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Questo documento fornisce una panoramica introduttiva della guerra in Ucraina dal 24/02/2022. Esplora le cause e le conseguenze della guerra e il suo impatto sul sistema internazionale. Il documento non contiene domande.

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IL POSTO DELLA GUERRA E IL COSTO DELLA LIBERTA’ IL PUNTO NON È FERMARE LA GUERRA, IL PUNTO È SALVARE LA DEMOCRAZIA INTRODUZIONE 1) La posta in gioco: Dopo più di 70’anni la guerra è ricomparsa in Europa, considerata “il posto della pace” (grazie a...

IL POSTO DELLA GUERRA E IL COSTO DELLA LIBERTA’ IL PUNTO NON È FERMARE LA GUERRA, IL PUNTO È SALVARE LA DEMOCRAZIA INTRODUZIONE 1) La posta in gioco: Dopo più di 70’anni la guerra è ricomparsa in Europa, considerata “il posto della pace” (grazie allo sforzo con cui le democrazie l’avevano perseguita e tutelata). Il 24/02/2022 la pace è stata interrotta quando Putin invase l’Ucraina, un’aggressione che ha fallito i suoi principali obiettivi per la valorosa resistenza che gli ucraini le hanno opposto. La guerra scatenata dal despota del Cremlino non è solo una dichiarazione di ostilità mortale nei confronti dell’indipendenza dell’Ucraina ma è anche un attacco diretto al cuore dell’ordine internazionale: alle sue regole, istituzioni e ai principi sui quali si fondano (la legge del più forte cede il passo alla forza della legge, come accade nelle democrazie). L'ordine internazionale costruito a partire dal 2° dopoguerra ha assunto come propri gli stessi valori, procedure e modalità di lavoro che caratterizzano le democrazie. Lo sforzo di mantenere la pace riguarda il sistema internazionale, ed è scritto nella Carta delle Nazioni Unite firmata nel 1945 a San Francisco, è in Europa che sono state costruite le condizioni politiche affinché la pace trovasse un’attuazione. Aver riportato la guerra in Europa è una responsabilità gravissima, perché proprio da qui sono partite le 2 guerre mondiali. La pace tra le democrazie disarma le relazioni tra regimi omologhi, le cui intenzioni non ostili sono reciprocamente prevedibili e affidabili, la trasparenza dei processi assicurata dalla democrazia consente alle società di rimanere “aperte” ed impedisce ai leader politici di mobilitare le risorse a scopo offensivo. Anche i regimi autoritari sono in grado di leggere le intenzioni delle democrazie, anche se talvolta commettono errori di percezione credendo che le democrazie siano incapaci o non intenzionate a difendere la propria libertà e sicurezza. È questo l’errore commesso da Putin. L’aggressione di Putin ricorda le fasi iniziali della IIWW, il suo disprezzo per la verità ricorda quello di Hitler, Stalin e Mussolini. L'aggressione per altri aspetti evoca la IWW, questa guerra travolge l’idea di una società di stati che riconosce principi e regole comuni. Poco dopo i primi 6 mesi di guerra, scompariva Gorbaciov, l’ultimo presidente dell’URSS che sognava di democratizzare il comunismo e che scelse la via della pace. Putin non ha mai perdonato Gorbaciov per aver innescato il processo che ha portato alla dissoluzione dell’URSS che per altro liberò dalla prigione sovietica tutti i popoli che scelsero l’indipendenza nazionale. Putin ha arrestato il processo di democratizzazione in Russia, ha trasformato il regime in autocrazia, ha arricchito sé stesso, ha fatto assassinare oppositori politici, costituito una minaccia per i popoli vicini (dalla Georgia all’Ucraina, dalle repubbliche baltiche alla Svezia, alla Finlandia, alla Polonia). Putin accusa l’Occidente (Europa, USA, Giappone) di ipocrisia e di applicare alla Russia un giudizio malevolo, egli rivendica di comportarsi come le grandi potenze occidentali hanno sempre fatto, la Russia agisce con perfetta coerenza rispetto al vecchio Occidente. Ma il nuovo Occidente dal 1945 ha assunto un’altra identità fondata su democrazie, economia di mercato, società aperte, rifiuta la guerra di aggressione e occupazione militare per annettere territoti altrui. E’ questo Occidente che Putin considera una minaccia, un modello di successo percepito come pericoloso per il suo regime. Nella situazione politica internazionale contemporanea ci sono 3 regioni il cui equilibrio è in crisi: a- quadrante europeo dove è in corso la guerra della Russia all’Ucraina. b- stretto di Taiwan, coinvolge soprattutto USA e Repubblica popolare cinese. c- contrapposizione tra Iran e l’alleanza composta da Israele e dalle monarchie del Golfo. Una vittoria russa in Ucraina, destabilizzerebbe l’Europa, indurrebbe la Cina a tentare la via militare per chiudere la questione con Taiwan e potrebbe rendere più imprudenti gli iraniani e più inquieti i sauditi e gli israeliani. Rischiamo un caos generalizzato con risultati imprevedibili, è proprio questo che ci richiama a una decisa fermezza con la Russia. 