Fisiologia - 1° Parziale - PDF
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Questi appunti forniscono un'introduzione alla fisiologia, spiegando che cosa è e quali sono i suoi diversi livelli di organizzazione nel corpo umano. Vengono descritti concetti come la differenziazione cellulare, i tessuti, gli organi, gli apparati e i sistemi, e come questi lavorano insieme mantenendo l'omeostasi. Gli appunti includono anche un'introduzione al concetto di omeostasi e a come il corpo umano reagisce a variazioni esterne ed interne per mantenere la salute.
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Fisiologia Che cos’è la fisiologia? Il termine fisiologia deriva dal greco antico è una parola composta da phisis che vuol dire “natura”, “origine” e logia che significa “studio di”, quindi la fisiologia non è altro che lo studio della natura. Fondamentalmente la fisiologia (come c’è scritto nelle s...
Fisiologia Che cos’è la fisiologia? Il termine fisiologia deriva dal greco antico è una parola composta da phisis che vuol dire “natura”, “origine” e logia che significa “studio di”, quindi la fisiologia non è altro che lo studio della natura. Fondamentalmente la fisiologia (come c’è scritto nelle slide) è lo studio dei processi fisici e chimici che avvengono negli organismi affinché possano svolgere tutte le funzioni e le attività associate alla vita. Che cosa vuol dire? Vuol dire associate alla vita nel senso che permettano di vivere e che permettano di vivere anche in buona salute perché anche una condizione di non buona salute può essere associata alla vita (competenza del campo della patologia) Quindi la fisiologia può essere studiata a diversi livelli: a livello molecolare, a livello cellulare, fino a livello dell’intero organismo. Questo è importante perché noi vedremo fondamentalmente come funziona una cellula per andare a vedere come funziona tutto l’organismo, noi andiamo a vedere come funziona una fibrocellula nel muscolo scheletrico e una volta che capiamo come funziona quella, capiamo come funziona tutto il muscolo e così via. Quindi studiare le cellule ci permette di capire come funziona l’intero organo, e studiare quell’organo ci permette di capire come funziona il sistema, e studiare quel sistema e tutti i sistemi ci permette di capire come funzionano tutti quei sistemi integrandosi gli uni con gli altri. In un organismo complesso come il corpo umano per poter funzionare bene per poter garantire un buono stato di salute, per permettere all’individuo di svolgere la vita di tutti i giorni in salute, deve funzionare in maniera ottimale e il nostro organismo ha tutta una serie di meccanismi che garantiscono questo. Ha sviluppato grazie all’evoluzione tutta una serie di meccanismi che garantiscono questo buon funzionamento dalla cellula più piccola fino al sistema più complesso. Quindi la fisiologia implica lo studio di come funzionano le diverse parti del corpo sia separatamente che insieme, per consentire all’organismo/all’individuo (pensiamo all’uomo un individuo così complesso costituito da miliardi di cellule ognuna che fa una cosa diversa) di funzionare in maniera corretta. Infatti, se andiamo a vedere in questa slide i livelli di organizzazione, a parte il livello chimico con gli atomi che vanno a formare le molecole poi biologia molecolare con l’organizzazione a livello di cellule e di tutte le strutture all’interno delle cellule, biologia cellulare con la formazione dei tessuti, la fisiologia partendo da queste informazioni di base si occupa di andare a vedere come l’insieme di cellule e tessuti fanno funzionare gli organi, apparati e sistemi, gli organismi e quindi vedere come si va ogni volta ad un livello superiore. Quindi partendo dalle informazioni di base che voi avete avuto si va a vedere cose sempre più complesse sempre più organizzate. Infatti se noi andiamo a vedere le cellule, hanno tutte forme diverse e la forma delle cellule è specializzata per permettere ad ogni singola cellula di compiere una determinata funzione, infatti noi sappiamo che le cellule all’interno del corpo umano differiscono per forma, per dimensioni, per struttura interna e per funzione (non tutte le cellule anche se a grandi linee possono essere viste come organizzate nello stesso modo, con le stesse componenti, in realtà presentano un’organizzazione interna che è variabile perché è diversa la funzione che devono andare a svolgere). Abbiamo diversi livelli di organizzazione nel corpo. Partiamo dalla cellula, che attraverso la divisione e l’accrescimento si sviluppa e si specializza in tipi di cellule differenti, ognuna con funzioni specifiche. Questo processo di specializzazione prende il nome di differenziazione cellulare. Le cellule che svolgono la stessa funzione si aggregano e formano i tessuti. I tessuti, a loro volta, si distribuiscono in varie parti del corpo, dove si uniscono per formare organi. Questi organi si dispongono e si collegano in maniera ordinata, in modo da formare sistemi (o apparati), che rappresentano un livello organizzativo ancora più complesso. Il termine fisiologia è stato coniato da Claude Bernard già nel 1865, lui nella sua opera magna a livello dell’introduzione lui scrive: Cosa vuol dire? Vuol dire che vuole andare a capire che cosa sta accadendo, non basta dire “il cuore batte” vuole andare a vedere: perché il cuore batte? perché batte in quel modo piuttosto che in un altro? come quel processo può essere modificato? che cos’è che interviene per andare ad aumentare o diminuire nel caso de cuore la frequenza cardiaca? Perché uno sportivo è in grado di avere una funzione cardiaca in un modo rispetto ad una persona non sportiva?... Quindi dopo aver effettuato un’analisi dei fenomeni, è necessario che venga sempre compiuta la sintesi fisiologica per poter identificare il fine unico di tutte le parti che abbiamo studiato in maniera isolata. Quindi è necessario andare a vedere singolarmente le parti del corpo umano, vedere singolarmente le cellule, singolarmente un tessuto, un organo e come funziona, come viene regolato, come può modificarsi etc. etc. per poi infine capire nell’insieme qual è il loro ruolo. E quindi a C. Bernard noi dobbiamo anche il secondo principio che accomuna tutti gli organismi cioè: Questo è molto importante perché il fatto di essere un organismo vivente che mantiene le proprie funzioni e che le mantiene in maniera ottimale a prescindere dalle condizioni ambientali in cui l’individuo si trova è fondamentale, pensate a quando fate il bagno in mare, se noi non avessimo la pelle che impedisce all’acqua del mare di entrare a contatto diretto con i nostri liquidi corporei, noi andremo incontro ad un accumulo di sali, perché andremmo incontro a disidratazione in quanto trovandoci in un ambiente più salato, il nostro corpo perderebbe acqua. Perché l’acqua si smuove secondo un gradiente osmotico quindi da dove è più concentrata a dove è meno concentrata; questo significa che l’acqua si sposta da una soluzione meno ricca di sali ad una soluzione più ricca di sali. Quindi se noi al mare facessimo il bagno senza avere la protezione che impedisce un contatto diretto tra i nostri liquidi corporei e l’acqua del mare, avremmo una modificazione della composizione di questi liquidi corporei che potrebbe essere incompatibile con la vita. Quando parliamo di come il corpo umano mantenga l’equilibrio dei liquidi, è importante capire che il nostro organismo ha dei meccanismi di compensazione per garantire che tutto funzioni correttamente. Se per qualche motivo, che può essere sia fisiologico che patologico, l’osmolarità (cioè la concentrazione di soluti nei liquidi corporei) cambia, il corpo attiva alcune risposte per ripristinare l’equilibrio. In particolare, due sistemi principali intervengono in questo processo: il sistema renale (i reni) e il sistema gastrointestinale. I reni regolano la quantità di acqua e sali nel corpo, mentre l’apparato gastrointestinale può influenzare l’assorbimento di liquidi e nutrienti. Se l’equilibrio dei liquidi non venisse mantenuto, la funzionalità delle cellule, che dipendono dai liquidi per le loro funzioni vitali, verrebbe compromessa. Questo potrebbe portare alla morte cellulare e, di conseguenza, alla morte dell’individuo. Pertanto, mantenere un equilibrio stabile con l’ambiente esterno e interno è essenziale per la sopravvivenza. Come vi dicevo prima, il nostro corpo risulta essere poco a contatto con l’ambiente esterno, ci sono delle cellule che permettono uno scambio tra quello che è nell’ambiente esterno e quello che è contenuto all’interno del corpo umano, quindi tra l’ambiente esterno e il liquido extra-cellulare. Il nostro organismo qui viene schematizzato in maniera molto semplice: La pelle, in particolare le cellule che la compongono, forma una barriera protettiva che impedisce una comunicazione diretta tra l’ambiente interno e quello esterno. Questo significa che la pelle protegge l’organismo da ciò che potrebbe danneggiarlo dall’esterno. Tuttavia, questa barriera non è completamente impermeabile. Se fosse completamente chiusa, non potremmo assorbire il nutrimento dagli alimenti, poiché queste sostanze devono passare dall’ambiente esterno a quello interno. Inoltre, non potremmo respirare, poiché l’ossigeno e la CO2 devono essere scambiati tra l’interno e l’esterno. La stessa cosa vale per l’eliminazione delle sostanze di rifiuto. In pratica, senza superfici di scambio tra l’ambiente esterno e interno, molti dei processi vitali del nostro corpo non potrebbero avvenire. Questi scambi sono resi possibili da ambienti specifici e strutturati, come la pelle, che consentono una comunicazione regolata tra l’interno e l’esterno. Mantenere stabile la composizione del liquido extracellulare e quindi l’ambiente interno dell’organismo, è di fondamentale importanza per mantenere stabile il