Riassunto Integrato Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni PDF

Summary

Questo documento fornisce un riassunto integrato di psicologia del lavoro e delle organizzazioni, esplorando diversi approcci, come quello economico, delle differenze individuali e delle relazioni umane. Il documento analizza come le organizzazioni influenzano la motivazione, le prestazioni e le decisioni delle persone al loro interno, e come fattori come le differenze individuali, il posizionamento di rete e le relazioni interpersonali possano influenzare i risultati lavorativi.

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Psicologia del lavoro e delle organizzazioni CAP. 1 - LE ORGANIZZAZIONI E LA LORO PSICOLOGIA Le domande che nascono dall’analisi delle organizzazioni sono: - riducono la motivazione e la prestazione dei singoli o la rafforzano? - aiutano a prendere decisioni migliori o sono...

Psicologia del lavoro e delle organizzazioni CAP. 1 - LE ORGANIZZAZIONI E LA LORO PSICOLOGIA Le domande che nascono dall’analisi delle organizzazioni sono: - riducono la motivazione e la prestazione dei singoli o la rafforzano? - aiutano a prendere decisioni migliori o sono causa di decisioni più inefficaci? - il comportamento delle persone individuali è più o meno performante rispetto a quando si trova in gruppo? La performance non necessariamente rispecchia il benessere delle persone, e bisognerebbe avere una visione completa delle esigenze del gruppo. Che cos’è un’organizzazione? L’organizzazione è classicamente stata definita dalla letteratura economica e sociologica come “dispositivo sociale per raggiungere in modo efficiente, con mezzi di gruppo, qualche finalità ben definita”. Tuttavia, se ci sono organizzazioni con una struttura formale definita e finalità esplicite (es. industria, associazione), è vero che ci sono anche organizzazioni che hanno finalità implicite, quasi accidentali (es. famiglia). Katz e Kahn pensano l’organizzazione come un sistema sociale complesso regolato da: ruoli = posto particolare occupato da un individuo, che indica le funzioni che esso svolge i ruoli sono categorie, in quanto i singoli che li rivestono sono funzionalmente intercambiabili ed equivalenti norme = prescrizioni di atteggiamenti e comportamenti associati ai ruoli, che creano aspettative su azioni e condotte degli individui tendono ad essere definite esternamente (attraverso codici formali e informali di condotta) e poi interiorizzate dai singoli valori = principi di livello superiori che guidano i comportamenti, le norme e i ruoli ci sono valori generali e sotto-valori più specifici del ruolo Norme, ruoli e valori creano una specifica cultura organizzativa condivisa tra i membri dell’organizzazione. Questo sistema di ruoli, norme e valori esiste per qualche finalità e agisce per orientare le attività dei singoli in riferimento a quella finalità. Un’organizzazione può essere definita quindi come “gruppo sociale i cui membri sono differenziati riguardo alle loro responsabilità per il compito di raggiungere un obiettivo comune”. L’organizzazione può anche essere definita in termini identitari come: un gruppo con un’identità sociale (l’organizzazione ha significato psicologico per i membri) un gruppo coordinato (il comportamento dei membri è strutturato e pianificato) un gruppo in cui il comportamento è diretto ad un obiettivo In sintesi si può dire che qualsiasi gruppo, differenziato al suo interno e dotato di una finalità, che ha un impatto psicologico sui suoi membri è un’organizzazione (Turner e Haslam). E questo fa sì che le organizzazioni siano, ad esempio, anche squadre di calcio, classi, famiglie, la società intera… 1 Paradigmi di approccio allo studio delle organizzazioni e della loro psicologia ❖ APPROCCIO ECONOMICO - TAYLOR L’approccio economico si basa principalmente sulla teoria dello Scientific Management di Taylor o “taylorismo”: gli operai non devono apprendere come svolgere al meglio il loro lavoro con l’esperienza, l’addestramento o l’intuizione, ma sono i manager a dover creare una scienza per ogni elemento di lavoro dell’uomo, a dover scegliere in modo scientifico i lavoratori, a doverli istruire, e a dover assicurare che il lavoro venga svolto secondo i principi della scienza che è stata sviluppata. Secondo Taylor, i principali ostacoli delle organizzazioni sono il soldiering (battere la fiacca) e il loafing (pigrizia sociale) e gli operai delle fabbriche tendono a lavorare al di sotto delle loro capacità, principalmente per tre motivi: - gli operai sono spesso scelti male - i lavoratori sono scoraggiati dal fatto che ogni volta che gli obiettivi vengono raggiunti, questi vengono continuamente alzati - i soggetti mancano di ambizione e iniziativa quando sono in gruppo Quindi, propone un’ottimizzazione della produzione attraverso la scomposizione e la parcellizzazione dei processi di lavorazione. Questo processo prevede tre fasi: 1. analizzare le caratteristiche della mansione da svolgere 2. creare il prototipo del lavoratore adatto a quel tipo di mansione 3. selezionare il lavoratore ideale, al fine di formarlo e introdurlo in azienda Questo criterio è stato introdotto su vasta scala da Ford nel 1913 nella costruzione del modello T su base di catena di montaggio, e si è osservato che l’automobile veniva prodotta con 1,5 h in meno di tempo. Ford ha, così, dato via ad un sistema industriale ancora oggi ampiamente presente nella nostra società, che consente la produzione di massa di oggetti standardizzati. Lo scopo della catena di montaggio è ridurre al minimo i movimenti dell’operaio e costringere tutti a stare al ritmo del nastro trasportatore, riducendo i tempi di produzione. Da un punto di vista psicologico, un lavoro è definito oggettivante se: - parcellizzato - eterodiretto - ripetitivo e le conseguenze rilevanti a livello psicologico sono minore assertività, auto-oggettivazione, maggiore conformismo, incapacità di decidere autonomamente; a livello sociale si ha una giustificazione del sistema e a livello organizzativo coinvolgimento nel compito e produttività. I fattori protettivi sono: - consapevolezza di sé - significato del lavoro (se un lavoro significa molto per qualcuno, non si sentirà oggettivato) - supporto dei colleghi ❖ APPROCCIO DELLE DIFFERENZE INDIVIDUALI - MUNSTERBERG Munsterberg, padre della psicologia industriale, ha cercato di comprendere il ruolo delle variabili della personalità e delle variabili ambientali sulle prestazioni lavorative, cercando di capire in che modo gli psicologi potessero contribuire nella selezione del personale. 2 Secondo lui, è necessario: 1. comprendere i requisiti di ogni lavoro e le componenti psicologiche associate alla sua esecuzione efficace 2. sviluppare dei test psicologici che misurano l’attitudine di una persona ai campi rilevanti della vita organizzativa. Ad esempio, ha condotto studi su delle operatrici telefoniche della Bell Telephony Company nel New England e ha, prima, indagato le caratteristiche necessarie per svolgere bene questo lavoro (tanta memoria, attenzione ai dettagli, precisione, velocità, intelligenza), poi, esaminato le lavoratrici per stabilire il loro grado di abilità in ogni dominio attraverso vari test. I limiti della teoria sono: - natura soggettiva delle reazioni dei lavoratori al loro impiego: es. alcuni lavori oggettivanti possono essere percepiti come interessanti, mentre altri lavori molto stimolanti possono risultare noiosi - complessità data dall’appartenenza a gruppi: a differenza di Taylor, Munsterberg sostiene che i gruppi migliorano la performance del singolo, rafforzando la coscienza di solidarietà tra i lavoratori e il loro senso di sicurezza. Inoltre, la personalità di un individuo può essere facilmente inferita dalla sua appartenenza ad un gruppo e dalle caratteristiche di quel gruppo, in quanto il gruppo plasma l’individualità. Negli ultimi 80 anni, l’approccio metodologico proposto da Munsterberg è stato conservato e sviluppato, in quanto sul suo lavoro si basano i moderni test per la selezione del personale e la ricerca individualizzata dei manager. Personalità e network Tutt’ora ci sono vari tentativi per capire in che modo le variabili di personalità, a seconda della network position, si legano all’outcome prestazionale e lavorativo. In questa immagine, i pallini rappresentano le persone e le linee i legami tra le persone. Le connessioni che i soggetti hanno con gli altri possono essere definite come capitale sociale (Coleman): qualsiasi aspetto sociale in grado di creare un valore e facilitare le azioni degli individui all’interno della struttura sociale è considerato capitale sociale, ed è in linea con l’idea che siamo animali sociali e quindi gli altri ci facilitano la vita. Ci sono due misure: coesione (quanto l’interazione è reciproca) → fiducia, legami forti, maggiore sostegno brokerage (“ponte”) → poca ridondanza, accesso a nuove informazioni, novità 3 Teoria dei legami deboli di Granovetter (1973) STRONG TIES WEAK TIES PRO forti e frequenti legami emotivamente fanno da ponte con nuovi gruppi, carichi, che si esprimono su canali forniscono informazioni e risorse uniche diversi e offrono sostegno e aiuto CONTRO informazione ridondante legami deboli, meno di supporto → bonding social capital → bridging social capital indegree centrality = il numero dei legami in entrata che un individuo riceve dagli altri brokerage = il grado con cui un individuo è connesso a persone o a gruppi di persone che non sono connesse (between centrality/structural holes) Per quanto riguarda la personalità, una delle categorizzazioni più diffuse e resistenti è quella dei BIG FIVE, che propone 5 cluster di personalità: conscientiousness: puntualità, responsabilità, affidabilità agreeableness: collaboratività, convivialità, generosità, gentilezza, accoglienza emotional stability: equilibrio e salute mentale, resilienza, autostima, autoregolazione, sicurezza di sé, moderazione, resistenza alle situazioni di stress openness to experience: apertura verso il diverso, curiosità, tolleranza, creatività, immaginazione extraversion: assertività, ottimismo, socievolezza, leadership Self-monitoring = capacità di presentarsi in modo diverso a seconda della circostanza e di generare stati affettivi e psicologici appropriati alla relazione contestuale. A partire dall’idea di verificare la relazione tra variabili di personalità (big five + self-mentoring) e performance, per vedere se c’è un ruolo per posizionamento (indegree centrality o brokerage) in due tipi di NTW, si sono costruiti due modelli: Instrumental NTW (colleghi) 4 si nota che: - la conscientiousness ha un network diretto con la performance - il career success è previsto direttamente dall’estroversione - l’indegree prevede la job performance e il career success, e questo è associato a tutta una serie di altri variabili di personalità tra cui il self-monitoring - l’openness non fa nulla - la conscientiousness è legata in modo positivo al brokerage, ma questo non ha forti effetti né su performance né sul successo Expressive NTW (amici) si nota che: - il self-monitoring ha effetto sia