Pedagogia Generale e Sociale - Frabboni - PDF

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Questo documento presenta una panoramica sulla pedagogia, trattando il suo sviluppo storico e relazione con la scienza. Vengono analizzati diversi approcci pedagogici, come quello di Dewey, Popper, e Kuhn, esplorando l'importanza della critica nella scienza e l'evoluzione dei paradigmi.

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PRIMA PARTE : LA PEDAGOGIA TRA SCIENZA E UTOPIA I) PREMESSA Il sapere pedagogico attuale è il risultato di un lungo percorso sviluppatosi nel corso dei secoli attraverso il confronto e l'intreccio di diverse correnti di pensiero. Ogni corrente ha portato con sé una propria visione dell’essere umano,...

PRIMA PARTE : LA PEDAGOGIA TRA SCIENZA E UTOPIA I) PREMESSA Il sapere pedagogico attuale è il risultato di un lungo percorso sviluppatosi nel corso dei secoli attraverso il confronto e l'intreccio di diverse correnti di pensiero. Ogni corrente ha portato con sé una propria visione dell’essere umano, della natura, della società e del rapporto tra l’immanente (ciò che appartiene alla realtà materiale e tangibile) e il trascendente (ciò che va oltre la realtà fisica, spesso legato al divino o al metafisico). Questi differenti modi di vedere il mondo hanno plasmato i modelli di educazione, istruzione e formazione, influenzando anche il modo in cui si è strutturata la scuola soprattutto sulla base delle teorie della "modificabilità umana"(nota a piè pagina:all’idea che l’essere umano può essere cambiato e trasformato attraverso l’educazione e la formazione). La pedagogia è composta da una dimensione teoretica e una esperienziale che le permettono di muoversi dinamicamente lungo due istanze: Istanza critico-riflessiva, tipicamente analitica e interpretativa (analizza e interpreta la realtà) Istanza critico-emancipativa, tipicamente progettuale e trasformativa (propone cambiamenti concreti volti a emancipare l’essere umano). -Questa doppia natura la rende una disciplina viva e in costante evoluzione. Negli anni in cui il dibattito epistemologico metteva in discussione il concetto stesso di "scienza", la pedagogia si è ridefinita. Studiosi come Popper, Kuhn, Feyerabend e Bachelard hanno abbandonato i modelli di conoscenza rigidi e assoluti, proponendo invece approcci che si caratterizzano per la loro natura aperta, parziale, provvisoria e storicamente situata. Questo ha portato a una nuova concezione della scienza come qualcosa di fluido, legato al contesto culturale e storico. È in questo processo che la pedagogia ha definito la propria identità basandosi su categorie fondamentali: pluralità, differenza, creatività e cambiamento. Questi concetti permettono alla pedagogia di mettere in relazione elementi spesso considerati opposti: storia e utopia, logica e immaginazione, ragione e desiderio, ma anche mito e scienza, natura e tecnica, individuo e contesto, memoria e progetto. 1. PEDAGOGIA E SCIENZA 1.1. UNA SCIENZA DI ATTRAVERSAMENTI La pedagogia ha una funzione critica e riflessiva che coinvolge: -le condizioni, i contesti e gli orientamenti regolativi del pensiero e dell’agire pedagogico - il suo apparato teoretico, cioè la sua struttura concettuale (linguaggi, metodi, concetti fondamentali, connotazione sociale e politica, funzione trasformativa). La pedagogia è un sapere in continuo divenire, pronto a ridefinirsi poiché il suo oggetto di riflessione, ovvero la "formazione", è complesso e sempre in evoluzione. La pedagogia si muove costantemente tra due poli: da un lato ricerca una propria autonomia scientifica, dall’altro necessita di interdisciplinarità, cioè l'interazione con altri saperi. Così diventa una "scienza di confine", capace di interpretare i limiti tra discipline non come barriere rigide, ma come spazi di collaborazione e integrazione che costruiscono e condividono conoscenze svariate. Dunque, la pedagogia è aperta a saperi extra-pedagogici che deve reinterpretare e orientare verso il suo obiettivo fondamentale: studiare e promuovere l’educabilità umana cioè la formazione intesa come processo attraverso cui gli individui apprendono, crescono e si trasformano. La formazione è centrale nella pedagogia e presenta 2 dimensioni: 1.​ Dimensione etica: legata all'acquisizione di valori e comportamenti. 2.​ Dimensione cognitiva e affettiva: legata all'acquisizione di conoscenze e competenze. E si sviluppa su 2 piani: 1 Il “dar forma”, il processo con cui le istituzioni formative conservano e trasmettono ai giovani la conoscenza e la cultura elaborate nel corso della storia Il “formarsi”, i processi con cui il singolo individuo fa propria la cultura che gli è stata trasmessa, elaborandola e personalizzandola secondo la propria identità e unicità. In tal modo la pedagogia si costituisce come sapere generale, critico, riflessivo ed emancipativo. Si evidenzia così anche la sua vocazione a costruire un’umanità libera e responsabile. Nel percorso verso la definizione della pedagogia come sapere critico e scientificamente fondato, gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento rappresentano un momento cruciale. Durante questo periodo, si avvia un'importante riflessione critica che porta a una ridefinizione della pedagogia considerata quindi come un "sapere di saperi", intraprendendo un difficile cammino verso l'autonomia scientifica e la chiarificazione del suo rapporto con: ⇨La filosofia: utile per sviluppare un’identità critica e interpretare il proprio oggetto di studio. ⇨Le altre scienze: che forniscono dati e strumenti operativi fondamentali per il lavoro pedagogico. 1.2. LA VIA DELLA SCIENZA (DEWEY) Così la pedagogia si apre a nuove correnti di pensiero, ma con una tensione verso una configurazione epistemologica rigorosa, che si ispira alle metodologie delle scienze esatte e pone l'accento sull'osservazione, la sperimentazione e la verifica, la pluralità dei dati alla base della ricerca. La prima corrente scientifica che fece al caso di questa pedagogia sperimentale fu l’empirismo, il pragmatismo di Dewey. Secondo Dewey, bisogna partire dal metodo con cui è possibile conoscere: il metodo investigativo dell’intelligenza. Il concetto chiave è l’esperienza, vista come un'interazione dinamica tra organismo e ambiente (in un rapporto transattivo, cioè di reciproco adattamento). L’individuo agisce attivamente sulla realtà per raggiungere precisi obiettivi, ma allo stesso tempo sottostà e subisce l'influenza della realtà stessa. Questo processo transattivo permette di imparare attraverso l’esperienza, il confronto tra tentativo ed errore, azione e conseguenze. L’esperienza è definita da Dewey come un equilibrio tra attività (il tentativo) e passività (il subire le conseguenze). Solo quando le due dimensioni sono collegate in modo significativo si genera apprendimento. L'educazione, dunque, ha il compito di sviluppare un atteggiamento scientifico e critico nell'individuo, favorendo una concezione democratica e progressista della società. Dewey attribuisce all'educazione un duplice obiettivo: fornire strumenti per affrontare i cambiamenti/bisogni della società in continua evoluzione e promuovere un pensiero critico e creativo per costruire una società più giusta e democratica aperta al confronto. L'educazione deve essere un mezzo per prevenire conflitti futuri, incoraggiando il dialogo e lo scambio. -In Italia uno dei primi sostenitori di Dewey fu Borghi, il quale sostiene che la scuola è il luogo in cui la trasformazione sociale diventa cosciente. Nel dopoguerra, la pedagogia diventa interdisciplinare e nascono le scienze dell’educazione per opera di Gaston Mialaret. Lui propone la pedagogia come un insieme di discipline diverse tramite un modello empirico pluralista e antidogmatico. In questa stessa direzione si muove in Italia Visalberghi, il quale sviluppa un modello di pedagogia articolato in quattro settori principali: 1. Settore psicologico- Analisi dei processi mentali. 2. Settore sociologico - Studio delle dinamiche sociali. 3. Settore metodologico-didattico - Approfondimento delle tecniche di insegnamento. 2 4. Settore dei contenuti culturali - Basato sulle opere di pensatori come Rousseau, Dewey, Pestalozzi e Bruner. La pedagogia, in questo contesto, coordina le diverse discipline offrendo una visione integrata dei fenomeni educativi. La scuola diventa luogo di trasformazione sociale (cambiamento intellettuale e morale). 1.3. LA SVOLTA EPISTEMOLOGICA (POPPER) Autori come Popper, Kuhn e Feyerabend si distaccano dalla visione tradizionale della scienza come ricerca di “verità assolute e immutabili”. Popper ritiene che ogni verità scientifica sia parziale e transitoria, in attesa di essere corretta o superata da nuove scoperte (che correggono e falsificano quelle precedenti). Questo processo è definito come falsificazione. Lui fa una critica al metodo induttivo, le ritiene insufficiente (non ci fa giungere ad alcuna certezza razionale) poiché esso procede da osservazioni particolari a teorie universali. Ad esempio, per Popper, osservare molti cigni bianchi non garantisce che tutti i cigni siano bianchi. - L'induzione fallisce perché: 1.​ Non può basarsi su un numero finito di osservazioni per affermare una legge universale. 2.​ Non può escludere una teoria per aderirne ad un’altra poiché si potrebbero trascurare altre teorie possibili e il numero di teorie possibili è infinito. 3.​ Non è verificabile con l’esperienza. Secondo Popper una teoria è scientifica, non se verificata, ma se confutata (falsificata) dall'esperienza. Dunque in sostituzione propone il metodo della falsificazione: 1. Si parte da una proposizione universale e si deduce una proposizione singolare. 2. La proposizione singolare viene testata empiricamente. - Se confermata, la teoria è rafforzata (ma non verificata definitivamente). - Se smentita, la teoria universale è falsificata. Si predilige una scienza come verosimiglianza, cioè la scienza non cerca verità definitive ma teorie che si avvicinino il più possibile alla realtà. Così la teoria scientifica guida e precede l'osservazione, e crea nuove conoscenze attraverso una moltiplicazione delle ipotesi e l’uso dell’immaginazione per proporre idee innovative, poi sottoposte alla falsificazione. Inoltre, la scienza è profondamente legata al contesto storico, sociale e culturale che determinano una teoria. Per questo motivo lo studio della scienza deve includere la storia del suo sviluppo. Il lavoro di Popper aprì un dibattito sull’epistemologia come teoria della conoscenza. Questa indaga il rapporto tra teorie scientifiche e le sfere della cultura, simboli, società ed esistenza. Pertanto l’epistemologia si intreccia con altre discipline: storia e sociologia della scienza, la psicologia e biologia della conoscenza, linguistica, psicoanalisi, antropologia, etnologia. -Stephen Toulmin fece notare che lo sviluppo di una teoria implica una ridefinizione del linguaggio poiché termini comuni possono acquisire nuovi significati specifici e vengono creati nuovi termini funzionali alla teoria. Questa è essenziale per la costruzione e l’evoluzione della scienza. (KUHN) Nella ricerca epistemologica post-popperiana si colloca Thomas Kuhn (1922-1996) il quale approfondisce il tema della continuità e discontinuità nel progresso scientifico. Lui si distacca dalla concezione di scienza lineare e cumulativa che procede sempre più verso la verità. Kuhn sostiene invece che la scienza abbia un andamento irregolare in cui si alternano momenti statici (detti di "scienza normale") a improvvise crisi e radicali trasformazioni. 