liquido all’interno delle cellule, il liquido intracellulare. Noi vedremo che tutte le cellule del corpo, comunicano con l’ambiente extracellulare e infatti c’è un continuo scambio di informazioni scambiate sotto forma di ioni, di molecole, di proteine, di strutture che possono essere utilizzate dal nostro corpo proprio come scambio di informazioni tra l’interno e l’esterno della cellula. Il concetto di omeostasi è fondamentale per capire come funziona il nostro corpo. Esso si riferisce alla capacità dell’organismo di mantenere stabili alcune condizioni interne, come la temperatura corporea, la pressione parziale di ossigeno e di anidride carbonica, e il pH. Queste condizioni devono restare abbastanza costanti per far sì che il corpo funzioni correttamente. L’omeostasi è stata definita da Cannon, basandosi sul lavoro di Claude Bernard. Cannon ha affermato che l’omeostasi è uno stato in cui l’ambiente interno dell’organismo rimane relativamente costante. Ad esempio, la temperatura corporea deve rimanere stabile, anche se le condizioni esterne cambiano. Se la temperatura si abbassa troppo, l’organismo cerca di compensare per mantenere il suo equilibrio, ma se non riesce, la condizione diventa patologica. Tuttavia, l’omeostasi non implica che i parametri fisiologici debbano restare fissi a un valore preciso. Ogni parametro ha un intervallo fisiologico, cioè un range di valori che sono considerati normali. All’interno di questo range, il corpo è sano. Ad esempio, la temperatura corporea non deve essere esattamente 37°C, ma deve restare tra 36,5°C e 37,5°C. Se il valore si allontana troppo da questo intervallo, si entra in una condizione patologica. Le variazioni nell’omeostasi possono essere causate da fattori esterni o interni. Una causa esterna può essere, ad esempio, l’esposizione a temperature molto basse per un periodo prolungato. Anche se il corpo tenta di adattarsi a queste condizioni, se l’adattamento non è sufficiente, la temperatura corporea potrebbe scendere troppo, portando a una condizione patologica. Anche le variazioni interne, come il malfunzionamento di un organo o di una cellula, possono alterare l’omeostasi. Il corpo cercherà di compensare questo cambiamento, e se la compensazione è efficace, il corpo rimarrà in uno stato fisiologico sano. Se invece la compensazione non riesce, si entra in una condizione patologica. In sintesi, il concetto di omeostasi è essenziale per capire come il corpo mantiene il suo equilibrio interno e come reagisce a variazioni esterne e interne per rimanere in salute. Quali sono i sistemi e gli apparati del nostro organismo che nell’insieme funzionano e agiscono e tutti i giorni lavorano per mantenere questa condizione di omeostasi? Possiamo distinguere almeno dieci apparati diversi che sono tutti integrati tra di loro. Il primo che viene rappresentato in questo schema è il sistema tegumentario (cioè la pelle) che serve per proteggere l’ambiente interno dall’ambiente esterno e a proteggerlo dell’ambiente esterno. Tra gli altri sistemi abbiamo il sistema muscolare, scheletrico, il sistema cardiocircolatorio che ha un ruolo molto importante perché è quello che porta in circolo a tutte le cellule tutte le sostanze necessarie per la sopravvivenza e porta via tutte le sostanze di rifiuto, che devono essere eliminate dall’organismo. Il sistema nervoso ed il sistema endocrino hanno il compito di controllare la funzione di altri sistemi ed apparati, di inviare dei segnali, di fornire delle informazioni, di attivare quei sistemi compensatori che servono per il mantenimento dell’omeostasi, per il mantenimento del benessere, e quindi per il mantenimento dell’organismo in una condizione fisiologica. Questi due sistemi (nervoso ed endocrino) attualmente è molto complicato considerarli come due sistemi separati perché c’è una grande integrazione tra il sistema nervoso e il sistema endocrino per cui forse sarebbe più opportuno parlare di sistema neuroendocrino, e noi vedremo che esiste un sistema neuroendocrino propriamente detto. A questi sistemi, si aggiunge quello immunitario. Il sistema immunitario ha la grande funzione di proteggerci, di difenderci quindi diciamo che si aggiunge al sistema tegumentario. Perché abbiamo bisogno di un sistema immunitario se comunque c’è un sistema tegumentario che ci protegge dall’ambiente esterno? Perché comunque sostanze tossiche, patogeni in qualche modo riescono ad entrare all’interno dell’organismo e noi ci dobbiamo difendere; tant’è che quando non siamo in grado di farlo da soli, quando i nostri sistemi compensatori non sono sufficienti, si interviene con delle sostanze dall’esterno per ripristinare la condizione di salute e di benessere. Alcune sostanze dannose o anche cellule del nostro corpo che “impazziscono” e diventano pericolose, possono entrare nel nostro organismo. Questo accade perché abbiamo quattro sistemi (respiratorio, digerente...) il cui lume (cioè lo spazio interno) è esterno al corpo, anche se questi sistemi sono all’interno di noi. Ecco quali sono: 1.Il sistema respiratorio (come mostrato nella foto a destra in alto): Le vie respiratorie – come la faringe, la laringe, la trachea, i bronchi, i bronchioli e gli alveoli nei polmoni – sono direttamente in contatto con l’ambiente esterno. Quando respiriamo, l’aria entra nei polmoni, e attraverso delle cellule specializzate, passa all’interno dell’organismo. Tuttavia, tutti questi tubi che portano l’aria ai polmoni sono considerati esterni al nostro corpo, in quanto fanno entrare ciò che è nell’aria, comprese eventuali sostanze dannose, nel nostro organismo. 2.Il sistema digerente (il tratto gastrointestinale): Pensate a quando, senza accorgervene, vi trovate con una penna tra i denti o quando vi mordete le unghie, oppure quando i bambini si mettono il dito in bocca. In questi casi, introduciamo sostanze potenzialmente dannose che arrivano nel tratto intestinale e, da lì, possono entrare nel nostro corpo. Questo è un altro modo in cui le sostanze nocive o i patogeni possono accedere all’organismo. In sostanza, questi sistemi hanno dei “lumini” che si aprono verso l’esterno, permettendo l’ingresso di sostanze dall’ambiente esterno nel nostro corpo. In aggiunta ai due sistemi precedenti, ci sono anche altri due sistemi che permettono alle sostanze di entrare nel corpo, perché anch’essi sono costituiti da “lumi” che comunicano direttamente con l’ambiente esterno. Questi sono: 3.Il sistema urinario: Gli organi del sistema urinario, come i reni, gli ureteri, la vescica e l’uretra, sono connessi all’esterno tramite l’uretra, che permette l’eliminazione delle urine. In questo modo, il sistema urinario ha un canale che comunica direttamente con l’esterno, e sostanze dannose o patogeni potrebbero teoricamente entrare attraverso di esso. 4.Il sistema riproduttivo: Anche il sistema riproduttivo ha una connessione diretta con l’ambiente esterno, attraverso gli organi come la vagina, il pene e le rispettive aperture. Questa comunicazione esterna consente l’ingresso di sostanze o patogeni, che possono entrare nel corpo durante il rapporto sessuale o altre interazioni. Quindi, oltre al sistema respiratorio e digerente, anche il sistema urinario e quello riproduttivo sono collegati all’esterno, permettendo il passaggio di sostanze attraverso di essi. Questi quattro sistemi che sono fondamentali perché svolgono delle funzioni fondamentali per il benessere dell’individuo; tuttavia, sono una via d’accesso per sostanze dannose e quindi ecco che è fondamentale la presenza di un sistema immunitario che ci protegga e cerchi di difenderci dalla presenza di corpi estranei. Per mantenere l’omeostasi, cioè l’equilibrio interno dell’organismo, sono attivi due principali meccanismi di controllo: Il meccanismo a feedback: Questo è un processo che vedremo oggi in dettaglio. In sostanza, il feedback permette di monitorare i cambiamenti nell’ambiente interno e rispondere a questi cambiamenti per riportarlo all’equilibrio. Quando una variabile si discosta dal valore ottimale, il corpo interviene per correggerla. I segnali intercellulari: Questi sono segnali che vengono inviati tra le cellule per regolare vari aspetti dell’ambiente interno. Ne vedremo molti durante il corso, ma non possiamo classificarli tutti in anticipo. Questi segnali sono fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi e quindi del corretto funzionamento dell’organismo. I parametri soggetti a controllo omeostatico sono quelli che possono essere modificati da fattori ambientali, sia interni che esterni all’organismo, e includono: -Osmolarità dei liquidi corporei: La concentrazione di soluti nei fluidi corporei, che deve essere mantenuta stabile per il corretto funzionamento delle cellule. -pH: Il livello di acidità o alcalinità dei fluidi corporei, che deve rimanere in un intervallo ristretto. -Temperatura: La temperatura corporea, che può essere influenzata dall’ambiente esterno e deve rimanere entro un certo range per garantire il funzionamento delle reazioni biochimiche. Altri parametri da controllare riguardano le necessità cellulari, come: Nutrienti: La disponibilità di cibi e sostanze nutritive necessarie per le cellule. Ioni e acqua: Essenziali per l’equilibrio elettrolitico e idrico. Ossigeno: Fondamentale per la respirazione cellulare e la produzione di energia. Infine, ci sono parametri che sono controllati da secrezioni interne, come gli ormoni e altre sostanze chimiche prodotte dall’organismo, che agiscono per regolare processi a lungo termine e di vasta portata. Queste informazioni sono solo un’introduzione generale, successivamente vedremo questi meccanismi in dettaglio e come intervengono per garantire l’omeostasi. I meccanismi a feedback Il meccanismo a feedback lo vediamo oggi in maniera generale ma lo rincontreremo sempre soprattutto quando faremo il sistema endocrino