Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo PDF

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Questo documento presenta una panoramica della storia della psicologia, dai suoi progenitori come Platone e Aristotele, ai concetti chiave di strutturalismo e funzionalismo. Vengono analizzati i concetti di mente e cervello e la loro relazione, proponendo diverse prospettive.

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Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effe...

Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 1 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo Indice 1. I PROGENITORI DELLA PSICOLOGIA...................................................................................................... 3 2. DAL CERVELLO ALLA MENTE................................................................................................................... 5 3. STRUTTURALISMO E FUNZIONALISMO..................................................................................................... 7 BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................... 9 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo 1. I progenitori della psicologia La psicologia può essere definita come lo studio scientifico della mente e del comportamento. Con il termine ‘mente’ ci si riferisce alla nostra personale esperienza interiore, all’incessante flusso di coscienza fatto di percezioni, pensieri, ricordi e sentimenti. Con il termine ‘comportamento’ si fa invece riferimento alle azioni osservabili degli esseri umani, alle cose che facciamo nel mondo, da soli o con altri. La psicologia è dunque il tentativo di usare il metodo scientifico per rispondere agli interrogativi fondamentali che riguardano la mente e il comportamento. Il desiderio di capire chi siamo non è certamente nuovo: le radici della psicologia moderna vanno infatti ricercate nella filosofia di duemila anni fa. I pensatori greci come Platone (428-347 a.C.) ed Aristotele (384-322 a.C.) furono tra i primi a confrontarsi con gli interrogativi fondamentali su come funziona la mente. Questi filosofi esaminarono la maggior parte delle questioni di cui gli psicologi continuano ad occuparsi anche oggi. Ad esempio, le capacità cognitive e le cognizioni sono innate o si acquisiscono con l’esperienza? Platone era un fervido sostenitore dell’innatismo, secondo cui certi tipi di conoscenza sono innati o connaturati. Per esempio, è noto che i bambini di tutte le culture acquisiscono la padronanza degli aspetti fondamentali della lingua molto precocemente, ben prima di ricevere alcuna istruzione formale: essi imparano che i suoni hanno dei significati e che possono essere combinati per formare delle parole, le quali a loro volta possono essere utilizzate per formare delle frasi. In effetti, queste evidenze sembrano indicare che la propensione all’apprendimento di una lingua è come l’hardware di un computer, ossia qualcosa che i bambini possiedono fin dalla nascita. Al contrario, Aristotele era un sostenitore dell’empirismo filosofico, secondo cui tutta la conoscenza si acquisisce mediante l’esperienza. Questo filosofo riteneva che la mente del bambino fosse come una tabula rasa (una lavagna vuota) su cui venivano scritte le esperienze. Secondo tale visione anche la capacità di apprendere una lingua dipende dall’esperienza del Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo bambino (per esempio, gli psicologi moderni hanno dimostrato che diversi fattori ambientali, tra i quali la presenza di fratelli o sorelle più grandi, possono favorire l’apprendimento linguistico dei bambini). Naturalmente, pochi psicologi moderni credono nella totale fondatezza dell’innatismo o dell’empirismo: tuttavia, la controversia relativa a quanta parte abbiano la ‘natura’ e la ‘cultura’ nello spiegare i comportamenti umani è ancora oggi aperta. Per certi versi, è sorprendente come questi filosofi antichi siano stati in grado di sollevare molte delle questioni fondamentali della psicologia ed offrire intuizioni eccellenti senza avere alcun accesso all’evidenza scientifica. Infatti, le idee di Platone e Aristotele provenivano da osservazioni personali, dall’intuizione e dalla riflessione. Per quanto essi fossero molto bravi ad argomentare gli uni contro gli altri, era impossibile giungere ad una risoluzione delle dispute teoriche in quanto il loro approccio non prevedeva alcun metodo empirico di verifica delle teorie. Oggi, tutti gli studiosi sono d’accordo sul fatto che la capacità di verificare una teoria sul piano empirico (osservativo) costituisce il fondamento dell’approccio scientifico nella psicologia moderna e la base per giungere a conclusioni affidabili. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo 2. Dal cervello alla mente Tutti concordiamo sul fatto che il cervello e il corpo sono oggetti fisici, mentre i contenuti della mente (le percezioni, i pensieri e le emozioni) non sono osservabili: l’esperienza interiore è perfettamente reale ma dove ha sede? Il filosofo francese Descartes (1596-1650) asseriva che corpo e mente sono cose fondamentalmente diverse: il corpo e il cervello sono fatti di una sostanza materiale, mentre la mente (o anima) è fatta di una sostanza incorporea (spirituale). Ma se la mente e il corpo sono fatti di sostanze diverse, in che modo interagiscono? Questo è l’annoso problema del dualismo – ovvero, il problema di come l’attività mentale possa trovare accordo e coordinazione con il comportamento fisico: come fa la mente a dire al corpo di muovere un piede? Descartes sosteneva che la mente influenza il corpo attraverso una piccola struttura cerebrale, nota come ghiandola pineale. Al contrario, il filosofo inglese Hobbes (1588-1679) asseriva che mente e corpo non sono affatto cose diverse: piuttosto, la mente è ciò che il cervello fa. Anche il medico francese Gall (1758-1828) pensava che cervello e mente fossero collegati. Egli esaminò i cervelli di persone morte e concluse che l’abilità mentale spesso aumentava con l’aumentare delle dimensioni cerebrali, mentre diminuiva se il cervello era danneggiato (questo aspetto dei suoi studi fu ampiamente accettato). Tuttavia, Gall andò molto oltre le evidenze sperimentali e propose una teoria nota come frenologia, secondo cui specifiche abilità e caratteristiche mentali sono localizzate in specifiche aree del cervello. In effetti, l’idea della specializzazione cerebrale si dimostrò corretta. La frenologia, però, spinse questa ipotesi fino a conseguenze estreme ed irragionevoli. Ad esempio, Gall sosteneva che la dimensione delle protuberanze o delle rientranze del cranio rifletteva la dimensione delle aree cerebrali sottostanti e che toccandole si poteva stabilire se una persona era amichevole, prudente, assertiva e così via. La frenologia si basava su prove aneddotiche e osservazioni casuali, e ciò portò al suo rapido abbandono. Tuttavia, altri scienziati cominciarono a collegare mente e cervello in maniera più convincente. Il chirurgo Paul Broca (1825-1880), in particolare, esaminò un paziente che aveva Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo subito una lesione in una piccola area dell’emisfero sinistro del cervello: egli era del tutto incapace di parlare, anche se capiva perfettamente quello che gli veniva detto ed era in grado di comunicare attraverso i gesti. Broca concluse che il danno di quella particolare area cerebrale intaccava una funzione mentale specifica, il linguaggio espressivo: ciò ebbe un’importanza fondamentale in quanto dimostrava in modo inconfutabile che mente e cervello sono strettamente collegati, in un’epoca in cui molti seguivano ancora le idee di Descartes. Contemporaneamente, la psicologia beneficiò del lavoro di alcuni scienziati tedeschi specializzati nella fisiologia, una disciplina che studia i processi biologici che avvengono nel corpo umano. Tra questi, il contributo più importante fu probabilmente quello di Hermann von Helmholtz (1821-1894), il quale adatto allo studio degli esseri umani un metodo per misurare la velocità degli impulsi nervosi nella zampa delle rane. Egli addestrò i partecipanti a reagire quando veniva somministrato uno stimolo in diverse parti della gamba e trovò che il tempo di reazione ad uno stimolo somministrato all’alluce era più lento del tempo di reazione ad uno stimolo somministrato alla coscia: così facendo, riuscì a misurare il tempo che occorreva ad un impulso nervoso per giungere al cervello. All’epoca, la maggior parte degli scienziati ritenevano che i processi neurologici sottostanti agli eventi mentali dovessero essere istantanei per rendere il comportamento così perfettamente sincronizzato: Helmholtz dimostrò per la prima volta che questo assunto non era vero. