Esistono lingue inferiori o superiori? PDF
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Marco Svolacchia
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L'articolo di Marco Svolacchia discute se esistano lingue inferiori o superiori. Smentisce l'idea che le lingue primitive esistano e dimostra che tutte le lingue hanno un sistema grammaticale ricco e complesso. L'autore evidenzia l'importanza di ciascuna lingua e la sua adattabilità alle esigenze dei suoi parlanti.
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Marco Svolacchia 1 Esistono lingue inferiori o superiori? 1 Lingue inferiori 1.1 I popoli primitivi parlano lingue primitive? Un noto linguista del secolo scorso, O. Jespersen, sosteneva che alc...
Marco Svolacchia 1 Esistono lingue inferiori o superiori? 1 Lingue inferiori 1.1 I popoli primitivi parlano lingue primitive? Un noto linguista del secolo scorso, O. Jespersen, sosteneva che alcune lingue viventi sarebbero primitive, in quanto caratterizzate da strani sistemi grammaticali, che rifletterebbero una visione primordiale del mondo. I non linguisti vanno oltre e ritengono che esistano lingue con poca o nessuna grammatica, con lessico ridotto, privi di concetti astratti e generalizzazioni e che farebbero ampio uso di gesti e grugniti. Completamente falso: non c’è nessuna correlazione tra il livello tecnologico di una civiltà e la lingua ad essa associata. Ogni lingua umana conosciuta ha un sistema grammaticale ricco e complesso, un lessico di molte migliaia di parole ed è in grado di esprimere qualunque concetto di cui i propri parlanti necessitino. 1.2 Le lingue amerindiane non possono esprimere concetti astratti? Intorno agli anni ‘20, per sfatare questo mito, il grande linguista americano E. Sapir scrisse un articolo in cui comparava la seguente frase inglese con la sua traduzione in alcune lingue nordamerindiane: ‘He will give it (a stone) to you.’ wishram a-č-i-m-l-ud-a will-he-him-thee-to-give-will takelma ‘òk-t-xpi-n-k will-give-to thee-3p-FUT. paiute meridionale maga-vaania-aka-anga-’mi give-will-visible thing-visible creature-thee yana ba-a-a-si-wa-’numa 1 Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici round thing-away-to-PRES./FUT.-done onto-thou in future nootka o’-yi-’aql-’at-e’ic that-give-will-done onto-thou art navaho n-a-yi-diho-’ál thee-to-TRANS.-will-round thing FUT. takelma ‘okúspi dà/diede a te ‘òspink darà a te ‘òspi può darlo a te ‘òspik è un fatto che lo diede a te La formulazione nelle lingue amerindiane considerate non differisce minimamente per ricchezza grammaticale e astrazione da quella inglese: oltre a forme pronominali (i.e. parole grammaticali), compaiono marche categoriali del verbo (tempo, aspetto e modo) e del nome, che possono differire più o meno da quelle dell’inglese, ma non più di quanto quelle dell’inglese differiscano da quelle di altre lingue molto prestigiose. Il punto fondamentale è che le lingue amerindiane mostrano la stessa qualità espressiva di qualunque altra lingua umana, indipendentemente dalla cultura tecnica che caratterizza la civiltà di chi la parla. Nelle parole di E. Sapir: When it comes to linguistic form, Plato walks with the Macedonian swine-herd, Confucius with the head- hunting savage of Assam. 1.3 Do Aborigines speak a primitive language? «As a linguist who spends much time researching Australian Aboriginal languages, I have often been informed by people I have met in my travels that ‘You must have an easy job – it must be pretty simple figuring out the grammar of such a primitive language.’ If you go further and ask your travelling companions over a beer or six why they hold this belief, you encounter a number of sub-myths: There is just one Aboriginal language. Aboriginal languages have no grammar. The vocabularies of Aboriginal languages are simple and lack detail. Alternatively, they are cluttered with details and unable to deal with abstractions. Aboriginal languages may be all right in the bush, but they can’t deal with the twentieth century». Nicholas Evans 1. «So, you can speak Aborigine?» MITO: non esiste la “lingua aborigena”; esistono 250–600 lingue aborigene australiane (la differenza nella stima dipende da come si classificano le varietà linguistiche: lingue a sé o dialetti di una stessa lingua?). Tenendo presente che ci sono c. 750.000 parlanti aborigeni (= 2.000 parlanti per lingua), la diversificazione linguistica in Australia in rapporto ai parlanti è molto maggiore che in Europa. Marco Svolacchia 2. «There’s no grammar – you can just chuck the words together in any order» MITO: Molte lingue aborigene dell’Australia hanno sì un ordine delle parole molto libero, ma il ruolo che ciascuna parola riveste nella frase è specificato da una marca di caso. Per esempio, negli esempi seguenti della lingua kayardild l’ordine delle parole (dangka ‘uomo’; kurrija ‘vede’; banga ‘testuggine’) è variabile, ma la marca di caso specifica se il nome è il soggetto (-a = che vede) o l’oggetto (-ya = che è visto): L’uomo vede la testuggine: dangkaa bangaya kurrija dangkaa kurrija bangaya bangaya dangkaa kurrija dangkaa kurrija bangaya, ecc. La testuggine vede l’uomo: bangaa dangkaya kurrija bangaa kurrija dangkaya dangkaya bangaa kurrija dangkaya kurrija bangaa, ecc. Pertanto, molte lingue aborigene si comportano come il greco o il latino, lingue tradizionalmente celebrate da molti come modelli di lingua impareggiabili per precisione e logicità). Tuttavia, il kayardild fa anche di meglio, se si vuole stare a questo gioco: mentre nelle lingue a noi familiari una frase come ‘L’uomo vide la testuggine sulla spiaggia’ è sistematicamente ambigua (chi è sulla spiaggia: l’uomo, la