noi parleremo tantissimo di meccanismi a feedback per cui adesso lo vediamo in maniera generale, cerchiamo di capire come funzionano. Esistono due tipi di feedback: il feedback negativo e il feedback positivo. Per quanto riguarda il feedback negativo, questo ha un effetto stabilizzante e viene anche definito a retroazione negativa, ed è quello più diffuso come meccanismo di controllo all’interno delle funzioni del nostro corpo; mentre per quanto riguarda il feedback positivo, cioè la retroazione positiva, ha un effetto destabilizzante ed è anche un meccanismo molto raro. In cosa consistono questi meccanismi? Il meccanismo della retroazione funziona attraverso una causa in ingresso che provoca un effetto, il quale, tramite retroazione, influisce sulla causa iniziale. Questa azione dell’effetto sulla causa iniziale può essere di due tipi: Amplificazione della causa (feedback positivo), che porta a un effetto destabilizzante. Intensifica la risposta, portando il sistema verso un cambiamento significativo o un “punto di rottura” Riduzione della causa (feedback negativo), che ha un effetto stabilizzante. Riporta il sistema ad uno stato di equilibrio. Quindi, il feedback negativo viene detto stabilizzante perché modera la causa, mentre il feedback positivo è destabilizzante poiché amplifica la risposta alla causa iniziale. Attraverso il meccanismo di feedback, diversi elementi lavorano in modo coordinato all’interno di un sistema di controllo. Ma quali sono le componenti di questo sistema? Prendiamo come esempio una variabile regolata: la temperatura. Essa è una variabile che deve essere mantenuta entro valori compatibili con il corretto funzionamento del corpo. Un sensore valuta continuamente lo stato di questa variabile, confrontandola con un segnale di riferimento registrato. Se rileva un cambiamento nella variabile, il sensore invia un segnale di correzione per riportare la variabile entro il valore di riferimento. Per chiarire meglio, consideriamo il meccanismo di regolazione della temperatura. I sensori coinvolti sono la temperatura cutanea (percepita dalla pelle) e la temperatura interna del sangue. Ma chi funge da controllore, ovvero chi conserva il valore di riferimento della temperatura? È l’ipotalamo, una struttura del sistema nervoso centrale fondamentale, che gestisce molte funzioni corporee. Nell’ipotalamo sono registrati i valori omeostatici, cioè i valori che devono essere mantenuti costanti per garantire l’equilibrio interno del corpo. Ogni eventuale variazione in questi parametri richiede piccole correzioni per mantenere l’omeostasi. Il valore di riferimento per la temperatura corporea è registrato a livello ipotalamico. Se l’ipotalamo rileva una variazione rispetto a questo valore, attiva gli organi effettori per aumentare o disperdere calore, a seconda che la temperatura percepita sia inferiore o superiore al valore omeostatico registrato. Quindi, l’ipotalamo può attivare risposte involontarie attivando il sistema nervoso autonomo, chiamato anche involontario perché opera al di fuori del controllo consapevole. Ad esempio, l’ipotalamo può: Modificare il calibro delle arteriole periferiche, Stimolare le ghiandole sudoripare, Agire sulla muscolatura involontaria provocando il brivido, come accade in un ambiente freddo. Quando si inizia a tremare o a battere i denti per il freddo, è una reazione automatica, difficile da fermare volontariamente. Domanda da una collega: “quindi si può dire che gli organi effettori ristabilizzano la variazione che si è creata? “risposta: esattamente, cercano di compensare e riportare il parametro nel range fisiologico. Prendiamo in considerazione l’esempio del brivido: quando è che abbiamo il brivido? Quando la temperatura del corpo scende e noi abbiamo bisogno di produrre calore. Il brivido non è altro che una contrazione muscolare che produce lavoro e in ogni lavoro viene prodotto anche del calore e quindi ecco che si cerca anche in questo modo di compensare. Per capire la differenza tra sistema nervoso centrale e sistema nervoso autonomo è il fatto che quando noi abbiamo i brividi e iniziamo a tremare per i brividi anche con la volontà è difficile smettere di tremare. Non so se vi sia mai capitato, ma per lo meno io quando ho i brividi anche concentrandomi fortemente non riesco a bloccarmi istantaneamente o comunque in maniera veloce. L’ipotalamo può andare ad agire anche sul sistema nervoso centrale, per esempio sulla corteccia celebrale e cosa fa? Attiva i neuroni, i moto-neuroni, quelli che vanno ad agire sui muscolo scheletrico dando origine ad una contrazione volontaria. Vi è mai successo di essere al freddo e di mettervi a saltellare perché avete freddo, per cercare di farvi passare il freddo? SI e vi da sollievo, produce calore, quindi è una risposta comportamentale spinta dall’ipotalamo attraverso la corteccia celebrale, attraverso il sistema nervoso centrale. L’ipotalamo ha sentito che la temperatura del sangue è scesa e allora dice “non va bene” perché questo parametro non può variare, deve rimanere costante perché altrimenti troppe funzioni verrebbero danneggiate allora, banalmente, dice: “muscoli cominciate a muovervi in maniera volontaria e anche involontaria” a questo punto si produce calore, la temperatura del sangue ritorna a salire a quel valore di riferimento, l’ipotalamo percepisce che la temperatura corporea è ritornata al suo valore ottimale e smette di inviare segnali ai muscoli, alle ghiandole, alle arteriole e quindi la perturbazione è stata compensata, il parametro è stato ripristinato -> meccanismo a feedback negativo: il tutto è stato stabilizzato. Ma qual è la temperatura corporea di riferimento? Varia tra i 36.8 e i 37,2°C al di sotto e al di sopra di questa temperatura interviene l’ipotalamo per dare origine alle risposte di cui abbiamo parlato prima. Precisazione: non parliamo della temperatura corporea che si registra a livello periferico ma della temperatura corporea nel così detto core, cioè del sangue che circola nelle parti più interne dell’organismo. In periferia la temperatura è più bassa, tant’è che se noi misuriamo la febbre e la temperatura misura 37°C, si dice non è febbre ma “un po’ di temperatura”, ma normalmente quando si sta bene, non misura 37°C; in periferia ne misura 35.8°C, 36.2°C insomma una temperatura che è un po’ più bassa di 37°C. Le variazioni della temperatura a cui possiamo andare incontro possono essere dovute ad una condizione patologica quindi la febbre, ad una condizione di ipotermia, o di ipertermia. L’ipotermia consiste in una riduzione della temperatura interna al di sotto dei 36.8°C, l’ipertermia al di sopra di 37.2°C. Se la temperatura corporea aumenta, il centro termoregolatore ipotalamico attiva i meccanismi di dispersione termica cutanea e quindi si riduce la temperatura corporea. Questa viene percepita anche dai termocettori cutanei che attivano lo stesso meccanismo, cioè si tende a disperdere calore, ad esempio col sudore; come quando si ha molto caldo, le mani diventano molto rosse questo è dovuto ad una vasodilatazione periferica soprattutto a livello di arteriole che fa arrivare più sangue in periferia, ciò significa portare calore e disperderlo attraverso la cute. Inoltre si può attivare il meccanismo della sudorazione che anche quello fa disperdere calore. Se invece la temperatura corporea diminuisce, viene attivata la termogenesi dei tessuti, cioè si ha una contrazione muscolare che serve per compiere un lavoro e quindi produrre calore e si inibisce la dispersione termica cutanea ovvero si ha una vasocostrizione che fa si che meno sangue raggiunga la periferia quindi meno calore venga disperso. Quando siamo al freddo, la pelle e le dita delle mani tendono ad essere bianche proprio perché si ha una vasocostrizione periferica che fa si che la quantità di sangue che arriva sia ridotta e quindi di conseguenza la quantità di calore che viene dispersa attraverso la cute. Altro esempio della pressione parziale dell’ossigeno che vedremo più avanti. E questo è un esempio di feedback positivo che vediamo molto velocemente ma lo rivedremo meglio successivamente. Il feedback positivo è destabilizzante, quindi noi abbiamo una perturbazione. Ad esempio, una depolarizzazione nervosa, (prendetela per buona), è dovuta al fatto che tanto sodio entra nella cellula, più sodio entra nella cellula più aumenta la depolarizzazione, più aumenta la depolarizzazione più sodio entra nella cellula. Cioè è quello che noi possiamo definire auto-degenerativo, è come un gatto che si morde la coda. Quindi avviene la perturbazione ed essa di per sé alimenta un aumento della stessa perturbazione. LA CELLULA Oggi parleremo della cellula, della sua struttura e soprattutto delle sue funzioni. Se andiamo a schematizzare una cellula, vediamo che gli elementi fondamentali sono: la membrana cellulare; il nucleo al suo interno, che svolge delle funzioni importantissime perché possiede tutte le informazioni necessarie affinché le cellule, e quindi i tessuti, e quindi gli organi, e quindi i sistemi, funzionino nel migliore dei modi. Incontreremo queste funzioni andando avanti con le lezioni, perché vedremo che alcuni segnali ormonali andranno ad agire proprio a livello della trascrizione genica, per ottenere delle risposte da parte delle cellule molto importanti. L’altra struttura fondamentale di una cellula è il citoplasma, che risulta essere costituito dal citosol e da una serie di organelli che svolgono funzioni importanti (alcuni dei quali parleremo durante il corso di fisiologia). Vista questa schematizzazione della cellula, vediamo un disegno che mostra come normalmente tendono ad essere disposte le varie strutture: in rosso i mitocondri; in giallo i lisosomi; in verde, piccolini, vi sono gli endosomi; il nucleo è la palla centrale azzurra; in verde l’apparato di Golgi; in