2) La scusa dell’allargamento della NATO, la realtà di un impero coloniale: Il 24/02/22 sancisce la fine “dell’era della convergenza” tra Occidente democratico e grandi potenze autoritarie. Nel prossimo decennio vedremo ridefinirsi i rapporti politici ed economici globali, vedremo il tessuto istituzionale del mondo indebolirsi la cui esistenza è determinante per vincere le sfide che l’umanità deve affrontare (surriscaldamento, pandemie, migrazioni...). Alcuni sostengono che se la NATO non si fosse estesa ad est, Putin non si sarebbe sentito minacciato e non avrebbe invaso l’Ucraina. In realtà questo “allargamento” della NATO a est è il risultato di un processo complesso e graduale che non nasce dalla volontà di accerchiare la Russia ma dalla volontà e richiesta da parte di paesi un tempo sotto il giogo sovietico di aderire all’Alleanza atlantica, pur di non rischiare di ricadere sotto la dominazione russa. 3) Vulnerabilità economica e sottomissione politica: Il 24/02/22 ha messo in discussione il cosiddetto “modello economico virtuoso”: un’economia export-led, trainata dalle esportazioni. La guerra ha fatto emergere la fragilità di un’economia fatta di interdipendenze, dimostrando come la valutazione sulle importazioni strategiche deve basarsi sulla sostenibilità economica-finanziaria e politica. Non possiamo risultare troppo dipendenti da attori internazionali che, facendo leva sulla nostra vulnerabilità economica, possono diventare una minaccia per la nostra sicurezza. Per metterci al riparo dobbiamo riconoscere che la libertà ha un costo che va contabilizzato sul piano economico, politico e sociale. I programmi Empower EU e Next Generation EU mirano a minimizzare l’importanza delle materie prime per il ciclo economico, diminuendo il potenziale di ricatto di paesi, come la Russia, che hanno grandi disponibilità di materie prime e rendendo più competitivi quelli che sanno puntare su innovazione, sviluppo tecnologico e sostenibilità. Questi programmi sono finanziati dalle istituzioni europee grazie alla capacità di quest’ultime di ottenere dai mercati finanziari internazionali le risorse necessarie; le istituzioni devono dare fiducia ai mercati finanziari per realizzare questi investimenti a lungo termine. Una vittoria russa rischia di mettere tutto ciò a repentaglio, facendo vacillare le regole su cui è stata edificata l’architettura delle istituzioni europee, cosa ne sarebbe di quella fiducia? Nello scenario migliore, crollerebbe la fiducia trascinando con sé un’opportunità di rilancio. Nello scenario peggiore crollerebbero le istituzioni europee, lasciando campo libero alla pressione russo-cinese sulle nostre democrazie. Questo darebbe alle opinioni pubbliche, stordite dalla propaganda russa, di credere che la democrazia sia un regime superato, di non credere nella democrazia come forma per eccellenza per avere una vita, un lavoro, un reddito dignitoso, di non riconoscere la democrazia come unico canale per sentirsi rappresentati, per “contare” con la propria opinione, per essere tutti ugualmente liberi. a) Sanzioni: In un’economia interdipendente le sanzioni comportano un costo anche per chi le decreta. Le sanzioni lavorano sul lungo periodo e sono destinate ad avere un effetto permanente sulle relazioni economiche tra la Russia e l’Occidente. L’università di Yale ha pubblicato una ricerca: confrontando i dati del gennaio e del maggio 2022, il valore aggiunto del PIL russo è sceso del 62% nel settore delle costruzioni, del 55% nell’agroalimentare, del 36% nei servizi tecnici e professionali... l’inflazione è passata dall’8 al 20%; per quanto riguarda il petrolio e gas l’aumento dei prezzi va dal 40 al 60%. b) Costo dell’energia, gas: forniture di gas russo all'Europa. C'è un aumento dei prezzi delle materie prime energetiche già in corso ben prima della guerra. Europa e Russia restano interdipendenti e “sensibili” gli uni alle mosse degli altri, ma non sono egualmente vulnerabili, sono cioè esposti in maniera asimmetrica all’interruzione dei flussi di merci e di denaro scambiati. Per quanto riguarda EU ciò è il frutto di una scelta miope (sguardo corto) delle leadership politiche ed economiche (che il prof non si stanca di denunciare dal 2014, anno della 1^ guerra ucraina e annessione della Crimea). Ma è anche una dimensione del