testuggine o entrambi?), in k. non lo è, come gli esempi seguenti mostrano: La testuggine: dangkaa banga-ya kurrija ngarn-nurru-ya L’uomo: dangka-a bangaya kurrija ngarrnnurruw-a Il complemento aggiunto ngarn-nurru ‘sulla spiaggia’ prende la marca di caso del nome a cui si riferisce (nelle frasi sopra, se prende la marca dell’oggetto significa che è la testuggine a trovarsi sulla spiaggia; se prende la marca del soggetto è l’uomo a trovarsi sulla spiaggia). Si confronti l’italiano, che, grazie all’accordo tra l’aggettivo e il nome a cui si riferisce, disambigua frasi altrimenti ambigue (cf. la frase ambigua ‘Matteo vinse con Mario stanco’: chi era stanco?): Matteo vinse con Marta stanca. Matteo vinse con Marta stanco. La differenza è che in kayardild anche i complementi aggiunti si accordano col nome a cui si riferiscono. Pertanto, se un ricco sistema di accordo significa raffinatezza linguistica (come nella communis opinio), allora molte lingue aborigene australiane sono superiori anche ai tanto celebrati latino e greco. 3. «Just a few hundred words and you’ve got it all» MITO: Le lingue aborigene hanno un lessico molto ricco, in particolare relativamente all’ambiente in cui parlanti vivono; in alcuni casi, la terminologia zoologica aborigena ha anticipato di molti millenni la classificazione tassonomica scientifica, come mostra la seguente tabella, che riporta i nomi dei macropodi (canguri e wallaby, canguri nani) in kunwinjku: LINNEANO E INGLESE MASCHIO FEMMINA CUCCIOLO Macropus antilopinus karndakidj kalaba karndayh djamunbuk (antilopine wallaroo) (large individual male) (juvenile male) Macropus bernardus nadjinem baark djukerre 3 Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici (black wallaroo) Macropus robustus kalkberd kanbulerri wolerrk narrobad (wallaroo) (large male) (juvenile male) Macropus agilis warradjangkal/ merlbbe/kornobolo nakornborrh nanjid (agile wallaby) kornobolo nakurdakurda! (baby) (very large individual) La tassonomia in kunwinjku è molto più dettagliata di quella scientifica e di quella inglese, distinguendo anche il sesso e l’età del macropode. Nello stesso tempo, esiste anche un termine che designa l’intera classe dei macropodi, kunj, esistente nella tassonomia scientifica, ma non in inglese. Pertanto, è falsa sia la credenza che le lingue aborigene abbiano un lessico molto semplice sia la credenza, contraddittoriamente inversa, che le lingue aborigene siano incapaci di generalizzazioni. 4. «They might be OK in the bush, but there’s no way they can deal with the modern world» MITO: È vero che il lessico è la parte di una lingua che più rispecchia l’ambiente e la cultura del popolo che la parla. Pertanto, è banalmente vero che una lingua non può essere adattata immediatamente alle esigenze di un’altra comunità, specie se molto distante culturalmente e geograficamente, ma questo vale per qualsiasi lingua. Tuttavia, quando i parlanti vogliono esprimere un concetto nuovo, utilizzano le risorse della propria lingua per creare un’altra parola, o un altro senso di una parola già esistente, oppure prendono in prestito una parola da un’altra lingua. Ad esempio, in italiano la parola subcosciente è stata creata utilizzando parole e formativi che già esistevano nel proprio lessico: [sub + [cosciente]]. Massa, nel senso che ha in fisica di ‘quantità di materia contenuta in un corpo’, è un’estensione della parola massa ‘quantità indefinita di elementi’. Grattacielo è un calco (una traduzione letterale) dell’inglese americano (skyscraper, lett. ‘cielo- gratta’); la parola computer è stata presa in prestito dall’inglese, in cui deriva dal verbo compute ‘calcolare’ (a sua volta prestito dal francese computer ‘computare’, derivato dal latino computare). Del resto, nessuna di queste parole esisteva in latino: dovremmo concludere che il latino è una lingua limitata? RISULTATI: sebbene esistano culture che possiamo definire ‘primitive’ in base a parametri di natura tecnologica, non si dà il caso di lingue primitive. Ciò non deve stupire, per almeno due ragioni: 1) Ogni lingua contemporanea è l’ultimo anello di una lunghissima catena evolutiva che, sebbene in gran parte a noi sconosciuta, deve consistere di almeno molte decine di migliaia di anni; i pochi secoli o migliaia di anni che hanno differenziato sensibilmente il modo di produzione e lo stile di vita delle diverse popolazioni della Terra sono, al confronto, ben poca cosa. 2) La cultura non ha nulla a che vedere col linguaggio in senso stretto (fonologia e grammatica), largamente sotto la soglia della consapevolezza. L’unico settore che è correlato alla cultura materiale e spirituale di un popolo è il lessico. Anche in questo caso, però, non si più parlare di lessico ‘primitivo’ o ‘evoluto’: il lessico di ogni lingua è adeguato alle esigenze di chi la parla; quando le esigenze cambiano, ogni lingua ha le risorse per venir loro incontro. Marco Svolacchia 1.4 Pidgin hawaiano Per capire che cos’è una vera lingua primitiva basta dare un’occhiata a un pidgin, termine con cui si designa una forma di comunicazione utilizzata quando i gruppi coinvolti nell’interazione, in genere di natura commerciale, non condividono nessuna lingua. Un esempio molto conosciuto è quello del pidgin hawaiano, studiato da Derek Bickerton. Eccone alcuni esempi, caratterizzati da semplicità e difformità, caratteristiche che, come si è visto, sono assenti nelle lingue vere e proprie: a. Now days, ah, house, ah, inside, washi clothes machine get, no? Before tinte, ah, no more, see? And then pipe no more, water pipe no more. Oggigiorno (in) casa esserci (le) lavatrici; un tempo non esserci, capire? (Le) tubature non esserci, (le) tubature (dell’) acqua non esserci. b. Good, this one. Kaukau any kind this one. Pilipin island no good. No more money. Bene (si sta), qui. (C’è da) mangiare (di) ogni tipo, qui. Filippine non (si sta) bene. Niente soldi. SEMPLICITÀ. Non c’è presenza di grammatica in queste frasi: mancano parole o forme grammaticali (p.e., il verbo non è specificato per tempo, aspetto e modo: get significa ‘c’è, ‘c’era’ o ‘ci sarà’?), solo sequenze di parole. L’interpretazione della frase dipende dal contesto e dalla conoscenza delle informazioni rilevanti. Le potenzialità espressive sono molto limitate: si può parlare solo di argomenti elementari. a. The poor people all potato eat. (GIAPPONESE) b. Work hard this people. (FILIPPINO) DIFFORMITÀ. I pidgin variano nella pronuncia e nella sintassi a seconda della lingua madre del parlante. Nel primo degli esempi sopra, pronunciato da un giapponese, il verbo sta alla fine della frase, come in giapponese; nel secondo, all’inizio della frase, come nelle lingue delle Filippine (p.e. pilipino/tagalog). Perché i pidgin sono lingue primitive? Semplicemente perché non sono lingue: non sono la lingua madre di nessun individuo; sono semplicemente un espediente a cui si ricorre in caso di deficit comunicativo (come anche il linguaggio gestuale che si usa spontaneamente in situazioni limite, p.e. quando si è in un Paese di cui non si capisce affatto la lingua). 1.5 Razzismo linguistico I pregiudizi riguardo alla superiorità/inferiorità delle lingue si riflettono in alcuni fenomeni, spesso subdoli perché largamente inconsapevoli e preterintenzionali, i.e. sotto forma di quelli che in psicologia sociale vengono chiamati atteggiamenti, che possono coincidere con le opinioni, ma non necessariamente (è più sovente il contrario). 5 Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici 1.5.1 Trascrizioni “fai da te” Un riflesso della sufficienza linguistica verso lingue, o meglio comunità linguistiche, considerate inferiori è la pratica di trascrivere i nomi “ad orecchio”, senza tenere conto dell’ortografia nazionale, o delle pratiche di trascrizione nel caso di sistemi di scrittura non a base latina. Un tipico caso è dato dalla resa abituale dei nomi arabi (l’arabo è una lingua che utilizza molti fonemi che non esistono nelle lingue europee più familiari) come in Moammed e Ali, due tipici nomi arabo- islamici, che è estremamente approssimativa: trascrivendo la forma ortografica araba in una a base latina, la resa dovrebbe essere, risp., Muḥammad e ‛Ali (in cui ‘ḥ’ e ‘‛’ stanno per due consonanti gutturali). Un’alternativa del primo senza diacritici, macchinosi al computer, è MuHammad, con una semplice h maiuscola. Un’altra alternativa – ancora più semplice, sebbene meno precisa – sarebbe Muhammad, nemmeno questa normalmente utilizzata, perché la presenza della gutturale non viene percepita, o categorizzata, da molti parlanti italiani. Per il somalo non vale nemmeno l’alibi di una scrittura diversa: già nel 1973 ha adottato una scrittura a base latina, in cui i nomi già citati sono scritti, risp., Muxammad e Cali, scrivibili con una comune macchina da scrivere. Tuttavia, anche per i nomi somali la resa tipica è quella più approssimativa (Moammed, Ali), ignorando completamente l’ortografia nazionale (anche nei documenti ufficiali). Quale pensate sarebbe la nostra reazione se si adottasse la stessa pratica, una resa ortografica “ad orecchio”, coi nomi delle lingue dei Paesi con maggiore peso politico? Eccone alcuni esempi (riconoscete i nomi?): Margheret Taccie Anghela Merchel Gion Chennedi Nicolà Sarcosì 1.5.2 «Suona bene/suona male» Nella communis opinio si ritiene che la simpatia/antipatia linguistica (‘suona bene’; ‘suona male’) dipenda da caratteristiche intrinseche della lingua (la sua pronuncia). In realtà, almeno nella gran parte dei casi, la fonologia di una lingua non c’entra nulla; gli atteggiamenti linguistici derivano da atteggiamenti di natura culturale. Ad esempio, c’è buona evidenza del fatto che gli italiani siano tradizionalmente esterofili, ma questo vale solo per persone che provengono da alcuni Paesi (tipicamente quelli dell’Europa settentrionale e degli USA); non altrettanto per persone che provengono da altri Paesi, in particolare quelli dell’Europa orientale e dei Paesi sottosviluppati (o che lo erano fino a tempi recenti). Questa differenza di atteggiamento si riflette nel gradimento rispetto all’accento straniero, che in alcuni casi fa simpatia, o viene addirittura considerato chic (e in rari casi perfino imitato), e che in altri raccoglie reazioni molto meno favorevoli. Le differenze di gradimento tra lingue possono essere molto specifiche. Ad esempio, per molti britannici (e non solo) l’italiano (anche per chi non lo parla affatto) suona elegante, sofisticato e vivace; il francese è sentito come romantico, colto e armonioso; il tedesco, l’arabo e alcune lingue dell’estremo oriente sono ritenute aspre, dure e di suono sgradevole. Marco Svolacchia RISULTATO: il rapporto di causa effetto tra simpatia linguistica e suono va, in generale, rovesciato: una lingua non raccoglie più o meno simpatia a seconda di come suona, ma suona più o meno bene a seconda del grado di simpatia che riscuote la comunità che la parla. 