viola è possibile vedere il reticolo endoplasmatico liscio e su, in alto a destra, il reticolo endoplasmatico rugoso, che si riconosce per la presenza dei ribosomi che si trovano ai lati del reticolo. LE MEMBRANE DELL’ORGANISMO Quando parliamo di membrane dell’organismo bisogna fare attenzione, perché si potrebbero fare delle confusioni. Infatti, quando parliamo di membrana non necessariamente ci riferiamo ad una membrana cellulare, quindi alla membrana plasmatica, potremmo riferirci a delle membrane più complesse. Per esempio, le membrane delle mucose, che sono delle strutture che rivestono le superfici interne del corpo che sono in contatto con l’ambiente esterno; la membrana peritoneale che riveste tutta la parete addominale; la membrana pleurica, i due foglietti pleurici che rivestono i polmoni; la membrana pericardica, come mostrato nella figura, un tessuto che circonda il cuore. Quindi ogni volta che parliamo di membrana dobbiamo essere sicuri di capire di quale tipo di membrana stiamo parlando. Infatti, se andiamo a vedere nella figura la membrana pericardica, è in realtà formata da tante cellule; c’è un tessuto connettivo lasso, costituito da tante cellule allineate le une con le altre; ognuna di esse presenta una membrana cellulare (argomento di oggi). Le membrane, come peritoneale, pleurica e pericardica sono generalmente impermeabili, vanno a formare una sorta di strato protettivo dell’organo per evitare che venga danneggiato o entri in contatto con strutture esterne. Invece la membrana cellulare è semipermeabile, perché permette il passaggio di alcune sostanze, e quindi permette una comunicazione tra l’interno e l’esterno della cellula, ma non di altre; per quello si dice che è semipermeabile, perché è selettiva, non fa passare qualunque cosa, alcune cose le fa passare, altre non le fa passare. FUNZIONI DELLA MEMBRANA CELLULARE Quali sono le funzioni della membrana cellulare? Ha il compito di esercitare un isolamento fisico, perché tende a separare l’ambiente interno, quindi il citoplasma, dal liquido extracellulare, quel liquido che circonda e bagna tutte le cellule; Essendo una membrana semipermeabile, regola gli scambi con l’ambiente esterno, con il liquido extracellulare; Contemporaneamente permette anche una comunicazione tra la cellula e l’ambiente esterno; ✓ Crea un supporto strutturale alla cellula stessa. Quindi, come si può vedere, svolge diverse funzioni. LA MEMBRANA PLASMATICA Questa è una rappresentazione schematica della membrana plasmatica. Si notano tutta una serie di strutture: quelli che ci interessano sono questi “omini” in arancione con le gambe rivolte le une verso le altre e le teste che sono rivolte verso l’esterno della cellula (rappresentato in azzurro), vuoi verso l’interno della cellula (rappresentato in marroncino). Questi omini arancioni sono i fosfolipidi e hanno la funzione di creare una barriera selettiva che separa l’ambiente interno dall’ambiente esterno. Questo strato è in realtà un doppio strato, perché abbiamo uno strato di fosfolipidi con la testa rivolta verso l’ambiente esterno, il liquido extracellulare, e uno strato di fosfolipidi con la testa rivolta verso l’ambiente interno, verso il liquido intracellulare. Come sono fatti i fosfolipidi? In generale sono costituiti dalle code di acidi grassi, due code di natura lipidica, con la caratteristica di essere idrofobi. Per cui tengono a fuggire dall’ambiente acquoso. Ricordiamoci che sia l’ambiente interno che l’ambiente esterno alla cellula è costituito fondamentalmente da acqua e quindi noi abbiamo che le code idrofobe sono rivolte verso l’interno della membrana cellulare. Poi è presente la testa formata da glicerolo, da fosfato e da una molecola che è variabile a seconda del fosfolipide. Quindi noi immaginando di smontare la membrana, vediamo questi omini, costituiti da una testa e da due gambe. Le gambe sono rivolte le une verso le altre, e sono delle catene di acidi grassi; quindi, essendo delle sostanze di natura lipidica tendono ad essere idrofobe. Cosa vuol dire idrofobe? Vuol dire che hanno paura dell’acqua, letteralmente significa che temono l’acqua; quindi, tendono a fuggire dall’ambiente acquoso. Di conseguenza queste code si rivolgono le une verso le altre. Mentre invece la testa di queste strutture, di questi fosfolipidi, che è formata da glicerolo, fosfato e da un’altra molecola che è variabile, è idrofila, cioè “ha un amore per l’acqua”, per cui non la fugge. Questo significa che le teste idrofile sono rivolte verso il liquido extracellulare e verso quello intracellulare. Quindi questi fosfolipidi si organizzano per formare un doppio strato: uno strato con la teste rivolte verso l’esterno e uno strato con le teste rivolte verso l’interno della cellula. Proprio perché le code di questi fosfolipidi tendono a fuggire dall’acqua. Quindi questa è la struttura generale di un fosfolipide: due catene di acidi grassi idrofobe e la testa polare, formata da glicerolo, fosfato, e un’altra molecola, in questo caso la colina. Ma i fosfolipidi possono essere diversi: Fondamentalmente sono 4 (più uno che vedremo dopo). Abbiamo la fosfatidilcolina, la fosfatidilserina, la fosfatidiletanolammina e la sfingomielina. Tutti questi fosfolipidi presentano una testa e due code: la testa è sempre la porzione idrofila, mentre le code sono sempre la porzione idrofoba. La fosfatidilcolina e la fosfatidilserina portano una carica, positiva nel caso della colina, negativa nel caso della serina. Questo concetto è importante quando parleremo di potenziale di membrana. Quindi ricordiamoci che alcuni fosfolipidi di membrana sono neutri, mentre altri sono carichi, negativamente o positivamente. Questa figura ci fa vedere che nella membrana plasmatica, nel doppio strato, non sono presenti solo i fosfolipidi. Siamo sempre in grado di riconoscere le due code idrofobe (le catene di sfere bianche e nere) e, nella parte alta, la regione idrofilica o idrofila con il gruppo fosfato e la molecola precisa, che può essere variabile. Oltre ai fosfolipidi sono presenti anche i glicolipidi, che sono formati da uno zucchero, per esempio il galattosio. Un’altra molecola presente nella membrana plasmatica è il colesterolo. Tutte e tre queste molecole sono anfipatiche: hanno sia una porzione idrofila, sia una porzione idrofoba. i fosfolipidi, essendo costituiti da due code idrofobe, tendono, quando si trovano in ambiente acquoso, a fuggire l’acqua. E possono andare ad organizzarsi in modi diversi. Un modo è quello che troviamo nella membrana plasmatica: è un doppio strato con le code rivolte le une verso le altre, quindi non in ambiente acquoso, mentre le teste invece rivolte verso l’ambiente acquoso. I fosfolipidi possono formare micelle: strutture sferiche dove le code idrofobe si raggruppano tutte insieme al centro, lontano dall’acqua, mentre le teste idrofile, che “amano” l’acqua, si dispongono verso l’esterno. In pratica, al centro della micella ci sono solo le code idrofobe, e la superficie esterna è costituita dalle teste idrofile che si affacciano verso l’acqua. Questo arrangiamento permette ai fosfolipidi di stare in equilibrio in un ambiente acquoso. I liposomi si formano quando i fosfolipidi si aggregano in un doppio strato sferico, simile a una membrana, che racchiude al suo interno un ambiente acquoso. Rappresentano una struttura intermedia tra le micelle e il doppio strato fosfolipidico tipico delle membrane cellulari. Mentre le micelle sono strutture sferiche monostrato, i liposomi formano un doppio strato chiuso su sé stesso, con un centro acquoso che può ospitare molecole solubili in acqua. In realtà, se noi ci pensiamo, il doppio strato fosfolipidico è un liposoma perché: immaginiamo che il centro acquoso del liposoma, che nell’immagine è piccolino, immaginiamolo molto più grande e immaginiamo sia il citoplasma. E che all’interno di questo ci sia il nucleo, il reticolo, l’apparato di Golgi, i lisosomi, tutte quelle strutture già viste in precedenza. ASIMMETRIA DELLA MEMBRANA Abbiamo visto i 4 principali fosfolipidi: la fosfatidilcolina in arancione, la fosfatidilserina in azzurro, la sfingomielina in rosso e la fosfatidiletanolammina in verde. Dall’immagine si può vedere che la fosfatidilcolina e la sfingomielina tendono generalmente a formare lo strato lipidico esterno, poiché ha le teste rivolte verso lo spazio extracellulare. Invece la fosfatidilserina e la fosfatidiletanolammina tendono a formare lo strato della membrana plasmatica che è rivolto verso l’interno della cellula, cioè verso il citoplasma. Abbiamo detto che alcuni fosfolipidi portano una carica, infatti dall’immagine si vede come la fosfatidilserina, con carica negativa, ha sempre la testa rivolta verso lo strato interno, verso il citoplasma. Questo ci da già un’informazione importante che ci servirà più avanti: questi fosfolipidi generano un gradiente elettrico, una differenza di potenziale tra l’interno e l’esterno della cellula. Questa differenza di potenziale generata da una diversa distribuzione degli ioni tra l’interno e l’esterno della cellula sta alla base dell’eccitabilità del sistema nervoso centrale, dell’eccitabilità del muscolo, compreso quello cardiaco. Questa disposizione, quindi, pone le basi per un concetto molto importante che permette al sistema nervoso centrale di funzionare. Quindi i lipidi della membrana plasmatica sono: fosfatidilcolina e sfingomielina che vanno a formare il foglietto esterno; fosfatidiletanolammina e fosfatidilserina formano il foglietto interno. Questi 4 sono i principali ma non sono gli unici. Per esempio, un fosfolipide presente nel doppio strato, e solitamente nel foglietto interno, è il fosfatidilinositolo. È un fosfolipide di membrana che entra nella cascata di trasduzione del segnale (da non confondere con la traduzione). Vedremo come all’interno della cellula si possono verificare una serie di eventi che portano alla sintesi di nuove proteine o a modificare la funzionalità di proteine già esistenti, e questo insieme di eventi che si succedono a cascata prendono il nome di trasduzione del segnale. MOVIMENTI DEI FOSFOLIDI Un aspetto molto importante è che, sebbene la struttura della membrana sia relativamente stabile, con alcune molecole che costituiscono lo strato interno e altre quello esterno, la membrana non è rigida. Questo significa che, una volta formata, la sua struttura non resta immutabile per tutta la vita, ma possiede una certa fluidità. Cosa implica questo? Significa che i fosfolipidi della membrana, che formano il doppio strato, non restano fermi; si muovono e possono compiere diversi tipi di movimenti. Come mostrato nella figura, è possibile osservare cinque diversi movimenti. 