cattivo governo della globalizzazione che ha messo in difficoltà le società aperte sul piano domestico e internazionale, allentando la vigilanza verso l’infiltrazione russa e cinese, e consentendo a società come Gazprom di acquisire oligopolistiche (basso numero di venditori) nella fornitura di gas naturale all’UE (DE e IT in particolare). Nel 2021 la RU esportava in EU l’83% di tutto il gas che vendeva sul mercato estero, mentre per la EU quello russo valeva solo il 46% di tutto il gas importato, per i russi è molto più difficile rimpiazzare noi come clienti di quanto non lo sia per noi sostituire loro come fornitori. Noi in pochi mesi siamo riusciti a ridurre della metà la nostra dipendenza, i russi non sono stati in grado di fare altrettanto. Le azioni di Gazprom sono crollate del 25% nel giugno del 2022 Nel 2021 RU esportava verso EU 170 miliardi metri cubi di gas, verso la Cina 16.5, le stime russe vorrebbero più che raddoppiare il flusso verso la Cina entro il 2030, peccato che i tubi per connettere i gasdotti che vanno verso la Cina non abbastanza, tanto più con l’impossibilità per la RU di accedere alle tecnologie occidentali. c) Petrolio: la RU è uno dei grandi esportatori mondiali e l’UE è il suo principale mercato (a cui vende il 53%). Nonostante sia più facile cambiare la destinazione del petrolio rispetto a quella del gas, il trasporto verso i mercati orientali è più oneroso e i prezzi che si riescono a spuntare sono più bassi. Il petrolio russo (è “catrame” e non “benzina pura” come quella saudita o USA, per dare l’idea della qualità) è venduto ad un prezzo più basso a fronte di un aumento dei costi di estrazione. L’economia RU è una delle più dipendenti dalle esportazioni di materie prime; gas e petrolio rappresentano il 60% delle entrate della RU. RU e Cina sono alleate, fanno manovre militari congiunte con grande copertura mediatica. Ma quanto vale il loro interscambio? La Cina rappresenta il 1° partner commerciale per la RU, ma Mosca è solo l’11° per Pechino. Nei primi 6 mesi dall’inizio della guerra l’import russo dalla Cina è crollato della metà. La sostituibilità delle importazioni mancate dall’Occidente con materiali prodotti in RU è una fola (notizia falsa). La falcidia del valore della produzione interna russa è stata più alta proprio nei settori colpiti dalle sanzioni occidentali (auto, tecnologia...) E’ un’economia che si sta deteriorando rapidamente, impoverita dalla fuga delle imprese occidentali, con un import al collasso, una bassa capacità di sostituzione delle importazioni. Il governo RU, però, si ostina a proferire minacce, incurante del prezzo che le sue antistoriche ambizioni di potenza fanno pagare ai suoi sudditi. Se RU, di fronte ad un’UE che è in grado di resisterle, impiega l’arma energetica per tentare di piegarla al suo volere, proviamo solo ad immaginare dove potrebbe arrivare se l’UE fosse eliminata. Se solo alleggerissimo le sanzioni alla RU ci ritroveremmo più poveri, meno sicuri e meno liberi. 4) la via della pace passa per la democrazia, non viceversa: Per ricostruire di nuovo quel percorso di pace tra le democrazie occorre ripensare l’idea della guerra nella nostra cultura politica, consapevoli che la guerra di Putin rappresenta una rottura per sanare. Rendere la guerra un tabù non si è rivelato un rimedio sufficiente per allontanare il conflitto dal nostro orizzonte. Gli ucraini hanno dimostrato la volontà di combattere, di resistere, non hanno intenzione di ritornare sotto il giogo RU, un regime autoritario, violento, opprimente, ultranazionalista. Noi società occidentali sapremmo dimostrare altrettanta determinazione, in caso di guerra difensiva? Non è che rendere tabù la guerra ci ha reso miopi nei confronti dell’invasione barbarica che incombe dall’Est? La pace passa per le democrazie, è solo tra democrazie che funzionano le regole che hanno permesso di bandire la guerra dell’EU, anche dove l’inimicizia ha dominato per secoli (caso franco- tedesco), a rendere inaccettabile il ricorso alla guerra è stata la condivisione di analoghe istituzioni politiche, valori, società aperte, in cui lo stato è il tutore delle libertà civili, politiche e sociali dei cittadini. È questo ad aver permesso la fiducia nella pace. Ma quando le democrazie sono solide e determinate, attraggono verso i loro comportamenti anche le autocrazie (non per questo si trasformano in senso liberale) che non osano sfidarle. Quando le democrazie sono divise al loro interno aprono la strada alla tentazione delle autocrazie di prendere il loro posto, sperando di rimpiazzare l’ordine liberale con il loro regime di oppressione. Proprio quello che ha fatto Putin in Ucraina. 