1.5.3 «Si capisce/non si capisce» Un fenomeno citato nella letteratura sociolinguistica è quello delle asimmetrie di comprensione, per cui i parlanti di due comunità linguistiche vicine danno giudizi diversi riguardo alla reciproca intercomprensibilità. Un caso noto è quello degli spagnoli e dei portoghesi, che parlano due lingue strettamente imparentate (lo spagnolo è grosso modo a metà strada tra l’italiano e il portoghese), tali che si possa immaginare che, con un certo grado di adattamento reciproco, possano attuare una comunicazione elementare senza troppi problemi. La realtà è diversa: mentre la maggior parte dei portoghesi dichiara di capire abbastanza bene lo spagnolo, la maggior parte degli spagnoli dichiara di incontrare grosse difficoltà a capire il portoghese. A rigor di logica, questa asimmetria di giudizio non ha senso: la somiglianza è una proprietà transitiva (se A è simile a B, anche B deve essere simile ad A). La spiegazione è di natura psicologica: quando si comunica con persone che parlano una lingua diversa (o dialetto diverso) si rende necessario uno sforzo cognitivo maggiore e una maggiore disponibilità comportamentale (‘devo chiedere di parlare più lentamente’, ‘devo chiedere di ripetere se non capisco’, ‘devo sforzarmi di capire’, ecc.); in mancanza di questa disponibilità, la comunicazione non avrà successo. L’asimmetria nella disponibilità all’adattamento linguistico riflette un’asimmetria di tipo sociale: nel caso specifico, in parte si spiega col fatto che molti spagnoli si ritengono (qualunque sia la ragione) superiori ai portoghesi; in parte, perché sono (o erano) i portoghesi a emigrare in Spagna e non l’inverso. A conferma, si noti che in Sudamerica non vige questa asimmetria linguistica tra brasiliani, di lingua portoghese, e i popoli dei Paesi confinanti, di lingua spagnola; la ragione è che i rapporti di potere tra Brasile e gli stati vicini sono di natura diversa rispetto a quelli che vigono tra Portogallo e Spagna. 1.5.4 I “selvaggi” non parlano lingue, ma dialetti o idiomi o parlate Molto spesso nei mass media ci si imbatte in riferimenti linguistici apparentemente bizzarri nei confronti dei popoli dei Paesi sottosviluppati, in particolare dell’Africa. Gli africani, per fare un caso tipico ma non esclusivo, per i giornali non parlano lingue, ma ‘idiomi’ o ‘dialetti’ (a volte ‘parlate’). Anche non tenendo conto del pregiudizio per cui non si considera lingua una varietà solo parlata, in Africa esistono molte lingue che sono scritte e che hanno uno status di lingua ufficiale nazionale, alcune delle quali sono parlate da molti milioni di persone (come il swahili o l’hausa, per fare due esempi). Pertanto, che cosa manca esattamente a queste lingue affinché vengano considerate come tali anche dai giornalisti e simili? 1.5.5 Sufficienza linguistica: «Parla l’africano» Un altro esempio di razzismo linguistico è rappresentato dalla sufficienza con cui ci si riferisce alle lingue dei Paesi sottosviluppati. Parallelamente al pregiudizio già visto, per cui nell’opinione di molti australiani esisterebbe ‘l’aborigeno’, per alcuni addetti ai lavori nei mass media esisterebbe l’’africano’ (si noti anche la palese contraddizione col pregiudizio precedente, per cui in Africa si parlano numerosi ‘idiomi’; ma tant’è: il pregiudizio non necessita di coerenza). Un caso recente è dato da un articolo sulla pagina di un noto giornale nazionale, in cui l’articolista commentava il fatto che l’allenatore tedesco della squadra del Togo, durante i mondiali di calcio in Germania, aveva incontrato grossi problemi di comunicazione coi giocatori, nonostante ‘parlasse l’africano’, 7 Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici avendo già allenato la squadra della Nigeria. Se si considera la distanza geografica tra Nigeria e Togo e il fatto che l’Africa è il continente in cui è presente il maggior grado di diversità linguistica del mondo, un’affermazione del genere è risibile (molto più che se si parlasse di ‘lingua europea’, dato che l’Europa è il continente che presenta la minore differenziazione linguistica del mondo: come reagiremmo alla stessa affermazione con ‘europeo’ al posto di ‘africano’?). 1.5.6 ‘Extracomunitario’ Un’altra manifestazione di razzismo linguistico è offerta dall’uso di alcuni termini che si riferiscono alla sfera socio-politica. Un esempio eclatante è l’uso che in Italia si fa correntemente del nome ‘extracomunitario’ (come in ‘un extracomunitario’), che in linea di principio designerebbe un cittadino che non fa parte dell’Unione Europea. Nella pratica, però – e specie nei mass media – si utilizza generalmente il termine solo in concomitanza a cittadini dei Paesi in via di sviluppo (o, comunque, non di prima fascia): qualcuno ha mai sentito applicare ‘extracomunitario’ a cittadini svizzeri o statunitensi (tanto per fare due esempi), che pure sono cittadini di Paesi che non aderiscono alla UE? In altre parole, ai cittadini di Paesi di prima fascia ci si riferisce con la denominazione specifica; agli altri in modo generico, residuale (= ‘coloro che non sono noi’). 2 Lingue superiori Speculare, e logicamente quasi complementare, all’idea che esistano lingue inferiori è la credenza nella superiorità di alcune lingue. Per lo più, ma non sempre, la scelta è dettata da sciovinismo, come in alcune delle citazioni seguenti, relativamente recenti: (PRO INGLESE) Imagine the Lord talking French! Aside from a few odd words in Hebrew, I took it completely for granted that God had never spoken anything but the most dignified English. Clarence Day, Life with Father, 1935 * (PRO FRANCESE) “Ce qui distingue notre langue des langues anciennes et modernes, c’est l’ordre et la construction de la phrase. Cet ordre doit toujours être direct et nécessairement clair. Le français nomme d’abord le sujet du discours, ensuite le verbe qui est l’action, et enfin l’objet de cette action: voilà la logique naturelle à tous les hommes; voilà ce qui constitue le sens commun. Or cet ordre, si favorable, si nécessaire au raisonnement, est presque toujours contraire aux sensations, qui nomment