LEZ 16-17-18-19-20 Italian Contract Law PDF
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Summary
These notes discuss the methods of contract conclusion, focusing on the principles of good faith and contractual freedom in Italian law. The lecture covers different types of agreements and how they can be used to manage the complexities of business contracts, including aspects like setting rules for negotiations and pre-emptive rights. It emphasizes the importance of transparency, especially in commercial settings.
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**16° LEZIONE** Ci siamo soffermati sulle modalità di conclusione del contratto che il legislatore non ha previsto nel Codice civile se non dettando dei principi e che sono caratterizzate dal fatto che il contratto quale che sia presuppone una parte di avvicinamento delle parti piuttosto lunga e co...
**16° LEZIONE** Ci siamo soffermati sulle modalità di conclusione del contratto che il legislatore non ha previsto nel Codice civile se non dettando dei principi e che sono caratterizzate dal fatto che il contratto quale che sia presuppone una parte di avvicinamento delle parti piuttosto lunga e complicata oltre che degli investimenti. **I paletti che noi abbiamo rispetto a questa negoziazione complicata sono:** - ***La buona fede perché il Codice ricorda a tutti che durante la fase delle trattative, non importa quanto lunghe, le parti si devono comportare secondo buona fede e in questo senso la buona fede è in senso oggettivo cioè come correttezza***. Questo vuol dire che fino all'ultimo momento resto libero, ma devo salvaguardare le ragioni dell'altra parte e quindi se decido di sfilarmi dalla negoziazione quanto meno devo informare l'altra parte; così come devo informare l'altra parte di tutte le circostanze che incidono sull'efficacia del contratto e sull'utilità che può derivare. Quindi, correttezza significa almeno obbligo di trasparenza informativa reciproca. Nel diritto esiste un principio che è il principio per cui non si può venire contro il fatto proprio, cioè non ci si può danneggiare; quindi, correttezza significa che io informo l'altra parte, ma se ho delle informazioni privilegiate, confidenziali, la cui divulgazione mi esporrebbe a responsabilità non sono obbligato a condividerlo. Questo perché nella fase di negoziazione intervengono fattori esterni che aggiungono al set informativo di entrambe le parti elementi importanti: correttezza non vuol dire che devo mettermi a nudo davanti all'altra parte, soprattutto quando certe informazioni e certi segreti che possono venire in rilievo durante la negoziazione mi esporrebbero a della responsabilità verso terzi oppure alla perdita di vantaggio competitivo perché se io ho un segreto che mi dà un vantaggio rispetto agli altri non è detto che io lo debba condividere. Quindi, correttezza non significa né obbligo di arrivare alla conclusione del contratto né obbligo di dire proprio tutto anche a costo di danneggiarsi. - **la libertà contrattuale e il principio per cui il contratto si fa se c'è l'accordo tra le parti.** L'accordo tra le parti presuppone che su tutti gli elementi importanti del contratto ci siamo trovati. Il tema è: ma l'accordo, in questo procedimento privato di progressivo avvicinamento al punto di incontro delle volontà, deve essere proprio su tutti gli aspetti e quindi non c'è il contratto fin tanto che non siamo d'accordo sul 100% delle cose oppure basta essere d'accordo sugli aspetti più importanti, salvo poi capire quali sono gli aspetti più importanti. Qua c'è chi dice che l'accordo deve essere una perfetta corrispondenza tra la volontà di una parte e la volontà dell'altra su tutti i punti; quindi, fino a che non si arriva alla fine non si può dire che è stato raggiunto l'accordo, e c'è chi dice invece che il Codice dice che è ammesso un contratto incompleto (esistono le norme dispositive che funzionano anche quando devono completare un contratto che si sta facendo). Ci sono stati conflitti atomici su questi perché quando le parti iniziano a negoziare il più delle volte non c'è un momento che consacra l'inizio della negoziazione. Spesso le parti firmano accordi di riservatezza NDA (Non Disclosure Agreement) o SA (Secret Agreement) o CA (Confidentiality Agreement), accordi in cui si stabilisce che le cose dette non vengano divulgate; questo può essere considerato il momento di inizio delle trattative perché c'è un pezzo di carta con una firma che ufficializza il percorso. E quando si interrompono le trattative? Molte volte la fine del periodo precontrattuale non sempre corrisponde con la conclusione del contratto o con un momento ufficiale che consacra la fine delle trattative. La vita delle imprese vive di fatti e nei fatti questi momenti non sono sempre chiari. [**L'obbligo di buona fede, di correttezza, nelle trattative, quando ci sono le puntuazioni (elementi documentali che testimoniano che ci siamo parlati e abbiamo raggiunto certe conclusioni), presuppone di non rimettere in discussione punti che sono già stati discussi: la correttezza presuppone che se un punto documentato nelle puntuazioni è ragionevolmente certo non si riapre e chi lo riapre lo fa in mala fede perché lo fa come tattica negoziale per spuntare migliori condizioni da un'altra parte.** ] Dopo che ci siamo scambiati tante puntuazioni quando è che si arriva alla conclusione del contratto? Le puntuazioni non sono il contratto. Man mano che si fanno le negoziazioni le volontà vanno a convergenza. ***Le imprese litigano perché se non hanno disciplinato la negoziazione ce ne sarà una che pretende di dire che l'accordo è stato raggiunto e pretende di dirlo sulla base di tutte le puntuazioni che si sono scambiati, mentre l'altra sostiene che fino a che non lo si consacra non c'è l'accordo.*** ***E qua si crea un'incertezza perché non solo non si sa bene quando sono iniziate le negoziazioni e poi a un certo punto c'è una parte che sostiene che l'accordo è stato raggiunto e un'altra parte che dice che sono stati discussi tutti gli elementi ma l'accordo ancora non c'è perché non c'è un contratto firmato da entrambi***. Le parti litigano perché non sempre dopo aver firmato l'accordo di riservatezza stabiliscono le regole della negoziazione, la negoziazione resta il più delle volte un procedimento libero non controllato. Il problema è la misura del danno se il contratto non si fa perché se la parte che crede che il contratto è stato concluso sulla base delle evidenze che ha chiede i danni chiederà il risarcimento dell'interesse positivo. La questione è una questione di fatto cioè il giudice deve stabilire sulla base dei documenti, del comportamento delle parti, di quello che si sono dette, dei testimoni se un accordo è stato raggiunto oppure no. Questo è frequentissimo nei rapporti tra imprese, soprattutto le imprese che non fanno tantissimi contratti di questo tipo; le imprese più strutturare quando negoziano sanno benissimo qual è il rischio della negoziazione e quindi dopo aver firmato l'accordo di riservatezza stabiliscono anche quali sono i termini del rapporto. Queste firmano l'accordo di riservatezza e stabiliscono quindi in questo modo la data di inizio delle negoziazioni, stabiliscono la data di scadenza dell'accordo e che quindi in questo periodo di tempo sono coperte dalla riservatezza e all'interno di questo periodo negoziano. Se scade l'accordo di riservatezza e non si fa un accordo, vuol dire che si dovrà fare un altro accordo se si sta ancora negoziando altrimenti arrivederci e grazie. E dicono ancora di più: fanno l'accordo di riservatezza e poi dicono che se siamo d'accordo, cioè se sulla base delle negoziazioni avremo trovato un accordo sui punti principali, quello non sarà il momento in cui nascerà il contratto, **il contratto nascerà in un giorno preciso stabilito dalle parti (closing), quindi nessuno si inventi di dire che avendo raggiunto l'accordo il contratto è nato prima di quel momento. Il closing è il momento ufficiale in cui ci vincoliamo, l'accordo lo abbiamo raggiunto prima ma il contratto si firma in quel giorno e il vincolo nasce perché quel giorno tutti e due firmano il contratto.** **Quindi, ci sono [due binari paralleli: da una parte l'accordo di riservatezza che dice che ci stiamo scambiando delle informazioni e dall'altra parte la buona fede;] e poi le regole ce le siamo date attraverso un accordo preparatorio (accordo che disciplina questa fase) senza il quale c'è l'incertezza.** Questo schema può applicarsi a qualsiasi tipo di rapporto sia a rapporti business to business che business su consumer. È uno schema generale che viene dalla prassi e la prassi è quella dei rapporti tra imprese; quindi, sicuramente nella contrattazione tra imprese lo schema tipico di negoziazione è questo dove quello che conta è che tra la buona fede imposta per legge e le regole che ci siamo dati noi c'è una banda di oscillazioni di comportamenti in cui le parti vogliono rimanere libere fino all'ultimo anche di fare marcia indietro. **Questa assoluta libertà delle parti qualche volta non è nell'interesse di una o tutte e due le parti stesse e quindi la libertà delle parti viene disciplinata attraverso altri meccanismi previsti in qualche modo dal nostro Codice e sono essenzialmente di tre tipi:** 1. **il diritto di prelazione** ***la prelazione nel diritto è il diritto di essere preferiti rispetto ad altri nella stipula di un contratto a parità di condizioni (right of first refusal***). Questo significa che c'è una parte quella che concede la prelazione e c'è un'altra parte (prelazionario) che gode della prelazione e **sulla base di questo diritto il prelazionario è quello che ha il diritto di essere scelto come contraente dall'altra parte.** ***Chi concede la prelazione non è obbligato a nulla tranne che a una cosa: se mai decide di stipulare un contratto la prima porta a cui deve bussare è quella del prelazionario.*** **Le fonti della prelazione sono tre**: - **la legge** quella **che si chiama la prelazione legale**. Per esempio, nel Codice c'è scritto che gli eredi hanno tra di loro la prelazione sulle quote degli altri e quindi se uno dei co-eredi vuole vendere la sua quota di eredita gli altri co-eredi hanno il diritto di essere preferiti a terzi che non sono co-eredi. Il legislatore lo fa per mantenere compatto l'asse ereditario. **Quindi, quando uno degli eredi vuole vedere la sua quota deve informare gli altri con un atto che si chiama denuntiatio che è una semplice comunicazione.** - **la volontà delle parti** **la prelazione convenzionale** ***è semplicemente un potere dato ai prelazionari sulla base di un contratto che però non consente quando la prelazione è stata violata di ottenere esattamente il bene, l'utilità, per cui avevamo negoziato***. - **gli statuti delle società commerciali** gli **statuti hanno natura contrattuale e quindi la prelazione statutaria è forse un sottotipo della prelazione convenzionale, però nasce sempre dalla volontà delle parti che in questo caso sono i soci.** Il meccanismo della prelazione, cioè il diritto di essere preferiti a parità di condizioni, serve ad evitare il rilancio, quello che la prelazione evita è l'asta: sei libero di scegliere se, ma quando hai deciso le condizioni sono quelle. 2. **il contratto preliminare** altra forma di vincolo alla libertà delle parti. ***Abbiamo detto che nella negoziazione che porta alla firma del contratto le parti restano libere, ma in certe situazioni non si vuole che la controparte resti libera e quindi venda o minacci di vendere il bene dopo che ho mostrato il mio interesse***. In un processo di avvicinamento a un contratto dopo che ho detto che mi interessa e mentre stiamo negoziando non voglio che l'altra parte faccia giochi strani o che addirittura preferisca altri; quindi, della prelazione me ne faccio poco perché lui ha già detto che lo vuole vendere il bene il problema è che non si può saltare al closing perché non ci sono i soldi o si deve richiedere un'autorizzazione particolare. Ci possono essere n cose che ostano all'immediata conclusione del contratto e quindi si fa un contratto dal quale però non nascono gli effetti del contratto definitivo ma nascono gli effetti preliminari, quelli del contratto preliminare: l'obbligazione a concludere un futuro contratto (il contratto definitivo). **Quindi, qui la negoziazione è spezzata in due segmenti: c'è una prima fase che porta alla stipula del contratto preliminare e poi c'è una fase che porta al contratto definitivo.