3 Durante i periodi di scienza normale, gli scienziati operano all'interno di un paradigma condiviso, ossia un insieme di concetti e metodi. Tuttavia, quando un paradigma entra in crisi, il passaggio a un nuovo paradigma non è un processo progressivo ma una ricostruzione completa delle basi teoriche. Questo cambiamento implica una trasformazione radicale della visione del mondo scientifico e non è guidato da criteri di miglioramento conoscitivo, ma spesso da motivazioni extrascientifiche. La scelta di un preciso paradigma è una questione di "fede". Dunque, secondo Kuhn il criterio di verosimiglianza di Popper non è più valido e il passaggio da un paradigma all’altro comporta regressione e progressione. (FEYERABEND) Paul Feyerabend (1924-1994) spinge queste idee verso un'estrema radicalità, sostenendo l'idea di un "anarchismo epistemologico". La scienza, per Feyerabend, non segue criteri di razionalità ma adotta strategie varie e talvolta contraddittorie, che possono rivelarsi utili in determinate circostanze. Egli propone una metodologia pluralistica in cui le idee devono essere confrontate con altre idee, anziché con l'esperienza, e invita a migliorare anche le opinioni che inizialmente sembrano meno valide poiché la conoscenza non è un approccio ideale e graduale verso la verità. La conoscenza per Feyerabend è un oceano crescente di alternative incompatibili fra loro, un insieme eterogeneo e dinamico di teorie, miti e favole che, interagendo, stimolano nuove riflessioni e articolazioni teoriche. (BACHELARD, HOLTON, HESSE) In Francia, Gaston Bachelard (1884-1962) analizza gli ostacoli non teorici prodotti dal nostro inconscio che interferiscono con la scienza: abitudini, ideologie, istinti e passioni. Questi permangono nell’attività scientifica e inducono la scienza in errore. Egli studia l'influenza di questi elementi irrazionali attraverso una sorta di psicoanalisi della scienza, cercando di liberarla dalle limitazioni imposte dallo "spirito non scientifico". Questo gli permette di studiare la rêverie, ovvero l’attività fantastica espressa nei sogni e nelle arti. Bachelard riconosce che la scienza e la rêverie debbano rimanere separate poiché opposte, ma riconsoce anche che immaginazione e affettività sono componenti preziose dell'esperienza umana. Da Karl Popper in poi, cresce l'attenzione per i fattori di natura "non razionale" che influenzano la scienza, legati all’intuizione, immaginazione e narrazione. Questi elementi, tradizionalmente esclusi nella scienza, sono spesso cruciali nella formulazione iniziale (fase aurorale) delle ipotesi e nella loro successiva elaborazione. Anche Gerald Holton enfatizza il ruolo delle pulsioni inconsce e sociali che producono quel “salto immaginativo” necessario per l’elaborazione di nuove teorie scientifiche. Mentre Mary Hesse sottolinea l'importanza del pensiero metaforico per superare schemi consolidati e costruire nuove teorie e direzioni di ricerca. Così gli anni Settanta del Novecento portano a una revisione critica dei modelli pedagogici ispirati alla logica dell'empirismo. 1.4. PENSIERO DELLA CRISI E NUOVA RAZIONALITÀ Il tema della crisi è centrale nella riflessione filosofica ed epistemologica. Friedrich Nietzsche mette in discussione l’idea di una verità assoluta e universale. Per lui, la verità è sempre relativa al punto di vista (prospettivismo), dipendente dai contesti interpretativi e mai definitiva. Non esistono fatti oggettivi in sé, ma solo interpretazioni che variano in base ai bisogni, agli istinti e alle prospettive degli individui. Anche il concetto di soggetto è visto come un’invenzione, un costrutto immaginario e non qualcosa di oggettivo o dato. Di fatto Nietzsche fa una critica al positivismo che riduce tutto ai fatti osservabili. 4 Pensatori francesi come Foucault, Derrida, Deleuze, Baudrillard, Lyotard e Lévy riprendono Nietzsche, Marx e Freud, concentrandosi sul desiderio come aspetto fondamentale della soggettività. Essi indagano come il desiderio sia stato controllato e normalizzato, e propongono nuove vie per liberare il soggetto. Analizzano i meccanismi simbolici che influenzano il pensiero e il comportamento, delineando un’epoca postmoderna caratterizzata dalla frammentazione e dalla pluralità, che rendono impossibile una visione unitaria della società e del sapere. In questo contesto di crisi della razionalità e del soggetto si crede che la ragione debba costruirsi a partire dalla crisi stessa. Per tale ragione, in Italia, negli anni ’70, emerge un dibattito sulla "crisi della ragione" classica, intesa come un modello basato su leggi naturali, universali e immutabili del pensiero e della realtà. Questo paradigma razionale mirava a rendere tutto trasparente e prevedibile, ignorando la specificità e la complessità degli eventi storici e concreti. Si criticano le sue pretese di completezza e assolutezza (tipico del sapere classico), considerandole frutto di un pregiudizio. La crisi delle scienze mette in discussione l’idea che la conoscenza derivi esclusivamente da schemi logici e necessitanti. Al loro posto emerge un modello costruttivista, che si avvicina alla pratica concreta degli esseri umani. La razionalità non è più vista come qualcosa di separato dalla realtà, ma come un insieme di pratiche che si sviluppano nel contesto delle esperienze, degli errori e delle circostanze reali. Questo nuovo approccio sottolinea la libertà e l’apertura della conoscenza. Si propone una razionalità che accoglie la crisi come un’opportunità per sviluppare modelli più flessibili e inclusivi. Non si tratta di abbandonare l’idea di razionalità, ma di ridefinirla in modo che possa riconoscere e valorizzare la diversità delle esperienze umane e delle forme del sapere. Questa prospettiva è fondamentale anche per la pedagogia, che adotta un modello di razionalità più aperto e pluralistico per affrontare le sfide educative. 1.5. CON LA SCIENZA, OLTRE LA SCIENZA La pedagogia critica l’approccio empirico-scientifico, ritenuto parziale e inadeguato a rispondere alle sue esigenze teoriche, storiche, etiche e culturali. Pur riconoscendo i benefici del metodo scientifico nel liberare la pedagogia da modelli filosofici antiquati, ne contesta “le cadute scientiste” cioè l'uso rigido e unidimensionale. Si sottolinea la necessità di integrare questo paradigma con approcci critico-dialettici e filosofico-ermeneutici, che valorizzano la soggettività, l’esperienza personale e la complessità della realtà educativa. Negli anni Ottanta e Novanta, il dibattito pedagogico si concentra su un modello più dinamico e complesso, fondato sulla razionalità storico-critica e aperto a diversi paradigmi epistemologici. Così, grazie a diverse correnti (psicoanalisi post-freudiana, neo-marxismo, personalismo laico e religioso, fenomenologia, ermeneutica) si afferma la centralità della persona. 2. PEDAGOGIA E UTOPIA 2.1. OLTRE LA SCIENZA, L’UTOPIA L'utopia (dal greco “non luogo”) è, insieme alla scienza, dimensione costitutiva del discorso pedagogico. La pedagogia, secondo l'originaria valenza utopica, appare impegnata su un duplice versante: analizza il presente cercando di far emergere le contraddizioni della realtà; rappresenta possibili percorsi di trasformazione dell'esistente, proiettandoli idealmente in luoghi e mondi nuovi. Il termine utopia fu usato per la prima volta da Tommaso Moro e da allora indica, nel linguaggio comune, la descrizione di un mondo ideale, immaginato come piena realizzazione dei principi razionali, etici e politici. Utopia e pedagogia sono da sempre intrecciate. L'utopia, infatti, apre alla pedagogia l’accesso ai territori del cambiamento, consentendole di muoversi agevolmente tra vincoli e possibilità. L'autore che ha saputo porre meglio l'attenzione sul valore dell'utopia fu Ernst Bloch, il quale voleva dar 5 forma all'idea di utopia concreta, ovvero un'unica utopia in cui vengono accolte tutte le utopie della storia: desideri, sogni, speranze che hanno sempre caratterizzato la vita degli uomini. Si tratta di consegnare all'individuo e alla società la loro condizione originaria e mai realizzata, che solo in età infantile è stato possibile prefigurare. L'infanzia appare così come il tempo incantato in cui l'uomo rivolge la propria ricerca e la propria speranza nell'utopia. Nasce quindi nel mondo l'idea di un posto in cui nessuno è ancora stato: la patria ⇨ intesa come luogo utopico del non ancora, luogo di una società giusta, dove l'uomo e la società trovano un'armoniosa sintesi con la natura. In quegli stessi anni gli autori della Scuola di Francoforte propongono la cosiddetta teoria critica, la quale agisce all’interno di precise coordinate storiche, cogliendo le idee e gli eventi nell’ambito della totalità delle dinamiche storiche che caratterizzano la società. Il compito di liberare l’individuo dai condizionamenti che lo tengono soggiogato è affidato all’educazione, intesa in senso antistituzionale e anti-formale, ma si tratta soprattutto di una pedagogia inattuale. L'inattualità si riferisce alle due dimensioni del sapere pedagogico: 1.​ dimensione critica: esigenza di una formazione cognitiva ed etica fondata sulla cultura artistica e filosofica; 2.​ dimensione utopica: esigenza di una formazione che va oltre i valori della società attuale, verso una liberazione totale, dell'individuo e della società, che sappia realizzare una società giusta e una vita personale felice. Walter Benjamin sottolinea il legame tra il soggetto in formazione e l’utopia che si esplica in relazione alla specificità della collocazione esistenziale del giovane nel mondo. Da un lato, il rapporto dei giovani con la realtà è caratterizzato da un'attenzione sia critica nei confronti delle istituzioni e dei modelli sociali tradizionali, sia utopica nel suo bisogno di individuare e perseguire dei mutamenti. Dall'altro lato, i giovani rappresentano il punto di legame tra il passato e il futuro, che si apre al possibile che il presente accoglie sempre in sé. La gioventù è il luogo in cui si colloca e agisce la speranza, carattere costitutivo dell'infanzia. Essa va difesa affinché ciascuno possa ritrovare quell'originaria "apertura" che viene interpretata nell'infanzia e che si ripropone nei ricordi dell'adulto. Per poter fare questo è necessario educare l'individuo fin dalla prima infanzia allo sviluppo dell'autonomia, del senso critico, della consapevolezza dei pericoli e dell'apertura alle possibilità che il futuro accoglie in sé. Herbert Marcuse critica alcuni degli assunti della psicoanalisi di Freud, in particolare, il principio di realtà riguardo alla funzione irrinunciabile della repressione e della canalizzazione degli istinti per la sopravvivenza della civiltà. La prospettiva utopica indicata da Marcuse è quella di procedere ad un approccio aperto e multidimensionale, dove dare spazio al gioco, all'eros, al narcisismo e alla fantasia. Per realizzare la liberazione dell'individuo bisogna capovolgere l'aspetto educativo, creare delle istituzioni educative in cui poter recuperare la molteplicità delle dimensioni dell'umano. Friedrich von Schiller sostiene che bisogna puntare sull’educazione estetica per mettere in crisi le condizioni inumane di esistenza. L'uomo moderno, infatti, vive in una condizione di squilibrio e frammentazione dovuta all'importanza che si dà all'utile sociale e ai vantaggi materiali. Nell'ambito dell’esperienza estetica è possibile quindi mettere in discussione i rapporti di dominio, esempio quello dell'uomo sulla natura. Aldo Capitini rileva nella non violenza la dimensione fondamentale di un’educazione che vuole occuparsi dell’uomo e della donna, in tutti gli aspetti della loro esistenza, fatta di dolore e malattia, di male morale e sociale e di sofferenza. L'educazione costituisce l'occasione per vivere il superamento del 6 mondo. Saper connettere nel ruolo educativo i diversi ruoli dell'educatore del bambino è importante. Ernesto Balducci estende il concetto della non violenza a tutte le forme di vita che abitano il cosmo: uomini e donne, culture diverse, piante, animali e oggetti inanimati. Si apre quindi la possibilità di un “ethos cosmico”, in cui integrare i diritti umani e i diritti della natura nella consapevolezza dei legami tra specie umana e sistema ecologico. Qui, la prospettiva utopica pone al centro l'impegno trasformativo dell'educazione, in grado di liberare le memorie collettive e di aprirle al futuro, realizzando una sintesi fra storie e progetto: il linguaggio innato dell'uomo è quello della profezia, intesa come una visione che denuncia le ingiustizie e i problemi del presente e descrive la città futura. 