5) Democrazie vs autocrazie, non equivalenti: Il consolidamento della democrazia in Ucraina rientra in quella “politica di vicinato” approvata dall’UE lustri fa, per costruire un “ring of friends” per aumentare la sicurezza degli stati membri e irrobustire la democratizzazione di quegli stessi paesi. Putin mira a costruire una propria “sfera di influenza” fatta di paesi omologhi anche dal punto di vista del regime politico. Questi 2 progetti non sono equivalenti: a) differenza nel modo in cui operano; UE appoggia lo sviluppo autoctono della democrazia, non lo impone, la RU interviene con la forza (in Ucraina) o fornendo assistenza politica e militare (in Bielorussia) per bloccare i processi di democratizzazione. b) differenza nel valore che attribuiamo alla democrazia. Se pensiamo che sia un diritto di pochi privilegiati o se una possibilità aperta a chiunque; se riteniamo che sia un regime superato oppure la miglior forma di governo la cui espansione è la sola chance per allargare l’aerea della pace. Ma se siamo i primi a non rivendicare queste differenze allora il piano criminale di Putin vincerà. Sta all’Occidente impedire che un popolo venga costretto con la minaccia e con la forza a cedere parte del suo territorio e a rinunciare di autodeterminarsi, sta a noi schierarci a fianco degli ucraini, in primis inviando armi; se l’ucraina dovesse crollare, crolla l’intero edificio della pace, crollerebbe quell’ordine che è stato motore dello sviluppo dell’UE pacifica e democratica. La pace interna dell’UE è difesa con mezzi pacifici, ma dev’essere difesa con alti mezzi se qualcuno la minaccia. “Pacifico” non significa “imbelle”, essere disarmati non funziona di fronte ad un aggressore che usa la forza. Il 21/09/22 Putin ha annunciato la mobilitazione di circa 1 milione di uomini insieme alla decisione di procedere all’annessione alla Federazione russa delle repubbliche ribelli e dei territori occupati in 7 mesi di guerra; ha anche minacciato l’impiego di armi nucleari tattiche per arrestare la controffensiva ucraina. L’annuncio è avvenuto mentre era in corso l’Assemblea generale dell’ONU dedicata all’aggressione RU. Ennesimo schiaffo di Putin che ha fatto sprofondare sempre di più la RU nel gruppo degli “stati canaglia” (blacklist), la minaccia colloca Putin appena un gradino sotto Hitler, se dovesse impiegarle, assisteremmo al più grande crimine contro l’umanità commesso dai tempi dell’Olocausto. La Ru è sostenuta militarmente solo dall’Iran. 6) Multilateralismo, società aperte e salvaguardia del pianeta: La questione sollevata dall’aggressione russa è che l’allargamento della pratica del multilateralismo, non può avvenire a danno della democrazia, se la centralità dell’Occidente democratico venisse meno, il futuro del multilateralismo sarebbe compromesso. La guerra di Putin non ha fatto scomparire le sfide che avevamo di fronte prima che questa cominciasse, le ha complicate: dalla scarsità di materie prime al cambiamento climatico, alle disuguaglianze, alle migrazioni, alla crescita demografica. Tutti auspichiamo che la guerra ci venga risparmiata a noi e alle generazioni future. Un popolo esiste in quanto libero, quando è in grado di autodeterminarsi, è solo nella tutela della democrazia e della libertà che esiste la prospettiva della pace. I IL POSTO DELLA GUERRA 1) Un poco di storia: L'aggressione RU costituisce il “cigno nero” che il mondo si è trovato a fronteggiare dalla fine della guerra fredda, si tratta di una decisione che interrompe l’assenza di guerre interstatali in EU che risaliva alla fina della IIWW. Certo, la violenza organizzata messa in atto da uno stato contro un altro aveva punteggiato la storia europea dopo il 45. Basta pensare agli interventi militari sovietici in Ungheria nel 56 e in Cecoslovacchia nel 68, entrambe rientravano nella stagione della guerra fredda (dal 47 al 91), nella quale l’equilibrio e i confini tra USA e URSS e le loro sfere di influenza in Europa erano stati definiti. Mentre i carri armati sovietici prendevano d’assalto Budapest, Gran Bretagna e Francia (con l’appoggio di Israele) tentarono di riprendere militarmente il controllo del canale di Suez appena nazionalizzato dal colonello egiziano Nasser. La Francia era alle prese con la guerra algerina (“insurrezione algerina”), che nel 62 avrebbe portato l’Algeria all’indipendenza dopo oltre 130 anni di dominio coloniale francese. Quella guerra, succeduta alla guerra dell’Indocina (altra catastrofe del processo di