sull’indegree che sul brokerage - l’openness ha un effetto negativo sull’indegree - l’extraversion è direttamente connessa al successo - la conscientiousness è direttamente connessa alla job performance ❖ APPROCCIO DELLE RELAZIONI UMANE - MAYO Mayo si concentra molto sulle relazioni che si instaurano tra le persone all’interno delle organizzazioni. Conduce i primi studi alla Hawthorne Works, in cui inizialmente usa i criteri proposti da Taylor (adattamento dell’ambiente alle necessità del lavoratore), ma senza risultato: aumentando i livelli di illuminazione, non ottiene alcun cambiamento nella produttività delle lavoratrici; mentre, dividendo in due gruppi le operaie e aumentando l’illuminazione solo in un gruppo o diminuendo addirittura l’illuminazione, osserva che la produttività aumenta in entrambi i gruppi. Lo stesso effetto viene ottenuto facendo finta di cambiare le lampadine. Questo è dovuto al cosiddetto “effetto Hawthorne”, ossia la modifica del comportamento dovuta alla partecipazione ad una ricerca, anziché alle manipolazioni effettuate dalla ricerca stessa. Conduce anche degli studi sulle addette ai filatoi di un’industria tessile di Filadelfia, in cui le filatrici hanno produzione bassa e turnover elevato. Inizialmente, introduce pause durante la giornata, per 5 contrastare l’affaticamento, dividendo le tessitrici in due gruppi (uno sperimentale e uno di controllo): osserva miglioramenti importanti in entrambi i gruppi e capisce che è dovuto al senso di gruppo che ha introdotto → l’intervento ha trasformato le lavoratrici solitarie in lavoratrici appartenenti ad un gruppo sociale con un obiettivo condiviso. Secondo Mayo, la vita organizzativa trasforma le differenze individuali in somiglianze di gruppo. Inoltre, anche la sensazione che quello che i lavoratori fanno sia importante, e che alla direzione non importi solo della produttività, ma anche dei loro sentimenti e lamentele, ha un ruolo fondamentale nell’auto-coinvolgimento nel lavoro e quindi nella produttività stessa. ❖ APPROCCIO COGNITIVO Negli anni ‘70 e ‘80 inizia ad esserci uno studio attento dei processi cognitivi, portando l’attenzione degli scienziati sugli aspetti di elaborazione delle informazioni, che poi vengono applicati all’ambito organizzativo. Si possono individuare tre modelli cognitivi di base: pensatore sociale come ricercatore di coerenza il soggetto mira a gestire e a dare un senso al proprio atteggiamento e alle proprie convinzioni, rendendoli tra loro coerenti → si cerca una coerenza tra elementi presenti pensatore sociale come scienziato ingenuo il soggetto cerca di spiegare i comportamenti in termini di fattori interni o esterni (es. un manager può cercare di giustificare le dimissioni di una dipendente come derivanti dal fatto che le mansioni non le si confacevano o come derivanti da qualcosa relativo al lavoro stesso) → si prende in considerazione il contesto e si dividono fattori interni del lavoratore e fattori esterni dell’ambiente pensatore sociale come economizzatore cognitivo il soggetto tende a fare attribuzioni interne per spiegare il comportamento di altri, attribuzioni esterne per spiegare il proprio comportamento (errore fondamentale di attribuzione) sembrava dovuto al fatto che l’essere umano deve prendere decisioni rapide e facili a discapito, talvolta, di decisioni giuste; in realtà, l’individuo è un percettore tattico motivato, che adotta strategie nell’elaborazione di informazioni oltre che un semplice “risparmio” cognitivo. 6 CAP. 2 - L’APPROCCIO DELL’IDENTITA’ SOCIALE Fin’ora: ➔ paradigma economico → contributo del lavoratore alle prestazioni complessive dell’organizzazione, parcellizzazione del lavoro e struttura per essere performanti ➔ paradigma delle differenze individuali → considerazione di fattori psicologici (test per trovare l’uomo giusto per il posto giusto) ➔ approccio cognitivo → aspetti legati al modo in cui si elaborano e processano le informazioni Si cerca di integrare il tutto con un approccio nuovo, che tenga conto sia di fattori individuali che sociali e che metta al centro l’appartenenza al gruppo come elemento definitorio delle organizzazione. Teoria dell’identità sociale L’identità sociale, teorizzata per la prima volta da Tajfel, è quella parte del concetto di Sé di un individuo che deriva dalla consapevolezza di appartenere a un gruppo (o a dei gruppi) sociale, unita al valore e al significato emotivo di tale appartenenza. Quindi, la teoria dell’identità sociale integra la teoria intergruppi (già individuata da Mayo) con un aspetto motivazionale, ossia il bisogno di avere un’identità sociale positiva (vedere il “noi” come diverso e migliore del “loro”). Concetti base: CATEGORIZZAZIONE → mettere in ordine gli oggetti per categorie è utile perché semplifica e organizza IDENTITA’ → le persone sono alla ricerca di un’identità sociale positiva DISTINTIVITA’ → minimizzazione delle differenze intracategoriali, massimizzazione delle differenze intercategoriali dato che l’identità sociale deve essere positiva, c’è la tendenza di attribuire al proprio gruppo elementi positivi CONFRONTO → deve essere pertinente ci si confronta con: - gruppi estranei percepiti simili per status e competenze - gruppi dissimili, a patto che vi sia percezione di illegittimità e/o instabilità di status Esperimento dei gruppi minimali L’esperimento vuole isolare la categorizzazione sociale dalle altre variabili e misurare la sua influenza sul comportamento intergruppi (si rimuovono storia, conflitto di interessi, ostilità, interazione tra membri, interesse personale, guadagno economico). Le persone vengono categorizzate sulla base di un criterio insignificante, ossia la preferenza tra Klee e Kandinsky, e si chiede loro di assegnare punti ai membri dell’ingroup e dell'outgroup, attraverso una matrice come questa: 7 La maggior parte delle persone tende a dare un punteggio che favorisca il proprio gruppo, creando distinzione tra gruppi, anche a scapito del massimo profitto per il proprio gruppo: le persone sono motivate più dall’aumentare il guadagno relativo rispetto all’outgroup che dal massimizzare il proprio guadagno assoluto ( → anche condizioni insignificanti sono sufficienti per attivare il favoritismo verso l’ingroup). Il conflitto tra questi risultati e quelli previsti da un modello di economizzatore cognitivo è molto evidente: qui non c’è razionalità né massimizzazione dei profitti. Questa teoria si applica perfettamente nelle organizzazioni, in cui la rilevanza della categorizzazione è dimostrata attraverso osservazioni nelle aziende. Ad esempio, in un’azienda produttrice di motori per aerei, durante una negoziazione, la preoccupazione principale dei lavoratori era mantenere i differenziali retributivi tra le varie categorie di dipendenti, anziché aumentare i propri guadagni in assoluto. Il favoritismo verso il proprio gruppo è modulato da: 1. grado di appartenenza: più è importante il senso di identità, più si agisce per favorire il gruppo 2. rilevanza del confronto: maggiore è la rilevanza del confronto, più si tende a favorire il gruppo 3. status (alto o basso) 1. Il comportamento può essere rappresentato come un continuum tra comportamento interpersonale (dettato dalle motivazioni dell’individuo in quanto individuo) e comportamento intergruppi (dettato dall’appartenenza sociale), e l’attivazione di questi due tipi di comportamento dipende dalla salienza dell'identità sociale: ➔ se è bassa, si attiva un comportamento interpersonale = il sé è uno tra i tanti diversi da lui, quindi ci si relazione tra persone e si percepisce eterogeneità nel gruppo (non esiste l’outgroup quindi non si attiva la categorizzazione) ➔ se è alta, si attiva un comportamento intergruppo = si percepisce l’outgroup come più omogeneo (Outgroup homogeneity effect) e viene trattato in modo uniforme, standardizzato, in quanto ci si aspetta che i membri dell’outgroup siano aderenti ad un certo prototipo; l’ingroup, invece, mantiene una certa eterogeneità Il punto in cui gli individui si collocano lungo questo continuum dipende dall’interazione tra: fattori sociali = caratteristiche oggettive del mondo fattori psicologici = interpretazione dell’individuo sul mondo Gli elementi chiave di questa prospettiva sono le credenze sulla struttura sociale, che si trovano su un altro continuum tra un’ideologia di mobilità sociale e un’ideologia di cambiamento sociale: ➔ mobilità sociale (risposta individuale) deve esserci un sistema flessibile e permeabile che la permette le persone cercano di passare da un gruppo ad uno migliore, cercando il proprio vantaggio personale e facendo i propri interessi attraverso una strategia personale, talvolta anche a scapito degli altri 8 ➔ cambiamento sociale (risposta collettiva) avviene in un sistema sociale rigido e impermeabile le persone cercano di migliorare le condizioni negative o di conservare le condizioni positive del proprio gruppo attraverso una strategia di gruppo 3. Lo status di una persona o di un gruppo porta a strategie differenti nella ricerca di un’identità positiva, e questo meccanismo dipende da: la percezione dei confini di gruppo come permeabili o impermeabili la posizione del gruppo nel confronto, come posizione stabile e sicura o come instabile e insicura Es. I dipendenti di un’azienda che sta acquisendo un concorrente più piccolo possono vedere i confini del gruppo come permeabili e le relazioni di stato come irrilevanti (posizione stabile e legittma), mentre i dipendenti dell’azienda che viene acquisita percepiranno impermeabili i confini e insicuro lo status relativo della loro azienda. Come rispondere al cambiamento organizzativo? Tajfel e Turner individuano tre strategie fondamentali di auto-accrescimento: MOBILITA’ INDIVIDUALE - confini permeabili (→ associata a credenze nella possibilità di mobilità sociale) = passaggio di individui da uno strato sociale all’altro o da una posizione all’altra, che può essere di classe, ceto o stato es. avanzamento individuale di carriera ottenendo un titolo di studio più alto COMPETIZIONE SOCIALE - confini impermeabili e relazioni di status instabili ( → associata a credenze nel cambiamento sociale) = un gruppo cerca il carattere distintivo positivo attraverso la concorrenza diretta con l’outgroup sotto forma di favoritismo all’interno del gruppo es. i disabili che percepiscono l’esistenza di barriere al loro progresso nel lavoro possono immaginare una situazione migliore agendo collettivamente per modificare le loro condizioni affrontando l’outgroup CREATIVITA’ SOCIALE - confini impermeabili e relazioni di status stabili ( → associata a credenze nel cambiamento sociale) = si confronta il gruppo con l’outgroup in una nuova dimensione, cambiando il termine di paragone o scegliendo un outgroup alternativo che faccia vincere il confronto es. i rappresentanti di un’azienda con una quota di mercato ridotta possono cercare di confrontarsi con un’azienda più grande su una nuova dimensione (es. “siamo più creativi”) 9 Strategie per gruppi di basso status Strategie per gruppi di alto status *Magnanimità rispetto a dimensioni irrilevanti = tokenism: pratica che consiste nel fare piccole concessioni ai gruppi di minoranza per evitrare accuse di discriminazione. 