2.2. RAGIONE DEMONICA E SFIDA ESISTENZIALE Giovanni Maria Bertin elaborò il modello del problematicismo pedagogico dove vengono articolate l'idea e la funzione dell'utopia, la quale porta Bertin a maturare la concezione di ragione problematica. In un primo momento, la ragione viene vista come principio rischiaratore e organizzatore, come uno strumento che permette di cogliere le contraddizioni della vita e attraverso il quale è possibile interpretare la complessità dell'esperienza e del reale. In seguito, la ragione viene vista nella sua funzione demonica che può tradurre il senso tragico e violento della crisi in rifiuto dell'esistente e che vede l'utopia come alternativa possibile. II. UNA PLURALITÀ DI MODELLI PER UN SAPERE COMPLESSO PREMESSA La pedagogia può essere interpretata alla luce di: 1.​ una concezione laica: la pedagogia viene collegata alla storia, basata sull'esperienza concreta. 2.​ una concezione religiosa: la pedagogia è collegata alla fede, alla trascendenza. Un'altra importante differenza sta nel ruolo attribuito alla filosofia e alla scienza. Infatti, nella pedagogia personalista la filosofia è considerata idonea all'ascolto della coscienza, intima e personale. La pedagogia laica invece, pur riconoscendo il valore riflessivo della filosofia, dà importanza anche alla scienza. 1.​ IL PERSONALISMO PEDAGOGICO E IL FRONTE LAICO Il personalismo (o pedagogia religiosa) nacque in Francia nel 1932, fondata da Emmanuel Mounier. Esso si muove tra istanze metafisiche (la persona come persona) e istanze antropologiche (la persona come soggetto storico e concreto). In Italia, l’eredità del personalismo francese fu raccolta da Luigi Stefanini. Elemento comune è il progressivo superamento di un approccio filosofico, a favore di un approccio sensibile alla dimensione storica e sociale dell'individuo e dell'intera società. A questo processo contribuiscono soprattutto una serie di avvenimenti sociali, culturali e religiosi di quegli anni. Il personalismo pedagogico di questi ultimi anni accetta di confrontarsi con la complessità della società contemporanea, profondamente inquieta e lacerata, ma anche ricca di tensioni positive, e cerca di farlo senza rinunciare alla dimensione trascendentale, ma ancorandola alla concretezza della storia. Pur mantenendo religiosità e trascendenza, valorizza l'esperienza dell'uomo e il nesso teoria-prassi. Ciononostante, la pedagogia sviluppa una critica nei confronti di tutte le istituzioni sociali, denunciando le rigidità ideologiche, quando queste si rivelano funzionali solo per riprodurre l'ordine sociale e per stabilire la gerarchia delle forme di potere. In questo senso, la pedagogia è riconosciuta come un sapere permeato di ideologia, ovvero profondamente connesso a scelte e obiettivi politici. L'ideologia è una componente costitutiva del modo in cui l'uomo pensa e conosce la realtà. È ideologia ogni “sistema di idee sul mondo”, esplicito o implicito, in grado di orientare l’esistenza dell’individuo e 7 della comunità. Essa esprime sempre una particolare presa di posizione rispetto al mondo. Il problema, dunque, è quello di saper riconoscere l'esistenza di una pluralità di punti di vista, di una pluralità di ideologie, evitando che uno solo di questi ritenga di essere l'unica visione attendibile del mondo. 2.​ IL DIBATTITO IN CORSO Esistono diverse prospettive della riflessione pedagogica: 1.​ pedagogia personalista ⇨ Giuseppe Flores d’Arcais pone l’accento sulla dimensione esistenziale, soggettiva e problematica della persona. La pedagogia colloca questi ultimi all’interno della storicità dell’agire umano e si pone su un piano di intervento più operativo, dinamico. Arcais ribadisce inoltre che la persona per quanto possa essere aperta alla trascendenza, è anche corporeità. 2.​ pedagogia critica ⇨ Alberto Granese propone l’idea di una “pedagogia critica”, contrassegnata da una cifra di incompiutezza e umiltà. La sua opzione è quella di una pedagogia come obiettivo non ancora raggiunto. Per esprimere la pedagogia critica egli sceglie la metafora del labirinto: chi è dentro il labirinto deve provare e riprovare i percorsi e sforzarsi di trovare l'uscita, prima di poter individuare “cognitivamente” la propria posizione all’interno del labirinto. 3.​ clinica della formazione ⇨ Riccardo Massa parte dal legame tra dimensione soggettiva e dimensione oggettiva della formazione per formulare la proposta di una clinica della formazione. Essa apre un'azione di scoperta, di comprensione e rielaborazione dei significati impliciti (latenze) che intervengono nel corso del lavoro formativo sia da parte dei soggetti in formazione sia da parte dei formatori. Si tratta di acquisire maggiore consapevolezza critica sul registro latente delle fenomenologie esistenziali, dei modelli di comprensione e delle dinamiche affettive. Un lavoro clinico comporta il ritorno continuo sull'enigma osservato. Duccio Demetrio ha sviluppato un modello pedagogico centrato sulla narrazione come via privilegiata dei processi di formazione e autoformazione. La narrazione sollecita la tensione creativa all'apprendimento continuo e ad una costante apertura al cambiamento. 4.​ metateoria ermeneutica ⇨ è il modello proposto da Franco Cambi. Si tratta di un approccio volto ad indagare gli aspetti logico-formali, gli aspetti trascendentali, strutturali e relativi della pedagogia. La finalità della metateoria ermeneutica è quella di sviluppare un'analisi del discorso del sapere pedagogico che sappia “dis-articolare i suoi stessi presupposti”. La pedagogia, per Cambi, si configura come il luogo di incontro di discorsi eterogenei e interconnessi, relativi al suo essere una disciplina conoscitiva e, allo stesso tempo, operativa; una scienza in continua ridefinizione. 5.​ approccio fenomenologico ⇨ Piero Bertolini affronta i temi della filosofia di Husserl: l’esperienza precategoriale, la valenza conoscitiva dell’empatia, l'intenzionalità della coscienza, l'apertura al possibile. Tali temi, consentono di ridefinire l’assetto teorico di una pedagogia scientificamente fondata e di ridefinire la progettualità educativa ancorandola alla concretezza del mondo della vita. Bertolini elabora quindi un modello di pedagogia connotato dai caratteri di una scienza empirica (poiché parte sempre da un’analisi dell’esperienza), eidetica (in quanto va alla ricerca delle costanti che la percorrono) e pratica (poiché la sua stessa configurazione epistemologica fa riferimento alla sua costitutiva apertura al futuro e alla sua funzione trasformatrice). 6.​ approccio biopedagogico ⇨ Elisa Frauenfelder analizza i rapporti tra bios e logos con l’obiettivo pedagogico della “salvaguardia” della centralità del soggetto-persona. Il paradigma biopedagogico introduce i concetti di plasticità funzionale, di apprendimento come processo auto costruttivo del soggetto, di formazione come dispositivo di mediazione tra genoma e ambiente. Alla condizione della "plasticità" dell'encefalo si affianca il momento esperienziale; sono la quantità e la qualità dell'informazione che, innestando un processo di connessione tra le cellule 8 neuronali, inducono un sistema interpretativo e combinatorio regolatore dell'esperienza stessa. 3.​ IL PROBLEMATICISMO PEDAGOGICO Il problematicismo pedagogico allude a un modello interpretativo e operativo dei processi educativi rivolto alle teorie e prassi educative. Il pedagogista veneziano, Giovanni Bertin, suggerisce alla pedagogia quattro “vesti”: 1.​ veste teoretica ⇨ ha una funzione antidogmatica: mira, infatti, a denunciare la parzialità dei modelli pedagogici espressi dalla storia dell’educazione. Ha quindi lo scopo di recuperare e valorizzare ciascuna delle relazioni caratterizzanti le contraddizioni dell'esperienza educativa (io-mondo, natura-cultura, individualità-socialità) 2.​ veste dialettica ⇨ il problematicismo pedagogico utilizza gli strumenti dell'analisi teoretica e delle scienze applicate al fine di creare un sistema educativo aderente ai problemi quotidiani di un contesto storico-sociale. Il problematicismo pedagogico si rivolge alla costruzione di una donna e di un uomo pluridimensionali, creativi e attivi. Ha l'obiettivo di creare un'umanità capace di partecipare all'uso e al controllo sociale, un'umanità libera di testimoniare la propria energia inventiva, la propria disponibilità socioaffettiva e la propria sensibilità estetica. 3.​ veste fenomenologica ⇨ la tensione fenomenica assicura apertura e pluralità al modello pedagogico. La sua prospettiva è rivolta a considerare gli aspetti soggettivi e oggettivi, psicologico e sociali, storici e culturali dell'esperienza educativa. Tale obiettivo è perseguibile attraverso la coscienza critica dell’universalità delle idee e della prassi in educazione. 4.​ veste del possibile ⇨ dà luce e prospettiva al concetto di progetto educativo, inteso come modello concettuale entro cui vanno connessi molteplici aspetti della vita. L'adesione alla realtà e la fedeltà alla ragione richiedono una consapevolezza storica e una comprensione profonda del legame tra passato, presente e futuro. In questo modo, l'esperienza razionale non si limita al presente né si concentra solo sul passato, ma si proietta verso il futuro. La categoria del possibile trasforma quindi il modello pedagogico in un paradigma aperto alla sua continua trasformazione in direzione di ragione. Le quattro piume stellari: dissenso, impegno, scelta e utopia. 1.​ il dissenso ⇨ è una pedagogia del “no”. No verso tutto ciò che porta a paralizzare e bloccare lo sviluppo multidimensionale della personalità -no alle discriminazioni, alle inibizioni e alle associazioni “socio-affettive” -no alla manipolazione, al conformismo e all’omologazione intellettuale -no al dogmatismo, all’indottrinamento “etico” -no alla stereotipia, al cattivo gusto e alla massificazione “estetica” -no all’automazione, all’alienazione e allo sfruttamento del totem economico. 2.​ l’impegno ⇨ impegno etico-sociale, “capacità di agire nella storia per realizzare in essa l’esigenza razionale”. 3.​ la scelta ⇨ lontano dai sentieri dell’omologazione, sceglie una formazione di un uomo e di una donna pluridimensionali, creativi, solidali, responsabili. 4.​ l’utopia ⇨ una pedagogia “in situazione”, illuminata dai traguardi ideali ma poggiante sulle solide gambe dell’impegno e della scelta-proiezione dell’avvenire. 4.​ L’ALFABETO TEORICO DELLA PEDAGOGIA La nostra idea sulla pedagogia è di un sapere generale, critico ed emancipativo della formazione. Un sapere in grado di rispondere alle molteplicità dei contesti, delle esigenze e delle sfide che derivano dalla natura umana, in continua trasformazione. L'identità formale della pedagogia nasce dalla necessità di avere una propria autonomia scientifica, 9 raggiunta grazie alla sua costante tensione autocritica, decostruttiva e ricostruttiva insieme. Questa dinamica coinvolge le due dimensioni principali della ricerca pedagogica: la dimensione teorica e quella prassica. Entrambe si caratterizzano come sistemi autonomi e, allo stesso tempo, complementari. Le categorie formali che permettono di disegnare la cornice epistemica della pedagogia: 1. l’oggetto della pedagogia ⇨ riguarda la formazione dell'uomo e della donna nella loro contestualizzazione storica, culturale e sociale. Si tratta di una formazione che si struttura in direzione di crescita intellettuale, autonomia cognitiva e affettiva, emancipazione e liberazione etico-sociale. 