritorna al suo stato naturale, definisce la libertà dell’animale come “riespansa”. Ma questo porta anche alla possibile cattura del suddetto da parti di altri dominus. Volontà dell’animale = gli animali abituati al ritorno, hanno una regola meno rigida, il loro dominus finisce quando perde l’animus – l’istinto – e non tornando riacquista libertà Si estende anche per gli uomini = la cattura di cosa e persone secondo la “naturalis ratio” quindi un prigioniero di guerra adotta lo status da schiavo che ha perso la sua libertà, ma anch’esso se riesce a scappare e tornare nella sua civitas torna ad essere libero. In definitiva secondo questa fonte, abbiamo una visione fortemente antropocentrica dove la libertà naturale è un istinto che si espande e si contrae continuamente. 5.2 Seconda fonte di Gaio, RES COTTIDIANE “Di alcune cose otteniamo il dominio in base al diritto delle genti, che è custodito in modo eguale per la ragione naturale tra tutti gli esseri umani, di altre in base al diritto civile, cioè in base al diritto proprio della nostra città. È poiché il diritto delle genti è il più antico, essendo nato con lo stesso genere umano, è nostra opera che prima riferiamo su questo.” Le res cottidianae sono delle opere differenti dalle istituzioni, quest’ultime scritte da Gaio sono pervenute nella loro integrità, mentre altre opere non sono rimaste integre, ma è grazie al corpus iuris civilis che ne pervengono diverse parti, questa fonte è stata ricostruita nel digesto. Ma come avveniva la ricostruzione di queste opere? Mediante RICOSTRUZIONE PALINGENETICA, si prendono parti dell’opera originale e le si ricostruiscono facendo in modo di dare una trattazione unitaria, cercando di rimanere fedele all’originale. Adesso passiamo all’analisi del testo sopra citato, osservandone i punti importanti: La naturalis ratio = Gaio precisa questo principio, quello che è di nessuno è possibile appropiarsene. Indifferenza del luogo di cattura = l’esercizio di caccia in territorio altrui può portare ad attriti tra cacciatore e proprietario, ma non impedisce al primo la cattura della preda, ma il proprietario può bloccarne l’accesso. Libertà esplicita dell’uomo = l’uomo, anche se schiavo, è sempre umano. Animali addomesticabili = ad essi, l’estinzione del dominio non vale poiché la loro importanza è vitale per la gestione del fondo agricolo per il pater familias, come asini, buoi o cavalli. La prospettiva in questa fonte non è direttamente ANTROPOCENTRICA. 5.3 Fonte di Giustiniano – LE ISTITUZIONI “Parimenti le cose che catturiamo ai nemici diventano immediatamente nostre in base al diritto delle genti. E ciò fino a tal punto, che anche gli esseri umani liberi sono dedotti in schiavitù, sebbene se ne riescano a sfuggire dal nostro potere ed a tornare di loro, riacquistano lo status originario (pristinus status).” Giustiniano ci presenta il problema della CATTURA DELLE PERSONE LIBERE, le prede di guerra. È da notare comunque che non si parla di una libertà originaria ma di uno STATUS ORIGINARIO che possono essere diversi (libero, liberto, schiavo, ecc.). L’uomo è differente dall’animale e il diritto è una costruzione per gli uomini. Ma come con gli animali, se riuscirà il nostro prigioniero di guerra a tornare nella sua civitas, tornerà libero. 5.4 Fonte di Ulpiano - INSTITUTIONES “Anche le manomissioni sono di diritto delle genti […] infatti finché qualcuno è in schiavitù è soggetto alla mano e alla potestà, ma una volta manomesso è liberato dalla potestà. Ciò ebbe origine nel diritto delle genti, in quanto in base al diritto naturale tutti nascono liberi, né era nota la manomissione, essendo sconosciuta la stessa schiavitù. Ma successivamente sorta la schiavitù nel diritto delle genti, venne ammesso anche il beneficio di manomissione. E quindi noi chiamiamoci con un solo nome ‘esseri umani’ (HOMNIES), nel diritto delle genti ebbero origine tre diversi generi: liberi, quelli contrari, gli schiavi, ed un terzo genere, i liberti, cioè coloro che smisero di essere schiavi.” Ulpiano arriva all’elaborazione più importante dello IUS NATURALE Ulpiano qui, non solo fa distinzioni tra le tipologie degli status degli uomini nello ius gentium, ma vi mette anche una importante considerazione, che nello ius naturale invece si nasce tutti liberi, universalmente per ogni essere animato. LA SCHIAVITU’ È UNA COSTRUZIONE DEGLI UOMINI – messa nello ius gentium perché comune a tutti i popoli – MA PER DIRITTO NATURALE GLI ESSERI UMANI NASCONO LIBERI. Chiamiamoci HOMNIES perché siamo tutti liberi alla nascita, è qualcosa di INNATO, in uomini e animali. Sono i costrutti umani nel diritto delle genti che favoriscono degli status sociali. Il diritto romano non negava la realtà delle cose ma pensava di darne delle soluzioni. Kelsen, il normativista supremo, afferma che al diritto non deve interessare nulla dell’essere umano tutto in vista della creazione di un “diritto puro”. Il diritto è solo un complesso di norme. Ai giorni nostri le “NON PERSONE” sono i non soggetti di diritto che possono anche NON essere umani, ma anche un essere umano può NON essere un soggetto di diritto. 