1.Il primo movimento di cui si parla è la flessione delle catene degli acidi grassi. Le due code dei fosfolipidi non sono rigide, ma fluttuano. Immaginate di avere un pupazzo e di tenerlo per il busto, che rimane fermo, mentre lo scuotete. Le gambe del pupazzo si muovono a destra e a sinistra. I fosfolipidi di membrana si comportano allo stesso modo: le loro code non sono fisse, ma tendono a piegarsi e a spostarsi lateralmente. 2.Un altro movimento che i fosfolipidi possono compiere è la rotazione intorno al proprio asse. In questo caso, il fosfolipide ruota, facendo sì che la coda che inizialmente era a destra vada a sinistra e viceversa. 3.Inoltre, i fosfolipidi possono diffondersi lateralmente lungo la membrana. Come mostrato nella figura 3, i fosfolipidi (evidenziati in rosso) possono spostarsi da una zona all’altra della membrana. 4.Il corrugamento, illustrato nella figura 4, riguarda modificazioni della membrana che non coinvolgono un singolo fosfolipide, ma interessano aree più ampie della membrana stessa. 5.Infine, il movimento del flip-flop (rappresentato nella figura 5) è un processo in cui un fosfolipide, che normalmente si trova nel foglietto esterno della membrana, ruota di 180° e si sposta nel foglietto interno. In altre parole, il fosfolipide compie una rotazione di 180° e passa dal foglietto esterno a quello interno, o viceversa. Questo movimento è molto raro e avviene con bassa frequenza, mentre la rotazione e la diffusione laterale (descritte nei punti 2 e 3) sono movimenti molto più frequenti. Questa immagine fa vedere i movimenti dei fosfolipidi. Abbiamo la diffusione laterale nell’immagine in alto, dove vediamo il fosfolipide in azzurro: se si guarda l’immagine a sinistra e poi quella a destra, si vede che si è completamente spostato dalla sua posizione. Invece in b abbiamo il movimento a flip-flop, in cui un fosfolipide da un foglietto passa all’altro (magari dal foglietto esterno a quello interno) ed è un movimento molto lento e no avviene di frequente. A questo punto dobbiamo vedere un'altra molecola, quella di colesterolo. Il colesterolo che tanto odiamo, demonizzato per il fatto che può essere pericoloso se si accumula, è una molecola che svolge un ruolo molto importante: entra a far parte delle membrane biologiche, e tende a stabilizzarle. Il colesterolo ha una tipica forma ad L e si posiziona tra le code dei fosfolipidi in modo da stabilizzare le loro fluttuazioni. Quindi non è che le fluttuazioni non ci sono, ma sono più controllate grazie alla presenza di questa molecola, che è più rigida rispetto alle code dei fosfolipidi e che quindi ne determina una certa stabilizzazione; quindi, possiamo dire che da stabilità alla membrana. Vedremo poi che il colesterolo ha anche altre funzioni: è la molecola di partenza, il substrato di diversi ormoni. Per cui questa molecola così demonizzata, a cui si cerca di stare molto attenti, perché elevati livelli possono determinare un accumulo nei vasi sanguigni e dare origine a delle condizioni patologiche serie, viene per l’85% prodotto da noi stessi. Quindi è di natura endogena. Quando si dice di avere il colesterolo alto, e quindi di stare attenti con la dieta, in realtà e proprio così perché noi non possiamo intervenire sul colesterolo che ci auto-produciamo, bensì possiamo intervenire solo sul colesterolo che introduciamo con la dieta. Ci sono persone che geneticamente sono predisposte per produrre grandi quantitativi di colesterolo, e quindi l’unica cosa che possono fare è ridurre quello che introducono con la dieta. Anche se non si può fare a meno del colesterolo, perché appunto entra a far parte delle membrane biologiche, e quindi da stabilità alle code fosfolipidiche, e da stabilità alla membrana stessa. Questa figura ci fa vedere ancora meglio come si posiziona la molecola di colesterolo: Le code dei fosfolipidi vanno incontro a fluttuazione e il colesterolo si posiziona in modo tale da stabilizzare se non altro la parte alta delle code idrofobiche e invece lasciare più fluida la parte terminale delle due code di acidi grassi. Tuttavia, questo non implica che i movimenti dei fosfolipidi siano completamente bloccati. Piuttosto, significa che il colesterolo contribuisce a irrigidire la membrana, conferendole una maggiore stabilità. Perché è importante? Perché una delle principali funzioni della membrana è garantire la stabilità della cellula. Se la membrana non fosse abbastanza stabile di per sé, non potrebbe svolgere efficacemente questa funzione. Ed è qui che entra in gioco il colesterolo, svolgendo un ruolo chiave nel mantenere l’equilibrio strutturale. Anche il colesterolo può passare da un foglietto all’altro, può compiere un movimento di flip-flop, che abbiamo visto prima, e lo può fare anche molto rapidamente. Invece i fosfolipidi, come detto, raramente passano da un foglietto all’altro. CLASSI DI PROTEINE DI MEMBRANA Vista la componente lipidica della membrana e le sue funzioni, vediamo ora la componente proteica. In generale le proteine di membrana possono essere suddivise in due grandi classi: le proteine periferiche o estrinseche, le proteine transmembrana, o intrinseche, chiamate anche integrali. Integrali perché passano da una parte all’altra della membrana. Le proteine periferiche (figura A nell’immagine, all’estrema sinistra, evidenziate in azzurro) sono ancorate alle proteine intrinseche, rappresentate in giallo. Questo significa che, in generale, le proteine periferiche si trovano legate ad altre proteine. Tuttavia, come illustrato nelle figure E e F, esistono proteine estrinseche che si legano direttamente ai fosfolipidi. Queste possono essere ancorate alle catene di acidi grassi che formano le code lipidiche oppure alla testa idrofila dei fosfolipidi. Per quanto riguarda le proteine integrali, esse attraversano la membrana e sono formate da una sequenza di amminoacidi che si estende attraverso il doppio strato fosfolipidico, collegando l’ambiente extracellulare a quello intracellulare. Questo attraversamento può avvenire una sola volta o ripetersi più volte. Infatti, molte proteine integrali presentano diversi domini transmembrana. Sono considerate integrali, come quelle rappresentate in figura B, anche quelle proteine che non attraversano completamente il doppio strato fosfolipidico, ma che sono comunque parzialmente inglobate al suo interno. Le proteine intrinseche possono quindi attraversare più volte il doppio strato: questa figura ci fa vedere degli esempi di proteine transmembrana. Una presenta un singolo attraversamento (A) e presentano un terminale amminico e un terminale carbossilico. Queste proteine hanno il terminale amminico rivolto verso il versante extracellulare e il terminale carbossilico rivolto verso il liquido intracellulare. Oppure, come in B, ci sono delle proteine che attraversano più volte il doppio strato, cioè presentano un attraversamento multiplo. Inoltre, sono illustrati due esempi di proteine estrinseche. Ne abbiamo una sul versante citoplasmatico (C ) e una sul versante extracellulare ( D ). La prima è ancorata direttamente alle catene di acidi grassi del fosfolipide; la seconda è ancorata alla testa polare del fosfolipide. Addirittura, gli attraversamenti della membrana possono essere anche sette, andando a formare le proteine transmembrana con sette domini. In questa foto si vede una proteina transmembrana con l’estremità carbossilica rivolta verso l’esterno della cellula e quella amminica verso l’interno. Le proteine di membrana quindi possono essere: Intrinseche, o integrali. Essendo intrinseche attraversano il doppio strato fosfolipidico e per poter fare ciò, devono essere anch’esse delle molecole anfipatiche, presentano quindi le stesse caratteristiche dei fosfolipidi, del colesterolo, cioè sono delle molecole che hanno una porzione idrofila (che è quella rivolta sia verso il liquido extracellulare che verso il liquido intracellulare) e una idrofoba, o lipofila (che è quella che si trova a contatto con le code dei fosfolipidi, quindi all’interno della membrana). (Possono attraversare il doppio strato una volta, tre volte, quattro volte, sette volte); Estrinseche, o periferiche, che sono invece idrofile; o proteine associate ai lipidi, che sono quelle che abbiamo visto nelle immagini precedenti. FUNZIONI DELLE PROTEINE Le proteine possono svolgere diverse funzioni essenziali all’interno della cellula, tra cui: Funzione strutturale Le proteine strutturali contribuiscono a legare la membrana cellulare al citoscheletro, un sistema di filamenti proteici presente nel citoplasma. Il citoscheletro, che contiene anche proteine con proprietà contrattili, ha il compito principale di conferire e mantenere la forma della cellula. Dato che la membrana cellulare costituisce l’involucro esterno, è possibile che essa sia separata dal citoscheletro. Tuttavia, esistono proteine specifiche che fungono da collegamento tra la membrana e il citoscheletro. Inoltre, queste proteine strutturali possono formare giunzioni