** **Nel periodo compreso tra la stipula del contratto preliminare e la stipula del contratto definitivo pendono due obbligazioni: il contratto preliminare è un contratto a effetti obbligatori di stipulare il contratto definitivo, non produce effetti traslativi, e il contratto definito produce effetti traslativi.** **Quando stipulano il contratto preliminare le parti perdono la libertà di stipulare il contratto definitivo con qualcun altro.** Il significato pratico di questo vincolo è che chi non va alla stipula del contratto definitivo è inadempiente del contratto preliminare e l'inadempimento del contratto preliminare dà vita a responsabilità contrattuale. **Per il contratto preliminare c'è un rimedio particolare nel nostro ordinamento che è quello previsto dall'Art. 2932** (risarcimento in forma specifica dell'obbligo di contrarre**): se tu ti sei obbligato a stipulare il contratto definitivo e non ci vai, l'altra parte può ottenere dal giudice, sempre che sia possibile e le parti non lo abbiano escluso nel contratto, una sentenza che si sostituisce al tuo consenso; quindi, l'effetto pratico del contratto preliminare è che o tu vieni da notaio quel giorno oppure io vado dal giudice e il bene me lo prendo lo stesso.** Da un certo punto di vista questa è la massima forma di garanzia sul fatto che le parti saranno adempienti rispetto al contratto definitivo: se una parte sceglie di essere inadempiente, il contratto definitivo si ottiene lo stesso; **ecco perché il contratto preliminare è una forma di condizionamento molto forte della libertà contrattuale** delle parti perché è vero che l'effetto traslativo si produce alla data del definitivo, ma è vero che la libertà è stata persa da tutti i punti di vista (secondo l'Art. 2932) nel momento in cui hanno fatto il contratto preliminare. **Questa è una logica molto vincolante perché si ha una perdita praticamente totale di libertà e in molti casi di utilità per entrambe le parti.** **Il contratto preliminare è solo convenzionale cioè stabilito dalle parti, non esiste un contratto preliminare previsto per legge.** **Il contratto preliminare può essere: unilaterale (dal contratto solo una delle due parti è obbligata a stipulare, mentre l'altra è libera di non stipulare) o bilaterale (entrambe le parti sono obbligate a stipulare).** Nella prassi i contratti preliminari sono frequentissimi e utilizzatissimi in tutti i modi, ma nel Codice civile c'è solo un articolo sul contratto preliminare che dice che il contratto preliminare, per il principio di attrazione delle forme, si fa nella stessa forma prevista per il contratto definitivo. 3. **il contratto di opzione** è il terzo meccanismo ed è piuttosto complicato. Qua dobbiamo fare un passo indietro **[all'Art. 1329 quando il Codice parla di proposta irrevocabile]: se il proponente si è obbligato a mantenere ferma la proposta per un certo tempo, la revoca è senza effetto.** **Anche la proposta irrevocabile (o proposta ferma) toglie incertezza nella negoziazione e [il Codice dice che se una parte fa una proposta ferma, cioè fa una dichiarazione verso l'altra che contiene tutti gli elementi diretti alla conclusione del contratto, e si impegna a tenerla ferma per un certo periodo di tempo la revoca è senza effetto], come a dire che non si può cambiare idea con la conseguenza che se entro quel periodo di tempo arriva un'accettazione conforme il contratto è concluso.** Il fatto che **[il Codice dica che la proposta ferma non è revocabile, in realtà è revocabile ma la revoca non ha effetto], toglie la libertà a una delle parti senza che le parti abbiano stipulato un contratto (perché il contratto non c'è, le parti stanno andando verso la stipula del contratto) e se arriva l'accettazione prima della fine del periodo quello è il momento di conclusione del contratto**. **Quindi, c'è una fase di negoziazione, c'è un momento in cui una parte fa la proposta e c'è un momento di pendenza della proposta, di incertezza calcolata perché il proponente dà una scadenza; in questa incertezza il proponente ha dei costi opportunità.** Quindi, è ridotta l'incertezza ma è una incertezza calcolata: ciascuno sa quali sono i costi opportunità e quanti giorni in più può aggiungere senza rischiare di perdere troppo tempo. L'oblato (quello a cui arriva la proposta) è liberissimo di accettare (il contratto si conclude automaticamente), di rifiutare (la proposta decade e il proponente torna libero) o di non fare nulla (scade la proposta e dal momento in cui scade qualsiasi accettazione non ha effetto perché la proposta non è più valida). Questo meccanismo conviene al proponente perché se fa una proposta a qualcuno è perché ha un'aspettativa che quel qualcuno accetti e conviene anche all'oblato perché dopo aver negoziato e ricevuto la proposta ha ancora un certo periodo di tempo per decidere se accettarla o no. ***Questo meccanismo presuppone che il proponente di sua spontanea volontà, nel suo esclusivo interesse, abbia deciso di fare la proposta e di tenerla ferma e sa benissimo quali sono le conseguenze (ovvero l'irrevocabilità) e i costi (ovvero i costi opportunità).*** Nulla esclude che nelle dinamiche della negoziazione e di un rapporto più complesso che l'interesse delle parti a che la proposta venga mantenuta ferma sia un interesse che trova composizione all'interno di un contratto, cioè **è possibile che le parti facciano un contratto da cui nascono due obbligazioni: l'obbligazione di una parte di tenere ferma l'offerta e l'obbligazione dell'altra parte possibilmente di pagare perché l'altra parte tenga ferma l'offerta.** **Questo è quello che si chiama il contratto di opzione e il Codice lo disciplina all'Art. 1331: quando le parti convengono (vuol dire che c'è un contratto) che una di esse rimanga vincolata alla propria dichiarazione e l\'altra abbia facoltà di accettarla o meno, la dichiarazione della prima si considera quale proposta irrevocabile per gli effetti previsti dall\'articolo 1329;** se per l\'accettazione non è stato fissato un termine, questo può essere stabilito dal giudice. **Il Codice dice quindi che le parti possono fare un contratto per stipulare un altro contratto (un po' come per il contratto preliminare), questi sono contratti strumentali non all'effetto traslativo, ma a facilitare la negoziazione o a consentire la conclusione del contratto. Questo è un contratto con cui una parte dice che se tu mi fai un'offerta e mi ci fai pensare per 30 giorni io ti pago l'opzione, ovvero sto comprando la scelta di dirti sì o no e il prezzo che sto pagando è parametrato sul costo opportunità**. **Il contratto dice che io ti pago, tu mi fai l'offerta e per contratto ti obblighi a tenerla ferma per trenta giorni e il Codice dice che l'effetto della promessa contrattuale di mantenerla ferma è lo stesso dell'Art. 1329 (cioè la proposta è irrevocabile);** con una differenza però, perché se per contratto ti sei impegnato a tenere la proposta ferma e cambi idea sei responsabile contrattualmente (la proposta irrevocabile invece è una proposta unilaterale e la violazione della proposta impedisce di stipulare il contratto). Nel caso della violazione della proposta che per contratto qualcuno si è obbligato a tenere ferma mi toglie il contratto, viene violato il contratto con il quale ci si era assicurati la possibilità di stipulare un contratto. C'è una differenza al punto tale che il contratto di opzione è assistito a sua volta **dall'Art. 2932 (esecuzione specifica dell\'obbligo di concludere un contratto): se tu violi la proposta che ti eri impegnato a tenere ferma sono affari tuoi, perché posso andare dal giudice e ottenere una sentenza con la quale tu mi tieni ferma la proposta quel tanto che mi permetta di accettarla.** Quindi, è un meccanismo fortemente coercitivo: c'è un vincolo contrattuale, c'è un obbligo a fare una proposta, tenerla ferma e addirittura in caso di violazione la possibilità di ottenere in forma specifica l'esecuzione del vincolo. Però c'è una forte compressione dell'autonomia privata, ma c'è una grande utilità delle parti perché l'opzionante (quello che concede l'opzione) ha un interesse e tanto più alto è il costo opportunità tanto maggiore è per lui il prezzo dell'opzione, ma anche l'opzionario (colui che gode dell'opzione) ha un enorme valore perché conserva la libertà di accettare o no all'interno di un periodo di tempo che più o meno ha deciso lui in funzione della disponibilità a pagare per l'opzione e c'è ancora un altro livello di utilità per l'opzionario ed è il fatto che può vendere l'opzione. **L'opzione è un diritto che viene dato contrattualmente, nel contratto di opzione, di accettare o rifiutare una certa proposta, questo diritto sta nel mio patrimonio ed è un diritto a contenuto patrimoniale**. Se io muoio mentre pende il periodo di opzione, questo si trasferisce agli eredi perché sta nel mio patrimonio e quindi l'erede può esercitare l'opzione al posto mio se nel frattempo non è scaduta. L'opzione la posso vendere a qualcuno che è più interessato anche ad un prezzo superiore a quello che ho pagato io. **Questo diritto trasferibile di poter accettare o rifiutare un'offerta che nel frattempo è ferma è un meccanismo di grande flessibilità che ritroviamo per esempio dentro gli statuti delle società: nelle società il socio ha l'opzione nei confronti della società (opzione statutaria) e poi ha la prelazione verso gli altri soci**. Supponiamo di essere 4 soci al 25%, la prelazione statutaria ci garantisce la stabilità degli assetti societari perché si può impedire che entri un estraneo; supponendo che la società abbia un capitale sociale di un milione e quindi ciascuno ha una quota da 250.000 (corrispondente al 25%). Supponendo che tutti e quattro sostengano che devono crescere, devono internazionalizzarsi e andare in banca a chiedere soldi, ma la banca dice di aumentare il capitale sociale e allora lo portano a 2 milioni. L'opzione statutaria consente a ciascuno dei soci di optare per sottoscrivere la differenza, cioè se la società dice che il capitale sociale passa da 1 a 2 milioni tutti e quattro i soci devono pagare in più; il diritto del socio comprende l'opzione a sottoscrivere il delta in aumento (1 milione) in percentuale corrispondente alla quota detenuta (avendo il 25% di azioni hanno l'opzione a sottoscrivere il 25% dell'aumento). L'opzione in questo caso dello statuto societario è implicitamente la proposta che la società mi fa per il periodo in cui pende l'aumento di capitale e che le sottoscrizioni ovvero i pagamenti si devono fare entro un mese, in quel mese si ha l'opzione a sottoscrivere la quota corrispondente al mio 25% e io all'interno di quel mese posso decidere di farlo o di non farlo (se lo faccio devo pagare altri 250.000€ per rimanere al 25% e se non lo faccio vuol dire che mi diluisco del 50%). **L'opzione statutaria prevista come diritto dell'azionista serve a fare in modo che l'azionista possa comprare avendo un po' di tempo per pensarci senza diluirsi, cioè scendere come livello di partecipazioni. La prelazione consente di impedire che arrivino altri e al limite di consolidare, mentre l'opzione consente di non diluirsi a fronte di aumenti di capitale**. Lo stesso meccanismo di opzione c'è nelle stock option, il meccanismo delle stock option è basato esattamente su questa logica: un'offerta ferma un po' più complicata ma basata sull'idea che all'interno di un certo rapporto c'è una parte che offre e l'altra parte che è libera di accettare. Gli ESOP **(Employee Stock Option Pool/Program**) sono delle riserve di capitale sociale che le società hanno per fare i piani di stock option. Significa che c'è il capitale sociale di una società e un pezzo di capitale sociale (ad esempio il 10%) non è allocato, questo vuol dire che la società è proprietaria di se stessa al 10% e gli organi di governo della società dicono che useranno questo 10%, questo pull, come meccanismo di incentivazione. **Qua l'opzione serve come modalità di stipula di un contratto importante che alla fine serve ad allineare l'interesse del dipendente con quello della società.