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo 3. Strutturalismo e Funzionalismo Nel 1879, un assistente di Helmholtz, Wilhelm Wundt (1832-1920) aprì il primo laboratorio di psicologia all’Università di Lipsia: secondo gli storici, questo avvenimento segnò la nascita ufficiale della psicologia come campo di studi indipendente. Wundt era convinto che la psicologia dovesse occuparsi dell’analisi della coscienza, intesa come l’esperienza soggettiva che una persona ha del mondo. Per fare ciò, egli adottò un approccio detto strutturalismo, che prevedeva l’analisi degli elementi di base che costituiscono la mente. Come i chimici tentavano di comprendere la struttura della materia scomponendo le sostanze naturali nei loro elementi di base, così l’approccio di Wundt consisteva nello scomporre la coscienza in sensazioni ed emozioni elementari. Il metodo da utilizzare a tale scopo era quello dell’introspezione, che implicava l’osservazione soggettiva della propria esperienza personale. In un tipico esperimento dell’epoca, si presentava agli osservatori uno stimolo (quasi sempre un colore o un suono) e si chiedeva loro di riferire le proprie introspezioni, focalizzandosi sulle esperienze sensoriali ‘nude e crude’ (senza fornire interpretazione soggettive). Utilizzando questa tecnica, Edward Titchener (1867-1927) si concentrò sull’identificazione degli elementi di base della coscienza. Egli addestrò i suoi studenti a fornire descrizioni dettagliate delle proprie immagini e sensazioni soggettive. Come risultato, nel suo manuale (intitolato Aspetti essenziali della psicologia, 1896), elencò più di 44000 qualità elementari dell’esperienza cosciente, per la maggior parte visive o uditive. Nonostante gli sforzi di Titchener, l’interesse per lo strutturalismo diminuì molto rapidamente, fino ad essere completamente abbandonato. La causa di questo fallimento era da ricercare soprattutto nella eccessiva soggettività del metodo introspettivo. Anche osservatori ben addestrati fornivano resoconti contraddittori riguardo alle loro esperienze coscienti, rendendo praticamente impossibile a psicologi diversi concordare sugli elementi di base della coscienza. A molti studiosi era ormai chiaro che la psicologia, in quanto scienza, richiedeva osservazioni replicabili e che l’introspezione non poteva soddisfare tale requisito. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo William James (1842-1910) concordava con Wundt e Titchener sulla necessità di concentrarsi sull’esperienza immediata, ma, a loro differenza, riteneva che la coscienza non potesse essere scomposta in elementi separati. Egli riteneva che cercare di isolare e analizzare un momento particolare della coscienza distorcesse la natura essenziale della coscienza stessa, la quale era più simile ad un flusso incessante che a un complesso di sensazioni distinte. Queste idee portarono James a sviluppare un approccio completamente diverso noto come funzionalismo, ossia lo studio dello scopo a cui adempiono i processi mentali nel permettere alle persone di adattarsi al proprio ambiente. Il funzionalismo si ispirava al principio della selezione naturale proposto da Darwin nel celeberrimo libro L’origine della specie (1859). Secondo questo principio, le caratteristiche di un organismo utili alla sua sopravvivenza e riproduzione hanno maggiori probabilità, rispetto ad altre caratteristiche, di essere trasmesse alle generazioni successive. Analogamente, James riteneva che le capacità mentali si erano evolute in quanto adattive: esse aiutavano gli esseri umani a risolvere problemi e aumentavano le loro probabilità di sopravvivenza. Pertanto, il compito degli psicologi consisteva nel capire quali fossero le funzioni biologiche e adattive della coscienza. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia I: dai progenitori al Funzionalismo Bibliografia Schacter, D. L., Gilbert, D. T., & Wegner, D. M. (2014). Psicologia generale. Bologna: Zanichelli. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia I: Empirismo e misurazione Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 1 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia I: Empirismo e misurazione Indice 1. EMPIRISMO E DOGMATISMO.................................................................................................................. 3 2. LA MISURAZIONE..................................................................................................................................... 5 3. VALIDITÀ, AFFIDABILITÀ E SENSIBILITÀ................................................................................................... 7 BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................... 9 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia I: Empirismo e misurazione 1. Empirismo e Dogmatismo Nell’antica Grecia, una persona che manifestava una malattia poteva scegliere di affidarsi a due tipi di dottori, che seguivano due scuole di pensiero molto diverse: i dogmatisti [da dogmatikos: «che segue le credenze»], i quali pensavano che il modo migliore per comprendere la malattia fosse quello di sviluppare teorie sulle funzioni dell’organismo; e gli empiristi [da empeirikos: «che segue le esperienze»], i quali pensavano che il modo migliore per comprendere la malattia consistesse nell’osservare le persone malate. Con il passare del tempo, l’empirismo si rivelò un metodo molto più valido ed efficace per curare le persone, per cui il dogmatismo venne abbandonato. Oggi, con il termine ‘dogmatismo’ ci si riferisce in genere a persone che aderiscono a delle convinzioni prestabilite, anche quando esse sono in netto contrasto con l’evidenza empirica. D’altra parte, il termine ‘empirismo’ viene comunemente utilizzato per descrivere la convinzione che una conoscenza accurata del mondo richieda un’attenta osservazione. Il ruolo dell’empirismo, e quindi dell’osservazione, nello sviluppo della conoscenza può sembrare ovvio agli occhi di una persona del XX secolo: tuttavia, occorre ricordare che, per millenni, le persone si sono affidate alle credenze dettate dalle autorità (ad esempio, dalla Chiesa) per rispondere ai quesiti fondamentali sul mondo. In effetti, il passaggio dal dogmatismo all’empirismo ha gettato le fondamenta della scienza moderna. Purtroppo, l’empirismo non è affatto infallibile: per molti secoli gli uomini hanno creduto che la terra fosse piatta, in quanto si affidavano a ciò che potevano percepire coi loro occhi. Essenzialmente, gli esseri umani non sono in grado di percepire la realtà così come essa è: se guardate fuori non vedrete mai un buco nero, un atomo, un germe, o la vera forma del pianeta su cui abitate. La conseguenza di questo discorso è semplice: l’empirismo rappresenta un approccio proficuo; tuttavia, per utilizzarlo c’è bisogno di un metodo, ovvero un insieme di regole e tecniche per l’osservazione che consentono agli osservatori di evitare le illusioni, gli errori e le conclusioni erronee che la semplice osservazione può produrre. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia I: Empirismo e misurazione In molte scienze, con il termine metodo si fa spesso riferimento alle apparecchiature e alle tecnologie che consentono di vedere ciò che è invisibile ad occhio nudo: così, il biologo utilizza il microscopio per indagare la struttura delle cellule. D’altro canto, il comportamento umano è relativamente facile da osservare e ciò potrebbe indurre a ritenere che i metodi della psicologia debbano essere alquanto semplici. In realtà, questa convinzione è sbagliata, in quanto le sfide empiriche che essa deve affrontare sono di fatto enormi. In particolare, tre fattori rendono il comportamento delle persone difficile da studiare: la complessità: il cervello è probabilmente l’oggetto più complesso dell’universo conosciuto; gli scienziati possono descrivere nei minimi dettagli la struttura delle galassie o l’interazione tra protoni e neutroni in un atomo, ma sono appena in grado di dire in che modo le milioni di interconnessioni neurali presenti nel nostro cervello danno luogo a pensieri, emozioni, sentimenti e azioni. la variabilità: gli oggetti studiati dalla fisica o dalla medicina sono relativamente costanti; ad esempio, due batteri di Eschericia Coli sono, sotto tutti gli aspetti, molto simili tra loro; al contrario, le persone presentano una estrema variabilità, un fattore che in psicologia viene spesso indicato con il termine “differenze individuali” (raramente due persone dicono o fanno la stessa cosa nelle medesime circostanze). la reattività: gli atomi e le galassie si comportano sempre allo stesso modo, indipendentemente da chi li osserva; al contrario, le persone spesso tendono a comportarsi in modo diverso dal solito quando sanno di essere oggetto di studio. Dunque, i metodi sviluppati dagli psicologi devono essere in gradi di affrontare i problemi dovuti al fatto che gli esseri umani sono estremamente complessi, variabili e reattivi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia I: Empirismo e misurazione 2. La misurazione Per molti secoli, gli esseri umani non hanno avuto a disposizione strumenti che consentissero loro di tenere traccia del tempo, del peso, del volume, o della densità. Oggi, invece, viviamo in un mondo di righelli, calendari, termometri e orologi: di fatto, la misurazione è la base della vita moderna e il fondamento della scienza. Tutte queste misurazioni hanno due cose in comune. Per misurare l’intensità di un terremoto o la distanza tra due molecole, dobbiamo: in primo luogo, definire la proprietà che si vuole misurare; in secondo luogo, trovare un modo per rilevare tale proprietà. Spesso utilizziamo parole come peso, velocità o lunghezza senza renderci conto che ciascuno di questi termini ha una definizione operativa, la quale corrisponde alla descrizione di una proprietà in termini misurabili. Forse sarete sorpresi nell’apprendere che la definizione operativa di lunghezza è «il cambiamento della posizione della luce nel corso del tempo», ovvero il tempo che un fotone impiega per spostarsi da una estremità all’altra di un oggetto. In altre parole, quando diciamo che un oggetto è lungo un metro, stiamo misurando il tempo impiegato da una particella di fotone per percorrere l’intero oggetto (maggiore è il tempo, maggiore sarà la lunghezza). Dunque, le definizioni operative specificano gli eventi concreti che costituiscono la proprietà che si vuole misurare. Stabilita una definizione operativa, occorre trovare un modo per rilevare gli eventi concreti che la definizione stessa descrive. A questo scopo, dobbiamo usare uno strumento di misura, ossia un dispositivo in grado di rilevare gli eventi (ovvero, le modificazioni fisiche) ai quali si riferisce la definizione operativa. Per la lunghezza, potremmo usare un rilevatore di fotoni e un orologio: successivamente, una volta stabilito di quanto si sposta un fotone in un determinato lasso di tempo, possiamo semplificare la misurazione e segnare la distanza su una sbarra di platino-iridio che chiameremo ‘metro’ (in effetti, tale sbarra è conservata nell'Archivio internazionale dei pesi e delle misure di Sèvre, presso Parigi). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia I: Empirismo e misurazione È importante ribadire che i dispositivi di misurazione rilevano gli eventi concreti descritti dalle definizioni operative. Così, un metro corrisponde alla distanza percorsa dalla luce nel vuoto in un intervallo di tempo pari a 1/299 792 458 di secondo. Tuttavia, gli strumenti di misurazione non individuano la proprietà in sé stessa. Concetti come forma, colore e lunghezza devono essere intese come idee astratte che non possono mai essere misurate direttamente. Definire e rilevare sono i due compiti che consentono di misurare anche le proprietà psicologiche. Ad esempio, se volessimo definire il concetto di “felicità”, dovremmo prima sviluppare una definizione operativa di quella proprietà, che specifichi gli eventi concreti che devono essere misurati. In pratica, potremmo definire la felicità come una serie di contrazioni muscolari che fanno assumere al volto la tipica espressione di una persona che sorride ed utilizzare un elettromiografo (uno strumento che misura la contrazione muscolare) per misurarle. Ma è questo il modo giusto di misurare la felicità? In generale, vi sono molti modi diversi di definire la stessa proprietà e molti modi per rilevare gli eventi concreti corrispondenti: così, potremmo definire la felicità tramite l’autovalutazione dei soggetti. Ovviamente, alcune misure sono migliori (cioè, più valide) di altre e, come vedremo nel prossimo paragrafo, il compito dello psicologo è esattamente quello di costruire misure valide. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia I: Empirismo e misurazione 3. Validità, affidabilità e sensibilità Per validità si intende la caratteristica di una osservazione che consente di trarre da essa inferenze accurate. Come abbiamo visto, le misurazioni consistono di due compiti: definire la proprietà e rilevare gli eventi concreti ad essa corrispondenti. Dunque, una misura può mancare di validità per due motivi diversi: perché la definizione operativa non definisce la proprietà in maniera adeguata; o perché lo strumento di misura non rileva in maniera accurata gli eventi specificati dalla definizione operativa. Per quanto riguarda il primo punto, una definizione operativa deve avere validità di costrutto: con questo termine si intende la tendenza di una definizione operativa e di una proprietà concreta a condividere significato. Ad esempio, la ricchezza può essere lecitamente definita come la quantità di denaro posseduta da una persona, in quanto è sensato ritenere che l’oggetto concreto denaro sia correlato al concetto astratto di ricchezza. D’altra parte, non avrebbe senso definire la ricchezza come il numero di mentine che una persona riesce ad ingoiare in un colpo solo, in quanto evidentemente questa abilità non ha nulla a che fare con il costrutto astratto di ricchezza. Oltre alla validità di costrutto, una definizione operativa deve avere validità predittiva: con questo termine, si intende la tendenza di una definizione operativa ad essere collegata ad altre definizioni operative della stessa proprietà. Per esempio, se definiamo la felicità come la frequenza con cui una persona sorride durante un determinato periodo di tempo, allora questa misura dovrà essere correlata a quanto la persona riferisce di essere felice in un questionario di autovalutazione. In altre parole, la conoscenza delle condizioni specificate da una definizione (la quantità di volte con cui la persona ha sorriso) dovrebbe permettere di predire le condizioni specificate da un’altra definizione (il fatto che la persona affermi di essere felice in un questionario). Per quanto riguarda il secondo punto, una misura può mancare di validità in quanto lo strumento di misura non rileva in maniera accurata gli eventi specificati dalla definizione operativa. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia I: Empirismo e misurazione Con il termine “affidabilità” (o attendibilità) ci si riferisce alla tendenza di uno strumento di misura a produrre lo stesso risultato ogniqualvolta venga utilizzato per misurare la stessa cosa. Così, ad esempio, se usiamo un metro per misurare un tavolo in due occasioni diverse ad una certa distanza di tempo l’una dall’altra, ci dovremmo aspettare di trovare sempre lo stesso valore; se i valori sono diversi, allora il metro manca di affidabilità: ovvero, lo strumento individua differenze che non esistono nella realtà. Oltre all’affidabilità, una seconda caratteristica che un buon strumento di misura deve possedere è la sensibilità: ovvero, la tendenza dello strumento a produrre risultati diversi quando viene utilizzato per misurare cose diverse. In altre parole, se usiamo un metro per misurare due tavoli di diversa lunghezza, ci aspettiamo di trovare valori diversi; se trovassimo che i valori sono uguali, allora dovremmo concludere che il metro manca di sensibilità, in quanto non è in grado di rilevare differenze che esistono nella realtà. In sintesi, uno strumento di misura è affidabile e sensibile se individua le condizioni specificate dalla definizione operativa: (a) quando esse hanno luogo - ovvero quando si verificano; e (b) solo quando esse hanno luogo – ovvero non le rileva quando effettivamente non si verificano. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia I: Empirismo e misurazione Bibliografia Schacter, D. L., Gilbert, D. T., & Wegner, D. M. (2014). Psicologia generale. Bologna: Zanichelli. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 1 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive Indice 1. IL COMPORTAMENTISMO........................................................................................................................ 3 2. IL COGNITIVISMO.................................................................................................................................... 6 3. LE NEUROSCIENZE COGNITIVE............................................................................................................... 8 BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................. 10 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive 1. Il Comportamentismo Le scuole di pensiero psicologico sorte tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX secolo (lo strutturalismo, il funzionalismo, la psicologia della Gestalt e la psicologia umanistica) avevano l’obiettivo comune di studiare il funzionamento della mente, esaminandone i contenuti coscienti o cercando di far affiorare ricordi inconsci. Tuttavia, con il procedere del XX secolo, alcuni psicologi cominciarono a mettere in discussione l’idea che la psicologia dovesse concentrare l’indagine sulla vita mentale e svilupparono un nuovo approccio, noto come comportamentismo: con esso si affermava che gli psicologi dovevano limitarsi allo studio scientifico del comportamento oggettivamente osservabile. B. Watson (1878-1958) conosceva bene la tradizione funzionalista, ma riteneva che l’esperienza mentale avesse un carattere troppo vago e soggettivo per essere presa ad oggetto di indagine scientifica. Egli era convinto che la scienza richiedesse misurazioni oggettive e replicabili di fenomeni accessibili a tutti gli osservatori, e che l’introspezione, essendo un metodo altamente soggettivo, non fornisse garanzie sufficienti in tal senso. Perciò, sostenne che, anziché descrivere le sensazioni coscienti, gli psicologi dovevano dedicarsi allo studio del comportamento, in quanto esso può essere osservato da tutti e misurato oggettivamente. Secondo Watson, lo scopo della psicologia doveva essere quello di prevedere e controllare il comportamento umano in modo tale che la società ne traesse beneficio. Watson fu molto influenzato dagli esperimenti condotti da fisiologo russo I. Pavlov (1849- 1936). Questo studioso aveva sviluppato un procedimento semplice ma ingegnoso, in cui ogni volta che dava da mangiare a dei cani faceva sentire loro un suono; dopo un po’ di volte in cui i due stimoli (cibo e suono) venivano presentati insieme, i cani salivavano al solo sentire il suono. In questi esperimenti, il suono fungeva da stimolo (un input sensoriale proveniente dall’ambiente esterno) che influenzava la risposta di salivazione dei cani, la quale costituiva la risposta (un’azione o una modificazione fisiologica evocata da uno stimolo). Watson e i comportamentisti fecero di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive questi due concetti gli elementi costitutivi delle loro teorie e ciò spiega il motivo per cui il comportamentismo venga spesso definito come la psicologia dello ‘stimolo-risposta’ (o ‘S-R’). Negli esperimenti di condizionamento classico di Pavlov gli animali erano dei partecipanti passivi, che ascoltavano suoni e producevano risposte di salivazione. B. F. Skinner (1904-1990) notò invece che, nel loro ambiente naturale, gli animali sono attivi e agiscono per trovare cibo, riparo e per accoppiarsi; di conseguenza, egli si chiese se potesse individuare dei principi comportamentali in grado di spiegare come gli animali imparavano ad agire in quelle situazioni. A tale scopo, Skinner costruì un’apparecchiatura che in seguito divenne nota a tutti come ‘gabbia di Skinner’. La gabbia era piuttosto semplice, in quanto era dotata di una leva e un vassoio in cui poteva essere fatto cadere del cibo. All’inizio, quando il ratto era messo nella gabbia per la prima volta, il suo comportamento era del tutto casuale (annusava ed esplorava la gabbia); tuttavia, dopo aver premuto la barra per caso e aver ottenuto il rilascio di cibo nel vassoio, la frequenza di pressione della leva aumentava notevolmente e rimaneva alta fino a quando l’animale non era sazio. Per Skinner, il comportamento del ratto era una dimostrazione di quello che egli chiamava principio del rinforzo: ovvero, le conseguenze di un comportamento determinano se esso avrà maggiori o minori probabilità di essere prodotto in futuro. Il nuovo approccio di Skinner al comportamentismo ebbe un notevole successo, tanto che egli iniziò ad applicare le sue idee sul ruolo del rinforzo per contribuire a migliorare la qualità della vita quotidiana (ad esempio, per migliorare l’apprendimento in bambini di quarta elementare). Tuttavia, in una serie di libri controversi (Oltre la libertà e la dignità e Walden II), l’autore propose la visione di una società utopistica in cui il comportamento umano era rigidamente controllato dalla scrupolosa applicazione del principio del rinforzo. Egli credeva che il nostro senso soggettivo di libera volontà non era altro che un illusione e propose che gli esseri umani rispondono in base a schemi di rinforzo passati. In altre parole, nel presente facciamo cose che sono state premiate in passato, e la nostra sensazione di ‘scegliere’ di farle è soltanto un’illusione. Non sorprende che queste affermazioni suscitarono forti proteste: secondo molti, Skinner intendeva rinunciare ad uno Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive degli attributi più caratteristici del genere umano (il libero arbitrio) e auspicava una società repressiva che manipolasse il comportamento delle persone per i propri scopi. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive 2. Il Cognitivismo Il comportamentismo dominò la psicologia americana dagli anni Trenta agli anni Cinquanta del Novecento: la mente era considerata come una ‘scatola oscura’ che non poteva essere studiata e la natura dei processi mentali fu quasi completamente ignorata. Questo stato di cose fu sostanzialmente modificato dall’avvento dei computer, i quali potevano essere considerati come sistemi di elaborazione delle informazioni. Analogamente, alcuni psicologi cominciarono a pensare ai processi mentali come a un flusso di informazioni che percorre la mente e che quindi poteva essere studiato e analizzato scientificamente. Questo rinnovato interesse diede vita ad un nuovo approccio, detto psicologia cognitiva, che è lo studio scientifico dei processi mentali, come la percezione, la memoria e il ragionamento. Tra i pionieri del cognitivismo vi fu certamente Sir F. Bartlett (1886-1969), uno psicologo britannico che studiò analiticamente gli errori commessi dai soggetti nel tentativo di rievocare delle storie e si accorse che spesso essi ricordavano ciò che sarebbe dovuto accadere o ciò che si aspettavano accadesse, anziché ciò che era effettivamente accaduto. Questi errori indussero Bartlett a proporre che la memoria non è una riproduzione fotografica dell’esperienza passata: i nostri tentativi di ricordare sono fortemente influenzati dalle nostre conoscenze, convinzioni, speranze, aspirazioni e desideri (un’intuizione ritenuta valida ancora oggi). In maniera simile, lo psicologo svizzero J. Piaget (1896-1980) studiò gli errori percettivi e cognitivi dei bambini nel tentativo di comprendere lo sviluppo della mente umana. In uno dei suoi esperimenti, Piaget presentò ad alcuni bambini due mucchietti di creta di uguali dimensioni: poi, ridusse uno dei due mucchietti in pezzi più piccoli e chiese ai bambini di indicare quale mucchietto contenesse più creta. Egli scoprì che i bambini di tre anni indicavano come più grande il mucchietto ridotto in molte parti, mentre i bambini di 6-7 anni non commettevano questo errore. Piaget concluse che ai bambini di 3 anni manca una capacità cognitiva che consente a quelli più grandi di rendersi conto che la massa di un oggetto rimane costante anche quando viene suddivisa. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive L’importanza della psicologia cognitiva aumentò notevolmente durante la Seconda Guerra Mondiale, quando i militari fecero ricorso alla psicologia per capire quale fosse il modo migliore per far apprendere ai soldati l’uso di nuove tecnologie come il radar e per minimizzare i loro errori. D. Broadbent (1926-1993) fu il primo ad osservare che i piloti non riuscivano ad occuparsi allo stesso tempo di molti strumenti diversi e dovevano spostare la loro attenzione dall’uno all’altro. Egli dimostrò in maniera convincente che la limitata capacità di gestire il flusso di informazioni in entrata è una caratteristica fondamentale della cognizione umana. Questa idea fu confermata dagli studi condotti più o meno nello stesso periodo da G. Miller (1920-2012), il quale rivelò tutti i limiti della capacità di elaborazione umana: infatti, i soggetti potevano mantenere in memoria per breve tempo soltanto sette (più o meno 2) elementi di informazione. Altri studiosi, come Newell (1927-1997) e Simon (1916-2001), notarono che la mente umana e i computer hanno molte somiglianze, in quanto entrambi registrano, memorizzano e recuperano informazioni, e cominciarono a chiedersi se il computer non potesse essere considerato come modello della mente umana. Questi psicologi proposero che la mente poteva essere paragonata al software di un computer e cominciarono a scrivere programmi per computer per vedere se questi software riuscivano ad imitare il linguaggio e il comportamento umano. Nel complesso, questi sviluppi aprirono la strada ad una esplosione di studi cognitivi durante gli anni Sessanta e Settanta del XX secolo, i quali furono descritti da U. Neisser (1928-2012) in un testo di fondamentale importanza, intitolato ‘Psicologia cognitiva’. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive 3. Le neuroscienze cognitive Se da un lato gli psicologi cognitivisti studiavano il software della mente, dall’altra parte non avevano molto da dire sull’hardware del cervello. Eppure, come gli scienziati informatici sanno bene, il rapporto tra hardware e software ha una importanza fondamentale. Le attività mentali ci sembrano così naturali e spontanee che spesso non ci rendiamo conto che esse dipendono da operazioni molto complesse eseguite dal cervello. L’intima relazione tra mente e cervello era già in parte stata dimostrata dagli studi di Broca, il quale aveva evidenziato come persino i processi cognitivi più semplici dipendono dall’integrità del cervello: all’inizio del XX secolo molti psicologi erano interessati a comprendere il legame tra mente e cervello. In questo clima, K. Lashley (1890-1958) sviluppò una procedura in cui addestrava i ratti a percorrere un labirinto, rimuoveva alcune parti del loro cervello e in seguito misurava la loro capacità di percorrere il labirinto una seconda volta. Lashley voleva scoprire il punto esatto del cervello in cui si verifica l’apprendimento: i risultati furono negativi, in quanto egli trovò solo una correlazione positiva tra l’ampiezza dell’area cerebrale rimossa e le difficoltà del ratto nell’apprendere il labirinto; tuttavia, i suoi sforzi diedero impulso ad un’area di ricerca che in seguito fu chiamata psicologia fisiologica. Oggi, questa disciplina si è evoluta nelle neuroscienze comportamentali, un settore di studio che collega i processi psicologici alle attività del sistema nervoso e ad altri processi organici. I neuroscienziati comportamentali osservano le risposte degli animali mentre sono impegnati a svolgere compiti appositamente studiati: essi registrano le risposte elettriche o chimiche del cervello durante l’esecuzione del compito oppure rimuovono parti specifiche del cervello per verificare come ciò alteri l’esecuzione del compito. Negli esseri umani la chirurgia cerebrale sperimentale non era ovviamente praticabile: la conseguenza fu che, per molti anni, gli studiosi dovettero limitarsi ad esaminare casi di incidenti o di malattie che implicavano dei danni in particolari regioni del cervello. Se questi danni Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive compromettevano una capacità cognitiva, allora gli psicologi ne deducevano che quella regione era coinvolta nel produrre il processo cognitivo in questione. Ad esempio, la storia del paziente amnesico H.M. fornì agli scienziati importanti indizi sul ruolo dell’ippocampo nei processi di memorizzazione (Scoville & Milner, 1957). Tuttavia, alla fine degli anni Ottanta del Novecento, l’avvento delle tecniche di scansione cerebrale non invasive cambiò nuovamente il quadro della situazione, in quanto consentì agli psicologi di osservare ciò che accade nel cervello quando una persona legge, immagina o ricorda. Di fatto, la neurovisualizzazione è oggi diventata uno strumento indispensabile per osservare il cervello in azione e vedere quali parti sono coinvolte in determinate operazioni, e le neuroscienze cognitive costituiscono un campo di ricerca in rapida crescita che tenta di comprendere i legami tra processi cognitivi e attività cerebrale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia III: dal Comportamentismo alle Neuroscienze Cognitive Bibliografia Schacter, D. L., Gilbert, D. T., & Wegner, D. M. (2014). Psicologia generale. Bologna: Zanichelli. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 10 Pietro Spataro - Storia della Psicologia II: dalla Gestalt alla Psicologia umanistica Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 1 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia II: dalla Gestalt alla Psicologia umanistica Indice 1. LA PSICOLOGIA DELLA GESTALT............................................................................................................ 3 2. I DISTURBI MENTALI E LA PERSONALITÀ MULTIPLA................................................................................. 5 3. LA PSICOANALISI E LA PSICOLOGIA UMANISTICA.............................................................................. 7 BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................... 9 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia II: dalla Gestalt alla Psicologia umanistica 1. La Psicologia della Gestalt All’incirca nello stesso periodo in Wundt e James sviluppavano lo strutturalismo e il funzionalismo, altri psicologi si resero conto che le illusioni e i disturbi di personalità potevano servire a chiarire il funzionamento psicologico. Gli esseri umani sono molto sensibili alle illusioni, ovvero agli errori di percezione, di memoria o di giudizio in cui l’esperienza soggettiva differisce dalla realtà oggettiva. Per esempio, nell’illusione di Mueller-Lyer (Figura 1), la linea in alto sembra più lunga della linea in basso, nonostante esse abbiano la medesima lunghezza. Questo accade in quanto le linee oblique alle due estremità influenzano la nostra percezione delle linee orizzontali. Figura 1. L’illusione di Mueller-Lyer. Analogamente, Max Wertheimer (1880-1943) condusse un esperimento in cui mostrava ai partecipanti due luci che lampeggiavano velocemente su uno schermo, una dopo l’altra. Quando l’intervallo di tempo tra le luci era abbastanza lungo, le persone vedevano due luci che lampeggiavano alternativamente. Tuttavia, quando l’intervallo tra le due luci fu ridotto a 20 millisecondi, i partecipanti percepivano un’unica luce che si muoveva avanti e indietro. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia II: dalla Gestalt alla Psicologia umanistica Wertheimer concluse che simili illusioni non possono essere spiegate tramite gli elementi separati che le causano (le due luci); Il lampo di luce mobile viene infatti percepito come un tutt’uno, anziché come la somma delle parti; Questa intuizione portò allo sviluppo della Psicologia della Gestalt, un approccio psicologico che evidenzia come l’intero sia più della semplice somma delle parti e come gli esseri umani spesso tendano a percepire l’intero piuttosto che la somma delle parti. In altre parole, gli psicologi della Gestalt assumono che la mente imponga una organizzazione a ciò che percepisce: questo è il motivo per cui i soggetti non vedono ciò che effettivamente lo sperimentatore mostra loro (due luci distinte), ma vedono piuttosto gli elementi come un insieme unificato (un’unica luce che si muove in maniera continua). Si può facilmente comprendere come le tesi degli psicologi della Gestalt fossero diametralmente opposte a quelle degli strutturalisti, secondo cui l’esperienza cosciente doveva essere analizzata attraverso un processo di scomposizione in elementi separati. Studiosi come K. Koffka (1886-1941) e W. Kohler (1887-1967) svilupparono ulteriormente la teoria e aggiunsero nuove dimostrazioni ed illusioni che confermavano la propensione della mente umana a percepire l’intero piuttosto che la somma delle parti. Il risultato di questo lavoro fu la formulazione di una serie di regole di organizzazione percettiva valide ancora oggi. Così, ad esempio, il principio della chiusura afferma che contorni interrotti da spazi vuoti sono percepiti come appartenenti ad oggetti completi, mentre il principio della vicinanza sostiene che oggetti che si trovano vicini tendono ad essere raggruppati insieme. Oggi la psicologia della Gestalt non esiste più come scuola di pensiero indipendente: tuttavia, le sue tesi hanno influenzato in maniera profonda tutti gli studi percettivi successivi; in particolare, l’idea secondo cui la mente imponga struttura e organizzazione alla realtà è divenuta uno dei principi fondamentali della psicologia moderna. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia II: dalla Gestalt alla Psicologia umanistica 2. I disturbi mentali e la personalità multipla Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX secolo, alcuni psicologi si resero conto che lo studio dei comportamenti bizzarri di pazienti con disturbi psicologici poteva essere di aiuto nel comprendere il normale funzionamento della mente. Tali studiosi furono particolarmente attratti dai pazienti con disturbo dissociativo dell’identità, una patologia che implica la presenza di due o più identità distinte all’interno dello stesso individuo. Uno dei primi casi di dissociazione fu descritto nel 1876: si trattava di una donna, Felida X, normalmente timida e tranquilla, che talvolta diventava all’improvviso molto più spavalda ed estroversa; poi, senza preavviso e altrettanto improvvisamente, la donna tornava al suo stato abituale di timidezza. L’elemento peculiare della sua patologia era che la Felida timida non ricordava nulla di ciò che aveva fatto la Felida esuberante: la barriera tra i due stati era talmente forte che la Felida timida dimenticò di essere rimasta incinta durante uno dei suoi momenti di eccessiva espansività. I medici francesi J.-M. Charcot (1825-1893) e P. Janet (1859-1947) riportarono osservazioni analoghe su pazienti affetti da una patologia nota come isteria, la quale implicava una temporanea perdita delle funzioni cognitive o motorie, di solito in seguito a esperienze emotivamente sconvolgenti. I pazienti diventavano ciechi, paralizzati o perdevano la memoria, anche se non vi era alcuna causa fisica evidente dietro ai loro problemi. I sintomi scomparivano quando essi venivano sottoposti ad ipnosi (uno stato alterato della coscienza caratterizzato da elevata suggestionabilità); tuttavia, una volta usciti dallo stato di trance ipnotica, i pazienti dimenticavano quello che era accaduto e ricominciavano a mostrare i loro sintomi. Questi singolari disturbi furono completamente ignorati da Wundt e colleghi, i quali non li consideravano oggetto d’indagine appropriato per la psicologia scientifica. Al contrario, James riteneva che essi svelassero l’operare di un importante errore mentale, il quale poteva essere sfruttato per comprendere il normale funzionamento della mente. In condizioni normali, ciascuna persona è consapevoli di un unico ‘io’ o ‘sé’; tuttavia, i pazienti isterici dimostravano in maniera Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia II: dalla Gestalt alla Psicologia umanistica molto chiara che il cervello può creare molti ‘sé’ consci, ognuno inconsapevole dell’esistenza degli altri. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia II: dalla Gestalt alla Psicologia umanistica 3. La Psicoanalisi e la Psicologia Umanistica I sintomi mostrati dai pazienti affetti da disturbo dissociativo della personalità colpirono l’attenzione di un medico viennese, S. Freud (1856-1939), il quale aveva lavorato alla clinica parigina di Charcot. Egli cominciò a studiare per conto suo alcuni pazienti isterici e sviluppò delle teorie per spiegare i loro bizzarri sintomi che ebbero un impatto duraturo nel campo della psicologia clinica. In sostanza, Freud ipotizzava che molti dei problemi mostrati dai pazienti isterici potevano essere ricondotti a esperienze infantili dolorose che la persona non riusciva a ricordare, e si convinse che il potente influsso di questi ricordi apparentemente perduti rivelava la presenza di una mente inconscia. Secondo Freud, l’inconscio è la parte della mente che opera al di fuori della consapevolezza conscia ma che influenza azioni, pensieri e sentimenti consci. Questa idea, rivoluzionaria per l’epoca, portò Freud a sviluppare la teoria psicoanalitica, un approccio che sottolinea l’importanza dei processi mentali inconsci nel plasmare sentimenti, pensieri e comportamenti. Secondo la prospettiva psicoanalitica, è fondamentale svelare le prime esperienze di un individuo e fare luce sulle ansie, i conflitti e i desideri inconsci. La teoria psicoanalitica costituì la base di una terapia che Freud chiamò psicoanalisi, la quale si proponeva di far emergere il materiale inconscio alla consapevolezza cosciente. All’inizio del XX secolo, queste idee furono sviluppate, e in parte modificate, da altri studiosi, quali C. G. Jung (1875-1961) e A. Adler (1870-1937). Nonostante questi sforzi, la teoria psicoanalitica diventò ben presto molto controversa, soprattutto in America. Ciò era dovuto al fatto che Freud e colleghi sostenevano che per comprendere pensieri, emozioni e comportamenti di una persona fosse necessaria un’esplorazione approfondita delle sue prime esperienze sessuali e dei suoi desideri sessuali inconsci, argomenti che all’epoca erano considerati troppo scabrosi per il dibattito scientifico. In effetti, dopo un periodo iniziale di ampia diffusione, l’impatto e l’interesse per la psicoanalisi si ridussero notevolmente. Il motivo principale era che Freud aveva una visione Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia II: dalla Gestalt alla Psicologia umanistica pessimistica della natura umana, che ne poneva in risalto limiti e problemi anziché possibilità e potenzialità. Le persone erano considerate come ostaggi di esperienze infantili dimenticate e di impulsi sessuali primitivi. Questa visione piuttosto cupa non si adattava molto bene al clima americano del dopoguerra, che era invece positivo, pieno di energia ed ottimismo: la povertà e la malattia furono notevolmente ridotte dallo sviluppo della tecnologia e il tenore di vita dell’americano medio stava rapidamente aumentando. L’epoca era quindi caratterizzata dalle realizzazioni, e non dalle debolezze della mente umana, e il punto di vista freudiano non era più al passo con i tempi. Fu proprio in questo periodo che gli psicologi A. Maslow (1908-1970) e C. Rogers (1902-1987) svilupparono la psicologia umanistica, un approccio alla comprensione della natura umana che pone in risalto il potenziale positivo degli esseri umani. Questi psicologi concentrarono la loro attenzione sulle aspirazioni più elevate delle persone, le quali erano considerati come liberi agenti dotati di un bisogno innato di svilupparsi, crescere e realizzarsi. In linea con questa visione, l’obiettivo primario dei terapeuti umanistici era quello di aiutare le persone a realizzare il loro pieno potenziale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 9 Pietro Spataro - Storia della Psicologia II: dalla Gestalt alla Psicologia umanistica Bibliografia Schacter, D. L., Gilbert, D. T., & Wegner, D. M. (2014). Psicologia generale. Bologna: Zanichelli. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 9 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 1 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni Indice 1. POPOLAZIONI, CAMPIONI E LEGGI DEI GRANDI NUMERI................................................................... 3 2. DISTRIBUZIONI DI FREQUENZA................................................................................................................. 5 3. DISTORSIONI SISTEMATICHE.................................................................................................................... 8 BIBLIOGRAFIA................................................................................................................................................. 11 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 2 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni 1. Popolazioni, campioni e leggi dei grandi numeri Per millenni, i filosofi si sono avvalsi delle proprie osservazioni relative ai comportamenti di singole persone per trarre conclusioni generali sulla natura della mente umana. In effetti, a volte gli individui fanno cose degne di nota che meritano di essere studiate con attenzione; a tale scopo, gli psicologi moderni ricorrono allo studio di casi singoli, inteso come un metodo per acquisire conoscenze scientifiche studiando un singolo individuo. Come abbiamo visto in precedenza, l’esame delle persone con capacità inconsuete, con esperienze non comuni o con deficit insoliti hanno spesso premesso agli psicologi di avere una migliore comprensione dei meccanismi di funzionamento della mente umana (in particolare dei meccanismi cerebrali alla base dei processi cognitivi). Nonostante la sua indubbia utilità, lo studio di singole persone con abilità straordinarie rappresenta l’eccezione alla regola: in genere, gli psicologi osservano persone comuni e cercano di spiegare perché esse pensano, sentono e agiscono in un certo modo. In questo caso, gli psicologi osservano di norma molte persone e cercano di spiegare la media delle osservazioni (piuttosto che il singolo caso individuale). Questa semplice operazione che consiste nel fare la media di molte osservazioni rappresenta uno dei più potenti strumenti metodologici a disposizione dello psicologo. In termini statistici, una popolazione è l’insieme completo degli oggetti o degli eventi che potrebbero essere teoricamente misurati. Un campione è invece l’insieme parziale, o sottoinsieme, di oggetti ed eventi che viene effettivamente misurato. Così, se un ricercatore volesse sapere quanto sono mediamente felici le persone in Florida, la popolazione sarebbe l’insieme dei 15 milioni di persone che abitano in Florida. È chiaro che se un eventuale questionario per misurare la felicità venisse somministrato ad un campione molto piccolo di abitanti della Florida (ad esempio, 10 persone), la media potrebbe essere poco rappresentativa della media dell’intera popolazione. In effetti, la legge dei grandi numeri afferma che con l’aumentare delle dimensioni di un campione aumenta anche la fedeltà con cui gli attributi del campione riflettono gli attributi della Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 3 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni popolazione dalla quale esso è tratto. In pratica, questo significa che se somministriamo il questionario per misurare la felicità a 10000 abitanti della Florida, possiamo essere ragionevolmente sicuri che la media delle nostre osservazioni (ovvero la media del campione) costituirà un’ottima approssimazione alla felicità media di tutti gli abitanti della Florida (ovvero alla media della popolazione). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 4 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni 2. Distribuzioni di frequenza Come discusso nel paragrafo precedente, l’attenzione del ricercatore è spesso focalizzata sulla media della prestazione dei soggetti appartenenti al campione: ciò è ovviamente giustificato, in quanto essa può fornire informazioni molto utili sulla media della popolazione. Tuttavia, un problema inerente all’uso della media campionaria consiste nel fatto che essa spesso non rispecchia il comportamento dei singoli individui. Così, se uno psicologo afferma che le donne hanno migliori capacità motorie rispetto ai maschi (oppure che i maschi hanno migliori abilità spaziali rispetto alle donne), è evidente che le sue affermazioni non possono essere valide per tutti gli individui delle due popolazioni. Ciò che lo psicologo intende dire è che, se si misurano le abilità motorie di un vasto campione di donne e uomini, la media delle misure delle donne sarà attendibilmente più alta della media delle misure dei maschi. Naturalmente, ciò non esclude che possano esserci delle donne che hanno una prestazione inferiore alla media o degli uomini che hanno una prestazione superiore alla media. Figura 1. L’illusione di Mueller-Lyer. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 5 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni In generale, gli psicologi fanno sempre riferimento a distribuzioni di frequenza, ossia distribuzioni in cui viene rappresentato il numero di volte che ciascuna misura è stata osservata nel campione. Come illustrato nella Figura 1, sull’asse orizzontale di una distribuzione di frequenza vengono riportati tutti i valori della variabile misurata (nel caso della Figura 1, si tratta delle altezze di uomini e donne), mentre sull’asse verticale viene riportato il numero di volte (o frequenza) con cui ciascun valore è stato osservato nel campione. In psicologia, la distribuzione più nota è senza dubbio la distribuzione normale, in cui le misure sono per la maggior parte concentrate attorno alla media e diminuiscono verso le due estremità. Le distribuzioni normali, come quelle osservabili nella Figura 1, sono simmetriche (la metà sinistra è speculare alla metà destra), hanno un picco nel mezzo e vanno scemando alle estremità. Le distribuzioni di frequenza raffigurano tutte le misure ottenute in un campione: pertanto, esse forniscono un quadro esauriente e completo del campione stesso. D’altra parte, l’inconveniente è che si tratta di un metodo terribilmente scomodo per comunicare i risultati di un esperimento (o di un test): questo è il motivo per cui, in molti casi, gli psicologi si avvalgono di alcuni indici sintetici di più facile comprensione, chiamati statistiche descrittive: si tratta di misure riassuntive che colgono le informazioni essenziali di una distribuzione di frequenza. Le statistiche descrittive possono essere di due tipi. Le misure di tendenza centrale riguardano i valori delle misure che si trovano vicino al centro della distribuzione. Tra queste, le più importanti sono: la moda: ovvero, il valore della misura con la più alta frequenza; la media: ovvero, il valore medio di tutte le misure; e la mediana: ovvero il valore che divide la distribuzione in due parti uguali (in altri termini, il valore al di sotto del quale cade il 50% dei soggetti del campione). Un secondo tipo di statistiche descrittive sono le cosiddette misure di variabilità, le quali riguardano il grado in cui le misure di una distribuzione di frequenza differiscono le une dalle altre. Una misura molto semplice dal punto di vista matematico è il campo o intervallo di variazione, rappresentato dall’intervallo tra il valore più alto e il valore più basso della distribuzione. Altre Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 6 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni misure, quali la varianza o la deviazione standard sono matematicamente più complesse, in quanto si basano sul calcolo degli scarti dei singoli punteggi dalla media campionaria. Come è possibile dedurre dalla Figura 1, le misure di tendenza centrale e di variabilità determinano congiuntamente le conclusioni che è possibile trarre dai dati. Così, le misure di tendenza centrale possono suggerire che in media le donne hanno capacità motorie migliori degli uomini; tuttavia, entrambe le distribuzioni presenteranno una notevole variabilità, il che significa che molti uomini avranno punteggi uguali o addirittura più alti rispetto alle donne. Quindi, bisogna sempre ricordare che ciò che è vero in media riguardo alle persone non è sempre vero nel singolo caso. Ciò è una conseguenza inevitabile del fatto che le persone differiscono tra loro in molti modi, per cui non vi è quasi niente che sia vero per ognuna di esse e in tutte le occasioni. I metodi sviluppati dagli psicologi consentono di tenere in considerazione la variabilità individuale ed eventualmente di andare oltre, per scoprire gli eventuali pattern di similarità. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 7 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni 3. Distorsioni sistematiche Come accennato in una lezione precedente, gli esseri umani sono reattivi: ciò implica che essi tendono a comportarsi diversamente dal normale quando sanno di essere sotto i riflettori dell’attenzione altrui. Questa caratteristica rende lo studio di soggetti umani particolarmente difficile, in quanto lo psicologo tenta di capire come davvero le persone si comportano, mentre queste spesso si comportano come pensano di doversi comportare. In psicologia, questo problema è noto come caratteristiche della domanda (o effetti dell’aspettativa): con questo termine sono indicati quegli aspetti di un setting sperimentale che inducono le persone a comportarsi così come esse pensano che l’osservatore desideri o si aspetti che esse si comportino. Le caratteristiche della domanda ostacolano i tentativi degli psicologi di misurare il comportamento così come esso si manifesta spontaneamente, per cui essi hanno sviluppato svariati metodi per evitare questo problema. Un primo approccio consiste nell’evitare che le persone sappiano di essere osservate. L’osservazione naturalistica è, per l’appunto, la tecnica che consiste nell’osservare le persone nei loro ambienti naturali senza farsi notare. I biologi utilizzano questo metodo in maniera estesa per studiare gli animali. In ambito psicologico, l’osservazione naturalistica ha consentito, tra le altre cose, di stabilire che i gruppi più numerosi tendono a lasciare le mance più basse nei ristoranti (Freeman et al., 1975) o che gli uomini di solito non approcciano la donna più bella in un bar per single (Glenwick et al., 1978). Un secondo metodo deriva dalla nozione che gli effetti dell’aspettativa diminuiscono quando le persone non possono essere identificate come autrici delle loro azioni. Gli psicologi hanno sfruttato questo fatto consentendo ai partecipanti di fornire risposte in forma privata (per esempio, permettendo loro di completare i questionari quando sono da sole) o anonima (non richiedendo ai soggetti di indicare le proprie generalità). Infine, una terza tecnica adottata dagli psicologi consiste nel misurare comportamenti o reazioni involontarie; ad esempio, essi possono dedurre che una persona è eccitata in quanto questo stato emotivo induce una dilatazione misurabile delle pupille: eventi Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 8 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni fisiologici come questi possono essere difficilmente influenzati dalle caratteristiche della domanda, in quanto non sono sotto il controllo cosciente (volontario). Tutti questi espedienti sono certamente utili. Tuttavia, il modo migliore di risolvere il problema delle caratteristiche della domanda consiste nell’evitare di comunicare ai partecipanti il vero scopo dell’osservazione (o dell’esperimento). Il ragionamento è molto semplice: se i soggetti non conoscono le aspettative del ricercatore, non possono darsi da fare per esaudirle. Il difetto di questo metodo è che le persone sono naturalmente curiose e, anche quando il ricercatore non comunica loro lo scopo dell’esperimento, cercano di scoprirlo da sole: questo è il motivo principale per il quale spesso gli psicologi usano storie di copertura (ovvero, spiegazioni fuorvianti il cui scopo è impedire ai partecipanti di comprendere il vero obiettivo dello studio). Finora è stato trattato il caso in cui le aspettative influenzano il comportamento dei partecipanti alla ricerca; tuttavia, lo stesso problema può essere ugualmente riferito anche a coloro che conducono la ricerca. Sperimentatori, osservatori e codificatori sono essere umani e, come tali, tendono a vedere ciò che si aspettano di vedere. Il ruolo delle aspettative fu dimostrato in un esperimento classico di Rosenthal & Fode (1963) in cui degli studenti dovevano misurare la velocità con cui un ratto apprendeva a percorrere un labirinto. Ad alcuni studenti fu detto che i loro ratti erano stati selezionati per essere molto ‘svegli’ (ovvero molto intelligenti e veloci ad apprendere), mentre ad altri studenti fu detto che i loro ratti erano stati selezionati per essere molto ‘ottusi’ (ovvero poco intelligenti e lenti ad apprendere). In realtà, i due gruppi di ratti appartenevano allo stesso ceppo. Nonostante ciò, Rosenthal e Fode (1963) dimostrarono che gli studenti che pensavano di avere ratti ‘ottusi’ riportarono tempi di apprendimento superiori rispetto agli studenti che pensavano di avere ratti ‘svegli’: in altre parole, i ratti sembravano fare ciò che gli studenti si aspettavano che facessero. Vi sono almeno due modi in cui le aspettative possono influenzare le osservazioni. In primo luogo, le aspettative possono influenzare le osservazioni: ciò significa che essere possono determinare il tipo e la direzione degli errori di misura commessi dagli osservatori. Per esempio, mettere una zampa sopra la linea del traguardo potrebbe contare come ‘imparare il labirinto’ per Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 9 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni un osservatore che valuta i ratti ‘svegli’, mentre potrebbe essere scartato come una risposta non valida dall’osservatore che valuta i ratti ‘ottusi’. In secondo luogo, le aspettative possono influenzare la realtà: così, gli studenti che pensavano di avere a che fare con i ratti ‘svegli’ potrebbero aver agito inconsapevolmente in modo tale da favorire l’apprendimento, per esempio mostrandosi più affettuosi rispetto agli studenti che pensavano di avere ratti ‘ottusi’. Per evitare gli effetti dovuti alle aspettative degli osservatori, gli psicologi utilizzano una tecnica nota come ‘osservazione in doppio cieco’: si tratta di un’osservazione il cui vero scopo resta celato sia all’osservatore sia al partecipante. Così, per esempio, se agli studenti esaminati da Rosenthal e Fode (1963) non fosse stato detto quali ratti erano intelligenti e quali ottusi, essi non avrebbero modo di distorcere le osservazioni in un senso o nell’altro. In effetti, nella psicologia sperimentale le misurazioni (e la codifica dei dati) vengono quasi sempre eseguite da assistenti del tutto ignari riguardo allo scopo dell’esperimento; in questo modo, essi non possono fare ipotesi su ciò che ci si aspetta che un partecipante faccia o dica. Questi assistenti vengono informati sulla natura dello studio solo alla fine della fase di raccolta dei dati. Inoltre, la maggior parte degli esperimenti moderni sono effettuati attraverso il computer, il quale presenta le informazioni e misura le risposte in maniera neutra (priva di aspettative). Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 10 di 11 Pietro Spataro - I metodi della psicologia II: Campioni, distribuzioni e distorsioni Bibliografia Schacter, D. L., Gilbert, D. T., & Wegner, D. M. (2014). Psicologia generale. Bologna: Zanichelli. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633). 11 di 11

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