le premier l’objet qui frappe le premier. C’est pourquoi tous les peuples, abandonnant l’ordre direct, ont eu recours aux tournures plus ou moins hardies, selon que leurs sensations ou l’harmonie des mots l’exigeoient; et l’inversion a prévalu sur la terre, parce que l’homme est plus impérieusement gouverné par les passions que par la raison. Le français, par un privilège unique, est seul resté fidèle à l’ordre direct, comme s’il était tout raison, et on a beau par les mouvemens les plus variés et toutes les ressources du style, déguiser cet ordre, il faut toujours qu’il existe; et c’est en vain que les passions nous bouleversent et nous sollicitent de suivre l’ordre des sensations: la syntaxe française est incorruptible. C’est de là que résulte cette admirable clarté, base éternelle de notre langue. Ce qui n’est pas clair n’est pas français; ce qui n’est pas clair est encore anglais, italien, grec ou latin. “Conte” Antoine de Rivarol, 1753-1801 * (PRO FRANCESE) “A propos de la langue française, il est difficile d’ajouter, après tant d’autres, des éloges tant de fois répétés sur sa rigueur, sa clarté, son élégance, ses nuances, la richesse de ses temps et de ses modes, ladélicatesses de ses sonorités et de sa ponctuation, la logique de son ordonnancement.” Presidente F. Mitterrand * Marco Svolacchia (PRO FRANCESE) In translating English prose into French we shall often find that the meaning of the text is not clear and definite... Looseness of reasoning and lack of logical sequence are our common faults... The French genius is clear and precise... In translating into French we thus learn the lesson of clarity and precision. Ritchie & Moore (professori americani di letteratura francese) * (PRO FRANCESE) The seventeenth century, which believed it could bend everything to the demands of reason, undoubtedly gave logic the opportunity to transform the French language in the direction of reason. Even today it is clear that it conforms much more closely to the demands of pure logic than any other language. W. von Wartburg (romanista del secolo scorso) Sorprendentemente, almeno per un occidentale contemporaneo, il francese è stato per alcuni secoli considerato la lingua più logica, chiara e precisa (sorprende molto meno se si pensa che è stato il veicolo principale dell’Illuminismo e, in genere, del razionalismo filosofico). Le lingue di elezione cambiano nel tempo e nello spazio, e la fortuna linguistica muta incessantemente, a volte in direzioni paradossali (per cui la ex lingua un tempo considerata inferiore è diventata una lingua di grande prestigio; raramente, anche l’inverso si è verificato). Una lista rappresentativa, ma non completa, può essere la seguente: ARAMAICO: è stata la lingua comune di due imperi, quello babilonese e quello persiano, utilizzata come lingua franca in tutto il Vicino Oriente e oltre. GRECO: ha avuto un’immensa influenza in tutto il Mediterraneo per molti secoli a causa della diffusione della civiltà greca, lasciando un segno profondo anche nel latino; in seguito, durante l’impero bizantino, ha avuto una grande influenza sul Mediterraneo e sull’Europa orientali essendo diventato il veicolo della cristianizzazione della Chiesa orientale. LATINO: è stata la lingua del Mediterraneo e di gran parte dell’Europa occidentali per molti secoli, secondo solo al greco come prestigio nell’Occidente classico. È significativo il fatto che ancora all’epoca di Cicerone era invece ritenuta una lingua inadatta a scopi filosofico-scientifici, per i quali si ricorreva al greco, prima che lo stesso dimostrasse, adattandovi molte parole greche, che anche in latino era possibile scrivere di filosofia e di scienze. Durante tutto il Medioevo (e in alcuni settori anche oltre) il latino è stato la lingua di cultura per eccellenza, sia per l’immensa eredità dell’Impero Romano sia perché fu adottato e utilizzato per la cristianizzazione dell’Occidente dalla Chiesa Romana (la Bibbia ebraica e il Nuovo Testamento greco vennero tradotte in latino, nella versione nota come ‘Vulgata di S. Girolamo’), tanto che studio e latino erano sostanzialmente sinonimi. ARABO: è stato il veicolo prima dell’Islam, poi della cultura islamica in generale per molti secoli. È tuttora, in una forma semplificata e modernizzata, il veicolo della cultura alta in tutti i Paesi arabi e la lingua della fede islamica per tutti i musulmani (per cui il Corano non può essere tradotto, in quanto sarebbe stato dettato a Maometto in arabo), la maggior parte dei quali non ha l’arabo come lingua madre. Ha avuto un’enorme influenza su tutta le lingue dei Paesi islamici (che ne hanno adottato in genere anche il sistema di scrittura). CINESE: ha avuto un’influenza millenaria, e tuttora ha, sull’Asia orientale (prestando anche la sua scrittura a molte altre lingue) ed è stato il veicolo della grande cultura imperiale cinese e di alcune religioni di grande influenza in Oriente (confucianesimo e taoismo, in particolare). Ci sono buone 9 Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici ragioni per ritenere che tornerà a rivestire una grande importanza, parallelamente alla crescente rilevanza che la Cina sta assumendo nell’economia e nella politica mondiale. SANSCRITO: è stata la lingua degli antichi testi filosofico-religiosi indiani (Mahabharata, Veda, Bhagavadgita, ecc.) che hanno esercitato un’influenza enorme anche al di fuori dell’India, in particolare nel Sud-est asiatico. Ancora oggi è studiato e letto dagli eruditi induisti e gode di immenso prestigio. Il suo sistema di scrittura, il Devanagari, è stato adottato in molte lingue dell’Asia meridionale. FRANCESE: ha esercitato una grande influenza in Occidente