2. il linguaggio della pedagogia ⇨ un alfabeto plurale, che si nutre del linguaggio della filosofia, delle scienze applicate, della storia, dell’ideologia, del senso comune. La pedagogia organizza questi linguaggi, rendendoli funzionali alle diverse necessità in base ai soggetti e ai contesti. ⤏ linguaggio analitico-descrittivo: linguaggio di tipo esplicativo, caratterizzato da termini di natura scientifica, volto a fornire chiarificazioni sulla specificità del soggetto, sulla sua struttura biologica, sugli stadi del suo sviluppo mentale, sui condizionamenti che influenzano e determinano l’identità; ⤏ linguaggio narrativo: attento alla ricostruzione dei processi di apprendimento dei soggetti in formazione, alle storie della personale ricostruzione cognitiva e affettiva; ⤏ linguaggio retorico-persuasivo: argomentativo, critico-dialettico. Mira ad individuare le direzioni teleologiche attorno cui raccogliere consenso; ⤏ linguaggio della quotidianità e del “senso comune”: vede la compresenza di elementi di natura scientifici ed elementi di natura filosofica, frasi, concetti e approcci tipici del senso comune; ⤏ linguaggio dell’analogia e della metafora: consente all’immaginazione di proporre logiche e soluzioni originali e creative, di prefigurare l’esistenza di una realtà differente (es. metafora della cura, del giardino...). 3. la logica ermeneutica ⇨ è il criterio descrittivo della pedagogia, che si sviluppa nella dialettica teoriaprassi-teoria. Questa triplice esigenza di fondazione teorica (sistema di ipotesi), di traduzione (e di verifica) empirica e di riformulazione teorica fa della pedagogia una scienza attenta alle esigenze della filosofia e della storia naturale e culturale, della biologia e dell'antropologia, delle scienze e dell'arte. 4. il dispositivo investigativo ⇨ la complessità dell'oggetto della pedagogia richiede vari metodi di ricerca, come la ricerca teorica, la ricerca comparata, la ricerca storica, la ricerca sperimentale e la ricerca clinica. 5. il principio euristico ⇨ la pedagogia pone il principio euristico al centro dei propri processi di problematizzazione, formalizzazione e riformulazione delle antinomie strutturali del discorso educativo. Il principio euristico interviene a problematizzare, interconnettere e ricomporre le discordanze strutturali della pedagogia: dalla teoria e dalla prassi, dai fini e dai mezzi, dalla realtà e dall'utopia. È proprio l'utopia che funge da idea regolativa per l'emancipazione e la liberazione che con l'educazione si intende realizzare. 6. il paradigma di legittimazione ⇨ la pedagogia si legittima come sapere: ⤏ complesso e plurale: complesso perché la formazione ha molteplici direzioni e dimensioni; plurale per via della molteplicità dei linguaggi e dei metodi di ricerca pedagogica. ⤏ dialettico e contestativo: la criticità che nasce dal continuo scambio tra teoria e pratica la pone in uno stato di crisi permanente. ⤏ generativo e formativo: la pedagogia si basa su un principio di ricerca che mira alla trasformazione e al cambiamento, cercando nuovi comportamenti e valori. La sua dimensione utopica critica le condizioni attuali, proponendo come obiettivo l'emancipazione, intesa come liberazione dalle varie forme di dipendenza e come conquista individuale e collettiva di una completa autonomia esistenziale, intellettuale e affettiva. 10 Il risultato è un modello di pedagogia costruito sull’idea di una ragione metodologica. È una pedagogia critica e aperta, che si muove dialetticamente tra istanze di libertà, evoluzione, costruzione di nuovi mondi e la concretezza di un impegno etico, radicato nella problematicità della realtà. SECONDA PARTE : COMPLESSITÀ E PEDAGOGIA DELLA RAGIONE I) PREMESSA Il paradigma della complessità prende le mosse dalle tre grandi rivoluzioni (filosofiche, scientifiche e artistiche) del 900 che hanno messo in atto un processo di decentramento simile alla rivoluzione copernicana: ➔​ Con Darwin, la specie umana perde la sua centralità nell’universo. L'uomo e la donna sono, invece, strettamente legati agli altri esseri viventi e alla natura. ➔​ Con Freud, la ragione perde la sua centralità nel complessivo assetto della vita personale, con la scoperta di dimensioni della soggettività (legate alle pulsioni, al desiderio, all’inconscio, ai sogni). ➔​ Con Tylor, è l’uomo bianco, la sua lingua e la sua cultura a perdere centralità rispetto alla molteplicità dei popoli che abitano la terra. La scoperta “dell’altro” comporta il riconoscimento di pari opportunità e uguaglianza. Queste rivoluzioni influenzano e modificano profondamente concezioni di vita e sistemi di pensiero. Si affermano, infatti, i concetti di differenziazione e connettività, di pluralità e differenza, di cambiamento e complessità. Esse, inoltre, modificano gli assetti tradizionali della scienza, dell’arte, della filosofia, dell’etica ⤍ si ha un passaggio da un approccio scientifico meccanicistico a un approccio probabilistico e reticolare, il quale porta alla formulazione del paradigma della complessità, alla prospettiva di un pensiero ecologico, capace di pensare insieme diversità e antagonismi. Il decentramento operato dalle tre rivoluzioni coinvolge tutti gli aspetti della vita e della cultura, dando vita a modalità espressive del tutto rinnovate. È proprio in questo contesto che la ragione avverte la sua crisi, mette in discussione la rigidità del proprio statuto e si apre alla differenza e alla pluralità. Così, la cosiddetta pedagogia della ragione, fatta di una ragione antidogmatica ed antiautoritaria, cerca di muoversi tra le varie antinomie e acquisisce la consapevolezza del suo carattere incompiuto e problematico. D'altra parte, però, è una pedagogia che rispetta e valorizza le differenze. ITINERARI NELLA COMPLESSITÀ Nel corso della storia, l’essere umano ha cercato di stabilire, controllare e prevedere gli eventi della realtà, ricercando riferimenti e leggi stabili, nel tentativo di sopperire l’angoscia della precarietà e l’insicurezza di un pensiero aperto. Ciononostante, l’individuazione di proprietà stabili ha generato approcci conoscitivi che hanno ingabbiato la poliedricità delle forme di vita e di pensiero. Persino la scienza classica, da Galileo a Newton, ha cercato di trovare un ordine semplice dietro la complessità dei fenomeni. Tuttavia, nel 900, con le rivoluzioni delle scienze fisiche, il paradigma meccanicistico entra in crisi. Nell'ambito della biologia evolutiva, viene riconosciuta l’inadeguatezza di un approccio meccanicistico e si afferma invece un approccio più attento alle dimensioni sistemiche degli organismi viventi. La prospettiva investigativa si sposta dagli oggetti alle relazioni, dalla sostanza alle configurazioni, dalla quantità alla qualità. L'affermarsi dell’idea di una realtà complessa e reticolare corrisponde al passaggio dalla metafora della conoscenza come edificio, alla metafora della conoscenza come rete, in cui concetti e modelli conoscitivi formano una trama interconnessa. Il biologo Ludwig von Bertalanffy formulò la sua teoria generale dei sistemi, in cui mise a punto un nuovo paradigma che raccolse l’interesse di diverse discipline. Il concetto tradizionale di sistema, 11 caratterizzato da una struttura ordinata e stabile di parti gerarchizzate, venne messo in crisi. La struttura, invece, in questa teoria, si presenta come una configurazione di relazioni tra le parti di tipo probabilistico. L'attuale teoria dei sistemi fa propria la distinzione tra schema di autorganizzazione di un sistema e struttura fisica del sistema. Ogni sistema è caratterizzato da uno schema, che visualizza l’organizzazione delle relazioni fra le sue parti, corrispondenti all’identità del sistema, e una struttura che corrisponde all’insieme delle sue componenti fisiche. Lo schema di organizzazione che caratterizza tutti i sistemi viventi è lo schema a rete, a cui il biologo Maturana ha dedicato il concetto di autopoiesi. I sistemi viventi sono sistemi autopoietici, in quanto la loro organizzazione interna è “una rete che produce continuamente sé stessa”, ovvero ciascuna componente della rete è coinvolta nella trasformazione e nella produzione delle altre parti della rete. A livello di schema di organizzazione, il sistema vivente è chiuso e autonomo; mentre a livello di struttura fisica esso è aperto, poiché interagisce continuamente con l’ambiente. Tra apertura e chiusura, dunque, i sistemi viventi conservano la propria “unità identitaria”. Prigogine approfondisce la coesistenza tra permanenza e cambiamento nei sistemi viventi ⤇ egli sostiene che la stabilità dell’organismo non si identifica né con il suo equilibrio né con la sua invariabilità. Essa coincide invece con uno stato di non-equilibrio. Maturana e Varela formulano la teoria secondo cui “i sistemi viventi sono sistemi cognitivi e il vivere è un processo di cognizione”. La cognizione è il processo di conoscenza che va oltre il pensiero umano e abbraccia i processi che agiscono attraverso le molteplici strutture dei sistemi viventi, attraverso il cervello. Si realizza dunque una nuova sintesi tra mente e materia ⤇ la mente non è una “sostanza” ma è un processo che attraversa le forme di organizzazione della materia. -Il matematico Edward Lorenz ha mostrato come i sistemi complessi sono difficili da prevedere a lungo termine, in quanto anche la minima variazione nel sistema produce, nel tempo, evidenti e profonde conseguenze su larga scala. Questa tesi venne definita “effetto farfalla”. La complessità dei fenomeni non lineari non si può studiare solo sulla base di un approccio matematico di tipo quantitativo. La complessità, infatti, non è caos e non è equilibrio stabile: è una terza dimensione in cui il sistema è creativo, come se manifestasse un comportamento intelligente, di adattamento alle sollecitazioni ambientali. Una delle ripercussioni determinate da queste rivoluzioni riguarda la reinterpretazione della legge scientifica come “vincolo”. Essa diviene espressione dell’ambito della possibilità. Infatti, durante lo svolgersi del processo evolutivo, alcune possibilità si smarriscono, altre vengono eliminate, altre ancora diventano il punto di partenza per altre possibilità, in un percorso sempre mutevole e imprevedibile. Questo percorso dipende dal contesto di appartenenza del soggetto, dalle scelte effettuate sulle varie possibilità e dal caso, che accentua la complessità nella contingenza degli eventi reali. In questa prospettiva probabilistica viene meno la visione meccanicistica e finalistica dei processi naturali. Paul Davies scrive che “il caos ci dimostra che il futuro è realmente aperto. (...) Esso restituisce una genuina spontaneità alla natura, permettendo all’universo di generare cose che sono totalmente inaspettate e nuove”. Dunque, le leggi sono simili alle regole di un gioco, che offrono ai giocatori (i sistemi che interagiscono tra loro) l’insieme delle possibilità d’azione nell’ambito in cui i giocatori effettueranno le loro mosse. La molteplicità dei punti di vista con cui è possibile conoscere il mondo mettono sotto scacco il raggiungimento di un punto di vista scientifico unico, omogeneo e assoluto. La conoscenza, al contrario, si propone nei termini di una costruttività mai conclusa, che si sviluppa nella rete dei molteplici, opposti e complementari punti di vista. 