10 Teoria della categorizzazione del Sé La teoria dell’identità sociale, però, non spiega bene la relazione tra identità personale e sociale, né quali meccanismi cognitivi spingono le persone a definirsi come membri di un gruppo, né in che modo l’identità sociale permette azioni sociali coordinate. E tutto questo è stato sviluppato da Turner attraverso la Teoria della categorizzazione del Sé. Secondo Turner, il funzionamento del concetto di sé è il meccanismo cognitivo che sta alla base del continuum comportamentale (interpersonale-intergruppi) descritto da Tajfel; inoltre, la stessa concezione che l’individuo ha di sé può essere definita lungo un continuum tra identità personale e identità sociale. I processi psicologici alla base dell’attivazione dell’identità sociale sono auto-stereotipizzazione e de-personalizzazione: passando da “Io” a “Noi” si perde una parte del concetto di Sé personale e si guadagna una serie di elementi che sono parte del contenuto del gruppo di riferimento (stereotipo). L’identità personale vede il Sé come elemento isolato dagli altri, e quindi mantiene la propria individualità. L’identità sociale vede somiglianza con gli altri membri del gruppo, quindi diventa meno rilevante l’apporto individuale e più saliente la definizione collettiva. Questo porta a una ridefinizione cognitiva del concetto di Sé, dagli attributi unici e le differenze individuali all’appartenenza condivisa ad una categoria sociale e agli stereotipi ad essa associati, ed è proprio questa ridefinizione a mediare il comportamento di gruppo. Il processo di categorizzazione del sé La categorizzazione del sé ha un ruolo fondamentale nella percezione e nel comportamento sociali. Ci sono 5 ipotesi fondamentali sul funzionamento del processo di categorizzazione del sé: le rappresentazioni cognitive del sé assumono la forma della categorizzazione del sé = il sé è visto come membro di una particolare classe/categoria 11 le categorie del sé e degli altri stanno a livelli di astrazione diversi, e i livelli più alti sono più inclusivi; quando uno di questi livelli di categorizzazione diventa più importante, diventa meno importante la categorizzazione ad altri livelli (antagonismo funzionale) la formazione e la salienza di una categoria del sé sono determinate dal confronto degli stimoli a un livello di astrazione più inclusivo (principio del metacontrasto) → la categorizzazione ha esiti diversi a seconda delle differenze relative offerte dal contesto di confronto il metacontrasto non è solo un determinante di quali categorie i soggetti usano, ma anche della struttura interna di quelle categorie, che sono strutturate in maniera graduata (alcuni individui sono percepiti come più rappresentativi o prototipici di un gruppo, anche in relazione al confronto con altri gruppi) la rilevanza di una categorizzazione porta ad accentuare le somiglianze intraclasse e le differenze interclasse Altri fattori che determinano la salienza della categoria sociale sono: FIT comparativo (definito dal principio del metacontrasto) → un individuo tende a definirsi in termini di una particolare categoria del sé quando percepisce come minori le differenze fra i membri di quella categoria rispetto alle differenze tra quella categoria e altre categorie rilevanti in quel contesto FIT normativo → un individuo rappresenta insiemi di persone come membri di categorie distinte se la natura delle loro differenze è coerente con le aspettative che l’individuo ha rispetto alle categorie (prototipicità) prontezza del soggetto (accessibilità) la categorizzazione dipende dall’insieme preesistente di aspettative, obiettivi e teorie dei soggetti, che derivano dalla loro appartenenza a un gruppo e dai loro incontri nel gruppo: ci sono categorie maggiormente accessibili perché più salienti in base al contesto o perché più cronicamente accessibili → In sintesi… nelle organizzazioni si può osservare l’interdipendenza tra la cognizione individuale e il contesto sociale, definito da dimensioni strutturali, comparative e normative i processi di categorizzazione del sé sono mediatori critici tra i contesti organizzativi e il comportamento organizzativo si può agire sugli ingroup bias attraverso processi di ricategorizzazione (ma con molti limiti) 12 CAP. 3 - LEADERSHIP La leadership è comunemente intesa come il processo attraverso cui si influenzano gli altri in un modo che potenzia il loro contributo alla realizzazione degli obiettivi del gruppo. Invece, l’approccio dell’identità sociale la considera una proprietà del gruppo, più che dell’individuo preso isolatamente. Approcci alla leadership ❖ APPROCCI A FATTORE SINGOLO Gli approcci più diffusi hanno cercato di stabilire in che misura la leadership di successo sia il prodotto di: caratteristiche specifiche del leader caratteristiche della situazione in cui le qualità del leader emergono una combinazione di questi elementi In particolare: Approcci alle caratteristiche individuali Le prime teorie sostengono che il leader si distingue dai followers per alcune caratteristiche intellettuali e sociali (es. intelligenza, intuizione, immaginazione), e per questo sono più portati a dirigere e gestire rispetto agli altri. Un esempio è la Teoria del Grande Uomo, secondo cui i leader (maschi) si distinguono dai loro adepti (e da tutte le donne) per la loro intrinseca grandezza. Una leggera variante è quella di cercare di individuare il leader non attraverso le sue caratteristiche, ma attraverso le sue azioni. Attraverso uno studio di Fleishman, sono stati individuati due comportamenti fondamentali per la leadership: - considerazione = disponibilità di prendersi cura degli interessi e del benessere dei followers e la disponibilità a fidarsi e a rispettarle - interesse a dare origine a una struttura = capacità di definire e strutturale i ruoli tenendo d’occhio il raggiungimento dell’obiettivo Il Leadership Behaviour Description Questionnaire (LBDQ), attraverso questionari relativi alle azioni che il soggetto metterebbe in atto in determinate situazioni, distingue due stili di leadership: - orientato al compito → capacità di definire i ruoli all’interno del gruppo per il raggiungimento degli obiettivi comuni - orientato alle relazioni → attenzione del leader al benessere, alla fiducia e al rispetto dei followers Approcci situazionistici L’efficacia della leadership è determinata dalle caratteristiche del contesto in cui i leader operano: i leader mostrano una leadership se sono in grado di soddisfare le esigenze di un gruppo in un determinato momento. ❖ APPROCCI DELLA CONTINGENZA La leadership è un prodotto interattivo delle caratteristiche personale e delle caratteristiche della situazione. 13 Secondo il Modello della Contingenza di Fiedler, la leadership efficace è il prodotto della corrispondenza delle caratteristiche della leadership (orientata alle relazioni o al compito) con le caratteristiche del contesto e della situazione (qualità relazionali, potere, struttura del gruppo). Lo stile di leadership di una persona si stabilisce chiedendole di identificare caratteristiche del collaboratore meno preferito (LPC, Least-Preferred-Coworker) rispetto ad una serie di dimensioni come teso-rilassato, noioso-interessato); le valutazioni risultanti sono usate per distinguere quanti descrivono un determinato collaboratore in modo negativo e quanti in modo positivo. In genere, gli individui con punteggi elevati sono orientati alle relazioni, mentre quelli con punteggi bassi sono più orientati al compito. Partendo da questa distinzione, quindi, è evidente che l’efficacia dei due stili di leadership può variare sulla base delle situazioni: - il leader orientato al compito è efficace quando le caratteristiche delle situazioni sono tutte favorevoli o tutte sfavorevoli - il leader orientato alle relazioni è efficace in situazioni intermedie ❖ APPROCCI TRASFORMAZIONALI E TRANSAZIONALI Viene introdotto il concetto di carisma (e quindi di leadership carismatica): il carisma è una cosa conferita ai leader dai loro seguaci → gli approcci trasformazionali sottolineano che la capacità di attrarre l’attenzione dei follower non è intrinseca del leader, ma un’attribuzione che i follower fanno sul leader. Teorie più recenti, in realtà, adottano un approccio molto basato sui tratti, ipotizzando che i leader carismatici siano quelli le cui qualità personali rendono efficaci. Sebbene il concetto di carisma sia indefinito, i leader carismatici hanno successo perché possono trasformare i followers migliorando la loro autostima, il loro concetto di sé e la loro capacità di contribuire all'obiettivo comune: il leader riesce a ridefinire le norme e gli obiettivi di gruppo, e a trasformare comportamenti e atteggiamenti dei seguaci. Il metodo proposto per raggiungere una buona leadership è detto Metodo delle Quattro I: considerazione Individualizzata → ogni follower è valorizzato individualmente influenza Idealizzata → ispira fiducia, ha coerenza, segue un’etica, ha autorevolezza motivazione Ispirazionale → portare una visione che ispira i followers e alza il livello di aspirazione personale stimolazione intellettuale → dare spazio alla creatività e alla crescita Gli approcci transazionali sostengono che la base della leadership non sia nelle qualità dell’individuo in sé, ma nella qualità delle relazioni tra leader e followers: la leadership efficace nasce, quindi, da una massimizzazione dei benefici reciproci tra leader e follower. Hollander fa un’importante considerazione, ossia che senza followers dediti non esistono leader di successo, e quindi sono i followers che convalidano e conferiscono il potere al leader, svolgendo un ruolo fondamentale nel processo di leadership. In particolare, secondo Hollander, il leader conquista il rispetto dei followers accumulando credito idiosincratico, ossia “punti” psicologici che autorizzano il leader a portare il gruppo verso nuove direzioni. 