decolonizzazione francese), avrebbe messo al rischio la stessa democrazia d’Oltralpe, salvata dal “golpe bianco” del generale De Gaulle, che avrebbe dato vita alla 5^ repubblica e traghettato la democrazia francese oltre i traumi delle guerre d’Oltremare. Gli USA erano alle prese con la guerra del Vietnam, che sarebbe costata loro migliaia di morti e feriti, anche se furono le popolazioni del Vietnam, Cambogia e Laos a pagare un prezzo spropositato in termini di vite umane. Il conflitto vietnamita poteva essere inquadrato come la violenta definizione dei confini tra l’aerea d’influenza USA e quella URSS. Qualcosa di analogo si era verificato a pochissimi anni dalla fine della IIWW in Corea, quando nel 50 il Nord comunista (con l’appoggio di Mosca e Pechino) aveva cercato di annettere con la forza il Sud. Dovettero intervenire le Nazioni Unite con l’invio di un contingente in prevalenza americano sotto la guida del generale MacArthur. Solo in Europa i confini tra l’area delle democrazie di mercato e l’area dei totalitarismi collettivisti era stata fissata e reciprocamente riconosciuta. Al punto tale che nessuna delle 2 superpotenze si era mai sognata di intromettersi in modo esplicito nelle crisi che si verificavano dentro l’una o l’altra delle regioni confinanti. Non succederà neanche quando nel 74 Turchia e Grecia (membri NATO) arriveranno a un passo dallo scontro militare aperto per la questione cipriota. Il caso di Berlino, rimasta sotto occupazione quadripartita delle potenze vincitrici fino alla fine della guerra fredda, divisa in parte occidentale e parte orientale, il cui status l’URSS provò a modificare con un “blocco” che si rivelò infruttuoso grazie alla determinazione USA a rifornire i civili di Berlino Ovest con un gigantesco ponte aereo. La deterrenza fondata sulla capacità di mutua assicurazione (MAD) ha costituito un elemento decisivo di quella fase di lunga pace europea che conosciamo con il nome di guerra fredda. Questa non è stata l’unica causa della stagione di pace che l’EU ha conosciuto tra il 1945 e il 2022, nel corso di quasi 80 anni è stato costruito un tessuto istituzionale fitto, articolato, flessibile e resiliente, che ha attraversato la stagione della guerra fredda e del bipolarismo URSS-USA. Chiamiamo “Belle époque” gli anni che vanno dal 1870 al 1914 (44 anni) mentre chiamiamo “guerra fredda” la fase dal 1946 al 1991 (45 anni). Entrambi i periodi sono caratterizzati dall’assenza di guerre aperte tra le grandi potenze. La dimensione nucleare dell’equilibrio del terrore ha fatto percepire di più l’importanza di una “guerra sospesa” tra USA e URSS, ovvero abbia favorito la consapevolezza che la presenza delle armi atomiche implicava la necessità di congelare una guerra che altrimenti avrebbe potuto deflagrare in occasione di tante crisi ricorrenti (Berlino, Corea, Cuba...). La natura ideologica (+ economica e militare) della contrapposizione tra USA e URSS comportava l’attitudine conflittuale di una competizione riguardante anche i principi, le regole, le pratiche in base alle quali si provava ad attuare e si proponeva di legittimare il governo del mondo. La scarsa capacità di regolare i rapporti tra ambito economico e quello politico aveva contribuito a determinare una crescente instabilità del mondo della Belle époque. Le spinte transconfinarie, per la costruzione di 1 unico mercato mondiale che caratterizzava la 1^ globalizzazione economica a cavallo del 900, erano incompatibili. Le prime riflettevano le esigenze di un capitalismo senza freno, disinteressato alle pessime condizioni di vita delle masse popolari. La 2^ era il modo in cui le oligarchie politiche cercavano di arruolare le medesime masse nel circuito politico. Entrambe le spinte erano accomunate dall’aspirazione di integrare i ceti popolari nel sistema economico e politico, rifiutando ogni ipotesi di una diversa e più equa distribuzione della ricchezza e del potere. Erano cioè espressioni di uno stesso ceto borghese che non riusciva più a tenere in ordine l’ambito politico e quello economico, l’ambito domestico e quello internazionale, perché non era disposto a sacrificare nulla dei suoi privilegi. Questa tensione irrisolta sarebbe sfociata nella IWW (e nella Rivoluzione russa del 1917). Tali condizioni si manifestavano nell’estrema povertà del tessuto istituzionale a livello internazionale e nella bassissima inclusività delle democrazie (liberali) a livello domestico. Invece, nel 2° dopoguerra il mondo è caratterizzato da una fittezza di istituzioni internazionali che derivano la loro legittimazione ultima