12 Secondo la teoria dei sistemi, un sistema è caratterizzato da un dominio cognitivo. È sulla base di tale dominio che il sistema seleziona gli stimoli dell'ambiente, scegliendo quelli significativi e determinandone il significato stesso. I processi cognitivi vanno interpretati come frutto costruttivo, unico e personale, del modo in cui il sistema cognitivo usa gli stimoli ambientali. Viene meno, quindi, l'idea di poter giudicare teorie o concezioni scientifiche in relazione ad un punto di vista assoluto. Invece, vanno considerate le molteplici contraddittorie visioni del mondo come irriducibili, non gerarchizzabili e prese nella stessa rete di interazioni costruttive. -Negli anni 80, Morin ha problematizzato le dimensioni di un pensiero complesso, evidenziando la sua capacità di rispettare la multidimensionalità della conoscenza, articolata in diversi punti di vista, ognuno dei quali decisivo e, allo stesso tempo, insufficiente, in quanto è un punto di vista comunque limitato. Dunque, i diversi ambiti della conoscenza vanno considerati come dei tasselli unici nella composizione del mosaico della conoscenza. Secondo tale prospettiva, il “decollo verso un pensiero multidimensionale” e verso la ragione plurale implica il superamento dell’errore commesso dal pensiero formalizzante e quantificatore, il quale deve sapersi interconnettere con altri approcci conoscitivi. Il pensiero acquisisce quindi capacità dialogica, ovvero la capacità di connettere logiche e principi diversi in una sola unità. Per tanto, il paradigma della complessità rimanda ad un modello di conoscenza e di formazione che riconosce, promuove e utilizza la forza metaforica del pensiero; la capacità di scomporre e ricomporre saperi rigidi e consolidati. -la conoscenza scientifica si ridefinisce quindi come una “conoscenza a mosaico”, dove ciascun tassello ha un valore in sé. Inoltre, viene meno la tradizionale gerarchizzazione tra ragione e non ragione. A tal proposito, Giacomo Cives sostiene come la “crisi dell’onniscienza” mette in discussione l’idea dell’assolutezza della verità scientifica e della ragione assiomatica. “non cade l’istanza della ragione ma essa deve mettersi alla prova e rafforzarsi nel confronto con l’irrazionale, l’immaginativo”. La ragione, quindi, sceglie come procedura per risolvere la sua contraddizione un modello critico e autocritico, tipico della ragione stessa. Tutto ciò porta ad una rivisitazione dell’illuminismo e dell’empirismo. Habermas, infatti, sostiene che soltanto un supplemento dell’illuminismo, può combattere le devastazioni prodotte da esso. In tal senso, la ragione conferma la forza della sua funzione critica e della sua complessità che, come sostiene Morin, “permette di associare, distinguendole, nozioni disgiunte come quelle d’essere e d’esistenza”. 2. RICADUTE PEDAGOGICHE. RAGIONE PROBLEMATICA, EDUCAZIONE ALLA COMPLESSITÀ Dal dibattito sulla complessità, la pedagogia ha ricavato la necessità di rivedere le strutture portanti della sua razionalità: il suo statuto formale e la sua progettualità operativa. Statuto formale ⤍ la morfologia epistemica della pedagogia, ovvero i suoi saperi, linguaggi e logica, si è rifondata radicalmente. La pedagogia ha acquisito la consapevolezza della necessità di rimettere sempre in circolo le proprie certezze. Emergono quindi come contrassegni del sapere pedagogico e dell’agire educativo le dimensioni della problematicità e della pluralità degli approcci di ricerca. La pluralità, in particolare, definisce il carattere di una pedagogia della complessità: Pluralità di paradigmi e interpretazioni, con cui il discorso pedagogico riflette sulle proprie strutture epistemiche e riformula i propri percorsi investigativi; Pluralità di scienze, con cui la pedagogia riformula il proprio statuto e la propria progettualità; Pluralità di emergenze, con cui la pedagogia si confronta: i problemi dell’infanzia, il disagio giovanile, l’emarginazione degli anziani, le nuove forme di analfabetismo. 13 Progettualità operativa ➾ il dibattito della complessità ha avuto ricadute sulla pedagogia che orienta il proprio fine verso l’educazione alla ragione, la quale si propone come “ragione problematica”, in grado di pensare la complessità e muoversi dialetticamente tra i vari piani esistenziali e culturali del reale. Educare alla ragione problematica significa educare a pensare in modo complesso, sviluppare una conoscenza della conoscenza. Il soggetto che conosce, riflettendo sul proprio agire conoscitivo, esercita un’azione di autoriflessività. Inoltre, l’educazione alla complessità insegna a pensare il soggetto come interconnesso alla conoscenza che produce. La pedagogia, quindi, ridisegna la propria dimensione concettuale unendo contingenza e utopia, ragione e creatività, cognitività e affettività, e si traduce in un’educazione dall’impegno etico ed emancipativo. Impegno, rispetto delle differenze, educazione alla singolarità sono istanze ideali di un progetto pedagogico volto ad escludere modelli di pensiero e comportamento autocentrati, rigidi e dogmatici. La formazione si muove su due piani: 1. l’essere formati ➪ rinvia ad un intervento esterno, ovvero alle istituzioni, alla figura del “formatore”, ai contenuti della cultura. 2. il formarsi ➪ rinvia al soggetto stesso che, appropriandosi della cultura, la trasforma e la rielabora per autoformarsi. -L'intreccio di queste due dimensioni si realizza attraverso la mediazione di libertà e autorità, razionalità e relazionalità, ragione e creatività, dovere e gratificazione personale. La formazione è dunque una categoria complessa e, come tale, può essere assunta come regolatrice del sapere pedagogico e dell’agire educativo. Inoltre, il concetto di formazione viene arricchito dal termine processo, inteso come processo formativo. “Processo” implica divenire, qualcosa che si evolve nel corso del tempo e dello spazio, nutrendosi di valori, saperi, comportamenti e punti di vista. La formazione è, infatti, un processo di crescita individuale e sociale, ancorata alla specificità della persona e orientata da un fine intenzionale che rimanda all’universo dei saperi e dei valori propri di una comunità. -Il tempo della formazione si svolge poi parallelo al tempo della vita. La formazione va pensata come un processo in cui si alternano, in maniera personale e imprevedibile, progressione e regressione, continuità e discontinuità, costruzione e decostruzione. Inoltre, essa è un diritto inalienabile dell’uomo. -La struttura autoritaria della ragione gerarchica coinvolge la ricerca pedagogica, chiamata a promuovere lo sviluppo di una ragione plurale flessibile e multiculturale, opposta ai modelli culturali statici, rigidi e dogmatici. Tale ricostruzione prende in esame i modelli che storicamente hanno rappresentato la cultura monocentrica e assiomatica. ⬩Antropocentrismo➝ si ha da una parte l’uomo al centro dell’universo e, dall’altra, una natura da dominare e sfruttare. Lo scopo della pedagogia è quello di riportare l’uomo alla sua normale condizione di essere vivente, interno alla natura, in armonia con la terra e i suoi abitati. ⬩Glottocentrismo➝ inteso come prevaricazione della lingua orale alla scrittura. Esso, infatti, ha posto in secondo piano segnali del corpo e artefatti tecnologici utilizzati dall’uomo per esprimersi. ⬩Logocentrismo ➝ inteso nella centralità assiomica del logos e come esclusione di ogni modello divergente da esso. Sono stati dunque marginalizzati la dimensione dell’eros, dell’affettività e la parte d’identità legata a sogni, inconscio, pulsioni e desideri. ⬩Etnocentrismo➝ ha compiuto un’opera di gerarchizzazione e discriminazione ai danni di culture, popoli e nazioni ritenuti inferiori ad altre. La pedagogia ha qui la responsabilità di problematizzare i rapporti tra identità e alterità, di affermare il diritto alla differenza attraverso l’educazione ad essa. 14 ⬩ Adultocentrismo e scuolacentrismo➝ combattute con l’impegno ad una progettazione formativa rispettosa di tutte le età II. LA PEDAGOGIA TRA NATURA E TECNICA L'incontro tra natura e tecnica si dispiega su tre piani di riflessione: 1. riguarda il produrre un “mondo artificiale” e convivere con esso; 2. la convivenza tra natura e tecnica implica che la natura umana si trasformi; 3. riguarda la progressiva riduzione dei confini di autonomia del mondo naturale, in seguito all’espandersi della tecnica. La riflessione pedagogica assume su di sé l’impegno e la responsabilità di inoltrarsi nei territori impervi che queste due dimensioni offrono al progetto formativo. Da qui deriva l’attenzione nei confronti della biologia e della cibernetica. La biologia, intesa come scienza della vita e della natura, offre la possibilità di problematizzare le interconnessioni tra vincoli genetici e vincoli ambientali che fanno emergere la singolarità dell’uomo. Un punto di riferimento imprescindibile è la teoria evoluzionista di Darwin, la quale interpreta la realtà alla luce dei concetti di “evoluzione”, “cambiamento” e “differenza”. Secondo tale concezione, non esiste una natura data e immutabile, così come non esistono barriere tra i sistemi viventi in base a cui costruire gerarchizzazioni. Al contrario, il mondo vivente è caratterizzato da continuità tra le specie viventi. Inoltre, la ricomposizione della frattura natura-cultura si collega alla ricomposizione della frattura cervellomente. Infatti, studi neurologici hanno rilevato come i processi mentali siano il prodotto dell’organizzazione e della funzionalità del sistema nervoso, che interagisce con l’ambiente. Il rapporto che si instaura tra cervello-mente-ambiente evidenzia la funzione centrale delle stimolazioni ambientali e dell’esperienza nella formazione di vaste zone dell’encefalo della specie umana. Le strutture cerebrali e i processi mentali si presentano caratterizzati da estrema varietà e modificabilità. Inoltre, lo sviluppo del cervello umano è correlato ai processi apprenditivi che si realizzano nell’interazione tra genotipo e ambiente. La cibernetica consente di problematizzare il concetto di tecnica, approfondendo il rapporto tra cervello e macchine, tra intelligenza biologica e intelligenza artificiale. A livello della problematizzazione dei rapporti tra neurologico e apprendimento la pedagogia è impegnata su diversi fronti: -nell’ideazione di percorsi formativi in grado di favorire lo sviluppo transattivo tra il patrimonio genetico individuale e le stimolazioni ambientali; -nella valorizzazione del patrimonio di differenze che caratterizza il cervello; -nell’organizzazione di contesti formativi; Invece, a livello di problematizzazione dei rapporti tra intelligenza artificiale e intelligenza biologica, la pedagogia approfondisce: -la varietà dei codici attraverso cui elaborare le informazioni e le ripercussioni che potrebbero avere; -le possibilità di ampliamento e integrazione linguistica offerte dal sistema multimediale; -gli effetti di overdose da sollecitazioni apprenditive che possono derivare dalla disarticolazione di eccessivi stimoli ambientali o, al contrario, gli effetti di deprivazione percettiva, cognitiva e comunicativa derivanti da stimoli ambientali poveri; -il rapporto computer-scuola-bambino 1.