per alcuni secoli dell’era moderna fino alla II Guerra mondiale, dopo la quale è stata ampiamente soppiantata dall’inglese come lingua internazionale. Come nel caso del latino rispetto al greco, da lingua di basso prestigio fino al Medioevo rispetto al latino (era uno dei volgari che ne erano derivati) è assurta allo stato di lingua di grande prestigio e di presunta superiorità logica. INGLESE: è assurto a prima vera lingua globale grazie alla supremazia politica, economica e tecnologica prima dell’Impero Britannico, poi, dopo la II Guerra mondiale, degli Stati Uniti. È ormai la lingua della tecnica, della ricerca scientifica internazionale, dell’informatica (e di Internet in particolare), della musica pop/rock e del cinema internazionale. Gli standard di maggiore prestigio sono quello britannico e quello americano (che è dominante dal punto di vista del lessico). Questa rapida carrellata delle lingue “superiori” mostra che il prestigio linguistico non deriva da presunte qualità intrinseche di una lingua, ma da fattori socio-politici e dall’importanza e la funzione che le viene attribuita. Un fattore spesso ricorrente è quello religioso, che attribuisce alla lingua (e spesso persino alla sua scrittura) dei testi sacri un prestigio illimitato, se non un’aura magica. 2.1 Purismo linguistico Un correlato naturale della presunta superiorità di una lingua sulle altre è il purismo linguistico, una reazione intollerante verso l’influenza delle altre lingue sulla propria, che ne minerebbero la purezza originaria. In particolare, sono i prestiti da altre lingue che suscitano le reazioni più forti (in relazione ai quali una denominazione abbastanza neutra è il termine ‘forestierismi’, un’altra è il termine ‘barbarismi’, che parla da solo: si tratta di parole di lingue barbare, al di fuori dell’ecumene delle genti civili). La nozione di purezza linguistica originaria non ha alcuna base scientifica per almeno due ragioni: 1. Non sappiamo nulla riguardo all’origine delle lingue, ma sappiamo con certezza che nessuna rimane inalterata nel tempo: da sempre, tutte le lingue mutano incessantemente a tutti i livelli (pronuncia, grammatica, lessico, ecc.). Pertanto, la nozione di ‘originale’ in riferimento alle lingue non ha alcun senso. 2. Nessuna lingua è impermeabile: tutte, quale più quale meno, hanno influenzato e sono state influenzate da altre nel corso del tempo (sebbene il flusso può essere molto asimmetrico, in dipendenza dei rapporti di potere tra le comunità in contatto). Pertanto, nemmeno la nozione di ‘puro’ in riferimento alle lingue ha alcun senso. In molte comunità linguistiche si sono avute, o si hanno tuttora, reazioni puriste. Attualmente la lingua che è percepita come più minacciosa è l’inglese, in particolare da chi parla una lingua romanza (i.e. derivata dal latino). Un Paese che si distingue particolarmente in questo senso è la Marco Svolacchia Francia. Ironicamente, il francese (seguito a ruota dal latino stesso) è la lingua che più ha influenzato l’inglese, e molte parole inglesi entrate nel francese sono in origine francesismi (p.e., sport deriva dal francese antico desport, da cui proviene l’italiano diporto) o latinismi (p.e., mass media deriva dalle parole latine media, pl. di medium ‘mezzo’, e massa ‘impasto’). Se la nozione di purezza linguistica fosse spendibile per le lingue, l’inglese sarebbe una delle lingue meno “pure” conosciute: ci sono buone ragioni per definirla, in un certo senso, una lingua “ibrida”, metà germanica e metà romanza (i.e. una lingua ‘germanica romanizzata’, se si vuole), come andiamo a mostrare. 2.1.1 Lessico Circa la metà del lessico inglese è di origine latina, vuoi perché preso in prestito dal latino stesso (soprattutto per effetto della cristianizzazione da parte della Chiesa di Roma), vuoi, ancor di più, perché preso in prestito dal francese in epoca normanna. Una conseguenza di questo stato di cose è la presenza di coppie di quasi sinonimi, in cui la parola di origine romanza appartiene a una sfera più raffinata e intellettuale. Ad esempio, il nome della carne dei principali animali commestibili proviene dal francese e differisce dal nome dell’animale stesso, autoctono (p.e., beef vs. cow; pork vs. pig); di una coppia di aggettivi quello derivato dal francese ha in genere un significato metaforico e un ambito più ristretto, poetico-letterario (p.e. deep, ‘a deep river’ vs. profound, ‘a profound book’). 2.1.2 Sintassi germanica Tutte la lingue germaniche sono caratterizzate dal fenomeno del verb second, per cui il verbo occupa sempre la 2a posizione nella frase principale, come gli esempi italiani seguenti, a cui è stata applicata la sintassi germanica, illustrano: 1 2 3 4 Silvia guarda la TV tutte le sere. La TV guarda Silvia tutte le sere. Tutte le sere guarda Silvia la TV. L’inglese è invece a parte, avendo una sintassi più vicina a quella delle lingue romanze. 