cellulari, consentendo non solo l’ancoraggio della membrana al citoscheletro per preservare la forma della cellula, ma anche il legame tra cellule adiacenti. Funzione enzimatica Alcune proteine agiscono come enzimi, catalizzando reazioni chimiche sia all’interno che all’esterno della cellula. Un esempio è l’anidrasi carbonica, che accelera la reazione tra acqua e CO₂. Funzione di recettore Le proteine-recettore sono in grado di legare specifiche molecole chimiche che portano informazioni. Quando una molecola si lega al recettore presente sulla membrana cellulare, questa proteina si attiva e avvia una cascata di eventi intracellulari che culminano nella trasduzione del segnale. Il segnale trasdotto è rappresentato dall’informazione portata dalla molecola chimica legata al recettore. Funzione di trasporto Le proteine intrinseche della membrana cellulare facilitano lo scambio di sostanze tra l’interno e l’esterno della cellula, garantendo la comunicazione tra i due ambienti. Queste proteine formano strutture come canali ionici, pompe ioniche e proteine carrier, che attraversano il doppio strato lipidico e permettono il movimento di molecole e ioni. In sintesi, le proteine svolgono ruoli fondamentali per garantire la struttura, la comunicazione, la catalisi di reazioni chimiche e il trasporto di sostanze nella cellula. Questo è il ruolo di recettore: immaginate che questa struttura a forma di fionda che attraversa la membrana da un alto all’altro sia una proteina. E presenta questo incavo sul versante extracellulare a cui si va a legare una molecola. In questo caso la molecola ha una forma a palla; infatti, il recettore ha proprio una forma per accogliere una palla. Quindi “l’informazione palla” si lega al recettore; il recettore si attiva e da origine, all’interno della cellula, ad una serie di eventi. Questi eventi si susseguono a cascata e nell’insieme sono chiamati trasduzione del segnale. Di quale segnale, di quale informazione? Di quella portata dalla palla in questo caso. Proteine di trasporto attraverso la membrana: abbiamo detto che possono essere canali ionici oppure proteine carrier. Per quanto riguarda i canali ionici sono fondamentalmente delle proteine i cui amminoacidi si dispongono in modo tale da andare a formare un buco al centro. E questo buco è appunto il canale. Attraverso questo canale possono passare delle sostanze. Solitamente, siccome si parla di canali ionici, attraverso essi passano solo ioni. Per quanto riguarda le proteine carrier, non formano mai un canale unico, ma hanno una struttura da più subunità che può essere aperta, o verso il versante intracellulare, oppure, una volta che si chiude nel versante intracellulare, si apre verso il versante extracellulare. Immaginiamo che la proteina carrier sia come il canale di panama: immaginiamo che ci sia una nave che dall’oceano Pacifico deve andare nell’oceano Atlantico e deve attraversare il canale di panama. Però questo canale presenta sia un cancello verso l’oceano Pacifico, che uno verso l’oceano Atlantico. Siccome la nave deve andare dal pacifico all’atlantico, il cancello che si aprirà primo sarà quello dell’oceano Pacifico. E la nave entra dentro il canale di panama. Che cosa succede? Vediamo lo step successivo: si chiude il cancello dell’oceano Pacifico, ma non si è ancora aperto quello dell’oceano Atlantico. Per cui i due oceani non sono mai in diretta comunicazione, perché uno dei cancelli è sempre chiuso. A questo punto si apre il cancello dell’oceano Atlantico e la nave può passare. Succede la stessa cosa con la proteina carrier: questa ha la possibilità di aprirsi o verso il liquido extracellulare o verso il liquido intracellulare, ma non sarà mai aperta contemporaneamente su entrambi i lati. Quindi immaginiamo che la proteina carrier debba trasportare una molecola dal liquido extracellulare a quello intracellulare. Quindi è aperta verso il liquido extracellulare. La molecola entra nello spazio delimitato dalla proteina carrier e si lega ad essa. A questo punto il legame molecola-proteina fa chiudere la proteina sul versante extracellulare. Nella figura a destra (b) al centro si vede che la molecola è legata alla proteina e la proteina è chiusa su entrambi i versanti. A questo punto, come succedeva nel canale di panama, si apre sul versante intracellulare, la molecola si stacca dalla proteina e viene riversata all’interno della cellula. Quindi la proteina carrier ha la capacità di andare incontro ad un cambiamento conformazionale: si può aprire o verso l’interno o verso l’esterno della cellula, ma non sarà mai contemporaneamente aperta su entrambi i versanti. Vediamo meglio i canali. Le proteine intrinseche possono attraversare il doppio strato un’unica volta, e quindi avere un attraversamento singolo (come in A). questo tipo di proteina è il recettore per l’insulina. Possono avere sette domini transmembrana, e quindi attraversano sette volte la membrana, e un esempio è il recettore per l’adrenalina. Come si può vedere, presentano un sito recettivo, quindi quello che lega la sostanza che sta portando l’informazione, che è rivolto sempre verso il liquido extracellulare, e un dominio catalitico, che invece è quello che attiva la trasduzione del segnale, che è invece sempre rivolto verso il versante intracellulare. I segmenti transmembrana sono al max sette? Guardiamo la figura C. si può vedere che i segmenti transmembrana sono molto più di 7 (sono 20), ma non sono liberi come nella figura in B. sono impacchettati all’interno di subunità, come per esempio il recettore nicotinico. Quindi noi abbiamo tanti segmenti transmembrana, però impacchettati all’interno di subunità. In questo caso le subunità sono 5. Queste subunità sono messe a cerchio in modo tale da lasciare uno spazio vuoto centrale, che forma il canale, attraverso cui passano le sostanze. (i canali sono quelli formati da subunità) Come possiamo vedere le subunità sono variabili. Le subunità possono essere 4, e il canale al centro è piuttosto stretto: hanno una struttura del genere i canali detti voltaggio-dipendenti. In B abbiamo un canale formato da cinque subunità, e generalmente presentano questa struttura i canali chiamati chemiodipendenti. In C invece abbiamo un canale formato da 6 subunità, e solitamente questi formano quelle che sono chiamate giunzioni comunicanti. Si evince che il diametro del canale cresce con il numero delle subunità: in A il diametro è piccolissimo, in B e in C il diametro è maggiore. Questo ha anche un significato funzionale, perché per esempio nei canali con diametro piccolo, come in A possono passare solo molecole di piccole dimensioni, come appunto gli ioni; mentre in B e in C, che hanno un diametro più ampio potranno passare anche molecole, quindi strutture con dimensioni maggiori di quelle di uno ione. Questa immagine ci fa vedere ancora meglio la struttura di un canale: si vede il doppio strato fosfolipidico e abbiamo sia una visione longitudinale che una sezione. Quindi abbiamo il canale formato da 4 domini, e all’interno, come ci fa vedere la parte destra della figura, c’è questo spazio vuoto che forma il canale vero e proprio. Questo canale che viene delimitate da queste subunità proteiche può essere aperto o chiuso. In A noi abbiamo i canali aperti, che sono dei canali che presentano delle chiusure, delle porte, dei cancelli, anche se nella figura non sono rappresentati, ma che di solito questi cancelli sono aperti; quindi, anche se sono presenti è come se non ci fossero. Questi canali passano la maggior parte del loro stato in una condizione aperta. E quindi se c’è qualcosa che deve passare, passa, perché comunque c’è il passaggio aperto. In B invece sono rappresentati i cosiddetti canali a cancello: non solo presentano i cancelli ma di solito questi sono chiusi. Quindi sono necessari degli stimoli perché questi cancelli si aprano. Questi stimoli possono essere, elettrici, meccanici, o chimici. E quindi noi avremo i cancelli voltaggio-dipendenti, quando a controllarli è uno stimolo elettrico; chemiodipendenti, quando a controllarli è uno stimolo di natura chimica; meccano-dipendenti, quando a controllarli è uno stimolo di natura meccanica. Quando arriva lo stimolo giusto il cancello si apre e permette il passaggio delle sostanze. Sono altamente selettivi: ci sono canali per specifiche specie ioniche. Quindi le principali classi di proteine che permettono il passaggio di sostanze attraverso la membrana plasmatica sono: i canali per gli ioni , che sono generalmente regolati, quindi sono di solito dei canali a cancello; canali , o pori, che permettono il passaggio dell’acqua, generalmente sempre aperti, quindi non regolati (infatti se vediamo la velocità di trasporto è particolarmente elevata); poi ci sono i trasportatori che generalmente permettono il passaggio dei soluti, sono di solito delle proteine carrier; poi ci sono quei trasportatori che per funzionare hanno bisogno di energia metabolica, e sono detti trasportatori ATP dipendenti e che se la utilizzano direttamente sono anche detti pompe ioniche. Per ricapitolare: se noi andiamo a vedere le strutture della membrana cellulare vediamo che: la membrana cellulare risulta essere costituita da: fosfolipidi, colesterolo, proteine e carboidrati. Il colesterolo e i fosfolipidi insieme formano il doppio strato fosfolipidico, che ha la funzione di formare una barriera selettiva fra il citoplasma e l’ambiente esterno. La selettività è determinata dalle proteine: in base alle proteine presenti si stabilisce cosa può o non può passare. I carboidrati con i fosfolipidi formano i glicolipidi; i carboidrati con le proteine formano le glicoproteine. Glicolipidi e glicoproteine svolgono una funzione molto importante nel meccanismo di riconoscimento cellulare. Insieme essi formano il glicocalice. Queste catene verdi e viola sono dei glucidi, e si