​ NATURA Il paradigma darwiniano aveva imposto un’idea di evoluzione come processo, lento e graduale, attraverso la selezione naturale. Tuttavia, le formulazioni post-darwiniste oppongono a tale 15 gradualismo una visione sistemica che rende conto della complessità della realtà e del pluralismo evolutivo. Per quanto riguarda i tempi dell’evoluzione, non vi è stata una successione lineare di trasformazioni genetiche all’interno di un unico ceppo, anzi l’evoluzione è avvenuta tramite il meccanismo della speciazione, secondo cui, da un ceppo originario, si può distaccare una linea evolutiva originale, la cui direzione è imprevedibile. Anche i fattori che determinano l’evoluzione sono riconosciuti plurali. Infatti, l’evoluzione procede per salti evolutivi, in gran parte legati a fenomeni che non si possono interpretare secondo la nozione classica di adattamento. Ad essa si affianca la nozione di “exattamento”, introdotta dai paleontologi Stephen J. Gould ed Elisabeth Vrba ⤏ secondo la tradizione evoluzionista, ogni tratto dell’organismo si delinea per svolgere una sola funzione. Forma e funzione erano legate da una corrispondenza per cui la funzione precede sempre la forma. I due paleontologi capovolgono tale punto di vista. Infatti, un organo, nato per rispondere alle necessità funzionali di una determinata situazione ambientale, viene riadattato per svolgere nuove funzioni. In questo caso, la forma precede la funzione. Per quanto riguarda le unità che determinano l’evoluzione, va considerato che i comportamenti dei sistemi su larga scala non rispecchiano i processi che hanno luogo nelle parti che li compongono. Si tratta di configurare un’ecologia complessa, in cui organismi e ambienti co-evolvono sulla base dell’interazione tra unità gerarchiche diverse dal sistema evolutivo. -La chiave di volta dei processi evolutivi è legata al principio della creatività adattiva ➟ l’evoluzione offre agli organismi una flessibilità funzionale da poter affrontare cambiamenti ambientali in forma imprevedibile e creativa. Emerge quindi un’immagine di organismo vivente la cui evoluzione è il frutto variabile è imprevedibile dei modi in cui le dinamiche di integrazione delle componenti interne dell’organismo interagiscono con le componenti del sistema-ambiente. Il neuroscienziato americano Paul MacLean elabora l’ipotesi del cervello trino, ovvero un modello di organizzazione convergente del cervello come sistema in grado di auto-organizzarsi. Secondo tale ipotesi, il cervello umano è il risultato della stratificazione successiva di tre cervelli, diversi per aspetti strutturale e biochimici. Ognuno dei tre cervelli è in grado di funzionare in modo indipendente dagli altri, in quanto possiede programmi di ragionamento e comportamento autonomi. MacLean definisce le tre strutture cerebrali paleoencefalo, sistema limbico e neocorteccia. Paleoencefalo ➞ comparso 200 milioni di anni fa, è caratterizzato da comportamenti istintivi, rigidi, stereotipati, basati sull’imitazione e sulla capacità di riconoscere gli altri; Sistema limbico ➞ ha la capacità di governare la percezione del sé, di elaborare le emozioni che guidano il comportamento in rapporto ai principi dell’autoconservazione individuale e della conservazione della specie; Neocorteccia ➞ parte del cervello deputata a svolgere le attività cognitive sottese all’uso del linguaggio, all’esecuzione di inferenze, alla formulazione di ipotesi, alla soluzione di problemi, all’elaborazione di piani per affrontare situazioni nuove. Inoltre, MacLean propone un nuovo concetto di encefalizzazione secondo cui, nell’uomo, si realizza un coinvolgimento crescente della neocorteccia in attività cerebrali con i centri filogeneticamente precedenti. Per rendere conto dell’unità del soggetto, diversi neurobiologici si sono concentrati sullo studio delle regioni del cervello dove funzionalità cerebrali vengono organicamente raccordate. Tali ricerche, hanno deputato i lobi frontali i luoghi del cervello dove le informazioni sensoriali e percettive provenienti dalle aree associative logico-verbali convergono con le pulsioni motivazionali ed emozionali dell’uomo, dove trovano radicamento il senso di sé e la conoscenza personale di ogni individuo. Viene quindi integrata la capacità di interagire con l’ambiente e la capacità di essere in contatto con i propri sentimenti, bisogni e timori. 16 -Le più importanti caratteristiche della cultura sono un fatto dichiaratamente biologico, legato all’apprendimento inteso come strategia di sopravvivenza biologica. Ogni essere vivente, in quanto sistema aperto, sopravvive poiché è alimentato da materia ed energia, ma è anche nutrito da conoscenze e informazioni. Si tratta dell’attivazione a specifiche forme di apprendimento➩ attivazione delle strategie di conoscenza, riconoscimento e scelta delle condizioni della sopravvivenza, motivate dalla tensione a conservare la vita. Da apprendimento ad apprendimento si è giunti alla “crisi di novità” che coincide con l’acquisizione della funzione logico-linguistica, la quale si manifesta nell’uomo come capacità di effettuare inferenze, di rappresentare la realtà, di operare anticipazioni e ipotesi, di creare informazioni. La specificità biologica dell’uomo è quindi costituita da una competenza genetica verso un uso di strumenti non genetici. Il sistema umano ha dato poi vita ad un’altra evoluzione: quella della cultura, della capacità di creare segni e di decifrare significati con cui l’uomo diventa in grado di costruire un mondo ipotetico-progettuale. Viene meno, quindi, ogni opposizione qualitativa tra natura e cultura. Inoltre, l’individuo, oltre ad essere il prodotto della storia naturale-culturale della propria specie, è il risultato della propria storia individuale. Si sviluppa allora una riflessione pedagogica sulla necessità di assicurare la valorizzazione del potenziale intellettivo e linguistico di ciascun individuo, attraverso un’azione formativa in grado di fornire concrete opportunità di sviluppo ed uso del patrimonio linguistico. 1.2 IL CONTRIBUTO DELLE NEUROSCIENZE Il cervello è formato da circa cento miliardi di neuroni, i quali si agganciano con le altre cellule, stabilendo un complesso di reti in costante trasformazione, per via degli stimoli ambientali a cui sono sottoposti. Le varie combinazioni rendono ogni cervello unico, singolare e imprevedibile. Le neuroscienze hanno approfondito l’analisi del funzionamento del cervello attraverso la ricerca sperimentale della sua struttura fisica. I risultati hanno fornito delle mappe sempre più dettagliate riguardo le sue strutture cellulari e le sue sinapsi. Invece, la psicologia ha approfondito lo studio dei processi mentali attraverso la ricerca sperimentale sul comportamento dell’uomo. L'esigenza di studiare il funzionamento e la struttura del cervello, per poter spiegare l’attività cognitiva, si collega all’obiettivo di mettere in relazione la struttura fisiologica con il comportamento per spiegare le lesioni cerebrali. In tale prospettiva, si collocano tre orientamenti teorici: ⬩ teorie oliste➝ contestano la possibilità di spiegare le funzioni del sistema nervoso centrale isolandone le singole parti. Secondo tali teorie, il cervello funziona come unità integrata, per cui non si possono ridurre le proprietà degli organismi complessi alla somma delle parti che lo compongono. ⬩ teorie locazioniste ➝ cercano di dimostrare che ogni attività intellettiva è riferibile a una particolare locazione, ovvero porzione del sistema corticale, o ad un particolare emisfero. Ricerche recenti hanno confermato che ogni tipo di rappresentazione sensoriale ha una sua precisa localizzazione nella corteccia. Questo porta ad una differenziazione emisferica: -emisfero sinistro ⤍ è riconosciuta una particolare sensibilità visiva. È quindi garante della visualità, dell’analiticità e della formalizzazione delle esperienze. -emisfero destro ⤍ delegato al controllo acustico e sonoro, tattile e olfattivo e alla gestione della funzionalità prossemica e spaziale. Inoltre, propria dell’emisfero destro è la capacità emozionale, intuitiva, creativa e sintetica. ⬩ teorie modulari➝ Jerry Fodor ha descritto la mente come un complesso di dispositivi deputati a gestire l’elaborazione di specifiche informazioni. I sistemi di ingresso di informazioni si presentano come sistemi specializzati che svolgono compiti specializzati. Ciascun modulo, infatti, svolge solamente le proprie funzioni, prendendo in considerazioni porzioni circoscritte di informazioni. Fodor individua poi un insieme di sistemi centrali non modulari in cui convergono i dati elaborati nei 17 singoli moduli. Michel S. Gazzaniga elaborò un modello del sistema neuronale organizzato in sistemi di elaborazione modulare delle informazioni sensoriali provenienti dall’esterno. I moduli del sistema cognitivo sono non verbali, ovvero elaborano le informazioni relative alle dimensioni degli eventi-simbolo secondo modalità non verbali e non coscienti. Invece, i moduli localizzati nell’emisfero cerebrale sinistro sono verbali, ovvero adottano una codificazione verbale delle informazioni. -I modularisti propongono quindi un modello cognitivo contrassegnato da “facoltà verticali” che si occupano di specifici input sensoriali. Annette Karmiloff-Smith condivide con Fodor la tesi della modularizzazione, ma la modifica sulla base della tesi costruttivista di Piaget ➭ la mente umana non parte da moduli innati, ma li struttura nel corso dello sviluppo. Infatti, alla nascita, il bambino possiede una serie di preferenze dominio specifiche ma sono poco dettagliate. -Il livello biologico, legato alla fisicità del cervello, e il livello sovrabiologico, legato all’immaterialità del pensiero, sono considerati tra loro incomunicabili. In particolare, la diversa concezione del rapporto mente-corpo nasce dalle differenze che hanno diviso gli scienziati cognitivisti e i neurobiologi monisti. ➔​ gli scienziati cognitivisti intendono il pensiero come manipolazione di simboli. Esso si presenta come una continua trasformazione di strutture e simboli linguistici, regolati dalla logica. Si parla quindi di linguaggio del pensiero e di intenzionalità degli stati cognitivi. ➔​ i neurobiologi sostengono che nel cervello vi sono entità fisiche, descrivibili secondo un modello subsimbolico. Si parla di un sistema complesso, dinamico e non lineare che costruisce rappresentazioni del mondo interconnettendo nel tempo unità fisiche. Gli studi neurobiologici, adottando il cervello come modello per capire la mente, riportano l’intelligenza nell’ambito dell’adattamento biologico e dirigono l’attenzione sulla dimensione evolutiva dell’intelligenza. La possibilità di procedere ad un’integrazione disciplinare nello studio della mente è possibile grazie a due novità concettuali: -la teoria della complessità, secondo cui la realtà è costituita da una rete di sistemi complessi e la vita mentale emerge dalle complesse interazioni che legano le sue parti ai diversi livelli in cui sono collocate; -la novità metodologica, riguardante il ricorso ad un metodo che consente di superare i limiti dei tradizionali approcci scientifici e di accedere alla possibilità di studiare i sistemi complessi. -Uno dei contributi degli studi neurobiologici riguarda quello di fondare una fisiologia della mente, in grado di connettere fisico e mentale. In particolare, fondamentali furono le ricerche epigenetiche espresse nella teoria del “darwinismo neuronale” di Edelman e nella teoria dell’“epigenesi per stabilizzazione selettiva” di Jean-Pierre Changeux. In queste teorie, il cervello viene considerato l’organo della mente, dunque, le manifestazioni del pensiero sono un prodotto derivato. Inoltre, tali teorie contestano che il cervello sia una tabula rasa pronta ad essere istruita dagli stimoli ambientali ➱ il cervello è composto da miliardi di neuroni in collegamento tra loro da una rete di impulsi chimici ed elettrici. Gli stimoli ambientali, quindi, selezionano la risposta dell’organizzazione neuronale, per cui l’ambiente svolge la funzione di specializzatore e riduttore delle competenze dei soggetti con cui è in relazione. Changeux propone come esempio la comparsa dei suoni articolati e la nascita delle parole nel neonato, il quale, nei primi mesi di vita, ha a disposizione una vasta gamma di possibilità foniche e sonore. Segue poi una “selezione” dei suoni che determina la specializzazione fonetica. In questo caso, dunque, l’apprendimento si caratterizza come un’attività che si muove tra riduzione di alcune capacità e acquisizione di altre. 18 Il processo di selezione darwiniano presenta due fasi: 1. prima la nascita➛ il processo di selezione dei neuroni forma i repertori primari di collegamenti sinaptici; 2. dopo la nascita ➛ la selezione avviene successivamente alle stimolazioni senso-percettive dell’ambiente, che attivano alcuni gruppi di neuroni, causando il rafforzamento di alcune sinapsi e l’indebolimento di altre, producendo i repertori secondari di collegamenti sinaptici. L'organismo umano è dotato, fin dalla nascita, di una sovrabbondanza di cellule nervose collegate a precise funzioni adattive. Si manifesta, quindi, nel bambino, una ridondanza di neuroni rispetto a quelli di cui ha effettivamente bisogno. La selezione post-natale si produce nel corso di periodi critici, durante i quali l’ambiente interviene nella maturazione del sistema nervoso e nel consolidamento delle strutture cerebrali. Tuttavia, qualunque deprivazione sensoriale o motoria durante il periodo critico di una specifica funzione cognitiva può compromettere tale funzione. L'epigenesi, quindi, selezionando alcune combinazioni sinaptiche, determina la variabilità cerebrale fra gli individui. Il cervello, poi, attraverso l’apprendimento, continua a specializzare il suo “diventare cervello”: esso cresce, specializza le sue aree e si fa mobile, flessibile e plastico. Inoltre, Changeux sostiene che non vi è alcuna differenza tra le basi genetiche dell’uomo e quelle degli altri animali, ciò che cambia è la loro combinazione. Il risultato è che ogni cervello è unico, poiché unici sono gli eventi dello sviluppo di ogni individuo e le esperienze di cui ciascuno è protagonista. Con la teoria epigenetica, la differenza è costitutiva di tutti gli esseri umani. 