dalla fondazione del sistema delle Nazioni Unite e dai principi inscritti nella Carta di San Francisco. Parliamo di un’organizzazione e di un documento che precedono l’avvio della guerra fredda, la attraversano e concorrono a darle una cornice, accompagnano la decolonizzazione e sopravvivono alla fine della guerra fredda. Nel frattempo le democrazie si sono diffuse e rafforzate fino a diventare (tra gli anni 90 e 2010) la forma di legittimazione dell’autorità politica ritenuta superiore (in termini di efficacia nel governare la società). È proprio la superiorità della forma di governo democratico che Putin contesta dal 2006 accomunato alla leadership comunista cinese. La guerra RU contro Ucraina, le crescenti minacce cinesi alla democrazia taiwanese fanno un tutt’uno con l’attacco ai principi di funzionamento dell’ordine internazionale. Se l’ONU e la Carta si S. Francisco avessero dovuto essere istituite a guerra fredda iniziata, non avrebbero visto la luce. La loro preesistenza consentì che quella rivalità tra liberal-democrazie e comunismo si svolgesse su uno sfondo in cui la dimensione istituzionale internazionale era più simile alle istituzioni e principi delle democrazie. La parte occidentale del sistema era quella più ricca di istituzioni internazionali di aspirazioni a portata universali (come la Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale, mercato internazionale...). 2) la guerra e lo stato, una relazione profonda alla base della sovranità: Lo stato è concepito e si legittima come risposta efficace nei confronti della guerra civile, ma la stessa presenza degli stati sovrani costituisce la premessa della possibile guerra tra di loro. “Lo stato fa la guerra, la guerra fa lo stato”. Per poter assicurare la vittoria contro i nemici, lo stato chiama a sé le risorse della società (tassazione, lavoro coatto, mobilitazione della lealtà, dell’obbedienza), alla fine del conflitto, solo una parte di queste risorse viene restituita, mentre un’altra è trattenuta affinché lo stato possa ampliare le sue competenze. Hobbes e Weber ci offrono l’essenza del percorso compiuto dalla sovranità, quella del Leviatano (di Hobbes) è la più potente (gli uomini sono spinti a costituirsi in comunità e a devolvere ognuno la sua quota di sovranità individuale al Leviatano, così che esso, forte degli esiti di questa sovranità collettiva di cui diventa il solo agente, possa impedire la guerra). Il fatto che Hobbes leghi questa necessità allo stato di guerra civile ci rivela come l’uso della forza, della violenza, sia intimamente connesso alla genesi dello stato in virtù dell’essenza stessa della politica, che non può aggirare il tema del potere. Senza potere non esisterebbe la politica, senza il monopolio della forza legittima detenuto dallo stato le fazioni potrebbero sempre ricorrere alla violenza e tornare a impossessarsi della “forza illegittima”. Il monopolio della forza legittima ci rimanda a Weber, che a inizio 900 ci propone un’ipotesi sociologica della formazione dello stato, secondo la quale la semplice concentrazione della forza non è sufficiente a garantire la continuità di dominio, e nessun dominio diventa legittimo per il solo fatto di essere effettivo, ovvero in grado di ottenere obbedienza. Uno stato è effettivo solo se può contare sulla legittimità del potere che l’ha costituito e che continua a sostenerlo. Sono cambiati i tempi e gli strumenti. Se il 600 di Hobbes è il secolo della ripresa della speculazione filosofica, il 900 di Weber è il secolo delle scienze politiche sperimentali, della sociologia e della psicologia come vie maestre per giungere alla comprensione e alla spiegazione dell’uno e dell’altro. Weber ci fornisce una teoria sul “processo di formazione” dello stato. Tutte le risorse di violenza accentrate dallo stato, sottratte ai privati, finiscono con il fornire a chi governa lo stato delle capacità “in eccesso” rispetto alla mera assicurazione della pace interna. Allo stesso tempo la collocazione dello stato come suprema autorità politica, fa dello stato il guardiano di sé stesso. Una forma di “ipocrisia organizzata”: la sovranità degli stati è all’origine del concetto di anarchia internazionale, cioè dell'organizzazione del sistema politico internazionale fondata su una moltitudine, su una pluralità di entità tutte sovrane allo stesso modo. L’ipocrisia sta nel fatto che le sovranità sono in realtà gerarchizzate dalle differenti capacità effettive, dalla diversa quantità di risorse di violenza accumulate, dalla maggiore o minore potenza (militare, economica, tecnologica...) a