2.1.3 Livelli morfologici e fonologici Le regole della morfologia (= la grammatica delle parole) dell’inglese e le regole della fonologia (= la grammatica dei suoni) che l’accompagna si dividono in due sottogruppi, come le regole seguenti illustrano. Degeminazione Quando in- si unisce alla parola seguente solo una delle due /n/ viene pronunciata (b); quando un- si unisce alla parola seguente entrambe le /n/ vengono pronunciate (c): (a) (b) (c) in+effectual in+nocuous un+natural in+probable im+mature un+necessary Raddolcimento della Velare /k/ in fine di parola diventa /s/ prima di alcuni suffissi (b), ma non cambia prima di altri (c): (a) (b) (c) [k] [s] *[s] electric electric–ity panick–ing 11 Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici critic critic–ism kick–ing mystic mystic–ism stick–y Spirantizzazione /t/ e /d/ diventano, risp., /s/ e /z/ prima di alcuni suffissi (b), ma non cambiano prima di altri (c): (a) (b) (c) [t/d] [s] *[s] pirate pirac–y pirat–ing president presidenc–y might–y conclude conclus–ive flight–y Riduzione trisillabica Una vocale accentata si abbrevia prima di alcuni suffissi bisillabici (b), ma non cambia prima di altri (c): (a) (b) (c) lunga breve lunga vain van–ity might–i–ly serene seren–ity teeter–ing divine divin–ity pirat–ing La spiegazione di questa asimmetria è che nella morfologia dell’inglese ci sono due tipi diversi di affissi: (a) (b) in-, -ity, -ic, -al, -ory, -ate, -ion, -ant, -th, ecc. un-, -ed, -(e)s, -ing, -ness, -ly, -ful, -ship, -hood, -ment, ecc. Gli affissi in (a) vengono denominati ROMANZI (latinate) perché per la maggior parte sono di origine (neo)latina; gli affissi in (b) vengono denominati GERMANICI (germanic) perché per la maggior parte sono di origine germanica. La denominazione è in parte convenzionale: ci sono alcuni affissi non in linea con la derivazione storica. Si tratta di due serie di affissi connessi a regole morfologiche diverse: le regole in (a) sono poco produttive e opache; le regole in (b) sono produttive e trasparenti. In altre parole, l’inglese ha due diverse grammatiche di parola (due diversi livelli morfologici), una che deriva dai prestiti del latino o del francese, l’altra nativa, di origine germanica, a cui corrispondono regole fonologiche (di pronuncia) diverse. LIVELLO 1 LIVELLO 2 in-, -ity, -ic, -al, -ory, ate, -on, -th, ecc. un-, -ed, -s, -ing, -ness, -ly, -ful, -ship, ecc. APOFONIA (passato verbi forti) composti ‘germanici’ UMLAUT (e altri plurali irregolari) composti opachi In conclusione, l’inglese è stato influenzato profondamente dal latino (e derivati) a tutti i livelli, lessicale, sintattico, morfologico e fonologico: è paradossale che venga considerato una minaccia alla “purezza romanza”. 2.2 Esterofilia vs. “ecologia linguistica” Una reazione altrettanto ingenua al contatto linguistico, sebbene opposta, è l’esterofilia linguistica, che si riflette nell’adozione di parole da una lingua sentita come prestigiosa, o Marco Svolacchia comunque connotata favorevolmente, di cui la lingua ricevente non ha un bisogno oggettivo, in quanto già dispone di parole equivalenti. Attualmente, in Italia (ma anche in altri Paesi) il fenomeno è rilevante e riguarda l’inglese, lingua che sembra avere, specie tra i giovani, una connotazione di modernità e prestigio. Seguono alcuni esempi di questi prestiti indebiti (nella colonna a destra si trova l’equivalente italiano “autoctono”; si noti la presenza emblematica di ‘jay’, il nome della lettera ‘j’ dell’alfabeto che presso alcuni giovani ha soppiantato il nome italiano): INGLESE ITALIANO management gestione mobility manager gestore della mobilità shuttle navetta gossip pettegolezzo “jay” “i lunga” Un aspetto che catterizza molti prestiti dall’inglese è la loro pronuncia immaginaria, in particolare per la posizione dell’accento principale (la colonna a sinistra riporta l’accentazione nella lingua di origine; quella a destra l’accentazione di fantasia, tipica di molti italiani; kolossal è una forma tedesca): colòssal (kolossàl) còlossal/kòlossal suspènce sùspence perfòrmance pèrformance Hallowéen Hàlloween Un altro aspetto ingenuo che caratterizza questi prestiti è la pronuncia ortografica (spelling pronunciation), per cui le parole inglesi non vengono pronunciate come dovrebbero, ma in base a come sono scritte: essendo l’ortografia inglese molto poco affidabile per risalire alla pronuncia di una parola, il risultato è una pronuncia di pura fantasia. Di seguito alcuni esempi (nella colonna a sinistra ricorrono le forme con pronuncia ortografica; in quella di destra ricorre la pronuncia inglese reale): matrix meitrix Titanic Taitænic under andə catering ceitering media midia bipàrtizan baipartizàn Si noti media, che è ambiguo: può essere il plurale di medium ‘mezzo’ (pronunciato media), un prestito dal latino, o può essere la forma abbreviata di mass media ‘mezzi di comunicazione di massa’ (pronunciato midia). L’ingenuità linguistica è tale che ricevono la stessa pronuncia anglofila anche parole di altra provenienza, come negli esempi seguenti, dei latinismi: medium ‘midium’ junior ‘giunior’ Che si tratti di moda linguistica è dimostrato da quelle parole che avevano una doppia pronuncia, alla francese o all’inglese, come negli esempi seguenti: FRANCESE INGLESE Canadà Cànada taxì (tassì) tàxi rallie ràlly 13 Lingue e linguaggio tra mito e realtà. Corso di sopravvivenza contro miti e pregiudizi linguistici La scelta tra le due varianti è legata alla fascia generazionale (maggiore l’età del parlante, maggiore la probabilità della pronuncia alla francese) e alla lingua straniera di imprinting (francese o inglese). La versione alla francese è ormai assente tra i giovani. La moda anglofila è stata estesa anche a parole di altra origine, che venivano pronunciare con l’accento sull’ultima sillaba, come Iràn, islàm, attualmente pronunciate dai più, e dai giovani in generale, come Ìran, ìslam. Persino cognomi italiani di tipo veneto, terminanti in consonante, tradizionalmente pronunciati con l’accento sull’ultima sillaba, subiscono la stessa sorte: p.e., Bènetton, Fùrlan, Còin. Neanche lo stesso francese si salva; molte parole vengono lette come fossero inglesi: p.e., dèpliant, mìgnon, Crème càramel, òmelette (si noti che alcuni pronunciano addirittura la consonante finale di dépliant, che è muta in francese); un altro noto esempio è stage ‘corso intensivo’, un prestito dal francese, pronunciato ormai dai più st[ei]ge, come