1.3 RICADUTE PEDAGOGICHE Per il neonato della specie umana è necessario un lungo processo di maturazione e sviluppo, durante il quale l’ambiente di vita si pone come variabile determinante per l’attivazione delle strutture cerebrali. Su tale questione si sono contrapposti due filoni interpretativi: ➔​il primo conduce a un riduzionismo biologico, secondo cui l’uomo è il frutto di vincoli filogenetici. Tale riduzionismo rimanda all’idea di una “natura pregnante” che considera comunque l’umano il punto più alto del percorso evolutivo. Questa riduzione viene quindi intesa come autosufficienza biologica. ➔​il secondo ricorre al concetto di “vuoto filogenetico”, nel senso di incompletezza biologica del neonato. Il vuoto filogenetico rimanda, invece, all’idea di una “natura carente”, in cui la natura è estromessa e la cultura interviene a compensare l’insufficiente dotazione biologica. Si parla quindi di riduzione nel senso di carenza biologica. Il senso di carenza, tuttavia, non deve essere interpretato come mancanza o incompletezza del neonato alla nascita, ma va inteso come ridondanza di potenzialità che, nel corso delle esperienze di apprendimento e di incontro con l’alterità, vengono progressivamente attualizzate e specificate ➮“quanto più un sistema è complesso tanto più richiede/consente l’apporto esterno. La carenza indica la capacità del sistema di rispecchiare l’esterno e di rendersi bisognoso di alterità” (Roberto Marchesini). Il cervello dell’uomo, dunque, è predisposto ad evolversi, crescere e modificarsi attraverso l’esperienza e l’apprendimento. La plasticità del cervello umano, infatti, trae origine dall’apertura genetica agli apporti ambientali ➞ l'ambiente svolge una funzione extracorticale di sollecitazione dell’attività neurologica del cervello umano. Le ricadute in campo pedagogico sono diverse e particolarmente problematiche: ⬩ Sviluppo post-natale del cervello e offerte formative ➙ la plasticità e la capacità di cambiamento del cervello in rapporto agli stimoli ambientali rendono necessaria una predisposizione di offerte formative in grado di stimolare il bisogno di apprendimento, informazione e comunicazione del bambino. Si ha 19 quindi la necessità di fornire opportunità di esercizio del pensiero e di attualizzare le potenzialità apprenditive di ogni individuo. Invece, la monotonia delle sollecitazioni culturali e la carenza di scambi sociali incidono profondamente sulla possibilità di realizzare le interconnessioni sinaptiche, condizione di produttività cognitiva. ⬩Periodi critici e tempestività degli interventi formativi ➙ l’individuazione di particolari periodi critici richiede una più attenta considerazione della tempestività e della qualità degli interventi formativi da predisporre. Per rendere funzionali tali interventi, si valorizzano le indicazioni della Montessori sull’opportunità di offrire ai bambini sollecitazioni apprenditive attraverso la predisposizione di materiale di sviluppo sensoriale. ⬩ Valorizzazione delle differenze ➙ la varietà neurobiologica e mentale comporta l’impegno all’individuazione e alla valorizzazione delle differenze di ciascun soggetto rispetto agli altri. Gli interventi pedagogici devono, dunque, fondarsi sulla conoscenza di queste propensioni intellettuali e dei loro punti di massima flessibilità e adattabilità. ⬩ Qualità dei contesti della formazione ➙ è dall’ambiente che il soggetto ricava le sollecitazioni allo sviluppo e alla formazione ed è nell’ambiente che egli riversa i prodotti della sua elaborazione cognitiva. L'intervento pedagogico sta nel considerare l’importanza che assume l’organizzazione dei contesti educativi nell’attivare, sostenere e valorizzare la disponibilità all’apprendimento. -la crisi della separazione tra natura-cultura, corpo-mente, ha come conseguenza la riconsiderazione dei rapporti che legano l’uomo e il mondo in cui vive. In particolare, nasce l’esigenza di una nuova alleanza che non privilegi una specie rispetto ad un’altra. Questa nuova alleanza apre ad un pensiero autenticamente ecologico. È compito della pedagogia di costruire percorsi di formazione indirizzati all’individuazione di nuovi concetti e nuovi saperi, all’indicazione di nuovi paradigmi interpretativi e all’ideazione di nuove forme di solidarietà nei confronti di tutti gli esseri viventi. L’intento pedagogico, inoltre, è quello di sollecitare l’uomo ad interpretarsi come soggetto interno e collegato alla natura. 2 TECNICA Lo sviluppo della tecnica, prodotta dagli uomini e guidata dal pensiero umano, ha contribuito a rimodellare, trasformare e complessificare le forme del pensiero umano. Le possibilità dell’uomo di realizzare il proprio adattamento, tramite la costruzione di strumenti, avvengono attraverso l’agire tecnico ➪ è la mano dell’uomo a tradurre in azione le intenzioni e le previsioni che egli sviluppa. Essa, infatti, costruisce strumenti in cui trovano espansione e potenziamento le funzioni umane. Dunque, l’esperienza dell’uomo si organizza intorno ad un agire che egli trasforma e da cui viene, a sua volta, trasformato. L'analogia tra uomo e macchina trova nell’evoluzione delle scienze logico-matematiche e nei progressi tecnologici del ‘900 l’occasione di coinvolgere diverse discipline per ampliare notevolmente la conoscenza. Si ha la convinzione di poter trasferire l’attività cognitiva dell’uomo in una macchina pensante e che, quindi, “l’enigma della mente umana” possa essere compreso attraverso lo studio dei meccanismi e dei processi di elaborazione delle informazioni dei computer. Si crea quindi un rapporto circolare e dialettico tra uomo e macchina. Le ricerche di analogie e differenze tra cervello biologico e cervello elettronico comportano un duplice arricchimento: ➔​lo studio delle tecnologie fornisce preziosi modelli esplicativi del funzionamento delle strutture biologiche; ➔​lo studio degli organismi biologici consentono di acquisire nuove idee e modelli per nuovi dispositivi tecnologici; 20 -Negli anni 30 e 40 del ‘900, prendono avvio le principali ricerche informatiche e cibernetiche. Warren McCulloch e Walter Pitts stabilirono un’analogia tra l’organizzazione del sistema nervoso e i principi della logica ➪ il cervello umano, funzionando in base alle regole della logica, si caratterizza come il più grande computer esistente. Quindi, la conoscenza della fisiologia della mente rappresenta un fattore essenziale per lo studio del pensiero e la costruzione di macchine logiche. Negli stessi anni, anche John Von Neumann e Norbert Wiener offrirono dei contributi per l’affermazione degli studi informatici. Fu proprio Von Neumann a dare vita alla disciplina della cibernetica, ovvero la scienza dell’organizzazione e dello studio comparato dei sistemi di controllo e comunicazione negli esseri viventi e nelle macchine. Il punto di partenza della “prima cibernetica” è fisico, in quanto l’intelligenza umana è considerata una proprietà del cervello (sostrato materiale), per cui, per riprodurla in modo artificiale è necessario partire dalla base materiale dei processi cognitivi. Tali studi vanno poi incontro ad una duplice evoluzione: 1. viene approfondita l’ipotesi del pensiero come elaborazione delle informazioni ⇰ dà vita allo studio dell’intelligenza artificiale; 2. vengono approfondite le intuizioni di McCulloch-> danno luogo alla seconda cibernetica e alle sue applicazioni nella modellistica neurale. È attorno ad alcuni scienziati statunitensi che, nel 1956, si definiscono le prospettive di una nuova disciplina, denominata da John McCarthy intelligenza artificiale (IA), la quale si occupa del pensiero come calcolo. La rappresentazione mentale viene quindi concepita similmente al linguaggio e la computazione come analoga alla logica. In questa prospettiva, l’intelligenza viene identificata con il ragionamento deduttivo (dal particolare all’universale), il quale permette al pensiero di scavalcare l’ambivalenza dei dati dell’esperienza per ottenere conclusioni certe. Per cui, il ragionamento dell’uomo viene distaccato dagli eventi concreti della realtà e viene identificato nella corretta applicazione delle regole logiche, divenendo dichiaratamente oggettivo. Con la nascita dell’intelligenza artificiale si realizza un mutamento di paradigma, rispetto a quello della cibernetica: -con la cibernetica classica, l’obiettivo della ricerca è individuare il modello di interconnessione tra cervello e pensiero; -con l’IA, gli stati mentali dell’uomo sono considerati indipendenti dalla struttura organica e fisiologica del cervello. Allo stesso modo, il software (programma di una macchina) risulta indipendente dall’hardware (sostrato di una macchina) su cui è applicato: significa che identiche operazioni di risoluzione dei problemi possono essere eseguite da programmi e macchine diverse. Sia l’intelligenza biologica, sia quella artificiale manipolano simboli secondo stesse regole formali. Tuttavia, per i teorici dell’IA l’equivalenza funzionale tra cervello e computer non implica un’equivalenza strutturale. Infatti, lo studio dei processi di elaborazione delle informazioni risulta indipendente dalla struttura fisica del cervello ⇛ si consolida la concezione dualista secondo cui la mente è separata dal corpo. Inoltre, la capacità di manipolare simboli permette al computer di riprodurre l’attività del pensiero umano sulla base di una programmazione di azioni lineari e sequenziali. -Il dibattito causato dalle problematiche cognitive della versione forte dell’IA contribuisce all’avvio di una revisione del paradigma standard dell’elaborazione delle informazioni. Ulric Neisser, padre della psicologia cognitiva, prende le distanze dagli aspetti schematici dei programmi dell’informazione computerizzata, in quanto non rendono giustizia alla complessità che 21 contraddistingue l’agire cognitivo umano. La nuova intuizione, dunque, è che la costruzione di macchine non può non considerare la relazione esistente tra il sistema cognitivo umano e il mondo esterno in cui esso opera. Emergono allora, in modo evidente, i limiti della logica classica, la quale viene considerata lontana dai processi di ragionamento usati dall’uomo nella risoluzione dei problemi della vita quotidiana. Evidenziando l’aspetto attivo e costruttivo della conoscenza, si sottolinea come essa sia una continua strutturazione e ristrutturazione che il soggetto compie in base a molteplici elementi logici e a-logici. Ciononostante, sono gli studi sui meccanismi e sui processi della memoria che conducono al cambio di rotta del modello classico della logica computazionale dell’IA. Sulla base degli studi di Frederic Bartlett, vengono approfondite le ricerche sulle strategie costruttive e ricostruttive applicate dall’intelligenza umana durante la memorizzazione delle informazioni. Nei suoi studi sperimentali, Bartlett aveva dimostrato come, di una stessa storia, vengono fornite versioni differenti da diversi soggetti. Questo avviene perché, ciascun soggetto, nell’immagazzinare ed elaborare informazioni, compie deformazioni, distorsioni, omissioni o integrazioni, in base alle proprie motivazioni, esperienze e conoscenze pregresse. Bartlett elabora il concetto di schema istoriale, ovvero operazioni che interferiscono, modificano e adattano vecchie e nuove informazioni affinché il soggetto agganci le vecchie informazioni a quelle nuove, le memorizzi