disposizione. In questo nuovo sistema di stati sovrani, la sfida vera è come raggiungere l’ordine nella pluralità, come limitare una guerra in assenza di un’autorità superiore, capace di imporre la pace. Gli strumenti che verranno impiegati, per raggiungere lo scopo, saranno quelli della potenza. Per circoscrivere eventuali danni che la potenza potrebbe creare, per secoli si è cercato di perseguire l’ordine nell’anarchia o provando a bilanciare lo stato più forte con coalizioni di stati più deboli o assecondando le aspirazioni dello stato più forte unendosi al suo tentativo egemonico. Gli stati di pace del sistema internazionale, se affidati solo alla logica di potenza, non possono che dipendere da una condizione di equilibrio o di egemonia, dal successo nell’impedire che il più forte si impossessi del controllo del sistema oppure da quello nel rendere la sua leadership non contenibile. Fin dal primitivo sorgere del sistema degli stati sovrani, si è sentita l’esigenza di dare vita ad un sistema giuridico internazionale che provasse a porre dei vincoli all’assoluta libertà d’azione degli stati, vicoli che venissero condivisi da tutti, anche dalle grandi potenze, qualcosa che superasse la constatazione dell’interdipendenza ma che prendesse atto dell’esistenza di una “comunità internazionale”. La storia EU che va fino alla IWW è il faticoso disegno di questo tentativo di limitare la sovranità degli stati con gli strumenti della legge e nel nome di alcuni (pochi) principi condivisi. Una storia che può essere vista come una disfatta: nel 1914 scoppia IWW, la logica di potenza ha travolto ogni comunità internazionale insieme alle leggi e istituzioni che provavano a regolarla. Quella stessa storia può essere vista come la dolorosa tappa di avvicinamento verso quel modello che, nel 2° dopoguerra, darà vita al successo rappresentato dai quasi 80 anni di pace europea, cui l’aggressione di Putin ha messo fine. La IWW ha segnato la crisi di una limitazione della sovranità affidata solo alla legge e al diritto internazionale. Alla conclusione del conflitto, si provò a porre rimedio a questo insuccesso rinforzando la dimensione istituzionale internazionale con la nascita della Società delle nazioni. Ma anche questo tentativo verrà travolto negli anni 30 del 900 dalla forza dirompente della logica di potenza. Occorrerà cercare un solido contrappeso agli “eccessi della sovranità” e alla logica della potenza. Bisognerà provare ad addomesticare gli uni e gli altri quel tanto che basta affinché si tengano a bada a vicenda. La “domesticazione” di mercato e sovranità sarà proprio all’origine dell’ordine internazionale immaginato (e realizzato poi in Occidente) dopo la IIWW, ed è ciò che ha consentito di edificare il paesaggio istituzionale, politico e valoriale nel quale sono stati costruiti questi 77 anni di pace EU, la comunità transatlantica e l’Unione europea. 3) La “soluzione liberale”, bilanciare non la potenza ma la sovranità e il mercato: Proprio alla contraddizione tra sovranità e mercato il concetto di ordine internazionale liberale ha cercato di porre rimedio, l’idea di fondo è quella di impiegare il mercato per controllare gli eccessi della sovranità e la sovranità per contenere gli eccessi del mercato. Per consentire a questo meccanismo di funzionare è necessario un fitto tessuto di istituzioni internazionali. “Dentro” e “fuori”, la sovranità ha bisogno di un confine che ne segni il perimetro di validità. L'idea di mercato sfida l’esistenza di un confine: un mercato è per definizione aperto. La IWW aveva messo in evidenza come le logiche del mercato e della sovranità non fossero necessariamente destinate a collaborare. La chiave è l’inclusione; cittadinanza di massa e consumi di massa dovevano andare sottobraccio, per disciplinare la naturale tendenza della politica all’oligarchia e dei mercati all’oligopolio. Era un tentativo rivoluzionario. Il frutto della storia dei 100 anni precedenti, caratterizzata dai fallimenti legati agli eccessi della sovranità (2 guerre mondiali in un quarto di secolo) e agli eccessi del mercato (di cui la crisi del 29 con la Grande depressione). Il tema era come trasformare mercato e democrazia in istituzioni “popolari”, capaci di risolvere la sfida dell’inclusione delle masse nel circuito del capitalismo e in quello dello stato liberale. Quando parliamo della relazione tra ordine internazionale pensato per il 2° dopoguerra e stati sovrani non parliamo di qualunque stato e qualunque tipo di sovranità, ma di una sovranità esercitata da stati democratici che agiscono in nome