14 La teoria percorso-obiettivo di House, una teoria trasformazionale alla leadership, sostiene che l’efficacia della leadership risiede nella capacità di identificare e fornire il percorso per la soddisfazione degli obiettivi dei followers, al contempo garantendo che quegli obiettivi siano compatibili con quelli del gruppo (conciliazione obiettivi personali e obiettivi collettivi). A partire da questi approcci, è possibile affermare che l’efficacia della leadership non è completamente sotto il controllo del leader, ma che alcuni fattori possono fungere da: - sostituti della leadership → facilitano la leadership al punto tale che la rendono non necessaria es. elevata coesione di gruppo, orientamento professionale tre i followers, compito è intrinsecamente motivante - neutralizzatori della leadership → minano l’efficacia della leadership es. indifferenza organizzativa, scarso potere del leader ❖ APPROCCIO DELLA CATEGORIZZAZIONE La Teoria della categorizzazione della leadership di Lord sostiene che l’efficacia di un leader è determinata soprattutto dalle percezioni che gli altri hanno del leader, e che queste sono basate principalmente su prototipi di leadership costanti e preformati (che, analogamente agli stereotipi, danno una serie di aspettative riguardo i tratti e i comportamenti appropriati di un leader). La leadership è quindi definita come il processo con cui si è percepiti da altri come leader e il suo successo è legato alla capacità di incarnare le aspettative dei suoi followers. Dato che a domini diversi sono associate aspettative diverse, la mobilità del leader è limitata e la leadership è strettamente connessa al contesto. Questo approccio riconosce che la leadership è qualcosa che i followers conferiscono al leader, e, inoltre, riconosce il suolo della categorizzazione in questo processo; tuttavia, sostiene ancora l’idea che i leader siano individui con caratteristiche specifiche e invarianti che li rendono capaci di avere successo in particolari attività. Leadership e genere Le donne hanno difficoltà ad ascendere al potere perché non hanno le caratteristiche che in genere vengono attribuite stereotipicamente ai leader. Lo stile di leadership orientato al compito è più maschile, mentre quello delle donne è per lo più orientato alle relazioni. Le donne, quando assumono posizione di leadership, adottano con più probabilità lo stile trasformazionale. Identità sociale e leadership La teoria della categorizzazione del sé concettualizza il leader (membro del gruppo che è probabile eserciti l’influenza maggiore) come prototipo dell’ingroup, che, in quanto tale, ricapitola al meglio la categoria sociale di cui è un membro. A differenza dell’idea di Lord, in cui la prototipicità era considerata una proprietà costante di una data categoria, in questo caso la prototipicità è considerata un tratto variabile della definizione della categoria sociale nel contesto. 15 La variabilità della prototipicità segue il principio del meta-contrasto (a seconda della situazione e del gruppo di confronto, la necessità di un leader o di un altro varia), il principio del fit normativo e l’inclinazione a usare una categoria. Anche le questioni socio-strutturali relative al potere legittimo e a un’autorità formale svolgono un ruolo importante. Quindi, le proprietà del leader associate alla variazione non derivano da qualità intrinseche alla persona in quanto individuo (personalità e stile personale), ma da caratteristiche dell’individuo in quanto rappresentativo di una categoria sociale definita in base al contesto. L’emergere di un leader non è un processo passivo, ma, anzi, il leader è un costituente attivo del gruppo che simultaneamente definisce il gruppo e è definito dal gruppo. Quindi, per esercitare influenza e avere successo, i leader devono essere “imprenditori di identità”, che possono risultare più prototipici ristrutturando il contesto sociale che definisce il gruppo, e rafforzare la propria posizione dando sostegno alla retorica del “loro e noi” con atti di ostilità verso l’outgroup (strategia della violazione dell’outgroup alla ricerca di approvazione). Da varie ricerche emerge che i leader con posizioni non stabili all’interno del gruppo sono più propensi a impegnarsi in un conflitto intergruppi rispetto a leader con posizioni sicure. Dunque, si può affermare che senza un’identità sociale condivisa non ci può essere la leadership, che quindi non può dipendere solo dalle caratteristiche personali del leader, bensì la sua nascita dipende ampiamente dalle attribuzioni che i followers fanno sul leader. Nel caso del leader carismatico, il carisma non è un tratto di personalità dell’individuo, ma un prodotto del processo di categorizzazione del sé e della relativa definizione del gruppo e del suo leader nel contesto: la leadership viene conferita dai followers e il carisma è un’espressione della dinamica leader-gruppo, come percepita dai followers in uno specifico contesto sociale. Prototipicità ed emergere del leader In uno studio è stato chiesto a degli studenti di identificare le caratteristiche desiderabili di leader nello sport, negli affari e in campo nazionale, in due condizioni: condizioni standard dopo aver riflettuto sulla propria identità nazionale Questa manipolazione ha influenzato in che misura il patriottismo fosse percepito come una qualità importante per i vari tipi di leader: ➔ condizioni standard → il patriottismo era considerato molto più importante per i leader nazionali che per quelli sportivi o aziendali ➔ condizione di salienza dell’identità nazionale → il patriottismo era visto come ugualmente importante per tutti e tre i tipi di leader Emerge dunque che non esistono delle caratteristiche che un buon leader deve avere in assoluto, ma queste variano in base al contesto. In un esperimento, Burton ha esaminato come variava la scelta di un leader da parte dei membri del gruppo a fronte di differenti compiti intergruppi. 16 1. Nella prima fase, degli studenti, divisi in gruppi da 4, completavano un finto questionario che serviva a identificarli come “idealisti” o “pragmatici” 2. Poi i partecipanti venivano informati che avrebbero avuto una discussione con un altro gruppo, che poteva essere: - estremamente favorevole all’autorità e pragmatico - contrario all'autorità e idealista 3. In seguito i partecipanti guardavano un video in cui questo outgroup discuteva una serie di questioni relativi a delitti e pene 4. Poi, prima di prendere parte anche loro alla discussione, dovevano eleggere un leader (scoprendo prima quali fossero le loro idee e poi prendere una decisione di conseguenza), e per fare questa attività venivano messi in stanze separate 5. Ognuno doveva completare dei documenti costruiti in modo che ognuno tendesse a dare risposte idealistiche se i partecipanti erano stati assegnati a un gruppo idealista, o pragmatiche se il gruppo era pragmatico 6. Poi ognuno riceveva feedback (falsi) dagli altri tre membri dell’ingroup, che facevano pensare che ci fossero delle differenze tra i membri del gruppo rispetto al grado in cui erano idealisti o pragmatici: ad esempio, i partecipanti assegnati al gruppo pragmatico, pensavano che nel gruppo ci fosse un partecipante estremamente pragmatico, uno moderatamente pragmatico e uno solo leggermente pragmatico 7. Si chiedeva ad ognuno di dare dei voti agli altri membri, e la persona che avesse ottenuto voti più alti sarebbe stata eletta leader Dai risultati emerge che i partecipanti al gruppo idealista davano al candidato estremamente idealista più voti quando dovevano incontrare un gruppo pragmatico, rispetto a quando dovevano incontrare un gruppo idealista (e addirittura in questa situazione l’estremista otteneva il minimo dei voti). Questo indica che quando i soggetti affrontavano un outgroup diverso, era più probabile che votassero per il candidato che massimizzava la differenza tra le categorie, ossia il candidato più rappresentativo delle qualità distintive del gruppo nell’incontro previsto tra i gruppi. Identità sociale condivisa come collegamento tra visione del leader e azioni dei follower Platow ha condotto una ricerca in cui ha osservato come i membri di un gruppo rispondono ai leader che distribuiscono giustizia in modi diversi. Inizialmente i membri del gruppo dovevano indicare il loro sostegno per un leader che era stato osservato distribuire compiti ad altre persone, alcuni facili e interessanti, altri difficili e noiosi: le assegnazioni erano eque quando il leader dava due compiti facili e due difficili ad altrettante persone, non eque se una persona doveva svolgere 4 compiti facili e l’altra 4 difficili. Dai risultati si osserva che: ➔ quando entrambi i riceventi erano membri dell’ingroup (contesto intragruppi), i partecipanti preferivano la giustizia, ossia preferiscono il leader quando assegna le attività in modo equo ➔ quando uno dei riceventi era un membro dell’outgroup (contesto intergruppi), non emerge una preferenza significativa per la correttezza 17 Dunque, se in contesti intragruppo i membri del gruppo preferiscono leader corretti dal punto di vista procedurale e distributivo, nei contesti intergruppo questa attenzione alla correttezza viene attenuata se non addirittura ribaltata. In un altro studio di Platow, i partecipanti dovevano giudicare dei leader che avevano distribuito i fondi per la partecipazione a un convegno o tra membri dell’ingroup o tra un membro dell’ingroup e uno dell’outgroup. Inoltre, c’era un gruppo di controllo in cui i partecipanti non appartenevano a nessuno dei gruppi a cui venivano assegnati i fondi. Dai risultati emerge che quando i partecipanti non avevano alcun interesse di gruppo nella decisione del leader, non diminuiva la loro attenzione alla correttezza nei contesti intergruppi (cioè quando un leader mostrava favoritismo per l’ingroup), e questo indica che, quando i partecipanti approvano leader che favoriscono l’ingroup, non dipende solo da una preferenza generale per i leader che mostrano fedeltà al proprio gruppo, ma dal fatto che la fedeltà fosse mostrata nei confronti del gruppo dei partecipanti. In un terzo studio, Platow ha esaminato in che misura i leader corretti e non corretti da un punto di vista distributivo sono in grado di esercitare influenza positiva sui membri del gruppo. Si diceva ai partecipanti che l’amministratore di un ospedale doveva assegnare i tempi di uso di un’apparecchiatura per la dialisi o a due membri dell’ingroup o a un membro dell’ingroup e a uno di un outgroup. Inoltre, mentre indicava come dovessero essere assegnati i tempi d’uso, il leader esponeva anche le sue idee sull’appropriatezza dei memorandum interni come mezzo per informare i dipendenti sulla politica dell’ospedale. Dai risultati emerge che, nel contesto intergruppi, i partecipanti preferiscono un leader non corretto a uno corretto (favoritismo verso l’ingroup). Inoltre, è più probabile che i partecipanti allineassero le loro idee personali sulla questione del memorandum a quelle del leader se questo era corretto nel contesto intragruppi e non corretto nel contesto intergruppi. Anche da altri studi è emerso che la storia del comportamento di un leaders verso l’ingroup e la misura in cui quel comportamento afferma un’identità sociale condivisa hanno un ruolo importante nella decisione dei follower di sostenere una nuova idea del leader: in particolare, il sostegno per il leader equo è di breve durata e poco sentito, mentre il sostegno per il leader che afferma l’identità è molto più forte e duraturo. Dunque, incarnare l’identità dell’ingroup influisce direttamente sulla capacità del leader di mostrare una vera leadership, ossia sulla capacità di aumentare il contributo dei follower agli obiettivi del gruppo (e questo non dipende dalle caratteristiche del leader in sé, ma da una corrispondenza tra il suo comportamento e le esigenze del gruppo, che varia con il contesto). Differenziazione tra leader e follower e prestazioni di gruppo Worchel ha osservato un processo per cui l'identificazione del gruppo porta alla produttività del gruppo, ma è poi seguita dall’individualizzazione e, alla fine, dal decadimento del gruppo: mentre il gruppo raggiunge i suoi obiettivi, i membri distolgono l’attenzione