e le riutilizzi. Il concetto di schema istoriale è stato ampliato con la proposta di “grammatica istoriale” di David Rumelhart ➥ ogni schema (catena causale di eventi o azioni da compiere per giungere a uno scopo) è costituito da sottoschemi organizzati a rete o ad albero. Gli schemi sono variabili, si incastrano l’uno nell’altro, sono prototipi di conoscenze e processi attivi. Marvin Minsky, invece, ha elaborato il concetto di frame (quadro), ovvero il modello di rappresentazione dei contesti in cui si determinano gli eventi: si tratta di una struttura rappresentante una situazione stereotipica. Il ragionamento formale, basato sulle regole della logica, è una modalità di ragionamento umano che, tuttavia, non esaurisce il panorama creativo del pensiero umano. La mente, infatti, è immersa in un mondo di incertezza, di rumore nella trasmissione di un messaggio dal mittente al destinatario, di fluttuazione delle informazioni. Altre critiche al rapporto tra intelligenza umana e intelligenza artificiale sono state avanzate dal: filone neurofisiologico filone delle scienze cognitive -> indaga sulla rappresentazione, ovvero sui simboli, sugli schemi, sulle immagini e sulle idee. In particolare, la scienza cognitiva riprende le idee chiave degli studi dell’IA, integrandone gli sviluppi. Inoltre, essa studia i processi cognitivi dell’uomo, per poterne riprodurre artificialmente “l’architettura interna”. -Tale scienza, fa uso di un approccio interdisciplinare per favorire la risoluzione del problematico rapporto intelligenza umana-intelligenza artificiale e quello relativo al cervello-mente. Quindi, la scienza cognitiva si propone come spazio di incontro di più discipline per individuare ed esplicitare al meglio i collegamenti esistenti tra il livello della rappresentazione mentale, delle connessioni neurali e delle condizioni contestuali (condizionamenti sociali e storico-culturali). Sulla base di una serie di ricerche effettuate su cavie animali, si sono analizzati i rapporti tra basi neuronali e fenomeni cognitivi e si è confermata l’ipotesi della capacità di categorizzazione insita nel cervello. Infatti, la funzione primaria del SNC è quella di produrre pensieri. 22 Da queste ricerche viene poi avanzata l’analogia mente-cervello, che si contrappone a quella cervellocomputer della prima cibernetica (trascura le strutture specifiche del sistema nervoso), così come si contrappone all’analogia mente-computer, tipica dell’impostazione dualistica dell’IA (incapace di mostrare il legame tra pensiero e cervello). Per cui, ogni approccio funzionalista al rapporto cervello-mente-computer entra in crisi, in quanto il cervello umano dispone di caratteristiche particolari che il computer non possiede. Il dibattito in corso ha evidenziato come sia minima la conoscenza riguardante le caratteristiche del pensiero umano e le relazioni tra mente-cervello. In questo dibattito si inserisce anche la nuova cibernetica, che studia l’intelligenza biologica tramite esperienze di simulazione al computer dei processi cerebrali. La nuova cibernetica trova appoggio nel riduzionismo fisiologico di Changeux ed Edelman, nella teoria dei sistemi complessi e negli studi di David Rumelhart e James McClelland ⇨ i due scienziati, individuano nello studio comparato di intelligenza naturale e intelligenza artificiale nuove possibilità di arricchimento concettuale per le neuroscienze e il connessionismo. La comprensione dei fenomeni mentali passa per la conoscenza dei processi più elementari del pensiero, oggetto di studio delle neuroscienze. Tuttavia, le neuroscienze possono risultare insufficienti nell’affrontare i funzionamenti integrati del sistema nervoso. Per cui, esse potrebbero necessitare degli strumenti teoretici e delle tecniche di indagine del connessionismo, ovvero la teoria dei sistemi dinamici complessi e la tecnica della simulazione su calcolatore. Il cognitivismo e l’intelligenza artificiale concentrano i propri studi sulle capacità cognitive dell’uomo nella forma “matura” del ragionamento formale. Per cui, il calcolatore elettrico, programmato a manipolare nozioni simboliche, non viene usato solo come strumento di ricerca, ma diventa un modello per interpretare l’intelligenza umana. Invece, secondo il connessionismo e la nuova cibernetica, la prestazione intelligente è compresa studiando i processi attraverso cui un sistema acquisisce le prestazioni nel tempo. Tutto ciò implica l’emergere di capacità superiori dalla struttura di base, costituita da capacità cognitive elementari. Quindi, è il funzionamento neuronale del cervello che funge da modello di riferimento per i processi cognitivi. Il computer, allora, viene usato per simulare artificialmente l’azione e lo sviluppo delle reti neuronali, quindi solo come strumento della mente, non come modello. Il sistema cognitivo umano, quindi, è concepito come un sistema caratterizzato da miriadi di neuroni che evolvono secondo dinamiche complesse, condizionate dalle esperienze apprenditive che l’uomo compie nel proprio ambiente. In questo senso, l’evoluzione è la chiave dello studio dell’intelligenza. Il ritratto dell’intelligenza umana, che emerge dalle ricerche condotte nel campo della cibernetica e dell’IA, è contrassegnato da alcune particolarità che richiedono alla pedagogia degli approfondimenti. In particolare, si riconosce la specificità dell’intelligenza umana, della sua apertura apprenditiva al mondo, dell’evolutività che permette attività, sviluppo ed esiti. La pedagogia, quindi, è chiamata ad indagare sugli effetti che la complessità plurilinguistica, multimediale e cross-mediale provocano sullo sviluppo cognitivo attraverso un’analisi della struttura dei media tecnologici e dei contesti in cui vengono usati. Bisogna considerare allora il livello di sviluppo cognitivo del bambino, la tipologia di utilizzazione della macchina e la caratterizzazione dell’esposizione. I media digitali sono complessi perché caratterizzati da: -multimedialità -dinamicità -programmabilità -interattività 23 La multimedialità coinvolge poi zone corporee e mentali più estese rispetto a quelle occupate dai media tradizionali e sollecita forme di apprendimento immersivo rispetto all’apprendimento per astrazione. ➔​ l’apprendimento per astrazione si collega alle modalità della visione e alla tecnologia della scrittura. ➔​ i meccanismi immersivi sono invece collegati alle modalità dell’ascolto e alle tecnologie sonore. Occorre quindi promuovere collaborazioni, scambi e integrazioni tra la logica dell’immersione e la logica dell’astrazione. I nuovi media stimolano l’intelligenza ad acquisire un assetto reticolare, associativo, costruzionista. Questo porta alla trasformazione nelle intelligenze degli individui e nei saperi della cultura, quindi nei contenuti della formazione. Le forme tradizionali del sapere presentano una configurazione definita, circoscritta e oggettivabile. Invece, le nuove configurazioni del sapere promuovono uno spazio dinamico e aperto, i singoli campi del sapere perdono i loro tradizionali confini, per cui, il sapere si fa fluido, plurale, reticolare. La prospettiva è quella di porre i diversi media della comunicazione su un piano in cui vengono valorizzate le potenzialità comunicative di ciascun media, in base ai contenuti di conoscenza da comunicare. Ciò implica l’integrazione di logiche e strategie di pensiero differenti: ❖ la logica analitica, lineare e sequenziale ⇾ tipica del libro, che si struttura nella dimensione del tempo e permette l’acquisizione di competenze di critica, analisi e sintesi; ❖ la logica reticolare, ramificata e simultanea ⇾ tipica dei prodotti digitali, che permette di catturare istantaneamente diverse informazioni, stabilendo nessi, raccordi creativi/divergenti. La loro complemetarietà apre alla possibilità di contaminazioni tra codici diversi e soluzioni linguistiche e permette un uso ricco ed elastico dell’intelligenza de della dimensione espressiva e comunicativa dei linguaggi. Le reti informatiche, inoltre, grazie alla loro virtualità, offrono importanti opportunità alla formazione, quali: ❖ connettività e interattività ⇢ la possibilità di connettersi ad un numero illimitato di informazioni che implica l’interazione in rete in qualsiasi situazione, indipendentemente da dove ci si trovi; ❖ ipertestualità ⇢ consente di accedere immediatamente e senza alcun limite a tutte le informazioni che hanno un rapporto tra di loro. Nello spazio virtuale offerto dalla rete si possono allestire aule virtuali di apprendimento collaborativo. In tal modo, individui di ogni parte del pianeta possono partecipare a delle comunità virtuali, nelle quali i processi di costruzione della conoscenza portano alla formazione di un pensiero collettivo. QUARTA PARTE : TEMPI E LUOGHI DELLA FORMAZIONE. LA SCUOLA NON BASTA I.​ VERSO UN SISTEMA FORMATIVO INTEGRATO 1. I LUOGHI SEPARATI DELLA FORMAZIONE Nel 2013 emerge l’idea di un sistema formativo policentrico che continua a integrarsi all’attualità del XXI secolo. Questo sistema è immerso nella realtà della società contemporanea, la quale possiede radici identitarie (linguistiche, valoriali, comportamentali, conviviali) e storico-sociali (lavoro, beni monumentali e artistici, servizi sociali e culturali). La città è il gruppo umano maggiormente esteso. La città diventa un modello di comunità complessa, dove valori, regole e servizi comuni richiedono un raccordo da parte di tutti i suoi abitanti poiché riflette un’identità collettiva nella quale culture e religioni accettano di convivere nella tolleranza. Tuttavia, questa realtà è segnata da profonde mutazioni economiche, sociali e culturali, tra globalizzazione (mass media e personal media) e trasformazioni nei luoghi tradizionali della formazione (famiglia, scuola, chiese). Questi tradizionali perni educativi sono ora affiancati da nuovi 24 soggetti sociali come enti locali, associazioni e il mondo del lavoro, che talvolta non hanno alcuna intenzionalità formativa perché soggetti alle leggi del mercato e del consumo (attività di tempo libero a pagamento e di tipo mediatico come Internet e la Tv). Occorre,quindi, illustrare la precarietà e la debolezza dei 3 sistemi che compongono il sistema formativo: 1.​ Sistema formale ➪ La scuola pur avendo raggiunto la scolarizzazione di massa, soffre di carenze strutturali, ha ritardi nella qualità delle conoscenze a causa di: -dispersione scolastica, crescenti tassi di analfabetismo linguistico e logico-formale degli allievi che vivono in aree povere; - conoscenze obsolete, una cultura in pillole e omologante promossa dagli apparati elettronici e computerizzati; in altre parole l’influenza della cultura frammentata e digitale. 2.​ Sistema non formale ➪ La città, costituita da agenzie extrascolastiche (famiglia, enti locali, associazioni, chiese, volontariato, mondo del lavoro) che rappresentano una rete educativa disinteressata ma poco valorizzata, capace di promuovere solidarietà, coesione sociale e valori universali verso gli appartenenti ad una comunità e anche verso chi proviene da altre culture, disagi o etnie. Nonostante ciò, l’assenza di adeguati investimenti, da parte delle politiche del nostro paese, la mantengono spenta e la svalorizzano come risorsa culturale. 3.​ Sistema informale ➪Il mercato a pagamento, una città self-service guidata dalle leggi del profitto, cioè della domanda/offerta. Diffonde una cultura consumistica antieducativa con scarsa capacità di alfabetizzazione e socializzazione. Se non c’è la domanda formativa l’offerta non viene fatta, il che significa che non si propongono biblioteche/ludoteche o se esistono vengono convertite in sale gioco in cui la domanda e il guadagno sono certi. Questo sistema potrebbe portare la scuola a chiudersi e a basarsi solo su sé stessa (ottica scuolacentrica), in quanto unica e autentica offerta formativa. 2. PER UN’ALLEANZA PEDAGOGICA 2.1 NON SOLO SCUOLA Gianni Rodari aff

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