si trattasse di un prestito dell’inglese, in cui esiste una parola con la stessa ortografia, ma con tutt’altro significato. La moda si estende a tutto ciò che vagamente potrebbe sembrare inglese; p.e., molti nomi tedeschi o di altre lingue germaniche vengono letti come fossero inglesi; un noto esempio è Michael, pronunciato [Maikl], Schumacher (l’ortografia identica per tedesco e inglese aiuta). Del repertorio cialtrone fanno parte parole pesudoinglesi, come footing, una pura invenzione (pare francese, ma adottata prontamente dagli italiani): il termine inglese per ‘corsa lenta’ è jogging. Un altro vezzo è di utilizzare dei prestiti dall’inglese al plurale col formativo dell’inglese, come in films, computers, che è un’evidente affettazione, in quanto i nomi che in italiano terminano in consonante (per lo più prestiti da altre lingue, latino letterario compreso) non sono declinati (p.e. un cactus/due cactus, non *cacti). Del resto, la pratica è assai incoerente: perché non viene allora estesa anche a forme come camion (i camions?), tram (i trams?); mouse (i mice/mouses?), blits (i blitser?), golpe (i golpes?)? Va anche detto che, per lo più, il formativo plurale viene scritto, ma non pronunciato (alla “francese”, ironicamente). Un’altra categoria di anglicismi è quella che passa attraverso i false friends (o faux-amis), parole di altre lingue di pronuncia simile, ma di diverso significato. In alcuni casi, il senso della parola inglese (o uno dei sensi) è entrata nell’uso italiano, aggiungendosi al significato originario o sostituendolo. Alcuni esempi: intrigante (nel senso di ‘interessante’, invece di ‘maneggione’); realizzare (nel senso di ‘rendersi conto’, invece di ‘creare’); educazione (nel senso di ‘istruzione/formazione’, invece di ‘buona condotta’). In altri casi, il false friend inglese ha sostituito la parola italiana con significato equivalente e forma simile (p.e., visuale, al posto di visivo o illustrato, come in dizionario visuale, invece di illustrato). Ci si potrà chiedere dove finisca la critica all’esterofilia lingustica e dove cominci il purismo linguistico. La risposta è che entrambi gli atteggiamenti sono reazioni ingenue al contatto linguistico (non esistono lingue inferiori, ma nemmeno lingue superiori). Per individuare il punto di equilibrio (potremmo parlare di “ecologia linguistica”) si può applicare ai prestiti il criterio che si applica ai tecnicismi, parole che non fanno parte del lessico comune, il cui uso dovrebbe essere motivato: andrebbero utilizzati quando sono specifici (= convogliano un significato inesistente nel lessico comune), non quando sono collaterali (= aggiungono un sinonimo “difficile” a una parola già esistente). Ecco alcuni esempi delle due categorie: TECNICISMI SPECIFICI COLLATERALI emicrania = *mal di testa deambulare = camminare dolo = *colpa incartamento = busta Marco Svolacchia 3 Stereotipi linguistici L’accento di fantasia introduce il caso degli stereotipi su lingue specifiche, concezioni erronee di una comunità linguistica o di un singolo parlante riguardo ad altre lingue. Normalmente, si basano su fraintendimenti che portano a ipergeneralizzare una singola proprietà di una lingua. Ecco alcuni esempi ricorrenti di stereotipi linguistici: ARABO: “accento sempre sull’ultima sillaba”:*Ahmèd, *Mohammèd, *Alì (Àhmed, Mohàmmed, Àli) FALSO: l’accento in arabo, come in italiano, può cadere sulle ultime tre sillabe. Lo stereotipo deriva probabilmente dal turco, lingua della nazione islamica più conosciuta in Occidente per secoli, in cui l’accento cade effettivamente sempre sull’ultima sillaba. INGLESE: “accento sulla prima sillaba”: *sùspence, *còlossal (suspènce, colòssal) FALSO: in inglese l’accento può, come in italiano, cadere sulle ultime tre sillabe. Lo stereotipo deriva probabilmente dal fatto che in inglese, in molte parole di origine latina, manca la sillaba finale (o le sillabe finali) a differenza dell’italiano, dando la falsa impressione di accentazione iniziale di parola (p.e., staziòne/stàtion, intelligènte/intèlligent; in realtà, in tutti gli esempi l’accento cade sulla penultima sillaba). TEDESCO: “solo consonanti sorde”: antiamo, pravo FALSO: come in italiano, in tedesco ci sono due serie di consonanti occlusive, sorde (/p, t, k/) e sonore (/b, d, g/), che però vengono pronunciate in modo diverso, utilizzando più la forza consonantica che la sonorità per differenziarle. All’inverso, a un orecchio tedesco l’italiano può suonare, erroneamente, come una lingua con tutte consonanti occlusive sonore. “LINGUE AFRICANE”: “solo consonanti sonore”: badrone, “io moldo gondendo” FALSO: nessuna lingua africana (in realtà, nessuna lingua del mondo) utilizza solo consonanti sonore. Lo stereotipo deriva con tutta probabilità dal fatto che in molte lingue del Nord Africa, arabo compreso, non esiste il fonema /p/ (storicamente diventato /f/); di conseguenza, quando un parlante di queste lingue deve pronunciate una parola di un’altra lingua che contiene /p/, l’adatterà come /b/ (p.e., petrolio corrisponde all’arabo bitruul). Anche qui un singolo fatto è stato ipergeneralizzato. Questo tratto è stato molto utilizzato al cinema anche per caratterizzare gli afroamericani, che nulla hanno a che fare coll’Africa settentrionale, nei vecchi film italiani o doppiati in italiano (p.e. Via col vento). Spesso, a questa caratteristica si accompagna la mancanza di forme grammaticali (p.e. l’ausiliare, come nel secondo esempio) e di flessione nel verbo (io volere…). Il tutto serve a conferire ai parlanti una connotazione di inferiorità, percepita in genere come comica. Si tratta di uno stereotipo decisamente razzista (del bovero negro). 15