dai bisogni del gruppo e la 18 rivolgono ai propri bisogni personali, amplificando le differenze tra loro e gli altri membri del gruppo e rendendo il gruppo meno saliente, fino al suo decadimento. Questo può essere un motivo per cui gli stili di leadership democratici e partecipativi porano a migliori esiti rispetto a quelli che impongono i valori del leader al gruppo o non impongono alcun valore. Infatti, in uno studio di Lippitt e White, i leader di gruppi in un club maschile adottano uno fra 3 stili di leadership: democratico = coinvolge tutti i membri nei processi decisionali e favorisce contributi diversi autocratico = impartisce ordini e muove critiche personali laissez-fare = lascia il gruppo a sé, senza alcun input Si osserva che i gruppi guidati democraticamente sono più coesi e armoniosi rispetto agli altri, ed è anche più probabile che continuino a svolgere volontariamente l’attività di gruppo quando il leader esce dalla stanza. Per lo stesso motivo, la selezione sistematica del leader, in cui i singoli membri del gruppo competono per il ruolo di leader, peggiora le prestazioni del gruppo in quanto intensifica la rivalità interpersonale. Infatti, in una serie di studi, Haslam e McGarty hanno esaminato le conseguenze della selezione sistematica e della selezione casuale del leader su due indici della produttività del gruppo (raggiungimento dell’obiettivo di gruppo e mantenimento o rafforzamento del gruppo). Ai partecipanti, divisi in piccoli gruppi, si chiedeva di attribuire una priorità a elementi da salvare in una situazione di sopravvivenza: 1. sopravvivenza invernale = aereo caduto in una zona di ghiacci disabitati 2. a piedi nel deserto = autobus capovolto nel deserto Si manipolava il metodo di selezione della leadership su tre livelli: casuale = il leader era la persona con il primo cognome in ordine alfabetico informale = i gruppi decidevano tra loro il leader formale = il leader veniva scelto dopo che tutti i membri avevano completato un questionario di selezione della leadership Due variabili corrispondevano agli indici di produttività del gruppo: qualità della strategia di sopravvivenza decisa dal gruppo → raggiungimento dell’obiettivo quanto la strategia decisa alla fine dai singoli deviava dalla precedente decisione del gruppo → mantenimento del gruppo (più devia, più è basso il mantenimento) Dai risultati emerge che: ➔ i gruppi prendono decisioni se il leader viene scelto a caso ➔ i gruppi mostrano un migliore mantenimento del gruppo se il leader viene scelto a caso ➔ sia i leader, sia i follower, percepiscono il processo di selezione casuale insoddisfacente, inefficace e non legittimo (nonostante porti ad esiti migliori), e questo è probabilmente dovuto ad aspettative stereotipiche su come il leader debba essere scelto e debba comportarsi. Questi stereotipi svolgono varie funzioni sociali: - differenziano i leader, che si suppongono esperti, dai followers - spiegano il trattamento differenziale e il rispetto attribuito ai leader - giustificano questo trattamento speciale 19 Tuttavia, talvolta la scelta di un leader potrebbe essere vantaggiosa, ad esempio quando il gruppo: a. ha un obiettivo comune b. è incline e capace di comportarsi in modo democratico (decisioni collettive, condivisione di lavoro e responsabilità, etc) c. ha già un forte senso di identità sociale condivisa senza che sia stato nominato un leader L’identità condivisa, inoltre, viene minata quando si percepisce che i leader ricevano gratificazioni che li differenziano dai loro follower. Hollander ha osservato che la differenza tra i membri meglio remunerati e quelli peggio remunerati è negativamente correlata con le prestazioni dell’organizzazione, e quindi la remunerazione dei dirigenti è raramente associata alle prestazioni dell’organizzazione. Haslam, Brown, McGarty e Reynolds hanno condotto uno studio che manipolava la posizione dei singoli (leader o follower) e le ricompense che ciascun membro del gruppo si aspettava in conseguenza al suo contributo all’attività del gruppo: i followers ricevevano sempre 3 punti, mentre i leader ricevevano, in tre diverse condizioni sperimentali, 3, 6 o 9 punti. Dopo aver comunicato la particolare struttura di ricompense, si chiedeva ai partecipanti di indicare il loro impegno nei confronti del gruppo e della sua attività, rispetto a una serie di variabili misurate, che si riferivano a due fattori: le emozioni dei singoli rispetto alla leadership del gruppo (importanza percepita del leader e della scelta) i sentimenti relativi al gruppo (quanto impegno fossero disponibili a dare per contribuire al raggiungimento dell’obiettivo del gruppo) Dai risultati emerge che: ➔ la leadership è considerata più importante dai leader che dai follower ➔ i follower sono meno inclini a impegnarsi per il gruppo maggiore è la differenza tra leader e follower nelle ricompense ➔ anche se le ricompense del leader cambiano molto tra l’una e l’altra condizione, i loro sentimenti cambiano pochissimo Quindi, gli incentivi personali ai leader non sono utili per attrarli e motivarli, ma piuttosto demotivano i followers. Conclusioni ★ il successo della leadership dipende dal contesto sociale, che influenza ruoli, caratteristiche e qualità ★ il comportamento e il suo significato/valore è determinato dal gruppo, dalle relazioni all’interno del gruppo e dalle relazioni che il gruppo ha con altri gruppi presenti nel contesto ★ i leader efficaci sono capaci di ri-definire l’identità del gruppo: incarnano e modificano gli interessi sociali basati sull’identità che condividono con i membri del gruppo ★ la leadership è un processo di mutua influenza che costruisce il senso condiviso dell’appartenenza al gruppo (la followership determina l’esistenza della leadership) 20 21 CAP. 4 - MOTIVAZIONE E COMMITMENT Approcci alla motivazione I principali approcci teorici teorici sono: APPROCCIO ECONOMICO - SCIENTIFIC MANAGEMENT (TAYLOR) I lavoratori sono svogliati e non motivati (inerzia sociale), l’unica cosa che li spinge al lavoro è il guadagno, e quindi se vengono pagati a ore producono il meno possibile e se sono lasciati da soli rallentano sempre di più. La soluzione sarebbe quella di pagare a cottimo: pagare per l’output, con il fine di ottenere il prodotto. Limiti: - non c’è corrispondenza 1:1 tra fattore economico e incentivo (è poco probabile che qualcuno lavori molto più duramente se viene pagato 10 milioni piuttosto che 2) - ci sono cose che le persone non farebbero mai, indipendentemente dalla retribuzione - molte persone lavorano senza ricevere nulla in cambio (es. volontari) - non c’è proporzionalità diretta tra stipendio e impegno - le persone in genere percepiscono la ricompensa finanziaria come un aspetto del proprio impiego meno importante di altri elementi come sicurezza, soddisfazione, rispetto, autostima… APPROCCIO DEI BISOGNI E DEGLI INTERESSI McGregor critica la teoria economica (teoria X), in quanto pessimista e troppo legata agli aspetti più basici dei bisogni, e la contrappone ad una teoria Y: TEORIA ECONOMICA (TEORIA X) TEORIA Y - le persone vogliono evitare il lavoro - le persone tendono ad impegnarsi - le persone devono essere costrette a lavorare spontaneamente e fare fatica è una delle attività duramente, sennò non lo fanno naturali dell’essere umano - la maggior parte delle persone cerca in un - c’è una normale tendenza all’autocontrollo per impiego poco più di una vita facile priva di raggiungere gli obiettivi personali interessi, sfide o responsabilità - le persone tendono a cercare impieghi rilevanti per il sé e responsabilità; inoltre, hanno ingegno, intelletto, idee e sono pronte ad esprimerle Piramide dei bisogni - Maslow 22 Nella piramide i bisogni sono messi in ordine dai più concreti e basici (fisiologici), a quelli più elevati e astratti. Garantiti quelli basici, le persone possono preoccuparsi di quelli superiori. Tuttavia, ci sono persone che lavorano per motivi altri, a scapito anche di sicurezza e bisogni fisiologici (es. medici senza frontiere). Bisogni egoistici - McGregor McGregor distingue due tipi di bisogni egoistici: ➔ bisogno di autostima → visione del sé positiva: fiducia in sé, sentirsi competenti, efficienza, indipendenza, realizzazione, competenza ➔ bisogno di reputazione → riconoscimento da parte degli altri del proprio valore: quanto una persona gode di rispetto e apprezzamento Teoria igiene-motivazione - Herzberg Herzberg chiede a dei lavoratori di riflettere sui momenti in cui si erano sentiti eccezionalmente bene o eccezionalmente male per il loro lavoro, e individua due fattori: ➔ fattori igienici = bisogni animali si riferiscono al contesto in cui il lavoro viene svolto (es. condizioni lavorative, paga, status) sono rilevanti se i lavoratori sono insoddisfatti (“insoddisfattori”) ➔ fattori motivanti = bisogni umani sono inerenti all’effettivo svolgimento delle attività (es. risultati, riconoscimento, responsabilità, avanzamento, crescita) sono rilevanti se i lavoratori sono soddisfatti (“soddisfattori”) Herzberg suggerisce che per garantire una maggiore soddisfazione dei lavoratori sia inutile lavorare sui fattori igienici, e che si debba piuttosto intervenire sui fattori motivanti, con una strategia di arricchimento dei compiti: aumentare le responsabilità degli individui aumentare il controllo degli individui variare le mansioni rendere i lavoratori esperti e punti di riferimento (es. corsi di formazione) Herzberg ha diviso i lavoratori in un gruppo di controllo e uno sperimentale: nel secondo gruppo ha arricchito i compiti, dando ai membri responsabilità, autonomia e la possibilità di sviluppare una competenza esperta, e questo ha migliorato le prestazioni e la motivazione, sebbene inizialmente si sia registrato un calo di prestazioni e soddisfazione. Unendo Marlow e Herzberg 23 Limiti: - c’è generale accordo sul fatto che i bisogni siano organizzati gerarchicamente, ma si discute molto su quanti siano - ci sono pochi riscontri nella pratica - non è chiaro il processo per cui entrano in gioco i bisogni particolari (in che contesti? perché?) - sono teorie di difficile verifica e falsificazione empirica APPROCCIO DELLE DIFFERENZE INDIVIDUALI - MCCLELLAND Se le persone lavorano con più o meno impegno dipende dalla personalità e dalle differenze individuali. Mentre nei livelli più bassi dei bisogni tendiamo a non differenziarci, nel caso di bisogni di alto livello c’è maggiore varietà. Achievement Motivation theory - McClelland Secondo McClelland, tutti condividono bisogni di basso livello, fisici e di sicurezza, ma solo qualcuno sviluppa un bisogno superiore e più specializzato che influisce sulla motivazione a lavoro: need for affiliation = aspetti relazionali, di appartenenza a un gruppo, collegialità need for power = bisogno di controllare e esercitare potere (ha a che fare con lo status) need for achievement (nAch) = bisogno di raggiungere i propri obiettivi Il nAch si forma durante l’infanzia ed è plasmato sia dalla cultura che, soprattutto, dai genitori. Ci sono alcune condizioni che favoriscono lo sviluppo di un nAch più elevato: svolgere attività competitive