attaccano o ai fosfolipidi o alle proteine. E formano appunto il glicocalice. Svolgono un’importante funzione protettiva, funzione antigenica e funziona adesiva. Il glicocalice rappresenta l’impronta digitale di ogni cellula e fa si che questa venga riconosciuta dal sistema immunitario. Questo è il motivo per il quale il nostro sistema immunitario non attacca le nostre cellule, perché le riconosce come nostre, come endogene. La presenza del glicocalice è anche una delle cause del rigetto dei trapianti, perché il sistema immunitario non le riconosce come endogene, le attacca e le uccide. E questo è il motivo per cui in caso di trapianto si cerca un donare il più possibile compatibile, proprio per ridurre al minimo le possibilità di rigetto. Andiamo a vedere uno schema riassuntivo delle proteine di membrana: in base alla struttura possono essere classificate in proteine integrali, o intrinseche, e proteine periferiche, o estrinseche. In base alla funzione possono essere distinte in: trasportatori di membrana, e abbiamo visto che ci sono le proteine carrier, che non sono mai contemporaneamente aperte ai due lati della membrana, e quindi cambiano conformazione. Si aprono da una parte, caricano il materiale da trasportare, si chiudono e si aprono dall’altra parte. Oppure possono essere delle proteine canale, delle subunità organizzate in modo tale da disporsi in cerchio per delimitare all’interno un canale. Queste proteine canale formano i canali che possono essere sempre aperti, oppure controllati; quindi, sono chiusi e se arriva lo stimolo giusto si aprono. Lo stimolo può essere di natura elettrica, e allora i canali sono voltaggio-dipendenti; di natura meccanica, e allora i canali sono meccano-dipendenti; di natura chimica, e allora i canali sono chemiodipendenti. Poi abbiamo che le proteine possono svolgere una funzione strutturale, e quindi possono ancorare la membrana al citoscheletro, per dare stabilità alla cellula, oppure possono formare le giunzioni tra cellule. Possono essere enzimi, quindi intervengono nel metabolismo e nel processo di trasduzione del segnale. Infine, possono essere recettori di membrana, possono legare delle molecole che arrivano dall’esterno che stanno portando un’informazione. Questi recettori di membrana so no di diverso tipo: possono attivare enzimi; possono intervenire nel controllare i canali ionici; possono intervenire nei processi di endocitosi recettore mediata, e intervengono nel processo di trasduzione del segnale. Quindi le proteine recettore possono andare poi ad attivare diversi meccanismi all’interno della cellula. IL CITOSCHELETRO Abbiamo detto che una delle funzioni delle proteine estrinseche è di ancorare il citoscheletro alla membrana: nella foto si vede che le proteine estrinseche, ancorate alle proteine transmembrana, si ancorano ai filamenti del citoscheletro, in modo che le due strutture rimangano ancorate. Il citoscheletro svolge diverse funzioni fondamentali all’interno della cellula: 1.Stabilizzazione della forma e resistenza meccanica: Il citoscheletro conferisce alla cellula la sua forma e resistenza meccanica, proteggendola da distorsioni e sollecitazioni. Senza di esso, la cellula sarebbe vulnerabile a danni e potrebbe rompersi facilmente. 2.Organizzazione interna della cellula: Le fibre del citoscheletro stabilizzano la posizione degli organuli cellulari, contribuendo a mantenere un’organizzazione interna efficiente. 3.Trasporto intracellulare: Le proteine del citoscheletro fungono da “rotaie” per il trasporto di organuli e materiali all’interno della cellula, un processo che è cruciale, ad esempio, nel sistema neuro-endocrino e nel sistema nervoso. 4.Assemblaggio cellulare nei tessuti: Il citoscheletro gioca un ruolo chiave nell’assemblaggio delle cellule nei tessuti, poiché le sue fibre si connettono con filamenti proteici dello spazio extracellulare, garantendo coesione tra le cellule. 5.Movimento delle cellule: Infine, il citoscheletro è essenziale per il movimento di alcune cellule. Ad esempio, ciglia e flagelli si muovono grazie alle proteine del citoscheletro, che sono in grado di generare movimenti meccanici. Queste funzioni permettono al citoscheletro di essere un elemento cruciale per il buon funzionamento e la struttura della cellula. Questa figura è una rappresentazione schematica della membrana plasmatica: in celeste abbiamo il doppio strato fosfolipidico e in mezzo ci sono queste strutture gialle che rappresentano il colesterolo. Poi, le proteine intrinseche, con uno (come quella i giallo e in rosso) o più domini transmembrana (arancione). Le proteine periferiche, in azzurro; carboidrati legati alle proteine e ai lipidi formando glicolipidi e glicoproteine, e insieme formano quello che viene chiamato glicocalice. E poi abbiamo delle proteine estrinseche ancorate ai lipidi di membrana e alle proteine intrinseche. Questo modello di membrana cellulare prende il nome di modello di Singer-Nicholson: è anche noto come modello a mosaico fluido. Perché i fosfolipidi sono dotati di una certa mobilità; viene data stabilizzazione dalle molecole di colesterolo, che si inseriscono tra la catene di acidi grassi dei fosfolipidi, però non è completamente rigida questa membrana, anche perché se lo fosse ad ogni piccola sollecitazione si romperebbe. Invece questa fluidità le permette di adattarsi alle sollecitazioni a cui può andare incontro. Abbiamo parlato della membrana cellulare e abbiamo visto come le cellule si aggregano per andare a formare dei tessuti, per andare a formare organi. Oggi parleremo di come queste cellule si aggregano tra di loro per andare a formare i tessuti e poi gli organi. Per cui parleremo delle giunzioni cellulari. queste possono essere suddivise in due grandi categorie: Le molecole di adesione cellulare Giunzioni intercellulari I tessuti sono costituiti principalmente da cellule che sono collegate tra loro e alla matrice extracellulare. Le giunzioni tra le cellule svolgono un ruolo fondamentale, non solo per mantenere unite le cellule stesse, ma anche per ancorarle alla matrice. Durante lo sviluppo, si formano queste connessioni tra cellule e matrice, che possono essere temporanee o diventare giunzioni permanenti. Questo significa che, anche se si formano giunzioni, non è detto che le cellule rimangano sempre connesse tra loro o con la matrice. Ad esempio, in alcuni tessuti, c’è un ricambio cellulare continuo, il che implica che certe strutture si formano e poi vengono rimosse per permettere il turnover delle cellule nel tessuto. Le molecole di adesione cellulare Le molecole di adesione cellulare (CAM) svolgono diverse funzioni fondamentali per l’organismo. Innanzitutto, partecipano ai processi di crescita e differenziazione cellulare, sono coinvolte nella locomozione cellulare, nonché nei processi di riparazione delle ferite e nelle risposte infiammatorie e immunitarie. Queste molecole possono essere espresse in modo costitutivo, cioè in modo permanente a seconda dello stadio di sviluppo della cellula, ma anche in modo transitorio, apparendo solo in determinati periodi della vita della cellula. Inoltre, alcune molecole possono essere espresse in sequenza, come accade ad esempio nei globuli bianchi durante le risposte immunitarie. In riferimento alla struttura, la parte gialla rappresenta la membrana cellulare, con l’interno della cellula in basso e l’esterno in alto. Le CAM si legano al citoscheletro, in particolare alle fibrocellule, poiché necessitano di un punto di ancoraggio per esercitare la forza necessaria a stabilire il contatto tra una cellula e l’altra. Tra le CAM, le N-CAM sono le più semplici, mentre le selectine, le integrine e le caderine sono più complesse, e verranno trattate nel dettaglio nelle prossime slide. Le selectine costituiscono una famiglia di molecole adesive che stabiliscono legami relativamente deboli con gli oligosaccaridi del glicocalice di un’altra cellula. Esistono tre isoforme principali: le selectine L, che si trovano nei leucociti; le selectine E, che si trovano nelle cellule endoteliali; e le selectine P, localizzate nei granuli piastrinici. Le selectine L ed E sono cruciali nelle prime fasi del reclutamento dei leucociti verso il sito dell’infiammazione, dove i leucociti devono compiere la loro funzione di difesa. Le selectine P, invece, sono coinvolte nei processi di riparazione dei tessuti, poiché le piastrine utilizzano queste molecole per formare un tappo che blocca le perdite di sangue prima dell’attivazione del processo di coagulazione. Le integrine Le integrine sono glicoproteine fondamentali nei processi di adesione tra le cellule e la matrice extracellulare. Queste molecole sono dipendenti dal calcio, come evidenziato dall’immagine, in cui si notano siti di legame per lo ione calcio (indicato in rosso), che è essenziale per l’attivazione della molecola. Come mostrato nell’immagine precedente, le integrine sono eterodimeri, cioè composte da due subunità, alfa e beta, legate tra loro da un legame non covalente. Queste subunità si connettono ai filamenti di actina e cheratina del citoscheletro, conferendo alla cellula la capacità di interagire con il suo ambiente. Quando abbiamo discusso del citoscheletro, abbiamo menzionato le proteine contrattili, come l’actina, che svolgono un ruolo cruciale nei movimenti cellulari. L’actina, per esempio, è una delle proteine contrattili del muscolo, e la sua connessione alle strutture del citoscheletro è fondamentale per la mobilità e l’adattabilità della cellula. Le integrine si legano a proteine elastiche e contrattili per garantire che i movimenti della matrice extracellulare non danneggino la cellula. È essenziale che la cellula sia in grado di adattarsi ai vari movimenti della matrice e alle sollecitazioni provenienti da altre cellule con cui è connessa. Per questo motivo, le cellule devono