** **Il piano di stock option dice che c'è un momento a partire dal quale la società ti darà la possibilità di comprarti un pezzetto di quote, cioè un momento in cui tu avrai la possibilità di esercitare l'opzione per un certo periodo di tempo e avrai la possibilità di comprarti fino all'1% della società**. A partire da quel momento la società ti farà un'offerta che sarà ferma per un certo periodo di tempo stabilito nel programma di stock option e in quel periodo tu avrai il diritto di accettare o no quell'offerta di compra-vendita fino all'1%. **Se eserciti l'opzione, ovvero quando accetti, automaticamente l'1% diventa tuo e allora so che se ho concorso a fare aumentare il valore di questa società quando la società varrà 100 milioni avrò un milione, cioè avrò azioni corrispondenti a un milione e quindi se le vendo faccio 1 milione.** E queste azioni me le fanno pagare a un certo prezzo che è il prezzo di esercizio dell'opzione, cioè quando eserciterai l'opzione pagherai il prezzo delle azioni, con una differenza tra il valore che le azioni avranno nel momento in cui tu eserciti l'opzione e il valore più basso al quale possiamo scendere, il valore nominale. Più il prezzo di esercizio dell'azione è vicino al valore nominale e più tu sei incentivato perché vuol dire che ci guadagnerai molto. Il prezzo di esercizio dell'azione è lo strike price ed è predefinito nel piano. Questo è un meccanismo di incentivazione perché il lavoratore, soprattutto il m manager, farà di tutto perché al momento di esercizio del prezzo la società valga 100 milioni, perché la differenza (lo spread) tra lo strike price e il valore di mercato delle quote è esattamente quello che lo remunera e che ex ante lo incentiva. Da quando si può esercitare l'azione? Non ho interesse a farlo subito io stesso perché oggi so che la società vale 100.000 e non mi sto avvantaggiando di nulla; siccome lo strike price è fisso, è predeterminato all'inizio, io eserciterò l'opzione solo quando saprò che c'è un significativo delta di guadagno. Da quale momento io posso esercitare l'opzione? Questo è stabilito dal piano di stock option che è basato sull'idea che il fatto che si sia concluso un contratto di compra-vendita di azioni dell'1% genera valore per tutti, però gli azionisti hanno un interesse di un certo tipo: hanno interesse che tu stia con noi fino alla fine, quindi l'opzione che ti stiamo dando dice che puoi iniziare a esercitare l'opzione per esempio quando ci quotiamo in borsa; il giorno della quotazione tu potrai comprare sul mercato, mentre tutti acquisteranno ai prezzi di borsa, a 1.000€ l'1%. Questa è una condizione sospensiva: l'opzione non decorre se non da quando andiamo in borsa. Quindi, l'offerta diventa effettiva vincolante non prima di un certo periodo che consideriamo rilevante e che è un periodo all'interno del quale tu stai lavorando e generando valore. È chiaro che se te ne vai perdi le opzioni, quindi non è solo una condizione sospensiva, ma anche una condizione risolutiva: se te ne vai perdi l'opzione, quindi non decorrerà mai questo fatidico momento. Però così è molto dura e allora si fa che l'opzione di comprare l'1% matura man mano nel tempo, cioè il diritto di comprare l'1% è pieno se rimango dipendente fino al giorno della quotazione; questo è quello che si chiama vesting period (periodo di maturazione dell'opzione). Il fatto di prevedere una maturazione progressiva dà al lavoratore un vantaggio a lavorare bene fin tanto che resta e non è un meccanismo punitivo se se ne va. È un meccanismo molto complicato perché c'è un contratto stipulato tra la società e il dipendente che vorrebbe essere socio e che sarà socio ma solo dopo che avrà lavorato molto per far aumentare il valore della società e nel frattempo c'è un contratto d'opzione con un termine iniziale oppure con una condizione sospensiva, c'è determinato un prezzo, una condizione risolutiva ed è determinato un meccanismo di maturazione progressiva. Dopo aver comprato le azioni c'è un periodo in cui non possono essere vendute, quindi nel contratto è previsto anche che quando avrai esercitato l'opzione e pagato lo strike price per un certo periodo di tempo non potrai vendere. Non si deve pagare nulla per avere questo meccanismo, l'opzione viene data gratis perché in cambio si dà la fedeltà alla società. Dal punto di vista fiscale, siccome il lavoratore sta ricevendo un beneficio sia pure solo potenziale, le stock option sono tassate quando il lavoratore le prende e quando le rivende e ogni anno cambia la tassazione. La società potrebbe farmi pagare l'opzione, ma solitamente non lo si fa perché quello che la società si aspetta non è un pezzo dello strike price, ma l'impegno da parte del manager a generare valore per la società e per gli altri azionisti. Questo funziona bene quando le azioni sono liquide, cioè quando io compro a 1.000 e qualche istante dopo posso rivendere a 1 milione o più e questo tipicamente succede quando le società sono quotate; ecco perché nelle start up questo momento è il momento della quotazione perché è in quel momento che le azioni diventano liquide. Queste opzioni non sono vendibili perché il piano (stock option plan) dice che l'opzione è personale proprio perché è un sistema di incentivazione personale. Nelle società più mature il management ha opzioni progressive, cioè non è solo andiamo in borsa, esercito l'opzione, prendo le azioni, faccio tanti soldi e mi ritiro; ma il bravo manager ogni anno deve concorrere alla creazione di valore e allora nelle società più mature questo esercizio è ripetuto ogni anni: ogni anno il management (non tutti, solo quelli che hanno il beneficio di questa cosa) può esercitare l'opzione, coprare a un certo prezzo, rivendere a un certo prezzo fino a un certo quantitativo di azioni. L'opzione in questo caso diventa un pezzo della remunerazione del manager. Ci sono in letteratura degli studi che dicono che questi meccanismi di stock option in realtà fanno male soprattutto alle società quotate, dove però funzionano bene, perché il manager può diventare un proprietario significativo; la letteratura economica dice che all'interno di società, soprattutto le società quotate, questo meccanismo spinto di stock option crea degli incentivi sbagliati perché il management è tutto diretto a intraprendere iniziative che aumentano il valore di equity (che poi corrisponde al prezzo di borsa) ma si preoccupano molto poco della dimensione industriale. Quindi, è un tema dibattuto nella letteratura economico-finanziaria: questi meccanismi che servono in linea di principio come strumenti di allineamento degli interessi tra gli azionisti e il management, poi in realtà come spesso succede nella vita si creano degli incentivi opposti, cioè una crescita che è soltanto una crescita finanziaria e non anche industriale. **17° LEZIONE** Affrontiamo un tema che è abbastanza centrale nell'attività d'impresa, tema che abbiamo già sfiorata quando abbiamo parlato di incapacità speciali. Quando abbiamo parlato delle incapacità speciali e della situazione in cui versa il soggetto incapace dopo che sia stata riconosciuta l'incapacità è una situazione nella quale il soggetto non ha capacità di agire e quindi anche volendo non riesce giuridicamente (ma fisicamente sì) a fare le cose. Questa è un'incapacità di protezione: è stato fatto perché il soggetto non si rende conto dell'atto per via delle menomazioni che abbiamo visto essere causa di interdizioni, inabilitazione e amministrazione di sostegno. Però ci sono molte attività umane nelle quali il soggetto, pur essendo pienamente capace di intendere e di volere, è impossibilitato a compiere perché sono attività che magari si svolgono in un posto lontano rispetto a quello dove sta l'individuo, perché ce ne sono di più che procedono in parallelo e quindi l'individuo non le può fare tutte e tanto più dove l'attività dell'individuo è un'attività complessa serve un sostituto. Questo è il tema: come si fa a farsi sostituire nel compimento dell'attività giuridica? La risposta può essere relativamente semplice: l'individuo incarica qualcuno di fare qualcosa. Quindi, c'è un soggetto che deve svolgere l'attività (il soggetto rappresentato) che per esempio deve stipulare un contratto il giorno in cui c'è la recita a scuola di sua figlia e quindi non ci può andare a stipulare il contratto o una qualsiasi attività per la quale sia momentaneamente o tecnicamente impossibilitato o semplicemente più attività in parallelo e quindi chiede a un altro di andare a farla lui e poi la ricompra da lui. IMMAGINE 1 Quindi, il rappresentante, ovvero il soggetto incaricato di fare l'attività, fa l'attività (stipula un contratto), gli effetti del contratto si producono nel patrimonio del rappresentante, ma siccome è stato incaricato di farlo non per sé ma per il rappresentato questa cosa dovrà essere ritrasferita e quindi uscire dal patrimonio del rappresentante ed entrare in quello del rappresentato che ovviamente dovrà dare i soldi al rappresentante. Questo è un meccanismo articolato, ma relativamente semplice ed è un meccanismo che noi chiamiamo di rappresentanza indiretta. Indiretta perché quando il rappresentante si rivolge al terzo per stipulare il contratto di fatto sa che sta agendo nell'interesse del rappresentato però sa anche che perché gli effetti di quel contratto si producano della sfera patrimoniale del rappresentato poi c'è bisogno di un passaggio. Ecco perché è indiretta: è mediata dal soggetto in mezzo che è il rappresentante. Però questo schema che ha anche una sua semplicità e immediatezza pone una serie di problemi: - i costi di transazione, perché qua bisogna fare due contratti quando nella realtà il contratto che vede come protagonista il rappresentante è solo il modo per fare arrivare la cosa al rappresentato, cioè colui che ha veramente interesse al compimento dell'attività giuridica la rappresentanza indiretta costa di più - che cosa succede se il rappresentante dopo aver comprato dal terzo ed essendo obbligato in qualche modo verso il rappresentato a ritrasferire il bene, non lo fa? Che rimedio ha il rappresentato quando il rappresentante è inadempiente rispetto all'incarico che gli è stato dato? Noi sappiamo che il rappresentante necessario (cioè il rappresentante legale delle incapacità di protezione), così come il genitore, quando compie attività giuridica nell'interesse del rappresentato in realtà produce effetti direttamente nella sfera giuridica del rappresentato. Nel caso della rappresentanza indiretta c'è questo problema: gli effetti si producono nella sfera giuridica del rappresentante e quindi c'è poi un tema di ritrasferimento. Se quindi il rappresentante non ritrasferisce c'è un problema. Noi sappiamo che quando il rapporto tra rappresentante e rappresentato è stabilito dalla legge (rappresentanza legale) ci sono dei rimedi quando il rappresentante non si comporta bene. In parte gli effetti del comportamento sleale, scorretto, del rappresentante sono mitigati dal fatto che l'attività giuridica si produce direttamente nella sfera del rappresentato, però può essere che il rappresentante faccia male il suo mandato e così come le norme stabiliscono a quali condizioni si nomina il rappresentante le norme stabiliscono anche qual è il regime di responsabilità del rappresentante. Quando andiamo all'interno di quella che chiamiamo rappresentanza volontaria, ovvero quella creata dal rappresentato e non dalla legge (quindi la rappresentanza è creata dalla volontà delle parti), bisogna capire in base a quale vincolo il rappresentante agisce nell'interesse del rappresentato: può essere che sia un rapporto di amicizia, ma il più delle volte (soprattutto quando ci sono degli affari) l'incarico in realtà è frutto di un accordo vero