apprendere le reazioni emotive adatte alle proprie prestazioni, in riferimento a “standard di eccellenza” → avere sentimenti positivi in caso di successo e sentimenti negativi in caso di fallimento In un esperimento è stato mostrato che le persone con nAch più elevato lavorano più intensamente di quelle con nAch basso quando viene loro assegnato un compito competitivo, mentre lavorano allo stesso modo in condizioni di relax e, addirittura, quando ai partecipanti si comunica che possono andarsene quando finiscono il compito, i soggetti con basso nAch lavorano con maggiore impegno (perché motivati dalla prospettiva di evitare il lavoro) Nella divisione dei Big Five, emerge che la coscienziosità è il tratto che meglio prevede la performance sul lavoro, ma in realtà altri studi hanno evidenziato che ci sono altri tratti particolarmente rilevanti per alcuni lavori, e non in tutti i lavori sono funzionali gli stessi tratti: dipende da come si categorizza la motivazione, da come si categorizza la personalità e da quali lavori si decide di tenere in considerazione. Tenere a mente le differenze individuali è molto utile in fase di selezione, perché si sceglie la personalità più adatta, ma se si deve fare un intervento successivo diventa più complicato da applicare perché non si può modificare la personalità. Limiti: - il bisogno di successo viene acquisito in età adulta e sembra dipendere dal contesto più che dalla personalità 24 APPROCCIO COGNITIVO - FISKE E TAYLOR I lavoratori sono tattici motivati che basano le proprie decisioni su una valutazione del significato personale e delle conseguenze delle ricompense e dei costi associati a ciascuna strategia comportamentale. L’approccio cognitivo comprende quattro teorie. 1. TEORIA DELL’ASPETTATIVA - MODELLO VIE Secondo questa teoria, le persone agiscono in modo da massimizzare gli esiti personali: un determinato comportamento è guidato dalla probabilità che si verifichi un tale esito e dalla quantità di soddisfazione personale associata a quell’esito. La motivazione di un soggetto è data dal prodotto di tre elementi: Valence (positiva o negativa) Instrumentality (quanta fatica si deve fare per ottenere qualcosa) Expectancy (che aspettativa ho di ottenere qualcosa) Questo implica che una persona possa accettare di svolgere un compito meno remunerativo, se la probabilità di realizzarlo è maggiore. 2. TEORIA DELLA DEFINIZIONE DI OBIETTIVI - GOAL SETTING La teoria distingue obiettivi concreti e obiettivi astratti: usando obiettivi astratti difficilmente si migliora la motivazione di una persona; usando obiettivi concreti, specifici e anche sfidanti, invece, si tende a motivare di più la persona. Questo avviene perché più un obiettivo è concreto e stimolante, purché sia realistico) più è probabile che attiri l’attenzione del soggetto e ne solleciti l’impegno e la perseveranza. Tuttavia, la partecipazione del lavoratore migliora la soddisfazione per gli obiettivi emergenti, ma non necessariamente rende più probabile il loro raggiungimento, e questo è dovuto al fatto che la partecipazione è in genere superficiale e di breve durata. 3. TEORIA DELL’EQUITA’ I costi associati ad un comportamento vengono controbilanciati dal guadagno: se c’è equilibrio, il sistema è percepito come giusto e la persona è motivata a mettere in atto certi comportamenti. E’ importante notare che l’uguaglianza tra individui nel rapporto tra input e output è più importante dell’uguaglianza tra input e output in sé → la valutazione giusto-ingiusto emerge da un confronto sociale. Si possono distinguere due forme di giustizia: distributiva = si basa sulla correttezza dell’esito procedurale = si basa sulla correttezza dei processi che portano all’esito Se si percepisce ingiustizia, l’individuo è motivato a rimuoverla: ➔ nel caso di iniquità negativa, il soggetto tende a lavorare meno (sottocompensazione) ➔ nel caso di iniquità positiva, il soggetto tende a lavorare di più (ipercompensazione) Tuttavia, non siamo sensibili alle iniquità positive, ma solo a quelle negative, quindi si presenta un’asimmetria motivazionale (difficilmente qualcuno tende a lavorare di più). 25 Inoltre, la teoria ha scarso potere predittivo, in quanto costi, esiti e strategie compensative sono soggettive e dipendono dalla persona, e potrebbe entrare in gioco anche la motivazione intrinseca, che spinge le persone a svolgere una determinata attività a prescindere dalle ricompense. 4. DECI & RYAN SELF DETERMINATION THEORY Si dividono le motivazioni in: intrinseche → gratificano i bisogni di ordine superiore di realizzazione e sviluppi personale le attività intrinsecamente motivanti vengono intraprese per sé stessi, perché piacevoli o interessanti estrinseche → gratificano i bisogni di livello inferiore e sono associate a fattori esterne Si è osservato che dare una motivazione estrinseca può togliere la rilevanza della motivazione intrinseca: in un esperimento, Lepper ha aggiunto una motivazione estrinseca (caramella) a dei bambini che disegnavano e ha osservato che questo li ha portati a disegnare meno e solo in funzione di ottenere la caramella. La motivazione intrinseca è più efficace perché aumenta il senso di controllo (sono io a decidere di fare qualcosa) e innesca l’autogiustificazione (se sto facendo questa cosa è perché mi piace). Le persone possono ridefinire un’attività intrinsecamente motivante come motivata estrinsecamente e viceversa. Approccio dell’identità sociale teoria dell’identità sociale → il comportamento intergruppi è motivato dal bisogno di raggiungere o mantenere un’identità sociale e personale positiva, bisogno correlato all’autostima teoria della categorizzazione del sé → incorpora i bisogni correlati alla stima all’interno di un modello processuale del sé In che modo la prospettiva dell’identità sociale si intreccia con altri approcci? ❖ IDENTITA’ SOCIALE E APPROCCIO DEI BISOGNI La salienza della categoria del sé viene associata ad un insieme di bisogni (a seconda della categoria si attivano bisogni salienti). Ci sono diversi livelli di categorizzazione del sé 1. identità personale (me come individuo) → si attivano i bisogni relativi alla realizzazione del sé, all’autostima, alla crescita personale, etc 2. identità sociale (me come parte di un gruppo sociale diverso da un altro) → si attiva il bisogno di vantaggio per il gruppo: migliorare l’autostima collettiva, definirci come gruppo positivo, raggiungere l’obiettivo condiviso del gruppo 3. identità umana o animale (me come essere umano) → si attivano i bisogni relativi all’esistenza, alla sicurezza e alla tranquillità 26 Relazione fra livello di categorizzazione del sé e le diverse categorie di bisogni identificate: E’ stato condotto un esperimento che ha messo in crisi i fattori salienti (motivanti o igienici) di Herzberg in caso di soddisfazione o insoddisfazione, aggiungendo una variabile: situazione di gruppo o situazione da soli I fattori motivanti, sia individualmente che in gruppo, risultano essere più rilevanti per la soddisfazione che per l’insoddisfazione, come aveva proposto Herzberg. Tuttavia, per quanto riguarda i fattori igienici, se a livello individuale sono più rilevanti nel caso dell’insoddisfazione, a livello di gruppo emerge che diventano più rilevanti per la soddisfazione che per l’insoddisfazione, a differenza di come proposto da Herzberg. ❖ IDENTITA’ SOCIALE E TEORIA DELL’EQUITA’ Nei contesti intergruppo, la motivazione è basata su considerazioni legate non tanto all'equità, quanto piuttosto all'identità sociale. La teoria dell’equità parte dal presupposto che i confini sono permeabili e i lavoratori hanno fiducia nella mobilità sociale, ma spesso non è così e si hanno confini impermeabili e status del gruppo insicuro → in questo caso si attiva l’identità sociale e valgono principi di violazione dell’equità (ingroup bias). Ad esempio, in un esperimento, un gruppo di studenti era più motivato a seguire una lezione aggiuntiva quando il professore presentava la proposta in termini di categoria sociale inclusiva (“noi dobbiamo aggiungere una lezione”), piuttosto che in termini di categoria sociale esclusiva. 27 ❖ CATEGORIZZAZIONE DEL SE’ E MOTIVAZIONI INTRINSECHE VS ESTRINSECHE La categorizzazione del sé determina se i motivatori sono intrinseci o estrinseci, poiché si può ridefinire un motivatore estrinseco in uno intrinseco quando è saliente un’identità sociale (es. i lavoratori sono motivati a identificarsi con le norme condivise del gruppo e ad esserne all’altezza, quindi l’influenza sociale diventa un mezzo importante di convalida del sé e di autoregolazione: le motivazioni estrinseche, ossia le norme, diventano motivazioni intrinseche, ossia la volontà di essere un buon membro dell’ingroup). ❖ IDENTITA’ SOCIALE E APPROCCIO DELLE DIFFERENZE INDIVIDUALI Dato che a seconda delle condizioni sociali cambia la personalità, si può dedurre che le differenze individuali non sono fisse e stabili, ma variano in risposta al contesto: anche il bisogno personale di successo, può essere l’esito di un processo sociale, anziché di una rigida differenza individuale. Questo viene dimostrato da uno studio di Parker, che ha mostrato a degli studenti di fine corso un video su un programma di formazione condotto da un’azienda fittizia. Si dice agli studenti che verranno assegnati casualmente a uno dei tre livelli di status dell’azienda(elevato, intermedio, basso): ➔ a metà dei partecipanti viene detto che l’azienda è lungimirante e che è possibile fare carriera e passare da un livello all’altro; ➔ all’altra metà dei partecipanti viene detto che si tratta di un’azienda all’antica, con una struttura rigida e in cui non c’è possibilità di crescita. Misurando il need for achievement, che veniva proposto come una differenza individuale e quindi come un tratto stabile di personalità, emerge che in realtà esso è maggiore quando i confini del gruppo vengono percepiti come permeabili rispetto a quando sono impermeabili (e quindi che cambia in relazione alla situazione): questo accade perché i soggetti del primo gruppo percepiscono l’avanzamento basato sull’identità personale come una prospettiva molto più realistica. Queste evidenze sono utili per spiegare perché i livelli di motivazione delle donne diminuiscono rispetto a quelli degli uomini se esposti a una cultura organizzativa dominata dai maschi, in cui non hanno possibilità di ascensione: non dipende dalla natura biologica delle donne, né da un problema di reclutamento, ma è una sorta di risposta appresa alle particolari realtà sociali e organizzative incontrate. Identificazione sociale come base del commitment organizzativo e della cittadinanza organizzativa L’identificazione organizzativa è una forma specifica di identificazione sociale associata alla definizione del sé in termini dell’organizzazione, e c’è una corrispondenza tra identificazione organizzativa e commitment verso l’organizzazione: impegno verso gli obiettivi e i valori dell’organizzazione, disponibilità a compiere uno sforzo in suo favore, fedeltà nei suoi confronti (quindi basso turnover), adesione ai valori organizzativi e maggiore probabilità di disponibilità per compiti extra-ruolo. 