e per conto dei propri cittadini. Quando parliamo del ruolo assegnato al mercato in quel contesto, non parliamo di qualunque forma di mercato ma di un mercato aperto, internazionale, inclusivo, di massa. L’ordine liberale nasce come progetto valido per fornire stabilità al sistema internazionale che si immagina per il dopoguerra. La Carta atlantica sottoscritta da Churchill e Roosevelt (1941) non contiene in sé i limiti geografici, preannuncia l’esaurimento delle colonie europee, è rivolta all’EU, perché è qui che iniziarono le 2 guerre che coinvolsero il mondo, EU è “il posto della guerra”, nel quale la logica di potenza, il gioco delle sovranità senza freni, la competizione delle grandi potenze avevano prodotto effetti devastanti. È innanzitutto l’EU che deve essere trasformata nel “posto della pace”. Tra il 1941 e il 1946, prenderanno vita tutte le istituzioni (come le Nazioni Unite e tutte le agenzie dell’ONU). Ma il tessuto di queste istituzioni resterà pensato di una trama realizzata con gli stessi concetti, principi e pratiche della cultura politica e delle istituzioni democratiche. È un fatto che travalica la divisione del mondo in blocchi, come si nota ad esempio nella “Dichiarazione universale dei diritti umani”, promulgata nel 48, quando la guerra fredda è già scoppiata. A conclusione della guerra fredda (91), inizierà quel decennio di grande speranza che i principi e i valori cui l’ONU si ispira possano trovare concreta attuazione. È in quel decennio che sembrano potersi realizzare le premesse e promesse di un ordine davvero liberale, fondato su equità, sicurezza e giustizia per tutte le nazioni. Sarà una stagione breve scossa dagli attentati dell’11/09/2001. Nel frattempo, però, l’ordine liberale, inizierà ad essere via via sostituito da una sua evoluzione (“involuzione” sarebbe più adatto) che farà vacillare l’equilibrio tra democrazia e mercato, farà perdere la consapevolezza che perseguire l’inclusione era il fine sostanziale di quel progetto, il “segreto” che aveva designato il suo successo nell’Occidente postbellico, in termini di adesione e sostegno popolare e in termini di creazione delle condizioni politiche e istituzionali necessarie all’espulsione della guerra dalla prospettiva degli europei. La conclusione della IIWW e la fine della guerra fredda costituiscono i 2 snodi cruciali della crescente affermazione dell’ordine liberale, soprattutto in EU, che era stata teatro nel quale si erano accumulate tensioni maggiori e più distruttive della competizione tra stati sovrani. Il ritorno di una guerra di aggressione interstatale, l’esplicita scelta russa della guerra come mezzo di risoluzione esaspera un limite implicito nel concetto di ordine liberale, il raggio della sua capacità esplicativa e risolutiva è inferiore a quanto si è preteso, i principi sui quali si fonda sono molto meno universalmente condivisi d i quanto ci eravamo illusi fossero. II DUE OCCIDENTI 1) Un racconto di 2 storie (vecchio e nuovo Occidente): nella rappresentazione di Putin, la RU si comporta come le grandi potenze si sono sempre comportate, esercitando la forza militare nei confronti degli stati più deboli. La RU agisce con perfetta coerenza rispetto al “vecchio Occidente” (dal 16° secolo fino al 1914). Putin rifiuta di riconoscere che dopo il 45 il “nuovo Occidente” ha dato forma istituzionalizzata a un’altra identità, nella quale il ricorso alla guerra di aggressione è bandito, non è più eticamente ammissibile l’annessione di territori altrui attraverso l’occupazione militare. È l’occidente della “pace democratica” (contraddistinto dalla condivisione di democrazie, economia di mercato, società aperte) ad aver costituito la realtà nella quale l’EU occidentale ha vissuto negli ultimi 77 anni. In virtù alla sua supremazia militare, politica, tecnologica ed economica, l’Occidente si è appropriato delle risorse e dei territori del mondo e ha sottomesso tutti i popoli con cui è entrato in contatto. Verso i “non bianchi” l’atteggiamento europeo era di aperto razzismo (es: dentro il Raj britannico “perla dell’impero”, era compromesso lo sviluppo del subcontinente indiano). Nel rapporto con i popoli africani e arabi questo emergeva con ancora più evidenza nel periodo tra le 2 guerre mondiali ma pure quando il processo di decolonizzazione sarà tutt’altro che indolore anche per Londra, che sarà coinvolta in feroci repressioni (in Malesia) o dovrà fronteggiare la rivolta dei propri coloni bianchi o tenterà di controllare gli sviluppi politici come in Egitto (

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