e proprio tra i due soggetti (contratto) dal quale nascono delle obbligazioni tra quello che incarica e quello che deve eseguire l'incarico (questo accetta un contratto dal quale nasce l'obbligazione di svolgere attività giuridica nell'interesse del rappresentato). Questo contratto tra due soggetti, uno dei quali si impegna a fare attività e l'altro ovviamente lo remunera, si chiama [mandato] ed è una figura generalissima perché il mandato può essere un mandato per fare tante cose (vendere, comprare, noleggiare, accettare l'eredità); l'attività giuridica che un individuo può fare è molto varia e per questa è possibile incaricare qualcun altro. Le parti si chiamano mandante e mandatario. Se è contrattuale questo rapporto tra mandante e mandatario le conseguenze sono due: - quando il mandatario agisce verso un terzo (il cliente che deve stipulare la polizza assicurativa) e il contraente firma, il contraente sa benissimo che la parte che si obbliga nel contratto di assicurazione che è l'assicuratore non è il signore che ha davanti ma la società di assicurazioni, Il soggetto che ha davanti è soltanto un soggetto che raccoglie il consenso. Quindi, la parte sostanziale (cioè la parte che pur non essendo partecipe del contratto è quella obbligata dal contratto) è l'assicurazione mentre la parte formale (quella che è presente) è l'agente assicurativo la prima conseguenza è che il terzo sa benissimo che il soggetto che ha davanti è un mandatario, non è la parte sostanziale. - nel momento in cui il mandatario che ha stipulato il contratto nell'interesse del mandante non completa il ritrasferimento dalla sua sfera a quella del mandante è inadempiente contrattualmente perché lui non si è obbligato soltanto a fare l'attività verso il terzo ma l'attività verso il terzo la fa per conto del rappresentato (quindi è un'attività che presuppone due passaggi). Il contratto di mandato è disciplinato nel Codice all'Art. 1703: il mandato è il contratto col quale una parte si obbliga a compiere uno o più atti giuridici per conto dell\'altra. Quindi, esiste un mandato generale (ti do il mandato a gestire una certa attività) ed esiste il mandato speciale (solo per un'attività), quello che è importante è che l'attività che compi la fai per conto del mandante; per conto vuol dire nell'interesse del mandante. Dal punto di vista giuridico la causa del mandato è lo svolgimento di un'attività di tipo giuridico in sostituzione di qualcun altro, è la sostituzione giuridica che serve ad alcuni per lo svolgimento dell'attività. Quando il mandatario non agisce per amicizia ma sulla base di un impegno, il rapporto tra i due è un rapporto di tipo contrattuale con tutte le conseguenze che ne discendono e quindi il tema è che il mandatario sta facendo un'attività lavorativa che il mandante dovrebbe remunerare. Il Codice dice all'Art. 1709 dice: il mandato si presume oneroso. Cioè si presume che se io ho assunto l'obbligo di fare l'attività giuridica per conto di qualcun altro quell'attività sia onerosa, ovvero che il mandare paghi il mandatario per quello e che quindi il mandatario abbia diritto a un compenso. E nel secondo comma il Codice dice: la misura del compenso, se non è stabilita dalle parti, è determinata in base alle tariffe professionali o agli usi; in mancanza è determinata dal giudice. Questa è una presunzione, nulla esclude che le parti scrivano nel contratto di mandato che è un contratto a titolo gratuito; titolo gratuito non vuol dire per amicizia, cioè gratuità non vuol dire cortesia perché all'interno del mandato si assume un'obbligazione a farlo anche se a fronte di questa obbligazione non si chiede nulla. Il Codice ulteriormente dice che quando il mandatario acquista per conto del mandante, il mandante può rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede. Si supponga che il mandatario sia andato ad acquistare beni moli per conto del mandatario e può succedere che chi ha venduto può non sapere che chi compra è un mandatario. Il Codice dice che il mandante le può rivendicare le cose, cioè può andare dal mandatario e dirgli che gliele deve ritrasferire e se non lo fa è un inadempimento contrattuale perché è vero che queste cose stanno nel suo patrimonio, ma dovrebbero stare in quello del mandante. Però il Codice dice che, dato che sono cose mobili, bisogna stare attenti agli effetti della buona fede verso i terzi. Si supponga che dopo aver acquistato cinque sacchi di farina il mandatario li rivende e il terzo non sa che quei sacchi il mandatario ce li ha come mandatario ma è perfettamente in buona fede. Arriva il mandante e dice che i sacchi sono suoi, la norma dice che sono salvi gli effetti di buona fede: il mandatario quando ha rivenduto quei beni in realtà appariva come proprietario e il terzo in buona fede non sapeva né poteva sapere che quei beni dovevano essere ritrasferiti al mandante e vale quindi il possesso vale titolo. Quindi, chi consegue i sacchi dal mandatario infedele acquista il bene, in quel caso il mandante non può rivendicare i sacchi perché l'acquisto si è concluso bene per il terzo che ha acquistato. Al mandante nel caso in cui non possa rivendicare i beni mobili rimane solo l'azione di responsabilità contrattuale: sei inadempiente perché me li dovevi ritrasferire. Questo per quanto riguarda i beni mobili che sappiamo passare di mano rapidamente. Il Codice dice poi: se le cose acquistate dal mandatario sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario è obbligato a ritrasferirle al mandante. In caso d\'inadempimento, si osservano le norme relative all\'esecuzione dell\'obbligo di contrarre. Quindi, se si tratta di immobili che il mandatario ha acquistato per conto del mandante, il mandante può andare dal giudice e ottenere una sentenza con la quale il giudice sostituisce al consenso del mandatario che non vuole ritrasferire il bene il proprio consenso e quindi i beni vengono ritrasferiti. Quindi, l'Art. 2932 sull'esecuzione specifica e l'obbligo di contrarre trova applicazione nel preliminare, nell'opzione e anche in questo caso perché è il modo con il quale si ottiene il completamento di trasferimento anche se il mandatario non vuole per quanto riguarda i beni immobili. È chiaro che questo meccanismo come se lo immagina il legislatore essendo un contratto dà tutta una serie di garanzie, risolve il problema del mandatario infedele, tutela i terzi ma non risolve il problema dei costi di transazione (quindi del doppio passaggi). Questo tipo di rappresentanza indiretta quando avviene all'interno di un rapporto di mandato dà delle garanzie ma non fa risparmiare i costi di transazione. Il tema è: esiste un modo con cui noi ci risparmiamo il doppio passaggio e quindi si risolve anche il tema di che cosa succede se il mandatario non effettua il doppio passaggio? Sì, la rappresentanza diretta, cioè la rappresentanza che passa per il conferimento di questo potere che chiamiamo potere rappresentativo dal rappresentato al rappresentante. Il potere rappresentativo si attribuisce non con un contratto ma con un atto unilaterale che si chiama [procura]. Il rappresentato dà al rappresentante il potere di svolgere una certa attività giuridica non solo nel proprio interesse, ma a proprio nome, si dice tecnicamente in nome e per conto del rappresentato attraverso la spendita del nome: il rappresentante spende il nome del rappresentato quando fa l'attività giuridica. La combinazione dell'interesse del rappresentato e il poter spendere il nome del rappresentato sulla base della procura produce esattamente questa conseguenza: gli effetti dell'attività giuridica del rappresentante si producono direttamente e immediatamente nella sfera giuridica del rappresentato senza bisogno del doppio passaggio. Il potere viene dato unilateralmente, ma che cosa crea l'obbligo in capo al rappresentante di andare a fare quella determinata attività giuridica per la quale ha il potere di spendere il nome? Questo dipende dal rapporto sottostante, tipicamente un rapporto di mandato, ma può essere anche un rapporto di amicizia, di lavoro, di agenzia. Quindi, la procura è un atto unilaterale che solitamente si aggiunge a un rapporto contestuale o precedente (la procura viene data insieme al mandato o a qualcuno che ha già un incarico, ad esempio il lavoratore) e l'insieme delle due cose consente una completa sostituzione dell'attività giuridica per cui il rappresentante è la parte formale del contratto che si stipula, ma l'effetto giuridico si produce sulla parte sostanziale cioè il mandante che in questo caso è rappresentato attraverso la procura. Infatti, il Codice dice alll'Art. 1704 (mandato con rappresentanza): se al mandatario è stato conferito il potere di agire in nome del mandante, si applicano anche le norme del capo VI del titolo II di questo libro (norme relative alla rappresentanza). E all'Art. 1705 (mandato senza rappresentanza) dice: il mandatario che agisce in proprio nome acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. Quindi, quando non c'è la rappresentanza il mandatario in realtà acquista sempre per sé cioè acquista sempre nella propria sfera patrimoniale, anche se ai terzi dice che sta comprando per un altro perché se non ha la procura (il potere rappresentativo) non c'è questo automatismo. Questo meccanismo presuppone che volontariamente il rappresentato abbia detto di spendere anche il suo nome e la spendita del nome produce gli effetti. Il secondo comma dice: i terzi non hanno alcun rapporto col mandante; tuttavia, il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall\'esecuzione del mandato. Se io ho mandato qualcuno a stipulare un contratto non a mio nome ma per mio conto, quindi un mandatario senza rappresentanza, e questo non ha incassato, io mandante posso andare a richiederlo; il terzo non ha rapporti con il mandante, ma il mandante può fare gli atti conservativi del credito. Ci sono abbastanza norme sul mandato e si parla di obbligazioni del mandatario. Ovvero quali sono gli effetti che nascono dal contratto di mandato e a che cosa è tenuto il mandatario? Il Codice all'Art. 1710 dice: il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il mandato è gratuito (quindi anche se è stato assunto per amicizia), la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore (va giudicato meno severamente perché il mandatario non è stato remunerato). Quando qualcuno accetta di diventare mandatario sa che c'è uno standard di comportamento, c'è un canone: la diligenza del buon padre di famiglia, ovvero si deve comportare come probabilmente si comporterebbe se quell'affare lo dovesse condurre nel proprio interesse adottando quindi tutte le cautele che servirebbero per il buon fine dell'azione. Se è stato fedele a questo standard lo si sa soltanto ex post. Il mandatario quando non è l'amico o non è la persona che si è incaricata occasionalmente di fare una certa cosa, il mandatario è un'attività imprenditoriale (agenzia, rappresentante di commercio), è qualcuno che fa quello per vivere e quindi si presume che sia remunerato e si presume che tenga un comportamento in linea con questo standard che il legislatore non sa definire meglio ma è quello del buon padre di famiglia. E nel secondo comma dice: il mandatario è tenuto a rendere note al mandante le circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato. Il legislatore non lo dice, ma il più delle volte il mandatario viene scelto per una ragione che nel Codice non viene detta: la fiducia. Quindi, il legislatore dice che, siccome se il mandatario ha l'incarico perché verosimilmente qualcuno si fidava di lui, se intervengono cause dopo il contratto che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato il mandatario le deve dire; questo obbligo di comunicare le circostanze sopravvenute fa parte degli elementi sulla base dei quali si valuta se si è stati diligenti come un buon padre di famiglia o no. Poi il Codice dice che ci sono dei limiti al mandato, l'Art. 1711 dice: il mandatario non può eccedere i limiti fissati nel mandato. E il secondo comma dice: il mandatario può discostarsi dalle istruzioni ricevute qualora circostanze