28 L’identificazione con l’organizzazione, che si fonda sull'interiorizzazione degli obiettivi e dei valori dell’organizzazione, è diversa dal commitment, che invece può semplicemente essere guidato da un’attrazione per le risorse offerte dall’organizzazione. Inoltre, è probabile che l’identificazione aumenti quanto più l’ingroup è percepito come positivamente distinto dagli altri: ad esempio, è stato osservato che gli ex allievi di un college religioso fossero più inclini ad identificarsi con quel college se credevano che avesse un prestigio particolare e una filosofia educativa e religiosa distintiva. L’identificazione primaria dei dipendenti spesso non è con l’organizzazione nel suo complesso, ma con il proprio specifico gruppo o team di lavoro, in quanto, in un contesto intra-organizzativo: è più probabile che le persone facciano confronti tra gruppi di lavoro diversi, piuttosto che tra organizzazioni (fit comparativo) le identità a livello inferiore a quello dell’organizzazione permettono ai dipendenti di sentire che il loro ingroup sia in qualche modo speciale e distinto dagli altri (distintività positiva) Inoltre, l’identificazione dei singoli con il proprio gruppo di lavoro è un predittore molto migliore di soddisfazione, coinvolgimento e intenzione a continuare a lavorare per l’organizzazione. Tuttavia, non è detto che l’identificazione con il proprio gruppo di lavoro sia sempre un predittore migliore del comportamento organizzativo rispetto all’identificazione con l’organizzazione nel suo complesso: ad esempio, quest’ultimo fattore diventa più predittivo quando c’è confronto con altre organizzazioni. Ouwerkerk ha identificato due componenti dell’identificazione sociale che hanno conseguenze diverse per il comportamento organizzativo: aspetti cognitivi/percettivi → corrispondono all’identificazione con l’organizzazione aspetti emotivi/affettivi → corrispondono al commitment verso l’organizzazione diventano rilevanti quando un gruppo è minacciato (es. sfida o competizione) Il commitment affettivo verso l’organizzazione si può distinguere dal commitment alla carriera (commitment verso i propri obiettivi personali): il primo è un predittore migliore della probabilità di svolgimento di compiti extra-ruolo e del comportamento di cittadinanza organizzativa; il secondo è un predittore migliore del comportamento che favorisce la mobilità individuale. - 29 L’importanza dell’orgoglio e del rispetto basati sull’identità Tyler sostiene che sia impossibile ottenere esiti organizzativi positivi con un approccio basato sullo scambio sociale, per diversi motivi: se ad esempio si vuole cercare di trattenere un lavoratore che ha ricevuto una proposta migliore da un’altra azienda, facendogli una proposta allettante, si creeranno ingiustizie verso gli altri lavoratori, difficili da affrontare la preoccupazione per lo scambio sociale può indurre i lavoratori a pensare che il lavoro ha valore solo estrinseco e quindi non merita impegno intrinsecamente le ricompense spingono le persone solo a guadagnare ricompense e evitare punizioni, e non aumentano l’interesse verso il lavoro può portare il manager a una “ideologia del controllo”, per cui egli pensa di poter trattare il personale attraverso sistemi di ricompense e punizioni Quindi bisognerebbe adottare un approccio in cui l’individuo interiorizza i valori e gli obiettivi dell’organizzazione, definendoli come parte del sé: questo processo ha un ruolo importante nelle strategie di goal setting che rendono alcuni obiettivi condivisibili e coinvolgenti. Il goal setting è efficace se la partecipazione dei soggetti nella definizione degli obiettivi rende saliente l’identità sociale, incoraggiando l’individuo a interiorizzare i valori e gli obiettivi dell’organizzazione, definendoli come parte del sé. Questo rende automatico che il lavoratore si comporti in modo tale da sostenere questi valori: disponibilità a conformarsi alle norme del gruppo, collaborazione anche al di là del proprio dovere, lealtà… (anche senza ricompense e punizioni) Dunque, l’orgoglio e il rispetto organizzativi contribuiscono al comportamento a favore dell’organizzazione: lo status relativo di un’organizzazione scatena l’orgoglio organizzativo, ossia i sentimenti positivi del singolo relativamente al proprio gruppo, e questo porta l’individuo a identificarsi con l’organizzazione e ad aderire alle regole organizzative i sentimenti di orgoglio sono legati maggiormente all’adesione alle regole organizzative → followership lo status di un individuo nell’organizzazione scatena il rispetto organizzativo, ossia i sentimenti positivi del gruppo relativamente all’individuo, che porta il soggetto a identificarsi con l’organizzazione e ad aderire a comportamenti extra-ruolo il rispetto è legato maggiormente alla tendenza a impegnarsi in compiti extra-ruolo → leadership Tyler inoltre sottolinea come una logica di scambio sociale non spiega i processi che si innescano all’interno delle organizzazioni, perché spesso le persone aderiscono alle regole e mettono in atto comportamenti extra-ruolo anche senza la logica do ut des. I sentimenti di orgoglio aumentano l’identificazione con il gruppo, perché l’essere umano ha bisogno di autostima e quindi l’individuo sarà propenso a seguire le norme del gruppo di appartenenza. A livello individuale, invece, se godo del rispetto delle persone che mi stanno intorno questo mi consente di identificarmi molto con l’organizzazione perché l’organizzazione nutre il mio ego, e quindi sarò propenso a ingaggiarmi in attività extra-ruolo che mi rendono un leader naturale. 30 31 CAP. 5 - COMUNICAZIONE E GESTIONE DELLE INFORMAZIONI La maggior parte delle attività organizzative richiede molto tempo nella gestione delle comunicazioni: si passa molto tempo rispondendo a mail ,telefonando ai clienti, in riunione con i colleghi, discutendo con i membri del team, dando consigli ad altri colleghi… Senza comunicazione non si possono esercitare le funzioni all’interno di un’organizzazione (es. leadership. decisione, organizzazione del lavoro…). La maggior parte dei fallimenti organizzativi è in realtà l’esito di un fallimento comunicativo, e una comunicazione efficace si traduce di solito in un’efficacia generica. Infatti, se si chiede ai lavoratori di pensare a un evento di fallimento organizzativo, spesso si sentono espressioni come “nessuno sapeva cosa stesse succedendo” o “nessuno me l’aveva detto”. Cosa significa comunicare? La comunicazione è il processo di condivisione di informazioni in un quadro interpretativo condiviso grazie al quale quell’informazione può essere utile e dotata di significato. La comunicazione, sebbene possa avere forme differenti e usare canali di ogni genere, è caratterizzata da: ➔ trasferimento di informazioni da una parte all’altra ➔ trasferimento di significati Approcci alla comunicazione ❖ APPROCCIO STRUTTURALE (O MECCANICISTICO) Secondo il taylorismo, le funzioni della direzione nelle organizzazioni devono essere concentrate nelle mani dei manager: la comunicazione più efficace è una comunicazione diretta con una sola fonte e un verso discendente (top-down). Può dare l’informazione solo chi ha il ruolo e la qualificazione per darla nel modo giusto. Smith ha cercato di testare l’efficacia comunicativa in un esperimento: ha diviso i partecipanti in gruppi di 5 persone e ha dato a ognuno una scheda con dei simboli: alcune schede avevano simboli comuni a tutte le schede, mentre altre avevano simboli contenuti solo in quella determinata scheda. Lo scopo era parlare per identificare i simboli comuni e l’efficacia comunicativa consisteva nel riuscire a identificare questi simboli attraverso la comunicazione. Ha creato vari schemi di comunicazione: - schema A = comunicazione circolare - schema B = comunicazione verticale - schema C = comunicazione a Y - schema D = comunicazione a forma di croce, con un nodo centrale e gli altri intorno Ha osservato che con una struttura comunicativa lineare, i soggetti raggiungevano lo scopo del compito con meno errori, ma con più passaggi; inoltre, una comunicazione circolare garantiva una maggiore soddisfazione dei soggetti. Questo accade perché nelle reti lineari i ruoli di leadership si concentrano nelle mani di una persona che ha una certa posizione, mentre nelle reti decentrate si incoraggia una leadership distributiva. Le reti circolari sono migliori per attività complesse, le reti lineari per comunicazioni semplici. 32 ❖ APPROCCIO DELLE RELAZIONI UMANE Secondo questo approccio, è inutile cercare di identificare l’unico modo ottimale per strutturare la comunicazione, in quanto le comunicazioni possono avere diverse funzioni e quindi valutarne l’efficacia solo in termini di errori è riduttivo. Anche quando le comunicazioni sembrano irrilevanti per gli scopi organizzativi, in realtà costruiscono le relazioni, che sono utili all’organizzazione → tutte le comunicazioni influiscono sul funzionamento dell’organizzazione, nel bene o nel male. Questo approccio prevede che la comunicazione sia un processo cooperativo non verticale, e quindi non a senso unico: la comunicazione efficace prevede un percorso top-down e uno bottom-up di feedback. Entrambi questi approcci hanno un importante limite: si basano sull’idea che l’organizzazione sia un sistema chiuso immune alle influenze dall’esterno, ma in realtà ogni persona ha una sua vita all’esterno dell’organizzazione e viene influenzato da relazioni esterne. ❖ TEORIA DEI SISTEMI APERTI Secondo questa teoria, gli individui, i gruppi e le organizzazioni hanno un confine che però consente il passaggio anche da e verso l’esterno: sono sistemi (= categorie delimitate) aperti (= favoriscono scambi). Limiti: - fatica a prestarsi a una verifica concreta - fatica a spiegare i processi psicologici coinvolti Secondo Roberts, questa teoria ha un livello di astrazione talmente elevato che si fa fatica a ricondurla a un programma e a ipotesi verificabili. ❖ APPROCCIO COGNITIVO Si focalizza sui processi cognitivi alla base della comunicazione e sul modo in cui questi sono suscettivi di errori e incomprensioni. Campbell ha individuato gli errori alla base dei problemi di comunicazione: omissione di informazioni chiave errori nella trasmissione di informazioni ritardi nella trasmissione di informazioni filtraggio approssimazione del messaggio uso di più canali di informazione fuga ed evitamento della comunicazione Mettere in atto euristiche di pensiero, sebbene possano essere soggette a bias, è utile per risparmiare tempo ed energia nell’elaborazione delle informazioni, in modo da non sovraccaricare il sistema cognitivo → l’individuo è un economizzatore cognitivo: nel fare attribuzioni, nel prendere decisioni e nel formulare giudizi, le persone cercano di conservare la propria limitata capacità di elaborazione delle informazioni. Gran parte del comportamento e degli errori umani possono essere spiegati dal fatto che 33 le persone sono costrette a prendere decisioni rapide e facili (spesso errate) piuttosto che difficili e dispendiose (ma più probabilmente giuste). Ad esempio, tendiamo