6. Actio e ius Nel diritto romano, l'actio è il mezzo giuridico attraverso il quale un individuo può far valere un proprio diritto davanti a un giudice. L'actio rappresenta quindi uno strumento formale per ottenere giustizia e far rispettare obblighi, tutelare diritti o risolvere controversie. Savigny ci dice che: “l’azione è la forma stessa che prende il diritto dopo una sua lesione, diventando così ‘movimento’.” E in questo movimento dobbiamo prima riconoscere due concetti necessari: Diritto soggettivo = È il diritto inteso come potere che un individuo può far valere per soddisfare i propri interessi legittimi, eventualmente minacciati ma pur sempre riconosciuti dall’ordinamento giuridico (facultas). Diritto oggettivo = È il diritto inteso come sistema normativo, stabilito dalla legge o dalla consuetudine, che disciplina la società (IUS). Vabbè sì bello tutto ma quindi come agisco io, cittadino romano? Mediante l'agere – ovvero l'atto di agire in sede giuridica – rappresentava molto più di una semplice richiesta individuale, ma era una richiesta da parte dei cittadini di affermarsi e riconoscersi nella loro appartenenza dello IUS. L'actio è considerata un'istanza di giustizia perché traduce in azione la norma giuridica, trasformando la concezione astratta di giustizia in una realtà accessibile e operativa per chi cerca tutela in situazioni non tutelate, niente processo ma diritto. Questa concezione astratta romana comporta a pro e contro, i primi sono che vi è una istanza di giustizia e non si opera in un sistema chiuso, se non esiste un diritto soggettivo lo si crea e lo si applica: “Penso di avere un diritto, allora lo richiedo” anche se qua avviene il contro. Non è detto che questa tutela mi venga riconosciuta. Esempio: Per tanto lo IUS non è inteso come un diritto individuale e soggettivo, ma come una realtà collettiva e condivisa, un sistema di norme che tutti i cittadini erano chiamati a rispettare e di cui si percepiva la forza comune. L'azione giuridica, quindi, non aveva lo scopo di affermare diritti individuali, bensì di mostrare e confermare l'ordine stabilito per la comunità. In contrapposizione con la concezione materiale odierna dell’azione, dove la difesa è vista come tutela e difesa del diritto soggettivo, il suo pro è che ci sarà sicuramente, in un processo, una risposta alla circostanza, ma di contro: siamo in un sistema chiuso limitato nei diritti soggettivi, dove si perde l’istanza di giustizia. Togliamoci l’idea di moderna di sola protezione individuale confermata da un organo giuridico. Questa natura rituale e collettiva dello ius emerge chiaramente nei documenti dell'epoca, come nello Ius Civile Papirianum e nello Ius Flavianum, raccolte di norme che regolavano vari aspetti della vita pubblica e privata, rendendo accessibili ai cittadini le formule giuridiche corrette. L'actio non è semplicemente difesa del diritto soggettivo o strumento del diritto oggettivo, ma rappresenta lo ius stesso, che prende forma nell'azione. Secondo Satta:” l’azione non è solo diritto, ma il diritto che si manifesta”. Questo concetto ci risulta difficile perché vediamo il diritto come sistema statico, mentre nel diritto romano esso è fluido e dinamico. Vediamo comunque una evoluzione nella relazione tra actio e ius a Roma: Agere (Predecemvirale) = prima della codificazione delle XII Tavole, l'azione (agere) era già una componente fondamentale del sistema giuridico. Anche senza leggi scritte, agire significava esercitare concretamente il diritto, evidenziando una connessione tra azione e diritto che precede la formalizzazione legale del misfatto. Tripertita di Sestio Elio = evidenziava la relazione tra legge, interpretazione e azioni legali. Questi tre elementi erano percepiti come un insieme unitario, costituendo il ius civile. Agere (Postdecemvirale) = si basava sulla legis actio, ovvero l'azione legale basata sulla legge. La legge non era solo norma scritta, ma anche il fondamento per esercitare il diritto in pratica. Integrazioni delle azioni pretorie = l'intervento del pretore non aggiunge regole “esterne”, NON CREA DIRITTO, ma potenzia e adatta il ius civile, mantenendolo sempre attuale e pratico. 6.1 L’actio secondo Celso Dilemma, abbiamo due interpretazioni, analizziamole: Dal digesto di Celso = “Null’altro è l’azione che il diritto di perseguire in giudizio quanto riteniamo ci sia dovuto” Dalle istituzioni Giustinianee = “Null’altro è l’azione che il diritto di perseguire in giudizio a quanto ci è dovuto” Per quanto possa sembrare insignificante, i due ci danno due opposte visioni: Per Celso L' actio, consente di far valere i diritti in giudizio e rappresenta la partecipazione attiva del cittadino, mentre il ius dicere – pronunciare il diritto – appartiene al magistrato. Il suo sistema è aperto, accogliendo nuove situazioni che richiedono giustizia. Per Giustiniano con la sua codificazione del diritto romano, noto come il Corpus Iuris Civilis, consolida e sistematizza il diritto in norme rigide, riducendo la flessibilità del sistema. In questa visione, il magistrato cerca l'azione da applicare all'interno dei codici, limitando la creazione di nuove forme di diritto. La soggettività del magistrato continua a essere rilevante, ma il focus è sulla normativa codificata piuttosto che sulla partecipazione attiva dei cittadini.