ignote al mandante, e tali che non possano essergli comunicate in tempo, facciano ragionevolmente ritenere che lo stesso mandante avrebbe dato la sua approvazione. L'Art. 1712 dice: il mandatario deve senza ritardo comunicare al mandante l\'esecuzione del mandato. L'Art. 1713 dice: il mandatario deve rendere al mandante il conto del suo operato e rimettergli tutto ciò che ha ricevuto a causa del mandato. Queste norme sul mandato (sulla rappresentanza indiretta) sono importanti perché quando poi si va a vedere la disciplina degli amministratori delle società il Codice dice che gli amministratori delle società rispondono nei confronti dei soci secondo le regole del mandato. E qua apriamo un capitolo complementare sul tema della sostituzione dell'attività giuridica. Fino ad ora abbiamo visto la rappresentanza legale (cioè la rappresentanza che ha fonte nella legge), stiamo parlando della rappresentanza volontaria e poi in realtà c'è un altro tipo di rappresentanza che è la [rappresentanza organica]. Questa è un'altra di quelle situazioni in cui c'è bisogno di un sostituto per fare l'attività giuridica. Nel caso della rappresentanza organica c'è proprio bisogno del sostituito perché in realtà l'attività che deve fare il sostituto è un'attività che il sostituito (il soggetto rappresentato) non potrebbe fare perché non ha le gambe, non ha le braccia, non ha la voce, non esiste nel mondo reale. E questo accade nel caso degli enti giuridici: associazioni, fondazioni, società commerciali; noi li chiamiamo persone, soggetti di diritto, persone giuridiche, ma non c'è nulla di antropomorfo nella società e però questi enti fanno attività giuridica: la rappresentanza organica è l'unico modo con cui la società può fare attività perché la società ha degli organi, ripartizioni interne, e questi organi sono occupati pro tempore (non per sempre) da soggetti. Da un po' di tempo anche da noi in Italia è possibile che un organo di un ente giuridico sia un altro ente giuridico, questo è molto frequente nei gruppi di società. La rappresentanza organica non nasce dalla legge e nemmeno dalla volontà, ma nasce dalla preposizione ovvero dal fatto che io sono stato messo in quell'organo e ho assunto un incarico. Per quell'organo la legge o lo statuto è previsto che possa fare determinate cose, quindi chiunque rivesta pro tempore il ruolo di all'interno di quell'organo ha i poteri previsti dalla legge o dallo statuto oppure quelli che gli vengono dati di volta in volta. Quando si parla di amministratore delegato, questo è uno che sta in consiglio di amministrazione insieme ad altri (in questo caso l'organo è un organo collegiale), poi però per evitare che debbano fare tutto insieme ne delegano uno; questo vuol dire che per via della preposizione e di questa delega aggiuntiva ha i poteri rappresentativo. Come amministratore di società si ha la responsabilità del mandatario, quindi si deve comportare con la diligenza del buon padre di famiglia. La preposizione mi dà il potere rappresentativo (quello che nel caso della rappresentanza volontaria viene dato dalla procura) e il rapporto sottostante da cui il potere rappresentativo deriva è di vario tipo. Le norme sulla rappresentanza volontaria che stanno nel Codice sono importanti e il legislatore si è preso un po' di impegno nel dettare le norme. Il Codice dice all'Art. 1387: il potere di rappresentanza è conferito dalla legge ovvero dall\'interessato (il rappresentato). E all'Art. 1388 dice: il contratto concluso dal rappresentante in nome e nell\'interesse del rappresentato (cioè in nome e per conto), nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato. Però serve la procura, serve il conferimento del potere, e nell'esercizio di quel potere serve la spendita del nome: il rappresentante che voglia far produrre gli effetti giuridici direttamente in capo al rappresentante deve spendere il nome del rappresentato. C'è un problema di apparenza perché l'organo, la procura, è sempre un individuo e il problema è che è un individuo che sta svolgendo un'attività sostitutiva: l'attività che sta compiendo in quel preciso momento con quella precisa controparte la sta compiendo nel suo interesse o nell'interesse dell'altra parte? Lo deve dire e se vuole far produrre gli effetti direttamente in capo al rappresentato deve spendere il nome. Qua c'è un problema, perché, siccome il rappresentante è sempre una persona fisica, ci sono sempre due parti che compaiono nel contratto: la parte formale che è il rappresentante e la parte sostanziale che è il rappresentato; e se una delle due parti è incapace di intendere e di volere? Il Codice all'Art. 1389 dice: quando la rappresentanza è conferita dall\'interessato (rappresentanza volontaria), per la validità del contratto concluso dal rappresentante basta che questi abbia la capacità di intendere e di volere, avuto riguardo alla natura e al contenuto del contratto stesso, sempre che sia legalmente capace il rappresentato. Il rappresentato non può farsi sostituire nello svolgimento dell'attività giuridica per un'attività che lui stesso non potrebbe compiere. Il Codice dice che non è ammessa la procura per eludere vincoli che gravano sul rappresentato; quando non c'è questo rischio per la validità del contratto basta che il rappresentante abbia la capacità di intendere e di volere. Se do la procura al rappresentante e cinque minuti dopo impazzisco, il contratto che stipula il rappresentante è valido perché quando ho dato la procura ero capace di intendere e di volere. Quindi, quando si stipula almeno il rappresentante deve essere capace di intendere e di volere. Infatti, nel secondo comma il Codice spiega: in ogni caso, per la validità del contratto concluso dal rappresentante è necessario che il contratto non sia vietato al rappresentato. Cioè questo meccanismo di sostituzione non può arrivare a consentire che il rappresentato attraverso il rappresentante faccia attività che gli sono vietate. Domanda: in che forma va rilasciata la procura? Principio di attrazione delle forme: nella stessa forma che è prevista per l'atto che deve compiere il rappresentante. Questa è la regola minima (poi magari si fa sempre scritta la procura) e nella procura saranno poi specificati i limiti del potere. Il Codice dice all'Art. 1393: il terzo che contragga col rappresentante può sempre esigere che questi giustifichi i suoi poteri e, se la rappresentanza risulta da un atto scritto, che gliene dia una copia da lui firmata. Il terzo può chiedere la giustificazione e se c'è la procura scritta può chiedere una copia; vuole sapere con chi sta contraendo perché se è vero che gli effetti giuridici di questo contratto si producono nella sfera giuridica del rappresentato e poi il rappresentato non paga vuole sapere se effettivamente questo signore ha dato il potere e chi è. Quindi, nell'interesse del terzo, il terzo può esigere che siano chiariti questi rapporti. Ci sono n problemi che nascono dalla rappresentanza. Il primo problema è dato dal fatto che qualche volta il rappresentante può trovarsi in conflitto di interessi con il rappresentato. Sul conflitto di interessi bisogna essere chiari perché se ne parla moltissimo, non si capisce benissimo che cosa sia e il legislatore non lo definisce. Ma qui si capisce perché: è chiaro quale interesse deve fare il rappresentante, ma se la controparte del rappresentato è lo stesso rappresentante è chiaro che c'è un conflitto di interessi. Io ho dato mandato e procura a un mio dipendente di assumere un certo numero di persone e lui assume la sorella, il cugino, l'amico: questo è un conflitto di interessi perché quando agiva non è detto che stesse perseguendo l'interesse del rappresentato. Il Codice dice all'Art. 1394: il contratto concluso dal rappresentante in conflitto d\'interessi col rappresentato può essere annullato su domanda del rappresentato, se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo. Qua il legislatore si pone sempre il problema del terzo: il contratto si può annullare se il conflitto era conosciuto o riconoscibile dal terzo, altrimenti prevale la tutela dell'affidamento perché c'è qualcuno che si è fidato senza colpa della validità del contratto. Il rappresentato in questo caso ha un rimedio: è vero che il contratto stipulato dal rappresentante produce effetti giuridici immediatamente nella sua sfera patrimoniale, ma lui li può far rimuovere dal giudice alla sola condizione che il conflitto di interessi fosse conosciuto o conoscibile da parte del terzo. La seconda situazione è la sublimazione del conflitto di interessi, quello che il Codice chiama contratto con se stesso e all'Art. 1395 dice: è annullabile il contratto che il rappresentante conclude con se stesso, in proprio o come rappresentante di un\'altra parte, a meno che il rappresentato lo abbia autorizzato specificamente ovvero il contenuto del contratto sia determinato in modo da escludere la possibilità di conflitto d\'interessi. Questo è un conflitto di interessi all'ennesima potenza, c'è talmente tanto conflitto di interessi che le due parti che negoziano sono la stessa persona. Questo contratto in due casi non è annullabile: il rappresentato è stato autorizzato preventivamente oppure le condizioni di vendita sono state predeterminare dal rappresentato. Il vero problema è il problema della rappresentanza senza potere ovvero quando qualcuno dice di agire in nome e per conto di qualcun altro ma il potere non c'è perché non è mai stata data la procura oppure la procura è stata data ma il potere che esercita il rappresentante eccede i limiti della procura. Questa è una situazione piuttosto ricorrente: c'è un falso rappresentante (intendiamo anche quello che ha la procura ma eccede), c'è un terzo in buona fede che ha contrattato e poi c'è il falso rappresentato che o non sa nulla o sa che c'è qualcuno ma gli aveva dato certi limiti e questi limiti il rappresentante per qualche ragione se li è dimenticati. Questa è la fattispecie dell'Art. 1398 del Codice civile: colui che ha contrattato come rappresentante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitegli, è responsabile del danno che il terzo contraente ha sofferto per avere confidato senza sua colpa nella validità del contratto. Questo vuol dire che il terzo non aveva ragione di credere o di sapere che questo fosse un falso rappresentante, fanno un contratto e ora il tema è: questo contratto stipulato tra il falso rappresentante e il terzo che però dovrebbe vincolare il rappresentato è un contratto valido o invalido? Il Codice dice che il contratto non è valido perché la parte sostanziale non ha mai dato il potere al rappresentante di agire in nome e per conto suo, la parte sostanziale semplicemente non esiste. Il Codice dice che il contratto non è valido in questo caso e si deve risarcire il danno al terzo perché il rappresentante falso è responsabile del danno del terzo perché è stato violato l'interesse precontrattuale. C'è un però: si supponga che il falso rappresentante sia in realtà un procuratore che eccede i suoi poteri per una ragione molto valida secondo il principio della diligenza del buon padre di famiglia. Il passaggio di questo limite ha un effetto di trascinamento, ovvero che tutto il contratto diventa invalido, però il rappresentato può con un atto unilaterale ma successivo alla stipula dichiarare che vuole fare propri gli effetti di quel contratto e questo atto unilaterale si chiama ratifica. Il Codice dice all'Art. 1399: nell\'ipotesi prevista dall\'articolo precedente, il contratto può essere ratificato dall\'interessato (il falso rappresentato), con l\'osservanza delle forme prescritte per la conclusione di esso. Anche la ratifica va fatta secondo il principio dell'attrazione delle forme con la forma del contratto ratificato. Al secondo comma dice: la ratifica ha effetto retroattivo, ma sono salvi i diritti dei terzi. La ratifica è una dichiarazione che il falso rappresentante fa al terzo, quindi, anche se la ratifica avviene dopo che il contratto è stato concluso, la ratifica si considera aver sanato il contratto dal momento in cui il contratto è stato concluso. Però