mantenere una certa flessibilità e non essere strutturalmente rigide. Le connessioni proteiche che favoriscono questo adattamento sono quelle che permettono movimenti controllati e formano strutture di adesione chiamate adesioni focali e emidesmosomi. Le adesioni focali sono cruciali per la trasmissione delle forze meccaniche applicate dall’esterno alla cellula, consentendo anche la trasduzione di segnali meccanici attraverso la membrana cellulare. Questi segnali meccanici saranno esplorati più in dettaglio durante la lezione. Gli emidesmosomi, invece, sono strutture che permettono il legame tra le cellule epiteliali e la lamina basale. Un esempio di tale connessione si trova nelle cellule del tratto gastrointestinale, che sono epiteliali e sono ancorate alla lamina basale che riveste l’intero tratto, contribuendo così all’assorbimento dei nutrienti e al mantenimento dell’integrità strutturale del tessuto. Le caderine Anche queste sono delle molecole di adesione che dipendono dalla presenza dello ione calcio e possono essere divise in due grandi famiglie: Le caderine classiche che a loro volta vengono suddivise in due sottotipi e le caderine desmosomiali. Prima abbiamo visto che le integrine formano gli emidesmosomi. Invece le caderine formano i desmosomi. Le caderine classiche sono divise in due tipi: quelle di tipo uno che includono le caderine E (espresse nelle cellule epiteliali), P (espresse nella placenta), N (espresse nelle cellule nervose). Invece le caderine classiche di secondo tipo sono state scoperte di recente, ce ne sono varie e ancora non sono state classificate completamente come quelle di primo tipo. Per quanto riguarda i desmosomi, abbiamo che queste caderine vanno a formare le strutture denominate desmosomi e comprendono la desmpgleina e la desmocolina. (Non le interessa che ci ricordiamo tutti questi nomi specifici, ma è importante capire il concetto di giunzione cellulare e di molecola di adesione cellulare, dove troviamo le diverse tipologie, quale è la funzione e come sono organizzate). Per quanto riguarda invece le giunzioni intercellulari, queste presentano fondamentalmente due funzioni: una è quella di permettere ai tessuti epiteliali, ma anche a quelli non epiteliali di formare degli strati continui e saldi. Ritorniamo sempre per esempio al tessuto intestinale. Come detto nella primissima lezione, abbiamo diversi apparati. Di questi apparati alcuni sono in comunicazione diretta con l’ambiente esterno. Anzi, all’interno del nostro corpo c’è ambiente esterno e uno di questi è appunto rappresentato dal lume intestinale, così come nel rene per esempio. Il lume intestinale è costituito da epitelio e ha come varie funzioni. Quindi se le cellule di quel tessuto non fossero saldamente unite le une con le altre, tutto quello che transita potrebbe entrare dentro l’organismo creando dei problemi non indifferenti. Quindi è importante che ci siano delle giunzioni che permettano a queste cellule di formare uno strato continuo che quando si tratta di epiteli a contatto con l’esterno, impediscano a qualunque cosa di passare. Inoltre, le giunzioni intercellulari tra una cellula e l’altra permettono il trasferimento di metaboliti e di informazioni tra una cellula e quella successiva. Queste informazioni possono essere trasmesse attraverso due modalità. Attraverso segnali di tipo chimico e segnali di tipo elettrico. I segnali di tipo chimico e di tipo elettrico noi li troveremo a livello del cuore. Dove troveremo che esiste il trasferimento di informazioni da una cellula all’altra attraverso il passaggio di ioni e quindi un passaggio di tipo elettrico. Quindi come possono essere classificate queste giunzioni intercellulari? Se ne conoscono di tre categorie: 1. Le giunzioni ancoranti 2. Le giunzioni comunicanti 3. Le giunzioni serrate. I punti di contatto che generalmente interessano le giunzioni ancoranti e forse le giunzioni serrate, possono essere di due tipi: possono essere puntiformi e prendono il nome di macule, oppure possono andare a formare delle fasce di adesione e allora prendono il nome di zonule. Le giunzioni ancoranti svolgono la funzione di unire strettamente le cellule epiteliali tra loro, creando un collegamento tra il citoscheletro di una cellula e quello della cellula adiacente. In termini funzionali, ciò consente alle cellule di comportarsi come un’unità strutturale. Oltre a collegare due cellule adiacenti, le giunzioni ancoranti possono anche stabilire un legame tra il citoscheletro di una cellula e la matrice extracellulare. Come accade per le molecole di adesione intercellulare, queste giunzioni non si limitano a connettere due cellule, ma possono anche mediare l’interazione tra una cellula e la matrice extracellulare. Gli elementi del citoscheletro sono collegati a proteine intracellulari di connessione, che attraversano il doppio strato fosfolipidico della membrana plasmatica. Queste proteine si connettono a proteine di transmembrana, come le caderine, che interagiscono direttamente tra loro per formare la giunzione ancorante tra le due cellule. Un processo analogo si verifica per la connessione con la matrice extracellulare, dove le proteine intracellulari di connessione sono legate ai filamenti del citoscheletro. In questo caso, le integrine attraversano il doppio strato fosfolipidico e si ancorano alle fibrocellule della matrice extracellulare, creando un collegamento saldo tra cellula-cellula o cellula-matrice. Le giunzioni ancoranti possono dare origine a: Desmosomi, che fungono da punti di sutura tra cellule adiacenti. Emidesmosomi, che collegano una cellula alla matrice extracellulare. Nel caso degli emidesmosomi, si utilizza una sola molecola di adesione, e queste strutture si trovano, ad esempio, tra muscoli e tendini o tra le cellule del tratto intestinale o renale e la lamina basale. Le giunzioni aderenti, invece, possono formare sia punti di contatto specifici sia fasce più estese. Sul lato citoplasmatico, queste giunzioni agiscono come punti di ancoraggio per l’actina, una proteina strutturale del citoscheletro. Per quanto riguarda le giunzioni comunicanti o gap junctions come dice la parola stessa, permettono una comunicazione. Nell’immagine abbiamo la membrana cellulare di due cellule. Tra le due cellule è presente una sorta di canale che mette in comunicazione il citoplasma di una cellula con quello della cellula adiacente. Queste giunzioni comunicanti non fanno passare qualunque cosa, perché il diametro non sarà di grandissime dimensioni. Fondamentalmente, questi canali permettono il passaggio di ioni e molecole di piccole dimensioni. Come mostrato in questa figura, due cellule presentano ciascuna un canale perfettamente giustapposto a quello dell’altra, formando così un unico grande canale. Questi canali sono generalmente aperti, consentendo un continuo scambio di informazioni tra le cellule. Sono costituiti da sei subunità chiamate connessine, che insieme formano un complesso noto come connessone. Quando il connessone di una cellula è perfettamente allineato con quello della cellula adiacente, si crea una giunzione comunicante. In condizioni normali, questi canali restano aperti per garantire una comunicazione continua. Tuttavia, alcuni fattori possono causare la chiusura del connessone. È interessante notare che, spesso, si chiude il connessone di una cellula, ma non quello della cellula adiacente, il che permette comunque una certa comunicazione tra le due cellule. Ciascun mezzo canale che contribuisce alla formazione di una gap junction è definito connessore. Quando i connessori di due cellule si allineano perfettamente, formano un grande canale che facilita il trasferimento di informazioni. La chiusura dei connessori può essere innescata da segnali che indicano un danno cellulare. Per esempio, se il pH della cellula 1 diminuisce, aumentando l’acidità, questo rappresenta un segnale di allarme. Una variazione del pH è un fenomeno raro nel nostro organismo: il pH fisiologico del sangue è circa 7,4, con un intervallo normale compreso tra 7,36 e 7,49. Variazioni più ampie, come un pH inferiore a 6,8 (o 7 secondo alcune fonti) o superiore a 8, sono incompatibili con la vita. Un aumento dell’acidità in una cellula è quindi un segnale per l’altra cellula di proteggersi, inducendo la chiusura del connessore. Un altro fattore che può determinare la chiusura è l’aumento della concentrazione intracellulare di ioni calcio, che in elevate quantità risulta tossico per la cellula. Il calcio si trova principalmente all’esterno della cellula e, all’interno, è immagazzinato in compartimenti specifici. Un aumento del calcio libero nel citoplasma è un segnale di danno cellulare, spingendo le cellule vicine a chiudere i loro connessori per proteggersi. Infine, anche una riduzione della temperatura può influenzare lo stato di apertura di queste giunzioni comunicanti. Questa scansione ci fa vedere delle giunzioni comunicanti, e come siano tante. Si trovano a livello del sistema nervoso centrale e periferico negli invertebrati, negli epatociti, nelle cellule del miocardio (nel cuore), muscolari lisce dell’intestino ed epiteliali del cristallino. Le molecole che permettono gli scambi tra le giunzioni comunicanti sono: - Ioni, che trasferiscono informazioni di natura elettrica - Nutrienti (di piccolissime dimensioni) - Sostanze chimiche, che vanno a portare informazioni tra le due cellule perché sono in grado di portare informazioni intercellulari. Ricordate che tutte queste informazioni sono di base che poi troveremo in tutti gli apparati. Le giunzioni serrate fanno si che la membrana cellulare della cellula 1 sia strettamente connessa con la membrana cellulare della cellula 2. Hanno il compito di impedire il passaggio di materiale nello spazio tra due cellule. Le membrane risultano quindi essere connesse in più punti di sutura