a prestare maggiore attenzione alle informazioni congruenti e attese rispetto a quello che già sappiamo (errore di conferma delle ipotesi: esperimento di Snyder “fare domande per capire se è introverso/estroverso”). Nella comunicazione organizzativa, la distorsione cognitiva prevalente è proprio la tendenza a distorcere le informazioni per adattarle alle aspettative e alle credenze stereotipiche preesistenti. Questo può creare problemi nel caso in cui l’ipotesi sia sbagliata (es. profezia che si autoavvera) Studio di Stasser e Tutus Attraverso il paradigma del campionamento distorto, hanno cercato di comprendere come le persone mettono insieme le informazioni quando affrontano attività collettive e quali processi possono portare fuori strada quel meccanismo di condivisione: quando i gruppi gestiscono collettivamente le informazioni, hanno una forte preferenza per lo scambio di materiale comune a tutti i membri piuttosto che di materiale a cui solo una minoranza ha accesso. Hanno dato a degli studenti (nei panni di membri di una commissione) informazioni biografiche su vari candidati a una carica per un’organizzazione studentesca e hanno manipolato le informazioni condivise: non tutti i membri della commissione sapevano tutti sui candidati, bensì c’erano alcune informazioni condivise e altre esclusive solo ad alcuni membri. In particolare: - A, B e C sono i membri della commissione - X e Y sono i candidati - in grigio sono rappresentate le informazioni negative - in bianco sono rappresentate le informazioni positive - le info con lo stesso numero sono condivise Dallo schema emerge che: X ha 2 caratteristiche negative che tutti conoscono e 3 caratteristiche positive diverse tra i membri Y ha 2 caratteristiche positive che tutti conoscono e 3 caratteristiche negative diverse tra i membri Sebbene esistano più informazioni positive sul candidato X, la commissione preferisce Y, perché i suoi attributi positivi sono informazione condivisa e quindi la commissione vi presta più attenzione. La condivisione di informazioni crea fiducia e commitment, e questo fa sì che l’informazione sia validata socialmente e diventi più rilevante. Tuttavia, la maggior parte delle volte, queste tendenze cognitive hanno effetti negativi, perché i risultati migliori sono nascosti da “profili d’informazione nascosti”. Ci sono alcune strategie per evitare queste distorsioni: favorire la leadership critica (ingaggiare una persona che esercita il ruolo di controllo critico) assegnare ruoli esperti a membri del gruppo (l’esperto viene ascoltato di più) 34 far sapere al gruppo quali membri hanno accesso a informazioni speciali (sottolineando che devono prestare attenzione a quell’informazione speciale) Identità sociale e comunicazione La comunicazione non ha come obiettivo solo il passaggio di informazioni, bensì presenta altre 5 funzioni, che dipendono dalla categorizzazione del sé e dalle relative percezioni di appartenenza a una categoria sociale condivisa: 1. esercitare influenza su altre persone si può esercitare influenza positiva su altre persone solo se agiamo in termini di appartenenza a una categoria sociale comune 2. ridurre l’incertezza da parte del comunicatore o del ricevente solo coloro con si condivide l’appartenenza a una certa categoria sociale sono considerati qualificati a informare su aspetti rilevanti della realtà sociale e quindi a ridurre l’incertezza 3. ottenere feedback pertinenti all’esecuzione di un’attività il feedback di un’altra persona ha un impatto diverso a seconda della relazione categoriale che si ha con la persona 4. coordinare le prestazioni del gruppo il comportamento coordinato dipende dalle percezioni di appartenenza condivisa a una categoria sociale: le azioni di coordinamento sono più efficaci se c’è appartenenza condivisa 5. risolvere bisogni affiliativi i bisogni affiliativi sono definiti dall’appartenenza a un gruppo e dipendono da un’identità comune Le prime quattro funzioni si riferiscono tutte ad aspetti del processo di influenza sociale. Quindi, l’identità sociale organizzativa dà alle persone le motivazioni per comunicare e una cornice cognitiva condivisa per comprendere e rendere quella comunicazione produttiva e vantaggiosa; se gli individui non hanno la percezione di condividere l’appartenenza a una categoria sociale, hanno meno motivi per comunicare tra loro e più possibilità di fraintendimenti e cattiva comunicazione. I confini della comunicazione La comunicazione non è solo un mezzo di scambio di informazioni, ma anche una caratteristica che definisce il gruppo: all’interno di un gruppo si creano forme di comunicazione condivise e distintive che danno il senso di gruppo e determinate reti di comunicazione portano individui ad assumere certi ruoli (il leader è chi è più vicino agli altri nella rete di comunicazione, e le relazioni intergruppo sono più positive se le reti di comunicazione non creano disuguaglianze interpersonali). Nei contesti organizzativi, spesso le persone hanno un linguaggio e un modo di comunicare specifici della professione, del reparto o del team, e in questo modo la comunicazione assume la forma di un codice interno al gruppo (gergo tecnico, espressioni tipiche, slang, battute nei confronti dei nuovi arrivati). Queste forme codificate di comunicazione fungono da marcatori di identità, in modo che chi usa un linguaggio del genere: ➔ dimostra la propria appartenenza a un particolare gruppo sociale 35 ➔ rende consapevoli i potenziali riceventi del loro status come membri dell’ingroup o dell’outgroup del comunicatore ➔ restringe l’accesso al significato della comunicazione ai membri dell’ingroup, escludendo l’outgroup (forma di potere) La comunicazione determina i contorni di accesso al significato di un messaggio: chi condivide l’identità sociale di un comunicatore ha più accesso al suo significato, mentre l’accesso tende a ridursi quando la comunicazione attraversa una divisione di categoria sociale. La condivisione del linguaggio evidenzia quanto siano importanti la trasparenza e la condivisione dell’informazione: la segretezza è, infatti, considerata una delle principali minacce al funzionamento di un’organizzazione, che può portare anche, ad esempio, alle teorie di cospirazione (associate ad una mancanza di fiducia e cooperazione). Secondo la teoria dell’identità sociale e della categorizzazione del sé, quindi, le comunicazioni e i codici di comunicazione dipendono da: accessibilità di una particolare definizione del sé basata sul gruppo e da caratteristiche del contesto comparativo (es. chi è presente in un determinato momento) contesto normativo (es. aspettative sui modi appropriati per definirsi) struttura sociale (es. relazioni di status tra gruppi e sicurezza di queste relazioni) La qualità e l’efficacia della comunicazione fra due persone può variare enormemente in funzione di come le persone si categorizzano in un dato momento. L’ipotesi che questi processi dipendono dal mezzo di comunicazione è stata confutata: quello che succede online è lo specchio di quello che succede nella realtà; c’è solo una maggiore tendenza al conformismo e una polarizzazione delle dinamiche, in quanto online mancano i dettagli individuali che creano distinzione tra i membri di un gruppo (maggiore senso di appartenenza e di identificazione sociale). Categorizzazione del sé come base per la gestione delle informazioni Gli individui sono generalmente motivati a comunicare con altre persone che percepiscono appartenere a una categoria sociale comune e saliente, e la comunicazione risulta centrata su aspetti relativi a quell’identità: se il comportamento di due membri di un’organizzazione è strutturato da una definizione del sé condivisa (es.medici di uno stesso reparto), i soggetti saranno motivati a parlare fra loro di aspetti pertinenti a quell’identità comune (es. problemi del reparto). Studio di Agama Utilizzando il paradigma dei gruppi minimali, divide i partecipanti in due team. A metà dei partecipanti dice che i due team lavorano in cooperazione, all’altra metà che lavorano in competizione. Fornisce ai soggetti 12 elementi di informazione relativi al lavoro, che riguardano l’organizzazione nel suo complesso il proprio team sé stessi 36 e misura la loro propensione a passare le informazioni ad altri membri del proprio team o dell’altro team. Si osservano due effetti: 1. Le persone, in generale, sono meno inclini a passare le proprie informazioni personali, mentre sono maggiormente disposte a passare informazioni riguardanti l’ingroup e ancora di più informazioni riguardanti l’organizzazione. 2. Le persone sono poco disposte a condividere informazioni riguardanti l’ingroup a membri dell’altro team, soprattutto nella situazione di competizione, ma ci sono meno problemi a condividere all’altro team informazioni riguardanti l’organizzazione in generale: in questo caso l’outgroup viene percepito meno come outgroup, ma piuttosto come team della stessa organizzazione. Quindi: ➔ le informazioni rilevanti per l’organizzazione vengono comunicate ai membri dell’altro team perché vengono categorizzati come membri dell’ingroup a livello organizzativo ➔ le informazioni personali non vengono comunicate ai membri del proprio team perché vengono categorizzati come individui diversi a livello personale Studio di Dovidio I partecipanti vengono attribuiti a uno fra due gruppi e poi vengono informati che interagiranno con un membro del proprio gruppo o del gruppo opposto. In un caso crea un contesto che esaspera le differenze intergruppi (posti a sedere separati, etichettature diverse, abbigliamento diverso), in un altro caso crea un contesto che invece assimila i due gruppi (posti a sedere integrati, stesso nome del gruppo, abbigliamento comune): solo da questa manipolazione, che può suggerire una categorizzazione in due gruppi o un'identità comune sovraordinata, si osserva un diverso livello di apertura nella comunicazione dei singoli. Ossia, quando le condizioni favoriscono la rappresentazione categoriale di un gruppo unico, i partecipanti sono più disposti a rivelare fatti intimi ai membri dell’altro gruppo (addirittura più che all’ingroup, dovuto forse a un estremo livello di apertura verso l’ex outgroup), rispetto a quando viene rafforzata invece la categorizzazione in due gruppi, dove si osserva un grado di favoritismo per l’ingroup. A partire da questi studi, si osserva che condividere informazioni con gli altri è utile perché, attraverso uno scambio di informazioni, possiamo far circolare idee e ridefinirci, creando nuove identità e scoprendo di più sul sé. 37 La comunicazione è un processo che contemporaneamente descrive e costruisce l'identità sociale e la conoscenza di chi siamo, e soltanto comunicando può emergere l’identità sociale → la comunicazione diventa un percorso essenziale verso la conoscenza del sé e il comportamento collettivo orientato al sé. In ottica della TIS: la condivisione delle informazioni a cui hanno accesso tutti i membri dell’ingroup riduce il senso di incertezza (gli individui sanno come devono comport

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