sono salvi i diritti di terzi, ovvero nonostante la ratifica i terzi comprano beni. Qua il Codice dice una cosa che non torna nel terzo comma: il terzo e colui che ha contrattato come rappresentante possono d\'accordo sciogliere il contratto prima della ratifica. Lo possono sciogliere se sono d'accordo, però il contratto è invalido; quindi, questo contratto è invalido e non ha mai prodotto effetti oppure produce effetti e quindi lo si può sciogliere? Qua c'è un po' di bisticcio, il legislatore non è chiaro. Noi tendiamo a dire che il contratto stipulato dal falso rappresentante che non è stato sciolto dai due e che è in attesa di ratifica è in un limbo: in realtà non possiamo dire che è invalido altrimenti non potrebbe essere sanato ex post. Quindi, il contratto stipulato dal falso rappresentante è un contratto sospeso: può essere sciolto dalle parti prima della ratifica, può essere eseguito o può essere ratificato. Però, siccome c'è questa situazione di incertezza, il Codice nel quarto comma dice: il terzo contraente può invitare l\'interessato a pronunciarsi sulla ratifica assegnandogli un termine, scaduto il quale, nel silenzio, la ratifica s\'intende negata. Il Codice dice che il terzo, che ha capito, può andare dal falso rappresentato e chiedere se vuole ratificare il contratto entro un certo periodo: se ratifica il contratto è sanato, se nega il contratto è definitivamente morto e se non dice nulla vale la precedente (proprio perché per evitare che questa situazione di incertezza si propaghi il terzo può intimare un termine). Se il falso rappresentato muore il potere di ratifica si trasmette agli eredi, è una di quelle cose che stanno nel patrimonio e quindi passano agli eredi ed è una di quelle cose per cui gli eredi potrebbero accettare con beneficio di inventario. L'ultimo tema che affrontiamo in materia di contratti riguarda statisticamente quella parte di rapporti contrattuali che si guasta. Le norme giuridiche non servono quando le cose vanno bene, ma si scrivono per quando le cose vanno male perché bisogna sapere quali sono le conseguenze e per chi vanno male. Questo perché noi sappiamo che il pilastro della materia del contratto è l'idea che il contratto ha forza di legge tra le parti e ha forza di legge tra le parti perché sono le stesse parti che lo vogliono (si parla di contratto come atto di autonomia privata). Il momento in cui si conclude il contratto è il momento di perdita della libertà, dopo non si può più fare nulla se non quello che c'è scritto nel contratto. La legge presuppone che se sono un individuo l'ho fatto nel pieno delle mie prerogative, non ero incapace di intendere e di volere, se non l'ho fatto come persona fisica ma come ente si presuppone che il processo decisionale all'interno dell'ente sia stato corretto; se tutto questo si verifica il contratto vincola le parti e a questo punto ci sono soltanto due strade che si possono prendere: posso adempiere oppure essere inadempiente. Sappiamo che l'adempimento comporta la soddisfazione dell'interesse delle parti e quindi la vicenda svolge normalmente la funzione allocativa che deve avere e in caso di inadempimento scattano tutta una serie di conseguenze legate al fatto che c'è una responsabilità legata a questo potere di autonomia ed è una responsabilità di tipo patrimoniale. Il nostro Codice prevede per tutti i contratti tre possibili finali (non prevede il quarto che è quando le cose vanno tutte bene): 1. il primo finale brutto è l'inadempimento che si verifica quando la prestazione che le parti dovevano tenere non è stata eseguita. Il tema è: che cosa succede al contratto quando una delle due parti è inadempiente? La prima regola che viene dal Codice è il rimedio per l'inadempimento, il Codice parla di risolubilità del contratto per inadempimento (Art. 1453) e dice: nei contratti con prestazioni corrispettive (quando le parti si obbligano una in ragione dell'altra), quando uno dei contraenti non adempie le sue obbligazioni, l\'altro può a sua scelta chiedere l\'adempimento o la risoluzione del contratto, salvo, in ogni caso, il risarcimento del danno. Il danno viene ripagato nella misura del danno emergente e del lucro cessante, però poi il Codice dice che, se l'obbligazione non è stata adempiuta, la parte che ha diritto alla prestazione ha due possibilità: o chiede l'adempimento oppure chiede la risoluzione. Chiedere l'adempimento è una possibilità alternativa alla risoluzione ma che non è sempre possibile. La risoluzione comporta la chiusura del contratto perché una delle due parti non si era impegnata a fare ciò che doveva salvo il risarcimento del danno. Il Codice dice che la scelta tra queste due cose sta al creditore, ovvero quello che doveva avere la prestazione, però il creditore quando ha fatto la scelta non può cambiarla a seconda del momento. Infatti, al secondo comma si dice: la risoluzione può essere domandata anche quando il giudizio è stato promosso per ottenere l\'adempimento; ma non può più chiedersi l\'adempimento quando è stata domandata la risoluzione. Queste norme sono anche un po' a tutela del debitore. Dalla data della domanda di risoluzione, cioè da quando il creditore va dal giudice, l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione; quindi, se il creditore è andato dal giudice che ha chiesto direttamente la risoluzione (quando chiede la risoluzione non può domandare l'inadempimento) da quel momento in poi il debitore non può più adempiere, si deve aspettare solo di risarcire il danno. Il tema è: c'è una possibilità, che tutti i creditori hanno, che è la possibilità di diffidare il debitore con quella che si chiama diffida ad adempiere. Questa è molto utile perché è una comunicazione unilaterale che manda il creditore al debitore con la quale la parte non inadempiente per iscritto intima al debitore di adempiere in un congruo termine con dichiarazione che decorso inutilmente detto termine il contratto si considererà senz'altro risoluto. Quindi, la diffida è una lettera perché si dice che deve essere scritta. Questo è uno dei pochissimi casi nel Codice in cui alle parti è consentito di farsi giustizia da sole, perché una parte può provocare la risoluzione senza andare dal giudice. L'Art. sulla risoluzione, il 1453, dice che la parte può domandare al giudice o l'adempimento o la risoluzione, invece qua la diffida ad adempiere risparmia il dover andare dal giudice però deve essere fatta per iscritto. Il Codice dice all'Art. 1454: il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore. Decorso il termine senza che il contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto (cioè non serve più nessuna attività). Quindi, il debitore non può più pagare, il creditore si deve aspettare il risarcimento del danno e soprattutto il creditore a quel punto è libero perché fin tanto che il contratto non si scioglie tutte e due le parti sono vincolate e questo è un paradosso. Il Codice all'Art. 1455 (importanza dell\'inadempimento) dice: il contratto non si può risolvere se l\'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all\'interesse dell\'altra. Questa è una declinazione della buona fede nell'esecuzione del contratto. Le norme del Codice sottendono un principio che è il principio della conservazione del contratto: il legislatore fa di tutto per evitare che il contratto si sciolga facilmente perché assume che le parti abbiano speso dei soldi per farlo. La diffida è un primo caso in cui ci si risparmia il contenzioso e ci si svincola rapidamente; un secondo caso può essere quello in cui le stesse parti quando fanno il contratto si rendono conto di dover scrivere questo algoritmo tra di loro in maniera tale che l'algoritmo sia in gradi di auto aggiustarsi senza dover necessariamente passare dal giudice, anche perché fin tanto che non arriva la sentenza del giudice le parti non sono libere: clausola risolutiva espressa. Questa è disciplinata all'Art. 1456: i contraenti possono convenire espressamente che il contratto si risolva nel caso che una determinata obbligazione non sia adempiuta secondo le modalità stabilite; in questo caso, la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all\'altra che intende valersi della clausola risolutiva. La clausola risolutiva espressa dice che l'obbligazione di consegnare la merce nella quantità pattuita entro le 24 del giorno x è una obbligazione essenziale e il contratto si intenderà risolto se entro le 24 la consegna non è avvenuta; siccome il nostro potere di autonomia è molto vasto abbiamo già predeterminato le sorti del contratto in caso di inadempimento. Però il Codice dice che non basta la mezzanotte per produrre la risoluzione del contratto anche se le parti hanno scritto così, ma dice che la risoluzione si verifica di diritto quando la parte interessata dichiara all\'altra che intende valersi della clausola risolutiva; questo perché il legislatore ha sempre il sospetto che le parti abbiano interesse alla conservazione del contratto e quindi l'effetto di risoluzione di diritto si produce quando l'altra parte dice di volersi avvalere della clausola risolutiva espressa. Ma se il contratto non si è risolto e il creditore ha ancora interesse a ricevere la merce può accettare la prestazione tardiva. Indubbiamente la clausola risolutiva espressa ha un vantaggio: produce la risoluzione in maniera immediata, sicuramente più immediata della diffida ad adempiere. Gli effetti della risoluzione si trovano all'Art. 1458: la risoluzione del contratto per inadempimento ha effetto retroattivo tra le parti (quindi il contratto si considera privo di effetti dall'inizio), salvo il caso di contratti ad esecuzione continuata o periodica, riguardo ai quali l\'effetto della risoluzione non si estende alle prestazioni già eseguite. La risoluzione tendenzialmente porta le parti allo stato in cui si trovavano quando hanno firmato il contratto. Però ci sono contratti che hanno esecuzione continuata e periodica e il Codice dice che questo contratto non si risolve retroattivamente ma la risoluzione in questo caso avviene ex nunc (da adesso in poi). L'eccezione di inadempimento è un tema delicato e il Codice all'Art. 1460 dice: nei contratti con prestazioni corrispettive (quando uno deve dare all'altro), ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l\'altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria, salvo che termini diversi per l\'adempimento siano stati stabiliti dalle parti o risultino dalla natura del contratto. Questa norma è importante perché il vincolo contrattuale non vale solo per la parte inadempiente, ma anche per quella adempiente. E il secondo comma dice: tuttavia non può rifiutarsi la esecuzione se, avuto riguardo alle circostanze, il rifiuto è contrario alla buona fede. L'ultimo punto importante sull'inadempimento della parte è la mutazione delle condizioni patrimoniali dei contraenti: il Codice cosa dice che succede se all'interno di un rapporto le condizioni patrimoniali di una delle due parti mutano (mutano al punto tale che ho paura che questo signore non adempirà più)? Il Codice dice all'Art. 1461: ciascun contraente può sospendere l\'esecuzione della prestazione da lui dovuta (anche questa è una piccola giustizia privata, perché non si potrebbe sospendere dato che si è obbligati), se le condizioni patrimoniali dell\'altro sono divenute tali da porre in evidente pericolo il conseguimento della controprestazione, salvo che sia prestata idonea garanzia. Qua il legislatore (sono tutte norme dispositive) offre alle parti degli strumenti per mitigare gli effetti di quella forza contrattuale che è indicata come la forza di legge tra le parti. La forza di legge tra le parti è utilissima, è il pilastro dell'autonomia privata, del mercato però qualche volta a fronte di un inadempimento non ci vogliamo rimanere incastrati dentro e quindi esistono la diffida ad adempiere e le clausole risolutive espresse. Il legislatore mette la clausola risolutiva espressa perché le parti sanno che le cose possono andare male e il legislatore consente questa clausola perché la negoziazione può essere lunga a piacere però c'è un momento in cui l'utilità marginale dell'ora in più che si spende nella negoziazione non restituisce un beneficio identico; quindi, a un certo punto la negoziazione si ferma e lo fa quando deve prevedere eventi a bassa probabilità di verificazione, ovvero quelli di inadempimento. 2. impossibilità sopravvenuta quando abbiamo parlato delle obbligazioni, nel Codice c'è scritto che il debitore deve fare tutto il possibile per adempiere ed è sempre responsabile se non prova che la mancata prestazione dipende da cause a lui non imputabili. Un'estensione di questo principio la troviamo nel Codice quando si parla di impossibilità sopravvenuta: questa dice che quando si stipula un contratto in realtà non è così digitale, non c'è l'adempimento o l'inadempimento (quindi la soddisfazione dell'interesse o la responsabilità patrimoniale) perché il legislatore dice che ci possono essere dei casi in cui la prestazione dovuta (perché contrattualmente la prestazione è dovuta) in realtà non è più dovuta perché è diventata impossibile dopo la conclusione del contratto (perché se era impossibile prima vuol dire che l'oggetto non era possibile e quindi il contratto era nullo). Però la prestazione deve essere divenuta impossibile, come dice il Codice, quando è dipesa da circostanze che non dipendono dalle parti. Il Codice dice all'Art. 1463 (impossibilità totale): nei contratti con prestazioni corrispettive, la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della prestazione dovuta non può chiedere la controprestazione, e deve restituire quella che abbia già ricevuta, secondo le norme relative alla ripetizione dell\'indebito. Quando una causa esterna alle volontà delle parti (che non dipende dal comportamento delle parti) ha reso la prestazione impossibile, le parti si devono comportare in maniera tale da ricondurre in pristino la rispettiva situazione patrimoniale. L'impossibilità sopravvenuta che non dipende dalla volontà delle parti è quello che nei contratti chiamiamo le cause di forza maggiore: la legge dice che quando c'è un'impossibilità sopravvenuta le parti cancellano tutto e ritorna tutto come prima, ma noi vogliamo sapere però quando è che si verifica. Tutto quello che dipende dalla tua sfera ti rende responsabile e questo è importante perché stiamo dicendo che le imprese devono poter fare affidamento sul comportamento delle controparti non solo per quello che riguarda direttamente l'esecuzione della prestazione ma per tutto quello che è un antecedente dell'esecuzione della prestazione. Questo è uno dei casi in cui vale la pena spendere dei costi di transazione per scrivere nel contratto quali sono effettivamente le cause di forza maggiore. Ognuno nel suo ambito sa quali sono le circostanze che controlla e quelle che non controlla e quelle che non controlla che possono rendere la prestazione impossibile vanno scritte nel contratto. Se la prestazione è solo parzialmente impossibile il Codice dice all'Art. 1464: quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l\'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all\'adempimento parziale. Quindi, anche qui c'è il principio di conservazione: il legislatore dice che se si può salvare lui fa di tutto per mettere nelle condizioni di salvarlo. Fino ad adesso abbiamo parlato di contratti con effetti obbligatori: nel caso di contratti con effetti traslativi? Quando si sposta la proprietà il Codice dice (Art. 1465): nei contratti che trasferiscono la proprietà di una cosa determinata ovvero costituiscono o trasferiscono diritti reali, il perimento della cosa per una causa non imputabile all\'alienante (debitore) non libera l\'acquirente dall\'obbligo di eseguire la controprestazione, ancorché la cosa non gli sia stata consegnata. Il Codice dice che l'impossibilità che deriva da una causa non imputabile non libera l'acquirente dall'obbligo di eseguire la controprestazione, quindi si deve pagare per la prestazione. Quando la prestazione è impossibile il rischio è dell'altra parte e questa è una bella fregatura, ecco perché si scrivono le clausole di forza maggiore nei contratti perché, oltre a specificare quali sono questi eventi, si mitigano anche gli effetti di questi. 3. eccessiva onerosità sopravvenuta in tutti i contratti che non si concludono istantaneamente (contratti in cui la prestazione e la controprestazione sono lontane nel tempo o la prestazione deve essere ripetuta), il tempo modifica le circostanze esterne e il legislatore lo sa. Ma che cosa succede se le circostanze esterne (il mercato) sono cambiate e la prestazione che una delle due parti si è obbligata ad eseguire è diventata eccessivamente onerosa per ragioni che non dipendono dalla volontà e dal controllo della parte stessa. Il legislatore dice che ci sono dei casi in cui circostanze esterne incidono sull'economia del contratto (sui ari fattori per esempio che determinano il prezzo) e sono eventi che hanno due caratteristiche: l'impatto che hanno sull'economia dell'affare è un impatto drastico (non è che i costi della produzione sono aumentati del 2/3% ma del 200%) e l'evento deve essere imprevedibile (deve essere una cosa che esula dalla nostra previsione) non in assoluto (cioè gli eventi non previsti hanno una così bassa probabilità di verificazione nella realtà che non valeva mettersi a negoziare per quelli). Il legislatore dice che se l'evento è straordinario, assolutamente imprevedibile e produce un disastro sull'economia di una delle due parti del contratto allora deve dare un rimedio, perché è una di quelle situazioni in cui al legislatore costa poco mentre alle parti costa molto. L'eccessiva onerosità sopravvenuta riguarda i contratti a esecuzione continuata, periodica o a esecuzione differita. L'Art. 1467 dice: nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa (nel senso che si sta perdendo tanto) per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili (ad esempio pandemie), la parte che deve tale prestazione (cioè la parte aggravata) può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall\'articolo 1458. La parte in difficoltà può andare dal giudice e dire che non è stupido, ma questa cosa non l'aveva prevista nessuno e ha un effetto devastante e quindi gli chiede di liberarlo dal contratto. Il secondo comma dice: la risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell\'alea normale (nella rischiosità intrinseca tipica di quel determinato contratto) del contratto. Nel diritto si distingue tra contratti aleatori (contratto dove per definizione c'è un'oscillazione imprevedibile, aleatorietà che può essere stabilita anche dalle parti) e contratti commutativi. Il terzo comma dice: la parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto. C'è sempre l'idea di conservare il contratto dando la possibilità all'altra parte di offrire la reductio ad equitate. Il Codice, non dice che il contratto deve tornare ad essere profittevole per l'altra parte, ma sta dicendo alla parte che dovrebbe subire la risoluzione che ha la possibilità di bloccarla facendo almeno una contro offerta. Anche questa è una norma dispositiva perché le parti possono o escludere del tutto meccanismi di risoluzione di questo tipo (quindi rendono aleatorio il contratto) oppure fanno un aggiustamento un po' più sofisticato dove il prezzo non è solo indicizzato all'inflazione ma il prezzo è indicizzato a quel fattore della produzione che pesa di più dentro la distinta base oppure che pensiamo sia più soggetto a volatilità. Mentre l'impossibilità sopravvenuta viene solitamente gestita con le clausole di forza maggiore, questa cosa viene solitamente gestita nei contratti con le clausole di hardship. Queste dicono: se interviene un evento che rende eccessivamente onerosa la prestazione, non più sostenibile economicamente, il contratto si sospende per n giorni dopo i quali si riapre la negoziazione e si prova a vedere se sulla base delle mutate circostanze si riesce ad aggiustare il contratto perché entrambi hanno interesse a farlo. Il Codice dice all'Art. 1469: le norme degli articoli precedenti non si applicano ai contratti aleatori per loro natura o per volontà delle parti. **18° LEZIONE** Capitolo dell'**IMPRESA**. Dell'impresa abbiamo parlato molto sotto il profilo dell'attività: come si muovono le imprese e che cosa fanno; però di fatto non abbiamo mai ragionato su che cosa è un'impresa, come è disciplinata e quali sono le conseguenze dell'attività d'impresa. Le norme più significative stanno nel penultimo libro del Codice civile: libro quinto. Questo è intitolato libro del lavoro e c'è una strettissima connessione nella testa del legislatore tra il lavoro e l'impresa: l'impresa è vista come una macchina sociale che vive attraverso i lavoratori. Questo è un aspetto importante, qualcuno potrebbe dire filosofico, ma è una questione di ricostruzione del quadro complessivo dell'attività d'impresa. L'impresa genera lavoro, genera profitto, genera posti di lavoro, genera valore aggiunto, esiste per l'imprenditore, esiste per i lavoratori, è una comunità, è un fatto individuale; queste domande sono generali ma hanno delle implicazioni molto forti. Quando si parla di responsabilità sociale d'impresa tutte queste tematiche mettono capo alla finalità dell'organizzazione. Il legislatore del 1942 pensa al lavoro e nella disciplina del lavoro inserisce quello che prima del 1942 stava nel Codice del commercio che era un codice separato (in alcuni Paes è ancora così) che trattava dell'attività dell'impresa. Negli articoli che riguardano l'attività d'impresa questa non è definita, ma c'è scritto chi è l'imprenditore e vengono definite diverse categorie di imprenditori. Bisogna mettere a punto una certa terminologia: impresa è una cosa, azienda è un'altra cosa e società è un'altra cosa; sono collegate ma sono concetti distinti. Cominciamo dall'[attività d'impresa]. Le definizioni funzionano da selettore di norme giuridiche, cioè il fatto che un'attività umana venga qualificata come attività d'impresa comporta delle conseguenze, cioè l'attivazione di un ambito disciplinare a quella determinata attività. Il titolo secondo di questo libro è chiamato del lavoro e dell'impresa e definisce l'imprenditore (Art. 2082): è imprenditore chi esercita professionalmente un\'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Non è richiamata in questa definizione la nozione di profitto, ma l'imprenditore svolge un'attività economica (non profittevole), di significato economico. Ciò che conta per il legislatore nella definizione dell'imprenditore e della sua attività (perché con questa definizione si capisce che l'attività d'impresa è l'attività dell'imprenditore, cioè questa attività economica e organizzata che è funzionale alla produzione e allo scambio di beni e servizi) non è che ci sia un profitto, ma è necessario che l'attività sia improntata all'economicità: un'attività economica è un'attività che si regge sul conto economico, su una funzione di costo e una funzione di ricavo. Al legislatore non interessa se l'impresa fa profitto, ma interessa che l'impresa dal punto di vista economico sia sostenibile, cioè che il conto economico dica che i ricavi sono almeno pari ai costi. Questo significa che l'imprenditore non è tenuto a fare profitto per essere imprenditore, se lo fa meglio per lui, ma la nozione di profitto non è essenziale allo svolgimento dell'attività d'impresa. Anche se attività economica probabilmente implica che forse il profitto lo deve fare perché se chiude in perdita vuol dire che ci deve rimettere i soldi: il fatto che l'attività debba essere economica sta dicendo che l'imprenditore può non fare profitto ma non deve perdere, perché se perde c'è il principio di responsabilità per cui ci rimette dei soldi. Attività economica per l'ente pubblico vuol dire che si può anche perdere se si sta perseguendo delle finalità sociali, però se si perde i costi di esercizio sono coperti da colui per il quale sei autorizzato a compiere attività economica: lo Stato. Questa logica non si applica all'impresa, all'imprenditore privato, il significato di attività economica è che non paga nessun altro al posto tuo, sei tenuto a svolgere l'attività economica tenendo conto che non c'è nessuna conseguenza se non fai profitto ma ci sono delle conseguenze se perdi (se la tua attività non è di tipo economico). E poi attività di tipo economico vuol dire anche attività che è intrinsecamente un'attività per il mercato perché il Codice dice che è un'attività organizzata ma è un'attività organizzata con una funzione: tutta l'organizzazione serve alla creazione di valore aggiunto. Quello che è importante, oltre al concetto di attività economica, è un avverbio che usa il Codice: l'attività economica è esercitata professionalmente dall'imprenditore; professionalmente vuol dire un'attività che non è occasionale, ma è un'attività organizzata e intenzionale, un'attività dalla quale l'imprenditore ricava di che vivere anche se non fa profitto, che presuppone un qualche livello di abilità nella produzione di beni o servizi, che non richiede necessariamente continuità (l'attività stagionale è un'attività professionale che non si fa continuativamente). Questi avverbi e aggettivi insieme ci aiutano a distinguere l'attività d'impresa da attività che pur essendo professionali non sono attività d'impresa. Ad esempio, il libero professionista, chi svolge professioni regolamentate ovvero che presuppongono l'iscrizione ad un albo professionale non sono attività d'impresa, ma sono attività libero professionali che sono attività economiche ma che hanno un livello di complessità e quindi di organizzazione inferiore. L'attività del libero professionista non presuppone un'attività organizzata, non è un organizzatore il libero professionista; l'attività è svolta con le sue capacità intellettuali e professionali, non con i mezzi della produzione. Quando il Codice dice che l'imprenditore è colui che svolge un'attività economica organizzata, organizzata vuol dire che ci sono mezzi della produzione (primo tra tutti i dipendenti) a cui deve imprimere una direzione, ovvero che si devono produrre e scambiare beni o servizi. Il libero professionista fa un'attività economica ma la fa con le sue energie intellettuali anche se ha un minimo di organizzazione. Poi il legislatore dice che tutte le attività economiche che vengono svolte con o senza queste caratteristiche vengono assoggettate alle stesse norme dell'impresa quando vengono svolte con la forma delle società commerciali. Quando l'attività imprenditoriale è un'attività che assume una certa importanza, rischiosità e profilo di costo, in questi casi il legislatore dice che si può usare una forma che è la forma societaria. Tutte le attività economiche, indipendentemente da come le qualifichiamo, quando vengono fatte sotto forma societaria allora sono imprenditoriali perché la forma societaria denota un certo profilo organizzativo che non lascia dubbio sul fatto che si stia svolgendo un'attività economica organizzata in un certo modo. Il legislatore dice che in alcuni casi riconosce che certe attività si possano fare in forma organizzata con una società che oggi nel nostro sistema si chiama S.T.P. (società tra professionisti) che può avere una qualsiasi forma di società di capitali ma ha la caratteristica che la maggior parte del capitale sociale deve essere in mano a dei professionisti iscritti negli albi professionali: il legislatore riconosce che quando l'attività economica assume un certo rilievo, quando si è più di uno, quando si fa attività un po' rischiosa l'attività possa essere fatta sotto forma societaria organizzata. La conseguenza è la responsabilità limitata o un certo controllo della responsabilità patrimoniale: quando il legislatore dice che l'imprenditore è colui che svolge professionalmente un'attività economica organizzata sta dicendo che se lo fa con il suo patrimonio è soggetto all'Art. 2740 (i debiti che assume sono suoi debiti non dell'attività, perché l'attività e chi la svolge non sono la stessa cosa). Quando si crea una società di fatto è la società che diventa imprenditore e l'imprenditore è socio della società: c'è uno sdoppiamento tra l'attività e l'imprenditore; mentre nel caso dell'impresa esercitata personalmente c'è una sovrapposizione. Quando il Codice definisce l'imprenditore come colui che esercita professionalmente un'attività economica organizzata sta dicendo che ciascuno di noi come entità psicofisica è contemporaneamente tante cose: ciascuno di noi ha una capacità giuridica generale che viene dalla nascita, ha capacità di agire connessa con il compimento del diciottesimo anno e poi all'interno della capacità giuridica generale noi abbiamo tante diverse capacità; ma siamo sempre la stessa entità. Il problema dell'attività d'impresa è che quando io come persona fisica svolgo un'attività d'impresa con queste caratteristiche non riesco a separare il mio patrimonio e ad assoggettarlo a conseguenze diverse in funzione delle attività che svolgo. Lo svolgimento in forma individuale dell'attività d'impresa o anche in forma associata ma non societaria è un'attività rischiosa, perché è un'attività che espone il mio/nostro patrimonio/i ai creditori dell'attività d'impresa. Il legislatore dice che in questa forma rudimentale l'attività d'impresa che si svolge espone tutto il patrimonio alla responsabilità, non solo un pezzo. Quindi, la prima distinzione è tra l'imprenditore e il libero professionista (il lavoratore autonomo). Poi il legislatore si preoccupa di un'altra distinzione: i piccoli imprenditori. E all'Art. 2083 dice: sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo (agricoltori), gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un\'attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Quindi, il piccolo imprenditore è l'agricoltore che lavora nei campi (se l'attività agricola viene svolta sotto forma societaria allora diventa un'attività commerciale), gli artigiani e residuamene tutti quelli che svolgono questa attività economica professionale e organizzata con il lavoro prevalentemente proprio o della famiglia. Questa seconda caratteristica è quella del libero professionista, ma il libero professionista svolge l'attività con il lavoro prevalentemente proprio non della famiglia ed è un'attività di tipo economico intellettuale, quindi non è nemmeno un piccolo imprenditore ma è un lavoratore autonomo. Quindi, abbiamo l'impresa, la piccola impresa con il piccolo imprenditore, poi c'è il lavoratore autonomo e dentro questa categoria ci sono i liberi professionisti, poi c'è l'imprenditore agricolo e poi c'è l'imprenditore commerciale. Tutti ricadono sotto la stessa definizione che presuppone un'attività professionale, un'attività organizzata e un'attività di creazione di valore aggiunto. Come si diventa imprenditore? Si diventa imprenditori a titolo originario: la qualità di imprenditore non si trasmette in nessun modo. Il figlio dell'imprenditore che muore diventa erede ma non imprenditore perché l'esercizio dell'attività d'impresa presuppone l'assunzione a titolo originario di quell'attività: devo mettermi a fare attività imprenditoriale, se la fa qualcuno al posto mio non sono imprenditore. L'attività non è trasmissibile a meno che il soggetto non decida di avviarla da solo. Questo ha delle implicazioni importanti: se l'attività d'impresa è un'attività complessa è un'attività che presuppone la capacità di intendere e di volere, quindi diventa imprenditore chi si mette a farlo avendo la capacità di intendere e di volere. L'inizio dell'attività d'impresa non può essere autorizzato in caso di incapacità speciali, ma il Codice dice che tutti i soggetti che versano in uno stato di incapacità speciale possono essere autorizzati alla continuazione dell'attività d'impresa. Seconda cosa: questa è un'attività costituzionalmente garantita. La nostra Costituzione contiene un articolo piuttosto importante che è l'Art. 41 dove i costituenti ricordano che: l'iniziativa economica privata è libera (viviamo in un'economia sociale di mercato per cui l'iniziativa privata è libera cioè chiunque può svolgere l'attività economica), ma questa non può svolgersi in contrasto con l\'utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all\'ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana; la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l\'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali e ambientali. La Costituzione garantisce l'iniziativa economica privata e pubblica ma questa attività può essere regolata per fini sociali cioè quando c'è da tutelare un interesse superiore generale. Questa è la ragione per cui molte attività imprenditoriali sono regolate: alcune in maniera trasversale (tutela del lavoratore) e altre lo sono in maniera specifica. Quindi, queste norme della Costituzione hanno fatto sì che ci sia per ogni attività imprenditoriale una disciplina di tipo settoriale. Quando si passa la soglia tra un'attività che non è d'impresa e un'attività d'impresa non scatta nessun campanello, a un certo punto l'attività economica diventa così importante che di fatto diventa imprenditoriale. La signora prima invitava le sue amiche a bere il tè, raccontava loro del folletto e qualcuna poi lo comprava e lo faceva una volta al mese, poi inizia a farlo una volta a settimana e ora lo fa tutti i giorni: questa non è più un'attività occasionale, ma probabilmente è diventata un'attività economica. C'è un momento quindi in cui l'attività economica diventa qualcosa d'altro e quando pian piano si integrano gli elementi dell'organizzazione allora l'attività diventa attività d'impresa. Il legislatore se ne preoccupa così tanto perché l'attività d'impresa è un'attività rischiosa per chi la compie (l'imprenditore lo sa molto bene), ma anche per coloro verso i quali l'attività viene svolta. Se ho firmato un ordinativo per il folletto e ho dato un anticipo ma il folletto non arriva chi è che risponde per questa attività e a che titolo risponde? La signora che ha venduto il folletto e non lo ha consegnato risponde a titolo d'impresa o a titolo privato? Il tema è la tutela dei terzi, della responsabilità che può avere delle propagazioni significative. Il legislatore dice che per lui l'attività d'impresa è un'attività che presuppone un minimo di accorgimento a tutela dell'imprenditore stesso, ma anche del pubblico perché è un'attività che si fa verso gli altri (privati o imprese). Quindi, il legislatore dice quali sono le conseguenze dello svolgimento dell'attività d'impresa e alcuni paletti che costituiscono lo statuto dell'imprenditore, cioè un complesso di regole minime che però si appiccicano a colui che inizia ad esercitare attività d'impresa. Le regole minime sono: - la pubblicità, nel senso di rendere pubblica l'attività, far sapere ai terzi che quella è un'attività d'impresa. L'Art. 2188 parla di registro delle imprese e dice: è istituito il registro delle imprese per le iscrizioni previste dalla legge; il registro è tenuto dall\'ufficio del registro delle imprese sotto la vigilanza di un giudice delegato dal presidente del tribunale; il registro è pubblico. Questo è il registro delle imprese che è tenuto da noi dalle camere di commercio. Il Codice dice che chi svolge attività d'impresa commerciale è tenuto a comunicare al registro delle imprese tutta una serie di informazioni. Il registro delle imprese è un po' l'anagrafe delle imprese ed è obbligatoria l'iscrizione, nel senso che il legislatore dice che se tu stai svolgendo un'attività che si qualifica come imprenditoriale lo devi andare a dire al registro delle imprese e chi ha a che fare con te deve poter consultare il registro delle imprese per capire se tu sei un imprenditore. Ci deve essere scritto che attività fai, dove sta il domicilio dell'attività d'impresa e devono essere iscritte a registro delle imprese tutta una serie di vicende importanti. La preoccupazione della pubblicità per l'impresa commerciale è far sapere ai terzi tutta una serie di fatti rilevanti che non sarebbero conoscibili in altro modo. Ci sono delle sanzioni per chi non comunica. Il legislatore dice che esiste il registro delle imprese presso le camere di commercio e poi il registro delle imprese è fatto di sezioni. E poi negli anni